Approfondimento sulle intese uni credit dell'8 10 20151
Legge di revisione costituzionale novembre 2016
1. DDL 12/04/2016
PUBBLICATO IN G.U. IL 18/04/2016
LEGGE DI REVISIONE COSTITUZIONALE
“Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione
del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di
funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la
revisione del titolo V della parte II della Costituzione”
Giovanni Marcucci
Studio Legale Gariboldi-Ghidoni-Marcucci
23 settembre 2016
2. Maggio 2015-aprile 2016
Approvate la nuova legge elettorale (legge 52/2015) e la modifica di 47 articoli della
costituzione con il ddl Boschi. Si tratta di interventi normativi strettamente connessi
presentati dagli stessi promotori come un progetto politico unitario. Una legge elettorale
con un premio maggioritario abnorme unita a una modifica del bicameralismo perfetto
che concentra nella Camera le funzioni di indirizzo politico e assegna al Senato,
drasticamente ridotto nel numero dei suoi componenti, funzioni di rappresentanza di
enti territoriali spogliati della gran parte delle loro competenze legislative,
amministrative e regolamentari.
3. MANCANZA DI OMOGENEITA’ DELL’OGGETTO
DEL DDL BOSCHI
MOLTEPLICITA’ E ETEREOGENITA’ DELLE MODIFICHE:
- superamento del bicameralismo perfetto;
- modifica delle funzioni del Senato, organo espressione delle autonomie
territoriali;
- riduzione del numero dei parlamentari (senatori);
- novità relative al Presidente della Repubblica e alla Corte
Costituzionale;
- modifiche relative agli istituti di democrazia diretta (referendum e
legge di iniziativa popolare)
- soppressione del CNEL;
- revisione del titolo V della Costituzione (riparto delle competenze tra
Stato e Regioni);
4. Caratteri dell’attuale sistema
costituzionale
l’attuale ordinamento costituzionale è caratterizzato da:
• una molteplicità degli istituti di democrazia rappresentativa e
finanche diretta;
• centralità del Parlamento collocato in posizione di supremazia
rispetto al Governo;
• ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica;
• bilanciamento dei poteri e previsioni di maggioranza
qualificate per la nomina degli organi di garanzia;
• attribuzione di ampie competenze alle autonomie locali;
• espresso richiamo ai partiti politici e alle organizzazioni
intermedie.
5. Evoluzione del sistema
• ribaltamento dei ruoli tra Governo e Parlamento, con il primo che ha
assunto un ruolo inedito di supremazia e con la sua trasformazione in una
sorta di gabinetto del premier;
• l’esercizio della decretazione d’urgenza da parte del Governo come regola
e non come eccezione;
• l’adozione di leggi elettorali a carattere maggioritario;
• la sottrazione ai cittadini del potere di scelta dei loro rappresentanti;
• una presenza sempre più determinante, soprattutto in occasione della
presidenza Napolitano, del Presidente della Repubblica nel circuito del
Governo con ripetuti interventi sulla composizione del governo e sulla loro
durata;
• crisi dei partiti di massa e loro trasformazione in comitati elettorali, privi di
di una reale dialettica interna e diretti per lo più da veri e propri capi.
6. segue
• A fronte dell’aggravarsi della situazione
economica, la politica aveva di fronte a se due
possibili scelte: avviare interventi di
manutenzione della Carta per rilanciarne il
carattere partecipativo e inclusivo oppure dare
copertura costituzionale ex post ai
cambiamenti intervenuti.
7. Tratti fondamentali del progetto
• E questa appare la scelta sottesa alle attuali cd riforme.
• a) iniziativa del Governo;
• b) approvazione da parte di un Parlamento privo di legittimazione politica (sistema
che” altera la rappresentanza democratica”);
• c) spaccatura verticale delle Camere e del Paese nel dibattito e nel voto;
• d)iter parlamentare caratterizzato da forzature (voti di fiducia) e colpi di mano
(sostituzione di componenti delle commissioni parlamentari non in linea con la
proposta del governo).
8. Segue
• Carattere rigido delle costituzioni
contemporanee, modificabili solo con
maggioranze qualificate, a salvaguardia del
quadro delle regole condivise all’interno del
quale si svolgono il confronto e, nel caso, lo
scontro politico (Carta costituzionale
come“casa comune”riconosciuta come propria
dai cittadini, pur in presenza di profonde
differenze, ideali e politiche).
9. Segue
• Questa impostazione ha iniziato a perdere colpi per l’iniziativa
di forze politiche estranee al disegno costituzionale, come la
Lega. Gianfranco Miglio: “è sbagliato dire che una
Costituzione deve essere voluta da tutto il popolo. Una
Costituzione è un patto che i vincitori impongono ai vinti.
Qual è il mio sogno? Lega e Forza Italia raggiungono la metà
più uno. Metà degli italiano fanno la Costituzione anche per
l’altra metà. Poi si tratta di mantenere l’ordine nelle piazze”
10. Segue
• Questa tesi ha poi trovato applicazione nelle
precedenti riforme del 2001 e 2006 e quindi la strada
verso una Costituzione di parte era già segnata anche
se incompiuta per il carattere limitato della prima e
per la bocciatura della seconda al referendum. Ora è
chiaro che se passasse al referendum il ddl Boschi il
percorso sarebbe concluso “con la trasformazione
della Costituzione da casa comune a “bottino di
guerra” dei vincitori”. (Livio Pepino, magistrato)
11. SUPERAMENTO DEL BICAMERALISMO PERFETTO
ART. 1 DDL (MODIFICA ART. 55 COST)
CAMERA
non è solo il metodo ma è anche la sostanza della riforma a
confermare la continuità con le modifiche intervenute nella
costituzionale materiale e sul versante istituzionale:
- la fiducia al Governo accordata o revocata solo dalla Camera dei
deputati;
- solo la Camera rappresenta l’unità nazionale, esercita la funzione di
indirizzo politico e di controllo sull’operato del Governo;
- la funzione legislativa viene esercitata principalmente dalla Camera
tranne che nei casi elencati dal nuovo art. 70 Cost.
N.B. : senza che sia previsto nel ddl Boschi per la Camera alcun vincolo di
rappresentatività del corpo elettorale
12. SEGUE
SENATO
rappresenta le istituzioni territoriali, esercita le
funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti
costitutivi della Repubblica e l’Unione Europea,
concorre alla funzione legislativa,“etc, etc”
il Senato viene privato di molte delle sue funzioni di controllo sull’operato
del Governo senza assumere contemporaneamente il ruolo di effettiva e
coerente rappresentanza delle istituzioni locali (i senatori mantengono il
doppio mandato e, in qualità di parlamentari, sono privi del vincolo di
mandato nei confronti delle regioni di provenienza)
13. COMPOSIZIONE DEL SENATO
• 95 senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali:
eletti dai consigli regionali e dalle province autonome
di Trento e Bolzano, con metodo proporzionale, ed
“in conformità alle scelte espresse dagli elettori”;gli
stessi organismi eleggono un sindaco per ciascuna
regione;
• doppio mandato;
• 5 senatori di nomina presidenziale;
14. BICAMERALISMO PARITARIO
art. 10 ddl modifica ART. 70, 1°comma, Cost.
- leggi di revisione costituzionale e altre leggi costituzionali;
- leggi per la tutela delle minoranze linguistiche;
- leggi concernenti i referendum popolari;
- leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di
governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane;
- leggi che disciplinano la partecipazione dell’Italia alla formazione e
all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea e leggi di
ratifica di trattati internazionali;
- leggi in materia di elezione del Senato e status dei senatori;
- alcune leggi relative al rapporto Stato-Regioni/Enti locali
15. BICAMERALISMO DISEGUALE
art. 70, 2°comma, Cost.
• Sulle altre leggi (monocamerali) è riconosciuta al
Senato la facoltà – su richiesta di esame presentata da
parte di un terzo dei suoi componenti (entro 10gg.) e
con delibera da adottarsi entro 30 gg. - di proporre
“modifiche” al testo deliberato dalla Camera, sulle
quali si pronuncia definitivamente di nuovo la
Camera (talvolta con particolari requisiti di
maggioranza)
16. segue
• altri quattro settori speciali nei quali il potere di intervento del
Senato è diversamente disciplinato:
• a) esercizio della “clausola di supremazia” da parte dello
Stato in materie di competenza regionale (art. 117 Cost.):
termine di esame della legge ridotto a 10 gg. dalla data di
trasmissione, ma in caso di modifiche approvate a
maggioranza assoluta, Camera costretta anch’essa alla
maggioranza assoluta qualora non intenda conformarsi alle
modifiche del Senato. Che succede se la Camera raggiunge
sola la maggioranza semplice: rigetto totale della legge
originale o solo parziale e approvazione parziale di quella
parte di legge non oggetto di modifiche?
17. segue
• b) esame delle leggi di approvazione del bilancio
preventivo e consuntivo: intervento del Senato che
appare obbligatorio ma per il quale sono previsti
termini ridottissimi (15 gg.);
• c) ddl “a data certa” del Governo: riduzione della
metà dei termini a disposizione del Senato (15 gg.);
• d) ddl di conversione dei decreti legge relativi a
materie sottoposte all’approvazione di entrambe le
Camere
18. CRITICITA’ PROCEDIMENTO LEGISLATIVO
• Procedimento monocamerale: indeterminatezza delle “proposte di modificazione”
del Senato e mancata previsione di eventuali limiti dei poteri legislativi della
Camera in sede di riesame (ipotetica approvazione in via definitiva di un testo
differente da parte della Camera rispetto a quello originariamente proposto e
modificato dalla Camera: possibile vizio di incostituzionalità);
• Procedimento bicamerale: leggi eterogenee difficilmente raggruppabili in materie
organiche. Rischio che si creino impedimenti al legislatore per la necessità di
scorporare in due testi legislativi e coordinati il contenuto di proposte legislative
che riguardino materie che rientrano sia nel 1° che nel 2°comma dell’art. 70 Cost.
• Diverse procedure – circa una decina - previste tra legislazione bicamerale e
monocamerale a seconda della natura o degli strumenti di volta in volta utilizzati:
rischio di conflittualità intercamerale
19. Ugo De Siervo
Presidente emerito Corte Costituzionale
• “la cattiva qualità del testo della riforma ha
purtroppo prodotto una forte molteplicità di
procedure differenziate che dovrebbero
essere poste in essere nelle diverse
materia, con grossi rischi di incertezze,
conflitti, se non di possibili vizi di
costituzionalità”
20. Valerio Onida
giudice costituzionale dal 1996 al 2005
• “si delineano dunque diversi tipi di
procedimenti legislativo a seconda delle
materie, il che comporta che ogni legge abbia
un contenuto interamente riconducibile solo
ad una o ad altra materie o dei gruppi di
materie indicate”
21. Modifiche al titolo V Cost.
riparto di competenze Stato - Regioni
• Soppresse tutte le competenze concorrenti Stato-Regioni;
• 17 materie o gruppi di materie attribuite alla competenza “esclusiva” dello
Stato;
• In altre lo Stato deve dettare disposizioni generali e comuni (governo del
territorio, servizi sociali e sanitari, il turismo, le attività culturali): non deve
più fissare i principi fondamentali in queste materie tipicamente regionali
ma potrà legiferare su tutto;
• In più introdotta una “clausola di supremazia” che consente alla legge dello
Stato, su proposta del Governo nelle materie non di competenza esclusiva
statale quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della
repubblica
• Onida: “…il che equivale a sopprimere ogni ambito significativo di
autonomia garantita”
22. Attuale forma Stato regionale
• Art. 5: la Repubblica, una e indivisibile,
riconosce e promuove le autonomie locali;
attua nei servizi che dipendono dallo Stato il
più ampio decentramento amministrativo;
adegua i principi ed i metodi della sua
legislazione alle esigenze dell'autonomia e del
decentramento
23. segue
• Alle Regioni – a statuto ordinario - riservate competenze per lo
più di organizzazione di servizi, nei limiti risultanti dalle
disposizioni generali e comuni dettate dal legislatore statale, in
materie espressamente elencate
• le Regioni vengono private di ogni spazio reale di competenza
legislativa e ridotti a enti privi di autonomia e di assai dubbia
utilità (eliminata lo spazio della legislazione concorrente;
introdotta la clausola di supremazia statale) con l’effetto di un
abnorme centralizzazione del potere
• Alle Regioni a Statuto Speciale non si applicano le nuove
disposizioni del Titolo V
24. Enzo Cheli
Presidente emerito Corte Costituzionale
• Modello di riforma che “anziché
semplificare (come era nelle intenzioni
originarie) complica e che di conseguenza
appare orientato non a ridurre ma ad
aumentare la conflittualità interna al
sistema sia nei rapporti tra le due Camere
che nei rapporti tra Stato e Regioni
25. segue
• “questo progetto di riforma scivola in una
sorta di schizofrenia di fondo quando, da un
lato, attraverso un Senato delle autonomie
mira a rafforzare la presenza al centro dello
Stato regionale, mentre dall’altro, adotta una
serie di restrizioni per l’autonomia delle
Regioni che finiscono per declassare tale
autonomia da un livello politico ad un livello
prevalentemente amministrativo” (Enzo Cheli)
26. Istituti di democrazia diretta
• affievolite le forme di partecipazione dei cittadini:
• a) innalzamento da 50.000 a 150.000 del numero delle firme
necessarie per la presentazione di proposte di legge di
iniziativa popolare;
• b)un quorum per la validità dei referendum abrogativi in
relazione alle firme raccolte: la maggioranza degli aventi
diritto al voto con 500.000 firme raccolte; la maggioranza dei
votanti alle ultime elezioni politiche con 800.000.
27. 1
Introduzione convegno PERCHE’ NO – Milano 14 novembre 2016 ver.4.0
APPUNTI NON CORRETTI
Cari compagni e care compagne,
ringrazio tutti della partecipazione, i nostri ospiti in primo luogo che hanno
accettato l’invito ad esporre qui le loro ragioni motivate per il NO al referendum
costituzionale del 4 dicembre -anche qui, come in moltissimi altri appuntamenti che
li vedono impegnati e ci vedono impegnati, a promuovere i motivi che spingono a
considerare negativamente la riforma costituzionale.
In questa iniziativa abbiamo voluto offrire le ragioni che provengono dal mondo del
lavoro e dai mondi della politica, delle professioni, dell’associazionismo, che si
radicano nel lavoro o che hanno una stretta connessione con esso. Le ragioni
lavoriste, le abbiamo definite così nel sottotitolo dell’iniziativa.
Con questo convegno vogliamo portare il punto di vista del lavoro sulla questione
referendaria. Non è un riferimento ideologico, o ancora peggio demagogico,
all’articolo uno della Costituzione: la Repubblica è fondata sul lavoro (che dovrebbe
mantenersi come criterio orientativo tanto delle istituzioni, quanto dell’azione
politica). Si tratta piuttosto di dare la prospettiva su questa riforma di chi
rappresenta il lavoro (a vario titolo) in Italia e in Europa: di prendere uno spazio che
ci spetta, come legittimo e necessario, fra le opinioni e gli orientamenti espressi su
questa riforma costituzionale.
Una riforma che per ampiezza e vastità dei temi toccati, necessitava di un consenso
altrettanto ampio e profondo, in tutti gli strati di questo Paese, a partire dal lavoro.
O per meglio dire: sarebbe stato necessario. Ma -lo dico in un inciso- questo è un
periodo in cui la voce delle rappresentanze sociali, le istanze intermedie fra società e
istituzioni, sembra non essere necessaria. È un periodo in cui la politica si riduce più
volentieri a tecnica e si tiene a distanza dalla necessità del confronto. Occorrerà
ripartire da qui, dalla possibilità di ricostruire i canali per far fluire bisogni e istanze
di rappresentanza verso le istituzioni; ricostruire i canali e i meccanismi della
legittimazione della rappresentanza; in un rinnovamento della politica che oggi non
sembra alle viste. Chiuso l’inciso!
28. 2
Parleremo oggi di ragioni, motivazioni razionali, e insisterò su questi termini, anche
se sappiamo che a guidare le nostre azioni, il nostro voto, sarà anche il sentimento:
la controprova l’abbiamo nel referendum inglese che ha decretato la Brexit, salvo
poi doversene pentire. O nelle recenti elezioni presidenziali americane. Poiché non è
auspicabile mai la sconnessione fra questi due piani, è sempre benvenuto il
tentativo di riavvicinarli. Tentativo che deve partire dal creare un clima sereno per il
confronto: non un clima conciliante, poiché le ragioni sono divise e la scelta è
binaria. O SI o NO. A metà non si resta.
Ma un clima che consenta di entrare nel merito, esplorare motivi e conseguenze
delle scelte. Ponderarli, argomentando con chiarezza. Lo stato delle cose è ben
diverso e lo abbiamo tutti sotto gli occhi. Inutile chiedersi di chi sia la responsabilità,
anche se non sfugge che aver posto una connessione così stretta fra sorti del
Governo ed esito referendario ha avvelenato l’aria fin dall’inizio-facendo saltare le
premesse per un sereno confronto di merito. Il peccato originale di questo dibattito
è questo: l’aver scambiato il referendum costituzionale per l’occasione di un
plebiscito pro o contro l’azione di Governo.
In questo non si intravede solo la preferenza populista del capo del Governo, un
leader che preferisce al confronto nelle sedi della democrazia rappresentativa, il
ricorrere direttamente al popolo. “Sarà la riforma voluta dal popolo: i costituenti
saranno i cittadini” sentiamo dire in questi giorni- snaturando senso e funzioni del
referendum costituzionale: che in questo caso dovrebbe sopperire a un deficit di
legittimazione della riforma nelle sedi parlamentari (dove non è stata condivisa se
non dalla maggioranza variabile di governo), Mentre INVECE la Costituzione non
apre a nessuna funzione costituente del popolo. Qui si sta seminando per i
populismi a venire: il danno è incalcolabile. (giocare a fare l’anti establishment,
quando sei tu al governo e dovresti invece far funzionare bene le regole della
democrazia, apre le porte, spiana la strada, a chi è ancora più anti-establishment di
te! E lo esprime in modo ancora più rozzo e villano di te!
Con questo vorrei rispondere anche a chi intravede nelle elezioni americane una
lezione che dice: non possiamo permetterci di mettere in discussione questo
governo. Ma nessuno-a parte il governo stesso- chiede le sue dimissioni in caso
prevalga il NO. Ci si preoccupi piuttosto di riformare la legge elettorale -l’Italicum- e
di emendarla dagli esiti iper-maggioritari ( che creano maggioranze artificiali in
Parlamento). Quello della legge elettorale è un altro tema che ha complicato il
dibattito sulla riforma costituzionale. Riforma che dovrebbe reggersi con qualunque
legge elettorale, e non è così! Si acceleri dunque la riscrittura dell’Italicum, ma si
lasci in piedi il confronto sulla Costituzione.)
29. 3
Tornando alla riforma costituzionale. Il referendum è strumento semmai di
garanzia. Non assume mai carattere confermativo e di ratifica della volontà̀ della
maggioranza parlamentare, il che renderebbe inspiegabile sia l’assenza di un
quorum di validità̀ sia l’esclusione del referendum in caso di approvazione a
maggioranza qualificata. In questo snaturamento del referendum, lo si vuole piegare
a strumento di consenso verso l'operato della maggioranza, in una deriva
plebiscitaria che sarebbe bene non secondare.
Facilita il compito del discorso populista il fatto che il quesito referendario non sia
sui singoli e disparati contenuti della delibera legislativa, sui quali ciascuno può
avere posizioni differenziate, ma è onnicomprensivo- e si presta ad essere
interpretato come un giudizio sull’operato politico complessivo del proponente e su
pochi e semplicistici slogan, diffusi nella campagna referendaria in quanto ritenuti
più appetibili dalla opinione pubblica. ( e di slogan ne abbiamo visti molti e
sciagurati )
In questo modo di ragionare si vede invece anche un altro limite forte-forse il
peggiore: l’utilizzare una causa nobile e importante (la Costituzione) per le
contingenze politiche, piegarlo funzionalmente al proprio potere, alla propria
legittimazione politica. Si evidenzia qui il disegno di corto respiro che anima la
riforma: proiettandone però i danni in una architettura costituzionale e istituzionale
mal congegnata, poco funzionale e che alla prova sarà poco funzionante. Una
riforma che alla fine blocca il sistema e lo peggiora. Non ogni cambiamento è buono
solo per il fatto che si cambia. Bisogna vedere come!
In un suo recente intervento, Alfredo Reiclhin ci ricorda che la Costituzione rischia di
non essere più la casa comune in cui tutti si riconoscono (pur con i diversi
orientamenti politici). E ci avverte che la Costituzione non può essere di una parte
soltanto: perché se così fosse, l’altra parte (se per ventura dovesse prevalere
elettoralmente) si sentirebbe legittimata a disfarla. Che è quanto già successo: e
rischia di succedere ancora. Il rischio che si corre tutte le volte che prevale un
obiettivo politico contingente, sulle considerazioni di lungo periodo, di stabilità delle
regole del gioco democratico. Se il costituente del 1948 ha voluto una costituzione
rigida (cioè modificabile solo con un procedimento lungo e severo in fatto di
maggioranze qualificate), c’è una ragione forte: non può prevalere l’interesse di una
30. 4
parte nel definire le regole del gioco. La riforma del titolo V del 2001 è un esempio
poco brillante da questo punto di vista.
(((e non si può non ricordare come l’Assemblea Costituente, dopo lacerazioni
profonde, dibattiti intensi, scontri al calor bianco nelle commissioni e in aula…alla
fine si giunse ad una sintesi condivisa.
Ricompose gli scontri producendo una mediazione alta(che è il testo della Carta
Costituzionale del 1948): agendo la funzione più propria della politica, che è quella
di riconciliare attraverso il confronto, prospettive diverse, ceti differenti, ideologie
contrapposte.
Cosa abbiamo invece oggi? La mediazione che non si è trovata in Parlamento ha
prodotto una spaccatura che viene ributtata (nuda e cruda) nel paese, producendo
ulteriore divisione!
E come non ricordare che dove la politica fallisce, non è certo il popolo che
ricompone! Ovviamente non è messo in critica il suffragio universale (che è un
pilastro della democrazia) ma la curvatura plebiscitaria che gli strumenti della
democrazia stanno assumendo, colpevole una cattiva politica, in cerca di
scorciatoie.)))
Tornando al costituente del 1948: egli aveva voluto evidentemente indicare il
terreno della riforma costituzionale come terreno di libero confronto fra le forze
politico-parlamentari, svincolato in quanto tale dalle dinamiche di contrapposizione
maggioranza-opposizione. Nel nostro caso la riforma è diventata addirittura un
punto programmatico del Governo: su cui ha chiesto e ottenuto la fiducia del
Parlamento. Ma questo poteva essere sanato con una ampia convergenza delle
forze politiche durante l’iter di approvazione. Invece è accaduto l’opposto: da un
largo consenso si è passati a un consenso sempre più ridotto, tanto che la
maggioranza dei 2/3 non si è mai raggiunta.
Ma il punto che qui interessa non è tanto la capacità di tenuta in parlamento: la
divisione si è prodotta drammaticamente nel paese. E -ribadisco- il problema della
legittimazione di chi propone la riforma non è secondario o aggirabile con strumenti
referendari: perché incide sulla legittimazione agli occhi di tutti della carta
costituzionale, che deve essere la più ampia possibile, proprio perché necessaria alla
coesione del paese. Sottovalutare questo aspetto è un errore di prospettiva, perché
pone la Costituzione come oggetto di contesa continua.
31. 5
Fa quindi davvero impressione sentire una recente dichiarazione del presidente del
Consiglio, il quale con aria soddisfatta afferma che “il referendum si vincerà di
misura”.
2. Certo vi è una sproporzione fra il grado di complessità dei temi su cui verremo
chiamati a pronunciarci e la risposta così secca che dovremo produrre. Succede così
che ragionamenti anche inizialmente convergenti scaturiscano poi in esiti opposti.
Come capita con l’autore di un libro molto importante per capire l’Italia
contemporanea: “Il Paese mancato”. La storia contemporanea dal dopoguerra in poi
viene raccontata facendovi scorgere il paese migliore che avremmo potuto essere: il
paese mancato, appunto. Un paese che al bivio sbaglia strada, calamitato dalle
ragioni peggiori, a volte dagli uomini peggiori.
La materia costituzionale si presta molto a questo tipo di errori. Non la si può
maneggiare con leggerezza o con superficialità: siamo chiamati a compiere scelte
che andranno oltre l’orizzonte del mandato di questo governo. E per giunta lo
facciamo con un referendum a quesito unico: come se ci fosse una sola ragione
unificante per cancellare il CNEL e riformare il Senato, o modificare l’equilibrio fra
Stato e Regioni.
Non é un punto di poco conto- e sorprende come non sia colto nella sua importanza.
Nella Assemblea Costituente Luigi Einaudi (un altro professorone?) si era
pronunciato per la necessità che al corpo elettorale fosse sottoposta «una sola
riforma alla volta ed in maniera chiara» in modo da garantire la consapevolezza del
voto. Su questo il ricorso di Valerio Onida non è arrivato alla Corte Costituzionale:
ma la questione non è sopita.
3. veniamo alla CGIL La CGIL non si è voluta sottrarre alla valutazione complessiva
della riforma e dopo un dibattito che è durato mesi, si è articolato in occasioni di
confronto, ha formulato un giudizio negativo. Dopo aver confrontato i tanti SI e i
tanti NO, molte ragioni buone e tante ragioni pessime sui due fronti, ha prevalso la
valutazione complessiva del NO.
Così si è espressa la Assemblea Generale della CGIL riunita il 7-8 settembre scorsi:
che ha dato indicazione di votare NO e di promuoverne le ragioni, con un voto
praticamente all’unanimità dei 360 partecipanti.
Dopo aver vagliato il merito della riforma, la CGIL ha espresso una posizione
autonoma, senza giudizi precostituiti e senza concedersi ad alleanze pasticciate: lo
32. 6
aveva già fatto in passato, in occasione di un altro referendum costituzionale, quello
del 2006 presentato dal centrodestra.
La CGIL ha assunto una posizione autonoma sulla base di una valutazione ponderata,
nel merito, attenta e scrupolosa delle ragioni: facendo una operazione di
discernimento. Senza sposare le ragioni di un populismo gretto e preconcetto,
mantenendo una posizione autonoma, senza aderire ad alcun comitato del NO.
La voce della CGIL si esprime fra le altre voci in campo in modo autonomo e
determinato, senza paura di confrontarsi: la voce del lavoro e della rappresentanza
sociale. In mezzo a tante ragioni strumentali, si dovrebbero apprezzare la sobrietà e
la chiarezza dell’ordine del giorno assunto dall’Assemblea Generale.
Consapevoli. Consapevoli che comunque vada, occorrerà lavorare sin dal giorno
dopo per l’attuazione migliore possibile dei principi fondamentali della Costituzione.
Partendo dal diritto al lavoro, alla rimozione degli impedimenti di ordine economico
e sociale per la realizzazione della uguaglianza sostanziale fra i cittadini. Per una
politica migliore, contro l’antipolitica. Difendendo i principi della nostra Carta anche
dentro un preoccupante scenario europeo dove si alzano muri contro i migranti e
barriere contro i paesi ancora in crisi. Lottando contro le diseguaglianze che questa
crisi ha moltiplicato e reso più profonde -se è vero che l ‘1% della popolazione in
Italia detiene il 25% della ricchezza. Che il 97% delle famiglie è arretrata o è rimasta
ferma al palo. E in modo meno accentuato è andata così in Francia, e negli Stati
Uniti.
4. È un NO quello della CGIL che si leva contro una riforma che interviene su 47
articoli della seconda parte della Costituzione, quella dedicata all’Ordinamento della
Repubblica. Si dice: non si toccano i principi fondamentali! Quelli cioè che danno il
cemento ideale, i valori di riferimento, al nostro Paese. Quella parte che ci fa dire
solennemente che la nostra è una Costituzione nata dalla Resistenza. Antifascista e
solidale. Si toccano soltanto gli articoli relativi alla parte per così dire strumentale: il
rapporto fra i diversi organi della Repubblica.
Vero. Ma (con una ambizione non supportata da sufficiente legittimazione), si mette
mano a quella complicata e intricata rete di equilibri fra rappresentanza e potere di
governo che costituisce il succo della democrazia. La sua forma storica, incarnata in
istituzioni e modalità di esercizio dei diversi poteri.
33. 7
Il problema è allora se questa forma soddisfi o meno i requisiti che sono presenti
nella prima parte- se risponda o meno ai principi fondamentali o non ne costituisca
uno stravolgimento (o come qualcuno teme un sovvertimento), o anche solo una
cattiva applicazione. Se cioè: democrazia rappresentativa, partecipazione, sovranità
popolare, trovino davvero realizzazione migliore oppure no. Se la riforma costituisce
un avanzamento, da questo punto di vista, oppure retrocede. O non si muove: a
quel punto, perché farla?
Poi occorre passare al vaglio della razionalità della riforma. Bisogna cioè chiedersi se
il sistema che ne esce sia in grado di reggere e di funzionare meglio di quello che
esiste.
Su entrambi i punti la risposta è NO. No, non funziona meglio. No non migliora la
nostra democrazia.
In definitiva, un’altra occasione mancata!
Una occasione mancata per dare la piena attuazione dei principi costituzionali che
ho richiamato prima, attraverso un aggiornamento del nostro ordinamento-in
continuità con lo spirito del 1948.
In questo senso, se prevarranno i NO, come auspichiamo, sarà necessario comunque
interloquire con le migliori ragioni del SI, per proseguire nella attuazione di quei
principi costituzionali.
Lascio ai nostri relatori di oggi il compito di entrare nel vivo e nello specifico della
materia, mi preme sottolineare quanto detto con due esempi.
Il rapporto fra Stato e Regioni così come uscito dalla riforma del 2001, andava rivisto
e superato con norme più specifiche senza però ribaltare la situazione, riportando
indietro le lancette della storia a un nuovo centralismo statale. Si è preferito
lavorare con l’accetta: occorreva forse un cacciavite per rintracciare un nuovo
equilibrio. Con la riforma si riaprirà un contenzioso a cui sarà chiamata la Corte
Costituzionale a porre rimedio: con buona pace della stabilità delle regole.
Il superamento del bicameralismo paritario, che come CGIL avevamo condiviso, ha
portato alla creazione di un Senato che appare o sovrabbondante o inutile ed a
procedimenti legislativi più confusi e intricati di prima.
Sono due materie su cui si dovrà intervenire comunque.
34. 8
Vi sarebbe poi da riflettere su due istituti di democrazia diretta che la riforma
modifica: il referendum abrogativo, la legge di iniziativa popolare. Entrambi
strumenti usati dalla Cgil per promuovere la Carta dei Diritti Universali del Lavoro,
come iniziativa dal basso per modificare e correggere l’iniziativa di una maggioranza
parlamentare, tale solo grazie ad una legge elettorale iper-maggioritaria. Sarebbe
una riflessione interessante, che non possiamo fare qui, Su come e in che misura
questi strumenti vengono distorti, limitati, peggiorati. E di quanto problematico
divenga il rapporto fra democrazia diretta e democrazia rappresentativa, quando la
prima viene messa a servizio di finalità strumentali demagogiche e populiste.
5. La scelta di votare NO non è una scelta conservatrice, che non guarda ai
problemi e alla necessità di innovare. L’abbiamo piuttosto ben presente. È per
questo che la contesa e le motivazioni che portiamo stanno nel merito di scelte
sbagliate, a volte improvvisate o confuse. Scelte che peggiorano la qualità della
nostra democrazia, spostano l’equilibrio dei poteri a danno delle istituzioni di
garanzia (come la Corte Costituzionale e il Presidente della Repubblica), e
conferiscono un eccessivo peso al Governo anche in materia legislativa. O che non
allargano gli spazi della rappresentanza e non danno adeguate garanzie alle
minoranze politiche. O che introducono norme contradditorie o di scarsa efficacia.
Insomma, proprio sulla strada della semplificazione e della modernizzazione
dell’assetto istituzionale, della razionalizzazione e della riduzione degli sprechi:
un’altra occasione persa!
Per questo voteremo e invitiamo a votare NO!
Nella consapevolezza Che occorrerà ricominciare con pazienza e umiltà, usando gli
strumenti giusti, non piegandoli alle contingenze politiche, rispettando la volontà
popolare e non facendosene scudo.
Oggi occorre che rappresentanza e partecipazione siano rilanciate e irrobustite
insieme e ciò richiede la ricostruzione di una politica capace di esprimere interessi
ed esigenze sociali e quindi di colmare il distacco fra cittadini e istituzioni! Ma
richiede anche rappresentanze intermedie (il sindacato per primo) più attente alla
sfida sociale che hanno di fronte; più radicate e capaci di intercettare e dare forma
ai bisogni sociali oggi dispersi o senza voce- dai perdenti della globalizzazione, ai
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lavoratori di Foodora, “Il dolore degli ultimi e la paura degli intermedi”. Ed è una
sfida per tutta la sinistra.
Perché il punto per noi rimane quello delle disuguaglianze sociali; di come si fa a
combatterle; di come si difende il modello sociale europeo oggi eroso della cura
liberista; di come rimettere al centro politiche di intervento pubblico,
politiche sociali e di welfare, il rilancio della sindacalizzazione; di come si rimette al
centro la cultura del lavoro e della solidarietà, in quanto pilastri della cittadinanza e
antidoti contro la incertezza, la solitudine e la paura che caratterizzano la crisi da cui
non siamo ancora usciti.
Grazie dell’attenzione