Tesi di laurea magistrale su "Crowdfunding e Pubblica Amministrazione". Come si potrebbe applicare nella pratica questo strumento di finanziamento: casi studio e proposte concrete. Se scaricate l'elaborato vi prego di twittarlo o condividerlo su Facebook. La condivisione è importante.
@francesco_pirri
Reti civiche come acceleratore di integrazione e cittadinanza
Crowdfunding per gli Enti Locali. Un nuovo strumento di fundraising
1. ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITA' DI BOLOGNA
FACOLTA' DI LETTERE E FILOSOFIA
Corso di laurea in
Scienze della comunicazione pubblica e sociale
TITOLO DELLA TESI
Crowdfunding per gli enti locali:
un nuovo metodo di fundraising
Tesi di laurea in
Comunicazione delle istituzioni pubbliche
Relatore Prof.: Roberto Grandi
Correlatore: Michele D'alena
Presentata da: Francesco Pirri
Seconda Sessione
Anno accademico
2010/2011
5
2. Indice 6
Introduzione 9
Capitolo 1. La Rivoluzione copernicana della Pubblica
Amministrazione: i principi di trasparenza, partecipazione,
sussidiarietà e comunicazione.
1.1 Come è cambiata la Pubblica Amministrazione dalle riforme
degli anni novanta. 12
1.2. Trasparenza come principio. 15
1.3. Il diritto di informazione passiva e riflessiva. 17
1.4. La partecipazione 21
1.5. La sussidiarietà orizzontale 26
1.6. La comunicazione pubblica 32
1.7. Le tecnologie della comunicazione a servizio della PA 48
Capitolo 2. Come il web 2.0 sta trasformando l'interazione tra
amministrazione e amministrato e quali sono i
vantaggi/svantaggi connessi.
2.1 Pubblica amministrazione e web 2.0 53
2.2 Il prosumer 56
2.3 I social media 59
2.4 I benefici portati dai social media alle organizzazioni
complesse 63
2.5 Il futuro del web: il mobile 70
2.6 Chi dovrebbe occuparsi della gestione dei social media? 76
6
3. 2.7 Il punto di vista dei cittadini 78
2.8 Come una maggiore partecipazione dei cittadini potrebbe
aiutare il fundraising degli enti locali 80
Capitolo 3 Gli strumenti di fundraising degli enti Locali: perché
è necessario utilizzarli e con quali modalità si usano
3.1 Costi delle politiche sociali 89
3.2 La decurtazione della spesa pubblica e i “tagli”
sugli Enti Locali: Le leggi Finanziarie 2010 e 201 92
3.3 Imprese e fundraising 98
3.4 La sponsorizzazione 100
3.5 Il cause related marketing 105
3.6 Le donazioni 114
Capitolo 4. E-philantropy: il presente della donazione
4.1 Il fundraisng on line 127
4.2 Gli strumenti di fundraising usati nel web “statico” 130
4.3 La posta elettronica 132
4.4 L’importanza del motore di ricerca 134
4.5 Gli sms solidali 140
4.6 I QR code 142
4.7 Il Paypal mobile 144
4.8 Il fundraising fatto con i social media 145
4.9 I multi-user virtual environment: i mondi virtuali 151
4.10 I social game 153
4.11 Analisi e verifica delle campagne di fundraising on line 155
4.12 Scenari futuri 159
7
4. Capitolo 5 Il crowdfunding per la Pubblica Amministrazione
5.1 Cos'è il crowdfunding: casi studio 161
5.2 Crowdfunding e cultura : un binomio più che possibile 175
5.3 Previsioni future delle donazioni on line 184
5.4 Come potrebbe essere utilizzato il crowdfunding
dagli Enti Locali 186
5.5 Quale ufficio comunale dovrebbe occuparsi delle
campagne di crowdfunding? 189
5.6 Crowdfunding, PA e sussidiarietà 192
5.7 Conclusioni 196
Bibliografia 200
Webgrafia 202
8
5. Introduzione
Il motivo che mi ha portato ha scrivere una tesi su un nuovo
strumento di fundraising per la pubblica amministrazione
italiana (PA) è stato il disinteresse mostrato dal governo
italiano nei confronti di ambiti come quello artistico/culturale,
dell’istruzione e dei servizi sociali. Per disinteresse intendo il
taglio dei finanziamenti che gli Enti Locali (ma anche altri enti
pubblici) percepivano per tutelare il proprio patrimonio
culturale e sociale.
Dal momento in cui la mancanza di fondi è il problema
principale, l’unica soluzione per continuare a garantire la
“sopravvivenza” degli ambiti in questione è reperire fondi
extra da canali non pubblici, quindi dai privati. Al momento gli
strumenti di fundraising usati dagli Enti Locali sono la
sponsorizzazione, il cause related marketing e la donazione
pura; ma per vari motivi, solitamente, l’unico strumento usato
dai Comuni per avere un risparmio di spesa è la
sponsorizzazione. A queste metodologie di raccolta fondi io,
nel corso del mio lavoro, ne proporrò una nuova: il
crowdfunding. Si tratta di un nuovo fenomeno nato in seno
alle dinamiche del web 2.0 (in particolare dell’interattività e
dalla partecipazione virtuale), che prevede la raccolta di
micro-donazioni attraverso i social media per finanziare i
progetti proposti dagli utenti delle web community. Questa
nuova metodologia è stata definita da alcuni come una nuova
forma di donazione, e da altri come una nuova forma di
9
6. finanza collettiva, poiché lo scopo non è il solo donare soldi
per una buona causa, ma finanziare un buon progetto in
cambio di qualche “gratificazione”.
La mia tesi sostiene il fatto che il crowdfunding possa essere
usato anche dalle amministrazioni pubbliche per reperire
fondi extra da destinare a quegl’ambiti di interesse che più di
altri soffrono i “tagli” dovuti alla crisi economica. Per motivare
questa tesi ho dovuto iniziare dall’analisi dei cambiamenti
intercorsi all’interno della pubblica amministrazione italiana.
Per intenderci la famosa rivoluzione copernicana basata sui
principi di trasparenza, partecipazione, sussidiarietà e
comunicazione.
Una volta spiegato come la PA italiana sta cambiando, nel
secondo capitolo proverò a fare una panoramica generale sui
nuovi strumenti di comunicazione e informazione in nostro
possesso: i social media. Affronterò il tema dell’uso dei social
media da parte della PA italiana, evidenziandone le migliorie
e i rischi che questi strumenti possono portare all’interno degli
enti pubblici.
Nel terzo capitolo invece mi occuperò della situazione
economica in cui versano gli Enti Locali dopo le varie
finanziarie “post crisi”. Oltre a fare questa analisi, descriverò i
vari metodi di fundraising usati attualmente dai Comuni,
cercando di capire quali possono essere i relativi limiti.
Dopo di che la mia analisi virerà sul futuro del fundrasing,
cioè la e-filantropy. In sostanza analizzerò le nuove modalità
di raccolta fondi usate soprattutto dalle organizzazioni no
profit statunitensi. In particolare dimostrerò come sia possibile
10
7. usare il web 2.0, le apps degli smartphone e le altre nuove
tecnologie a fine filantropico.
In fine, alla luce di tutta la disamina, concluderò il mio lavoro
proponendo il crowdfunding come metodo ulteriore di
fundraising per gli Enti Locali. Nel mio piccolo, proverò a
immaginare una modalità di uso di questo strumento “cucita”
intorno alle necessità della “nuova” amministrazione italiana.
Quindi pensata come una struttura leggera che possa essere
affidata ad una associazione no profit in modo sussidiario.
Come si capirà leggendo l’elaborato, il crowdfunding non può
essere una soluzione definitiva alla crisi economica degli Enti
Locali, ma di certo potrebbe aiutarli a reperire qualche fondo
in più, e inoltre potrebbe aiutare il Comune a intensificare il
rapporto “da pari” con i propri amministrati.
Detto questo non resta che iniziare ad argomentare la mia
tesi.
11
8. 1. La Rivoluzione copernicana della Pubblica
Amministrazione: i principi di trasparenza,
partecipazione, sussidiarietà e comunicazione.
1.1 Come è cambiata la Pubblica Amministrazione dalle
riforme degli anni novanta
In Italia gli anni ’90 sono stati caratterizzati da un momento
di grande crisi politica e istituzionale che ha finito per
coinvolgere anche la pubblica amministrazione (da ora in poi
PA). La grande produzione normativa avvenuta nell’ultimo
decennio del secolo appena trascorso è stata segnata da una
grande coerenza che la lega ad un filo comune, quello di
avvicinare la PA alla società civile attraverso il decentramento
di molte funzioni dallo Stato agli Enti Locali; e riformare tutta
la PA su criteri di: efficienza, cioè competenza e prontezza
nell’assolvere le proprie mansioni; efficacia, cioè la capacità
di produrre l’effetto voluto; economicità e trasparenza.
In sostanza la PA inizia ad aprirsi alla partecipazione e alla
valutazione dei cittadini, i veri depositari del potere. Il diritto di
accesso diventa un principio generale dell’attività
amministrativa finalizzato a favorire la partecipazione dei
cittadini, l’imparzialità, la semplificazione e la trasparenza
dell’azione amministrativa. La leale cooperazione fra soggetti
pubblici e privati diventa prioritaria e quindi il rapporto fra
dipendenti della PA e cittadini cambia radicalmente. Con il
12
9. Decreto legislativo 29/93 formulato da Massimo D'antona 1 il
ruolo della politica nel procedimento amministrativo viene
ridimensionato; i politici mantengono i poteri decisionali
iniziali ma non possono più interferire nell’esecuzione dei
provvedimenti. Il Dirigente amministrativo diventa il
responsabile ultimo dell’attività amministrativa ed il gestore
del budget assegnatogli. La trasparenza diventa, quindi, la
base dei rapporti fra i dipendenti pubblici e gli utenti.
Volendo fissare un punto d'inizio, la grande riforma della
Pubblica Amministrazione - da alcuni definita copernicana -
parte con la L. 8 giugno 1990 n°142 sulle Autonomie Locali 2
e con la L. 241 dello stesso anno sui procedimenti
amministrativi e sul diritto di accesso, che pongono l’accento
sui cittadini e sui loro diritti ad avere servizi trasparenti,
efficienti e rapidi. In queste disposizioni viene affermato per la
prima volta il principio fondamentale che la PA si regge sui
criteri di economicità, efficacia e pubblicità (Art. 1 L. 241/90).
Un altro traguardo importante si è raggiunto con
l’approvazione del D.L. del 3 febbraio 1993 n. 29, che
prevede l’introduzione dei sistemi informativi nelle PA come
strumento essenziale per accrescerne l’efficienza,
razionalizzare i costi e fornire servizi efficaci. Nel corso dello
stesso anno, il 12 febbraio 1993, viene approvato anche il
D.L. 39 che istituisce “l’Autorità per l’Informatica nella
Pubblica Amministrazione” o A.I.P.A. (art. 4), quale strumento
tecnico ed operativo per realizzare - nei tempi più rapidi -
l’introduzione delle nuove tecnologie e la conseguente
riorganizzazione della Pubblica Amministrazione. Un altro
1
Decreto Legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 "Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni
pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'articolo 2 della legge 23
ottobre 1992, n. 421" (Pubblicato in G. U. 6 febbraio 1993, n. 30, S.O.)
2
successivamente modificata dalla L. 265 del 3 agosto 1999
13
10. passo importante per l’integrazione dei cittadini nella vita
amministrativa è rappresentato dal "Codice
dell’Amministrazione Digitale" 3. Nella Sezione II, titolata
“Diritti dei cittadini e delle imprese”, il Codice istituisce una
serie di diritti per i cittadini e il dovere per la PA di erogare
una serie di servizi amministrativi attraverso la tecnologia
informatica: in particolare, i cittadini potranno effettuare
pagamenti online, utilizzare la posta elettronica certificata,
valutare la qualità dei servizi erogati. Inoltre la PA
s’impegnerà per l’alfabetizzazione informatica dei cittadini e
la partecipazione democratica elettronica. In questo scenario
il web rappresenta dunque uno dei principali strumenti di
democrazia.
Comunicare in modo continuativo con i cittadini è quindi il trait
d'union dei cambiamenti normativi all'interno della PA. Infatti,
senza comunicazione obiettivi come la trasparenza, l’accesso
e la partecipazione popolare non possono essere raggiunti.
Fino alla fine degli anni ottanta la comunicazione non era
dunque ritenuta un valore strategico per l’azione
amministrativa. Volendo trovare una causa al ritardo nel
riconoscere l’importanza della comunicazione pubblica si
potrebbe indicare la mancanza di un riferimento esplicito al
diritto dei cittadini di essere informati e di informarsi. Di fatti
l'articolo 21 della Costituzione tutela esplicitamente solo la
libertà di manifestazione del pensiero, e secondo alcuni in
modo troppo approssimato e generale.
Nelle prossime pagine analizzeremo nel particolare sia i
principi cardine sui quali si è sviluppato il cambiamento nella
3
Adottato con d.lgs. 7/3/2005 n. 82 e integrato con modifiche con d.lgs. 4/4/2006 n. 159
14
11. PA, sia l'evoluzione della comunicazione pubblica da non
necessaria a indispensabile.
1.2 Trasparenza come principio
Mentre il termine trasparenza è, come noto, del tutto
assente dal testo costituzionale, manifestazioni di tale
principio sono in esso frequenti, e vive 4.
Secondo alcune dottrine giuridiche il diritto all'informazione
passiva e riflessiva è da considerarsi all'interno del principio
costituzionale implicito della trasparenza amministrativa e
politica. Per argomentare questa ipotesi bisogna partire dalla
definizione di principio costituzionale implicito e del termine
trasparenza.
Per quanto riguarda il primo concetto va detto che i principi
costituzionali impliciti sono principi rinvenibili in Costituzione
attraverso un’opera di astrazione interpretativa di quelle
disposizioni, mirate a ricostruire il complesso di valori che ne
ha guidato la redazione e le ragioni che le stesse disposizioni
non enunciano, pur implicandone l’esistenza e la vigenza. Si
noti che questa categoria, in un ordinamento come il nostro a
Costituzione aperta sì, ma rigida, ha caratteri e limiti che non
possono essere trascurati. 5
Per molto tempo sia la politica che la pubblica
amministrazione hanno usato la mancata esplicitazione di
4
Daniele Donati, il principio di trasparenza in costituzione
5
Ivi.
15
12. questo principio come alibi per non essere trasparenti. Infatti,
secondo Donati, i principi si pongono quali norme
contraddistinte da un grado molto alto di generalità e di
astrattezza [...] (questo) In primo luogo comporta il fatto che
questi si traducano in precetti elastici, plasmabili, il cui
contenuto varia in ragione della prospettiva da cui li si
osserva o delle finalità per le quali li si evoca. In secondo
luogo implica il fatto che i principi si pongano come norme
mai esplicite. Se quanto si è appena detto è vero, allora è
altrettanto vero che tra i principi espliciti e i principi impliciti
presenti in un certo ordinamento giuridico non vi può essere
alcuna differenza logica o di valore. In questo senso, anzi,
tutti i principi sono «impliciti». Quindi la mancata
esplicitazione del principio non può essere un freno all'azione
amministrativa.
Per quanto riguarda il principio di trasparenza, possiamo
affermare – sempre con Donati - che tale principio indica “la
possibilità di vedere attraverso gli ostacoli”. Si tratta di un
concetto relazionale, che si concretizza solo nelle interazioni
che legano due o più soggetti 6, un osservatore e un
osservato, che assumono come valore positivo condiviso
l’evidenza e la chiarezza delle azioni.
In giurisprudenza ancora non si è arrivati ad una conclusione
univoca nello stabilire se la trasparenza va considerata un
fine o un mezzo dell'azione amministrativa. Per alcuni è un
valore strumentale, un mezzo e non un fine, utile al
perseguimento di valori diversi e ulteriori: in altre parole si
chiede al soggetto osservato di essere trasparente affinché
6
Questo argomento è stato ampiamente analizzato da G. Arena, da ultimo nella voce Trasparenza
amministrativa, in S. Cassese (diretto da), Dizionario di Diritto Pubblico, Giuffrè, Milano, 2006, p. 5945 ss.
16
13. sia possibile assicurare all’osservatore il soddisfacimento di
esigenze che possono andare dal controllo democratico, alla
formazione di una opinione pubblica o personale, alla tutela
di diritti e pretese individuali e ancora (la trasparenza è)
essenzialmente un mezzo per la conoscenza, si candida ad
essere efficacissimo strumento di garanzia per le legittime
pretese delle donne e degli uomini nelle loro diverse vesti di
cittadini, di elettori, di lavoratori, di consumatori. 7 La
concezione del principio di trasparenza come strumento per
la tutela di altri valori può sembrare in contrasto con quella,
oggi apprezzata e diffusa in dottrina, che considera la stessa
un obiettivo da raggiungere con vari mezzi dalla PA; in
questa seconda concezione la trasparenza è vista dunque
come un fine. Ma tale contrapposizione è in realtà soltanto
apparente. Infatti, effettuando una lettura comparata di
ambedue le posizioni, ci rendiamo conto che non solo un
integrazione è possibile, ma anzi riesce a dare un’immagine
più approfondita, articolata e compiuta del principio stesso.
La trasparenza ha infatti in sé la caratteristica di mutevolezza:
evolve continuamente in ragione del mutare delle condizioni
del contesto in cui si muove.
1.3 Il diritto di informazione passiva e riflessiva
Per far si che la PA sia trasparente è necessario che
quest'ultima si faccia osservare e che comunichi
all'osservatore di turno le sue intenzioni presenti e future;
7
Daniele Donati, il principio di trasparenza in costituzione
17
14. insomma è necessario che la PA rispetti il diritto implicito dei
cittadini di essere informati. Ma, come già dimostrato, la
mancata esplicitazione del diritto d’informazione passiva e
riflessiva ha rappresentato un alibi per negare l'esistenza di
un vero e proprio dovere di attivare strutture e processi di
istituzione delle comunicazioni pubbliche.
Sembrerebbe che l'assemblea che ha redatto la carta
costituzionale italiana non abbia ritenuto necessaria
l’esplicitazione di questo diritto/dovere, come è invece
avvenuto in altri paesi usciti da regimi dittatoriali. Un esempio
esplicativo è la carta costituzionale tedesca: l’art. 5 Libertà di
espressione della Legge fondamentale per la Repubblica
Federale di Germania, entrata in vigore il 23 maggio 1949,
recita: 1. Ognuno ha diritto di esprimere e diffondere
liberamente le sue opinioni con parole, scritti e immagini, e di
informarsi senza impedimento da fonti accessibili a tutti. Sono
garantite le libertà di stampa e d'informazione mediante la
radio e il cinema. Non si può stabilire alcuna censura. 2.
Questi diritti trovano i loro limiti nelle disposizioni delle leggi
generali, nelle norme legislative concernenti la protezione
della gioventù e nel diritto al rispetto dell’onore della persona.
3. L'arte e la scienza, la ricerca e l'insegnamento sono liberi.
La libertà d'insegnamento non dispensa dalla fedeltà alla
Costituzione. Nella carta costituzionale tedesca si afferma
quindi la necessità di essere informati su quello che succede
a livello politico amministrativo propedeutica alla formazione
di una corretta opinione pubblica 8.
8
Questo argomento è stato trattato ampiamente da Jürgen Habermas in "Storia e critica dell'opinione
pubblica" pubblicato in Italia nel 1962
18
15. Invece, l’articolo 21 della Costituzione italiana è
contraddistinto da una debolezza redazionale, e omette sia le
diverse coniugazioni della libertà di informazione in forma
attiva, passiva e riflessiva, sia qualsiasi riferimento a mezzi di
informazione diversi dalla stampa già ben presenti negli anni
in cui operarono i costituenti, come la radio 9. Questa
debolezza redazionale forse è stata - ed è ancora - la causa
di diverse anomalie che perpetrano nel nostro paese, prima
fra tutte il conflitto di interesse del nostro Presidente del
Consiglio. Dopo più di trent’anni di discussioni, riforme e
pronunce della Corte Costituzionale, il problema del
pluralismo informativo ancora non è stato risolto. L’immobilità
e la soffocante chiusura che caratterizzano il sistema
radiotelevisivo rischiano ora di estendersi anche alle altre
forme della comunicazione, rendendo ancor più fragile e
complesso il perseguimento del pluralismo informativo, e
quindi di fatto inconsistente il nostro diritto ad essere
informati. Queste considerazioni trovano riscontro anche
nelle disposizioni effettuate dalla Comunità Europea.
Considerando che l’attuale disciplina italiana è in netto
contrasto con le norme comunitarie relative alla
radiotelediffusione e alla concorrenza nei mercati delle reti
dei servizi di telecomunicazione elettronica, la Commissione
europea ha inviato all’Italia il 19 luglio 2006 una lettera di
messa in mora. Si è cosi avviata la procedura d'infrazione
prevista dall’art. 226 del Trattato CE a carico del nostro
paese. Un anno dopo, il 18 luglio 2007, non essendo stato
adottato dalle nostre istituzioni alcun provvedimento di
modifica, questa procedura è entrata nella seconda fase, che
9
Daniele Donati, il principio di trasparenza in costituzione
19
16. porterà al deferimento dell’Italia davanti alla Corte di giustizia
delle Comunità europee 10.
Il diritto all'informazione in senso attivo, passivo e riflessivo, in
una società democratica è da considerarsi fondamentale per
l’accesso alla vita pubblica; anzi dovrebbero essere
ricompresi in un nuovo diritto alla democrazia il complesso
dei diritti di informazione. Cioè il diritto di sapere come
versione dinamica del diritto ad essere informati; il diritto di
accedere alle informazioni che individualmente ci riguardano
[…]; il diritto di essere informati in maniera obiettiva, corretta
e completa; il diritto di cercare, ricevere e trasmettere
informazioni come distinto da quello di manifestare il
pensiero. Mentre nei casi in cui si chiede la trasparenza dei
soggetti privati il diritto all’informazione viene inteso come un
semplice interesse, nei casi in cui la richiesta di informazione
ha come destinatario un ente pubblico è possibile individuare
in questa richiesta dei principi costituzionali come
trasparenza e partecipazione, che sono necessari e
strumentali alla realizzazione di altri principi costituzionali,
come: l'inviolabilità dei diritti; la democrazia; l'uguaglianza
formale e sostanziale dei cittadini; la partecipazione alla vita
democratica, sia attraverso l'esercizio del voto sia attraverso
un concorso effettivo all'organizzazione politica, economica e
sociale del paese.
10
Secondo quanto affermato dal Commissario alla Concorrenza Neelie Kroes, negli stessi giorni, tra l’altro,
l'avvocatura della Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha rinviato al Consiglio di Stato la decisione sul
ricorso promosso da Centro Europa 7, la cui emittente Europa 7 da anni contende a Rete 4, il diritto di
trasmettere su scala nazionale. La Corte Europea, secondo l'avvocato generale Poiares Meduro, ha però
stabilito che «L'art. 49 CE richiede che l'assegnazione di un numero limitato di concessioni per la
radiodiffusione televisiva in ambito nazionale a favore di operatori privati si svolga in conformità a procedure di
selezione trasparenti e non discriminatorie e che, inoltre, sia data piena attuazione al loro esito. I giudici
nazionali devono esaminare attentamente le ragioni addotte da uno Stato membro per ritardare l'assegnazione
di frequenze ad un operatore che così ha ottenuto diritti di radiodiffusione televisiva in ambito nazionale e, se
necessario, ordinare rimedi appropriati per garantire che tali diritti non rimangano illusori
20
17. 1.4 La partecipazione
Come detto la rivoluzione copernicana della PA poggia
non solo sul valore strategico della comunicazione e
sull'importanza della trasparenza, ma anche sull'inclusione
dei cittadini nei processi decisionali pubblici. Di fatti anche la
“partecipazione” sta diventando sempre più una scelta
strategica della PA.
Quando si parla di partecipazione spesso si parla di pratiche
partecipative 11, cioè di manifestazioni autonome e azioni
concrete messe in atto in contesti locali da singoli cittadini o
cittadini associati o dalla PA stessa. La conferma che si tratti
di pratiche e non di istituti normativi, è data anche dal fatto
che gli apporti partecipativi dei cittadini nei confronti della PA
sono stati rilevati prima dalle scienze socio-politiche e solo
successivamente dalla dottrina giuridica. Lo sforzo della
dottrina giuridica altro non è stato che lo sforzo di astrarre dei
principi generali comuni a tutte le pratiche partecipative, in
modo da poter regolamentare il fenomeno. 12
Iniziamo col dire che queste pratiche non sono di certo un
fenomeno recente, ma costituiscono anzi una pietra miliare
del modello democratico. La redazione dell'articolo 3 della
Costituzione 13, attraverso la rimozione degli "ostacoli di
11
L’espressione, volutamente generica è ricorrente in L. Bobbio, Amministrare con i cittadini. Viaggio tra le
pratiche di partecipazione in Italia
12
Daniele Donati, La partecipazione come categoria identità e rappresentanza. Ruolo e contraddizioni delle
nuove forme associative
13
Art. 3 Cost: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di
sesso di razza, di lingua, di religione , di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E` compito della
21
18. ordine economico e sociale" affida alla Repubblica il dovere
di perseguire una piena libertà ed eguaglianza dei cittadini
affinché ci siano i presupposti per una "effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica
economica e sociale del paese". Nel campo del diritto
pubblico la partecipazione si delinea quindi come un
contributo individuale o plurale, associato a un processo
decisionale rispetto a scelte di pubblico interesse. In senso
generale, la partecipazione si presenta come una vera e
propria fase del processo democratico, e si colloca in
successione al momento della trasparenza e
dell'informazione. Dal punto di vista dei singoli essa consiste
nel dare, in base alle proprie capacità, un contributo
responsabile alla formazione e alla guida delle attività
esercitate dal gruppo d'appartenenza 14. Questo naturalmente
non significa che la partecipazione deve necessariamente
manifestarsi in senso adesivo e quindi convogliare le proprie
aspirazioni nel calderone dell'omologazione; significa
piuttosto aggregare e non integrare le individualità, e quindi
costruire dei luoghi in cui ogni idea trova ascolto. Perché
sono proprio il dissenso e la diversità la ragion d'essere della
partecipazione e della democrazia.
Facendo un’ipotetica classificazione di queste pratiche
partecipative, possiamo individuare due classi: i fenomeni
informali e i fenomeni formali.
Si può parlare di fenomeni informali, quando la pratica
partecipativa si manifesta come un aiuto a rafforzare il
Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e
l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti
i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese
14
Daniele Donati, La partecipazione come categoria identità e rappresentanza. Ruolo e contraddizioni delle
nuove forme associative
22
19. legame fra istituzioni e cittadini, per ricercare nuove forme di
connessione e di collaborazione. In altre parole si tratta di un
esercizio costante di avvicinamento e conoscenza, di ascolto
e di risposte, che spesso si attiva a livello locale.
Si può parlare di fenomeni formali invece, quando
l'ordinamento legislativo si è accorto della presenza di
connessioni fra i cittadini e gli organi del potere, e regola le
fasi, le modalità, i tempi del relativo procedimento e ne
definisce gli effetti.
E’ allora possibile distinguere le pratiche partecipative dagli
istituti della partecipazione, notando che le prime spesso si
evolvono nelle seconde. Più ci si avvicina al livello locale, più
la partecipazione dei cittadini aumenta, dando l’impressione
che è proprio a livello locale che la partecipazione viene in
essere. Per dirla con Rodotà, sono i piccoli gruppi e le
comunità locali "il luogo ideale per ricostruire o per realizzare
effettivamente una democrazia fondata su un faccia a faccia
tra cittadini" 15.
Quindi i principi di decentramento e sussidiarietà possono
essere letti – e meglio compresi - nella prospettiva di un
maggior coinvolgimento dei cittadini alle decisioni della PA. In
questa ottica possiamo anche leggere l'abbandono
progressivo della concezione di omogeneità del tessuto
amministrativo nazionale. La partecipazione dei cittadini
serve dunque anche a far adattare la PA al contesto sociale e
territoriale in cui opera.
15
Stefano Rodotà, Tecnopolitica
23
20. Chiarita la ragion d’essere della partecipazione, di seguito
capiamo come i cittadini partecipano realmente all'attività
amministrativa. Come già detto in precedenza, la PA oggi ha
perso il suo fare autoritativo e si presenta alle contrattazioni
come primo tra pari. La PA è un portatore di interessi,
concepiti come pubblici, che vengono sottoposti a discussioni
con privati che hanno interessi coinvolti. I soggetti privati
possono partecipare singolarmente o in forma associata, e
possono inserirsi nel discorso in momenti diversi e con forme
e capacità diverse. Nell'ordinamento giuridico c'è un’assoluta
assenza di indicazioni unitarie in materia di partecipazione,
causata oltre che dall'inafferrabilità dell'oggetto in questione
anche dal fatto che siamo di fronte ad un ambito rimesso in
gran parte all'autonomia dei privati.
Ma un autorevole giurista 16 ha provato a dividere le pratiche
partecipative in base alle finalità che si vogliono raggiungere.
Si distinguono in tal modo: casi in cui la partecipazione dei
privati mira esclusivamente a migliorare il patrimonio
informativo della PA; casi in cui la partecipazione dei privati è
finalizzata alla difesa dei propri interessi nei confronti di altri
interessi pubblici o di altri privati; casi in cui la partecipazione
dei privati ambisce a decidere insieme all'amministrazione.
Donati evidenzia anche una quarta finalità, distinguendo casi
in cui la partecipazione dei privati funga da controllo e verifica
17
dell'operato pubblico.
Quindi il concetto di partecipazione inteso dalla L. 241/1990
come l'allargamento dell'istruttoria e la trasformazione del
procedimento in un’arena pubblica di discussione fra portatori
16
Cassese, Il privato e il procedimento amministrativo, in Archivio giuridico, n. 1-2, 1970 e ancora, La
partecipazione dei privati alle decisioni pubbliche, Riv. Trim. Dir. Pubb., 2007, p.3-42
17
D. Donati, Il controllo dei cittadini sull’amministrazione pubblica, tra effettività giuridica e valore etico
24
21. di interessi per giungere ad una decisione più giusta e
condivisa, sembra essere – di fatto - superato. Oggi si
assiste, nella pratica, ad un'estensione del principio di
partecipazione verso ambiti prima impensabili e quindi non
regolamentati. Un esempio sono le attività di controllo e di
customer satisfaction svolte dai cittadini sui servizi erogati da
un ente pubblico. Ma, anche se non del tutto regolamentati,
tali processi partecipativi vengono in essere, e spesso si
traducono in una discussione fra formazioni sociali e PA
attorno al tavolo delle trattative.
Per dare soluzione ai problemi di una società complessa
quale è la nostra, è necessario che i cittadini non siano più
destinatari passivi dell’intervento pubblico
dell’amministrazione ma, piuttosto, che sia ritenuta una
risorsa strategica la loro partecipazione alle scelte pubbliche.
Sul terreno dei processi decisionali inclusivi, tuttavia, le
amministrazioni vanno spesso incontro a grandi difficoltà
poiché si imbattono in ostacoli non previsti, in conflitti inattesi,
in incomprensioni ed equivoci 18. Come dice Bobbio, in
assenza di un quadro normativo di riferimento, le pratiche
partecipative hanno delle controindicazioni. Se è vero che gli
attori territoriali non sono posti di fronte ad una scelta, bensì
di fronte ad un problema, è vero anche che c'è una difficoltà
di controllo del processo di risoluzione da parte della PA, che
comporta rischi economici e tempi lunghi per deliberare, oltre
alla possibilità che si aprano conflitti e poteri di veto. Per
questi motivi spesso l’amministrazione tende a comportarsi
come un partner fra gli altri partner, che funge da stimolo, da
sollecitazione, da regia, da coordinamento, da mediatore
18
L. Bobbio, Amministrare con i cittadini. Viaggio tra le pratiche di partecipazione in Italia
25
22. degli interessi in campo. Sempre per prevenire tali conflitti, è
solito da parte della PA attivare il processo partecipativo
inclusivo nelle fasi finali del processo decisionale, cioè
quando ai cittadini, in realtà, rimane ben poca discrezionalità
da usare. Inserendo la pratica partecipativa alla fine del
processo si riesce sia a ridurre i costi di transazione, sia a
tenere sotto controllo i tempi della progettazione, sia a
favorire l’uso di razionalità tecnico-scientifiche. Quanto detto
non significa che le pratiche partecipative siano da evitare,
anzi, vuole rimarcare la necessità di intervento del legislatore
a precisare e regolamentare ulteriormente queste pratiche,
dando loro una stabilità normativa e organizzativa su cui
poggiare. Solo cosi sarà possibile inserire i cittadini fin dalle
fasi iniziali del procedimento, a monte e non a valle del
processo decisionale.
1.5 La sussidiarietà orizzontale
Uno degli istituti della partecipazione è sicuramente la
sussidiarietà orizzontale, cioè la presa in carico da parte dei
cittadini di attività che prima erano svolte unicamente dalla
PA.
Fino agli inizi degli anni novanta, l'agire della PA riguardo alla
presa in carico di attività e di servizi ruotava intorno a tre
assunti di carattere panpubblicistico, smentiti col passare del
tempo:
• Ciò che è di interesse generale è di interesse pubblico.
26
23. • Ciò che è di interesse pubblico è dello Stato;
• Lo Stato provvede a ciò che è di interesse pubblico con
apparati pubblici.
Il terzo assunto prevedeva che ciò che è di pertinenza
pubblica dovesse essere regolamentato tramite il diritto
amministrativo. Ma nel corso degli anni c'è stato un
ripensamento a riguardo; si pensi alla già citata stagione delle
riforme del 1991, quando attraverso le privatizzazioni formali
si inizia a favorire il diritto privato rispetto a quello
amministrativo. Già con la legge 241/1990 19 sul procedimento
amministrativo si ammetteva una reciproca interferenza del
diritto amministrativo e del diritto privato. Insomma si
ripensava al fare autoritativo della PA.
Il secondo assunto prevedeva che il potere amministrativo
fosse diretta emanazione dello Stato. Quindi era lo Stato
centrale che provvedeva ai bisogni locali, tant'è vero che
l'idea di omogeneità del tessuto locale si rifletteva anche negli
articoli della Costituzione 114, 118 e 128. Ma anche questa
idea di omogeneità è poi caduta. Negli anni '70 con le prime
elezioni dei consigli regionali a statuto ordinario, l'impianto
amministrativo viene rivisto nell'intento di includere nel
processo decisionale anche le realtà regionali. Ma il punto di
rottura con la concezione di stato centrale e di omogeneità
amministrativa si ha definitivamente con la L. 142/1990. In
particolare all’art. 3 si dotano le regioni della possibilità di
intervenire nell'organizzazione delle funzioni locali e di farlo in
modo selettivo calibrando “gli interessi comunali e provinciali
in rapporto alle caratteristiche della popolazione e del
19
Integrata successivamente dalla Legge 24 febbraio 2005, n. 25
27
24. territorio”. All'art. 9 invece si riconoscono al Comune “tutte le
funzioni amministrative che riguardano la popolazione e il
territorio comunale, precipuamente nei servizi sociali e
nell'asseto del territorio per lo sviluppo economico”. Con
questa legge si da quindi inizio al decentramento
amministrativo che culminerà con l'approvazione della
Riforma costituzionale del 2001.
Ma quello che riguarda di più la partecipazione civica intesa
come istituto della democrazia, è il primo assunto: “ciò che è
di interesse generale è di interesse pubblico”. Implicitamente
si afferma che non ci può essere un interesse rilevante per la
società senza che questo sia occupato dal potere politico-
amministrativo. Questo assunto trova le sue radici nella teoria
fascista, incline alla statalizzazione di tutte le attività di
interesse generale. Tale concezione di Stato è rimasta in
auge fino all’affermazione del concetto di sussidiarietà
orizzontale.
La prima formulazione di sussidiarietà si rintraccia nella L.
59/1997, nella quale non solo si rivolge una particolare
attenzione al livello locale, ma vi è anche un’inedita
considerazione dei cittadini come soggetti che vogliono e
possono essere parte in attività di interesse generale, finora
monopolio della PA. In questa legge il principio di
sussidiarietà è il primo tra i principi fondamentali attraverso i
quali si dovranno conferire le funzioni e i compiti alle
amministrazioni 20.
20
"Legge 15 marzo 1997, n. 59" art 4 comma 3: Il principio di sussidiarietà, con l'attribuzione della generalità
dei compiti e delle funzioni amministrative ai comuni, alle province e alle comunità montane, secondo le
rispettive dimensioni territoriali, associative e organizzative, con l'esclusione delle sole funzioni incompatibili
con le dimensioni medesime, attribuendo le responsabilità pubbliche anche al fine di favorire l'assolvimento di
28
25. L'idea di restituire ai cittadini la libertà di assumersi la
responsabilità di tutto ciò che riguarda l'interesse della
comunità, è un idea antica del pensiero giuridico. Benvenuti
ipotizza una “demarchia” in cui si passa da libertà garantita a
libertà attiva. In questo modello, il cittadino non demanda più
ad altri la soddisfazione dei propri bisogni, ma si impegna
direttamente, decide e sceglie collaborando con il potere
pubblico 21.
Una seconda formulazione di tale principio è data nella L.
265/1999 22. Al comma 5 dell'articolo 2 si legge che “I comuni
e le province sono titolari di funzioni proprie e di quelle
conferite loro con legge dello Stato e della regione, secondo il
principio di sussidiarietà. I comuni e le province svolgono le
loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere
adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei
cittadini e delle loro formazioni sociali".
La L. 328/2000 costituisce la terza formulazione del principio
in oggetto. All'articolo 5 (ruolo del terzo settore) si afferma
che Per favorire l'attuazione del principio di sussidiarietà, gli
enti locali, le regioni e lo Stato, nell'ambito delle risorse
disponibili in base ai piani di cui agli articoli 18 e 19,
promuovono azioni per il sostegno e la qualificazione dei
soggetti operanti nel terzo settore anche attraverso politiche
formative ed interventi per l'accesso agevolato al credito ed ai
fondi dell'Unione europea.
funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità, alla autorità
territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati
21
Di fatti nelle leggi prima citate si invoca non solo la maggiore prossimità o vicinanza della PA ai cittadini, ma
anche ove è possibile, l'immedesimarsi della PA nelle formazioni sociali. Quindi la sussidiarietà va intesa come
prossimità, e non c'è ambito più vicino ai cittadini che i cittadini stessi
22
Questa legge sostituisce integralmente l'art.2 della legge 142/1990, (oggi recepito dalla legge 267/2000
29
26. Infine, nel 2001 con la Riforma costituzionale dell'articolo 118,
la sussidiarietà trova la sua formulazione definitiva. I primi
due commi descrivono una relazione (verticale) istituzionale
in cui si definisce la logica fondamentale per la suddivisione
della potestà amministrativa, e uno dei principi di riferimento
per questa suddivisione è quello della sussidiarietà. Ma è il
comma quattro ad essere il più importante ai fini della nostra
analisi: “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e
Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli
e associati, per lo svolgimento di attività di interesse
generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. All'interno
del quarto comma come possiamo notare vi sono tre precise
coordinate strutturali relative al concetto di sussidiarietà.
• I soggetti della relazione: da una parte le istituzioni
territoriali, dall'altra i cittadini singoli e associati.
• L'oggetto della relazione: cioè lo svolgimento di attività di
carattere generale.
• Il principio che regola la relazione: cioè la sussidiarietà.
La norma del quarto comma prescrive quindi sia che
l'amministrazione deve attivarsi affinché il principio si affermi,
sia che l'iniziativa dei cittadini sia autonoma e riferita ad
attività di interesse generale.
Parte della dottrina giuridica interpreta tale norma secondo la
sua accezione negativa, cioè la PA deve astenersi da ogni
intervento sostitutivo nei confronti dei soggetti privati che
dimostrino di avere capacità di svolgere le attività che hanno
preso o possono prendere in carico.
30
27. Nella norma si legge inoltre che gli enti amministrativi
favoriscono l’autonoma iniziativa; se s’intende il termine
“favoriscono” nel senso di dover favorire, quello di favorire è
dunque un vincolo costituzionale e non un obiettivo possibile.
Ciò implica il dovere per lo Stato e per tutti gli enti pubblici di
adottare tutte le misure sia organizzative che di azione
necessarie a rendere possibile per i cittadini lo svolgimento di
attività di interesse generale.
Per quanto riguarda l'espressione cittadini singoli e associati
pare che la norma voglia mettere in risalto il tratto
dell'appartenenza delle persone a un sistema istituzionale,
sociale ed economico, e quindi il loro dovere di partecipare
alla costruzione della comunità in cui vivono. La sussidiarietà
quindi dà al cittadino la possibilità di costruire e non più
delegare la cura di tutti gli interessi condivisi dalla sua
comunità. Quindi si suppone l’esistenza di una nuova
cittadinanza che collabori e comunichi costantemente con la
PA nell'intento di proseguire l'azione amministrativa in spazi
che altrimenti rimarrebbero deserti. Per cittadini associati
s’intende quindi il terzo settore, che è quel soggetto capace di
aggregare istanze rimaste inespresse non altrimenti
rappresentate. Ma il terzo settore non deve sostituire la
capacità di partecipazione del singolo, altrimenti si tratterebbe
comunque di delega.
La locuzione autonoma iniziativa usata nel testo della norma
in primo luogo sollecita l'idea che l'attività di interesse
generale da parte dei cittadini deve avvenire spontaneamente
nello spirito della solidarietà sociale, quindi nega la possibilità
di qualsiasi forma di retribuzione diretta e piena.
31
28. Infine, la frase attività di interesse generale è quella che rileva
maggiore complessità e che ha prodotto maggiori
fraintendimenti. Si ritengono di interesse generale tutte quelle
prestazioni di beni e di servizi che sono mosse da uno spirito
solidale da parte del soggetto erogatore, capaci di rispondere
ai bisogni socialmente ed economicamente rilevanti,
individualmente non raggiungibili. È questo il caso del
volontariato e di tutta l'attività guidata da spirito di solidarietà.
1.6 La comunicazione pubblica
A detta di molti, sia la qualità della partecipazione civica - e
quindi della sussidiarietà - sia la qualità della trasparenza
amministrativa, sono proporzionali alla qualità della
comunicazione pubblica che un’istituzione riesce ad
assicurare. Per partecipare ad un tavolo di contrattazione è
necessario che l'amministrazione comunichi le proprie
intenzioni ai cittadini; per essere trasparenti è necessario,
oltre alla tutela propedeutica del diritto di accesso, che
l'amministrazione comunichi sia i propri obiettivi, sia le proprie
decisioni, sia il fallimento o il successo di un'attività.
Insomma, la comunicazione pubblica assume un ruolo
strategico nella nuova concezione di PA 23.
La comunicazione pubblica in Italia si è sviluppata
inizialmente a livello locale, tra gli anni ’50 e ‘60, in un’ottica
propagandistica dell'amministrazione. La comunicazione
allora si risolveva nell'elogio da parte dell'addetto stampa dei
23
Si veda, a riguardo, l’opinione di: Grandi, La comunicazione pubblica, 2001; Rovinetti, comunicazione
pubblica sapere e fare, 2006
32
29. successi conseguiti dall'ente. Solo all’inizio degli anni '60,
quando l'ambito di azione comunale viene ampliato
(istruzione, urbanistica, economia, sicurezza sociale), gli uffici
stampa hanno iniziato a svolgere una funzione di formazione
e informazione; l'ufficio stampa è così diventato strumento di
conoscenza e mezzo capace di migliorare i rapporti fra
amministratori e amministrati. Negli anni '70 24, con l'avvio del
processo di decentramento amministrativo e con l'adozione
del concetto di partecipazione come modus operandi per
l’azione governativa, la comunicazione - almeno su carta – ha
acquistato un ruolo centrale nel realizzare concretamente il
processo partecipativo.
Ma solo negli anni '80 la comunicazione locale si configura
all'interno di un processo più grande di comunicazione
pubblica, intesa come il diritto dei cittadini ad essere informati
sull'operato dell'amministrazione. Infatti in questi anni i
professionisti dell'informazione 25, soprattutto a livello locale,
iniziano a chiedersi quanto siano efficaci i periodici editi dalle
istituzioni pubbliche, lo strumento principale usato per
informare e comunicare con l'esterno. Questi periodici si
ponevano come scopo di riempire uno spazio vuoto lasciato
colposamente vuoto dagli organi di informazione che operano
nel cosiddetto mercato e di costruire strumenti di democrazia
e partecipazione, avvicinando i cittadini alla vita
amministrativa. Ma tali strumenti si rivelano di fatto incapaci
di informare e comunicare col cittadino e quindi renderlo
realmente partecipe della vita amministrativa. Il fallimento dei
periodici è causato da una totale assenza della cultura
24
n questo anno vennero istituiti i consigli regionali
25
Mi riferisco alla ricerca "enti locali e informazione nella regione Emilia-Romagna" commissionata dalla Lega
regionale delle autonomie dell'Emilia-Romagna a un gruppo di lavoro composto da Cesareo, Grandi, Silato,
Wolf
33
30. dell'informazione all'interno delle PA locali. Infatti spesso
questi periodici tendevano a diventare strumenti per fornire
una tribuna da cui parlare ad amministratori e politici locali.
Preso atto di questa deriva, i responsabili degli enti locali
chiamati a esprimersi a riguardo propongono due nuovi modi
di fare comunicazione: produrre bollettini locali, più agili e
puntuali rispetto ai periodici; e abolire le pubblicazioni dirette
degli enti locali per incanalare le informazioni sui mezzi
stampa già esistenti.
Nel frattempo in Emilia-Romagna 26 iniziano anche i dibattiti
riguardo la professionalità degli addetti alla comunicazione e
l’autonomia redazionale che questi devono avere nei
confronti del potere politico-amministrativo. Dalle
considerazioni fatte e raccolte all'interno della ricerca Enti
locali e informazione nella regione Emilia-Romagna, si
definiscono gli obiettivi di quella che venne indicata come la
politica e la strategia dell'ente locale nel campo
dell'informazione: informare, informarsi, favorire la produzione
e circolazione di informazione sul territorio 27. L'informazione
dei cittadini deve essere considerata un vero e proprio
obbligo istituzionale; in nome della trasparenza i cittadini
devono essere informati puntualmente sulle motivazioni delle
decisione prese, il parere delle opposizioni. La PA deve
quindi indicare, descrivere e mettere pubblicamente in
discussione i diversi elementi che concorrono alla
formulazione delle decisioni, i problemi e le loro motivazioni.
Quindi un netto passo in avanti rispetto all'opacità
amministrativa, rispetto alla cattiva circolazione delle
informazioni e alla bassa considerazione che la trasparenza
26
Rappresentava l’eccellenza italiana nel campo dell’informazione comunicazione pubblica
27
R. Grandi, Comunicazione pubblica. Teorie, casi, profili normativi
34
31. aveva fino a questo momento all'interno della PA. Secondo le
considerazioni raccolte, inoltre, la PA deve prevedere gli
strumenti deputati all'ascolto dei cittadini per far si che la
possibilità che uno strumento destinato a diffondere
l'informazione dell'ente locale ai cittadini, possa anche servire
a portare informazione all'ente locale e a portare dati e
conoscenza sulla vita della comunità 28. Dunque, nell’ottica di
favorire e diffondere la circolazione di informazioni sul
territorio, si inizia anche a pensare alla tecnologia, alle
possibilità e alle problematiche che l'adozione di sistemi
telematici avrebbero portato all'interno dell'ente locale 29.
Fino a questo momento la comunicazione sembrava non
essere un problema dello stato centrale, infatti lo scarto che
vi era fra le modalità con le quali queste problematiche erano
affrontate a livello locale e a livello nazionale deponeva
sicuramente a favore del primo livello. Ma grazie alle
discussioni e alle ricerche sull'informazione istituzionale
partite a livello amministrativo locale, alcune questioni inerenti
la comunicazione dopo poco entrano a far parte dell'agenda
politica nazionale. In particolare, si discute su quali devono
essere gli “strumenti di esternazione”, quali gli obiettivi da
conseguire, quali devono essere le professionalità dei
mediatori informativi.
Quindi negli anni '80, anche grazie all'interesse generale
creatosi intorno alla comunicazione e i mass media, iniziano i
primi dibattiti a livello nazionale su quale fosse il vero
obiettivo dell'ufficio stampa di un'istituzione pubblica. Si
distinguono due correnti di pensiero: la prima crede che il
28
Ibidem.
29
Mi riferisco al rapporto di Giuseppe Richeri sull’adozione da parte degli enti locali francesi di tecnologie
informatiche; redatto nell'ambito della ricerca "Enti locali e informazione nella regione Emilia-Romagna
35
32. compito dell'addetto stampa si esaurisca nel fare comunicati
e soprattutto farli pubblicare; la seconda invece ritiene che i
veri destinatari dell'ufficio stampa siano i cittadini. Rovinetti,
appartenente alla seconda scuola di pensiero, traccia uno
scenario sociale mutato, caratterizzato dall'emergere di
nuove necessità e quindi di nuovi compiti all'interno di quella
che era una funzione di supporto dell'attività degli enti locali,
da realizzarsi con un'azione interna (agendo come struttura di
collegamento fra le diverse articolazioni aziendali) ed una
esterna (dando un'immagine complessiva dell'ente,
mantenendo spazi autonomi di conoscenza, aprendo nuovi
canali informativi con la società civile) 30. In particolare
Rovinetti sottolinea la necessità di progettare l'informazione,
per creare un rapporto equilibrato fra cittadini,
amministrazione e mass media; di creare una nuova cultura
dell'informazione, per considerare le notizie in maniera più
critica; di veicolare un immagine coordinata dell'azienda.
Sostanzialmente ci si rende conto che la sola struttura
dell'ufficio stampa risulta insufficiente a svolgere una
comunicazione “totale” nella quale i destinatari non erano più
solo i giornalisti ma anche e soprattutto i cittadini. Proprio per
soddisfare questo nuovo bisogno nella quasi totalità degli
statuti regionali viene riconosciuto il diritto ad essere informati
e ad informarsi, e quindi gli stessi enti locali iniziano a
preoccuparsi del come attuare tale disposizione. Come prima
cosa vengono regolamentati gli uffici stampa, e in molti statuti
regionali viene previsto un finanziamento del sistema
radiotelevisivo ed editoriale locale; mentre in casi eccezionali
come quello di Bologna, si arriva ad aprire un centro di
30
Rovinetti, Comunicazione pubblica, sapere e fare
36
33. informazione comunale, in cui la comunicazione era
considerata un vero e proprio servizio.
A livello nazionale uno dei primi impulsi legislativi che
riguardano - anche se marginalmente - la comunicazione
pubblica è l'emanazione della Legge 5 agosto del 1981 n.
416 (recante la disciplina per le imprese editrici e provvidenza
per l'editoria). Questa legge, approvata per ostacolare la
formazione di concentrazioni editoriali dominanti e
regolamentare l'aiuto finanziario pubblico all'industria
editoriale, prevede all'articolo 13 alcuni obblighi per le
amministrazione pubbliche in materia di comunicazione
pubblicitaria. Questo articolo decreta un doppio obbligo e un
divieto: obbliga le PA a destinare una quota dei fondi inscritti
a bilancio per la pubblicità “alla pubblicità sui giornali,
quotidiani e periodici” in una percentuale non inferiore al
70%, e a comunicare al garante per l'editoria tutte le
erogazioni pubblicitarie dei singoli esercizi finanziari anche se
negative 31, insieme al divieto di fornire qualsiasi altro
contributo ai giornali in forme diverse da quelle previste da
questo articolo. Pur avendo nobili obiettivi, la L. 416/81 mette
la PA in una condizione di subordinazione rispetto alla carta
stampata. Di fatti alla PA rimane poco potere decisionale
sulla scelta dei canali di comunicazione per veicolare la
propria campagna pubblicitaria, correndo perennemente il
rischio che queste campagne non sortissero l'effetto
desiderato. E’ un chiaro segno della mancanza di un vero
interesse del legislatore rispetto alla comunicazione pubblica.
I limiti della 416/81 e soprattutto la disattesa applicazione
dell'obbligo di comunicare al garante le erogazioni
31
Che è divenuto poi garante per la radiodiffusione ed editoria
37
34. pubblicitarie, inducono perciò il legislatore a promulgare
un’altra legge, la L. 67/1987 con funzioni di rinnovo e
precisazione della precedente. I punti su cui questa legge
dimostra continuità con l'altra si riferiscono sia all'obbligo di
pianificare la pubblicità sui quotidiani (però passando dal 70%
al 50%), sia all'obbligo di istituire nei bilanci un capitolo
dedicato alle spese pubblicitarie, sia al divieto di qualsiasi
altra forma di finanziamento. Le novità portate da questa
legge, invece, riguardano alcune iniziative specifiche come: la
costituzione del primo organo misto istituito dal governo per
coordinare gli interventi di comunicazione pubblicitaria
pubblica; l'obbligo per le amministrazioni interessate di
presentare entro sessanta giorni dall'approvazione del
bilancio dello Stato progetti di massima sulle campagne
pubblicitarie da fare; l'istituzione di un fondo costituito dal
20% delle somme stanziate da tutte le amministrazioni statali
nel capitolo di bilancio, da assegnare a progetti
“motivatamente prescelti”; l'obbligo per una serie ampia di PA
di pubblicare i propri bilanci su almeno due quotidiani locali di
larga diffusione, su un quotidiano nazionale e su un periodico
(in questo modo il finanziamento all'editoria era motivato da
una certa trasparenza contabile). Pur condividendo il
pensiero di Contaldo riguardo al legislatore, che ha iniziato a
guardare in un ottica più adeguata il quadro dei bisogni di
comunicazione delle istituzioni in generale”, rimane qualche
dubbio sul fatto di “evitare che la comunicazione pubblica
diventi un mezzo per garantire provvidenza alle aziende
editoriali. Infatti, anche se è vero che la percentuale di spesa
da destinare alla pubblicità sui quotidiani viene diminuita, tre
anni dopo, con la legge 223/1990 si obbligano le
amministrazioni statali e gli enti non territoriali a riservare il
38
35. 25% della spesa pubblicitaria stanziata a bilancio alla
pubblicità sulle reti radiofoniche e televisive private che
operano sul territorio 32.
Inoltre anche l'obbligo della pubblicazione del bilancio sui
periodici, quotidiani locali e nazionali, in realtà non ha portato
alla trasparenza desiderata. Infatti, la PA si limita a riportare
integralmente il bilancio, senza preoccuparsi della sua
accessibilità, cioè della leggibilità e della comprensibilità del
testo. I responsabili della pubblicazione non usufruiscono
della possibilità di accompagnare il bilancio con delle note
esplicative o con una breve sintesi riassuntiva per renderlo
più comprensibile, ma si limitano ad una notarile ricezione del
provvedimento. Il fallimento della pubblicazione del bilancio
come strumento per perseguire la trasparenza si può
ascrivere alla totale assenza di una cultura della
comunicazione all'interno della maggioranza delle PA.
L'inversione di tendenza si ha negli anni '90, quando la
comunicazione pubblica cessa di essere un veicolo di
finanziamenti pubblici all'editoria e inizia a diventare
strategica per la fase di ammodernamento e apertura della
PA nei confronti dei cittadini. Come già accennato nel primo
paragrafo, questo decennio è contraddistinto da una
produzione normativa tesa a modificare il rapporto di
sudditanza dei cittadini nei confronti dell'amministrazione
pubblica. La legge 142/1991 (recante l’ordinamento delle
autonomie locali) stabilisce l'obbligo per province e comuni di
dotarsi di un proprio statuto che contempli anche il diritto
all'informazione dei cittadini e disponga le forme di accesso e
partecipazione ai procedimenti amministrativi. Questa legge
32
Con la L. 7 agosto 1990 n. 250, invece, le emittenti televisive vengono equiparate ai quotidiani e ai periodici
39
36. legittima i cittadini singoli e associati come interlocutori
paritari dell'amministrazione, degni di partecipare ad ogni
processo decisionale che li riguarda. È nel primo comma
dell'art. 6 che si può leggere il definitivo cambiamento del
rapporto fra cittadini e PA: i comuni valorizzano le libere
forme associative e promuovono organismi di partecipazione
popolare all'amministrazione locale, anche su base di
quartiere o di frazione. I rapporti di tali forme associative con
il comune sono disciplinati dallo statuto. Ancora nell'art. 6 e
nel successivo art. 7 si precisano le forme di partecipazione
dei cittadini, i quali hanno il diritto di: accedere liberamente
alle strutture, ai servizi agli atti amministrativi e
all'informazione di cui è in possesso l'amministrazione;
essere consultati dalla PA; promuovere petizioni, istanze,
proposte dirette a promuovere interventi per la migliore tutela
di interessi collettivi; promuovere referendum consultivi;
pubblicità per tutti gli atti dell'amministrazione comunale e
provinciale ad eccezione di alcuni; individuazione dei
responsabili del procedimento; chiedere informazioni sullo
stato dell'arte dei procedimenti e degli atti.
Inoltre, la L. 142/91 è la prima a parlare di separazione fra le
funzioni di indirizzo e controllo e quelle gestionali; si inizia a
parlare così della professionalità degli operatori nella PA a
livello nazionale. Infatti, con la concessione data ai comuni di
dotarsi di un proprio statuto e quindi di auto-organizzarsi, la
legge ha di fatto permesso alle amministrazioni locali di
dotarsi di modalità organizzative proprie delle aziende
private. Ma - come ben sappiamo - non è la sola legge che
realizza il cambiamento; infatti gli statuti verranno promulgati
dagli enti locali con una notevole lentezza, probabilmente
40
37. causata dall'effettiva mancanza di volontà da parte degli
apparati politici. Anche laddove gli amministratori si dotano di
strumenti che permettano l'accesso agli atti amministrativi e
che rendano più concreta l'istanza di partecipazione,
attraverso l’istituzione di uffici dedicati al cittadino, non si
realizza una reale innovazione; piuttosto questi proto-uffici
per la relazione con il pubblico in realtà sono solo
l'adempimento della legge.
A distanza di quasi due mesi dall'approvazione della L.
142/1991, viene promulgata e adottata un’altra legge, tesa
anch’essa a ristrutturare la PA sulla base dei principi di
efficienza, economicità, pubblicità, partecipazione: si tratta
della L. 241/1990, recante nuove norme in materia di
procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai
documenti amministrativi. Questa legge, oltre a regolare
ulteriormente i rapporti fra cittadini e PA, ha dato maggiore
concretezza agli istituti di partecipazione e accesso previsti
dalla precedente L. 142/1990. Si propone infatti di dare
attuazione ai criteri di partecipazione attraverso disposizioni
che garantiscono: la partecipazione al procedimento
amministrativo; la trasparenza amministrativa; l'accesso ai
documenti in possesso dell'amministrazione; un limite
temporale massimo per la conclusione di un procedimento
amministrativo; l'obbligo di motivazione di un procedimento
amministrativo; il principio di consensualità.
Questa legge - definita da Gregorio Arena di rango
costituzionale, segna il passaggio da una concezione di PA
chiusa, autoreferenziale, discrezionale e opaca, ad una
concezione di PA che fa della trasparenza e della
partecipazione i suoi punti cardine.
41
38. Per far si che chiunque vi abbia interesse per la tutela di
situazioni giuridicamente rilevanti possa prendere visione dei
documenti amministrativi è necessario che ci sia un ufficio
non solo preposto a questa funzione ma anche a tutte le altre
che prevedono la relazione con il cittadino. Vale a dire che
per far accedere ai documenti e far partecipare il cittadino alla
fase istruttoria del procedimento amministrativo è necessaria
la presenza di un organo che informi e guidi “l'interessato”
all'interno della selva burocratica.
Dopo i già citati primi tentativi andati a male, tra la metà del
1992 e la fine del 1994 il legislatore disegna un quadro
normativo atto a rendere effettivo lo sviluppo in materia di
informazione e partecipazione promesso dalle legge
142/1990 e 241/1990. Con il D.P.R 352/1992 all'articolo 6,
per la prima volta si sente parlare di “ufficio per le relazioni
con il pubblico”: Le singole amministrazioni valutano altresì
l'opportunità di istituire un ufficio per le relazioni con il
pubblico e comunque individuano un ufficio che fornisca tutte
le informazioni sulle modalità di esercizio del diritto di
accesso e sui relativi costi.
Quindi, si parla di opportunità e non di obbligatorietà di
istituire un Urp; solo dopo sette mesi, con il dlsg 29/1993 si
definisce in maniera ancora più precisa il riassetto
organizzativo della PA, e si rende obbligatorio l'istituzione di
un Urp. Questo decreto si pone come obiettivo il portare tutte
le amministrazioni ad un livello minimo di attuazione dei nuovi
principi amministrativi; infatti questa disposizione di legge è
destinata a tutte le amministrazioni dello stato: dagli istituti
scolastici, agli istituti autonomi, case popolari, passando per
le comunità montane. Nell’ottica di realizzare gli obiettivi di
42
39. economicità, speditezza e rispondenza al pubblico interesse,
è dunque necessario che gli Urp fossero dotati di strumenti
per organizzare e svolgere sia una comunicazione interna
(per collegare e armonizzare l'attività di tutti gli uffici della
PA), sia di una comunicazione esterna per attuare il principio
di trasparenza amministrativa in funzione dell'esigenza
dell'utente. Finalmente si è compreso il valore della
comunicazione pubblica, che non può essere considerata un
mero optional amministrativo, ma deve anzi essere intesa
come l'unico viatico possibile per far affermare come norma
la trasparenza e la partecipazione.
Parallelamente alla scoperta della comunicazione come
elemento strategico, inizia a farsi largo l'idea che le modalità
in cui si effettuano le prestazioni amministrative devono
ispirarsi al principio della soddisfazione dei bisogni del
cittadino. Per soddisfare i bisogni bisogna prima individuarli
concretamente, quindi l’ascolto acquista un valore
fondamentale: si palesa per la prima volta la necessità di
ricevere dai cittadini informazioni e valutazioni sui servizi
offerti dalla PA.
All'articolo 12 del D.L 29/1993 si elencano in maniera
dettagliata sia gli obiettivi da raggiungere, sia le modalità con
le quali raggiungere gli obiettivi. Nel secondo comma di
questo articolo infatti si legge che gli URP anche mediante
l'utilizzo di tecnologie informatiche devono provvedere: al
servizio per l'utenza per i diritti di partecipazione,
all'informazione all'utenza relativa agli atti e allo stato dei
procedimenti, alla ricerca ed analisi finalizzate alla
formulazione di proposte alla propria amministrazione sugli
aspetti organizzativi e logistici del rapporto con l'utenza.
43
40. Inoltre al terzo comma si fa riferimento al tipo di personale da
assegnare a questo ufficio, che sarà qualificato, capace di
relazionarsi con il pubblico; mentre al quarto comma si fa
riferimento alla comunicazione di pubblica utilità" come
attività necessaria da svolgere.
Ma è con la direttiva del 11/10/1994 che tutta l'attività dell'Urp
viene definita e precisata in relazione alle finalità, alle attività
e all'organizzazione. Ciò che appare evidente da subito è il
tentativo di qualificare gli obiettivi dell'urp come una doppia
apertura nei confronti dell'esterno: si veicolano informazioni ai
cittadini/utenti, ma si veicolano anche informazioni dai
cittadini/utenti all'interno della struttura, che si trova quindi
nella necessità di modificare la propria identità fino ad allora
non-comunicante e autoreferenziale". Le finalità individuate
sono: dare attuazione al principio della trasparenza
dell'attività amministrativa; dare attuazione al diritto di
accesso alla documentazione amministrativa e ad una
corretta attuazione"; "rilevare sistematicamente i bisogni ed il
livello di soddisfazione dell'utenza per i servizi erogati;
proporre adeguamenti e correttivi per favorire
l'ammodernamento delle strutture, la semplificazione dei
linguaggi, e l'aggiornamento delle modalità con cui le
amministrazioni si propongono all'utenza. Inoltre la stessa
direttiva indica anche come organizzare l'Urp in modo che la
collocazione fosse ubicata in locali individuabili, accessibili,
facili da raggiungere, anche con i trasporti pubblici; le
modalità di accesso (fisico e non) fossero non solo note ma
adottassero un orario di ricevimento che si estendesse alle
ore pomeridiane; il personale fosse altamente competente in
relazione alla conoscenza dell'organizzazione a cui
44
41. apparteneva, all'accoglienza del pubblico e all'utilizzo di tutti i
sistemi tecnologici attraverso i quali vengono veicolate le
informazioni. Poiché si richiede lo svolgimento di nuovi
compiti, sono pure necessarie nuove professionalità, per
questo motivo la circolare del ministro della funzione pubblica
21/04/1995 n.14 include la formazione del personale dell'Urp
tra gli interventi prioritari in materia. In particolare si fa
riferimento alla capacità dei dipendenti di operare in realtà
amministrative informatizzate; alle competenze proprie della
cultura del dato statistico; allo “sviluppo di profili di
managerialità capaci di progettare le attività.
Il capitolo URP si chiude per il momento con l'approvazione
della legge 7 giugno 2000, n. 150 Disciplina delle attività di
informazione e di comunicazione delle pubbliche
amministrazioni. L'intento di questa legge è quello di definire
le professionalità della comunicazione e di suddividere e
assegnare compiti e obiettivi ben precisi alle tre strutture della
comunicazione amministrativa. Con questa legge “si indicano
in modo preciso le funzioni fondamentali che vanno
ricondotte all'interno di questa disciplina; inoltre si elencano
una “serie di strumenti attraverso i quali le azioni informative
vanno organizzate e gestite (pubblicità, fiere, reti civiche ecc).
L'articolo 4 invece è riservato al tema della formazione
professionale di chi già opera nelle istituzioni per formare una
leva di comunicatori pubblici.
Ma forse una delle innovazioni più importanti portate da
questa legge è la divisione dei compiti di informazione e
comunicazione: le due attività vengono assegnate a due uffici
con competenze e professionalità diverse, rispettivamente
all’ufficio stampa e all’Urp. All'articolo 7, 8 e 9 della presente
45
42. legge si definiscono quindi – rispettivamente - il ruolo del
portavoce, dell'ufficio stampa e del URP. I primi due come
target hanno il sistema informativo dei media; con la
differenza che il portavoce ha un approccio politico che tende
alla parzialità a favore del partito di appartenenza, mentre
l'ufficio stampa dovrebbe avere un approccio più istituzionale,
che tende all'imparzialità. L'attività di comunicazione verso i
cittadini, invece è destinata all'urp, i quali pur mantenendo i
tradizionali compiti loro assegnati dalle precedenti
disposizioni, vengono posti al centro di un sistema di
comunicazione più complesso e articolato. Innanzitutto va
detto che con l'approvazione di questa legge, il responsabile
dell'urp sarà una nuova figura professionale, il comunicatore
pubblico, il quale deve avere dei titoli di studio ben precisi. Al
comunicatore pubblico vengono assegnati perlomeno tre
obiettivi: promuovere l'adozione di sistemi di interconnessione
telematica; attivare, anche attraverso la comunicazione
interna processi di verifica della qualità e del gradimento dei
servizi da parte dei cittadini; coordinare le reti civiche.
Insomma la legge 150/2000 si propone di: dare piena e
definitiva legittimazione della comunicazione in un sistema,
quello pubblico nato e cresciuto nel silenzio e nel segreto
d'ufficio 33; e di riconoscere la comunicazione come uno degli
elementi qualificanti di un nuovo sistema di relazioni paritarie
tra amministrazioni e cittadini”. Ma allo stesso tempo in molti
parlano di occasione sprecata in quanto la presente
disposizione non ha sortito gli effetti sperati. Rovinetti per
esempio parla di una legge approvata dal parlamento e non
applicata dalla Pubblica Amministrazione, basandosi su
33
Rovinetti, comunicazione pubblica sapere e fare
46
43. alcune ricerche quantitative - come quella effettuata
all'interno del progetto nazionale “urp degli urp”, o come
quella promossa dall'università Iulm di Milano insieme al
dipartimento della funzione pubblica (2000-2004) – in cui si
dimostra che gli uffici relazione con il pubblico sarebbero stati
adottati approssimativamente solo dalla metà delle PA
interessate. Insomma la legge è stata presa alla stregua di un
mero consiglio amministrativo.
Oltre alla bassa adesione alla legge, c'è da dire anche che
spesso le funzioni dell'Urp sono state attribuite solo
nominalmente, ma di fatto non vengono svolte e garantite ai
cittadini. Nicoletta Levi nota come ogni PA ha provveduto a
plasmare il proprio Urp in base alle caratteristiche del tessuto
socio-economico del territorio di riferimento, quindi non c'è un
URP uguale all'altro. In sostanza, ci sono diversi modelli di
Urp: il più diffuso è il modello sportello informativo che fa
riferimento alle due funzioni classiche di questo ufficio, cioè la
tutela dei diritti (di accesso e partecipazione) e l'informazione
del cittadino.
Altro modello dell'Urp è lo sportello polifunzionale, che nasce
dall'esigenza di sviluppare ulteriormente la politica
dell'accesso all'amministrazione. L'Urp si trasforma così in
una vera e propria reception dell'ente all'interno della quale
non solo è possibile ricevere informazioni, ma è possibile
anche accedere e iniziare un procedimento amministrativo,
eliminando quindi uno o più passaggi burocratici. Il core
business di questo modello è la semplificazione
amministrativa. Naturalmente l'evoluzione dell'Urp verso lo
sportello polifunzionale è un processo progressivo che può
avvenire solo poco alla volta, perché implica il riassetto
47
44. dell'intera organizzazione amministrativa. L'ultimo modello di
Urp rilevato è infine quello che soddisfa quanto disposto
all'art. 8 della legge 150/2000 secondo il quale le
amministrazioni affidano all'urp sia le funzioni di supporto alle
relazioni dell'organizzazione con i propri pubblici sia quelle di
supporto ai settori per la gestione delle attività e dei prodotti
di comunicazione. In sostanza l'urp di queste amministrazioni
svolge compiutamente sia il ruolo di line della comunicazione
(relazione interpersonale diretta tra gli operatori di sportello e
i cittadini) sia il ruolo di staff (gestione della comunicazione
interna ed esterna e ascolto degli utenti).
1.7 Le tecnologie della comunicazione a servizio della PA
Con il passare del tempo ci si è accorti che l'informatica è
uno strumento efficace ed efficiente per il raggiungimento di
tutti gli obiettivi amministrativi in materia di accesso,
trasparenza e partecipazione. Infatti, solo attraverso un
processo di informatizzazione della PA si può creare una rete
unitaria che metta in contatto le amministrazioni periferiche
con quelle centrali; che permetta lo scambio di dati e
documenti in nome dello snellimento burocratico. Il via al
processo di informatizzazione della PA, viene dato dal D.lgs
n.39 del 1993, nel quale si istituisce “l'autorità per
l'informatica nella pubblica amministrazione” (AIPA).
Il primo progetto coordinato dall’AIPA, inserito nella direttiva
del presidente del consiglio 5/09/1995, è la costituzione della
“rete unitaria per la pubblica amministrazione” (RUPA).
48
45. L'obiettivo di questa direttiva è garantire ad ogni utente che
operava sulla rete la possibilità di accedere [..] ai dati e alla
procedure residenti su tutti gli altri sistemi connessi,
indipendentemente dalle soluzioni tecniche adottate. Per fare
ciò, si rende necessaria un’infrastruttura telematica capace di
veicolare i dati in modo sicuro e creare dei programmi che
permettessero alle amministrazioni di usufruire dei dati e dei
servizi applicativi delle altre amministrazioni. Sempre nel
1995 viene inaugurata a Bologna la prima rete civica italiana,
“Iperbole”. Lo scopo della rete civica era quello di
incrementare la partecipazione dei cittadini alle attività
dell'ente locale attraverso innovazioni nel campo della
comunicazione. In particolare la PA attraverso Iperbole vuole:
aumentare la circolazione di informazioni locali fornite da una
pluralità di soggetti; incrementare la tipologia e la qualità dei
servizi proposti alla cittadinanza; rendere possibile e facilitare
il dialogo fra gli utenti e i fornitori del servizio; cercare di
abbattere le barriere socio-economiche che non permettono
un accesso generalizzato alla rete; promuovere dibattiti e
forum su temi di interesse locale, in modo da rendere effettiva
la partecipazione ai processi decisionali amministrativi.
Il discorso delle reti civiche va inquadrato nel più ampio
dibattito sul ruolo delle città nel processo di globalizzazione.
Si è arrivati alla conclusione che dal quel momento in poi ogni
azione che riguardasse la partecipazione e la comunicazione
fosse imprescindibile dall'uso di internet. La tendenza
pronosticata è quella dell'addensamento delle persone nelle
città più tecnologicamente avanzate, e ci si rende conto che
l'uso delle tecnologie della comunicazione è l'unica possibilità
che le persone hanno per non rimanere estromessi dal nuovo
49
46. ordine mondiale. Si va palesando l’idea che internet è l'unico
strumento che permette sia di “restringere il mondo”, sia di
rendere più facile e immediato il dialogo fra i diversi attori
territoriali. All’interno di questo dibattito Paola Bonora e
Alessandro Rovinetti credono nelle potenzialità della rete, ma
allo stesso tempo insistono sul fatto che senza
l'alfabetizzazione informatica dei cittadini, internet sarebbe
rimasto uno strumento dalle grandi potenzialità ma elitario;
insomma, nell’opinione di Bonora e Rovinetti il cablaggio
delle città dovrà essere accompagnato da una politica di
formazione dei cittadini all'uso delle nuove tecnologie.
Purtroppo la formazione dei cittadini in Italia è stata
discontinua e troppo spesso lasciata all'improvvisazione. Nel
2010 è stato presentato dalla “Nokia Siemens Network” il
rapporto “connectivity scorecard” 34, realizzato dalla
“Haskayne School of Business della University of Calgary”.
Lo studio misura il livello di connettività di un paese in base
alle infrastrutture e all’utilizzo delle tecnologie da parte dei
cittadini, delle imprese e dell’apparato statale. L'Italia si è
posizionata ultima tra i paesi membri del G8 e ventiduesima
tra i 25 paesi economicamente più avanzati. Dal rapporto
emerge che il 58% della popolazione italiana non ha mai
utilizzato Internet, e dunque non ha mai navigato sul web per
informarsi, fare acquisti tramiti siti di e-commerce, gestire
conti correnti on line, utilizzare social network e via dicendo. Il
parere di Giuseppe Donagemma 35 è che il ritardo in classifica
dell’Italia rispetto alle altre nazioni è dovuto al peggioramento
di alcuni parametri analitici, quali l’utilizzo delle tecnologie da
34
Link del documento http://bit.ly/cpILuG
35
capo della regione WSE (West and South Europe) di "Nokia Siemens Network”
50
47. parte del consumatore finale e la carente alfabetizzazione
digitale.
Ma nonostante la mancanza di cultura digitale, anche in Italia
si parla da anni di città digitali e di comunità virtuali, ossia un
insieme di persone interessate ad un determinato argomento,
o con un approccio comune alla vita di relazione, che
corrispondono tra loro attraverso una rete telematica come
internet, costituendo una rete sociale con caratteristiche
peculiari. Infatti tale aggregazione non è necessariamente
vincolata al luogo o paese di provenienza; essendo infatti
questa una comunità online, chiunque può partecipare
ovunque si trovi con un semplice accesso alle reti. In una
comunità reale, nella quale i cittadini presiedono con
competenza lo spazio virtuale del web, è lecito auspicare una
città digitale, cioè la fase successiva alla rete civica “uno
strumento per cambiare la città [..] che non fornisce servizi
quali duplicato elettronico per prodotti esistenti ma servizi
progettati sulle caratteristiche strutturali del mezzo
(cangianelli 97 p.120). Vale a dire uno strumento capace di
semplificare ulteriormente la burocrazia amministrativa, di
semplificare il recupero e la circolazione di informazioni, di
ampliare la rete di contatti e di relazioni di ogni persona, ma
soprattutto capace di far conoscere e promuovere le iniziative
dell'amministrazione sia in termini di servizi che in termini di
marketing territoriale.
Ricapitolando, all'interno della PA moderna ci si è resi conto
del ruolo strategico che ha la comunicazione in tutta l'attività
amministrativa; il mondo della comunicazione pubblica a sua
volta si è reso conto della necessità di usare internet e tutte le
tecnologie dell'informazione. È opinione comune che dagli
51
48. inizi degli anni '00 il web “classico”, composto
prevalentemente da siti web statici, senza alcuna possibilità
di interazione con l'utente, si è evoluto; grazie a nuovi
linguaggi di programmazione, il web 2.0 permette uno
spiccato livello di interazione tra il sito e l'utente e non solo.
Infatti, attraverso social network, blog e forum, si passa
fondamentalmente dalla semplice consultazione (seppure
supportata da efficienti strumenti di ricerca, selezione e
aggregazione) alla possibilità di contribuire popolando e
alimentando il Web con propri contenuti.
Nel prossimo capitolo faremo una panoramica sulle modalità
di azione della PA all'interno del mondo virtuale creato dalle
applicazioni del web 2.0.
52
49. 2. Come il web 2.0 sta trasformando l'interazione tra
amministrazione e amministrato e quali sono i
vantaggi/svantaggi connessi
2.1. Pubblica amministrazione e web 2.0
Nell'era del web 2.0, anche le PA sono allettate dall'utilizzo
dei social network per costruire insieme ai cittadini nuove
forme di dialogo 36. Infatti, tramite gli strumenti web based, i
principi di trasparenza, efficacia ed efficienza dell'azione
amministrativa si rinvigoriscono e diventano ancora più
attuabili - grazie alla possibilità di stabilire una comunicazione
diretta e interattiva con la cittadinanza. Gli strumenti 2.0 sono
gratuiti, ma per sfruttarli appieno occorre personale
preparato, e dedicato in modo continuativo e specialistico alle
attività di social networking. La scelta di "esserci", infatti, deve
essere ponderata e preceduta da un'analisi che prenda in
considerazione diversi fattori: come gli obiettivi che si
vogliono raggiungere (cosa comunicare e a chi), le strategie
da mettere in atto (come comunicare e con quale grado di
interazione), gli strumenti da utilizzare (Facebook, Twitter,
Flickr, Youtube, o altri), quali risorse impiegare. Dunque,
senza un buon piano di comunicazione - pensato ad hoc per
questi strumenti - c'è il rischio per la PA che si cimenta nel
social networking di generare effetti inversi a quelli desiderati.
Creare un profilo pubblico su un qualsiasi social network e
poi gestirlo male o abbandonarlo, fa si che l'immagine che si
36
Stefano Rodotà, Tecnopolitica
53
50. comunica è quella di una PA incompetente e non
professionale, che ha deciso di presenziare gli ambienti web
2.0 solo per essere al passo coi tempi o per non essere da
meno rispetto ad altre PA.
Allora, se si decide di utilizzare gli strumenti 2.0, si decide
implicitamente anche di riorganizzare la struttura interna della
PA in questione, in modo da assecondare la nuova domanda
di comunicazione. Infatti, gli utenti del web 2.0 si aspettano
risposte immediate, perciò la risposta da parte della PA non
potrà attendere i tempi burocratici dell'azione amministrativa
(come delibere e autorizzazioni). Oltre ai cambiamenti che
intervengono sulla domanda di comunicazione da parte del
cyber-cittadino, la PA dovrà tenere in considerazione anche
alcune caratteristiche peculiari dell'ambiente 2.0. Innanzitutto,
il fatto che “il web non dimentica”: ciò che viene pubblicato è
fruibile da tutti e per tanto tempo, e soprattutto non è
controllabile da parte dell'autore. Inoltre ogni social network
ha una sua peculiarità e quindi uno scopo ben preciso:
quindi, i social non vanno gestiti tutti nello stesso modo. A
titolo d'esempio passiamo in rassegna le diverse
caratteristiche e il diverso utilizzo dei due social network più
popolari a livello mondiale: Facebook e Twitter.
Il primo si presta particolarmente bene alla costruzione di un
rapporto approfondito con i propri interlocutori, basato sul
dialogo, sulla partecipazione e sul confronto. Anzi, Facebook
rende possibile l'iper-interazione, consentendo la
37
condivisione di “status” , foto, video e commenti. Twitter,
meno popolare di Facebook in Italia, è un servizio di
37
Lo "status" è l'aggiornamento, (di solito con frasi che descrivono il proprio umore o con informazioni su un
determinato argomento) del proprio profilo facebook.
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