Queste sono le slide spiegate dalla levanti inerenti la parte di logistica. Non sono incluse però quelle di Dominici (quelle con i velieri per intenderci).
1. Lead-time di un processo
Il lead-time include:
• Il tempo di attesa dei materiali (o delle parti) in coda
prima del processo;
• Il tempo totale del processo che è costituito dal tempo di
lavorazione più il tempo di setup dei macchinari utilizzati;
• Il tempo di attesa dopo il processo produttivo, cioè il tempo
di attesa delle parti lavorate prima di potere essere
trasferite al processo successivo;
• Il tempo di trasporto necessario a raggiungere il processo
successivo.
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2. Cycle Time (o Takt Time)
Il Cycle time (tempo di ciclo) è l’intervallo di tempo in cui la
linea di produzione deve produrre un singolo prodotto o parte.
ORE DI SERVIZIO GIORNALIERE
CYCLE TIME =
PRODUZIONE GIORNALIERA RICHIESTA
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3. Livellamento (Smoothing) del processo
produttivo
E’ l’adattamento della produzione alla variabilità della
domanda al fine di minimizzare la varianza quantitativa nella
linea di produzione ed eliminare i tempi morti.
Il livellamento della produzione nel TPS è ottenuto in due fasi:
Livellamento della quantità di produzione totale;
Livellamento della quantità di produzione del
singolo modello.
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4. Livellamento della quantità di produzione totale
Mira a ridurre la varianza tra due periodi di tempo successivi,
attraverso la previsione dei picchi e delle depressioni della
domanda, per evitare sprechi nell’intero sistema di produzione.
A tal fine mensilmente viene redatto (utilizzando l’MRP) un
piano aggregato di produzione (Master Production Plan)
fornisce i dati riguardanti i quantitativi mensili di produzione a
seconda della domanda prevista.
Il Master Production Plan deve sincronizzare tutti i processi,
bilanciandoli così che ogni processo precedente termini alla
stessa velocità nel tempo di ciclo (cycle time).
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5. Livellamento della quantità di produzione totale
(esempio)
il cycle time è calcolato:
dividendo il tempo di lavoro della giornata
(960 minuti ) per la produzione giornaliera
[1]
programmata nella linea finale di assemblaggio
(350 unità il 1°Aprile):
960 / 350 = 2,74 minuti per unità = 165 secondi per unità
[1] considerando due turni di lavoro di 8 ore: (8x60) x 2 = 960 min.
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6. Livellamento della quantità di produzione totale
(esempio)
Esempio (semplificato) di Master Production Plan
APRILE
DATA 1 2 3 4 5 6 7 8 … 18 19 20 21 … 30
Quantità di produzione programmata 350 340 340 340 340 340 340 340 … 350 350 305 300 … 305
Numero di lavoratori assegnati alla linea 75 85 85 85 85 85 85 85 … 85 85 54 54 … 54
Numero di lavoratori che lavorano nella linea 73 83 83 63 63 63 63 63 … 61 62 51 52 … 52
Stop della linea (min.) 88 80 53 53 53 53 53 53 … 90 87 83 80 … 84
Cycle time (sec.unità) 165 169 169 169 169 169 169 169 … 164,5714 121 188,9 192 … 189
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7. Livellamento della quantità di produzione del
singolo modello
Determina l’appropriata sequenza di produzione della “Linea
di assemblaggio mista” (Mixed Model assembly line).
La produzione di automobili è molto varia poiché ogni tipo di
automobile ha diversi modelli, colori e specifiche. La quantità
di prodotti finiti sarebbe immensa se ogni linea di produzione
producesse solo un modello nell’intera giornata. Bisogna
evitare che il processo precedente produca componenti
quando ciò non è richiesto dalla domanda. Per ottenere ciò
linea di produzione deve produrre il giusto mix di modelli
minimizzando i tempi morti ed evitando la sovrapproduzione.
Si deve dunque programmare la giusta sequenza di prodotti
finiti livellando la quantità prodotta di ciascun modello.
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8. Livellamento della quantità di produzione del
singolo modello
Un esempio:
Si supponga che lo stabilimento debba produrre 8.000
automobili al mese;
di cui:
4.000 modello A
2.000 modello B
2.000 modello C
In 20 giornate lavorative al mese; con un solo turno di
produzione giornaliero di 8 ore (480 minuti).
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9. Livellamento della quantità di produzione del
singolo modello
La produzione giornaliera richiesta sarà dunque :
8.000 / 20 = 400
di cui:
Modello A: 4.000 / 20 = 200
Modello B: 2000 / 20 = 100
Modello C: 2000 / 20 = 100
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10. Livellamento della quantità di produzione del
singolo modello
Il cycle-time medio è dato dal rapporto tra il tempo
di lavoro giornaliero (480 minuti) ed il volume di
produzione giornaliero (400 automobili):
480 minuti
CYCLE TIME = = 1 min.12 sec.
400 automobili
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11. Livellamento della quantità di produzione del
singolo modello
Il tempo entro cui è richiesta la produzione di un
Modello A è:
Tempo di richiesta 480 minuti
per un modello A = 200 Modello A = 2 min. e 24 sec.
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12. Livellamento della quantità di produzione del
singolo modello
Confrontando il cycle-time del modello A con il
cycle-time medio si ha:
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13. Livellamento della quantità di produzione del
singolo modello
Il tempo massimo prima che un Modello A sia
richiesto dal mercato è di 2 minuti e 24 secondi,
mentre il cycle-time medio (cioè il tempo medio
necessario per produrre un’autovettura) è di un
minuto e 12 secondi. Di conseguenza prima un
modello A sia richiesto la linea di produzione
può essere utilizzata per produrre un’altra
autovettura.
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14. Livellamento della quantità di produzione del
singolo modello
Considerando il tempo di richiesta di un modello B
e di un modello C:
Tempo di richiesta 480 minuti
per un modello C = 100 Modello c = 4 min. e 48 sec.
Tempo di richiesta 480 minuti
per un modello B = 100 Modello B = 4 min. e 48 sec.
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15. Livellamento della quantità di produzione del
singolo modello
Confrontando il tempo di richiesta dei modelli A, B
e C con il cycle-time medio:
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16. Livellamento della quantità di produzione del
singolo modello
Il livellamento della produzione non si ottiene soltanto
scegliendo l’appropriata sequenza di produzione ma è
necessario estendere il controllo a tutta la linea al fine di:
Livellare il tempo totale di produzione ed
assemblaggio di ogni processo;
Mantenere costante il livello di consumo
delle parti lungo l’intera linea.
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17. Livellamento della quantità di produzione del
singolo modello
Per potere livellare il tempo totale di produzione ed
assemblaggio di ogni processo si deve controllare se
qualche prodotto ha un lead-time più lungo del
cycle-time programmato. Dunque uno dei requisiti per
ottenere il livellamento della produzione è che il lead-
time sia inferiore al cycle-time.
Se un prodotto ha bisogno di un lead-time più lungo del
cycle-time sarà allora necessario adottare degli
accorgimenti per ridurre il lead-time.
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18. Livellamento della quantità di produzione del
singolo modello
n
max
Q i T il
i=1 C
lead time n
Qi
i=1
Dove:
Qi = quantità programmata per il prodotto Xi (i = 1…n) ;
Til = tempo di operatività per ogni unità di prodotto Xi;
C = Cycle-time.
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19. Mantenere il tasso di consumo di ogni parte constante
lungo la linea di produzione
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20. Determinazione del lotto di riordino
Due logiche diverse:
Sistema tradizionale basato su l’EOQ (Economic
Order Quantity o lotto economico di riordino);
Lean production che tende all’ “Ikko nagashi”
termine giapponese che indica l’obiettivo (spesso
teorico) di processare un solo pezzo alla volta.
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21. EOQ: rappresentazione grafica della Formula di Wilson
2Co x D Co = costo di ordinazione
EOQ = D = Domanda
Ch Ch = Costo di stoccaggio
COSTI
Costo totale
Costo di ordinazione
Costo di stoccaggio
EOQ
QUANTITA' DELL'ORDINAZIONE
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22. Limiti dell’EOQ
(versione di Wilson)
La domanda del periodo è prevedibile e costante
nel tempo;
Non vengono considerati i vincoli logistici che
influenzano la dimensione del lotto
(imballaggio, trasporto, ecc.);
Tutti i costi sono considerati indipendenti e
costanti nel tempo. In particolare il prezzo
unitario del prodotto ed il prezzo unitario di
trasporto sono considerati indipendenti dalle
quantità prodotte ed acquistate;
Prof. Gandolfo Dominici 22
23. Limiti dell’EOQ
(versione di Wilson)
Il tempo di produzione e fornitura è considerato
pari a zero, ipotizzando dunque che le quantità
ordinate siano immediatamente disponibili;
Le quantità prodotte e comprate sono trasportate
in un'unica soluzione;
Non vengono considerati i costi inerenti a possibili
rotture dello stock;
I beni sono considerati come non deperibili.
Prof. Gandolfo Dominici 23
24. Il Material Requirements Planning
Secondo la definizione dell‟ APICS (American
Production and Inventory Control Society), l‟ MRP è:
“Un insieme di tecniche che usa la distinta
base, i dati di inventario, ed il programma
principale di produzione (Master
Production Schedule) per calcolare il
fabbisogno di materiali”
Prof. Gandolfo Dominici 24
25. Origine ed evoluzione del MRP
• La paternità del sistema di programmazione MRP
è comunemente attribuita a Joseph Oirlicky
[1], che negli anni settanta sviluppo un programma
per il calcolo dei fabbisogni di materiali necessari
per specifici piani di produzione;
• La logica di base dell’ MRP è la medesima del
metodo CPM (Critical Path Method) creato negli
anni cinquanta dal Ministero della Difesa
statunitense e perfezionato in seguito dalla NASA.
[1] Vedi: Oirlicky J., “Material Requirement Planning, The New Way of Life in Production and
Inventory”, McGraw Hill, 1975.
Prof. Gandolfo Dominici 25
26. Origine ed evoluzione del MRP
• Il programma di Oirlicky era capace di
determinare soltanto le quantità e non i tempi
di produzione.
• In seguito il sistema MRP si è evoluto fino alla
sua prima applicazione commerciale dell’ IBM
con il programma PICS (Production
Information and Control System) .
Prof. Gandolfo Dominici 26
28. Logica di funzionamento del
Material Requirements Planning
• Il Master Production Schedule (programma
principale di produzione) è calcolato a
seconda:
– della domanda, composta da due elementi:
» previsione della domanda
» ordini dei clienti
– della capacità produttiva dello stabilimento
Prof. Gandolfo Dominici 28
29. Capacity Requirement Planning
(CRP)
E’ la programmazione che deve essere
effettuata allo scopo di tramutare gli
ordini di produzione derivanti dal MRP
in attività operative dei diversi centri di
lavoro considerando i tempi e le capacità
effettive.
Prof. Gandolfo Dominici 29
30. Capacity Requirement Planning
(CRP)
MRP
Piano degli ordini
Stato dei
Dati di
Produzione
CRP Centri di
Lavoro
Piano dei carichi
di lavoro
Prof. Gandolfo Dominici 30
31. Capacity Requirement Planning
(CRP)
• Il CRP non è un’attività staccata dal MRP
bensì una sua estensione. Esso infatti non
può prescindere dalla elaborazione dei
fabbisogni ottenuta con il MRP.
• Il CRP converte il piano degli ordini di
produzione in carichi di lavoro (espressi in
ore) per le singole macchine o cellule
produttive impiegate nel processo
produttivo.
Prof. Gandolfo Dominici 31
32. MRP, note di variazione
• Un altro output del sistema MRP è
rappresentato dalle note di variazione, usate
per indicare le modificazioni delle
operazioni programmate specificandone le
date e le priorità. Le note di variazioni sono
di due tipi con due diverse funzioni: il primo
tipo è usato per accelerare gli ordini
(anticipando la loro data) mentre il secondo
tipo è usato per differire gli ordini
(posticipando la loro data).
Prof. Gandolfo Dominici 32
33. MRP, report delle eccezioni
• Il report delle eccezioni serve a notificare
agli utenti dell’ MRP gli scostamenti
(differenze di conteggio del
lavoro, differenze di inventario, parti
difettose, ecc.) tra quanto si era
programmato e quanto è effettivamente
avvenuto.
Prof. Gandolfo Dominici 33
34. MRP e JIT
Il Just in Time della Toyota è un sistema in cui
entrambi i concetti di produzione pull e push sono
presenti ed è composto fondamentalmente da due
parti:
Pianificazione mensile delle quantità di
produzione con i sistemi di Material Requirement
Planning (MRP/MRPII);
Produzione giornaliera regolata dal sistema
kanban (sistema pull di sintonizzazione).
Prof. Gandolfo Dominici 34
35. MRP e JIT
La relazione tra il sistema di pianificazione MRP e il
sistema kanban può essere schematizzata come segue:
livello di stock determinato con il MRP
CLIENTI Processo Processo Processo FORNITORI
A B C
Routine di produzione
tramite kanban (pull)
Prof. Gandolfo Dominici 35
36. MRP, esempio
Supponendo che la quantità domandata rientri nelle capacità
dello stabilimento sviluppiamo un esempio semplificato:
Periodo 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
Fabbisogno 30 25 10 5 20 10 30 10
Prof. Gandolfo Dominici 36
37. MRP, esempio
La distinta dei materiali si riferisce alla lista di materiali necessari per produrre
un componente. Essa “esplode” il prodotto in tutti i componenti e sub-
componenti da cui esso è composto. Nel nostro esempio:
componenti semi-lavorati per materiali per produrre
Prodotto finito l''assemblaggio del prodotto finito i semilavorati del livello 1
livello 0 livello 1 livello 2
a (quantità 1)
A (quantità 1)
b (quantità 1)
X
c (quantità 1)
B (quantità 1)
d (quantità 1)
Prof. Gandolfo Dominici 37
38. MRP, esempio
I dati dell’inventario forniscono le informazioni circa le parti
già in stock, il lead-time ecc. Nell’esempio dato:
Prof. Gandolfo Dominici 38
39. Tabella di calcolo per X Foglio di lavoro MRP
Periodo 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
Fabbisogno 30 25 10 5 20 10 30 10
Inventario 40 40 10
Fabbisogno netto 15 10 5 20 10 30 10
Ordinazione programmata 15 10 5 20 10 30 10
(lead time di X= 1)
Tabella di calcolo per A
Periodo 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
Fabbisogno 15 10 5 20 10 30 10
Inventario 20 20 5
Fabbisogno netto 5 5 20 10 30 10
Ordinazione programmata 5 5 20 10 30 10
(lead time di A =2)
Tabella di calcolo per a
Periodo 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
Fabbisogno 5 5 20 10 30 10
Inventario 15 10 5
Fabbisogno netto 15 10 30 10
Ordinazione programmata 40 40
(lead time di a=1)
Prof. Gandolfo Dominici 39
40. Commenti al foglio di lavoro MRP
Il lead-time del prodotto finito “X” è pari ad 1 periodo ed il
fabbisogno è di 30 unità nel terzo periodo; essendovi 40 unità di
prodotto X in inventario non è necessario ordinare
l’assemblaggio di X prima del terzo periodo (dato che il lead-time
uguale ad un periodo). La distinta base mostra che il fabbisogno del
prodotto semi-lavorato “A” per produrre un prodotto finito “X” è di
una unità di “A” e che il fabbisogno del materiale “a” necessario per
produrre A è anch’esso pari ad una unita. Seguendo la stessa logica Il
fabbisogno di A è pari a 15 unità (necessarie a produrre i 15 prodotti
X necessari) nel terzo periodo ma la produzione del fabbisogno
comincia nel secondo periodo dato che il lead-time di A è pari a due
periodi. Usando la stessa logica per tutti gli altri componenti e sub-
componenti si ottengono i fabbisogni totali ed i tempi di produzione
per tutte le parti.
Prof. Gandolfo Dominici 40
41. Manufacturing Resource Planning
(MRPII)
• Il Manufacturing Resource Planning (o MRP)
rappresenta l‟evoluzione del sistema MRP;
• Nell‟ MRP gli aspetti di programmazione della
produzione del sistema MRP vengono legati alle altre
funzioni aziendali (in una visione di logistica integrata);
• Garantisce un‟ampia struttura di controllo che divide il
controllo di produzione in una gerarchia basata
sull‟orizzonte temporale e sul livello di aggregazione del
prodotto;
• I sistemi MRP sono una estensione dell‟ MRP per
integrare e supportare altre attività ma la logica di base
per il calcolo dei fabbisogni dei materiali è la medesima
in entrambi i sistemi .Prof. Gandolfo Dominici 41
42. Manufacturing Resource Planning
(MRPII)
L‟APICS [1] definisce il Manufacturing Resource
Planning come :
“Un metodo per l’efficace pianificazione di
tutte le risorse di un’azienda industriale”.
[1] American Production and Inventory Control Society
Prof. Gandolfo Dominici 42
43. Manufacturing Resource Planning
(MRPII)
Le caratteristiche dell‟MRP sono [1] :
Integrazione tra sistema operativo e sistema
finanziario;
Capacità di simulazione che rendono possibili
predizioni e preventivi;
Coinvolge ogni aspetto d’impresa dalla
pianificazione alla gestione.
Higgins P., Leroy P. and Tierney L., “Manufacturing Planning and
[1]
Control - Beyond MRP II”, Chapman & Hall, 1996.
Prof. Gandolfo Dominici 43
44. Manufacturing Resource Planning
(MRPII)
L‟ MRP include dunque il programma MRP come sua parte fondamentale
integrandolo con:
• Meccanismi di feedback in grado di rivedere rapidamente i
piani di fabbisogno e le tabelle di produzione in caso di
cambiamenti;
• Raccolta dei dati delle vendite e dei clienti;
• Possibilità di generare Master Production Schedule
revisionali per prodotti futuri;
• Calcolo del carico e della capacità di lavoro per ogni
reparto;
• Produzione della documentazione per le spedizioni e per la
fatturazione;
• Possibilità di generare report direzionali.
Prof. Gandolfo Dominici 44
45. Manufacturing Resource Planning
(MRPII)
Vi sono diversi tipi di gerarchie nell’ MRP,
ma comunemente esse comprendono tre parti
fondamentali:
Pianificazione a lungo termine;
Pianificazione a medio termine;
Controllo a breve termine.
Prof. Gandolfo Dominici 45
46. Total Quality Management
Secondo l‟ ISO 8402 [1] , il quality management può essere
definito come segue:
“Tutte
le attività della funzione di management nel
suo complesso che determinano la politica della
qualità, gli obbiettivi e le responsabilità, e li
implementano con mezzi quali la pianificazione della
qualità, il quality control, la quality assurance ed il
miglioramento qualitativo all’interno del sistema
della qualità”.
[1] ISO 8402, “Quality Management and Quality Assurance”, Vocabulary, International Organization for Standardization, 1994
Prof. Gandolfo Dominici 46
47. Total Quality Management
Il Total Quality Management si può considerare come una
filosofia manageriale per il miglioramento continuo delle
performance dell‟impresa nel suo complesso. Esso è basato su:
Lo stile di leadership;
La vision aziendale;
La gestione della qualità dei fornitori;
Il controllo ed il miglioramento dei processi;
Il design del prodotto;
La partecipazione, valorizzazione e formazione dei
dipendenti;
La customer satisfaction.
Prof. Gandolfo Dominici 47
48. Total Quality Management
Storia ed evoluzione
1946- Occupazione americana del Giappone sotto la
guida del Generale Mac Arthur. Educazione dei
giapponesi tramite la radio, ricostruzione della
rete di comunicazione;
1947- Homer Sarasohn fu assunto per organizzare
l’operazione mediante il ripristino e l’istallazione
di apparecchiature, la fornitura di materiali e
componenti, il ripristino degli stabilimenti, la
fondazione dell’ Equipment Test Laboratory e la
fissazione di più alti standard di prodotto.
Prof. Gandolfo Dominici 48
49. Total Quality Management
Storia ed evoluzione
- 1948 Koji Kobayashi della NEC creò corsi di formazione
nella gestione della qualità per gli alti dirigenti giapponesi;
- Prima del suo ritorno negli Stati Uniti, egli raccomandò W.
Edwards Deming per un seminario sullo Statistical Quality
Control (SQC) in Giappone;
- In quegli anni il concetto di Qualità Totale fu introdotto da
Armand V. Feigenbaun [1] che lo definì come un efficace
sistema per integrare gli sforzi dei vari gruppi in materia di
sviluppo della qualità, quality maintenance e miglioramenti
della qualità nell‟organizzazione, in modo da attivare
produzione e servizio ai livelli più economici che garantiscano
la piena soddisfazione del cliente.
[1] La prima edizione del libro: “Total Quality Control”, scritto dal Dr, Armand V.
Feigenbaun, venne pubblicata nel 1951.
Prof. Gandolfo Dominici 49
50. Total Quality Management
Storia ed evoluzione
• Deming svolse un seminario di trenta giorni
sponsorizzato dalla Japanese Union of
Scientists and Engineers (JUSE) e presentò i
criteri per il famoso concorso giapponese
“Deming”;
• Per il suo contributo all’industrializzazione
del Giappone, Deming fu insignito del
Secondo Ordine del Sacro Tesoro dal Primo
Ministro giapponese.
Prof. Gandolfo Dominici 50
51. Il primo “guru” (americano) della
qualità: Deming
• Deming sviluppò e strutturò il concetto di
qualità all’interno dell’impresa. Egli
affermò il concetto che la qualità comincia
dal top management e rappresenta
un’attività strategica. La filosofia di Deming
afferma che la qualità e la produttività
crescono al decrescere della variabilità.
Prof. Gandolfo Dominici 51
52. I 14 step verso la qualità per
Deming
Deming delineò 14 tappe che i manager possono seguire per
l’implementazione di un programma di qualità in qualunque tipo di
organizzazione:
1) Creare costanza di scopi, nei campi:
dell’innovazione, degli investimenti in ricerca e
formazione, del miglioramento continuo di prodotto e di
servizio, della manutenzione delle apparecchiature;
2) Adottare una nuova filosofia. Il management deve
affrontare una profonda trasformazione e cominciare a
credere nell’importanza della qualità dei prodotti e dei
servizi;
3) Smettere di essere dipendenti dalle ispezioni di massa. I
prodotti ed i servizi devono essere ispezionati il giusto
necessario da permettere di identificare le modalità per
migliorare il processo;
Prof. Gandolfo Dominici
52
53. I 14 step verso la qualità per
Deming
4) Smettere di fare affari basandosi sul prezzo. I prodotti a
minor prezzo non sempre sono quelli di migliore qualità;
si devono scegliere i fornitori in base ai loro risultati di
miglioramento ed instaurare con essi rapporti a lungo
termine;
5) Migliorare continuamente il sistema di produzione e/o di
servizio. Il miglioramento non deve essere visto come un
impegno una-tantum; il management ha la
responsabilità di dirigere l’organizzazione verso la
pratica del miglioramento continuo della qualità e della
produttività;
6) Istituire la formazione sul lavoro. I lavoratori hanno
bisogno di sapere come fare il loro lavoro in maniera
appropriata, imparando nuovi metodi a tal fine;
Prof. Gandolfo Dominici 53
54. I 14 step verso la qualità per
Deming
7) Istituire lo stile di leadership. I manager hanno la
responsabilità di individuare gli ostacoli che impediscono
ai lavoratori di staff di essere soddisfatti del loro lavoro;
8) Eliminare la paura. I lavoratori spesso temono ritorsioni
qualora causino problemi sul lavoro. I manager devono
creare un ambiente dove i lavoratori possono esprimere i
loro problemi con fiducia;
9) Abbattere le barriere tra i dipartimenti. Il lavoro di
squadra deve essere incoraggiato aiutando i lavoratori
dei diversi dipartimenti a lavorare insieme;
10) Eliminare gli slogan e le esortazioni per la forza lavoro. Il
solo uso di slogan, senza un’indagine del luogo di
lavoro, può essere offensiva per i lavoratori. I manager
devono imparare metodi più efficaci per motivare le
persone all’interno dell’organizzazione;
Prof. Gandolfo Dominici 54
55. I 14 step verso la qualità per
Deming
11) Eliminare le quote numeriche. Le quote ostacolano la
qualità non lasciando spazio al miglioramento. I
lavoratori hanno bisogno della flessibilità necessaria per
dare ai clienti il livello di servizi che richiedono;
12) Dare orgoglio ai lavoratori e feedback su come stanno
svolgendo il loro lavoro;
13) Istituire un programma di formazione e di auto-
miglioramento. Con il miglioramento continuo, le
definizioni delle mansioni cambiano, gli impiegati
necessitano , dunque, della formazione necessaria per il
successo nel loro lavoro;
14) Agire per compiere la trasformazione. Il management
deve lavorare in team per portare a compimento i 13
punti di cui sopra.
Prof. Gandolfo Dominici 55
56. Il secondo guru (americano):
Juran
• 1954 - un altro americano Joseph M. Juran estese il
concetto di quality management dalla fabbrica a tutta
l’organizzazione sottolineando l’importanza di ripensare il
sistema dal design del prodotto alle apparecchiature, dal
sistema di test al processo di feedback;
• Egli modificò il modo di pensare l’organizzazione dalla
tradizionale filosofia della qualità come “conformità alle
specifiche tecniche” basata sulla realtà industriale ad un
approccio basato sull’utente per il quale coniò il termine
“fitness for use” (conformità all’utilizzo);
• Juran fece infatti notare come con il tradizionale
approccio , un prodotto pericoloso risulterebbe “conforme
alle specifiche tecniche”, ma non “fit for use”.
Prof. Gandolfo Dominici 56
57. Il primo guru giapponese:
Kaoru Ishikawa
1968 - Kaoru Ishikawa, crea i “circoli di qualità” ed i
“diagrammi causa-effetto”. Egli fece notare come si
fosse data in passato eccessiva enfasi al controllo
statistico della qualità, rendendo l’implementazione
della qualità troppo complessa. La conseguente
standardizzazione dei prodotti e dei processi era
diventata un carico che rendeva difficile il
cambiamento e le persone infastidite dalla eccessiva
regolamentazione.
Per Ishikawa la partecipazione dei lavoratori è la
chiave per il successo nell’implementazione del Total
Quality Management; i circoli di qualità sono uno
strumento importante a questo scopo.
Prof. Gandolfo Dominici 57
58. Gli step verso la qualità per
Kaoru Ishikawa
I punti chiave della qualità totale secondo Ishikawa sono:
• La qualità prima di tutto, prevalendo specialmente sulla
logica del profitto a breve termine;
• Il cliente innanzi tutto, prima del produttore;
• I clienti sono il processo successivo, senza barriere
organizzative;
• Le decisioni sono basate su fatti e dati;
• Il management è partecipativo e rispettoso di tutti i
lavoratori;
• I comitati inter-funzionali devono guidare il management
coprendo le funzioni di pianificazione di prodotto, design
di prodotto, pianificazione della
produzione, acquisti, vendite e distribuzione.
Prof. Gandolfo Dominici 58
59. Il “guru” manager: Crosby
• Philip B. Crosby iniziò la sua carriera come
ispettore della qualità lavorando per diverse
aziende fino a divenire vice presidente della
ITT.
• Nel 1979 lasciò la ITT per fondare la “Philip
Crosby Associates Inc.” ed il “Crosby
Quality College”.
Prof. Gandolfo Dominici 59
60. Il contributo di Crosby
• “Zero Defects” non è solamente un programma
motivazionale per i lavoratori ma anche uno standard
manageriale, con un messaggio sulla qualità diretto
anche al management;
• Strumenti per la gestione della qualità tra cui la
misurazione dei costi della qualità, la “Management
Maturity Grid” (griglia della maturità manageriale );
• Programma in 14 punti per il miglioramento della
qualità;
• Stimò che il costo medio della qualità per la maggior
parte delle imprese varia tra il 15% e il 20% del
valore delle vendite
Prof. Gandolfo Dominici 60
61. Il Management Maturity Grid di
Crosby
I. Incertezza, quando la qualità non è ancora riconosciuta
come strumento manageriale;
II. Risveglio, quando l‟impresa riconosce l‟importanza della
qualità senza però agire;
III. Illuminazione, quando il management inizia
l‟implementazione di un programma per la qualità;
IV. Saggezza, quando la prevenzione funziona bene, i
problemi sono identificati in anticipo e si fanno efficaci
azioni correttive;
V. Certezza, quando l‟agire per la qualità diventa un elemento
essenziale del lavoro nell‟impresa e i problemi sono meno
frequenti.
Prof. Gandolfo Dominici 61
62. I 14 step per la qualità di Crosby
1) Stabilire l’impegno del management; è necessario
convincere il top management circa la necessità del
miglioramento qualitativo e renderlo noto a tutta l‟impresa.
Questo primo passo implica la stesura di un documento circa
la politica per la qualità;
2) Formare team interdipartimentali per la qualità; il
management deve formare dei gruppi costituiti dai capi area
e dai capi dipartimento per la supervisione del
miglioramento qualitativo;
3) Stabilire la misurazione della qualità; è necessario
implementare misurazioni specifiche per ogni attività al fine
da evidenziare le aree che devono essere migliorate;
Prof. Gandolfo Dominici 62
63. I 14 step per la qualità di Crosby
4) Valutare il costo della qualità; l‟ufficio di controllo deve
stimare i costi della qualità per identificare le aree dove
necessitano miglioramenti;
5) Accrescere la consapevolezza sulla qualità tra i dipendenti; i
supervisori devono trasmettere a tutti i lavoratori il
messaggio sulla importanza della conformità del prodotto
agli standard qualitativi con strumenti quali i programmi
formativi, l‟utilizzo di filmati didattici, opuscoli e poster;
6) Promuovere azioni correttive; le opportunità di
miglioramento dei punti 3 e 4 e i suggerimenti dei lavoratori
devono essere esposte a livello di supervisione e, se
possibile, risolte a questo livello oppure passate ai livelli
superiori qualora necessario;
Prof. Gandolfo Dominici 63
64. I 14 step per la qualità di Crosby
7) Istituire un comitato ad hoc per il programma “difetti zero”;
questo comitato deve essere opportunamente formato da
membri del team di “quality improvement” e pianificare un
programma di “difetti zero” che sia conciliabile con la
cultura aziendale;
8) Formazione dei supervisori; tutti i livelli del management
devono essere istruiti a proposito del programma qualità;
9) Fissare una “giornata dei difetti zero”; una giornata del
difetti zero deve essere fissata per mandare un messaggio
chiaro a tutti i dipendenti riguardo i nuovi standard
qualitativi dell‟azienda;
Prof. Gandolfo Dominici 64
65. I 14 step per la qualità di Crosby
10) Fissare i goal dei dipendenti; ogni dipendente deve fissare i
suoi obiettivi e comunicarli al suo supervisore il quale
stabilirà delle riunioni per discutere il raggiungimento di tali
obiettivi;
11) Rimozione delle cause di errore; i lavoratori devono essere
incoraggiati a comunicare rapidamente ai supervisori ogni
problema che impedisce loro il raggiungimento degli
obiettivi di performance;
12) Riconoscimento per il raggiungimento e/o il superamento
degli obiettivi; a coloro che raggiungono o superano gli
obiettivi di performance prefissati deve essere riconosciuto
un apprezzamento pubblico, esplicito e non-pecuniario;
Prof. Gandolfo Dominici 65
66. I 14 step per la qualità di Crosby
13) Costituire i Consigli di qualità; i Consigli di qualità tra
esperti della qualità e i team-leader devono essere tenuti
regolarmente al fine di condividere le esperienze e trovare
soluzioni ai problemi occorsi;
14) Rifare tutto di nuovo; il programma di cui sopra dal punto 1
al punto 13 deve essere ripetuto i modo da dare maggiore
enfasi al processo della qualità e di rinnovare l‟impegno di
tutti i lavoratori.
Prof. Gandolfo Dominici 66
67. Gli stadi di evoluzione del TQM
Tutte le funzioni ed i dipendenti sono coinvolti
I fornitori sono coinvolti
Teamwork TQM
Staff empoverment
Viene sviluppata una strategia
della qualità Quality Assurance
Programma di manutenzione
Quality Costing
Problem soving
Quality Control
Pianificazione della qualità
Ispezione
Controllo statistico della qualità
Performance dei processi
Standard qualitativi
Individuazione degli errori
Rettificazione degli errori
Prof. Gandolfo Dominici 67
68. La vision
• Include i concetti fondamentali del TQM nella filosofia
aziendale contenuta nel testo della “vision”;
• La filosofia aziendale descrive come l’impresa vuole essere
vista nel suo settore. Essa descrive valori, convinzioni e
standard che sono la comunicazione degli elementi basilari
dell’intenzione di implementare una politica aziendale.
• Grazie alla filosofia aziendale tutti i dipendenti sono in
grado di capire come possono contribuire al
raggiungimento dei fini dell’impresa.
• Una vision efficace deve essere redatta usando un
linguaggio capace di motivare i dipendenti verso alti livelli
di performance incoraggiando il loro coinvolgimento.
Prof. Gandolfo Dominici 68
69. La vision
La vision cambia seguendo i contesti socio-culturali. In Giappone la redazione
di un documento contenente i valori dell‟impresa non è una novità. Esempi:
• Periodo Meiji: filosofia aziendale della Mitsui: “Assicurare
la prosperità dei discendenti attraverso il duro lavoro e
ringraziando i nostri antenati”;
• Anni ’70 introduzione del concetto di qualità: filosofia della
Riken Forge Co. :“Assicurare profitti che accrescono la
felicità dei dipendenti. Assicurare prodotti di alta qualità e
basso costo in quantità, cosi da costruire la fiducia dei
clienti”;
• 1998 Asahi Breweries: “Il Gruppo Asahi Breweries mira a
soddisfare i clienti con i più alti livelli di qualità ed
integrità, nel contempo contribuendo alla promozione di uno
stile di vita salutare e all’arricchimento della società in tutto il
mondo”.
Prof. Gandolfo Dominici 69
70. Il concetto del cliente e del fornitore
interno
• Ogni componente dell’organizzazione è
visto come un come un cliente che consuma
e produce beni da e verso gli altri
componenti.
• Si eliminano concettualmente i confini tra
interno ed esterno;
• Ognuno diventa responsabile per i bisogni
del proprio cliente, interno od esterno che
sia.
Prof. Gandolfo Dominici 70
71. SCM e TQM
• Deming ha sottolineato come il lavorare in
cooperazione con i fornitori, considerandoli
partner in relazioni a lungo termine aiuta a
migliorare la qualità dei materiali in entrata e
dunque a diminuire i costi della qualità;
• Le imprese devono spostare l’attenzione dalla
minimizzazione del costo di acquisto dei materiali
alla minimizzazione del costo medio totale delle
ispezioni e della perdita di qualità.
Prof. Gandolfo Dominici 71
72. SCM e TQM
Juran e Gryna hanno evidenziato come il compratore deve aggiungere
al prezzo d‟acquisto tutto l‟insieme dei costi della qualità quali:
• Il costo di nuove ispezioni
• Il costo della revisione dei materiali
• Il costo per ritardi nelle linea di produzione
• Il costo per fallimenti interni
• Il costo dovuto a maggiori scorte
• Il costo per interruzioni della linea di produzione
• Il costo per fallimenti esterni
Prof. Gandolfo Dominici 72
73. Autonomazione
• L’autonomazione (traduzione per sillabe del
termine giapponese Jidoka) è alla base di
ogni sistema di lean production sia esso il
JIT o il Total Quality;
• Schroeder [1] definisce il JIT come:
“l’eliminazione degli sprechi nel processo di
produzione utilizzando la piena capacità dei
lavoratori”.
[1] Schroeder, R.G. “Operations Management”, McGraw-Hill, 2000.
Prof. Gandolfo Dominici 73
74. Multifunzionalità della forza lavoro
• L’utilizzo di operai multifunzionali è l’elemento chiave
della gestione delle risorse umane al fine di migliorare
la qualità e rendere il processo più flessibile;
• Grazie al lavoro multifunzionale, i processi operativi
possono essere cambiati più facilmente per incontrare
le richieste della domanda riducendo allo stesso tempo
la sensazione di alienazione e noia dei lavoratori e d i
problemi ergonomici;
• La flessibilità delle mansioni fa si che i lavoratori
accettino maggiori responsabilità aumentando la loro
stima di se stessi e la loro sensazione di valere per
l’impresa.
Prof. Gandolfo Dominici 74
75. Routine operativa standard
Alla Toyota vige un motto:
IL DIAVOLO STA’ NEI DETTAGLI
Ciò significa che l‟attenzione hai dettagli è considerata
fondamentale e pertanto tutte le mansioni sono meticolosamente
standardizzate in un documento per ciascuna mansione:
la routine operativa standard
Prof. Gandolfo Dominici 75
76. Benefici della Multifunzionalità
Grazie alla standardizzazione del lavoro è possibile,
dopo una appropriata formazione, cambiare i lavoratori
assegnati alle varie mansioni, con diversi benefici:
I lavoratori multifunzionali possono meglio
partecipare al processo di produzione e ridurre
l’alienazione tipica del lavoro in fabbrica;
La conoscenza multi-processo aumenta l’efficacia
del lavoro di squadra e del kaizen;
Prof. Gandolfo Dominici 76
77. Benefici della Multifunzionalità
I lavoratori multifunzionali possono essere spostati in
diversi processi ed operazioni rendendo il lead-time
più flessibile ed adattabile ai cambiamenti della
domanda evitando di dovere aumentare il numero dei
kanban ;
Si rende possibile la “produzione a singola unità di
prodotto” (Ikko nagashi); il lavoratore
multifunzionale può seguire la produzione di un
singolo prodotto lungo tutta la linea gestendo diversi
macchinari di diversi processi produttivi.
Procedendo con la mansione successiva solo quando
termina la mansione precedente l’introduzione nel
processo successivo avviene solo quando viene
introdotta nella linea una nuova unità.
Prof. Gandolfo Dominici 77
78. Autonomazione: Jidoka , etimologia
Il termine “Jidoka” in giapponese ha due diversi significati
poiché può essere scritto con diversi ideogrammi ( o kanji):
• 自動化 : con il significato di processo meccanico
automatico;
• 自働化 : con il significato di autocontrollo dei difetti
effettuato da una macchina ma con l‟aiuto di una
mente umana.
La parola Jidoka è composta di tre ideogrammi giapponesi
(kanji)[ JI – DO – KA]. A seconda dell‟ideogramma centrale DO
cambia il significato della parola e così da “automazione” si
passa ad “autonomazione” con il significato di “automazione
con un elemento umano”. Prof. Gandolfo Dominici 78
79. Autonomazione
• L’autonomazione è il risultato
dell’evoluzione del controllo di qualità. Con
l’autonomazione non vi è infatti bisogno di
molte ispezioni poiché il controllo e la
responsabilità è delegata all’operaio. Le
ispezioni statistiche vengono comunque
effettuate ma le decisioni del management
non si basano su queste.
Prof. Gandolfo Dominici 79
80. Kaizen: miglioramento continuo
• Maasaki Imai definisce il kaizen nel modo
seguente: “La filosofia kaizen presume che il
nostro modo di vivere, la vita lavorativa o
quella domestica, debba concentrarsi
nell’impegno verso un costante
miglioramento” [1] .
[1] Imai Maasaki, “Gemba Kaizen, Come ottenere crescita e profitti con l’innovazione
continua”, pag.1, IlSole24ore, 2001.
Prof. Gandolfo Dominici 80
81. Le tre regole d’oro del kaizen
Pulizia;
Eliminazione degli sprechi (o muda in
giapponese);
Standardizzazione
Prof. Gandolfo Dominici 81
82. Kaizen: pulizia (5S)
• Seiri (separare): la separazione delle cose inutili da
quelle necessarie e l‟eliminazione delle prime;
• Seiton (riordinare): il mettere accuratamente ed
efficientemente in ordine tutti gli oggetti non rigettati
dal Seiri.
• Seiso (pulire): il tenere puliti tutti i macchinari e tutte le
attrezzature così come tutto l‟ambiente di lavoro;
• Seiketsu (sistematizzare): mettere in pratica i
precedenti punti estendendoli alla propria persona
• Shitsuke (standardizzare): migliorare l‟auto-disciplina
tramite l‟abitudine a seguire gli standard delle 5S.
Prof. Gandolfo Dominici 82
83. Kaizen:
eliminazione degli sprechi
• L’eliminazione degli sprechi (muda in
giapponese) si riferisce a tutti gli sprechi
all’interno dell’azienda come: l’eccesso di
risorse, la sovrapproduzione, l’eccesso di
scorte, le mansioni inutili, i tempi morti, gli
sprechi nei trasporti, ecc.
• L’eliminazione degli sprechi è come si è
visto, uno dei principi fondamentali del Just
in Time.
Prof. Gandolfo Dominici 83
84. Kaizen: standardizzazione
La procedura di standardizzazione deve essere implementata secondo il ciclo SDCA
(Standardize, Do, Check, Act).
Qualora siano necessarie delle modificazioni del processo si deve
seguire il ciclo PDCA (Plan, Do Check, Act):
Act Plan
Check Do
Prof. Gandolfo Dominici 84
85. Gestione dei fornitori
• Nella produzione di massa la selezione dei fornitori era
basata sul solo criterio di costo. Era (ed in molte realtà
ancora oggi è) considerato il miglior fornitore colui che era
in grado di fornire il materiale al minor costo unitario;
• Secondo l’approccio snello (o lean), un minor numero di
fornitori può essere meglio coinvolto in relazioni dirette ed
a lungo termine con l’impresa produttrice. I fornitori
vengono scelti in base alla performance anziché in base al
prezzo ed i fornitori di prima linea hanno un ruolo
importante anche nella progettazione del prodotto. Le
relazioni a lungo termine con i fornitori migliorano la
cooperazione e aiutano a garantire la puntualità delle
consegne e gli standard qualitativi.
Prof. Gandolfo Dominici 85
86. Gestione dei fornitori
Crosby :
“Le relazioni con i fornitori si sviluppano in un in un
lungo arco temporale in cui si fanno affari insieme
[…] L’effetto di ciò si sente attraverso l’intero
processo. Questa è parte del processo di
prevenzione” [1]
La “qualità logistica” è fondamentale per prevenire
i problemi legati agli standard qualitativi
[1] Crosby P.B., “Quality Is Still Free: Making Quality Certain in Uncertain Times” McGraw
Hill, 1995, pagina 54.
Prof. Gandolfo Dominici 86
87. La gestione dei fornitori nella lean
production
Selezionare i fornitori;
Valutare i fornitori;
Gestire i fornitori;
Sviluppare i fornitori
Prof. Gandolfo Dominici 87
88. Decisione di
esternalizzazione / integrazione del processo
Fattori positivi dell’esternalizzazione:
• Il costo: grazie alla loro minore dimensione i fornitori
possono avere costi di minori restrizioni sindacali e dunque
minori costi (vero in Giappone, meno nei paesi
occidentali);
• Esperienza e know-how sviluppati da fornitori
specializzati;
• Veloce risposta al mercato;
• Condivisione del rischio;
• Eliminazione delle attività “non- caratteristiche con
conseguente miglioramento del controllo e della
professionalità specifica dell’impresa;
• Cash flow derivante dalla vendita della proprietà
intellettuale.
Prof. Gandolfo Dominici 88
89. Decisione di
esternalizzazione / integrazione del processo
Costi ed i rischi dell’esternalizzazione:
• I costi di transazione;
• Il rischio di fallibilità del fornitore;
• Il rischio di perdita di know-how associato con lo
spostamento della produzione di componenti;
• La riduzione del controllo sulla produzione dei
componenti;
• La perdita di capitale intellettuale;
• L’eccessiva esternalizzazione può causare sotto-
occupazione;
• Il rischio di liti con i fornitori.
Prof. Gandolfo Dominici 89
90. Selezione dei fornitori
La selezione dei fornitori deve tenere conto di diverse variabili :
• Estensione e profondità dell’esperienza dell’impresa;
• Capacità ed esperienza del personale;
• Solvibilità finanziaria;
• Impegno verso il miglioramento qualitativo e la customer
satisfaction;
• Unicità delle capacità di servizio;
• Livello di comprensione del settore e del mercato del cliente;
• Impegno al miglioramento tecnologico;
• Volontà di offrire garanzie di performance;
• Impegno di servizio a lungo termine;
• Ampiezza del portafoglio di servizi;
• Reputazione del fornitore.
Prof. Gandolfo Dominici 90
91. Valutazione dei fornitori
Il modello di Grando e Sianesi [1]:
A 1
3
Volum di
i
fornitura B
C
2
A B C
Vendor Rating
[1] Grando A. & Sianesi A., “Il Fornitore: dal prezzo alla prestazione globale”, Economia & Management”, no.22, Settembre 1991.
Prof. Gandolfo Dominici 91
92. Valutazione dei fornitori :
Caso Toshiba
Una volta selezionati i fornitori le loro performance
devono essere valutate.
Alla Toshiba ad esempio, il Dipartimento Acquisti
Redige delle statistiche comparative dei fornitori
classificandoli per:
“qualità del fornitore”
“qualità delle relazioni del fornitore i con
l’azienda”
Prof. Gandolfo Dominici 92
93. Valutazione dei fornitori :
Caso Toshiba
La qualità del fornitore viene valutata secondo
parametri di:
Prezzo;
Qualità;
Puntualità delle consegne;
Capacità tecnologica;
Competenze manageriali.
Prof. Gandolfo Dominici 93
94. Valutazione dei fornitori :
Caso Toshiba
La qualità delle relazioni con l‟azienda viene
valutata in relazione a:
Qualità delle transazioni;
Quantità delle transazioni
Cooperatività;
Prospettive future.
Prof. Gandolfo Dominici 94
95. Valutazione dei fornitori :
Caso Toshiba
I dati vengono poi raggruppati per ogni
gruppo di prodotti acquistati e viene dato un
punteggio per ogni variabile della valutazione.
Il punteggio massimo della valutazione è 200.
Prof. Gandolfo Dominici 95
98. Valutazione dei fornitori :
Caso Toshiba
Una volta classificati secondo lo schema sopra, il risultato viene confrontato con
quello degli altri fornitori e raggruppato in cinque gruppi:
Gruppo I Fornitori superlativi che abbisognano di
poco o nessun controllo
Gruppo II Fornitori eccellenti nel loro campo ma
che necessitano di alcune direttive ed aiuti
Gruppo III Fornitori potenzialente buoni ma
che necessitano di formanzione
Gruppo IV Fornitori che perderanno gli ordinativi se
non iniziano delle attività di miglioramento
Gruppo V Fornitori con cui le transazioni devono
essere ridotte o eliminate
Prof. Gandolfo Dominici 98
99. Valutazione dei fornitori :
Nissan Supplier Evaluation System
Il Nissan Supplier Evaluation System (NX96) basa le
sue decisioni sui seguenti fattori:
• Qualità, valutata tramite misurazioni tecniche della capacità
degli investimenti in termini di parti difettose per milione;
• Costo, con la fissazione del prezzo a seconda del costo di
produzione e dei profitti ottenuti dal fornitore;
• Consegne, in termini di capacità del fornitore di essere
preciso ed affidabile così da assicurare consegne puntuali
con ritardi in termini di ore e non di giorni;
• Design, intesa come abilità del fornitore di proporre idee di
miglioramento per lo sviluppo del prodotto;
• Partnership, come capacità del fornitore di integrarsi e
svilupparsi quale elemento collaborativi della supply chain.
Prof. Gandolfo Dominici 99
100. Shigeo Shingo e la riduzione del tempo di
set-up
• Le tecniche di riduzione del
tempo di set-up alla Toyota
furono sviluppate a partire
dagli anni ’50 da Shigeo Shingo;
• Shigeo Shingo era un consulente
assunto nel 1955 dalla Toyota
per studiare sistematicamente il
set-up dello stampaggio al fine
di ridurre i tempi di passaggio
ed insegnare queste tecninche ai
fornitori;
• Il suo obiettivo era di ridurre il
tempo di cambio degli stampi a
meno di 10 minuti.
Prof. Gandolfo Dominici 100
101. Shigeo Shingo e la riduzione del tempo di
set-up
• Shigeo Shingo determinò che l’operazione di
set-up più problematica era il cambio delle
matrici di stampaggio usate per le parti del
corpo vettura;
• Normalmente le matrici di stampaggio
venivano cambiate manualmente, con chiavi
inglesi e piedi di porco; talvolta si impiegavano
diversi giorni per installare grosse matrici di
stampaggio con una qualità accettabile.
Prof. Gandolfo Dominici 101
102. SMED (Single Minute Exchange of Dies)
• Shingo implementò un metodo chiamato “Cambio della
matrice di stampaggio in un minuto” (SMED);
• La qualità degli stampaggi venne standardizzata;
• Il tempo residuo venne usato per trovare gli attrezzi e
muovere le matrici;
• L’accorgimento di spostare le nuove matrici in loco, con
l’aiuto di vani attrezzi dedicati mentre la linea di
produzione era ancora operante, ridusse i tempi di
sostituzione delle matrici a circa 40 secondi;
• Quando iniziava il ciclo di produzione le matrici venivano
cambiate in un flusso continuo lungo tutto lo stabilimento.
Prof. Gandolfo Dominici 102
103. SMED (Single Minute Exchange of Dies)
Il metodo SMED utilizzando strumenti molto semplici
ha cambiato il modo di gestire non soltanto il cambio
delle matrici ma anche di tutte le altre attività di set-up.
Il principio chiave di questo approccio è di dividere il
set-up in due parti:
• Set-up interno: effettuato dall‟operaio quando il
macchinario è fermo;
• Set-up esterno: effettuato in anticipo o mentre il
macchinario sta ancora funzionando.
Prof. Gandolfo Dominici 103
104. SMED (Single Minute Exchange of Dies)
Il metodo viene implementato in 3 fasi:
1. Separando il set-up interno da quello
esterno;
2. Convertendo il set-up interno in set-up
esterno;
3. Razionalizzando tutti gli aspetti
dell’operazione di set-up.
Prof. Gandolfo Dominici 104
105. Evoluzione del sistema di produzione Toyota
(TPS).
A partire dagli anni „90 con il collasso della “bubble economy”
giapponese:
• Le imprese industriali hanno dovuto imparare ad
essere più prudenti nella valutazione degli
investimenti di capitale, poiché non e stato più
possibile finanziare gli investimenti semplicemente
sottoscrivendo obbligazioni convertibili come era
invece uso quando le quotazioni del mercato
azionario erano elevate;
Prof. Gandolfo Dominici 105
106. Evoluzione del sistema di produzione Toyota
(TPS)
• L’apprezzamento dello Yen ha reso (negli anni 90) la
competizione internazionale più dura. Il vantaggio di
produttività del Giappone è stato eroso
dall’apprezzamento dello Yen sul dollaro;
• La rapida crescita d’età della popolazione giapponese
ha avuto rilevanti conseguenze sui risparmi, gli
investimenti, la produzione e la crescita economica [1] .
La popolazione da 18 a 28 anni (l’età di assunzione in
fabbrica) ha avuto un drastico declino dal 1990 al
2000, a ciò si è aggiunto dallo scarso interesse dei
giovani giapponesi per il lavoro in fabbrica.
[1] OECD Economic Surveys: “Japan”, OECD Publications, 1997.
Prof. Gandolfo Dominici 106
107. Evoluzione del sistema di produzione Toyota
(TPS)
La carenza di lavoratori nelle fabbriche è
dovuta allo stereotipo del lavoro in fabbrica
come lavoro “3D”:
1.“Dirty” (sporco);
2. “Damaging” (logorante);
3. “Dangerous” (pericoloso).
Prof. Gandolfo Dominici 107
108. Evoluzione del sistema di produzione Toyota
(TPS)
Per far fronte allo stereotipo delle 3D la Toyota ha sviluppato un
programma di miglioramento della qualità del lavoro che si basa sui
seguenti punti:
• Processo di assemblaggio autonomo e completo;
• Automazione meccanica di assemblaggio in linea;
• Verifica Toyota della linea di assemblaggio (Toyota
Verification of Assembly Line o TVAL);
• Equipaggiamento a basso costo per una migliore
ergonomia;
• Migliore sistema motivazionale per le risorse umane .
Prof. Gandolfo Dominici 108
109. Cellule di lavoro e layout cellulare
Una cellula di lavoro è una unità di lavoro
più grande di una singola macchina o
stazione di lavoro ma più piccola del solito
dipartimento.
Solitamente è formata da 3-12 lavoratori e
5-15 stazioni di lavoro disposti in un layout
compatto
Prof. Gandolfo Dominici 109
112. Cellula di lavoro (workcell)
• Idealmente una cellula di lavoro dovrebbe
produrre una ristretta gamma di prodotti (o
semilavorati) molto simili;
• Essa è autosufficiente avendo a disposizione
tutte le risorse e le attrezzature necessarie ai
compiti ad essa preposti;
• Il layout a cellule di lavoro organizza i
dipartimenti attorno ad un prodotto o una
ristretta gamma di prodotti simili.
Prof. Gandolfo Dominici 112
113. Funzionamento della cellula di lavoro
(workcell)
• Iniziato il processo i materiali si muovono
direttamente da un processo all’altro
all’interno della cellula;
• La comunicazione è molto facile essendo
ogni operatore vicino ai suoi colleghi di altri
processi, ciò crea benefici di
coordinazione, qualità e velocità;
• Si rende indispensabile la propensione al
lavoro di squadra di tutti i lavoratori
Prof. Gandolfo Dominici 113
114. Cellula di lavoro (workcell)
La produzione cellulare è il cuore della
produzione snella. L’adozione della produzione a
cellule di lavoro apporta diversi benefici:
• Ausilio per le politiche di qualità;
• Semplificazione del flusso di materiali;
• Semplificazione della gestione del ciclo produttivo;
• Semplificazione della contabilizzazione analitica
dei costi.
Prof. Gandolfo Dominici 114
115. Cellula di lavoro (workcell)
Il funzionamento della produzione cellulare è
solo all‟apparenza semplice ma in realtà
sottintende un sofisticato sistema “socio-tecnico”
(Trist definisce così il sistema di tecnologia e relazioni
sociali della “kaisha” giapponese). Per funzionare esso
necessita di particolare “armonia” tra gli uomini e le
macchine e tra i vari processi in un insieme in cui ogni
elemento si auto-regola e auto-migliora.
Prof. Gandolfo Dominici 115
117. Limiti del layout funzionale
Inefficienza nella movimentazione dei
materiali
Complessità di programmazione
Vulnerabilità ai cambiamenti del
mix, della routine e/o dei volumi di
produzione
Costi proibitivi del cambiamento di
layout
Prof. Gandolfo Dominici 117
118. Benefici del Layout cellulare
• Benefici nella movimentazione dei
materiali;
• Benefici di riduzione degli stock;
• Benefici per le risorse umane;
• Benefici per i clienti.
Prof. Gandolfo Dominici 118
119. Benefici per la movimentazione dei
materiali
Prof. Gandolfo Dominici 119
120. Benefici per la movimentazione dei
materiali
Prof. Gandolfo Dominici 120