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16 ottobre 
2014 
Direttore responsabile: 
Giovanni Ajassa 
tel. 0647028414 
giovanni.ajassa@bnlmail.com 
Banca Nazionale del Lavoro 
Gruppo BNP Paribas 
Via Vittorio Veneto 119 
00187 Roma 
Autorizzazione del Tribunale 
di Roma n. 159/2002 
del 9/4/2002 
Le opinioni espresse 
non impegnano la 
responsabilità 
della banca. 
Negli anni più recenti le imprese di maggiore dimensione hanno fortemente accentuato la propensione a detenere riserve di liquidità. Per l’intensità raggiunta questa propensione alla liquidità viene indicata tra i fattori corresponsabili (e non in misura marginale) della sterilizzazione degli stimoli monetari adottati dalle autorità dei principali paesi per favorire una più rapida uscita dalla crisi. 
Nel 2000 le riserve liquide delle società non finanziarie venivano stimate a livello globale a circa $1.200 mld, importo salito nel 2008 al di sopra dei $2.000 mld. Negli anni successivi la crescita accelera sensibilmente (+ 12% circa in media annua). In termini assoluti tra fine 2008 e fine 2013 aumentano di circa $1.500 mld, portandosi oltre i $3.500 mld. Alcune circostanze spingono a ritenere che la dimensione e forse anche la dinamica del fenomeno potrebbero essere maggiori. 
Questa più forte propensione alla liquidità ha una diffusione globale ma è riconducibile in ampia misura alle società statunitensi; si concentra in un ristretto numero di imprese e si accompagna con un indebolimento della propensione ad investire. 
Liquidità finanziaria delle imprese 
(mld $ S&P Global 1200) 
0500100015002000250030003500400020002001200220032004200520062007200820092010201120122013 
Fonte: Deloitte Review, The cash paradox, n. 15, 2014
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16 ottobre 2014 
La ripresa economica frenata (anche) dall’accumulazione di liquidità da parte delle grandi imprese? 
S. Carletti  06-47028440 – silvano.carletti@bnlmail.com 
Il Fondo Monetario Internazionale ha di nuovo sottolineato la fragilità dello scenario globale. La congiuntura economica offre comunque anche indicazioni di segno favorevole. Tra esse, la ripresa degli investimenti non residenziali negli Stati Uniti; la più intensa dinamica dell’attività di fusione e acquisizione. 
Oltre che per la loro importanza intrinseca, l’interesse per questi due fenomeni deriva dal legame che essi hanno con la propensione delle grandi imprese a detenere ampie riserve di liquidità. Per l’intensità raggiunta questa propensione alla liquidità viene indicata tra i fattori corresponsabili (e non in misura marginale) della sterilizzazione degli stimoli monetari adottati dalle autorità dei principali paesi per favorire una più rapida uscita dalla crisi. 
Secondo una recente ricerca, infatti, nel 2000 le riserve liquide delle società non finanziarie ammontavano a livello globale a circa $1.200 mld, importo salito nel 2008 al di sopra dei $2.000 mld, con un incremento annuo quindi inferiore al 7%. Negli anni successivi la crescita accelera sensibilmente arrivando a sfiorare in media annua il 12%. In termini assoluti tra fine 2008 e fine 2013 le riserve liquide delle imprese aumentano di circa $1.500 mld, portandosi oltre i $3.500 mld. Alcune circostanze spingono a ritenere che la dimensione globale e forse anche la dinamica del fenomeno siano superiori a quanto appena indicato. 
Il fenomeno ha una diffusione globale ma è riconducibile in ampia misura alle imprese statunitensi. Il settore di attività di gran lunga più importante è quello individuato con l’acronimo TMT (Technology, Media & Telecommunication). Il fenomeno si concentra in un ristretto numero di imprese e si accompagna con un indebolimento della propensione ad investire. 
Qualche indicazione dallo scenario economico globale 
Lo scenario economico globale continua a presentarsi fragile. Secondo il recente rapporto del Fondo Monetario Internazionale, la crescita mondiale dovrebbe fermarsi al 3,3% nel 2014 e salire al 3,8% nel 2015. Dopo un primo semestre ancora al di sotto del 3%, l’economia mondiale sembra aver accelerato sensibilmente nel semestre in corso (stima +3,7%), progresso che si ritiene possa essere consolidato nel 2015. La revisione rispetto a quanto ipotizzato sei mesi fa (-0,3 e +0,1 punti percentuali nel 2014 e 2015, rispettivamente) è dovuta in larga parte alle economie emergenti (-0,5 e -0,3 punti percentuali). Il trend di crescita di lungo termine sperimentato prima della crisi finanziaria internazionale (dal 1996 al 2007) appare ancora un riferimento lontano per la maggior parte dei paesi1. 
L’area euro rappresenta una delle aree di maggiore debolezza dello scenario. Nel 2014 la crescita dovrebbe fermarsi allo 0,8% e tornare sopra l’1% solo nell’anno successivo, certamente meglio del negativo biennio 2012-13 ma comunque lontano da qualunque ipotesi di sostenuta ripresa. Inoltre, il rischio di una revisione in senso negativo di questa previsione si presenta consistente: viene stimata al 40% la probabilità di una nuova recessione (sarebbe la terza dal 2007) e al 30% quella di una deflazione (due trimestri consecutivi di variazione negativa dei prezzi). 
1 Il tasso medio annuo di crescita nel periodo 1996-2007 è pari a 4,2% a livello globale, a 2,8% per i paesi avanzati, a 5,7% per le economie emergenti.
3 
16 ottobre 2014 
La congiuntura economica internazionale offre anche qualche indicazione di segno più favorevole. Tra esse è opportuno prenderne in considerazione due: la ripresa degli investimenti non residenziali negli Stati Uniti; la più intensa dinamica dell’attività di fusione e acquisizione. Oltre che per la loro importanza intrinseca, l’interesse per questi due fenomeni deriva dal legame che essi hanno con la forte propensione delle imprese (soprattutto grandi) a detenere liquidità, un’attitudine che per l’intensità raggiunta viene (probabilmente con ragione) indicata tra i fattori che ostacolano in misura significativa il superamento dell’attuale impasse economica. 
La crescita economica nel mondo 
(var. %) 
-4.0-2.00.02.04.06.08.020082009201020112012201320142015mondopaesi avanzatipaesi emergenti 
Fonte: Fmi 
Gli investimenti non residenziali negli Stati Uniti 
Nello scenario di previsione disegnato dal Fmi gli Stati Uniti costituiscono uno dei pochi punti favorevoli. Nella seconda metà dell’anno in corso la crescita dovrebbe posizionarsi al 3% a/a, una dinamica poi confermata nel 2015. Gli investimenti non residenziali sono uno dei principali fattori a supporto di questa accelerazione. Infatti, diversamente da quanto segnalato per molti altri paesi sviluppati, la loro dinamica è da tempo sostenuta: in termini reali, +9,7% t/t annualizzato nel secondo trimestre di quest’anno, +6,8% nella media degli ultimi quattro trimestri. Impianti e macchinari sono le componenti più dinamiche dell’aggregato con una crescita a/a nel trimestre più recente poco al di sotto dell’8%; gli altri investimenti (software, ricerca e sviluppo, etc) si fermano al +4,1%. Il dato più recente conferma un trend in atto da tempo, seppure con intensità discontinua. Orientativamente circa un terzo della crescita registrata nell’ultimo anno dagli Stati Uniti è riconducibile alla dinamica di questi investimenti. 
Pur tenuto conto che negli Stati Uniti è notoriamente limitato il contributo del circuito bancario al finanziamento dell’economia, il tono favorevole degli investimenti produttivi trova riscontro nella dinamica dei finanziamenti bancari. Ad agosto, infatti, la consistenza dei prestiti bancari risulta aumentata del 6,2% a/a, conferma di un trend in atto dagli ultimi mesi del 2013. Il dinamismo delle diverse componenti dell’aggregato risulta piuttosto differenziato con l’aumento più consistente (+12,1%) nel caso dei prestiti alle imprese non finanziarie (commercial and industrial loans).
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16 ottobre 2014 
Crescono le operazioni di fusione e acquisizione 
Una seconda indicazione ugualmente promettente per l’evoluzione congiunturale si ricava dal consuntivo a livello globale delle operazioni di fusione e acquisizione. Nei primi nove mesi dell’anno risultavano avviate o perfezionate a livello mondiale operazioni per un controvalore di quasi $2.700 mld, il 60% in più rispetto all’anno precedente e l’ammontare più alto rilevato negli ultimi sei anni. La crescita dell’aggregato ha registrato nel corso dell’anno una progressiva accelerazione, con un controvalore prossimo o superiore al trilione di dollari in ciascuno degli ultimi due trimestri. 
Al di là del volume complessivo, l’intensificarsi delle operazioni M&A presenta aspetti di rilievo che è opportuno evidenziare. In primo luogo, dopo un avvio più intenso negli Stati Uniti, il fenomeno si è esteso anche a Europa e Asia. In secondo luogo, il 40% circa delle operazioni è di carattere cross-border: nei primi nove mesi dell’anno le operazioni transfrontaliere hanno superato $1.000 mld, un livello non più raggiunto dal 2008. Nell’ambito di queste operazioni si individuano due filoni. Il primo è alimentato dalle società europee orientate ad accrescere la loro presenza nel mercato americano (operazioni nei primi tre trimestri del 2014 per un totale di $260 mld). Nel loro ambito da evidenziare l’accresciuto interesse delle imprese tedesche (il 60% delle loro operazioni transfrontaliere si è concretizzato negli Stati Uniti, con sette acquisizioni multimiliardarie). Un secondo filone è quello che vede protagoniste le società statunitensi: per eludere alcune novità della normativa fiscale nazionale, alcuni gruppi hanno acquisito società con sede legale fuori dal paese per trasferire loro la funzione di capogruppo. Alcuni tentativi di questo tipo hanno trovato spazio sulla stampa anche perché di importo molto rilevante; nell’insieme però il loro peso nell’aggregato sarebbe contenuto. 
Un ultimo aspetto da segnalare è la significativa ripresa delle operazioni di carattere ostile, raddoppiate sotto il profilo numerico (da 19 a 38) e cresciute in misura ben più cospicua in termini di controvalore complessivo (da $8 a oltre 150 mld)2. 
È scontato che la possibilità di finanziarsi a condizioni particolarmente convenienti abbia stimolato una maggiore frequenza di operazioni di fusione e acquisizione. Nelle operazioni di importo più rilevante e/o di quelle transfrontaliere si intravede spesso il prevalere di una strategia imprenditoriale, la realizzazione di ipotesi di sviluppo elaborate da tempo. Se questa percezione fosse corretta se ne potrebbe ricavare che per almeno una parte delle imprese il quadro delle aspettative si è modificato in senso favorevole. 
Le riserve di liquidità delle imprese 
Come già anticipato, al di là del loro rilievo specifico, i due fenomeni appena illustrati sono importanti perché possibile indizio di un rallentamento della crescita (se non addirittura di un ridimensionamento della consistenza) delle ingenti riserve di liquidità evidenziate dai bilanci delle imprese, soprattutto di rilevante dimensione. Oltre alla cassa, in questo aggregato sono inclusi i titoli con scadenza particolarmente ravvicinata e con un rischio emittente praticamente nullo (buoni del tesoro, certificati di deposito, etc). 
Le riserve di liquidità delle imprese sono argomento rilevante per la dimensione assoluta raggiunta. La loro intensa crescita nel recente passato le segnala come 
2 I dati relativi a questa tipologia di operazioni sono relativi alla sola prima metà dell’anno.
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corresponsabili (e non in misura marginale) della sterilizzazione degli stimoli monetari adottati dalle autorità dei principali paesi per favorire una più rapida uscita dalla crisi. 
Tranne che nel caso di qualche realtà nazionale, per lo studio del fenomeno ci si deve riferire ad analisi condotte da istituzioni private, analisi comunque parziali e basate su dati che si fermano al 2013. Una recente ricerca della società di consulenza Deloitte3 ha quantificato il fenomeno assumendo come riferimento le società non finanziarie incluse nell’indice S&P Global 1200. Si tratta di poco meno di mille imprese localizzate in tutte le aree del mondo. Le indicazioni contenute in questo studio sono sostanzialmente in linea con quelle prodotte da precedenti indagini. 
Nel 2000 le riserve liquide delle società non finanziarie inserite nell’indice S&P Global 1200 ammontavano a circa $1.200 mld, importo salito nel 2008 al di sopra di $2.000 mld, con una crescita annua quindi inferiore al 7%. Negli anni successivi la crescita accelera sensibilmente arrivando a sfiorare in media annua il 12%. In termini assoluti tra fine 2008 e fine 2013 le riserve liquide di queste società aumentano di circa $1.500 mld, portandosi oltre i $3.500 mld. 
Liquidità finanziaria delle imprese 
(mld $ S&P Global 1200) 
0500100015002000250030003500400020002001200220032004200520062007200820092010201120122013 
Fonte: Deloitte Review, The cash paradox, n. 15, 2014 
La dimensione globale e forse anche la dinamica del fenomeno sono quasi certamente superiori a quanto appena indicato. Lo prova il caso delle società canadesi che deterrebbero riserve liquide per $630 mld o anche quello della Corea del Sud ove le riserve liquide dei gruppi maggiori si aggirerebbero intorno a $400 mld; in entrambi i casi si tratta di importi ben più rilevanti di quanto evidenziato dalla ricerca della Deloitte. Nell’insieme negli anni post-crisi 2 trilioni di dollari (forse anche di più) sarebbero affluiti alle tesorerie delle grandi imprese (dead money) piuttosto che impiegati per finanziare attività. 
Avendo come riferimento l’indagine prima citata, le imprese statunitensi sono quelle che contribuiscono in misura più importante al fenomeno sia sotto il profilo delle consistenze (45% dell’ammontare totale nel 2013) sia sotto il profilo dinamico (nel quinquennio 2008-13 la loro crescita cumulata è di quasi 30 punti percentuali superiore 
3 Deloitte Review, The cash paradox, n. 15, 2014
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16 ottobre 2014 
a quella media delle società dell’indice). I gruppi giapponesi pesano per il 14%; i gruppi europei (francesi, tedeschi e inglesi) contribuiscono complessivamente per il 18%, con un rilievo abbastanza simile. Per le imprese inglesi la crescita è in linea con quella media dell’aggregato, per le imprese tedesche e francesi è invece circa la metà. La crescita delle riserve liquide nel quinquennio 2008-13 è fenomeno quasi assente in Svizzera, mentre è esplosivo in paesi come la Corea del Sud (oltre il 25% l’anno). 
Sotto il profilo del settore di attività quello di gran lunga il più importante è individuato con l’acronimo TMT (Technology, Media & Telecommunication). Si sostiene che in questo caso una forte prudenza finanziaria è indotta dalla facile reversibilità dei successi aziendali. Il peso di questo settore (31%) è superiore a quello dell’intero manifatturiero (29%). Nel periodo 2008-13 la crescita annua delle riserve liquide delle imprese TMT è stimata pari al 16%. Al comparto sanitario, energetico e a quello dei prodotti di largo consumo sono attribuite quote comprese tra il 10% e il 16%. 
Una circostanza che emerge da tutte le analisi è che queste riserve liquide non sono detenute dalle imprese nella stessa misura. Il 32% delle imprese non finanziarie considerate nell’indice S&P Global 1200 risultano titolari dell’81% delle riserve totali (quasi $2.900 mld), mentre al restante 68% sarebbero attribuibili appena $600 mld. Inoltre, la dinamica di queste due consistenze nel quinquennio 2008-13 risulta piuttosto diversa, con una crescita complessiva del 78% nel primo caso, del 52% nel secondo. 
Merita sottolineare che le imprese incluse nei due insiemi hanno mostrato negli anni post-crisi finanziaria una propensione ad investire ben diversa: le prime (quelle che detengono le riserve più ampie) non solo investono meno di quanto da loro evidenziato in precedenza ma riservano alla crescita dell’attività una quota minore di quanto investono; indicazioni di segno opposto per le imprese con minori riserve liquide in bilancio. 
Sul mantenimento di più ampie risorse finanziarie liquide da parte delle imprese tutti concordano. L’inizio della fase di intensificazione del fenomeno viene posizionato nel 2008-09 quando il funzionamento dei circuiti finanziari risultò particolarmente alterato. Sorprese e preoccupate da questa evoluzione dei mercati finanziari molte imprese si sono da allora orientate verso una gestione finanziaria decisamente prudente, con un rilevante aumento delle riserve liquide. 
Una parte degli osservatori dissente però sul successivo sviluppo del fenomeno ritenendo che su di esso abbia influito in misura importante il comportamento delle società statunitensi con una rilevante presenza all’estero: per evitare una tassazione del 35% dei profitti prodotti all’estero, queste società ne avrebbero evitato il rimpatrio e parallelamente incrementato il loro indebitamento per pagare dividendi, procedere al riacquisto di azioni proprie sul mercato (share buy-back)4, effettuare investimenti in patria, etc. L’accumulo di profitti all’estero e il parallelo incremento dell’esposizione debitoria in patria è stato definito synthetic cash repatriation. Che questo tipo di percorso finanziario abbia avuto una certa diffusione tra le imprese statunitensi è testimoniato da alcuni casi aziendali documentati dalla stampa; molto difficile è invece stabilire quanto parte della crescita delle riserve liquide delle imprese possa essere attribuito a questo tipo di comportamenti. 
4 Secondo un recente articolo del Financial Times (15 ottobre 2014) le operazioni di riacquisto di azioni proprie da parte delle imprese americane a partire dal 2009 ammonterebbe $2 trilioni, dei quali $1,6 dal 2011. Dopo un’intensificazione a cavallo tra il 2013-14, il fenomeno avrebbe registrato segnali di indebolimento verso metà 2014. Tra le imprese dell’indice S&P 500, la quota di cash flow assegnata a queste operazioni rispetto al 2002 sarebbe raddoppiata (al 30%) mentre quella impiegata in investimenti sarebbe parallelamente diminuita di oltre 10 punti percentuali (al 40% circa).
7 
16 ottobre 2014 
Un cruscotto della congiuntura: alcuni indicatori 
Indice Itraxx Eu Financial 
Indice Vix 
050100150200250300350400 gen-11mar-11mag-11lug-11set-11nov-11gen-12mar-12mag-12lug-12set-12nov-12gen-13mar-13mag-13lug-13set-13nov-13gen-14mar-14mag-14lug-14set-14 
1011121314151617181920 gen-13feb-13mar-13apr-13mag-13giu-13lug-13ago-13set-13ott-13nov-13dic-13gen-14feb-14mar-14apr-14mag-14giu-14lug-14ago-14set-14ott-14 
Fonte: Thomson Reuters 
Fonte: Thomson Reuters 
I premi al rischio passano da 59 a 61. 
L’indice Vix nell’ultima settimana passa da 17 a 26. 
Cambio euro/dollaro e quotazioni Brent 
(Usd per barile) 
Prezzo dell’oro 
(Usd l’oncia) 
1,251,271,291,311,331,351,371,3980859095100105110115120gen-13lug-13gen-14lug-14Brent scala sin.(in Usd)Cambio euro/dollaro sc.ds. 
1.1001.2001.3001.4001.5001.6001.7001.8001.9002.000 gen-11mar-11mag-11lug-11set-11nov-11gen-12mar-12mag-12lug-12set-12nov-12gen-13mar-13mag-13lug-13set-13nov-13gen-14mar-14mag-14lug-14set-14 
Fonte: Thomson Reuters 
Fonte: Thomson Reuters 
Il tasso di cambio €/$ a 1,27. Il petrolio di qualità Brent quota $84 al barile. 
Il prezzo dell’oro quota 1.241 dollari l’oncia.
8 
16 ottobre 2014 
Borsa italiana: indice Ftse Mib 
Tassi dei benchmark decennali: differenziale con la Germania 
(punti base) 
12.00014.00016.00018.00020.00022.00024.000gen-11lug-11gen-12lug-12gen-13lug-13gen-14lug-14 
ItaliaSpagnaIrlandaPortogallo050100150200250300350400450gen-14mar-14mag-14lug-14set-14 
Fonte: Thomson Reuters 
Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Thomson Reuters 
Il Ftse Mib nell’ultima settimana scende da 19.645 a 18.305. 
I differenziali con il Bund sono pari a 257 pb per il Portogallo, 98 pb per l’Irlanda, 138 pb per la Spagna e 168 pb per l’Italia. 
Indice Baltic Dry 
Euribor 3 mesi 
(val. %) 
02.0004.0006.0008.00010.00012.000 gen-08lug-08gen-09lug-09gen-10lug-10gen-11lug-11gen-12lug-12gen-13lug-13gen-14lug-14 
0123456 set-06mar-07set-07mar-08set-08mar-09set-09mar-10set-10mar-11set-11mar-12set-12mar-13set-13mar-14set-14 
Fonte: Thomson Reuters 
Fonte: Thomson Reuters 
L’indice Baltic Dry nell’ultima settimana resta sotto quota 1.000. 
L’euribor 3m resta sotto lo 0,10%. 
Il presente documento è stato preparato nell’ambito della propria attività di ricerca economica da BNL- Gruppo Bnp Paribas. Le stime e le opinioni espresse sono riferibili al Servizio Studi di BNL-Gruppo BNP Paribas e possono essere soggette a cambiamenti senza preavviso. Le informazioni e le opinioni riportate in questo documento si basano su fonti ritenute affidabili ed in buona fede. Il presente documento è stato divulgato unicamente per fini informativi. Esso non costituisce parte e non può in nessun modo essere considerato come una sollecitazione alla vendita o alla sottoscrizione di strumenti finanziari ovvero come un’offerta di acquisto o di scambio di strumenti finanziari.

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  • 1. 33 16 ottobre 2014 Direttore responsabile: Giovanni Ajassa tel. 0647028414 giovanni.ajassa@bnlmail.com Banca Nazionale del Lavoro Gruppo BNP Paribas Via Vittorio Veneto 119 00187 Roma Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 159/2002 del 9/4/2002 Le opinioni espresse non impegnano la responsabilità della banca. Negli anni più recenti le imprese di maggiore dimensione hanno fortemente accentuato la propensione a detenere riserve di liquidità. Per l’intensità raggiunta questa propensione alla liquidità viene indicata tra i fattori corresponsabili (e non in misura marginale) della sterilizzazione degli stimoli monetari adottati dalle autorità dei principali paesi per favorire una più rapida uscita dalla crisi. Nel 2000 le riserve liquide delle società non finanziarie venivano stimate a livello globale a circa $1.200 mld, importo salito nel 2008 al di sopra dei $2.000 mld. Negli anni successivi la crescita accelera sensibilmente (+ 12% circa in media annua). In termini assoluti tra fine 2008 e fine 2013 aumentano di circa $1.500 mld, portandosi oltre i $3.500 mld. Alcune circostanze spingono a ritenere che la dimensione e forse anche la dinamica del fenomeno potrebbero essere maggiori. Questa più forte propensione alla liquidità ha una diffusione globale ma è riconducibile in ampia misura alle società statunitensi; si concentra in un ristretto numero di imprese e si accompagna con un indebolimento della propensione ad investire. Liquidità finanziaria delle imprese (mld $ S&P Global 1200) 0500100015002000250030003500400020002001200220032004200520062007200820092010201120122013 Fonte: Deloitte Review, The cash paradox, n. 15, 2014
  • 2. 2 16 ottobre 2014 La ripresa economica frenata (anche) dall’accumulazione di liquidità da parte delle grandi imprese? S. Carletti  06-47028440 – silvano.carletti@bnlmail.com Il Fondo Monetario Internazionale ha di nuovo sottolineato la fragilità dello scenario globale. La congiuntura economica offre comunque anche indicazioni di segno favorevole. Tra esse, la ripresa degli investimenti non residenziali negli Stati Uniti; la più intensa dinamica dell’attività di fusione e acquisizione. Oltre che per la loro importanza intrinseca, l’interesse per questi due fenomeni deriva dal legame che essi hanno con la propensione delle grandi imprese a detenere ampie riserve di liquidità. Per l’intensità raggiunta questa propensione alla liquidità viene indicata tra i fattori corresponsabili (e non in misura marginale) della sterilizzazione degli stimoli monetari adottati dalle autorità dei principali paesi per favorire una più rapida uscita dalla crisi. Secondo una recente ricerca, infatti, nel 2000 le riserve liquide delle società non finanziarie ammontavano a livello globale a circa $1.200 mld, importo salito nel 2008 al di sopra dei $2.000 mld, con un incremento annuo quindi inferiore al 7%. Negli anni successivi la crescita accelera sensibilmente arrivando a sfiorare in media annua il 12%. In termini assoluti tra fine 2008 e fine 2013 le riserve liquide delle imprese aumentano di circa $1.500 mld, portandosi oltre i $3.500 mld. Alcune circostanze spingono a ritenere che la dimensione globale e forse anche la dinamica del fenomeno siano superiori a quanto appena indicato. Il fenomeno ha una diffusione globale ma è riconducibile in ampia misura alle imprese statunitensi. Il settore di attività di gran lunga più importante è quello individuato con l’acronimo TMT (Technology, Media & Telecommunication). Il fenomeno si concentra in un ristretto numero di imprese e si accompagna con un indebolimento della propensione ad investire. Qualche indicazione dallo scenario economico globale Lo scenario economico globale continua a presentarsi fragile. Secondo il recente rapporto del Fondo Monetario Internazionale, la crescita mondiale dovrebbe fermarsi al 3,3% nel 2014 e salire al 3,8% nel 2015. Dopo un primo semestre ancora al di sotto del 3%, l’economia mondiale sembra aver accelerato sensibilmente nel semestre in corso (stima +3,7%), progresso che si ritiene possa essere consolidato nel 2015. La revisione rispetto a quanto ipotizzato sei mesi fa (-0,3 e +0,1 punti percentuali nel 2014 e 2015, rispettivamente) è dovuta in larga parte alle economie emergenti (-0,5 e -0,3 punti percentuali). Il trend di crescita di lungo termine sperimentato prima della crisi finanziaria internazionale (dal 1996 al 2007) appare ancora un riferimento lontano per la maggior parte dei paesi1. L’area euro rappresenta una delle aree di maggiore debolezza dello scenario. Nel 2014 la crescita dovrebbe fermarsi allo 0,8% e tornare sopra l’1% solo nell’anno successivo, certamente meglio del negativo biennio 2012-13 ma comunque lontano da qualunque ipotesi di sostenuta ripresa. Inoltre, il rischio di una revisione in senso negativo di questa previsione si presenta consistente: viene stimata al 40% la probabilità di una nuova recessione (sarebbe la terza dal 2007) e al 30% quella di una deflazione (due trimestri consecutivi di variazione negativa dei prezzi). 1 Il tasso medio annuo di crescita nel periodo 1996-2007 è pari a 4,2% a livello globale, a 2,8% per i paesi avanzati, a 5,7% per le economie emergenti.
  • 3. 3 16 ottobre 2014 La congiuntura economica internazionale offre anche qualche indicazione di segno più favorevole. Tra esse è opportuno prenderne in considerazione due: la ripresa degli investimenti non residenziali negli Stati Uniti; la più intensa dinamica dell’attività di fusione e acquisizione. Oltre che per la loro importanza intrinseca, l’interesse per questi due fenomeni deriva dal legame che essi hanno con la forte propensione delle imprese (soprattutto grandi) a detenere liquidità, un’attitudine che per l’intensità raggiunta viene (probabilmente con ragione) indicata tra i fattori che ostacolano in misura significativa il superamento dell’attuale impasse economica. La crescita economica nel mondo (var. %) -4.0-2.00.02.04.06.08.020082009201020112012201320142015mondopaesi avanzatipaesi emergenti Fonte: Fmi Gli investimenti non residenziali negli Stati Uniti Nello scenario di previsione disegnato dal Fmi gli Stati Uniti costituiscono uno dei pochi punti favorevoli. Nella seconda metà dell’anno in corso la crescita dovrebbe posizionarsi al 3% a/a, una dinamica poi confermata nel 2015. Gli investimenti non residenziali sono uno dei principali fattori a supporto di questa accelerazione. Infatti, diversamente da quanto segnalato per molti altri paesi sviluppati, la loro dinamica è da tempo sostenuta: in termini reali, +9,7% t/t annualizzato nel secondo trimestre di quest’anno, +6,8% nella media degli ultimi quattro trimestri. Impianti e macchinari sono le componenti più dinamiche dell’aggregato con una crescita a/a nel trimestre più recente poco al di sotto dell’8%; gli altri investimenti (software, ricerca e sviluppo, etc) si fermano al +4,1%. Il dato più recente conferma un trend in atto da tempo, seppure con intensità discontinua. Orientativamente circa un terzo della crescita registrata nell’ultimo anno dagli Stati Uniti è riconducibile alla dinamica di questi investimenti. Pur tenuto conto che negli Stati Uniti è notoriamente limitato il contributo del circuito bancario al finanziamento dell’economia, il tono favorevole degli investimenti produttivi trova riscontro nella dinamica dei finanziamenti bancari. Ad agosto, infatti, la consistenza dei prestiti bancari risulta aumentata del 6,2% a/a, conferma di un trend in atto dagli ultimi mesi del 2013. Il dinamismo delle diverse componenti dell’aggregato risulta piuttosto differenziato con l’aumento più consistente (+12,1%) nel caso dei prestiti alle imprese non finanziarie (commercial and industrial loans).
  • 4. 4 16 ottobre 2014 Crescono le operazioni di fusione e acquisizione Una seconda indicazione ugualmente promettente per l’evoluzione congiunturale si ricava dal consuntivo a livello globale delle operazioni di fusione e acquisizione. Nei primi nove mesi dell’anno risultavano avviate o perfezionate a livello mondiale operazioni per un controvalore di quasi $2.700 mld, il 60% in più rispetto all’anno precedente e l’ammontare più alto rilevato negli ultimi sei anni. La crescita dell’aggregato ha registrato nel corso dell’anno una progressiva accelerazione, con un controvalore prossimo o superiore al trilione di dollari in ciascuno degli ultimi due trimestri. Al di là del volume complessivo, l’intensificarsi delle operazioni M&A presenta aspetti di rilievo che è opportuno evidenziare. In primo luogo, dopo un avvio più intenso negli Stati Uniti, il fenomeno si è esteso anche a Europa e Asia. In secondo luogo, il 40% circa delle operazioni è di carattere cross-border: nei primi nove mesi dell’anno le operazioni transfrontaliere hanno superato $1.000 mld, un livello non più raggiunto dal 2008. Nell’ambito di queste operazioni si individuano due filoni. Il primo è alimentato dalle società europee orientate ad accrescere la loro presenza nel mercato americano (operazioni nei primi tre trimestri del 2014 per un totale di $260 mld). Nel loro ambito da evidenziare l’accresciuto interesse delle imprese tedesche (il 60% delle loro operazioni transfrontaliere si è concretizzato negli Stati Uniti, con sette acquisizioni multimiliardarie). Un secondo filone è quello che vede protagoniste le società statunitensi: per eludere alcune novità della normativa fiscale nazionale, alcuni gruppi hanno acquisito società con sede legale fuori dal paese per trasferire loro la funzione di capogruppo. Alcuni tentativi di questo tipo hanno trovato spazio sulla stampa anche perché di importo molto rilevante; nell’insieme però il loro peso nell’aggregato sarebbe contenuto. Un ultimo aspetto da segnalare è la significativa ripresa delle operazioni di carattere ostile, raddoppiate sotto il profilo numerico (da 19 a 38) e cresciute in misura ben più cospicua in termini di controvalore complessivo (da $8 a oltre 150 mld)2. È scontato che la possibilità di finanziarsi a condizioni particolarmente convenienti abbia stimolato una maggiore frequenza di operazioni di fusione e acquisizione. Nelle operazioni di importo più rilevante e/o di quelle transfrontaliere si intravede spesso il prevalere di una strategia imprenditoriale, la realizzazione di ipotesi di sviluppo elaborate da tempo. Se questa percezione fosse corretta se ne potrebbe ricavare che per almeno una parte delle imprese il quadro delle aspettative si è modificato in senso favorevole. Le riserve di liquidità delle imprese Come già anticipato, al di là del loro rilievo specifico, i due fenomeni appena illustrati sono importanti perché possibile indizio di un rallentamento della crescita (se non addirittura di un ridimensionamento della consistenza) delle ingenti riserve di liquidità evidenziate dai bilanci delle imprese, soprattutto di rilevante dimensione. Oltre alla cassa, in questo aggregato sono inclusi i titoli con scadenza particolarmente ravvicinata e con un rischio emittente praticamente nullo (buoni del tesoro, certificati di deposito, etc). Le riserve di liquidità delle imprese sono argomento rilevante per la dimensione assoluta raggiunta. La loro intensa crescita nel recente passato le segnala come 2 I dati relativi a questa tipologia di operazioni sono relativi alla sola prima metà dell’anno.
  • 5. 5 16 ottobre 2014 corresponsabili (e non in misura marginale) della sterilizzazione degli stimoli monetari adottati dalle autorità dei principali paesi per favorire una più rapida uscita dalla crisi. Tranne che nel caso di qualche realtà nazionale, per lo studio del fenomeno ci si deve riferire ad analisi condotte da istituzioni private, analisi comunque parziali e basate su dati che si fermano al 2013. Una recente ricerca della società di consulenza Deloitte3 ha quantificato il fenomeno assumendo come riferimento le società non finanziarie incluse nell’indice S&P Global 1200. Si tratta di poco meno di mille imprese localizzate in tutte le aree del mondo. Le indicazioni contenute in questo studio sono sostanzialmente in linea con quelle prodotte da precedenti indagini. Nel 2000 le riserve liquide delle società non finanziarie inserite nell’indice S&P Global 1200 ammontavano a circa $1.200 mld, importo salito nel 2008 al di sopra di $2.000 mld, con una crescita annua quindi inferiore al 7%. Negli anni successivi la crescita accelera sensibilmente arrivando a sfiorare in media annua il 12%. In termini assoluti tra fine 2008 e fine 2013 le riserve liquide di queste società aumentano di circa $1.500 mld, portandosi oltre i $3.500 mld. Liquidità finanziaria delle imprese (mld $ S&P Global 1200) 0500100015002000250030003500400020002001200220032004200520062007200820092010201120122013 Fonte: Deloitte Review, The cash paradox, n. 15, 2014 La dimensione globale e forse anche la dinamica del fenomeno sono quasi certamente superiori a quanto appena indicato. Lo prova il caso delle società canadesi che deterrebbero riserve liquide per $630 mld o anche quello della Corea del Sud ove le riserve liquide dei gruppi maggiori si aggirerebbero intorno a $400 mld; in entrambi i casi si tratta di importi ben più rilevanti di quanto evidenziato dalla ricerca della Deloitte. Nell’insieme negli anni post-crisi 2 trilioni di dollari (forse anche di più) sarebbero affluiti alle tesorerie delle grandi imprese (dead money) piuttosto che impiegati per finanziare attività. Avendo come riferimento l’indagine prima citata, le imprese statunitensi sono quelle che contribuiscono in misura più importante al fenomeno sia sotto il profilo delle consistenze (45% dell’ammontare totale nel 2013) sia sotto il profilo dinamico (nel quinquennio 2008-13 la loro crescita cumulata è di quasi 30 punti percentuali superiore 3 Deloitte Review, The cash paradox, n. 15, 2014
  • 6. 6 16 ottobre 2014 a quella media delle società dell’indice). I gruppi giapponesi pesano per il 14%; i gruppi europei (francesi, tedeschi e inglesi) contribuiscono complessivamente per il 18%, con un rilievo abbastanza simile. Per le imprese inglesi la crescita è in linea con quella media dell’aggregato, per le imprese tedesche e francesi è invece circa la metà. La crescita delle riserve liquide nel quinquennio 2008-13 è fenomeno quasi assente in Svizzera, mentre è esplosivo in paesi come la Corea del Sud (oltre il 25% l’anno). Sotto il profilo del settore di attività quello di gran lunga il più importante è individuato con l’acronimo TMT (Technology, Media & Telecommunication). Si sostiene che in questo caso una forte prudenza finanziaria è indotta dalla facile reversibilità dei successi aziendali. Il peso di questo settore (31%) è superiore a quello dell’intero manifatturiero (29%). Nel periodo 2008-13 la crescita annua delle riserve liquide delle imprese TMT è stimata pari al 16%. Al comparto sanitario, energetico e a quello dei prodotti di largo consumo sono attribuite quote comprese tra il 10% e il 16%. Una circostanza che emerge da tutte le analisi è che queste riserve liquide non sono detenute dalle imprese nella stessa misura. Il 32% delle imprese non finanziarie considerate nell’indice S&P Global 1200 risultano titolari dell’81% delle riserve totali (quasi $2.900 mld), mentre al restante 68% sarebbero attribuibili appena $600 mld. Inoltre, la dinamica di queste due consistenze nel quinquennio 2008-13 risulta piuttosto diversa, con una crescita complessiva del 78% nel primo caso, del 52% nel secondo. Merita sottolineare che le imprese incluse nei due insiemi hanno mostrato negli anni post-crisi finanziaria una propensione ad investire ben diversa: le prime (quelle che detengono le riserve più ampie) non solo investono meno di quanto da loro evidenziato in precedenza ma riservano alla crescita dell’attività una quota minore di quanto investono; indicazioni di segno opposto per le imprese con minori riserve liquide in bilancio. Sul mantenimento di più ampie risorse finanziarie liquide da parte delle imprese tutti concordano. L’inizio della fase di intensificazione del fenomeno viene posizionato nel 2008-09 quando il funzionamento dei circuiti finanziari risultò particolarmente alterato. Sorprese e preoccupate da questa evoluzione dei mercati finanziari molte imprese si sono da allora orientate verso una gestione finanziaria decisamente prudente, con un rilevante aumento delle riserve liquide. Una parte degli osservatori dissente però sul successivo sviluppo del fenomeno ritenendo che su di esso abbia influito in misura importante il comportamento delle società statunitensi con una rilevante presenza all’estero: per evitare una tassazione del 35% dei profitti prodotti all’estero, queste società ne avrebbero evitato il rimpatrio e parallelamente incrementato il loro indebitamento per pagare dividendi, procedere al riacquisto di azioni proprie sul mercato (share buy-back)4, effettuare investimenti in patria, etc. L’accumulo di profitti all’estero e il parallelo incremento dell’esposizione debitoria in patria è stato definito synthetic cash repatriation. Che questo tipo di percorso finanziario abbia avuto una certa diffusione tra le imprese statunitensi è testimoniato da alcuni casi aziendali documentati dalla stampa; molto difficile è invece stabilire quanto parte della crescita delle riserve liquide delle imprese possa essere attribuito a questo tipo di comportamenti. 4 Secondo un recente articolo del Financial Times (15 ottobre 2014) le operazioni di riacquisto di azioni proprie da parte delle imprese americane a partire dal 2009 ammonterebbe $2 trilioni, dei quali $1,6 dal 2011. Dopo un’intensificazione a cavallo tra il 2013-14, il fenomeno avrebbe registrato segnali di indebolimento verso metà 2014. Tra le imprese dell’indice S&P 500, la quota di cash flow assegnata a queste operazioni rispetto al 2002 sarebbe raddoppiata (al 30%) mentre quella impiegata in investimenti sarebbe parallelamente diminuita di oltre 10 punti percentuali (al 40% circa).
  • 7. 7 16 ottobre 2014 Un cruscotto della congiuntura: alcuni indicatori Indice Itraxx Eu Financial Indice Vix 050100150200250300350400 gen-11mar-11mag-11lug-11set-11nov-11gen-12mar-12mag-12lug-12set-12nov-12gen-13mar-13mag-13lug-13set-13nov-13gen-14mar-14mag-14lug-14set-14 1011121314151617181920 gen-13feb-13mar-13apr-13mag-13giu-13lug-13ago-13set-13ott-13nov-13dic-13gen-14feb-14mar-14apr-14mag-14giu-14lug-14ago-14set-14ott-14 Fonte: Thomson Reuters Fonte: Thomson Reuters I premi al rischio passano da 59 a 61. L’indice Vix nell’ultima settimana passa da 17 a 26. Cambio euro/dollaro e quotazioni Brent (Usd per barile) Prezzo dell’oro (Usd l’oncia) 1,251,271,291,311,331,351,371,3980859095100105110115120gen-13lug-13gen-14lug-14Brent scala sin.(in Usd)Cambio euro/dollaro sc.ds. 1.1001.2001.3001.4001.5001.6001.7001.8001.9002.000 gen-11mar-11mag-11lug-11set-11nov-11gen-12mar-12mag-12lug-12set-12nov-12gen-13mar-13mag-13lug-13set-13nov-13gen-14mar-14mag-14lug-14set-14 Fonte: Thomson Reuters Fonte: Thomson Reuters Il tasso di cambio €/$ a 1,27. Il petrolio di qualità Brent quota $84 al barile. Il prezzo dell’oro quota 1.241 dollari l’oncia.
  • 8. 8 16 ottobre 2014 Borsa italiana: indice Ftse Mib Tassi dei benchmark decennali: differenziale con la Germania (punti base) 12.00014.00016.00018.00020.00022.00024.000gen-11lug-11gen-12lug-12gen-13lug-13gen-14lug-14 ItaliaSpagnaIrlandaPortogallo050100150200250300350400450gen-14mar-14mag-14lug-14set-14 Fonte: Thomson Reuters Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Thomson Reuters Il Ftse Mib nell’ultima settimana scende da 19.645 a 18.305. I differenziali con il Bund sono pari a 257 pb per il Portogallo, 98 pb per l’Irlanda, 138 pb per la Spagna e 168 pb per l’Italia. Indice Baltic Dry Euribor 3 mesi (val. %) 02.0004.0006.0008.00010.00012.000 gen-08lug-08gen-09lug-09gen-10lug-10gen-11lug-11gen-12lug-12gen-13lug-13gen-14lug-14 0123456 set-06mar-07set-07mar-08set-08mar-09set-09mar-10set-10mar-11set-11mar-12set-12mar-13set-13mar-14set-14 Fonte: Thomson Reuters Fonte: Thomson Reuters L’indice Baltic Dry nell’ultima settimana resta sotto quota 1.000. L’euribor 3m resta sotto lo 0,10%. Il presente documento è stato preparato nell’ambito della propria attività di ricerca economica da BNL- Gruppo Bnp Paribas. Le stime e le opinioni espresse sono riferibili al Servizio Studi di BNL-Gruppo BNP Paribas e possono essere soggette a cambiamenti senza preavviso. Le informazioni e le opinioni riportate in questo documento si basano su fonti ritenute affidabili ed in buona fede. Il presente documento è stato divulgato unicamente per fini informativi. Esso non costituisce parte e non può in nessun modo essere considerato come una sollecitazione alla vendita o alla sottoscrizione di strumenti finanziari ovvero come un’offerta di acquisto o di scambio di strumenti finanziari.