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La d idattica multicanale
A l b er to P i a n
Docente scuole superiori, master di E-learning Università di Viterbo (Unituscia), master
Università Tor Vergata (Roma), DOL (Politecnico di Milano)
Il primato dei contenuti
Prima o poi doveva capitare che i cosiddetti new media smettessero di essere new e quindi cessassero di
catalizzare tutta l’attenzione. Ora l’informatica non è più una novità, perché la multicanalità l’ha uccisa,
finalmente! Prendete il vostro iPad e cercate attraverso quanti e quali canali e in quante forme potete
apprendere una lingua. E’ così straordinario il ventaglio di opportunità che vi verranno offerte che non ha più
importanza il medium specifico che le contiene, ciò che conta è il contenuto. Conta lo strumento per collegarsi,
cioè l’iPad e il contenuto, ma non i canali. Che importanza può avere se si trova su un social net o un sito Web, o
un’app specifica, o un eBook o un MTB? La domanda a cui rispondere non sarà quale canale è più interessante,
perché l’iPad li contiene tutti, è un hub, ma invece il soggetto si interroga su aspetti più pregnanti: “quale corso è
il più adatto per me?”. La scelta del canale diventa un’abitudine, un comportamento al quale il soggetto si abitua
meccanicamente, che non richiedere riflessioni speciali: se volete apprendere inglese mentre guidate vi
abbonerete a dei podcast, cercherete dei corsi che non abbiano video, o che non siano indispensabili, e che non
richiedano interazione. Ma quando giungete al mare e vi accomodate su una sdraio, allora potrete passare a
contenuti che siano più attivi verso i vostri sensi. Più canali significa anche che lo stesso contenuto deve essere
adattato. Per essere adattato deve essere ben progettato, altrimenti non si adatterà mai a canali diversi per i
quali è stato pensato e quindi non sarà acquistato o utilizzato. Il rapporto fra il contenuto e il medium è un
rapporto dialettico. Lo è sempre stato ma prima ci si poteva ingannare perché i medium erano pochi, se non
unici, per determinati contenuti. Ora non è più possibile sostenere questo inganno della preminenza dei media
sui contenuti. Il rapporto è dialettico, cioè è mutevole, in continuo divenire e pieno di contraddizioni (antitesi)
che via via si pongono. Una semplice antitesi è questa: il concetto di film, legato al cinema è legato a una visione
unica in un continuum spazio temporale di tipo aristotelico. Come la mettiamo con un film spezzettato in
YouTube? Si può ancora chiamare “film”? Certamente non è cinema. Ma se proiettiamo YouTube con la nostra
Apple TV e vediamo i frammenti in fila nel monitor da 100” HD, non potremmo forse dire di aver ricostruito
l’esperienza cinematografica? E’ difficile rispondere a queste domande perché sono speculazioni (ideologie)
centrate sul mezzo e non sul contenuto. E’ invece facile rispondere se ci riferiamo al contenuto: un film è un film,
anche se è mostrato a frammenti. Che YouTube mostri i filmati a frammenti non ha alcuna importanza, perché
non è il medium a essere preminente, ma il contenuto.
La multicanalità rimette le cose al loro posto, con buona pace di McLhuan e dei suoi discepoli.
I processi di inegnamento / apprendimento
La seconda conseguenza è che la multicanalità porta alla ribalta i contenuti perché mette il soggetto
direttamente a contatto con loro, ovunque il soggetto si trovi. Preferiamo usare questa espressione: il soggetto
può interrogare direttamente le fonti nei più svariati modi e può attendersi dei risultati dai svariati canali circa i
medesimi contenuti. Questo è un dato rilevante che, specialmente in campo didattico, cambia tutto. Infatti oggi
è completamente desueta e anacronistica una pratica di insegnamento che veda il docente come il depositario
di un “sapere” non meglio precisato, i cui contenuti in realtà sono tutti rintracciabili in una molteplicità di canali
a partire da Internet (a parte i contenuti contestuali e specifici elaborati internamente alle istituzioni e riservati)
e quindi a disposizione del soggetto in apprendimento. Più i dispositivi mobili, personali e sempre connessi come
gli iPad, gli smartphone, i tablet si moltiplicano e più la questione determinante non consiste nello trasmettere i
1
contenuti perché i contenuti sono già trasmetti da sè, basta prenderli. La questione diventa quella di apprendere
metodi e pratiche per reperirli, per manipolarli, per assimilarli, per trasformarli e per “ricanalizzarli”.
Per questo motivo, come vedremo, una corretta pratica multicanale e attiva non consiste più nello spiegare un
contenuto e nell’assegnare un compito, ma nell’invitare a produrre informazioni sul dato contenuto, nel porre
problemi e nel risolverli trovando metodi e strategie opportune per rielaborare i contenuti e ridistribuirli in
chiave multicanale.
Multicanalità e mobilità
La terza conseguenza è che i contenuti vanno al soggetto e non è il soggetto ad andare verso i contenuti.
Precisiamo meglio. E’ chiaro che compiere una ricerca è il soggetto che deve farsi parte attiva e cercare i
contenuti. Ma se prima dovevano verificarsi una serie di condizioni restrittive (essere stanziale in un luogo dove
un computer fosse connesso, disporre del tempo necessario, attivare tutta la sua attenzione in questa
operazione, ecc.), oggi la tendenza è che ovunque e in qualsiasi condizione si possono rintracciare i contenuti. Il
che equivale a dire che i contenuti vengono con il soggetto, sono con lui. Con un comando vocale avvia una
ricerca al sui dispositivo mentre è in tram o guida l’auto, in un tempo prima considerato morto o non attivo. Il
soggetto è immerso in un mondo di contenuti che sono con lui: è sufficiente un’azione per averli.
Umanizzazione del rapporto con le tecnologie
La quarta conseguenza è che, sul piano informatico, ciò che conta davvero non è più sapere quale sia il sistema
migliore, ma quale sia il sistema che possa realmente integrare la multicanalità in un solo dispositivo e restituirla,
anche rielaborata, senza ostacolare le caratteristiche di un soggetto mobile, sempre attivo e sempre connesso,
potenzialmente sempre produttivo. Anche in questo caso l’attenzione si sposta dalle capacità tecniche di un
dato dispositivo al suo concept. Il modo con il quale un dispositivo effettua determinate operazioni diventa più
importante della tecnologia che lo sorregge, fosse anche la migliore al mondo.
Potremo dire che la multicanalizzazione dei contenuti conduce a una maggiore umanizzazione del soggetto e del
suo rapporto con le tecnologie. Non importa sapere se un dispositivo viaggia a una data velocità, se si connette a
chissà quali altri strumenti e di quanti MP è la sua fotocamera integrata. Conta sapere se è uno strumento rivolto
alla connessione e alla integrazione. Conta sapere se possiamo aprire un PDF insieme a un video e a un testo,
annotare tutto e restituire il prodotto in forme e in canali differenti, se lo possiamo fare mentre entriamo e
usciamo da un negozio all’altro quando facciamo la spesa. Il concept, la progettazione, la relazione uomo macchina sono più importanti. Torna di attualità una concezione umana di questo rapporto.
Il concetto di “canale”
In un processo di apprendimento attivo (escludiamo i meccanismi tradizionali), invece il soggetto partecipa a un
processo fin dalla sua costituzione, precisamente perché il processo, in primo luogo, è fondato su una relazione
educativa che non considera il soggetto come il “consumatore” di un prodotto o un cliente da fidelizzare, ma
come una persona che deve raggiungere determinati risultati e che va aiutato affinché raggiunga questo scopo.
In un sistema multicanale commerciale, normalmente, i risultati si misurano dalla parte del marchio, in un
sistema di formazione si misurano dal lato del soggetto in apprendimento. Ci sono ovviamente casi specifici,
distinguo e anche rovesciamenti, ma possiamo dire che la tendenza generale sia quella che abbiamo appena
descritto. Ciò pone il problema di come impiegare proficuamente un contesto multicanale per l’insegnamento. A
questo problema daremo delle risposte nel capitolo successivo. Ora ci dobbiamo concentrare sulla definizione di
multicanalità in ambito didattico.
Se consideriamo il concetto di canale in modo esteso, cioè come tutto ciò che può essere impiegato per
trasmettere dei dati e delle informazioni, otteniamo un vasto campo di strumenti che possono essere
2
considerati come dei “canali”. Per esempio un tablet è un canale in quanto è diverso dalla televisione ma
trasmette anch’esso numerosi dati. Un canale è il giornale che può assumere diverse forme, quotidiano, mensile,
ecc.; un canale sono gli smartphone perché trasmettono anch’essi dati e informazioni. I computer possono
essere considerati come canali, la radio, il fax e tanti altri strumenti. Abbiamo quindi dei canali fisici che sono gli
strumenti veri e propri che servono per trasmettere e visualizzare le informazioni, i dati. Abbiamo però anche dei
canali immateriali, digitali o analogici, che rappresentano le corsie di trasmissione. Per esempio le app sono dei
canali, i pdf sono un altro tipo di canale e così gli ePub. YouTube e Vimeo sono due canali distinti come Facebook
e Google plus. Un sito Web è un canale, un podcast è un canale. Questi canali sono integrati negli strumenti che
li veicolano e che, a loro volta, lo abbiamo appena visto, sono altrettanti canali. Il canale rappresentato da un
podcast è veicolato da diversi canali: tablet, Web, smartphone, computer, ecc. Lo stesso per un giornale, un
libro, un filmato, ecc.
Concludiamo che non è possibile - e sarebbe inutile - cercare di scorporare lo status di canale, per limitare il
numero di strumenti che possono rientrare in una definizione. Il motivo di questa impossibilità è storico. I canali
si sono moltiplicati a mano a mano che la storia umana conosceva nuovi progressi e sviluppi tecnologici nella
comunicazione. Fino alle soglie del novecento i canali di comunicazione erano pochi, oggi sono una quantità
enorme in continua crescita e differenziazione. Crediamo che si debba avere un approccio umano alla
comunicazione, esattamente come l’umanità l’ha concepita. Senza bisogno di scomodare il telegrafo o
l’informatica, pensate come l’uomo sia riuscito ad allevare dei piccioni viaggiatori, pur di estendere i canali di
comunicazione (un piccione viaggiatore rappresenta un canale di comunicazione), per comprendere quale
importanza abbia il tema della ricerca di tutti i mezzi possibili per comunicare! Dunque perché dovremmo
ridurre e parcellizzare questo sforzo e questa tensione umana assumendo delle definizioni che ne delimitano il
campo? Sarebbe una posizione antistorica, non rispettosa della posizione che l’uomo ha assunto in questa
continua moltiplicazione dei canali di comunicazione.
Un approccio aperto
Perciò diremo semplicemente questo: da un punto di vista sociologico e comunicativo, chiamiamo canale ogni
strumento atto a trasmettere delle informazioni e dei dati permettendo di stabilire una comunicazione fra
soggetti. Detto in altri termini: è un canale qualsiasi strumento, materiale o immateriale, digitale o analogico,
che possa essere utilizzato per trasmettere informazioni e dati.
Però, dal momento che abbiamo bisogno di lavorare concretamente con il mondo dei canali, ci sarà comodo
operare una suddivisione in categorie dinamiche, che non tolgono nulla alla definizione e alla dignità dei nostri
canali. La distinzione che proponiamo è dialettica e non assoluta. Si fonda, cioè, su relazioni e rapporti che
mutano e che non sono dati una volta per tutte.
Proponiamo di assumere una semplice divisione fra canale esterno e canale interno.
Chiamiamo canale esterno qualsiasi canale, materiale e o immateriale, che al suo interno contenga altri canali di
trasmissione, sia analogici che digitali. Chiamiamo interni quei canali che sono veicolati o contenuti da altri canali
(esterni). In questo modo possiamo meglio districarci nel mondo dei canali di comunicazione e vedremo che
questa distinzione ci sarà utile in ambito didattico.
Vogliamo contestualizzare questa definizione con un esempio? Consideriamo che l’iPad è un canale esterno in
rapporto alle app che contiene, che sono canali interni. Fra le varie app quella della RAI è un canale interno
rispetto al tablet, ma rappresenta un canale esterno in rapporto ai canali interni rappresentati dai canali
televisivi che la RAI contiene.

3
Non abbiamo bisogno di definizioni statiche e assolute. Questo è l’errore di tutti gli speculatori e dei metafisici come McLhuan - e di gran parte di coloro che estrapolano dei dati e li presentano sotto forma di categorie (una
categoria tanto nota quanto infausta è quella di “nativi digitali”).
In conclusione dobbiamo dire che la multicanalità, invece di ridurre il terreno d’azione del docente e di limitare
le questioni didattiche a procedure e tecniche, apre orizzonti culturali che prima gli erano del tutto preclusi. Ci
riferiamo ai contenuti disciplinari ma, soprattutto, ci riferiamo ai linguaggi e agli strumenti di comunicazione.
Non solo il rapporto dell’insegnamento con i linguaggi e i modi di costruire e di veicolare i messaggi non può più
essere eluso, ma oggi deve essere affrontato e risolto da un insegnamento che parla a soggetti che vivono in un
contesto multicanale. L’orizzonte culturale perciò si apre perché ora ingloba anche la forma, non solo il “che
cosa”, ma anche il “come”.
Oggi il “come” non è più una prerogativa dei comunicatori specializzati. Per esempio non è più esclusivo
appannaggio delle case editrici, che cercano di confezionare libri di testo e sussidi didattici in modo
“accattivante”, seguendo le regole e le impostazioni di una comunicazione moderna e ricercata.
Ragioniamo: il soggetto è posto all’interno di una serie di variegate relazioni multicanali, dove le forme si
moltiplicano, si moltiplicano i contenuti e danno luogo a quelle tipologie e caratteristiche che abbiamo cercato di
riassumere e di esaminare brevemente. E’ evidente che un insegnante si trova immediatamente confrontato al
fatto che i contenuti delle sue stesse discipline sono veicolati attraverso una molteplicità di forme e di prodotti
realizzati da altri soggetti e reperibili attraverso una rete crescente di canali. Dunque il docente è a sua volta
confrontato con un mondo che vede una creazione e una diffusione straordinaria di contenuti che lo riguardano
direttamente, nelle più diverse forme, secondo i più diversi linguaggi, diventando egli stesso oggetto di
confronto, un canale fra gli altri. Come minimo questo semplice dato lo spinge a confrontarsi e riconsiderare
sotto diversi aspetti l’elaborazione e la divulgazione dei contenuti che presiede. Detto in altri termini: lo spinge a
accostarsi criticamente, con padronanza e da studioso, a un fenomeno comunicativo che riguarda direttamente i
suoi stessi campi di studio e gli effetti.
L’orizzonte culturale si allarga perché - nel quadro di un preciso rapporto dialettico - i contenuti stessi si
modificano dato che si modifica la forma e cambiano frequentemente i canali con i quali vengono erogati. Perciò
è necessario stabilire una forma indipendente di riflessione non solo sui contenuti, ma occorre anche riflettere
sulla “grammatica”, cioè sui linguaggi che sottendono questa molteplicità comunicativa. Si tratta di una materia
vastissima che comprende tutte le forme di narrazione, di storytelling, di rappresentazione (teatrale, filmica,
attraverso le immagini e le animazioni), dell’oralità (radiofonia, podcasting), della scrittura, dell’arte, toccando
tutte le sfere dell’espressione umana di cui nessuna oggi è esclusa dal diventare un possibile modello
comunicativo utilizzabile all’interno di una relazione di apprendimento / insegnamento.
Possiamo dire che l’insegnante realmente interessato alla sua professione, alla sua disciplina e a stabilire un
rapporto sano e scambievole con la Realtà, troverà in questo fenomeno una mole enorme di stimoli culturali e di
occasioni di studio e di riflessione.
Il secondo terreno è più propriamente “educativo”. Lo possiamo affrontare ponendo una semplice domanda:
“Possiamo lasciare gli studenti, i giovani, a contatto con questa cultura di massa che oggi si avvale di una
crescente multicanalità, spesso invasiva, condizionante, legata alla costruzione di un business simbiotizzante,
senza cogliere l’occasione per aiutarli ad assumere una mentalità critica e occasioni di riflessione e di analisi?” E’
una domanda retorica. Infatti è evidente che la scuola e gli ambiti formativi oggi siano i soli a poter aiutare i
soggetti ad assumere una propria posizione critica e perciò culturale, nei confronti di questa cultura di massa.
L’elaborazione di antidoti e anticorpi non può avvenire all’interno di una “tribù” di soggetti egualmente
sopraffatti, così come non può avvenire all’interno di famiglie sprovviste di strumenti di analisi o semplicemente
del tempo necessario per analizzare, e non può avvenire neppure nei luoghi di lavoro. Solo ambiti scolastici
4
indipendenti, non “condizionati” (o limitatamente condizionati), dalla cultura di massa e dal “consumo”, possono
aiutare i soggetti a produrre gli anticorpi e i vaccini necessari per non rimanere assuefatti e “dopati” da una
comunicazione il cui unico scopo è il consumo.
E’ una sfida bellissima e affascinante per qualsiasi insegnante e formatore, ma anche per qualsiasi soggetto
interessato ai processi culturali. E’ una sfida che si gioca sullo stesso terreno della cultura di massa e dei suoi
veicoli multicanali.
Il rapporto del soggetto con i contenuti diventa la chiave di volta di questa operazione.
Infatti, in una condizione multicanale sia lo studente che il docente devono avere un rapporto costante e sempre
nuovo con fonti, informazioni e conoscenze che provengono da diversi canali che devono essere integrati fra
loro. Infatti i contenuti:
#
#
#

devono essere continuamente ricercati
devono essere ricercati e valutati anche i diversi modi con cui altri li hanno divulgati (la relazione di uno
scienziato, un blog, un libro di testo, una rivista, un comunicato, una trasmissione radiofonica…)
devono essere rielaborati e condivisi.

Questa ricerca di contenuti non ha mai fine: esisterà sempre un libro non letto, un articolo passato inosservato,
una riflessione a cui si è data poca importanza, uno strumento mediatico e culturale che si è sottovalutato.
Perciò occorre essere sempre in un rapporto aperto e critico con i contenuti, siano essi informazioni o
espressioni culturali, eventi di cronaca o fatti storici.
L’oggetto didattico rappresenta la conclusione di un processo di apprendimento e cristallizza in un prodotto lo
stato dell’arte delle conoscenze acquisite e delle operazioni cognitive coinvolte. Se non usassimo iPad e tablet
non sarebbe necessario pensare a degli “oggetti” per concludere un processo di insegnamento - apprendimento:
nello schema tradizionale sarebbe sufficiente un compito in classe, una verifica, un’interrogazione. L’iPad /tablet
costituisce invece un vero e proprio laboratorio mobile in mano agli studenti. Studiano manipolando, creando,
inventando, sperimentando. Tutto questo lavoro concreto e manuale, dovrebbe chiudersi con un prodotto che
esca da questo stesso laboratorio, che sia il risultato tangibile di un’attività manipolatrice di ricerca. Questo
oggetto può essere qualsiasi cosa purché la sua esistenza sia percepita come compiuta, frutto conclusivo di una
impegnativa attività: un impaginato, una dispensa, un eBook, un filmato, un documentario, un gioco, una
creazione artistica...
Per esempio un filmato di 90 secondi che spiega il concetto di “escalation” è un oggetto che può essere
combinato con un testo di una pagina che spiega la posizione di Kennedy, di Johnson e dei militari in relazione
alla guerra in Vietnam. A loro volta questi due oggetti possono essere uniti a un altro oggetto (testo) che assume
la guerra in Vietnam come possibile movente di un complotto contro Kennedy. Infine un altro oggetto,
composto da una successione di statistiche e di immagini che riportano dati significativi della guerra in Vietnam,
potrà formare un oggetto didattico più complesso come un piccolo eBook multimediale e interattivo sul tema:
L’assassinio di Kennedy e la guerra in Vietnam. E’ chiaro che, a sua volta, questo eBook può essere unito ad altri
eBook per comporre un libro sulla vita e la morte di Kennedy, oppure sul periodo storico della guerra fredda, e
così via.
Anche le lezioni, presentate sotto forma di piccole opere compiute, possono essere considerate degli oggetti
didattici. Alla conclusione di un macro argomento possiamo radunare tutti gli argomenti specifici in un unico
lavoro. Con questo metodo nel corso di un anno scolastico avremo molti oggetti didattici da combinare fra loro.
Gli oggetti didattici sono dunque dei prodotti scalabili e modulari componibili fra loro in una varietà di soluzioni.

5
Il metodo in sintesi1
I tre macropassaggi fondamentali del Metodo a cui ci riferiamo sono i seguenti:
A. TRATTAMENTO DELLE FONTI. Il trattamento delle fonti comprende i seguenti punti: 1. ricerca; 2.
schedatura; 3. condivisione;
B. PRODUZIONE DELLA LEZIONE e condivisione del quaderno;
C. CREAZIONE DI UN OGGETTO DIDATTICO. In ogni momento, secondo le necessità didattiche, questi
passaggi possono essere accompagnati da una serie di compiti per la partecipazione attiva dello
studente.
Ognuno di questi passaggi è fortemente caratterizzato da pratiche multicanali e integrate fra loro, può porre il
problema della condivisione dei risultati e ha bisogno dei suoi specifici strumenti, interni o esterni:
#
#
#

le applicazioni specifiche per portare avanti ogni passaggio;
gli strumenti di connessione e di condivisione sociale (applicazioni per interagire con la rete e le sue
aggregazioni);
gli strumenti di laboratorio: strumenti scientifici collegati all’iPad.

Un rapporto molto ampio, aperto, flessibile e mutevole con le fonti e loro canali. Migliaia di applicazioni per
creare una straordinaria combinazione di prodotti.
Guarda qui: http://www.innovalascuola.it/community/366-scuola/videos/video/5-l-insegnante-regista-delladidattica-multicanale

1

cfr: Alberto Pian, iPad in classe. Il metodo. Narcissus, 2012. eBook nei principali Store
6

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3.la didattica multicanale pian

  • 1. La d idattica multicanale A l b er to P i a n Docente scuole superiori, master di E-learning Università di Viterbo (Unituscia), master Università Tor Vergata (Roma), DOL (Politecnico di Milano) Il primato dei contenuti Prima o poi doveva capitare che i cosiddetti new media smettessero di essere new e quindi cessassero di catalizzare tutta l’attenzione. Ora l’informatica non è più una novità, perché la multicanalità l’ha uccisa, finalmente! Prendete il vostro iPad e cercate attraverso quanti e quali canali e in quante forme potete apprendere una lingua. E’ così straordinario il ventaglio di opportunità che vi verranno offerte che non ha più importanza il medium specifico che le contiene, ciò che conta è il contenuto. Conta lo strumento per collegarsi, cioè l’iPad e il contenuto, ma non i canali. Che importanza può avere se si trova su un social net o un sito Web, o un’app specifica, o un eBook o un MTB? La domanda a cui rispondere non sarà quale canale è più interessante, perché l’iPad li contiene tutti, è un hub, ma invece il soggetto si interroga su aspetti più pregnanti: “quale corso è il più adatto per me?”. La scelta del canale diventa un’abitudine, un comportamento al quale il soggetto si abitua meccanicamente, che non richiedere riflessioni speciali: se volete apprendere inglese mentre guidate vi abbonerete a dei podcast, cercherete dei corsi che non abbiano video, o che non siano indispensabili, e che non richiedano interazione. Ma quando giungete al mare e vi accomodate su una sdraio, allora potrete passare a contenuti che siano più attivi verso i vostri sensi. Più canali significa anche che lo stesso contenuto deve essere adattato. Per essere adattato deve essere ben progettato, altrimenti non si adatterà mai a canali diversi per i quali è stato pensato e quindi non sarà acquistato o utilizzato. Il rapporto fra il contenuto e il medium è un rapporto dialettico. Lo è sempre stato ma prima ci si poteva ingannare perché i medium erano pochi, se non unici, per determinati contenuti. Ora non è più possibile sostenere questo inganno della preminenza dei media sui contenuti. Il rapporto è dialettico, cioè è mutevole, in continuo divenire e pieno di contraddizioni (antitesi) che via via si pongono. Una semplice antitesi è questa: il concetto di film, legato al cinema è legato a una visione unica in un continuum spazio temporale di tipo aristotelico. Come la mettiamo con un film spezzettato in YouTube? Si può ancora chiamare “film”? Certamente non è cinema. Ma se proiettiamo YouTube con la nostra Apple TV e vediamo i frammenti in fila nel monitor da 100” HD, non potremmo forse dire di aver ricostruito l’esperienza cinematografica? E’ difficile rispondere a queste domande perché sono speculazioni (ideologie) centrate sul mezzo e non sul contenuto. E’ invece facile rispondere se ci riferiamo al contenuto: un film è un film, anche se è mostrato a frammenti. Che YouTube mostri i filmati a frammenti non ha alcuna importanza, perché non è il medium a essere preminente, ma il contenuto. La multicanalità rimette le cose al loro posto, con buona pace di McLhuan e dei suoi discepoli. I processi di inegnamento / apprendimento La seconda conseguenza è che la multicanalità porta alla ribalta i contenuti perché mette il soggetto direttamente a contatto con loro, ovunque il soggetto si trovi. Preferiamo usare questa espressione: il soggetto può interrogare direttamente le fonti nei più svariati modi e può attendersi dei risultati dai svariati canali circa i medesimi contenuti. Questo è un dato rilevante che, specialmente in campo didattico, cambia tutto. Infatti oggi è completamente desueta e anacronistica una pratica di insegnamento che veda il docente come il depositario di un “sapere” non meglio precisato, i cui contenuti in realtà sono tutti rintracciabili in una molteplicità di canali a partire da Internet (a parte i contenuti contestuali e specifici elaborati internamente alle istituzioni e riservati) e quindi a disposizione del soggetto in apprendimento. Più i dispositivi mobili, personali e sempre connessi come gli iPad, gli smartphone, i tablet si moltiplicano e più la questione determinante non consiste nello trasmettere i 1
  • 2. contenuti perché i contenuti sono già trasmetti da sè, basta prenderli. La questione diventa quella di apprendere metodi e pratiche per reperirli, per manipolarli, per assimilarli, per trasformarli e per “ricanalizzarli”. Per questo motivo, come vedremo, una corretta pratica multicanale e attiva non consiste più nello spiegare un contenuto e nell’assegnare un compito, ma nell’invitare a produrre informazioni sul dato contenuto, nel porre problemi e nel risolverli trovando metodi e strategie opportune per rielaborare i contenuti e ridistribuirli in chiave multicanale. Multicanalità e mobilità La terza conseguenza è che i contenuti vanno al soggetto e non è il soggetto ad andare verso i contenuti. Precisiamo meglio. E’ chiaro che compiere una ricerca è il soggetto che deve farsi parte attiva e cercare i contenuti. Ma se prima dovevano verificarsi una serie di condizioni restrittive (essere stanziale in un luogo dove un computer fosse connesso, disporre del tempo necessario, attivare tutta la sua attenzione in questa operazione, ecc.), oggi la tendenza è che ovunque e in qualsiasi condizione si possono rintracciare i contenuti. Il che equivale a dire che i contenuti vengono con il soggetto, sono con lui. Con un comando vocale avvia una ricerca al sui dispositivo mentre è in tram o guida l’auto, in un tempo prima considerato morto o non attivo. Il soggetto è immerso in un mondo di contenuti che sono con lui: è sufficiente un’azione per averli. Umanizzazione del rapporto con le tecnologie La quarta conseguenza è che, sul piano informatico, ciò che conta davvero non è più sapere quale sia il sistema migliore, ma quale sia il sistema che possa realmente integrare la multicanalità in un solo dispositivo e restituirla, anche rielaborata, senza ostacolare le caratteristiche di un soggetto mobile, sempre attivo e sempre connesso, potenzialmente sempre produttivo. Anche in questo caso l’attenzione si sposta dalle capacità tecniche di un dato dispositivo al suo concept. Il modo con il quale un dispositivo effettua determinate operazioni diventa più importante della tecnologia che lo sorregge, fosse anche la migliore al mondo. Potremo dire che la multicanalizzazione dei contenuti conduce a una maggiore umanizzazione del soggetto e del suo rapporto con le tecnologie. Non importa sapere se un dispositivo viaggia a una data velocità, se si connette a chissà quali altri strumenti e di quanti MP è la sua fotocamera integrata. Conta sapere se è uno strumento rivolto alla connessione e alla integrazione. Conta sapere se possiamo aprire un PDF insieme a un video e a un testo, annotare tutto e restituire il prodotto in forme e in canali differenti, se lo possiamo fare mentre entriamo e usciamo da un negozio all’altro quando facciamo la spesa. Il concept, la progettazione, la relazione uomo macchina sono più importanti. Torna di attualità una concezione umana di questo rapporto. Il concetto di “canale” In un processo di apprendimento attivo (escludiamo i meccanismi tradizionali), invece il soggetto partecipa a un processo fin dalla sua costituzione, precisamente perché il processo, in primo luogo, è fondato su una relazione educativa che non considera il soggetto come il “consumatore” di un prodotto o un cliente da fidelizzare, ma come una persona che deve raggiungere determinati risultati e che va aiutato affinché raggiunga questo scopo. In un sistema multicanale commerciale, normalmente, i risultati si misurano dalla parte del marchio, in un sistema di formazione si misurano dal lato del soggetto in apprendimento. Ci sono ovviamente casi specifici, distinguo e anche rovesciamenti, ma possiamo dire che la tendenza generale sia quella che abbiamo appena descritto. Ciò pone il problema di come impiegare proficuamente un contesto multicanale per l’insegnamento. A questo problema daremo delle risposte nel capitolo successivo. Ora ci dobbiamo concentrare sulla definizione di multicanalità in ambito didattico. Se consideriamo il concetto di canale in modo esteso, cioè come tutto ciò che può essere impiegato per trasmettere dei dati e delle informazioni, otteniamo un vasto campo di strumenti che possono essere 2
  • 3. considerati come dei “canali”. Per esempio un tablet è un canale in quanto è diverso dalla televisione ma trasmette anch’esso numerosi dati. Un canale è il giornale che può assumere diverse forme, quotidiano, mensile, ecc.; un canale sono gli smartphone perché trasmettono anch’essi dati e informazioni. I computer possono essere considerati come canali, la radio, il fax e tanti altri strumenti. Abbiamo quindi dei canali fisici che sono gli strumenti veri e propri che servono per trasmettere e visualizzare le informazioni, i dati. Abbiamo però anche dei canali immateriali, digitali o analogici, che rappresentano le corsie di trasmissione. Per esempio le app sono dei canali, i pdf sono un altro tipo di canale e così gli ePub. YouTube e Vimeo sono due canali distinti come Facebook e Google plus. Un sito Web è un canale, un podcast è un canale. Questi canali sono integrati negli strumenti che li veicolano e che, a loro volta, lo abbiamo appena visto, sono altrettanti canali. Il canale rappresentato da un podcast è veicolato da diversi canali: tablet, Web, smartphone, computer, ecc. Lo stesso per un giornale, un libro, un filmato, ecc. Concludiamo che non è possibile - e sarebbe inutile - cercare di scorporare lo status di canale, per limitare il numero di strumenti che possono rientrare in una definizione. Il motivo di questa impossibilità è storico. I canali si sono moltiplicati a mano a mano che la storia umana conosceva nuovi progressi e sviluppi tecnologici nella comunicazione. Fino alle soglie del novecento i canali di comunicazione erano pochi, oggi sono una quantità enorme in continua crescita e differenziazione. Crediamo che si debba avere un approccio umano alla comunicazione, esattamente come l’umanità l’ha concepita. Senza bisogno di scomodare il telegrafo o l’informatica, pensate come l’uomo sia riuscito ad allevare dei piccioni viaggiatori, pur di estendere i canali di comunicazione (un piccione viaggiatore rappresenta un canale di comunicazione), per comprendere quale importanza abbia il tema della ricerca di tutti i mezzi possibili per comunicare! Dunque perché dovremmo ridurre e parcellizzare questo sforzo e questa tensione umana assumendo delle definizioni che ne delimitano il campo? Sarebbe una posizione antistorica, non rispettosa della posizione che l’uomo ha assunto in questa continua moltiplicazione dei canali di comunicazione. Un approccio aperto Perciò diremo semplicemente questo: da un punto di vista sociologico e comunicativo, chiamiamo canale ogni strumento atto a trasmettere delle informazioni e dei dati permettendo di stabilire una comunicazione fra soggetti. Detto in altri termini: è un canale qualsiasi strumento, materiale o immateriale, digitale o analogico, che possa essere utilizzato per trasmettere informazioni e dati. Però, dal momento che abbiamo bisogno di lavorare concretamente con il mondo dei canali, ci sarà comodo operare una suddivisione in categorie dinamiche, che non tolgono nulla alla definizione e alla dignità dei nostri canali. La distinzione che proponiamo è dialettica e non assoluta. Si fonda, cioè, su relazioni e rapporti che mutano e che non sono dati una volta per tutte. Proponiamo di assumere una semplice divisione fra canale esterno e canale interno. Chiamiamo canale esterno qualsiasi canale, materiale e o immateriale, che al suo interno contenga altri canali di trasmissione, sia analogici che digitali. Chiamiamo interni quei canali che sono veicolati o contenuti da altri canali (esterni). In questo modo possiamo meglio districarci nel mondo dei canali di comunicazione e vedremo che questa distinzione ci sarà utile in ambito didattico. Vogliamo contestualizzare questa definizione con un esempio? Consideriamo che l’iPad è un canale esterno in rapporto alle app che contiene, che sono canali interni. Fra le varie app quella della RAI è un canale interno rispetto al tablet, ma rappresenta un canale esterno in rapporto ai canali interni rappresentati dai canali televisivi che la RAI contiene. 3
  • 4. Non abbiamo bisogno di definizioni statiche e assolute. Questo è l’errore di tutti gli speculatori e dei metafisici come McLhuan - e di gran parte di coloro che estrapolano dei dati e li presentano sotto forma di categorie (una categoria tanto nota quanto infausta è quella di “nativi digitali”). In conclusione dobbiamo dire che la multicanalità, invece di ridurre il terreno d’azione del docente e di limitare le questioni didattiche a procedure e tecniche, apre orizzonti culturali che prima gli erano del tutto preclusi. Ci riferiamo ai contenuti disciplinari ma, soprattutto, ci riferiamo ai linguaggi e agli strumenti di comunicazione. Non solo il rapporto dell’insegnamento con i linguaggi e i modi di costruire e di veicolare i messaggi non può più essere eluso, ma oggi deve essere affrontato e risolto da un insegnamento che parla a soggetti che vivono in un contesto multicanale. L’orizzonte culturale perciò si apre perché ora ingloba anche la forma, non solo il “che cosa”, ma anche il “come”. Oggi il “come” non è più una prerogativa dei comunicatori specializzati. Per esempio non è più esclusivo appannaggio delle case editrici, che cercano di confezionare libri di testo e sussidi didattici in modo “accattivante”, seguendo le regole e le impostazioni di una comunicazione moderna e ricercata. Ragioniamo: il soggetto è posto all’interno di una serie di variegate relazioni multicanali, dove le forme si moltiplicano, si moltiplicano i contenuti e danno luogo a quelle tipologie e caratteristiche che abbiamo cercato di riassumere e di esaminare brevemente. E’ evidente che un insegnante si trova immediatamente confrontato al fatto che i contenuti delle sue stesse discipline sono veicolati attraverso una molteplicità di forme e di prodotti realizzati da altri soggetti e reperibili attraverso una rete crescente di canali. Dunque il docente è a sua volta confrontato con un mondo che vede una creazione e una diffusione straordinaria di contenuti che lo riguardano direttamente, nelle più diverse forme, secondo i più diversi linguaggi, diventando egli stesso oggetto di confronto, un canale fra gli altri. Come minimo questo semplice dato lo spinge a confrontarsi e riconsiderare sotto diversi aspetti l’elaborazione e la divulgazione dei contenuti che presiede. Detto in altri termini: lo spinge a accostarsi criticamente, con padronanza e da studioso, a un fenomeno comunicativo che riguarda direttamente i suoi stessi campi di studio e gli effetti. L’orizzonte culturale si allarga perché - nel quadro di un preciso rapporto dialettico - i contenuti stessi si modificano dato che si modifica la forma e cambiano frequentemente i canali con i quali vengono erogati. Perciò è necessario stabilire una forma indipendente di riflessione non solo sui contenuti, ma occorre anche riflettere sulla “grammatica”, cioè sui linguaggi che sottendono questa molteplicità comunicativa. Si tratta di una materia vastissima che comprende tutte le forme di narrazione, di storytelling, di rappresentazione (teatrale, filmica, attraverso le immagini e le animazioni), dell’oralità (radiofonia, podcasting), della scrittura, dell’arte, toccando tutte le sfere dell’espressione umana di cui nessuna oggi è esclusa dal diventare un possibile modello comunicativo utilizzabile all’interno di una relazione di apprendimento / insegnamento. Possiamo dire che l’insegnante realmente interessato alla sua professione, alla sua disciplina e a stabilire un rapporto sano e scambievole con la Realtà, troverà in questo fenomeno una mole enorme di stimoli culturali e di occasioni di studio e di riflessione. Il secondo terreno è più propriamente “educativo”. Lo possiamo affrontare ponendo una semplice domanda: “Possiamo lasciare gli studenti, i giovani, a contatto con questa cultura di massa che oggi si avvale di una crescente multicanalità, spesso invasiva, condizionante, legata alla costruzione di un business simbiotizzante, senza cogliere l’occasione per aiutarli ad assumere una mentalità critica e occasioni di riflessione e di analisi?” E’ una domanda retorica. Infatti è evidente che la scuola e gli ambiti formativi oggi siano i soli a poter aiutare i soggetti ad assumere una propria posizione critica e perciò culturale, nei confronti di questa cultura di massa. L’elaborazione di antidoti e anticorpi non può avvenire all’interno di una “tribù” di soggetti egualmente sopraffatti, così come non può avvenire all’interno di famiglie sprovviste di strumenti di analisi o semplicemente del tempo necessario per analizzare, e non può avvenire neppure nei luoghi di lavoro. Solo ambiti scolastici 4
  • 5. indipendenti, non “condizionati” (o limitatamente condizionati), dalla cultura di massa e dal “consumo”, possono aiutare i soggetti a produrre gli anticorpi e i vaccini necessari per non rimanere assuefatti e “dopati” da una comunicazione il cui unico scopo è il consumo. E’ una sfida bellissima e affascinante per qualsiasi insegnante e formatore, ma anche per qualsiasi soggetto interessato ai processi culturali. E’ una sfida che si gioca sullo stesso terreno della cultura di massa e dei suoi veicoli multicanali. Il rapporto del soggetto con i contenuti diventa la chiave di volta di questa operazione. Infatti, in una condizione multicanale sia lo studente che il docente devono avere un rapporto costante e sempre nuovo con fonti, informazioni e conoscenze che provengono da diversi canali che devono essere integrati fra loro. Infatti i contenuti: # # # devono essere continuamente ricercati devono essere ricercati e valutati anche i diversi modi con cui altri li hanno divulgati (la relazione di uno scienziato, un blog, un libro di testo, una rivista, un comunicato, una trasmissione radiofonica…) devono essere rielaborati e condivisi. Questa ricerca di contenuti non ha mai fine: esisterà sempre un libro non letto, un articolo passato inosservato, una riflessione a cui si è data poca importanza, uno strumento mediatico e culturale che si è sottovalutato. Perciò occorre essere sempre in un rapporto aperto e critico con i contenuti, siano essi informazioni o espressioni culturali, eventi di cronaca o fatti storici. L’oggetto didattico rappresenta la conclusione di un processo di apprendimento e cristallizza in un prodotto lo stato dell’arte delle conoscenze acquisite e delle operazioni cognitive coinvolte. Se non usassimo iPad e tablet non sarebbe necessario pensare a degli “oggetti” per concludere un processo di insegnamento - apprendimento: nello schema tradizionale sarebbe sufficiente un compito in classe, una verifica, un’interrogazione. L’iPad /tablet costituisce invece un vero e proprio laboratorio mobile in mano agli studenti. Studiano manipolando, creando, inventando, sperimentando. Tutto questo lavoro concreto e manuale, dovrebbe chiudersi con un prodotto che esca da questo stesso laboratorio, che sia il risultato tangibile di un’attività manipolatrice di ricerca. Questo oggetto può essere qualsiasi cosa purché la sua esistenza sia percepita come compiuta, frutto conclusivo di una impegnativa attività: un impaginato, una dispensa, un eBook, un filmato, un documentario, un gioco, una creazione artistica... Per esempio un filmato di 90 secondi che spiega il concetto di “escalation” è un oggetto che può essere combinato con un testo di una pagina che spiega la posizione di Kennedy, di Johnson e dei militari in relazione alla guerra in Vietnam. A loro volta questi due oggetti possono essere uniti a un altro oggetto (testo) che assume la guerra in Vietnam come possibile movente di un complotto contro Kennedy. Infine un altro oggetto, composto da una successione di statistiche e di immagini che riportano dati significativi della guerra in Vietnam, potrà formare un oggetto didattico più complesso come un piccolo eBook multimediale e interattivo sul tema: L’assassinio di Kennedy e la guerra in Vietnam. E’ chiaro che, a sua volta, questo eBook può essere unito ad altri eBook per comporre un libro sulla vita e la morte di Kennedy, oppure sul periodo storico della guerra fredda, e così via. Anche le lezioni, presentate sotto forma di piccole opere compiute, possono essere considerate degli oggetti didattici. Alla conclusione di un macro argomento possiamo radunare tutti gli argomenti specifici in un unico lavoro. Con questo metodo nel corso di un anno scolastico avremo molti oggetti didattici da combinare fra loro. Gli oggetti didattici sono dunque dei prodotti scalabili e modulari componibili fra loro in una varietà di soluzioni. 5
  • 6. Il metodo in sintesi1 I tre macropassaggi fondamentali del Metodo a cui ci riferiamo sono i seguenti: A. TRATTAMENTO DELLE FONTI. Il trattamento delle fonti comprende i seguenti punti: 1. ricerca; 2. schedatura; 3. condivisione; B. PRODUZIONE DELLA LEZIONE e condivisione del quaderno; C. CREAZIONE DI UN OGGETTO DIDATTICO. In ogni momento, secondo le necessità didattiche, questi passaggi possono essere accompagnati da una serie di compiti per la partecipazione attiva dello studente. Ognuno di questi passaggi è fortemente caratterizzato da pratiche multicanali e integrate fra loro, può porre il problema della condivisione dei risultati e ha bisogno dei suoi specifici strumenti, interni o esterni: # # # le applicazioni specifiche per portare avanti ogni passaggio; gli strumenti di connessione e di condivisione sociale (applicazioni per interagire con la rete e le sue aggregazioni); gli strumenti di laboratorio: strumenti scientifici collegati all’iPad. Un rapporto molto ampio, aperto, flessibile e mutevole con le fonti e loro canali. Migliaia di applicazioni per creare una straordinaria combinazione di prodotti. Guarda qui: http://www.innovalascuola.it/community/366-scuola/videos/video/5-l-insegnante-regista-delladidattica-multicanale 1 cfr: Alberto Pian, iPad in classe. Il metodo. Narcissus, 2012. eBook nei principali Store 6