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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FOGGIA
DIPARTIMENTO DI ECONOMIA

CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN ECONOMIA AZIENDALE
TESI DI LAUREA
IN
Strategie e Politiche Aziendali

“Il ripensamento delle strategie competitive nel
settore televisivo locale a seguito del passaggio al
digitale terrestre: il caso Teledauna.”

Relatore:
Antonio Corvino

Laureanda:
Giorgia Palazzo

ANNO ACCADEMICO 2012/2013

1
INDICE
1. CONCETTI TEORICI DELL’ANALISI STRATEGICA
1.1. NOZIONI GENERALI: UNA VISIONE D’INSIEME
1.1.1. L’ORIENTAMENTO STRATEGICO DI FONDO
1.1.2. STRATEGIE DELL’OGGI E STRATEGIE DEL FUTURO

1.2. L’ANALISI STRATEGICA
1.2.1. LA STRUTTURA, IL PRODOTTO E IL SISTEMA COMPETITIVO
1.2.2. L’IMPRESA E L’AMBIENTE
1.2.3. LA POLITICA AZIENDALE: L’IDEA DI “SVILUPPO”

1.3. L’INNOVAZIONE E L’AZIENDA
1.3.1. IL VANTAGGIO COMPETITIVO E L’INNOVAZIONE
1.3.2. TECNOLOGIE PRODUTTIVE: ESPLORAZIONE E SFRUTTAMENTO
1.3.3. L’ INNOVAZIONE A SUPPORTO DEI PROCESSI DECISIONALI

1.4 STRATEGIE COOPERATIVE
1.4.1. ALLEANZE TRA IMPRESE: UNA PRIMA CLASSIFICAZIONE
1.4.2. INNOVAZIONE TECNOLOGICA E COOPERAZIONE TRA IMPRESE

2. IL SETTORE TELEVISIVO

2.1. NORMATIVA E STORIA DELLA TELEVISIONE IN ITALIA
2.2. L’AVVENTO DEL DIGITALE
2.2.1. IL DIGITALE TERRESTRE
2.2.2. LO SWITCH OFF
2.2.3. LE NOVITÀ TECNICHE IN MATERIA RADIOTELEVISIVA

2
2.3 ANALISI ECONOMICA DEL SETTORE
2.3.1. LE CINQUE FORZE DI PORTER
2.3.2. APPLICAZIONE DEL MODELLO DI PORTER AL “SETTORE TELEVISIVO”

3. CASO AZIENDALE: TELEDAUNA S.R.L.

3.1. LA STORIA
3.1.1. ORGANIGRAMMA DELLA STRUTTURA SOCIETARIA
3.1.2. LE UNITÀ OPERATIVE
3.1.3. UNO SGUARDO D’INSIEME SULL’OCCUPAZIONE NEL SETTORE TELEVISIVO
IN PUGLIA

3.2. EVOLUZIONE DEL SETTORE TELEVISIVO LOCALE
3.2.1. ASSEGNAZIONE DELLE FREQUENZE
3.2.2. CONSORZI TRA LE EMITTENTI
3.2.3. SOSTENTAMENTO ALLE EMITTENTI LOCALI

3.3. IL PRODOTTO TELEVISIVO
3.3.1. UN CONFRONTO TRA LE EMITTENTI LOCALI
3.3.2. UN MODELLO D’IMPRESA: TELEDAUNA S.R.L
3.3.3. ANALISI ECONOMICA DEL SETTORE TELEVISIVO
3.3.4. L’IMPORTANZA STRATEGICA DELLE RISORSE UMANE: L’AUTORE
TELEVISIVO.

4. CONCLUSIONI

3
INTRODUZIONE

La promozione e l’elaborazione di politiche di sviluppo delle piccole e medie
imprese televisive ha subito, negli ultimi anni, una profonda trasformazione da attribuire in
parte ad una legislazione in continuo divenire, ed in parte alla nascita del Sistema Digitale
Terrestre, una innovazione tecnologica epocale che ha ridisegnato le esigenze e le
prospettive di un comparto spesso considerato di nicchia. Il presente studio è il frutto di
una indagine condotta sulle emittenti televisive locali, attori del sistema economico le cui
potenzialità, in termini strategici, vengono spesso sottovalutate.
L’elaborato di presenta suddiviso in tre macroaree. Nel primo capitolo sono stati
approfonditi gli elementi strategici che configurano il sistema azienda, evidenziando le
peculiarità annesse all’utilizzo degli elementi che producono un vantaggio competitivo,
ponendo un accento sulle dinamiche evolutive delle imprese in relazione ai processi di
innovazione tecnologica.
Nel secondo capitolo ci si è addentrati nel sistema legislativo italiano, facendo un
excursus legislativo delle norme poste in capo alle emittenti televisive dagli anni ’90 sino
ad oggi. Sono state prese in esame le leggi i decreti e i regolamenti afferenti alla
regolamentazione in materia televisiva su base nazionale, sino ad arrivare a descrivere
l’intricata situazione normativa vigente che, in più di una occasione, pone le emittenti
locali in una posizione di svantaggio. Inoltre, nello stesso capitolo, è sviluppata la nascita
del Sistema Digitale terrestre, analizzando la storia del passaggio dal sistema analogico
quella digitale e le caratteristiche tecniche del sistema digitale.
Nel terzo capitolo, è sviluppato con attenzione il caso dell’emittente televisiva locale
Teledauna, facendo una attenta analisi sulla storia la struttura e l’organizzazione societaria
prima e dopo l’evoluzione del sistema di trasmissione. Il caso è supportato dai dati relativi
al settore televisivo delle emittenti locali pugliesi e si concretizza nello sviluppo e
nell’approfondimento delle problematiche legate al settore. Nelle conclusioni sono state
aggiunte alcune proposte strategiche sviluppate alla fine della trattazione.

4
Desidero ringraziare Teledauna nella persona di Antonio D’Antini per la
disponibilità concessami e tutto lo staff dell’emittente televisiva che mi ha fornito tutte le
informazioni necessarie per la stesura di questo elaborato.
Ringrazio inoltre il Prof. Antonio Corvino, relatore di questa tesi, per la grande
disponibilità e cortesia dimostratemi, e per tutto l’aiuto fornito durante la stesura.

5
CAP. 1 CONCETTI TEORICI DELL’ANALISI STRATEGICA

“Senza slanci di immaginazione e di fantasia, si perde
l'eccitazione dell'avere una possibilità. Sognare, dopo tutto, è una forma di pianificazione”
- Gloria Steinem -

1.1 NOZIONI GENERALI:UNA VISIONE D’INSIEME.
“La strategia dell’impresa è data dall’insieme delle scelte fondamentali (e dai
comportamenti che ne derivano) concernenti gli aspetti della sua struttura e del suo modo
di interagire con l’ambiente, [...] per il solo fatto che l’impresa esiste e quindi sceglie, essa
ha anche una strategia1.”
I primi studi di natura pionieristica sulla problematica strategica risalgono
sostanzialmente alla fase immediatamente successiva al secondo conflitto mondiale e
vanno considerati un classico esempio di evoluzione teorica a seguito di una profonda
trasformazione economica. Questa trasformazione nell’economia del paese era
rappresentata dall’emergere della grande impresa americana che si sviluppò a partire dalla
seconda metà del 1800.
Un primo effetto di questa profonda e radicale mutazione del modo di concepire
l’economia si ebbe nel 1933 con le elaborazioni dei modelli di concorrenza imperfetta di
Chamberlin e della Robinson. Successivamente lo studio delle strategie delle grandi
imprese si manifestò sia sul versante dell’industrial organization che su quello del
management: sul primo versante, gli studi di Mason (1939)2 e Bain (1956)3 portarono
all’elaborazione del modello “Struttura - Comportamento Risultati”; sul secondo versante
sono da segnalare gli studi fioriti ad Harvard attraverso l’analisi di casi aziendali e lo
sviluppo di un approccio di long range planning con il quale (inizialmente) si indicavano
1

Coda V., (1984), Sviluppo e Organizzazione, La valutazione della formula imprenditoriale, Milano, Vol.
82.
2
Mason E.S., (1939), American Economic Review, Price and production policies of large scale enterprise,
Pittsburgh, Vol. 29, pagg. 61-74.
3
Bain J.S., (1956), Harvard University Press, Barriers to New Competition: Their Character and
Consequences in Manifacturing Industries, Cambridge, Vol. 11, pag. 329.

6
gli studi di strategia (vedansi Ewing4, Payne5). Tuttavia le opere che hanno dato il maggior
impulso alla disciplina sono più tarde e fra queste segnaliamo: Chandler6 (1962), Ansoff
(1965)7, Sloan (1964), Learned et al. (1965), Porter (1980).8
Il termine “strategia” ha una storia assai antica che risale alla cultura greca nella
quale lo “stratega” aveva il ruolo di comandante dell’esercito, designato per le sue
particolari abilità di condottiero. Analogamente la strategia stava ad indicare l’arte militare
di vincere le guerre, mentre la “tattica” indicava l’arte militare di vincere le battaglie.
L’impostazione strategica, o strategia d’impresa, è un concetto variamente definito
dalla letteratura. Alcuni autori vi includono sia i fondamentali fini perseguiti che le
politiche intese a realizzarli, enunciati in modo tale da definire in quale business l’impresa
è o vuole essere. Altri invece assumono gli obiettivi di fondo come dati, e fanno della
strategia un concetto evocativo dei modi in cui l’impresa reagisce al suo ambiente e
dispiega le sue risorse in vista dei suoi fini. In realtà la questione sottende due modi di
concepire il processo formulativo della strategia e, conseguentemente, l’attività di governo
della medesima. In modo specifico ci riferiamo all’utilizzo del concetto di strategia
nell’accezione più “ristretta” del termine, ed una più “ampia”. Una visione strategica
“ristretta” non include i fini, che sottendono una elaborazione concettuale secondo cui
questi ultimi devono essere determinati prima dei mezzi intesi a realizzarli; fra i mezzi o
strumenti per raggiungere i fini si includono le scelte – cui viene riservato l’attributo di
“strategiche” – che si riferiscono al campo di attività in cui operare, il vantaggio
concorrenziale cui puntare, le sinergie e le competenze distintive da sviluppare. Per contro,
il concetto “ampio” di strategia, inclusivo dei fini perseguiti, sottende il convincimento che
fini e politiche volte a perseguirli non possono formularsi in modo separato, ma si
determinano congiuntamente in un processo unitario che definisce l’identità complessiva
dell’impresa sul triplice piano dei fini verso i quali l’attività aziendale è indirizzata, del
campo in cui si esplicano le direttive gestionali e le forme organizzative alle quali si

4

Ewing D.W., (1956), Harvard Business Review, Looking around: long-range business planning, Vol. 56,
n. 4, pagg. 135–146.
5
Payne B., (1957), Harvard Business Review, Steps in long-range planning, Vol. 35, n. 2, pagg. 95-101.
6
Chandlar A.D. Jr., (1962), The M.I.T Press, “Strategy and Structures: chapter in the history of the
American Industrial Enterprise”, Cambridge, Massacchutsets (trad. It. Strategia e Struttura: storia della
grande impresa Americana, Franco Angeli, Milano, 1976)
7
Ansoff H.I., (1965), Corporate Strategy, McGraw-Hill, New York (trad. It. Strategia Aziendale, Milano,
Etas Kompass, 1969)
8
Volpato G., (1986), Concorrenza, impresa, strategia, Bologna, Il Mulino, pag. 1.

7
uniforma. Le due concezioni anzidette implicano un sistema di decisioni gerarchicamente
ordinato. Nel primo caso, al livello più elevato, si collocano le decisioni riguardanti i fini e
gli obiettivi perseguiti cui sottendono le scelte strategiche. Nell’altro caso invece, al livello
più alto, si colloca l’elaborazione di una visione di fondo dell’impresa che via via si
specifica e si concretizza attraverso le scelte strategiche ai livelli sottostanti.

1.1.1. L’Orientamento Strategico di Fondo.
Alla luce delle considerazioni fatte, i due concetti di strategia presenti nella
letteratura aziendale ci inducono a preferire una nozione più ampia, in cui la strategia ci
appare come il modello di ricerca del successo imprenditoriale che l’impresa di fatto ha
adottato o che intende adottare, in cui, tale successo non è definito a priori, ma è la diretta
conseguenza dei processi messi in atto.
Così intesa, la strategia definisce l’identità effettiva o ricercata dell’impresa,
evidenziando che cosa essa fa o vuole fare; perché lo fa o lo vuole fare; come lo fa o come
lo vuole fare. E questa identità viene progressivamente a definirsi sia in termini di idee,
convinzioni, che di atteggiamenti configuranti l’orientamento strategico di fondo.
L’orientamento strategico di fondo (OSF) può definirsi, in prima battuta, come “la
parte nascosta e invisibile del sistema strategico che sta al di sotto delle scelte concrete
esplicitantisi nel profilo strategico visibile”9. L’OFS è un insieme di idee chiave radicate
negli attori dell’impresa e nelle aziende dalla forte natura coesiva nonché nel personale
tutto, nella struttura e nei meccanismi operativi. E queste idee possono avere radici così
profonde nella cultura di determinati soggetti e dell’impresa da essere operanti per così
dire a livello inconscio.
L’OSF si compone di un complesso di idee, valori e atteggiamenti distinti ma
interconnessi, nel quale, il “dove” e il “come” dell’agire d’impresa (a livello di orizzonti
spazio-temporali e di crescita quali-quantitava), disegnano una sorta di cornice entro cui si
precisano il “perchè” dell’agire medesimo, e il “come” a livello di filosofia organizzativa e
gestionale. Semplificando, l’orientamento strategico di fondo serve a capire qual è il
campo di attività verso cui l’impresa si sente vocata, quali sono i fini dell’agire aziendale, e

9

Coda V., (2004), L’orientamento strategico dell’impresa, Torino, Franco Angeli, pag. 25.

8
in che modo la filosofia gestionale e organizzativa incide sulle scelte. L’OSF (Figura 1.1) è
uno strumento utile per raccogliere i contributi della letteratura in tema di eccellenza
imprenditoriale, oppure in tema di crisi delle imprese, e a delineare i profili tipici di
eccellenza o di mediocrità imprenditoriale.

Figura 1.1 – Contenuti dell’”Orientamento Strategico di Fondo”
Orizzonte
temporale

Campo di
attività
Peso e significato del
risultato reddituale

Missione
aziendale

Ruolo nello sviluppo
economico locale

Utilità sociale
perseguita

Crescita dimensionale
perseguita

Sviluppo qualitativo
perseguito

Fonte – Adattamento da Coda V., (2004), L’orientamento strategico dell’impresa, Torino, Franco Angeli,
pag 28.

1.1.2 Strategia dell’ “Oggi” e strategie del “Futuro”.
Nella realtà, si cimentano imprese che incarnano differenti “modelli”, non tutti
ugualmente funzionali a obiettivi di sopravvivenza e prosperità di lungo periodo10. Il
nostro studio infatti, esponendo le caratteristiche generali di OSF che ogni impresa
dovrebbe aver condiviso, dopo averle affiancate al concetto del “lungo periodo”, si
concentra sulle strategie dell’oggi e le strategie del futuro.
Facendo un breve richiamo ad alcuni concetti di base, per meglio comprendere la
teoria appena esposta, prima di spingerci verso una descrizione dettagliata della stessa,
iniziamo col dire che l’analisi strategica deve necessariamente evidenziare alcune
10

Coda V., (2004), op. cit., pagg. 25-26, 35-36.

9
caratteristiche peculiari dell’azienda quali: le risorse, le operazioni e i processi che danno
contenuto alla gestione, nonché le relazioni con gli interlocutori. La singola azienda, in
questo caso, sarà quindi esaminata per quello che essa “oggettivamente” è. Ma il sistema
azienda non è solo un fenomeno di natura oggettiva; essa non si sviluppa spontaneamente
ma per effetto delle idee e delle decisioni oltreché dalle azioni poste in essere dagli uomini
che vi operano. A tal proposito, l’impresa, nella ricerca di un equilibrio complessivo, non
può esimersi dal procedere su un duplice piano temporale. Da un lato, infatti, essa è
chiamata a definire una impostazione che risulti la più efficace ed efficiente possibile con
riguardo alla situazione attuale, ai mercati in cui è presente, alle tecnologie disponibili, ai
bisogni manifesti; dall’altro, alla medesima impresa è richiesto di predisporre quanto
necessario per poter essere in una condizione di equilibrio anche futuro, preso atto delle
condizioni già in essere o in procinto di realizzarsi.
E’ evidente, quindi, considerando le opportune spiegazioni poc’anzi esposte, che la
strategia dell’oggi corrisponde alle scelte e alle azioni che definiscono il posizionamento
strutturale con cui si intende soddisfare le necessità dei clienti attuali e offrire opportunità
d’impiego adeguate per le diverse risorse che sono a tal fine necessarie.
La strategia del futuro ha, invece, il fine di ricercare un equilibrio immaginando di
proiettarsi verso possibili mutamenti che avverranno in un tempo prossimo, senza essere
guidati o influenzati dai bisogni dei clienti attuali o dalle opportunità di miglioramento dei
prodotti esistenti. In sintesi, la ricerca di un equilibrio futuro comporta per l’impresa lo
sviluppo di una visione che sia compatibile con i mutamenti del gioco competitivo e con la
eventuale ridefinizione dei confini dei settori in cui l’impresa opera11.
A tal proposito, è quindi importante evidenziare il passaggio che si compie dalla
strategia dell’oggi a quella del futuro, e quali sono le caratteristiche intrinseche di questo
passaggio, volto a mettere in luce uno spettro più ampio della prospettiva d’impresa,
intenta a proiettarsi in un arco temporale di lungo periodo, che sia supportato dall’esistenza
di un elemento che incide in maniera preponderante sul successo aziendale: l’innovazione.

11

Mazzola P., (1996), La diagnosi strategica nella gestione d’impresa, Milano, Egea, pagg. 41-42.

10
1.2. L’ANALISI STRATEGICA.

Dovendo scegliere quali elementi rappresentano meglio il concetto innovazione
strategica, si preferisce, in questa sede, privilegiare l’aspetto contenutistico, evidenziare le
azioni che consentono alle imprese di conseguire in modo consecutivo gli stati futuri
desiderati.
A tal proposito, in quest’ambito, appaiono egualmente giustificabili sia un approccio
ex ante che un approccio ex post, che possono coesistere in quanto solo apparentemente
contraddittori. Con il primo (ex ante) si tende a definire nel modo più preciso possibile,
compatibilmente con le informazioni e gli strumenti disponibili e con la loro natura non
dettagliatamente operativa, il contenuto delle linee d’azione, rivolte sia all’interno sia
all’esterno, che verranno a costituire, nel loro insieme, la strategia dell’impresa. Con il
secondo approccio (ex post) lo scopo è quello di individuare descrivere, interpretare e
valutare i contenuti del percorso strategico seguito da un’impresa per un certo tempo nella
sua dinamica evolutiva.
Entrambi gli approcci si caratterizzano per la presenza di una componente analitico descrittiva, che deve mettere in luce i caratteri e le implicazioni delle singole manovre che
in modo composito configurano la strategia con particolare attenzione all’entità e al tipo di
risorse interne e alla loro allocazione nelle diverse aree funzionali e unità organizzative
coinvolte, sia la rete dei rapporti con strutture e soggetti esterni privati e pubblici che si
sviluppa a seguito di tali manovre. I due approcci presentano anche delle componenti
specifiche: mentre quello ex ante unisce alla componente analitico - descrittiva quella
normativa (in quanto ha lo scopo di individuare, analizzare e proporre alternative di
comportamento per quanto attiene all’evoluzione futura dell’impresa), l’approccio ex post,
accanto alla componente analitico descrittiva, fa emergere quella interpretativa valutativa, volta a comprendere le circostanze e le ragioni, sia interne sia esterne
all’impresa, che l’hanno portata storicamente ad adottare una specifica sequenza d’azioni e
quindi, a seguire un determinato percorso strategico. In altre parole, potremmo dire che con
il primo approccio si intende la strategia come un progetto con i suoi contenuti, uno
strumento per agire e conseguire il sistema degli obiettivi di sviluppo dell’impresa, mentre
con il secondo ci si occupa del comportamento dell’impresa così come appare dallo studio

11
del cammino evolutivo che essa ha percorso nel tempo, e dal modo in cui la stessa si
rapporta con l’ambiente esterno.

1.2.1. La struttura, il prodotto e il sistema competitivo.
Gli sforzi volti alla costruzione di schemi teorici di analisi del problema strategico, a
ben guardare, hanno a che fare con il più generale tema della teoria d’impresa e con il
rapporto di quest’ultima con la prassi manageriale12.
Qualsiasi impresa ha una sua formula (o impostazione) imprenditoriale (concetto
altamente interscambiabile con quello di strategia) che è il prodotto della sua storia e delle
scelte che l’hanno spinta in una certa direzione. Per effetto di tali scelte, un’impresa si
trova ad operare:
-

in uno o più sistemi competitivi all’interno dei quali stabilisce determinati

rapporti con certi clienti, con certi fornitori e concorrenti, trovando così una propria
collocazione e definendo un proprio ruolo;
-

con una certa offerta o sistema prodotto, (differente per ciascuna delle

aree o sotto aree di affari in cui è eventualmente articolata l’impresa) che si
confronta più o meno favorevolmente o sfavorevolmente con i sistemi prodotto
offerti dai concorrenti;
-

in un certo sistema di interlocutori sociali, all’interno del quale stabilisce

rapporti con i finanziatori (che sostengono finanziariamente l’azienda come
detentori del capitale di rischio o del capitale di credito), certi prestatori di lavoro
(che fanno parte del suo organico) certi rappresentanti sindacali, amministratori
pubblici e così via, trovando così un proprio inserimento e un proprio ruolo nel
mercato di credito, nel mercato del lavoro, nel territorio e nel tessuto politico,
economico, sociale di una o più comunità locali e via discorrendo;
-

una certa proposta progettuale, diversa per ciascun tipo di interlocutore

sociale, ma inclusiva in ogni caso di certe richieste di contributi o consensi e di
certe prospettive di ricompensa, la quale può confrontarsi più o meno
favorevolmente o sfavorevolmente con analoghe proposte provenienti da altre

12

Gozzi A., (1991), La definizione e la valutazione delle strategie aziendali , Padova, Etas libri, pagg. 8-10.

12
imprese o comunque reperibili da parte di coloro che dispongono a vario titolo di
risorse in cerca di impiego;
-

con una certa struttura, (tecnico-produttiva, commerciale, direzionale e

patrimoniale - finanziaria), più o meno capace di fronteggiare al contempo le forze
del sistema, o dei sistemi competitivi e le attese e le pressioni degli interlocutori
sociali.
Riassumendo, quindi, le cinque variabili aggregate sono:
1. sistema competitivo;
2. sistema prodotto;
3. struttura;
4. sistema degli interlocutori sociali;
5. prospettive offerte/contributi richiesti agli stessi;
Se si considerano le relazioni che compongono gli elementi della formula
imprenditoriale, si può asserire che la struttura determina il sistema prodotto, il quale, a sua
volta, mentre concorre a plasmare il sistema competitivo, consente all’impresa di
ritagliarvi il suo spazio operativo.
Dal sistema competitivo, la struttura, riceve continui flussi informativi che ne
stimolano gli adattamenti di breve e di lungo periodo, nonché i flussi di risorse
rappresentati i corrispettivi degli scambi che intrattiene con sistema stesso. La struttura
inoltre, esprime la proposta progettuale intorno a cui si aggregano determinate forze sociali
che assicurano all’impresa le collaborazioni vitali di cui necessita.
La formula imprenditoriale è utile, ai fini della nostra analisi, per evidenziare il
rapporto di scambio continuo che avviene tra la struttura e il sistema competitivo.
É interessante, quindi far notare come la formula imprenditoriale o strategia
d’impresa, altro non è che il modello di interazione tra “l’impresa” e “l’ambiente”
attraverso cui la stessa insegue un certo modello di successo imprenditoriale.

13
1.2.2. L’impresa e l’ambiente.
Avendo già posto in evidenza le caratteristiche che compongono il sistema
all’interno del quale l’azienda deve operare, riprendiamo i concetti di “impresa” e
“ambiente” per definire i motivi che spingono la nostra analisi a sottolineare l’importanza
dell’interazione tra gli stessi.
Tra le possibili rappresentazioni schematiche del sistema d’impresa, si privilegia
quello input-output, che presenta l’impresa come un complesso insieme di variabili
strutturali (input) comportamentali (variabili intercorrenti) e risultati (output) in continuo
rapporto con l’ambiente13.
A tal proposito il “sistema d’impresa”, è composto da tre variabili quali struttura,
attività e risultati (Figura 1.2), che si contrappongono attuando relazioni di scambio con
“l’ambiente” all’interno del quale devono sopravvivere.

Figura 1.2 - Un modello di input-output del sistema d’impresa.

AMBIENTE

STRUTTURA

ATTIVITA’

RISULTATI

Fonte – Coda V., (2004), L’orientamento strategico dell’impresa, Torino, Franco Angeli, pag. 2.

Nel concetto di struttura (Figura 1.3) si ricomprendono tutte quelle variabili che
definiscono l’assetto istituzionale, organizzativo e patrimoniale dell’impresa, ossia le
risorse organizzate costituenti l’organismo personale e il patrimonio e, più specificamente,
il patrimonio imprenditoriale, direzionale, tecnologico e commerciale.
Parte altamente significativa delle risorse organizzate costituenti la struttura, è data
dalla conoscenza accumulata nel corso della storia dell’impresa e incorporata nelle persone
che vi lavorano, nelle prassi organizzative, nei sistemi di direzione e nei vari meccanismi
di accumulo e di esperienza propri di ciascuna area funzionale dell’impresa.

13

Seiler J.A., (1967), Systems Analysis in Organizational Behavior, Illinois, Irwin and the Dorsey, pagg. 1516

14
Figura 1.3 – Esempio di “struttura”

Fonte – Grandori A., (1992), L’organizzazione delle attività economiche, Bologna, Il mulino, pag. 75.

Tra le variabili incluse nel concetto di struttura, vi è poi una variabile cosiddetta soft,
risultato di continui processi di apprendimento e di conoscenza che è stata accumulata nel
corso dello svolgimento del progetto aziendale, cui nella letteratura ci si riferisce come
“valori imprenditoriali”, “filosofia di management” o ancora“ strategia istituzionale”,
espressioni evocatrici della concezione di fondo dell’impresa che, ancorché non esplicitata,
di fatto anima scelte e comportamenti direzionali.
Nel concetto di attività vengono incluse tutte le azioni e interazioni che si svolgono a
livello direzionale, e a livello esecutivo, siano esse indirizzate alla produzione dei risultati
(la figura 1.4 è un esempio della modalità di interazione delle attività aziendali che mirano
ad acquisire clienti) oppure al consolidamento al cambiamento della struttura. É importante
a tal proposito, distinguere le attività direzionali in due filoni: quello della “direzione
strategica”, volta a definire gli obiettivi e gli indirizzi di fondo dell’attività aziendale
nonché l’architettura organizzativa e il disegno strutturale dell’impresa; e quello, non
secondario, della “direzione operativa”, preposta allo svolgimento diretto delle attività.
Entrambe si intrecciano, e si caratterizzano l’una per il contributo che da alla impostazione

15
imprenditoriale, e l’altra per la realizzazione delle attività, consentendo lo sfruttamento e il
conseguimento delle attività operative (Figura 1.4).

Figura 1.4 – Esempio: modalità di interazione delle attività aziendali che mirano ad acquisire clienti

Espandere i
Mercati

Fidelizzare
i clienti

Aumentare
l’efficienza

Fonte – Ns. elaborazione

Le categorie utilizzate per valutare la qualità direzionale dell’impresa sono quelle
dell’efficacia per la direzione strategica e dell’efficienza per la direzione operativa.
Una efficiente direzione amministrativa permette all’impresa di ottenere i migliori
risultati realizzabili, volti a ridurre i costi, aumentare i margini, accelerare il rigiro dei
capitali investiti, promuovere la qualità e così via. Una efficace gestione strategica si
focalizza sulle incongruenze strategiche da dover eliminare, per favorire un’apertura
aziendale, di conseguenza improntata alla flessibilità, per meglio garantire un
apprendimento strategico dell’operazione. Gestione strategica e operativa richiedono un
intreccio essenziale per un efficace dispiegamento dell’attività d’impresa.
I risultati dell’attività aziendale sono il primo sintomo di una attenta e puntuale
direzione strategica e operativa; essi sono:

16
- risultati economico finanziari, espressi dagli indicatori di economicità, solidità
patrimoniale, e di liquidità;
- risultati competitivi, derivanti dall’affermazione dell’impresa nei settori nei quali è
impegnata;
- risultati sociali, relativi ai livelli di fiducia, coesione, affermazione degli soggetti
che contribuiscono a influenzare i consensi dell’impresa (interlocutori sociali);
- sviluppo, che sta a significare la variazione delle dimensioni aziendali, e che indica
la crescita dell’impresa sul piano della professionalità, dell’efficienza e
dell’innovatività, nonché della velocità e flessibilità di adattamento alle mutevoli
esigenze del mercato.
Lo sviluppo, che costituisce la quarta dimensione dei risultati, è indispensabile per leggere
nelle loro mutue relazioni, la dinamica dei risultati.14

1.2.3. La politica aziendale: l’idea di “Sviluppo”
Nella prospettiva del general management, l’impresa da attuazione all’idea
imprenditoriale che si intende realizzare, idea che può essere più o meno efficace ed
efficiente. Nelle aziende ben gestite, l’idea dominante è riscontrabile nella mente del
comparto del top management. Tale idea, è definita in dottrina “business idea”, o in senso
più ampio “formula imprenditoriale”, o ancora “formula strategica attuale”.15
Il soggetto economico condivide una concezione di impostazione strategica attuale
(approvata dal sistema umano) che deve fungere da “modello di riferimento” per la politica
aziendale. Si può parlare di politica aziendale come prodotto dell’attività di governo che si
esprime e si estrinseca in un insieme di idee, decisioni e azioni volte all’efficace ed
efficiente attuazione dell’impostazione strategica attuale. Detta politica, quindi, si muove
all’interno dell’impostazione strategica attuale e si orienta a dare attuazione alla stessa con
efficacia ed efficienza, intervenendo (se ve ne fosse bisogno), con operazioni di
“manutenzione” o “riorientamento” del sistema aziendale.16

14

Coda V., (2004), op. cit., pagg. 2-3.
Normann R., (1979), le condizioni di sviluppo delle impresa, Milano, Etas, pagg. 20-25.
16
Coda V., (1984), Sviluppo e Organizzazione, La valutazione della formula imprenditoriale, Milano, Vol.
82.
15

17
E’ chiaro che, in questa prospettiva d’analisi, sia evidente come in azienda non esista
un’unica formula imprenditoriale/idea capace di superare la barriera del tempo. L’attività
di governo è pertanto orientata a favorire percorsi di crescita e di cambiamento.17 Ciò
significa che, per riuscire a proiettare l’operato dell’impresa nel tempo, e necessario
definire politiche aziendali orientate al lungo periodo, per condurre il sistema verso un
diverso modello gestionale, modello necessariamente fondato su una idea d’impresa
diversa da quella che è espressa nella impostazione strategica attuale18. Nel lungo termine
il cambiamento costituisce (infatti) una condizione di esistenza dell’azienda, in quanto
sistema sociale complesso, che opera in un contesto dinamico. Quando la politica aziendale
è volta al cambiamento, e orientata a perseguire un disegno imprenditoriale del domani,
che mette in discussione l’oggi tendendo a rompere gli equilibri attuali, creando
continuamente un nuovo possibile19. Questo disegno è stato definito “idea di sviluppo” o,
in termini più ampi, “formula imprenditoriale del domani20. Tale disegno si ispira ad una
idea di sviluppo che tratteggia la direzione di marcia ipotizzata per il cambiamento. Più
precisamente, l’intento strategico viene riferito sia all’intenzione del vertice aziendale di
attuare determinate linee strategiche, sia alla tensione rispetto al perseguimento di tale
proposito. In altre parole l’intento strategico viene letto come proposta progettuale
imprenditoriale, espressa dal vertice aziendale, e non solo: essa si configura come fattore di
catalizzazione dell’impegno degli uomini d’azienda, che, ai diversi livelli, hanno come
obiettivo la realizzazione del cambiamento.

1.3 L’INNOVAZIONE.

La dottrina e gli studi empirici hanno esplorato il complesso mondo aziendale,
cercando di definire gli elementi di causa–effetto degli scenari industriali in continua
evoluzione,

arrivando

a

racchiudere

lo

scopo

dell’azienda

nell’individuazione

dell’equilibrio economico a valere nel tempo21. L’azienda si trova in condizioni di
Bianchi Martini S., (2009), Introduzione all’analisi strategica dell’azienda, Pisa, Giappichelli, pagg. 3-5.
Abell D.F., (1993), Managing with Dual Strategies, Mastering the preset, Preemiting the future, New York.
(trad. it. a cura de Il sole 24 ore - Strategia duale. Dominare il presente, anticipare il futuro, Pirola S.p.a.,
Milano, 1994, pag. 5)
19
Vicari S., (1991), L’impresa vivente . Itinerario di una diversa concezione, Milano, Etas libri, pag.12.
20
Mazzola P., (1996), op. cit. pag. 32.
21
Giannesi E., (1979), op. cit. pagg. 11, 28-48, 40.
17
18

18
equilibrio economico quando i ricavi della gestione sono tali da coprire i costi della stessa,
attraverso una certa somma che sia capace di remunerare il capitale di rischio e i costi
aziendali22. Seppure questa sia una visione semplicistica dell’operato aziendale, ciò detto,
induce il nostro studio a collegare il concetto di valore nel tempo a quello di equilibrio
economico, dato che quest’ultimo va inteso nel senso di una gestione aziendale orientata
verso una prospettiva di medio - lungo termine. Se osserviamo la storia delle aziende, è
agevole rilevare che è diverso, nel tempo e nello spazio, il livello di remunerazione del
capitale proprio in base alle scelte strategiche orientate al breve o al lungo periodo e
quindi, per certi versi, il grado di perseguimento dell’equilibrio economico. E’ innegabile
che alcune aziende sopravvivono in entrambi i casi, senza che venga compromessa la
condizione di vita aziendale. In alcune situazioni, infatti, livelli di economicità positivi di
breve periodo23, possono essere considerati, dalle persone che incarnano funzioni di
vertice, soggettivamente soddisfacenti24.
Ma non tutte le imprese riescono a sposare concetti come quelli di “stabilità e
staticità” nel lungo periodo. Molte di esse (se non la maggior parte), si confrontano con
quei mercati in cui “l’innovazione e la ricerca” (costante) fanno si che la vita aziendale sia
in continuo mutamento.
A tal proposito, il vantaggio competitivo e l’innovazione potranno aiutarci a
intraprendere un percorso che guiderà la nostra tesi nella direzione in cui le strategie
aziendali, volte al perseguimento dell’equilibrio economico, vengono modificate dal tempo
e nel tempo.
22

In virtù di ciò l'equilibrio economico è stato anche soprannominato da Adam Smith, il padre della teoria
economica liberista, come "La Mano Invisibile" ovvero quell'insieme di meccanismi di natura socio
economica che agiscono costantemente sul Sistema Economico per riportare situazioni momentanee di
disquilibrio all'equilibrio. Adam Smith è un filosofo illuminista di prim'ordine e amico di Hume, fondatore
dell'economia politica in senso moderno. Dal suo pensiero ha avuto origine la cosiddetta scuola classica. Il
concetto di equilibrio economico non è presente negli autori classici, ma è un concetto che verrà mutuato
dalla fisica meccanica da parte degli autori della scuola marginalista, come Jevons, Walras e Marshall,
intorno agli anni 90 del sec. XIX. In particolare è a Walras che si deve il concetto di equilibrio economico
generale, il cui risultato analitico principale è l'utilizzo pieno ed ottimale di tutte le risorse disponibili, che si
raggiunge attraverso l'operare di forze che portano automaticamente il sistema all'equilibrio.
23
Nel “breve periodo” la competitività di un’impresa dipende dal rapporto qualità/prezzo che è stata in
grado di realizzare rispetto alla concorrenza. In molti settori, tuttavia, i competitori tendono a convergere
verso standard simili e molto elevati di tale rapporto, cosicché questo elemento può diventare sempre meno
importante come fonte di vantaggio competitivo: «Gli aspetti legati alla qualità, come la solidità e
l’affidabilità, si diffondono sempre più e diventano un prerequisito piuttosto che una fonte di vantaggio
competitivo». (Grant R.)
24
Bianchi Martini. S., (2009), op. cit., pagg. 10-11.

19
1.3.1. Il “vantaggio competitivo” e “l’innovazione”.
La sopravvivenza e il successo delle imprese dipendono dalla loro capacità di
rinnovarsi e di ricercare nuove strade. Secondo l’approccio di Porter, riscrivibile in una
matrice di seguito esposta (Figura 1.5), se un’impresa vuole costruire alternative valide per
potersi confrontare sul mercato, può farlo attraverso 3 strategie:
1 – leadership di costo, tramite la quale l’impresa produce a costi inferiori rispetto ai
suoi concorrenti;
2 - differenziazione, attraverso la quale l’impresa produce prodotti differenti per i
quali il consumatore è disposto a pagare un prezzo diverso;
3 – focalizzazione, (segmentazione del mercato) che è la realizzazione di una delle
due strategie in un particolare segmento di mercato.

Figura 1.5 – “Matrice di Porter” , le strategie competitive di base.

La leadership di costo, permette all’azienda di avere una netta posizione di vantaggio
rispetto ai suoi concorrenti: infatti, questi minor costi, possono derivare dalla capacità
dell’impresa stessa di poter usufruire di economie di scala e di esperienza (espansione del
settore e della produzione attraverso il quale l’azienda abbatte i costi); efficienza in termini
20
di automazione e utilizzo della capacità produttiva; conoscenze acquisite in specifici
settori; possesso di alcune merci considerate “scarse”; e per ultimo, ma non meno
importante, per l’utilizzo di particolari mezzi di innovazione tecnologica. Nel tempo, questi
tre approcci tendono a fondersi tra loro, e inducono l’impresa a combinare le tre strategie
per ottenere i migliori risultati.
Uno strumento valido per comprendere a fondo la natura del vantaggio competitivo è
la “catena del valore” (Figura 1.6) di Michael Porter (1985)25. Quest’ultimo è un modello
che contribuisce ad analizzare le attività specifiche attraverso le quali le aziende generano
valore26 nonché vantaggio competitivo; esso è inoltre uno strumento valido per valutare
dinamicamente se e quanto il vantaggio competitivo venga raggiunto, mantenuto e difeso.
La “catena del valore” permette di considerare l'impresa come un sistema di attività
generatrici del valore, inteso come il prezzo che il consumatore è disposto a pagare per il
prodotto che soddisfa pienamente i suoi bisogni. Per ottenere valore bisogna però utilizzare
in modo corretto una serie di processi . Possiamo definire un processo come “un insieme
organizzato di attività e di decisioni, finalizzato alla creazione di un output effettivamente
domandato dal cliente, e al quale questi attribuisce un valore ben definito”27.
Porter distingue cinque processi primari e quattro attività a supporto del vantaggio:
A) Processi primari: sono quelli che direttamente contribuiscono alla creazione dell'output
(prodotti e servizi) di un'organizzazione e sono:
1 - Logistica in entrata: comprende tutte quelle attività di gestione dei flussi di
beni materiali all'interno dell'organizzazione.
2 - Attività operative: attività di produzione di beni e/o servizi.
3 - Logistica in uscita: comprende quelle attività di gestione dei flussi di
beni materiali all'esterno dell'organizzazione.

25

Porter M., (2004), Il vantaggio competitivo, Milano, Einaudi, pagg. 10-18
Porter, (1985): «il vantaggio competitivo nasce fondamentalmente dal valore che un’azienda è in grado di
creare per i suoi acquirenti, che fornisca risultati superiori alla spesa sostenuta dall’impresa per crearlo. Il
valore è quello che gli acquirenti sono disposti a pagare: un valore superiore deriva dunque dall’offrire
prezzi più bassi della concorrenza per vantaggi equivalenti, o dal fornire vantaggi unici che controbilancino
abbondantemente un prezzo più alto»
27
Bartezzaghi E., (1999), Il sole 24 ore, Organizzare le PMI per la crescita, cit. pag. 60
26

21
4 - Marketing e vendite: attività di promozione del prodotto o servizio nei
mercati e gestione del processo di vendita.
5 - Assistenza al cliente e servizi: tutte quelle attività post-vendita che sono di
supporto al cliente (ad es. l'assistenza tecnica).
A) Processi di supporto: sono quelli che non contribuiscono direttamente alla creazione
dell'output ma che sono necessari perché quest'ultimo sia prodotto e sono:
1 - Approvvigionamenti: l'insieme di tutte quelle attività preposte
all'acquisto delle risorse necessarie alla produzione dell'output ed al
funzionamento dell' organizzazione.
2 - Gestione delle risorse umane: ricerca, selezione, assunzione,
addestramento, formazione, aggiornamento, sviluppo, mobilità,
retribuzione, sistemi premianti, negoziazione sindacale e contrattuale, ecc.
3 - Sviluppo delle tecnologie: tutte quelle attività finalizzate al
miglioramento del prodotto e dei processi. Queste attività vengono in genere
identificate con il processo R&D (Research and Development).
4 - Attività infrastrutturali: tutte le altre attività quali pianificazione,
contabilità finanziaria, organizzazione, informatica, affari legali, direzione
generale, ecc.
Figura 1.6 – “Catena del valore”di Porter

22
Fonte - adattamento da Pivato S., (2004), Economia e gestione delle imprese, Milano, Egea, pag. 103

Il vantaggio competitivo, quindi, piuttosto che fattore attrattività, diventa la fonte
primaria dei differenziali tra le imprese: la maggiore focalizzazione sul vantaggio
competitivo rende cruciale la comprensione delle sue fonti. Nonostante la letteratura in
tema di strategia tenda ad enfatizzare la scelta del posizionamento strategico in termini di
costi e differenziazione, il fondamento di queste scelte risiede nelle risorse dell’impresa.
Nella seconda metà degli anni ’80, negli studi di strategic management28, è stato formulato
un diverso approccio allo studio del vantaggio competitivo noto come resourced basedview29. In base a questo approccio, il vantaggio competitivo dell’impresa dipenderebbe
dalle risorse di cui essa dispone. Le risorse sono tutti quei fattori che l’impresa può usare e
controllare; possono distinguersi in:

La definizione del termine “Strategic Management”, fu elaborata Research Institute dell'Università di
Stanford (1963). Il primo libro sulla teoria degli stakeholder fu "Strategic Management: A Stakeholder
Approach" di Edward Freeman (1984), che diede anche la prima definizione di stakeholder, come i soggetti
senza il cui supporto l'impresa non è in grado di sopravvivere. Secondo questa teoria, il processo produttivo
di un'azienda generica deve soddisfare delle soglie critiche di costo, servizio e qualità che sono diverse e
specifiche per ogni stakeholder. Al di sotto di una prestazione minima, il cliente cambia fornitore, manager e
dipendenti si dimettono, e i processi materialmente non possono continuare.
Con il tempo prevale il "filone etico": insieme a William M. Evan in "A stakeholder approach on modern
corporation: the Kantian Capitalism" (1984), si definiscono stakeholder tutti i soggetti che possono
influenzare oppure che sono influenzati dall'impresa.
29
Simone C., (2004), La resource based view e la knowledge based view. Dall'ottica atomistica a quella
interaziendale, Roma, Aracne, pag. 5.
28

23
1) materiali (impianti, macchinari, materie prime, etc.);
2) immateriali (brevetti, marchi, fiducia, etc.);
3) finanziarie (fondi finanziari, di debito, etc.);
4) umane (personale).

Tali risorse sono poi combinate ovvero aggregate, e definiscono le competenze
aziendali. Ma non tutte le risorse possono condurre, in egual misura, ad un vantaggio
competitivo. Le stesse devono avere un valore per l’impresa, e consentirgli di cogliere le
opportunità di mercato. La capacità di individuare, in anticipo, le risorse che, nel mercato,
sono in grado di supportare l’attività imprenditoriale deriva dalle conoscenze e attitudini
del soggetto economico. Tuttavia, è difficile riuscire a ottenere un vantaggio se, queste
risorse, sono accessibili a tutti i concorrenti: in questo caso, esse, determineranno una
parità competitiva. Se invece nel sistema, le risorse migliori non fossero accessibili ai più,
alcune imprese si vedrebbero obbligate a utilizzare risorse di second’ordine, dando spazio
al concetto di scarsità. Una risorsa dotata delle caratteristiche di scarsità e valore, genera
un vantaggio competitivo temporaneo. Una variante si realizza qualora una risorsa non ha
valore perchè coglie una opportunità, ma perchè soppianta la condizioni precedenti. La
rendita ottenibile da queste risorse si definisce “schumpeteriana” e si realizza quando
l’impresa combina le risorse in modo innovativo, all’interno di un ambiente incerto e
rischioso, soppiantando le condizioni di superiorità di precedenti risorse.
Le caratteristiche di valore, scarsità e innovatività sono quindi fattori fondamentali
per l’ottenimento del vantaggio competitivo.30

1.3.2. Tecnologie produttive: “esplorazione” e “sfruttamento”.
Per la maggior parte delle imprese l’innovazione è ormai divenuta un imperativo
strategico per acquisire e mantenere posizioni di leadership. Gli approcci descritti nel
paragrafo precedente, evidenziano in che modo le risorse impattano sui processi decisionali

30

Pivato S., Misani N., Ordanini A., Perrini F., (2004), Economia e gestione delle imprese, Milano, Egea,
pagg. 101 – 105.

24
del soggetto economico, che si trova a dover affrontare costanti evoluzioni nelle dinamiche
aziendali. Valore e scarsità, risultano essere elementi indispensabili per ottenere un
vantaggio competitivo. Ma in un ambiente in costante evoluzione l’azienda deve
rinnovarsi, e mostrare particolare attenzione all’aspetto innovativo. A tal proposito, si fa
richiamo alla “piramide dell’innovazione” (Figura 1.7) da cui emergono:
1 – innovazione primaria (Sprazi 1979, Lugli 1974) che tende a definire nuovi e più
ampi spettri d’azione nella elaborazione del prodotto (nuovi prodotti, aumento di
produttività, miglioramento dell'efficacia, penetrazione in nuovi mercati ecc.). Coincide
con la comparsa su un mercato di un nuovo canale distributivo e si realizza mediante
l’offerta di uno o più servizi non presenti nelle forme distributive preesistenti. Secondo una
visione tradizionale tale innovazione pratica prezzi inferiori rispetto alle formule preesistenti, genera una discontinuità e una modificazione degli assetti strutturali e
meccanismi competitivi e agisce sulle leve di retail mix tradizionali.
2 – innovazione indotta31 (o secondaria), che determina miglioramenti nelle
caratteristiche di una delle variabili di business esistente. Essa viene dunque generata
agendo principalmente sulla variabile assortimento (macro) e solo di riflesso su alcuni
parametri strutturali (numero degli addetti, layout attrezzature etc.).
3 – innovazione terziaria, rappresenta la faccia nascosta della politica di marca
insegna. Questo livello di innovazione non identifica nuovi canali/formati, semplicemente
consente di identifica una politica di marca dei distributori all’interno di un determinato
canale/formato di un punto vendita.

Fig. 1.7 - “Piramide dell’Innovazione”

INNOVAZIONE PRIMARIA
format

INNOVAZIONE SECONDARIA
concept

Hicks J.R attraverso “La teoria dei salari”, introduce un’ipotesi macroeconomica, con la quale ipotizzò
che <<un cambiamento nei prezzi relativi dei fattori di produzione è di per sé uno stimolo all’invenzione di
un nuovo prodotto, diretto a economizzare l'uso di un fattore che è diventato relativamente costoso>>. Hicks
J.R., (1932), La teoria dei salari , (Londra, pagg. 50)
31

INNOVAZIONE TERZIARIA
25
(marca- insegna)
Fonte - Verona G., (2000), Innovazione Continua, Milano, Egea, pag. 7

Mentre i parametri strutturali e di assortimento (macro differenziazione) qualificano
l’innovazione primaria e secondaria, le leve operative (assortimento a livello micro,
merchandising, comunicazione, ambientazione, servizi accessori) qualificano la politica
aziendale e gli consentono di dare identità alle diverse imprese.32
L’innovazione a livello aziendale, quindi, può coinvolgere (come già esposto in
precedenza) processi “decisionali” e “operativi”. In entrambi in casi, l’innovazione può
mutare in tutto o in parte le caratteristiche aziendali (organizzazione, prodotto, tecnologia).
Distinguiamo a tal proposito due variazioni (Figura 1.8):
- Radicale: essa dà origine a nuovi paradigmi di “costruzione” della struttura e dei
prodotti (sviluppa nuovi mercati, riduce i costi di produzione, migliora la qualità dei
prodotti già esistenti etc.). Un cambiamento di questa portata, permette di combinare
innovazioni di prodotto, di processo e di organizzazione.
- Incrementale: sviluppa paradigmi preesistenti; è continua (ma con ritmi diversi nei
vari settori), frutto di invenzioni degli ingegneri e del personale dei processi produttivi.
Aumenta produttività e competitività dell’impresa migliorando l’efficienza di utilizzo di
tutti i fattori della produzione. L’innovazione sostanziale è caratterizzata dalla presenza di
funzionalità nuove che, pur non alterando sostanzialmente l'utilizzo del prodotto, lo
rendono più ricco ed attraente. Di solito è orientata a raggiungere nuove nicchie di mercato
offrendo un mix nuovi di funzionalità.
Figura 1.8 – Grafico sull’Innovazione “radicale, sostanziale e incrementale”

2
32

Verona G., (2000), Innovazione Continua, Milano, Egea, pagg. 6-15.
RADICALE

1

Capacità di
Accrescere
il valore

26
SOSTANZIALE

INCREMENTALE
Fonte – Dewar R.D., Dutton J.E., (1986), Management Science, The Adoption of Radical and Incremental
Innovations: An Empirical Analysis, n. 32

Cambiamenti radicali e incrementali sono approcci opposti per l’apprendimento
organizzativo. L’attenzione degli studiosi si divide in due grandi filoni di apprendimento:
esplorazione (innovazione radicale) e sfruttamento (innovazione incrementale).
L’esplorazione implica comportamenti aziendali caratterizzati da ricerca, scoperta,
sperimentazione, assunzione del rischio e innovazione radicale, mentre lo sfruttamento
implica comportamenti aziendali caratterizzati da affinazione, attuazione e ricerca di
efficienza nella produzione attuale e nella selezione delle risorse aziendali (Cheng e Van
de Ven 1996). La distinzione concettuale tra esplorazione e sfruttamento è stata usata come
un costrutto analitico, esplicitamente o implicitamente, in una vasta gamma di gestione
delle aree di ricerca, compresa la gestione strategica (ad esempio, Inverno e Szulanski
2001), la teoria dell'organizzazione (Holmqvist 2004, Van den Bosch et al. 1999), e nella
gestione economica (Ghemawat e Ricarti Costa 1993). Questi studi hanno dimostrato che
l'esplorazione e lo sfruttamento richiedono strutture, processi, strategie, capacità e culture
da perseguire sostanzialmente diverse, e possono avere diversi impatti sulla società. In
generale, esplorazione è associata a strutture organiche, sistemi associati, improvvisazione,
l'autonomia e caos dei mercati e delle tecnologie emergenti. Lo sfruttamento è associato
con le strutture meccanicistiche, sistemi strettamente accoppiati, percorsi di dipendenza,
routinizzazione, controllo e burocrazia accentuata, mercati stabili e tecnologie attuali
(Ancona et al.2001, Brown e Eisenhardt 1998, Lewin et al. 1999).
I rendimenti associati all’esplorazione sono variabili e distanti nel tempo, mentre i
rendimenti associati allo sfruttamento sono più sicuri e più vicini nel tempo. In altre parole,
le imprese esplorative, sperimentando il successo così come il fallimento, generano
27
variazione delle prestazioni maggiori, mentre le imprese che sfruttano le risorse a loro
disposizione sono in grado di generare prestazioni più stabili. 33
Mentre la distinzione concettuale tra esplorazione e lo sfruttamento e le loro
implicazioni per la strategia e la struttura sono stati intensamente studiati, si è condotta una
piccola indagine empirica degli effetti dell'interazione tra i due. Nonostante la popolare
ipotesi ambidestra suggerita da Tushman e O' Reilly (1996)34 (attraverso la quale i due
autori mettono in evidenza la necessità delle imprese di raggiungere un "equilibrio" tra i
due approcci per ottenere prestazioni superiori), pochi sono stati i risultati empirici riportati
in letteratura sul modo in cui esplorazione e sfruttamento possono influenzare le
performance aziendali congiuntamente.
Come sintetizzato da March (1991)35, la distinzione tra "esplorazione di nuove
possibilità" e "lo sfruttamento di vecchie certezze", fa emergere una serie di differenze
fondamentali nel comportamento che le imprese adotteranno nello scegliere le strategie più
adatte per ottenere le migliori performance aziendali. E’ inevitabile che esista una tensione
tra esplorazione e sfruttamento. Da un lato, l’adattamento alle esigenze attuali, può favorire
l’inerzia strutturale e ridurre la capacità delle imprese di adattarsi ai futuri cambiamenti
nonché alle nuove opportunità (Hannan e Freeman 1984)36. D'altra parte, sperimentando
nuove alternative, si riduce l’impatto che le competenze esistenti (attuali) possono avere
sul futuro successo aziendale (March, 1991). Una esplorazione fallimentare può
interrompere le routine di successo di un'impresa, senza del quale essa non potrà ottenere
un significativo risultato nel nuovo campo, per compensare la perdita nel business esistente
(Mitchell e Singh 1993). D’altra parte, la ”convinzione nel metodo” che spinge un'impresa
a mantenere la sua attuale posizione, anche se l'ambiente esterno è in continua evoluzione,
trasforma le “capacità di base” in “rigidità di base” (Leonard Barton 1995). Una eccessiva
attenzione sullo sfruttamento che provoca miopia organizzativa (Radner 1975), Peter
(1990) fu a favore di una radicale strategia di innovazione che viene generata dalle
dinamiche obsolete che nascono e si sviluppano all’interno dell’organizzazione. Allo
33

Zi-Lin He, Poh-Kam Wong, (2004), Organization Science, Exploration vs. Exploitation: An Empirical Test
of the Ambidexterity Hypothesis, Maryland, Vol. 15, No. 4, pagg. 481-482.
34
Tushman M.L., O’Reilly C., (1996), Management Review, Ambidextrous organizations: Managing
evolutionary and revolutionary change, California, Vol. 38, pagg. 8-30.
35
March J.G., (1991), Organization Science, Exploration and exploitation in organizational learning,
Stanford University, California, Vol 2, pagg. 71-87.
36
Hannan, M.T., Freeman J.H., (1984), Sociological Review, Structural inertia and organizational change,
Amer, Vol. 49, pagg. 149-164.

28
stesso modo, D'Aveni sostenne con forza che nessuna impresa può costruire un vantaggio
competitivo sostenibile nel tempo dato che la forza di oggi diventa la debolezza di domani.
Invece di cercare di creare la stabilità e l'equilibrio, le imprese devono lavorare attivamente
per interrompere i loro vantaggi e i vantaggi dei concorrenti, creando una serie di vantaggi
temporanei (D'Aveni, 1994)37.
Da questo nasce una nuova logica strategica: bisogna controbilanciare lo
sfruttamento con l'esplorazione. D'altra parte, Levinthal e March (1993) hanno sostenuto
che l'equilibrio può anche essere inclinato verso l'esplorazione eccessiva che, per le
aziende, è altrettanto distruttiva.
Sebbene un trade - off tra esplorazione e sfruttamento è certamente necessario,
March (1991) ha anche suggerito che il mantenimento di un adeguato equilibrio tra
l’esplorazione e lo sfruttamento è fondamentale per la sopravvivenza dell'impresa e la
prosperità della stessa. Come sostenuto da Levinthal e March (1993), “Il problema
fondamentale nell’affrontare una organizzazione è quello di impegnarsi nello sfruttamento
sufficiente ad assicurare la sua vitalità attuale e, allo stesso tempo, di dedicare l'energia
sufficiente per l'esplorazione al fine di garantirne la redditività futura”. Allo stesso modo,
Burgelman (1991, 2002) attraverso la sua analisi, suggerisce che le imprese possono tenere
entrambi i processi in gioco in ogni momento, anche se questo significa che le imprese non
massimizzano mai completamente i loro benefici dal dominio corrente. La necessità di un
adeguato equilibrio tra esplorazione e sfruttamento è stata concettualizzata da Tushman e
O'Reilly (1996) attraverso la definizione di una organizzazione ambidestra: entrambi
hanno usato la metafora del “giocoliere” per descrivere una società che ha la capacità di
competere nei mercati maturi (dove il costo, l'efficienza e l'innovazione incrementali sono
critici) e di sviluppare nuovi prodotti e servizi per i mercati emergenti (dove la
sperimentazione, la velocità e flessibilità sono fondamentali). Più in particolare, essi hanno
affermato che un'impresa ambidestra che è in grado di operare simultaneamente:
esplorando e sfruttando le risorse a propria disposizione, è probabile che si possa riuscire
ad ottenere prestazioni superiori rispetto alle altre imprese che enfatizzano l’uso di una
formulazione a scapito dell’altra. Il concetto di ambidestro è anche implicito nella più
recente concettualizzazione delle capacità dinamiche di Eisenhardt e Martin (2000): gli
stessi hanno suggerito che, nel complesso, le capacità dinamiche richiedono una miscela
D’Aveni R., Gunther R., (1994), Hypercompetition: Managing the Dynamics of Strategic Maneuvering,
New York, Free Press, pagg. 70-71.
37

29
delle due diverse logiche strategiche, vale a dire, la logica di esplorazione e di logiche di
sfruttamento. Secondo Katila e Ahuja (2002)38, lo sfruttamento delle capacità esistenti è
spesso necessario per esplorare nuove funzionalità, e l'esplorazione di nuove funzionalità
migliora anche le competenze di un’impresa.
Anche se, teoricamente, si può prevedere un effetto positivo di interazione tra
l’esplorazione e lo sfruttamento, Tushman e O'Reilly (1996) non hanno fornito ulteriore
sostegno empirico al di là delle citazioni dei diversi casi di studio. Essi hanno suggerito che
nella pratica, poche aziende possono riuscire a gestire una struttura ambidestra, poiché
l'esplorazione e lo sfruttamento sono logiche fondamentalmente diverse che richiedono
strategie e strutture specializzate; inoltre, le tensioni risultanti tra i due modelli sono
difficili da conciliare. Dalle loro argomentazioni, risulta implicito che, le imprese che
cercano di portare avanti l'esplorazione e lo sfruttamento possono realmente finire peggio,
cioè, l'effetto dell’interazione tra esplorazione e lo sfruttamento può rivelarsi negativo
piuttosto che positivo.
Dalle tesi fin qui esposte, risulta la necessità per i senior manager di gestire
l'innovazione esplorativa e di sfruttamento simultaneamente, mettendo in contrapposizione
uno stazionario “punto di vista” con una prospettiva di “ciclo di vita” (Winter e Szulanski
2001, p. 731). Burgelman (2002) ha individuato due modelli organizzativi di adattamento:
(1) uno schema equilibri punteggiati che coinvolge una serie di periodi distinti, ognuno dei
quali si occupa principalmente di esplorazione o sfruttamento, e (2) un processo evolutivo
che costituisca un continuo bilanciamento tra esplorazione e di sfruttamento. I manager
dovranno necessariamente gestire la tensione tra esplorazione e lo sfruttamento su base
continua, ad esempio, attraverso lo sviluppo di capacità di sintesi “per creare un vantaggio
competitivo tra forze in conflitto”, come sostenuto da Nonaka e Toyama (2002),
“l'adozione di principi ambidestri di progettazione organizzativa”, come sostenuto da
Tushman e O'Reilly (1996), o il perseguimento di “semi-strutture” per competere sulle
soglie del caos, come suggerito da Brown e Eisenhardt (1998).
Ci proponiamo di verificare l'ipotesi ambidestra nel particolare contesto
dell’innovazione tecnologica. A tal proposito la letteratura differenzia l'innovazione

38

Katila R., Ahuja G., (2002), Acad Management, Something old, something new: A longitudinal study of
search behavior and new product introduction, Stanford University, Michigan University, December, Vol.
45, pag. 1184.

30
tecnologica dall’ innovazione organizzativa.39Mentre l'innovazione organizzativa comporta
modifiche alle strutture organizzative e ai processi amministrativi, il presente documento si
concentra sull’utilizzo da parte delle imprese delle tecnologiche più moderne, sia per
quanto riguarda i processi produttivi che in riferimento alle nuove idee di produzione.

1.3.3. L’ innovazione e i processi decisionali.
La sopravvivenza e il successo delle imprese, quindi, dipendono dalla capacità del
manager di rinnovare e di ricercare nuove strade. La difficoltà nasce nello scegliere in che
modo espandere e rimodulare la propria capacità produttiva (“Exploration and
Exploitation”) partendo dalle risorse di cui l’azienda dispone. L’innovazione quindi, oltre a
mettere il manager di fronte ad una scelta cruciale, che si estrinseca nei due approcci
poc’anzi trattati, spinge lo stesso a costruire una strategia che si possa adattare nel miglior
modo possibile alle esigenze aziendali.
Quale strategia mettere a punto in virtù della tecnologia utilizzata o da utilizzare? Le
minacce emergenti, che provengono dall’ambiente esterno, spingono le imprese a
rimodellare i processi strategici in base alle necessità provenienti dal mercato. Ma quanto è
importante la tecnologia nella definizione dei processi strategici? La tecnologia è la
fondamentale capacità del nucleo di un'impresa. È un corpo sistematico di conoscenze, che
evidenzia il modo in cui i fattori naturali e artificiali, che convergono nel sistema
aziendale, funzionano e interagiscono. Si tratta di un “corpo” di conoscenza che si innesta
nel “cervello” (dipendenti) e nei “muscoli” (macchinari, software e procedure operative
standard dell'organizzazione). Come tale, è inevitabile che essa diventi uno degli elementi
centrali nelle decisioni strategiche dell'impresa.
Alcuni studi si sono addentrati nel campo dell’ “interazione dinamica tra strategia e
tecnologia”

40

, arrivando a distinguere 3 possibili tipologie di relazione tra strategia e

tecnologia:
a) interazione tra tecnologia attuale e strategia attuale;
b) interazione tra tecnologia futura e strategia attuale,
39

Poole M.S., Van de Ven A.H., (1989), 49th Annual Meeting A cad. Management, Towards a metatheory of
innovation process, Washington, D.C., 13-16 Agosto.
40
Itami H., Numagami T., (1992), Strategic Management Journal, Dynamic interaction between strategy and
technology, Hitotsubashi University, Kunitachi, Tokyo, Japan, Vol. 13, pagg. 119-123.

31
c) interazione tra tecnologia attuale e strategia futura.
L'effetto di queste relazioni, evidenziano tre legami:
- la strategia è capitalizzata sulla tecnologia (a),
- la strategia che coltiva la tecnologia (b)
- la tecnologia guida i processi cognitivi della strategia.(c)

Procedendo per ordine, dal primo al terzo caso, la strategia diventa meno
convenzionale, meno orientata all'economia, più concentrata sullo sviluppo e sui processi
di orientamento dell’organizzazione. In passato la strategia adottata dalle aziende
rispecchiava maggiormente la visione di una strategia capitalizzata sulla tecnologia,
divenendo poco flessibile ai mutamenti provenienti dall’ambiente esterno.
Quando la strategia è capitalizzata sulla tecnologia, la tecnologia attuale funge da
traino per la strategia aziendale; Inoltre, agisce sulla stessa in 3 modi:
1) come arma che l'impresa può utilizzare a suo favore (Abell 1980)41 (Maidique and
Patch, 1988)42 (Porter, 1983)43: l'azienda ha probabilmente qualche vantaggio
tecnologico sulla concorrenza e quindi può sfruttare la sua tecnologia attuale.
2) come vincolo a cui l’impresa deve adattarsi (Hofer e Schendel, 197844): gli
strateghi devono trovare il modo migliore per capitalizzare la strategia esistente;
3) come minacce da prevenire e affrontare (Cooper e Schendel, 197645; Foster,
198646; Abernathy, 197847; Tushman and Anderson, 198648; Anderson and
41

Abell D.F., (1993), Op. Cit.
Maidique M., Patch P., (1988), Readings in the Management of Innovation, Marshfield Corporate Strategy
and Technological Policy in Tusman, M.L. and Moore, W.L., Pitman, pagg. 273-285.
43
Porter M., (1983), Research on Technological Innovation, The Technological Dimension of Competitive
Strategy, Management and Policy, R.S. Rosenbloom , Vol 1, pag. 1.
44
Hofer C.W., Schendel D. (1978), West Publishing Company, Strategy Formulation: Analytical Concepts.
St. Paul, MN.
45
Cooper A.C., Schendel D., (1976), Business Horizons, Strategic responses to technological threats,
pagg. 62-62.
46
Foster R.N., (1986), Pergamon Press, Timing technological transitions. In M. Horwitch (ed.) Technology in
the Modern Corporation: A Strategic Perspective, New York, pag. 41.
47
Abernathy W.J., (1978), Johns Hopkins University Press, The Productivity Dilemma: Roadblock to
Innovation in the Automobile Industry, Baltimore, MD
48
Tushman M., Anderson P., (1986), Administrative Science Quarterly, Technological discontinuities and
organizational environments, Vol. 31, pag. 440.
42

32
Tushman, 199049) la tecnologia costringe la società ad adeguarsi alla concorrenza e
alla tendenza del settore e, per farlo, l'azienda ancora una volta deve fare il miglior
uso delle possibilità tecnologiche di cui dispone o attraverso la quale può
svilupparsi.
L’impresa si trova di fronte ad un vincolo dettato dalla staticità aziendale. Anche
quando la ricerca si concentra sul tipo di sviluppo tecnologico da intraprendere per colmare
alcune esigenze strategiche nel mercato, si tratta di trovare una corrispondenza tra strategia
e tecnologia. Questa linea di ricerca non può trattare la tecnologia dell'impresa come
qualcosa di avulso dal contesto, dato che, quest’ultima, è vista come il telaio della
strategia. In sintesi, a tecnologia, determina o limiti strategici dettati da fattori ambientali,
come armi vincoli e minacce, o possibilità di sviluppo tecnologico per inquadrare la
strategia in esame. Per il corretto perseguimento dello sviluppo aziendale,

bisogna

abbinare e integrare tra loro le diverse caratteristiche aziendali per ottenere elevati livelli di
performance. L’integrazione avviene regolando tra loro le due variabili: strategia e
tecnologia
Quando la strategia coltiva la tecnologia una decisione strategica tipica è quella che
costringe l'azienda a investire nello sviluppo tecnologico per essere maggiormente
competitivi sul mercato. Molto spesso, le attuali decisioni strategiche hanno implicazioni a
lungo termine: ad esempio, una decisione di avviare o rafforzare una determinata attività
richiede uno impegno prolungato. Questo sforzo nell’acquisizione di uno sviluppo
tecnologico può portare l’azienda ad ottenere un efficace mezzo di vantaggio competitivo,
utile per rafforzare il proprio business e i propri incassi. Casio, ad esempio, una piccola
azienda Giapponese, ha deciso di espandere le sue conoscenze nel settore digitale:
strumenti per ufficio, orologi, musica elettronica ecc. La sua capacità di progettazione e di
diversificazione del settore, l’ha portata ad espandere i suoi guadagni: Casio non solo è
diventata maggiormente competitiva, ma ha esteso il suo portafoglio prodotti, rendendo la
propria strategia dinamica e pronta ad adeguarsi ai cambiamenti del futuro. Un altro
esempio di questo tipo è riconducibile al caso Toyota. L'industria automobilistica
giapponese, dopo la seconda guerra mondiale, dovette far fronte alle difficili esigenze di
pianificazione della produzione di una varietà di veicoli (dai camion alle autovetture)
utilizzando impianti di produzione limitati. Per rimanere in vita, Toyota non ha avuto
49

Anderson P., Tushman M.L., (1990), Administrative Science Quarterly, Technological discontinuities and
dominant designs: A cyclical model of technological change, Vol. 35, pag. 621.

33
molta scelta se non quella di produrre piccoli volumi di mercato per ciascun prodotto. Per
attuare questa strategia con efficienza, ha inventato un nuovo sistema di produzione, che in
seguito divenne una delle basi della sua competitività su base internazionale.50
La costruzione di una base produttiva competitiva a livello internazionale non era
l'intenzione originaria di Toyota, ma questa fu la diretta conseguenza dell’innovazione (a
livello produttivo) dettata dalle necessità del momento. Casio, decidendo di espandere le
proprie conoscenze nel mondo digitale, incrementò la sua competitività nonché i guadagni.
In entrambi i casi, i processi di implementazione della strategia, dettati dai cambiamenti
del mercato, puntano ad accumulare conoscenze per coltivare la tecnologia futura.
In altri casi è la tecnologia a guidare i processi cognitivi della strategia: ci si
riferisce agli effetti che la tecnologia attuale può avere sulla strategia futura. La tecnologia
che l'azienda possiede influenza i processi cognitivi umani. Naturalmente, qualsiasi fattore
può avere due effetti opposti sui processi cognitivi umani: può contribuire a stimolare tali
processi, oppure può ostacolarli. In questo caso sosteniamo l’ipotesi che la tecnologia
possa contribuire positivamente a stimolare i processi cognitivi umani.
In passato, il margine negativo degli effetti cognitivi della tecnologia sulla strategia
no ha avuto riscontri positivi: l’evoluzione tecnologica è spesso d’intralcio allo sviluppo
dell’azienda in quanto, il permanere degli effetti cognitivi della vecchia tecnologia sulla
cultura aziendale, può ostacolare l’emergere di un nuovo pensiero strategico. In realtà,
tuttavia, ci sono molti casi in cui il forte impegno nel focalizzare la propria attenzione su
un particolare tipo di tecnologia permette all’azienda di avere un pensiero strategico che si
spinge al di la dell’immaginario della concorrenza. Citiamo il caso di Sharp che,
nonostante l’esperienza consolidata nel campo dell’elettronica di consumo giapponese, sta
diventando una società con una chiara direzione strategica improntata all’evoluzione
nell’ambito dell'elettronica, sviluppando una tecnologia sempre più innovativa nel settore
dei display a cristalli liquidi. Il suo obiettivo strategico è quello di utilizzare la tecnologia
LCD come l'arma principale di differenziazione in molti dei suoi prodotti.51

50

Jaikumar R., Bohn R.E., (1986), JAI Press, Research on Technological Innovation, Management And
Policy, The development of intelligent systems for industrial use: A conceptual Framework, Greenwich, Vol.
3, pagg. 169-175.
51
Numagami T., (1991), Business Review, Ekisho display sangyo no kokusai hikaku: Shinka no ba seisei to
sinka no keizaisei (A comparative study on the U.S. and Japanese LCD industries: emergence of evolutionary
field and economies of evolution), Vol. 39, pagg. 33-60.

34
Nella maggior parte dei casi, le tre relazioni appena esposte, si integrano tra loro per
permettere al management di risolvere le dinamiche aziendali legate alla costante
evoluzione tecnologica. Ma in ogni azienda si deve far fronte ad altri elementi che possono
influenzare l’evoluzione dei processi tecnologici.
Gli studiosi hanno avanzato diverse teorie per spiegare il fallimento dei leader di
mercato nel cambiamento rivolto alla tecnologia52. Un tema che è prominente nella
letteratura evidenzia come gli operatori del mercato, a livello storico, sono condizionati
dalla natura intrinseca della tecnologia e dalle conseguenze immediate del suo utilizzo. Gli
studi dimostrano che cambiamenti architettonici nella progettazione e ridefinizione delle
competenze che distruggono capacità innovative, renderanno problematica l’esistenza delle
aziende (Henderson e Clark, 199053; Tushman e Anderson, 198654). Inoltre, non sono rari i
casi in cui potrebbero nascere delle vere e proprie reti sociali (dipendenti, clienti, fornitori)
in grado di impedire l'adattamento al cambiamento e all’evoluzione tecnologica (Sull,
Tedlow, e Rosenbloom, 1997). Gli economisti hanno sottolineato l’asimmetria di incentivi
tra i diversi tipi di imprese che devono affrontare le stesse opportunità tecnologiche
(Henderson, 1993): essi sostengono che gli operatori di mercato che posseggono aziende di
medio - grandi dimensioni, saranno maggiormente incentivati nei confronti delle politiche
di innovazione e rischio d’impresa.
Nel mondo di oggi, sembra inevitabile che una società finirà per incontrare una
nuova tecnologia dirompente in uno o più aspetti, e che le sue risposte possono essere
limitate da disincentivi finanziari e consolidati impegni manageriali. Alcuni sostengono,
tuttavia, che le imprese dovrebbero essere in grado di adattarsi con successo ai
cambiamenti, ma solo nel caso in cui si posseggano sufficienti capacità dinamiche, ossia
predisposizione al cambiamento. Le capacità dinamiche sono quelle competenze che
consentono ad un'impresa di integrare, costruire e riconfigurare la propria struttura nonché
la propria strategia per affrontare gli ambienti in rapida evoluzione Shuen (1997), Teece e
Pisano (1994) suggeriscono che le capacità dinamiche di un'impresa sono determinate da
tre classi di fattori: “i processi gestionali e organizzativi e le routine”, “le attuali dotazioni
52

Rosenbloom R., (2000), Strategic Management Journal, Leadership, Capabilities, and Technological
change: the trasformation of NCR in electronic Era, Vol. 21, pagg. 1083-1084.
53
Henderson R, Clark KB., (1990), Administrative Science Quarterly Journal, Architectural innovation: the
reconfiguration of existing product technologies and the failure of established firms, Vol. 35, pagg. 9-30.
54
Tushman M.L., Anderson P., (1986), Administrative Science Quarterly Journal, Technological
discontinuities and organizational environments, Vol. 31, pagg. 439-465.

35
di tecnologie di base, rapporti con i clienti e fornitori”; “le alternative strategiche
disponibili” che possono derivare da collaborazioni e cooperazioni con gli stackeholder
interni o esterni. La capacità di realizzare nuove forme di vantaggio competitivo è l'essenza
di una capacità dinamica.
In conclusione, i manager dovrebbero operare tenendo presenti le esigenze aziendali
e quelle di mercato, utilizzando la giusta misura nei processi di esplorazione e sfruttamento
(ipotesi ambidestra), scegliendo una strategia che permetta all’azienda di investire nello
sviluppo tecnologico (strategia che coltiva le nuove tecnologie).

36
1.4 STRATEGIE COOPERATIVE
Negli ultimi anni si sta assistendo una profonda ma graduale evoluzione della struttura
organizzativa nelle imprese (Figura 1.9). Trasformazione che comporta un abbandono del
modello di tipo gerarchico a favore di strutture più flessibili, aperte alle nuove prospettive
derivanti dall’ambiente esterno. L’evoluzione dell’ambiente esterno caratterizza in questi
ultimi la diffusione di nuove tecnologie e la globalizzazione dei mercati, inducendo le
imprese a ridisegnare gli assetti organizzativi per affrontare in modo competitivo i
mercati.55
Nella realtà delle attuali organizzazioni il numero dei livelli gerarchici tende a
ridursi; diventano preponderanti le linee di comunicazione orizzontale e al nucleo interno
di rapporti gerarchici, si affiancano sempre più spesso relazioni esterne di mercato e forme
di collaborazione con fornitori, clienti, e talvolta concorrenti56. Questa tendenza può essere
sintetizzata in tre passaggi chiave:
1. abbattimento barriere strutturali,
2. incremento della collaborazione con operatori esterni
3. allargamento dei confini.

Fig. 1.9 – Evoluzione delle strutture organizzative.
Evoluzione ambiente
esterno

Complessità
(innovazione tecnologica e
globalizzazione dei mercati)

Nuove variabili
competitive

Nuovi confini
dell’impresa

Sviluppo di relazione
esterne

Necessità di strutture
organizzative flessibili

Fonte - Ricciardi A., (2000), op. cit., pag. 12

Le relazioni di cooperazione tra imprese, quando si realizzano, sono di lungo
periodo. Prevedono accordi tra due o più aziende che implicano una serie di prestazioni
congiunte in una o più attività. Nei casi di alleanze durature nel tempo, si riscontrano
55

Ricciardi A., (2009), Le reti di imprese. Vantaggi competitivi e pianificazione strategica, Milano, Franco
Angeli, pagg. 13-14.
56
Sicca L., (1998), La gestione strategica dell’impresa, Padova, Cedam, pag. 518.

37
vantaggi evidenti: gli investimenti realizzati congiuntamente garantiscono tempi più brevi
e rischi ridotti; la struttura dei costi diventa più elastica; le applicazioni di innovazioni
organizzative e tecnologiche diventano più rapide e frequenti57. Inoltre, per le imprese che
partecipano alle alleanze vi è la possibilità di concentrare sulle competenze distintive le
risorse resesi disponibili grazie alla cooperazione. Il ricorso a forme di collaborazione,
tuttavia può determinare la perdita del dominio della tecnologia,; le performance di
gestione risultano condizionate dalle prestazioni dei partner; gli stessi partner, grazie
all’apprendimento di processi e tecniche di produzione gestite in comune possono dar vita
a comportamenti opportunistici e diventare temibili concorrenti58.

1.4.1. Alleanze tra imprese: una prima classificazione.
Per accordo di cooperazione si intende una relazione di lungo periodo tra imprese,
riguardante una o più aree di attività, disciplinate mediante meccanismi contrattuali o
rapporti informali. Gli accordi possono essere di tipo equity, allorquando si determina una
modifica della struttura proprietaria delle imprese (vedansi scambi di partecipazioni,
creazione di una nuova società); questi sono accordi di tipo contrattuale. Gli accordi non
equity, non generano modifiche nell’assetto proprietario, possono essere accordi informali
o formali qualora si basino su protocolli d’intesa (cooperative).59
Ulteriore distinzione tra le forme di cooperazione è basata sull’orientamento
strategico della collaborazione che può essere esplicata in accordi:
- verticali: queste forme di collaborazione tendono a evolversi in forma di
vera e propria produzione congiunta tra imprese, rappresentando un
diverso modo di gestire il rapporto fornitore/cliente. Questo tipo di
accordi rientrano in una prospettiva competitiva riconducibili alla scarsa
concentrazione del settore, ovvero rivolte a produrre una crescita della
concentrazione mediante l’innalzamento di barriere e/o la realizzazione di
economie di scala60.

57

Ricciardi A., (2009), op. cit., pag. 15.
Vicari S., (1989), Nuove dimensioni della concorrenza, Milano, Egea, pag. 281.
59
Passaponti B., (1975), Politiche di aggregazione aziendale: attinenze e diversificazioni, Pisa, Cursi, pagg.
65-66.
60
Sicca L., (1998), op. cit., pag. 532.
58

38
- orizzontali: alleanze con imprese concorrenti che mirano a rafforzare la
posizione competitiva e ad acquisire quote di mercato in tempi
relativamente brevi mediante patti di controllo delle zone di vendita e per
la determinazione dei prezzi.61
- di diversificazione: tendono ad essere formalizzati tra imprese con
produzioni complementari o sostitutive. Per concretizzare queste
applicazioni sono necessari adeguati sviluppi delle tecnologie con
applicazioni di competenze non disponibili al proprio interno, ma
recuperabili mediante accordi con imprese terze.
In presenza di un progetto comune, l’omogeneizzazione degli obiettivi perseguiti, il
coinvolgimento di ciascuna azienda nei processi di investimento e decisionali,
rappresentano un sistema di incentivi che aumentano il grado di integrazione tra le parti.

1.4.2. Innovazione tecnologica e cooperazione tra imprese.
Sostanziali mutamenti dell’ambiente esterno hanno indotto le aziende a contenere i
costi, a produrre innovazioni in tempi rapidi e ravvicinati e ad essere più efficaci nel
soddisfare una domanda sempre più esigente e frammentata. Per raggiungere questi
obiettivi si è proceduto a vere e proprie ristrutturazioni aziendali caratterizzate da:


snellimento degli organigrammi con la conseguente riduzione dei livelli gerarchici



ridisegno dei principali processi



sviluppo di rapporti di collaborazione e alleanza con imprese fornitrici e concorrenti
che hanno ridefinito i confini aziendali.
Il denominatore comune di queste ristrutturazioni è stata la concentrazione delle

risorse sul core business, cioè su quelle attività che garantiscono il vantaggio competitivo
dell’azienda e per le quali si posseggono competenze distintive, know how, esclusivo ed
esperienza cumulata. In particolare, nelle aziende caratterizzate da uno scenario
tecnologico in continua evoluzione, le cooperazioni tra le imprese subiscono un’impennata.
Si fa riferimento all’aumento dei rischi connessi a progetti innovativi, alla più rapida
61

Ricciardi A., (2009), op. cit., pag. 18.

39
obsolescenza dell’innovazione dei prodotti, alla multipolarità delle sorgenti del progresso
tecnico, all’aumento dei costi in ricerca e sviluppo62.
In tal senso, le iniziative di cooperazione tendono a garantire effettivi
vantaggi:suddividono il rischio su più aziende; agevolano il rientro più rapido degli
investimenti; favoriscono il contenimento dei costi grazie ai superiori livelli di efficienza
per la divisione del lavoro tra operatori specializzati; permettono la riduzione dei tempi per
lo sviluppo dell’innovazione; realizzano processi di verticalizzazione incrociata (cross
verticalization) tra aree tecnologiche talvolta distanti. La possibilità da parte di tutti gli
operatori coinvolti, di beneficiare dello sviluppo congiunto di innovazione, è una
condizione necessaria ma non sufficiente per la collaborazione nella R&S.Ciò che è
necessario è che i singoli partner devono essere in grado di contribuire in maniera
differenziale al processo63.

62

Cainarca G.C., Colombo M.G., Mariotti S., (1989), Accordi tra imprese nel sistema industriale
dell’informazione e della comunicazione, Milano, Edizioni Comunità, pag. 19.
63
Sobrero M., (1996), Innovazione, tecnologia e relazioni tra imprese, Roma, La nuova scientifica, pag. 51.

40
CAP. 2 IL SETTORE TELEVISIVO

La televisione è uno dei mezzi di comunicazione di massa più diffusi. Diverse le
opinioni in merito al linguaggio utilizzato dal mass media per eccellenza: apprezzamenti e
discussioni ruotano attorno al mondo televisivo sin dalla sua nascita. Per il pubblico, la
semplicità d'uso, la molteplicità di contenuti, e i bassi costi legati all’utilizzo del mezzo,
hanno portato la televisione ad affiancare sempre più efficacemente la stampa e la radio
come fonte di informazione e, con l’evolversi dei mezzi di trasmissione, a sostituire il
cinema, offrendo differenti occasioni di svago con una rapidità d’azione pressoché
immediata64.
A tal proposito, è utile arrivare a comprendere in quale modo la storia della tv in
Italia ha preso forma. Dal 1954 al 2012 si è verificato un graduale passaggio da una
gestione esclusiva del settore televisivo da parte dello Stato, ravvisabile nel monopolio, ad
un successivo duopolio Rai - Fininvest, sino ad arrivare alla crescita esponenziale di canali
su tutto il territorio nazionale e regionale. Al fianco dei grandi competitor, realtà stabili ed
economicamente avanzate (Rai 1, Rai 2, Rai 3, Canale 5, Italia 1, Rete 4, La 7), crescono le
emittenti televisive concessionarie di frequenze locali. E non solo. L’avvento del digitale
terrestre ha segnato l’evoluzione del sistema di trasmissione, ed ha incentivato (attraverso
l’eliminazione di ingenti barriere all’entrata) l’ingresso nel settore a nuovi acquirenti
(Cielo, Sky, Mediaset Premium, Real Time), interessati ai proventi di possibile derivazione
dal settore pubblicitario. Queste realtà, ampliando l’offerta attraverso la produzione di
format televisivi accattivanti, hanno raccolto consensi tra il pubblico disperdendo gli indici
d’ascolto (share), metro di giudizio rilevante ai fini della raccolta pubblicitaria. D’altra
parte, a livello regionale, approfittando di vuoti legislativi, alcuni soggetti privati sono
divenuti proprietari di emittenti televisive locali, di rilevanza non trascurabile (vedansi
Telenorba). Inoltre, in seguito all’avvento del digitale, i proprietari di piccole emittenti
locali, hanno dovuto sostenere ingenti investimenti tecnologici, che li hanno portati a
rivedere l’assetto societario, e, in alcuni casi, a ridurre drasticamente la forza lavoro.
Dovendo, inoltre, aggirare una normativa complessa e contraddittoria, per mantenere le
concessioni Statali, sono state sottoscritte numerose alleanze tra le emittenti dislocate sui
territori regionali.
64

Pagliaro P., (2009), Sociologia dell’organizzazione dei Media, Lecce, Manni, pagg. 7-8.

41
2.1. NORMATIVA E STORIA DELLA TELEVISIONE IN ITALIA
Per meglio comprendere la natura nonché la struttura della televisione Italiana di
oggi, risulta necessario un excursus nella disciplina giuridica, prima fautrice dei
cambiamenti e della regolamentazione del sistema radiotelevisivo italiano. Una
sovrapposizione di leggi e decreti, approvati in media ogni dieci anni, racchiude in se le
complicazioni di un settore economico in continua evoluzione.

2.1.1 Creazione, crescita e sviluppo della legislazione Italiano
Nei primi anni venti (1923) i servizi di radio diffusione furono affidati allo Stato. La
prima concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo italiano è stata la Rai
(denominata inizialmente URI, Unione Radiofonica Italiana). Dal 1954 nasce la RAI
(Radiotelevisione Italiana) e il suo monopolio prosegue fino alla metà degli anni cinquanta,
periodo in cui cresce l’interesso verso il nuovo settore da parte dei privati (“il Tempo tv”).
Il ministero non consente l’accesso alle nuove emittenti. Il “Tempo tv”, la prima azienda in
grado di competere con la Rai, si rivolge al Consiglio di Stato che rimette la decisione agli
atti della Corte Costituzionale. I giudici, con sentenza n.59 del 1960, riconoscono la
legittimità del monopolio Statale, facendo riferimento all’art. 43 Cost.65, principio che si
pone in contrapposizione il dettato dell’art 21 Cost.66, ovvero la libertà di informare e di

“A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e
salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o
categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di
monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”. (art. 43 Cost.)
66
“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro
mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali
la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa
prescriva per l'indicazione dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il
tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da
ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia
all'autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende
revocato e privo di ogni effetto. La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i
mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le
altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a
reprimere le violazioni.” (art. 21 Cost.)
65

42
essere informati67, limitando di fatto la possibilità a nuove imprese di accedere al mercato
televisivo.
I piccoli imprenditori italiani (e quelli esteri), interessati alle prospettive economiche
che dal settore potessero scaturire, agli inizi degli anni sessanta, in seguito all’avvento
delle nuove tecnologie e della tv via cavo, ottengono una prima pronuncia di
incostituzionalità (da parte della Corte Costituzionale) della riserva statale relativa alla
ripetizione in Italia di programmi radiotelevisivi irradiati da emittenti estere, aprendo la
strada all’ingresso nell’etere di altre emittenti (sentenza 9 luglio 1974 n. 225). Mediante la
sentenza n. 226 del 1974 si proclama anche l’incostituzionalità della riserva statale per le
radiotelevisioni via cavo in ambito locale, autorizzando i privati ad accedere al settore. Ma
la situazione a livello nazionale resta invariata.
Fino alla nuova legge del 6 agosto 1990, n. 223, che disciplinerà in maniera organica
i rapporti tra sistema radiotelevisivo pubblico e privato, vige la legge accolta il 14 aprile
1975 n.10368: il parlamento diventa l’organo di gestione dell’informazione nazionale.
Inoltre, le sentenze emanate in precedenza, riconoscendo la legittimità degli impianti via
cavo su dimensione locale69, danno il via alla proliferazione di canali privati, che possono
regolarmente trasmettere attraverso il rilascio di una apposita autorizzazione70. Dopo un
anno dall’approvazione della legge del 14 aprile del 1975, n.103, la Corte dichiara
l’incostituzionalità del monopolio statale anche per le trasmissioni via etere71.
I vuoti nella materia creati dal legislatore, resero impossibile il controllo del
proliferare di antenne e di strategie volte a aggirare la legge. In questi anni, meglio
conosciuti come gli anni del “caos dell’etere”, il metodo dell’interconnessione funzionale
aggirava di fatto il divieto posto dal legislatore: l’interconnessione permetteva di mettere in
Chimenti A., (2007), l’Ordinamento radiotelevisivo Italiano, Torino, Giappichelli, pagg. 27-29.
Cheli E., Zaccaria R., (1980), Radiotelevisione Pubblica e Privata, I principi di legge della riforma del
1975, Bologna, Il Mulino, pagg. 120-123.
69
La Corte afferma che: “vietare, in ambito locale, comprimendo l’iniziativa privata, la realizzazione di una
pluralità di reti televisive via cavo, attraverso le quali sia attuata più largamente la libertà di manifestazione di
pensiero sancita dall’art 21, primo comma, Cost. si pone in contrasto con il requisito dell’utilità generale,
condizionante la riserva dello Stato” Cfr. Sentenza n. 226 del 1974.
70
L. 14 aprile 1975, n.103, Art. 3: “Il Governo può provvedere al servizio pubblico della radio e della
televisione con qualsiasi mezzo tecnico, mediante atto di concessione ad una società per azioni a totale
partecipazione pubblica sentita la commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi
radiotelevisivi. La concessione importa di diritto l'attribuzione alla concessionaria della qualità di società di
interesse nazionale, ai sensi dell'articolo 2461 del codice civile.”
71
Zaccaria R., (1977), Radiotelevisione e Costituzione, Milano, Giuffre’, pag. 85.
67
68

43
onda contemporaneamente (in diverse emittenti, ubicate in differenti posizioni sul territorio
nazionale) cassette preregistrate dal contenuto pressoché identico72.
Prima della “legge Mammì” (6 agosto 1990, n. 223) in Italia operavano (secondo
fonti Rai) almeno 4000 emittenti radiofoniche private, quasi tutte in Fm (modulazione di
frequenza), 515 emittenti tv private indipendenti, 182 emittenti tv private consorziate in
circuiti, 12 network televisivi (Canale 5, Rete 4, Italia Uno, Euro Tv, Tele Elefante, Tv
Port, Rete A, Rete Capri, Video Music, Pantv, Tv Italia), oltre alle tre reti Rai, e 4 emittenti
estere: Antenna Due, Tv svizzera italiana, Telemontecarlo e Capodistria. Una mancanza di
definizione dei limiti, nell’ambito locale, da il via a un allargamento incontrollabile delle
reti televisive. Alla fine degli anni settanta, le emittenti locali, raggiungeranno la cifra
record di oltre 1500. La sentenza del’76 pose le basi per un sistema radiotelevisivo misto,
creando confusione a livello nazionale.
Tra il 1979 e il 1985 il valore degli investimenti pubblicitari nella televisione privata
sale da 42 a 1.350 miliardi di lire, oltre un terzo della spesa pubblicitaria, e questo spiega il
crescente interesse degli imprenditore nel campo televisivo. Nel 1978 il gruppo Rizzoli –
Corriere della Sera, prova a creare la prima rete indipendente, la Pin, diretta rivale della
Rai. La missione risulta del tutto fallimentare, e si conclude con la sentenza del 14 aprile
1981, n.148, attraverso la quale la Corte costituzionale blocca l’impresa Rizzoli,
riaffermando il monopolio su base nazionale. Nel frattempo, un piccolo imprenditore edile
milanese, Silvio Berlusconi, per migliorare il tenore di vita degli inquilini del suo
complesso residenziale di Milano 2, acquista Telemilano: attraverso la creazione di
collaborazioni su tutto il territorio nazionale con altre reti private, trasmette
simultaneamente i propri programmi attraverso il metodo dell’interconnessione per
cassettazione73. Telemilano diventa il primo canale tv nazionale mediante il collegamento
di undici stazioni locali connesse in network. Dall’’81 all’84 si va avanti senza particolari
novità fino a quando i pretori di Torino, Roma e Pescara, dispongono il sequestro degli
impianti di Silvio Berlusconi. Le emittenti, effettuano il black out, facendo credere alla
pubblica opinione che l’oscurazione fosse l’effetto di un provvedimento giudiziale. Bettino
Craxi, allora Presidente de Consiglio, condannò la decisione dei magistrati e fece

Barile P., Zaccaria R., (1986), Rapporto annuale sui problemi giuridici dell’informazione, Padova, Cedam,
pag. 68.
73
Invio dei programmi tramite videocassette trasmesse negli stessi orari da emittenti locali diverse su tutto il
territorio nazionale.
72

44
riaccendere le reti tv private. Tale decreto legislativo del 20 ottobre 1984, n.694, meglio
conosciuto come “decreto Berlusconi”. La norma di tipo provvisorio, venne convertita in
legge il 4 febbraio 1985, per decisione del Presidente del Consiglio, Giuliano Amato: il
decreto, allargando il provvedimento a tutto il sistema televisivo pubblico e privato,
riconobbe un sistema radiotelevisivo misto.
Il 22 febbraio del 1989 il pretore di Varazze richiese una effettiva riesamina della
legge dell’85 che, pur essendo provvisoria sopravviveva attraverso proroghe continue.
La sentenza n.223 del 1990, meglio riconosciuta come “legge Mammì”74 rappresentò
una prima disciplina organica del sistema radiotelevisivo nazionale: essa eliminò la parola
“monopolio” dal settore televisivo ed evidenziò l’interesse generale (pubblico e privato)
all’”informazione”. Ma la legge n. 223 non tenne conto di eventuali evoluzioni sistemiche
e tecnologiche in campo televisivo come la tv via cavo, il satellite e la pay tv.
La Corte Costituzionale il 7 dicembre 1994 bocciò la legge Mammì definendola
«incoerente, irragionevole»75 e inidonea a garantire il pluralismo in materia televisiva.
Secondo il pronunciamento, la legge del 1990 non risolveva i problemi di concentrazione
che la Corte aveva evidenziato nella sua sentenza del 1988 (in quanto 3 reti su 12, di cui 9
date in concessione ai privati, avrebbero continuato a permettere ad un unico soggetto di
controllare un terzo delle trasmissioni nazionali, superando il tetto massimo del 25%
fissato dalla legge Mammì), ma anzi li aggravava, poiché impediva a soggetti privati
l’accesso al mercato televisivo nazionale, limitando un maggiore pluralismo.76
Il 22 maggio 1997 il Parlamento approvò la “Legge Maccanico”77: questa legge
vietava ad uno stesso soggetto di essere titolare di concessioni o autorizzazioni che
consentissero di irradiare più del 20% delle reti televisive analogiche in ambito nazionale.

Legge 6 agosto 1990, n. 223, “Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato”, Pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 9 agosto 1990, n. 185, Supplemento Ordinario.
75
Sentenza della Corte Costituzionale n. 420, 1994, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 69 del 24/03/98.
76
[...] Con la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art.15, comma 4, il valore del pluralismo,
espresso dall'art. 21 Cost., si specifica già, come regola di immediata applicazione, nel divieto - in rapporto
all'attuale assetto complessivo del settore televisivo - di titolarità di tre concessioni di reti nazionali su nove
assentibili a privati (o dodici in totale) ovvero di titolarità del 25% del numero complessivo delle reti
previste, mentre rimane nella discrezionalità del legislatore disegnare la nuova disciplina positiva di tale
limite per colmarne la sopravvenuta mancanza.[...] Sentenza n. 420, 1994.
77
Legge 31 luglio 1997, n. 249, "Istituzione dell'Autorità' per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui
sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 177 del 31 Luglio
1997 - Supplemento ordinario
74

45
La norma istituiva un nuovo organo quale l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni
e prevedeva l’approvazione di un «Piano nazionale delle frequenze». I soggetti preposti
all’assegnazione delle frequenze in ambito nazionale d’ora in avanti sarebbero stati: il
Ministero delle Comunicazioni, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e la
Commissione parlamentare per l’indirizzo e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. La
pianificazione del servizio radiotelevisivo si divideva in due momenti:
1 – il piano di ripartizione delle frequenze, che indicava le bande di frequenza
utilizzabili dai servizi di telecomunicazione;
2- il piano di assegnazione delle frequenze, che indicava la localizzazione degli
impianti, le loro aree di servizio, i parametri radioelettrici e le frequenze assegnate agli
impianti;
Il piano di ripartizione è stato elaborato dal Ministero delle Comunicazioni, dopo
aver sentito i pareri delle Concessionarie di servizi di TLC ad uso pubblico e il Consiglio
superiore tecnico. Il piano fu approvato con decreto su proposta del Ministro delle
Comunicazioni, previa delibera del Consiglio dei ministri.
Il piano di assegnazione, elaborato e approvato dalla Commissione per le
infrastrutture e le reti istituita presso l’Autorità, previa consultazione della RAI, delle
associazioni dei titolari di emittenti privati, e delle Regioni, entrò in vigore con la delibera
n. 68 del 1998, e in base ad esso il territorio nazionale fu diviso in bacini d’utenza,e 17 reti
a copertura nazionale (di cui 11 a diffusione nazionale e 6 a diffusione regionale).
Ma la situazione di fatto si discosta in modo evidente dall’assetto delle frequenze
previsto dal legislatore. Innanzitutto, una delle 11 televisioni che aveva avuto la
concessione nazionale, Europa 7, si trovò nell’impossibilità di trasmettere, poiché le stesse
frequenze per le quali le era stato concesso di irradiare trasmissioni sul territorio nazionale,
rimasero occupate da Rete 4 (che fa capo a Mediaset). L’intreccio tra valutazioni politiche
e giuridiche discordanti, permise a Rete 4 di continuare a trasmettere, in maniera abusiva,
anche dopo il nuovo limite imposto dal legislatore per attuare il ripristino della situazione
di diritto: per il legislatore dall’aprile del 1998 difatti, rete 4, avrebbero dovuto affiancare
le trasmissioni analogiche a quelle digitali, in modo tale da permettere alla rete un
passaggio graduale verso le nuove tecnologie di emissione. Si pensò erroneamente, di poter
risolvere il problema del pluralismo, ovvero dell’occupazione di tutte le frequenze
46
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  • 1. UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FOGGIA DIPARTIMENTO DI ECONOMIA CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN ECONOMIA AZIENDALE TESI DI LAUREA IN Strategie e Politiche Aziendali “Il ripensamento delle strategie competitive nel settore televisivo locale a seguito del passaggio al digitale terrestre: il caso Teledauna.” Relatore: Antonio Corvino Laureanda: Giorgia Palazzo ANNO ACCADEMICO 2012/2013 1
  • 2. INDICE 1. CONCETTI TEORICI DELL’ANALISI STRATEGICA 1.1. NOZIONI GENERALI: UNA VISIONE D’INSIEME 1.1.1. L’ORIENTAMENTO STRATEGICO DI FONDO 1.1.2. STRATEGIE DELL’OGGI E STRATEGIE DEL FUTURO 1.2. L’ANALISI STRATEGICA 1.2.1. LA STRUTTURA, IL PRODOTTO E IL SISTEMA COMPETITIVO 1.2.2. L’IMPRESA E L’AMBIENTE 1.2.3. LA POLITICA AZIENDALE: L’IDEA DI “SVILUPPO” 1.3. L’INNOVAZIONE E L’AZIENDA 1.3.1. IL VANTAGGIO COMPETITIVO E L’INNOVAZIONE 1.3.2. TECNOLOGIE PRODUTTIVE: ESPLORAZIONE E SFRUTTAMENTO 1.3.3. L’ INNOVAZIONE A SUPPORTO DEI PROCESSI DECISIONALI 1.4 STRATEGIE COOPERATIVE 1.4.1. ALLEANZE TRA IMPRESE: UNA PRIMA CLASSIFICAZIONE 1.4.2. INNOVAZIONE TECNOLOGICA E COOPERAZIONE TRA IMPRESE 2. IL SETTORE TELEVISIVO 2.1. NORMATIVA E STORIA DELLA TELEVISIONE IN ITALIA 2.2. L’AVVENTO DEL DIGITALE 2.2.1. IL DIGITALE TERRESTRE 2.2.2. LO SWITCH OFF 2.2.3. LE NOVITÀ TECNICHE IN MATERIA RADIOTELEVISIVA 2
  • 3. 2.3 ANALISI ECONOMICA DEL SETTORE 2.3.1. LE CINQUE FORZE DI PORTER 2.3.2. APPLICAZIONE DEL MODELLO DI PORTER AL “SETTORE TELEVISIVO” 3. CASO AZIENDALE: TELEDAUNA S.R.L. 3.1. LA STORIA 3.1.1. ORGANIGRAMMA DELLA STRUTTURA SOCIETARIA 3.1.2. LE UNITÀ OPERATIVE 3.1.3. UNO SGUARDO D’INSIEME SULL’OCCUPAZIONE NEL SETTORE TELEVISIVO IN PUGLIA 3.2. EVOLUZIONE DEL SETTORE TELEVISIVO LOCALE 3.2.1. ASSEGNAZIONE DELLE FREQUENZE 3.2.2. CONSORZI TRA LE EMITTENTI 3.2.3. SOSTENTAMENTO ALLE EMITTENTI LOCALI 3.3. IL PRODOTTO TELEVISIVO 3.3.1. UN CONFRONTO TRA LE EMITTENTI LOCALI 3.3.2. UN MODELLO D’IMPRESA: TELEDAUNA S.R.L 3.3.3. ANALISI ECONOMICA DEL SETTORE TELEVISIVO 3.3.4. L’IMPORTANZA STRATEGICA DELLE RISORSE UMANE: L’AUTORE TELEVISIVO. 4. CONCLUSIONI 3
  • 4. INTRODUZIONE La promozione e l’elaborazione di politiche di sviluppo delle piccole e medie imprese televisive ha subito, negli ultimi anni, una profonda trasformazione da attribuire in parte ad una legislazione in continuo divenire, ed in parte alla nascita del Sistema Digitale Terrestre, una innovazione tecnologica epocale che ha ridisegnato le esigenze e le prospettive di un comparto spesso considerato di nicchia. Il presente studio è il frutto di una indagine condotta sulle emittenti televisive locali, attori del sistema economico le cui potenzialità, in termini strategici, vengono spesso sottovalutate. L’elaborato di presenta suddiviso in tre macroaree. Nel primo capitolo sono stati approfonditi gli elementi strategici che configurano il sistema azienda, evidenziando le peculiarità annesse all’utilizzo degli elementi che producono un vantaggio competitivo, ponendo un accento sulle dinamiche evolutive delle imprese in relazione ai processi di innovazione tecnologica. Nel secondo capitolo ci si è addentrati nel sistema legislativo italiano, facendo un excursus legislativo delle norme poste in capo alle emittenti televisive dagli anni ’90 sino ad oggi. Sono state prese in esame le leggi i decreti e i regolamenti afferenti alla regolamentazione in materia televisiva su base nazionale, sino ad arrivare a descrivere l’intricata situazione normativa vigente che, in più di una occasione, pone le emittenti locali in una posizione di svantaggio. Inoltre, nello stesso capitolo, è sviluppata la nascita del Sistema Digitale terrestre, analizzando la storia del passaggio dal sistema analogico quella digitale e le caratteristiche tecniche del sistema digitale. Nel terzo capitolo, è sviluppato con attenzione il caso dell’emittente televisiva locale Teledauna, facendo una attenta analisi sulla storia la struttura e l’organizzazione societaria prima e dopo l’evoluzione del sistema di trasmissione. Il caso è supportato dai dati relativi al settore televisivo delle emittenti locali pugliesi e si concretizza nello sviluppo e nell’approfondimento delle problematiche legate al settore. Nelle conclusioni sono state aggiunte alcune proposte strategiche sviluppate alla fine della trattazione. 4
  • 5. Desidero ringraziare Teledauna nella persona di Antonio D’Antini per la disponibilità concessami e tutto lo staff dell’emittente televisiva che mi ha fornito tutte le informazioni necessarie per la stesura di questo elaborato. Ringrazio inoltre il Prof. Antonio Corvino, relatore di questa tesi, per la grande disponibilità e cortesia dimostratemi, e per tutto l’aiuto fornito durante la stesura. 5
  • 6. CAP. 1 CONCETTI TEORICI DELL’ANALISI STRATEGICA “Senza slanci di immaginazione e di fantasia, si perde l'eccitazione dell'avere una possibilità. Sognare, dopo tutto, è una forma di pianificazione” - Gloria Steinem - 1.1 NOZIONI GENERALI:UNA VISIONE D’INSIEME. “La strategia dell’impresa è data dall’insieme delle scelte fondamentali (e dai comportamenti che ne derivano) concernenti gli aspetti della sua struttura e del suo modo di interagire con l’ambiente, [...] per il solo fatto che l’impresa esiste e quindi sceglie, essa ha anche una strategia1.” I primi studi di natura pionieristica sulla problematica strategica risalgono sostanzialmente alla fase immediatamente successiva al secondo conflitto mondiale e vanno considerati un classico esempio di evoluzione teorica a seguito di una profonda trasformazione economica. Questa trasformazione nell’economia del paese era rappresentata dall’emergere della grande impresa americana che si sviluppò a partire dalla seconda metà del 1800. Un primo effetto di questa profonda e radicale mutazione del modo di concepire l’economia si ebbe nel 1933 con le elaborazioni dei modelli di concorrenza imperfetta di Chamberlin e della Robinson. Successivamente lo studio delle strategie delle grandi imprese si manifestò sia sul versante dell’industrial organization che su quello del management: sul primo versante, gli studi di Mason (1939)2 e Bain (1956)3 portarono all’elaborazione del modello “Struttura - Comportamento Risultati”; sul secondo versante sono da segnalare gli studi fioriti ad Harvard attraverso l’analisi di casi aziendali e lo sviluppo di un approccio di long range planning con il quale (inizialmente) si indicavano 1 Coda V., (1984), Sviluppo e Organizzazione, La valutazione della formula imprenditoriale, Milano, Vol. 82. 2 Mason E.S., (1939), American Economic Review, Price and production policies of large scale enterprise, Pittsburgh, Vol. 29, pagg. 61-74. 3 Bain J.S., (1956), Harvard University Press, Barriers to New Competition: Their Character and Consequences in Manifacturing Industries, Cambridge, Vol. 11, pag. 329. 6
  • 7. gli studi di strategia (vedansi Ewing4, Payne5). Tuttavia le opere che hanno dato il maggior impulso alla disciplina sono più tarde e fra queste segnaliamo: Chandler6 (1962), Ansoff (1965)7, Sloan (1964), Learned et al. (1965), Porter (1980).8 Il termine “strategia” ha una storia assai antica che risale alla cultura greca nella quale lo “stratega” aveva il ruolo di comandante dell’esercito, designato per le sue particolari abilità di condottiero. Analogamente la strategia stava ad indicare l’arte militare di vincere le guerre, mentre la “tattica” indicava l’arte militare di vincere le battaglie. L’impostazione strategica, o strategia d’impresa, è un concetto variamente definito dalla letteratura. Alcuni autori vi includono sia i fondamentali fini perseguiti che le politiche intese a realizzarli, enunciati in modo tale da definire in quale business l’impresa è o vuole essere. Altri invece assumono gli obiettivi di fondo come dati, e fanno della strategia un concetto evocativo dei modi in cui l’impresa reagisce al suo ambiente e dispiega le sue risorse in vista dei suoi fini. In realtà la questione sottende due modi di concepire il processo formulativo della strategia e, conseguentemente, l’attività di governo della medesima. In modo specifico ci riferiamo all’utilizzo del concetto di strategia nell’accezione più “ristretta” del termine, ed una più “ampia”. Una visione strategica “ristretta” non include i fini, che sottendono una elaborazione concettuale secondo cui questi ultimi devono essere determinati prima dei mezzi intesi a realizzarli; fra i mezzi o strumenti per raggiungere i fini si includono le scelte – cui viene riservato l’attributo di “strategiche” – che si riferiscono al campo di attività in cui operare, il vantaggio concorrenziale cui puntare, le sinergie e le competenze distintive da sviluppare. Per contro, il concetto “ampio” di strategia, inclusivo dei fini perseguiti, sottende il convincimento che fini e politiche volte a perseguirli non possono formularsi in modo separato, ma si determinano congiuntamente in un processo unitario che definisce l’identità complessiva dell’impresa sul triplice piano dei fini verso i quali l’attività aziendale è indirizzata, del campo in cui si esplicano le direttive gestionali e le forme organizzative alle quali si 4 Ewing D.W., (1956), Harvard Business Review, Looking around: long-range business planning, Vol. 56, n. 4, pagg. 135–146. 5 Payne B., (1957), Harvard Business Review, Steps in long-range planning, Vol. 35, n. 2, pagg. 95-101. 6 Chandlar A.D. Jr., (1962), The M.I.T Press, “Strategy and Structures: chapter in the history of the American Industrial Enterprise”, Cambridge, Massacchutsets (trad. It. Strategia e Struttura: storia della grande impresa Americana, Franco Angeli, Milano, 1976) 7 Ansoff H.I., (1965), Corporate Strategy, McGraw-Hill, New York (trad. It. Strategia Aziendale, Milano, Etas Kompass, 1969) 8 Volpato G., (1986), Concorrenza, impresa, strategia, Bologna, Il Mulino, pag. 1. 7
  • 8. uniforma. Le due concezioni anzidette implicano un sistema di decisioni gerarchicamente ordinato. Nel primo caso, al livello più elevato, si collocano le decisioni riguardanti i fini e gli obiettivi perseguiti cui sottendono le scelte strategiche. Nell’altro caso invece, al livello più alto, si colloca l’elaborazione di una visione di fondo dell’impresa che via via si specifica e si concretizza attraverso le scelte strategiche ai livelli sottostanti. 1.1.1. L’Orientamento Strategico di Fondo. Alla luce delle considerazioni fatte, i due concetti di strategia presenti nella letteratura aziendale ci inducono a preferire una nozione più ampia, in cui la strategia ci appare come il modello di ricerca del successo imprenditoriale che l’impresa di fatto ha adottato o che intende adottare, in cui, tale successo non è definito a priori, ma è la diretta conseguenza dei processi messi in atto. Così intesa, la strategia definisce l’identità effettiva o ricercata dell’impresa, evidenziando che cosa essa fa o vuole fare; perché lo fa o lo vuole fare; come lo fa o come lo vuole fare. E questa identità viene progressivamente a definirsi sia in termini di idee, convinzioni, che di atteggiamenti configuranti l’orientamento strategico di fondo. L’orientamento strategico di fondo (OSF) può definirsi, in prima battuta, come “la parte nascosta e invisibile del sistema strategico che sta al di sotto delle scelte concrete esplicitantisi nel profilo strategico visibile”9. L’OFS è un insieme di idee chiave radicate negli attori dell’impresa e nelle aziende dalla forte natura coesiva nonché nel personale tutto, nella struttura e nei meccanismi operativi. E queste idee possono avere radici così profonde nella cultura di determinati soggetti e dell’impresa da essere operanti per così dire a livello inconscio. L’OSF si compone di un complesso di idee, valori e atteggiamenti distinti ma interconnessi, nel quale, il “dove” e il “come” dell’agire d’impresa (a livello di orizzonti spazio-temporali e di crescita quali-quantitava), disegnano una sorta di cornice entro cui si precisano il “perchè” dell’agire medesimo, e il “come” a livello di filosofia organizzativa e gestionale. Semplificando, l’orientamento strategico di fondo serve a capire qual è il campo di attività verso cui l’impresa si sente vocata, quali sono i fini dell’agire aziendale, e 9 Coda V., (2004), L’orientamento strategico dell’impresa, Torino, Franco Angeli, pag. 25. 8
  • 9. in che modo la filosofia gestionale e organizzativa incide sulle scelte. L’OSF (Figura 1.1) è uno strumento utile per raccogliere i contributi della letteratura in tema di eccellenza imprenditoriale, oppure in tema di crisi delle imprese, e a delineare i profili tipici di eccellenza o di mediocrità imprenditoriale. Figura 1.1 – Contenuti dell’”Orientamento Strategico di Fondo” Orizzonte temporale Campo di attività Peso e significato del risultato reddituale Missione aziendale Ruolo nello sviluppo economico locale Utilità sociale perseguita Crescita dimensionale perseguita Sviluppo qualitativo perseguito Fonte – Adattamento da Coda V., (2004), L’orientamento strategico dell’impresa, Torino, Franco Angeli, pag 28. 1.1.2 Strategia dell’ “Oggi” e strategie del “Futuro”. Nella realtà, si cimentano imprese che incarnano differenti “modelli”, non tutti ugualmente funzionali a obiettivi di sopravvivenza e prosperità di lungo periodo10. Il nostro studio infatti, esponendo le caratteristiche generali di OSF che ogni impresa dovrebbe aver condiviso, dopo averle affiancate al concetto del “lungo periodo”, si concentra sulle strategie dell’oggi e le strategie del futuro. Facendo un breve richiamo ad alcuni concetti di base, per meglio comprendere la teoria appena esposta, prima di spingerci verso una descrizione dettagliata della stessa, iniziamo col dire che l’analisi strategica deve necessariamente evidenziare alcune 10 Coda V., (2004), op. cit., pagg. 25-26, 35-36. 9
  • 10. caratteristiche peculiari dell’azienda quali: le risorse, le operazioni e i processi che danno contenuto alla gestione, nonché le relazioni con gli interlocutori. La singola azienda, in questo caso, sarà quindi esaminata per quello che essa “oggettivamente” è. Ma il sistema azienda non è solo un fenomeno di natura oggettiva; essa non si sviluppa spontaneamente ma per effetto delle idee e delle decisioni oltreché dalle azioni poste in essere dagli uomini che vi operano. A tal proposito, l’impresa, nella ricerca di un equilibrio complessivo, non può esimersi dal procedere su un duplice piano temporale. Da un lato, infatti, essa è chiamata a definire una impostazione che risulti la più efficace ed efficiente possibile con riguardo alla situazione attuale, ai mercati in cui è presente, alle tecnologie disponibili, ai bisogni manifesti; dall’altro, alla medesima impresa è richiesto di predisporre quanto necessario per poter essere in una condizione di equilibrio anche futuro, preso atto delle condizioni già in essere o in procinto di realizzarsi. E’ evidente, quindi, considerando le opportune spiegazioni poc’anzi esposte, che la strategia dell’oggi corrisponde alle scelte e alle azioni che definiscono il posizionamento strutturale con cui si intende soddisfare le necessità dei clienti attuali e offrire opportunità d’impiego adeguate per le diverse risorse che sono a tal fine necessarie. La strategia del futuro ha, invece, il fine di ricercare un equilibrio immaginando di proiettarsi verso possibili mutamenti che avverranno in un tempo prossimo, senza essere guidati o influenzati dai bisogni dei clienti attuali o dalle opportunità di miglioramento dei prodotti esistenti. In sintesi, la ricerca di un equilibrio futuro comporta per l’impresa lo sviluppo di una visione che sia compatibile con i mutamenti del gioco competitivo e con la eventuale ridefinizione dei confini dei settori in cui l’impresa opera11. A tal proposito, è quindi importante evidenziare il passaggio che si compie dalla strategia dell’oggi a quella del futuro, e quali sono le caratteristiche intrinseche di questo passaggio, volto a mettere in luce uno spettro più ampio della prospettiva d’impresa, intenta a proiettarsi in un arco temporale di lungo periodo, che sia supportato dall’esistenza di un elemento che incide in maniera preponderante sul successo aziendale: l’innovazione. 11 Mazzola P., (1996), La diagnosi strategica nella gestione d’impresa, Milano, Egea, pagg. 41-42. 10
  • 11. 1.2. L’ANALISI STRATEGICA. Dovendo scegliere quali elementi rappresentano meglio il concetto innovazione strategica, si preferisce, in questa sede, privilegiare l’aspetto contenutistico, evidenziare le azioni che consentono alle imprese di conseguire in modo consecutivo gli stati futuri desiderati. A tal proposito, in quest’ambito, appaiono egualmente giustificabili sia un approccio ex ante che un approccio ex post, che possono coesistere in quanto solo apparentemente contraddittori. Con il primo (ex ante) si tende a definire nel modo più preciso possibile, compatibilmente con le informazioni e gli strumenti disponibili e con la loro natura non dettagliatamente operativa, il contenuto delle linee d’azione, rivolte sia all’interno sia all’esterno, che verranno a costituire, nel loro insieme, la strategia dell’impresa. Con il secondo approccio (ex post) lo scopo è quello di individuare descrivere, interpretare e valutare i contenuti del percorso strategico seguito da un’impresa per un certo tempo nella sua dinamica evolutiva. Entrambi gli approcci si caratterizzano per la presenza di una componente analitico descrittiva, che deve mettere in luce i caratteri e le implicazioni delle singole manovre che in modo composito configurano la strategia con particolare attenzione all’entità e al tipo di risorse interne e alla loro allocazione nelle diverse aree funzionali e unità organizzative coinvolte, sia la rete dei rapporti con strutture e soggetti esterni privati e pubblici che si sviluppa a seguito di tali manovre. I due approcci presentano anche delle componenti specifiche: mentre quello ex ante unisce alla componente analitico - descrittiva quella normativa (in quanto ha lo scopo di individuare, analizzare e proporre alternative di comportamento per quanto attiene all’evoluzione futura dell’impresa), l’approccio ex post, accanto alla componente analitico descrittiva, fa emergere quella interpretativa valutativa, volta a comprendere le circostanze e le ragioni, sia interne sia esterne all’impresa, che l’hanno portata storicamente ad adottare una specifica sequenza d’azioni e quindi, a seguire un determinato percorso strategico. In altre parole, potremmo dire che con il primo approccio si intende la strategia come un progetto con i suoi contenuti, uno strumento per agire e conseguire il sistema degli obiettivi di sviluppo dell’impresa, mentre con il secondo ci si occupa del comportamento dell’impresa così come appare dallo studio 11
  • 12. del cammino evolutivo che essa ha percorso nel tempo, e dal modo in cui la stessa si rapporta con l’ambiente esterno. 1.2.1. La struttura, il prodotto e il sistema competitivo. Gli sforzi volti alla costruzione di schemi teorici di analisi del problema strategico, a ben guardare, hanno a che fare con il più generale tema della teoria d’impresa e con il rapporto di quest’ultima con la prassi manageriale12. Qualsiasi impresa ha una sua formula (o impostazione) imprenditoriale (concetto altamente interscambiabile con quello di strategia) che è il prodotto della sua storia e delle scelte che l’hanno spinta in una certa direzione. Per effetto di tali scelte, un’impresa si trova ad operare: - in uno o più sistemi competitivi all’interno dei quali stabilisce determinati rapporti con certi clienti, con certi fornitori e concorrenti, trovando così una propria collocazione e definendo un proprio ruolo; - con una certa offerta o sistema prodotto, (differente per ciascuna delle aree o sotto aree di affari in cui è eventualmente articolata l’impresa) che si confronta più o meno favorevolmente o sfavorevolmente con i sistemi prodotto offerti dai concorrenti; - in un certo sistema di interlocutori sociali, all’interno del quale stabilisce rapporti con i finanziatori (che sostengono finanziariamente l’azienda come detentori del capitale di rischio o del capitale di credito), certi prestatori di lavoro (che fanno parte del suo organico) certi rappresentanti sindacali, amministratori pubblici e così via, trovando così un proprio inserimento e un proprio ruolo nel mercato di credito, nel mercato del lavoro, nel territorio e nel tessuto politico, economico, sociale di una o più comunità locali e via discorrendo; - una certa proposta progettuale, diversa per ciascun tipo di interlocutore sociale, ma inclusiva in ogni caso di certe richieste di contributi o consensi e di certe prospettive di ricompensa, la quale può confrontarsi più o meno favorevolmente o sfavorevolmente con analoghe proposte provenienti da altre 12 Gozzi A., (1991), La definizione e la valutazione delle strategie aziendali , Padova, Etas libri, pagg. 8-10. 12
  • 13. imprese o comunque reperibili da parte di coloro che dispongono a vario titolo di risorse in cerca di impiego; - con una certa struttura, (tecnico-produttiva, commerciale, direzionale e patrimoniale - finanziaria), più o meno capace di fronteggiare al contempo le forze del sistema, o dei sistemi competitivi e le attese e le pressioni degli interlocutori sociali. Riassumendo, quindi, le cinque variabili aggregate sono: 1. sistema competitivo; 2. sistema prodotto; 3. struttura; 4. sistema degli interlocutori sociali; 5. prospettive offerte/contributi richiesti agli stessi; Se si considerano le relazioni che compongono gli elementi della formula imprenditoriale, si può asserire che la struttura determina il sistema prodotto, il quale, a sua volta, mentre concorre a plasmare il sistema competitivo, consente all’impresa di ritagliarvi il suo spazio operativo. Dal sistema competitivo, la struttura, riceve continui flussi informativi che ne stimolano gli adattamenti di breve e di lungo periodo, nonché i flussi di risorse rappresentati i corrispettivi degli scambi che intrattiene con sistema stesso. La struttura inoltre, esprime la proposta progettuale intorno a cui si aggregano determinate forze sociali che assicurano all’impresa le collaborazioni vitali di cui necessita. La formula imprenditoriale è utile, ai fini della nostra analisi, per evidenziare il rapporto di scambio continuo che avviene tra la struttura e il sistema competitivo. É interessante, quindi far notare come la formula imprenditoriale o strategia d’impresa, altro non è che il modello di interazione tra “l’impresa” e “l’ambiente” attraverso cui la stessa insegue un certo modello di successo imprenditoriale. 13
  • 14. 1.2.2. L’impresa e l’ambiente. Avendo già posto in evidenza le caratteristiche che compongono il sistema all’interno del quale l’azienda deve operare, riprendiamo i concetti di “impresa” e “ambiente” per definire i motivi che spingono la nostra analisi a sottolineare l’importanza dell’interazione tra gli stessi. Tra le possibili rappresentazioni schematiche del sistema d’impresa, si privilegia quello input-output, che presenta l’impresa come un complesso insieme di variabili strutturali (input) comportamentali (variabili intercorrenti) e risultati (output) in continuo rapporto con l’ambiente13. A tal proposito il “sistema d’impresa”, è composto da tre variabili quali struttura, attività e risultati (Figura 1.2), che si contrappongono attuando relazioni di scambio con “l’ambiente” all’interno del quale devono sopravvivere. Figura 1.2 - Un modello di input-output del sistema d’impresa. AMBIENTE STRUTTURA ATTIVITA’ RISULTATI Fonte – Coda V., (2004), L’orientamento strategico dell’impresa, Torino, Franco Angeli, pag. 2. Nel concetto di struttura (Figura 1.3) si ricomprendono tutte quelle variabili che definiscono l’assetto istituzionale, organizzativo e patrimoniale dell’impresa, ossia le risorse organizzate costituenti l’organismo personale e il patrimonio e, più specificamente, il patrimonio imprenditoriale, direzionale, tecnologico e commerciale. Parte altamente significativa delle risorse organizzate costituenti la struttura, è data dalla conoscenza accumulata nel corso della storia dell’impresa e incorporata nelle persone che vi lavorano, nelle prassi organizzative, nei sistemi di direzione e nei vari meccanismi di accumulo e di esperienza propri di ciascuna area funzionale dell’impresa. 13 Seiler J.A., (1967), Systems Analysis in Organizational Behavior, Illinois, Irwin and the Dorsey, pagg. 1516 14
  • 15. Figura 1.3 – Esempio di “struttura” Fonte – Grandori A., (1992), L’organizzazione delle attività economiche, Bologna, Il mulino, pag. 75. Tra le variabili incluse nel concetto di struttura, vi è poi una variabile cosiddetta soft, risultato di continui processi di apprendimento e di conoscenza che è stata accumulata nel corso dello svolgimento del progetto aziendale, cui nella letteratura ci si riferisce come “valori imprenditoriali”, “filosofia di management” o ancora“ strategia istituzionale”, espressioni evocatrici della concezione di fondo dell’impresa che, ancorché non esplicitata, di fatto anima scelte e comportamenti direzionali. Nel concetto di attività vengono incluse tutte le azioni e interazioni che si svolgono a livello direzionale, e a livello esecutivo, siano esse indirizzate alla produzione dei risultati (la figura 1.4 è un esempio della modalità di interazione delle attività aziendali che mirano ad acquisire clienti) oppure al consolidamento al cambiamento della struttura. É importante a tal proposito, distinguere le attività direzionali in due filoni: quello della “direzione strategica”, volta a definire gli obiettivi e gli indirizzi di fondo dell’attività aziendale nonché l’architettura organizzativa e il disegno strutturale dell’impresa; e quello, non secondario, della “direzione operativa”, preposta allo svolgimento diretto delle attività. Entrambe si intrecciano, e si caratterizzano l’una per il contributo che da alla impostazione 15
  • 16. imprenditoriale, e l’altra per la realizzazione delle attività, consentendo lo sfruttamento e il conseguimento delle attività operative (Figura 1.4). Figura 1.4 – Esempio: modalità di interazione delle attività aziendali che mirano ad acquisire clienti Espandere i Mercati Fidelizzare i clienti Aumentare l’efficienza Fonte – Ns. elaborazione Le categorie utilizzate per valutare la qualità direzionale dell’impresa sono quelle dell’efficacia per la direzione strategica e dell’efficienza per la direzione operativa. Una efficiente direzione amministrativa permette all’impresa di ottenere i migliori risultati realizzabili, volti a ridurre i costi, aumentare i margini, accelerare il rigiro dei capitali investiti, promuovere la qualità e così via. Una efficace gestione strategica si focalizza sulle incongruenze strategiche da dover eliminare, per favorire un’apertura aziendale, di conseguenza improntata alla flessibilità, per meglio garantire un apprendimento strategico dell’operazione. Gestione strategica e operativa richiedono un intreccio essenziale per un efficace dispiegamento dell’attività d’impresa. I risultati dell’attività aziendale sono il primo sintomo di una attenta e puntuale direzione strategica e operativa; essi sono: 16
  • 17. - risultati economico finanziari, espressi dagli indicatori di economicità, solidità patrimoniale, e di liquidità; - risultati competitivi, derivanti dall’affermazione dell’impresa nei settori nei quali è impegnata; - risultati sociali, relativi ai livelli di fiducia, coesione, affermazione degli soggetti che contribuiscono a influenzare i consensi dell’impresa (interlocutori sociali); - sviluppo, che sta a significare la variazione delle dimensioni aziendali, e che indica la crescita dell’impresa sul piano della professionalità, dell’efficienza e dell’innovatività, nonché della velocità e flessibilità di adattamento alle mutevoli esigenze del mercato. Lo sviluppo, che costituisce la quarta dimensione dei risultati, è indispensabile per leggere nelle loro mutue relazioni, la dinamica dei risultati.14 1.2.3. La politica aziendale: l’idea di “Sviluppo” Nella prospettiva del general management, l’impresa da attuazione all’idea imprenditoriale che si intende realizzare, idea che può essere più o meno efficace ed efficiente. Nelle aziende ben gestite, l’idea dominante è riscontrabile nella mente del comparto del top management. Tale idea, è definita in dottrina “business idea”, o in senso più ampio “formula imprenditoriale”, o ancora “formula strategica attuale”.15 Il soggetto economico condivide una concezione di impostazione strategica attuale (approvata dal sistema umano) che deve fungere da “modello di riferimento” per la politica aziendale. Si può parlare di politica aziendale come prodotto dell’attività di governo che si esprime e si estrinseca in un insieme di idee, decisioni e azioni volte all’efficace ed efficiente attuazione dell’impostazione strategica attuale. Detta politica, quindi, si muove all’interno dell’impostazione strategica attuale e si orienta a dare attuazione alla stessa con efficacia ed efficienza, intervenendo (se ve ne fosse bisogno), con operazioni di “manutenzione” o “riorientamento” del sistema aziendale.16 14 Coda V., (2004), op. cit., pagg. 2-3. Normann R., (1979), le condizioni di sviluppo delle impresa, Milano, Etas, pagg. 20-25. 16 Coda V., (1984), Sviluppo e Organizzazione, La valutazione della formula imprenditoriale, Milano, Vol. 82. 15 17
  • 18. E’ chiaro che, in questa prospettiva d’analisi, sia evidente come in azienda non esista un’unica formula imprenditoriale/idea capace di superare la barriera del tempo. L’attività di governo è pertanto orientata a favorire percorsi di crescita e di cambiamento.17 Ciò significa che, per riuscire a proiettare l’operato dell’impresa nel tempo, e necessario definire politiche aziendali orientate al lungo periodo, per condurre il sistema verso un diverso modello gestionale, modello necessariamente fondato su una idea d’impresa diversa da quella che è espressa nella impostazione strategica attuale18. Nel lungo termine il cambiamento costituisce (infatti) una condizione di esistenza dell’azienda, in quanto sistema sociale complesso, che opera in un contesto dinamico. Quando la politica aziendale è volta al cambiamento, e orientata a perseguire un disegno imprenditoriale del domani, che mette in discussione l’oggi tendendo a rompere gli equilibri attuali, creando continuamente un nuovo possibile19. Questo disegno è stato definito “idea di sviluppo” o, in termini più ampi, “formula imprenditoriale del domani20. Tale disegno si ispira ad una idea di sviluppo che tratteggia la direzione di marcia ipotizzata per il cambiamento. Più precisamente, l’intento strategico viene riferito sia all’intenzione del vertice aziendale di attuare determinate linee strategiche, sia alla tensione rispetto al perseguimento di tale proposito. In altre parole l’intento strategico viene letto come proposta progettuale imprenditoriale, espressa dal vertice aziendale, e non solo: essa si configura come fattore di catalizzazione dell’impegno degli uomini d’azienda, che, ai diversi livelli, hanno come obiettivo la realizzazione del cambiamento. 1.3 L’INNOVAZIONE. La dottrina e gli studi empirici hanno esplorato il complesso mondo aziendale, cercando di definire gli elementi di causa–effetto degli scenari industriali in continua evoluzione, arrivando a racchiudere lo scopo dell’azienda nell’individuazione dell’equilibrio economico a valere nel tempo21. L’azienda si trova in condizioni di Bianchi Martini S., (2009), Introduzione all’analisi strategica dell’azienda, Pisa, Giappichelli, pagg. 3-5. Abell D.F., (1993), Managing with Dual Strategies, Mastering the preset, Preemiting the future, New York. (trad. it. a cura de Il sole 24 ore - Strategia duale. Dominare il presente, anticipare il futuro, Pirola S.p.a., Milano, 1994, pag. 5) 19 Vicari S., (1991), L’impresa vivente . Itinerario di una diversa concezione, Milano, Etas libri, pag.12. 20 Mazzola P., (1996), op. cit. pag. 32. 21 Giannesi E., (1979), op. cit. pagg. 11, 28-48, 40. 17 18 18
  • 19. equilibrio economico quando i ricavi della gestione sono tali da coprire i costi della stessa, attraverso una certa somma che sia capace di remunerare il capitale di rischio e i costi aziendali22. Seppure questa sia una visione semplicistica dell’operato aziendale, ciò detto, induce il nostro studio a collegare il concetto di valore nel tempo a quello di equilibrio economico, dato che quest’ultimo va inteso nel senso di una gestione aziendale orientata verso una prospettiva di medio - lungo termine. Se osserviamo la storia delle aziende, è agevole rilevare che è diverso, nel tempo e nello spazio, il livello di remunerazione del capitale proprio in base alle scelte strategiche orientate al breve o al lungo periodo e quindi, per certi versi, il grado di perseguimento dell’equilibrio economico. E’ innegabile che alcune aziende sopravvivono in entrambi i casi, senza che venga compromessa la condizione di vita aziendale. In alcune situazioni, infatti, livelli di economicità positivi di breve periodo23, possono essere considerati, dalle persone che incarnano funzioni di vertice, soggettivamente soddisfacenti24. Ma non tutte le imprese riescono a sposare concetti come quelli di “stabilità e staticità” nel lungo periodo. Molte di esse (se non la maggior parte), si confrontano con quei mercati in cui “l’innovazione e la ricerca” (costante) fanno si che la vita aziendale sia in continuo mutamento. A tal proposito, il vantaggio competitivo e l’innovazione potranno aiutarci a intraprendere un percorso che guiderà la nostra tesi nella direzione in cui le strategie aziendali, volte al perseguimento dell’equilibrio economico, vengono modificate dal tempo e nel tempo. 22 In virtù di ciò l'equilibrio economico è stato anche soprannominato da Adam Smith, il padre della teoria economica liberista, come "La Mano Invisibile" ovvero quell'insieme di meccanismi di natura socio economica che agiscono costantemente sul Sistema Economico per riportare situazioni momentanee di disquilibrio all'equilibrio. Adam Smith è un filosofo illuminista di prim'ordine e amico di Hume, fondatore dell'economia politica in senso moderno. Dal suo pensiero ha avuto origine la cosiddetta scuola classica. Il concetto di equilibrio economico non è presente negli autori classici, ma è un concetto che verrà mutuato dalla fisica meccanica da parte degli autori della scuola marginalista, come Jevons, Walras e Marshall, intorno agli anni 90 del sec. XIX. In particolare è a Walras che si deve il concetto di equilibrio economico generale, il cui risultato analitico principale è l'utilizzo pieno ed ottimale di tutte le risorse disponibili, che si raggiunge attraverso l'operare di forze che portano automaticamente il sistema all'equilibrio. 23 Nel “breve periodo” la competitività di un’impresa dipende dal rapporto qualità/prezzo che è stata in grado di realizzare rispetto alla concorrenza. In molti settori, tuttavia, i competitori tendono a convergere verso standard simili e molto elevati di tale rapporto, cosicché questo elemento può diventare sempre meno importante come fonte di vantaggio competitivo: «Gli aspetti legati alla qualità, come la solidità e l’affidabilità, si diffondono sempre più e diventano un prerequisito piuttosto che una fonte di vantaggio competitivo». (Grant R.) 24 Bianchi Martini. S., (2009), op. cit., pagg. 10-11. 19
  • 20. 1.3.1. Il “vantaggio competitivo” e “l’innovazione”. La sopravvivenza e il successo delle imprese dipendono dalla loro capacità di rinnovarsi e di ricercare nuove strade. Secondo l’approccio di Porter, riscrivibile in una matrice di seguito esposta (Figura 1.5), se un’impresa vuole costruire alternative valide per potersi confrontare sul mercato, può farlo attraverso 3 strategie: 1 – leadership di costo, tramite la quale l’impresa produce a costi inferiori rispetto ai suoi concorrenti; 2 - differenziazione, attraverso la quale l’impresa produce prodotti differenti per i quali il consumatore è disposto a pagare un prezzo diverso; 3 – focalizzazione, (segmentazione del mercato) che è la realizzazione di una delle due strategie in un particolare segmento di mercato. Figura 1.5 – “Matrice di Porter” , le strategie competitive di base. La leadership di costo, permette all’azienda di avere una netta posizione di vantaggio rispetto ai suoi concorrenti: infatti, questi minor costi, possono derivare dalla capacità dell’impresa stessa di poter usufruire di economie di scala e di esperienza (espansione del settore e della produzione attraverso il quale l’azienda abbatte i costi); efficienza in termini 20
  • 21. di automazione e utilizzo della capacità produttiva; conoscenze acquisite in specifici settori; possesso di alcune merci considerate “scarse”; e per ultimo, ma non meno importante, per l’utilizzo di particolari mezzi di innovazione tecnologica. Nel tempo, questi tre approcci tendono a fondersi tra loro, e inducono l’impresa a combinare le tre strategie per ottenere i migliori risultati. Uno strumento valido per comprendere a fondo la natura del vantaggio competitivo è la “catena del valore” (Figura 1.6) di Michael Porter (1985)25. Quest’ultimo è un modello che contribuisce ad analizzare le attività specifiche attraverso le quali le aziende generano valore26 nonché vantaggio competitivo; esso è inoltre uno strumento valido per valutare dinamicamente se e quanto il vantaggio competitivo venga raggiunto, mantenuto e difeso. La “catena del valore” permette di considerare l'impresa come un sistema di attività generatrici del valore, inteso come il prezzo che il consumatore è disposto a pagare per il prodotto che soddisfa pienamente i suoi bisogni. Per ottenere valore bisogna però utilizzare in modo corretto una serie di processi . Possiamo definire un processo come “un insieme organizzato di attività e di decisioni, finalizzato alla creazione di un output effettivamente domandato dal cliente, e al quale questi attribuisce un valore ben definito”27. Porter distingue cinque processi primari e quattro attività a supporto del vantaggio: A) Processi primari: sono quelli che direttamente contribuiscono alla creazione dell'output (prodotti e servizi) di un'organizzazione e sono: 1 - Logistica in entrata: comprende tutte quelle attività di gestione dei flussi di beni materiali all'interno dell'organizzazione. 2 - Attività operative: attività di produzione di beni e/o servizi. 3 - Logistica in uscita: comprende quelle attività di gestione dei flussi di beni materiali all'esterno dell'organizzazione. 25 Porter M., (2004), Il vantaggio competitivo, Milano, Einaudi, pagg. 10-18 Porter, (1985): «il vantaggio competitivo nasce fondamentalmente dal valore che un’azienda è in grado di creare per i suoi acquirenti, che fornisca risultati superiori alla spesa sostenuta dall’impresa per crearlo. Il valore è quello che gli acquirenti sono disposti a pagare: un valore superiore deriva dunque dall’offrire prezzi più bassi della concorrenza per vantaggi equivalenti, o dal fornire vantaggi unici che controbilancino abbondantemente un prezzo più alto» 27 Bartezzaghi E., (1999), Il sole 24 ore, Organizzare le PMI per la crescita, cit. pag. 60 26 21
  • 22. 4 - Marketing e vendite: attività di promozione del prodotto o servizio nei mercati e gestione del processo di vendita. 5 - Assistenza al cliente e servizi: tutte quelle attività post-vendita che sono di supporto al cliente (ad es. l'assistenza tecnica). A) Processi di supporto: sono quelli che non contribuiscono direttamente alla creazione dell'output ma che sono necessari perché quest'ultimo sia prodotto e sono: 1 - Approvvigionamenti: l'insieme di tutte quelle attività preposte all'acquisto delle risorse necessarie alla produzione dell'output ed al funzionamento dell' organizzazione. 2 - Gestione delle risorse umane: ricerca, selezione, assunzione, addestramento, formazione, aggiornamento, sviluppo, mobilità, retribuzione, sistemi premianti, negoziazione sindacale e contrattuale, ecc. 3 - Sviluppo delle tecnologie: tutte quelle attività finalizzate al miglioramento del prodotto e dei processi. Queste attività vengono in genere identificate con il processo R&D (Research and Development). 4 - Attività infrastrutturali: tutte le altre attività quali pianificazione, contabilità finanziaria, organizzazione, informatica, affari legali, direzione generale, ecc. Figura 1.6 – “Catena del valore”di Porter 22
  • 23. Fonte - adattamento da Pivato S., (2004), Economia e gestione delle imprese, Milano, Egea, pag. 103 Il vantaggio competitivo, quindi, piuttosto che fattore attrattività, diventa la fonte primaria dei differenziali tra le imprese: la maggiore focalizzazione sul vantaggio competitivo rende cruciale la comprensione delle sue fonti. Nonostante la letteratura in tema di strategia tenda ad enfatizzare la scelta del posizionamento strategico in termini di costi e differenziazione, il fondamento di queste scelte risiede nelle risorse dell’impresa. Nella seconda metà degli anni ’80, negli studi di strategic management28, è stato formulato un diverso approccio allo studio del vantaggio competitivo noto come resourced basedview29. In base a questo approccio, il vantaggio competitivo dell’impresa dipenderebbe dalle risorse di cui essa dispone. Le risorse sono tutti quei fattori che l’impresa può usare e controllare; possono distinguersi in: La definizione del termine “Strategic Management”, fu elaborata Research Institute dell'Università di Stanford (1963). Il primo libro sulla teoria degli stakeholder fu "Strategic Management: A Stakeholder Approach" di Edward Freeman (1984), che diede anche la prima definizione di stakeholder, come i soggetti senza il cui supporto l'impresa non è in grado di sopravvivere. Secondo questa teoria, il processo produttivo di un'azienda generica deve soddisfare delle soglie critiche di costo, servizio e qualità che sono diverse e specifiche per ogni stakeholder. Al di sotto di una prestazione minima, il cliente cambia fornitore, manager e dipendenti si dimettono, e i processi materialmente non possono continuare. Con il tempo prevale il "filone etico": insieme a William M. Evan in "A stakeholder approach on modern corporation: the Kantian Capitalism" (1984), si definiscono stakeholder tutti i soggetti che possono influenzare oppure che sono influenzati dall'impresa. 29 Simone C., (2004), La resource based view e la knowledge based view. Dall'ottica atomistica a quella interaziendale, Roma, Aracne, pag. 5. 28 23
  • 24. 1) materiali (impianti, macchinari, materie prime, etc.); 2) immateriali (brevetti, marchi, fiducia, etc.); 3) finanziarie (fondi finanziari, di debito, etc.); 4) umane (personale). Tali risorse sono poi combinate ovvero aggregate, e definiscono le competenze aziendali. Ma non tutte le risorse possono condurre, in egual misura, ad un vantaggio competitivo. Le stesse devono avere un valore per l’impresa, e consentirgli di cogliere le opportunità di mercato. La capacità di individuare, in anticipo, le risorse che, nel mercato, sono in grado di supportare l’attività imprenditoriale deriva dalle conoscenze e attitudini del soggetto economico. Tuttavia, è difficile riuscire a ottenere un vantaggio se, queste risorse, sono accessibili a tutti i concorrenti: in questo caso, esse, determineranno una parità competitiva. Se invece nel sistema, le risorse migliori non fossero accessibili ai più, alcune imprese si vedrebbero obbligate a utilizzare risorse di second’ordine, dando spazio al concetto di scarsità. Una risorsa dotata delle caratteristiche di scarsità e valore, genera un vantaggio competitivo temporaneo. Una variante si realizza qualora una risorsa non ha valore perchè coglie una opportunità, ma perchè soppianta la condizioni precedenti. La rendita ottenibile da queste risorse si definisce “schumpeteriana” e si realizza quando l’impresa combina le risorse in modo innovativo, all’interno di un ambiente incerto e rischioso, soppiantando le condizioni di superiorità di precedenti risorse. Le caratteristiche di valore, scarsità e innovatività sono quindi fattori fondamentali per l’ottenimento del vantaggio competitivo.30 1.3.2. Tecnologie produttive: “esplorazione” e “sfruttamento”. Per la maggior parte delle imprese l’innovazione è ormai divenuta un imperativo strategico per acquisire e mantenere posizioni di leadership. Gli approcci descritti nel paragrafo precedente, evidenziano in che modo le risorse impattano sui processi decisionali 30 Pivato S., Misani N., Ordanini A., Perrini F., (2004), Economia e gestione delle imprese, Milano, Egea, pagg. 101 – 105. 24
  • 25. del soggetto economico, che si trova a dover affrontare costanti evoluzioni nelle dinamiche aziendali. Valore e scarsità, risultano essere elementi indispensabili per ottenere un vantaggio competitivo. Ma in un ambiente in costante evoluzione l’azienda deve rinnovarsi, e mostrare particolare attenzione all’aspetto innovativo. A tal proposito, si fa richiamo alla “piramide dell’innovazione” (Figura 1.7) da cui emergono: 1 – innovazione primaria (Sprazi 1979, Lugli 1974) che tende a definire nuovi e più ampi spettri d’azione nella elaborazione del prodotto (nuovi prodotti, aumento di produttività, miglioramento dell'efficacia, penetrazione in nuovi mercati ecc.). Coincide con la comparsa su un mercato di un nuovo canale distributivo e si realizza mediante l’offerta di uno o più servizi non presenti nelle forme distributive preesistenti. Secondo una visione tradizionale tale innovazione pratica prezzi inferiori rispetto alle formule preesistenti, genera una discontinuità e una modificazione degli assetti strutturali e meccanismi competitivi e agisce sulle leve di retail mix tradizionali. 2 – innovazione indotta31 (o secondaria), che determina miglioramenti nelle caratteristiche di una delle variabili di business esistente. Essa viene dunque generata agendo principalmente sulla variabile assortimento (macro) e solo di riflesso su alcuni parametri strutturali (numero degli addetti, layout attrezzature etc.). 3 – innovazione terziaria, rappresenta la faccia nascosta della politica di marca insegna. Questo livello di innovazione non identifica nuovi canali/formati, semplicemente consente di identifica una politica di marca dei distributori all’interno di un determinato canale/formato di un punto vendita. Fig. 1.7 - “Piramide dell’Innovazione” INNOVAZIONE PRIMARIA format INNOVAZIONE SECONDARIA concept Hicks J.R attraverso “La teoria dei salari”, introduce un’ipotesi macroeconomica, con la quale ipotizzò che <<un cambiamento nei prezzi relativi dei fattori di produzione è di per sé uno stimolo all’invenzione di un nuovo prodotto, diretto a economizzare l'uso di un fattore che è diventato relativamente costoso>>. Hicks J.R., (1932), La teoria dei salari , (Londra, pagg. 50) 31 INNOVAZIONE TERZIARIA 25 (marca- insegna)
  • 26. Fonte - Verona G., (2000), Innovazione Continua, Milano, Egea, pag. 7 Mentre i parametri strutturali e di assortimento (macro differenziazione) qualificano l’innovazione primaria e secondaria, le leve operative (assortimento a livello micro, merchandising, comunicazione, ambientazione, servizi accessori) qualificano la politica aziendale e gli consentono di dare identità alle diverse imprese.32 L’innovazione a livello aziendale, quindi, può coinvolgere (come già esposto in precedenza) processi “decisionali” e “operativi”. In entrambi in casi, l’innovazione può mutare in tutto o in parte le caratteristiche aziendali (organizzazione, prodotto, tecnologia). Distinguiamo a tal proposito due variazioni (Figura 1.8): - Radicale: essa dà origine a nuovi paradigmi di “costruzione” della struttura e dei prodotti (sviluppa nuovi mercati, riduce i costi di produzione, migliora la qualità dei prodotti già esistenti etc.). Un cambiamento di questa portata, permette di combinare innovazioni di prodotto, di processo e di organizzazione. - Incrementale: sviluppa paradigmi preesistenti; è continua (ma con ritmi diversi nei vari settori), frutto di invenzioni degli ingegneri e del personale dei processi produttivi. Aumenta produttività e competitività dell’impresa migliorando l’efficienza di utilizzo di tutti i fattori della produzione. L’innovazione sostanziale è caratterizzata dalla presenza di funzionalità nuove che, pur non alterando sostanzialmente l'utilizzo del prodotto, lo rendono più ricco ed attraente. Di solito è orientata a raggiungere nuove nicchie di mercato offrendo un mix nuovi di funzionalità. Figura 1.8 – Grafico sull’Innovazione “radicale, sostanziale e incrementale” 2 32 Verona G., (2000), Innovazione Continua, Milano, Egea, pagg. 6-15. RADICALE 1 Capacità di Accrescere il valore 26 SOSTANZIALE INCREMENTALE
  • 27. Fonte – Dewar R.D., Dutton J.E., (1986), Management Science, The Adoption of Radical and Incremental Innovations: An Empirical Analysis, n. 32 Cambiamenti radicali e incrementali sono approcci opposti per l’apprendimento organizzativo. L’attenzione degli studiosi si divide in due grandi filoni di apprendimento: esplorazione (innovazione radicale) e sfruttamento (innovazione incrementale). L’esplorazione implica comportamenti aziendali caratterizzati da ricerca, scoperta, sperimentazione, assunzione del rischio e innovazione radicale, mentre lo sfruttamento implica comportamenti aziendali caratterizzati da affinazione, attuazione e ricerca di efficienza nella produzione attuale e nella selezione delle risorse aziendali (Cheng e Van de Ven 1996). La distinzione concettuale tra esplorazione e sfruttamento è stata usata come un costrutto analitico, esplicitamente o implicitamente, in una vasta gamma di gestione delle aree di ricerca, compresa la gestione strategica (ad esempio, Inverno e Szulanski 2001), la teoria dell'organizzazione (Holmqvist 2004, Van den Bosch et al. 1999), e nella gestione economica (Ghemawat e Ricarti Costa 1993). Questi studi hanno dimostrato che l'esplorazione e lo sfruttamento richiedono strutture, processi, strategie, capacità e culture da perseguire sostanzialmente diverse, e possono avere diversi impatti sulla società. In generale, esplorazione è associata a strutture organiche, sistemi associati, improvvisazione, l'autonomia e caos dei mercati e delle tecnologie emergenti. Lo sfruttamento è associato con le strutture meccanicistiche, sistemi strettamente accoppiati, percorsi di dipendenza, routinizzazione, controllo e burocrazia accentuata, mercati stabili e tecnologie attuali (Ancona et al.2001, Brown e Eisenhardt 1998, Lewin et al. 1999). I rendimenti associati all’esplorazione sono variabili e distanti nel tempo, mentre i rendimenti associati allo sfruttamento sono più sicuri e più vicini nel tempo. In altre parole, le imprese esplorative, sperimentando il successo così come il fallimento, generano 27
  • 28. variazione delle prestazioni maggiori, mentre le imprese che sfruttano le risorse a loro disposizione sono in grado di generare prestazioni più stabili. 33 Mentre la distinzione concettuale tra esplorazione e lo sfruttamento e le loro implicazioni per la strategia e la struttura sono stati intensamente studiati, si è condotta una piccola indagine empirica degli effetti dell'interazione tra i due. Nonostante la popolare ipotesi ambidestra suggerita da Tushman e O' Reilly (1996)34 (attraverso la quale i due autori mettono in evidenza la necessità delle imprese di raggiungere un "equilibrio" tra i due approcci per ottenere prestazioni superiori), pochi sono stati i risultati empirici riportati in letteratura sul modo in cui esplorazione e sfruttamento possono influenzare le performance aziendali congiuntamente. Come sintetizzato da March (1991)35, la distinzione tra "esplorazione di nuove possibilità" e "lo sfruttamento di vecchie certezze", fa emergere una serie di differenze fondamentali nel comportamento che le imprese adotteranno nello scegliere le strategie più adatte per ottenere le migliori performance aziendali. E’ inevitabile che esista una tensione tra esplorazione e sfruttamento. Da un lato, l’adattamento alle esigenze attuali, può favorire l’inerzia strutturale e ridurre la capacità delle imprese di adattarsi ai futuri cambiamenti nonché alle nuove opportunità (Hannan e Freeman 1984)36. D'altra parte, sperimentando nuove alternative, si riduce l’impatto che le competenze esistenti (attuali) possono avere sul futuro successo aziendale (March, 1991). Una esplorazione fallimentare può interrompere le routine di successo di un'impresa, senza del quale essa non potrà ottenere un significativo risultato nel nuovo campo, per compensare la perdita nel business esistente (Mitchell e Singh 1993). D’altra parte, la ”convinzione nel metodo” che spinge un'impresa a mantenere la sua attuale posizione, anche se l'ambiente esterno è in continua evoluzione, trasforma le “capacità di base” in “rigidità di base” (Leonard Barton 1995). Una eccessiva attenzione sullo sfruttamento che provoca miopia organizzativa (Radner 1975), Peter (1990) fu a favore di una radicale strategia di innovazione che viene generata dalle dinamiche obsolete che nascono e si sviluppano all’interno dell’organizzazione. Allo 33 Zi-Lin He, Poh-Kam Wong, (2004), Organization Science, Exploration vs. Exploitation: An Empirical Test of the Ambidexterity Hypothesis, Maryland, Vol. 15, No. 4, pagg. 481-482. 34 Tushman M.L., O’Reilly C., (1996), Management Review, Ambidextrous organizations: Managing evolutionary and revolutionary change, California, Vol. 38, pagg. 8-30. 35 March J.G., (1991), Organization Science, Exploration and exploitation in organizational learning, Stanford University, California, Vol 2, pagg. 71-87. 36 Hannan, M.T., Freeman J.H., (1984), Sociological Review, Structural inertia and organizational change, Amer, Vol. 49, pagg. 149-164. 28
  • 29. stesso modo, D'Aveni sostenne con forza che nessuna impresa può costruire un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo dato che la forza di oggi diventa la debolezza di domani. Invece di cercare di creare la stabilità e l'equilibrio, le imprese devono lavorare attivamente per interrompere i loro vantaggi e i vantaggi dei concorrenti, creando una serie di vantaggi temporanei (D'Aveni, 1994)37. Da questo nasce una nuova logica strategica: bisogna controbilanciare lo sfruttamento con l'esplorazione. D'altra parte, Levinthal e March (1993) hanno sostenuto che l'equilibrio può anche essere inclinato verso l'esplorazione eccessiva che, per le aziende, è altrettanto distruttiva. Sebbene un trade - off tra esplorazione e sfruttamento è certamente necessario, March (1991) ha anche suggerito che il mantenimento di un adeguato equilibrio tra l’esplorazione e lo sfruttamento è fondamentale per la sopravvivenza dell'impresa e la prosperità della stessa. Come sostenuto da Levinthal e March (1993), “Il problema fondamentale nell’affrontare una organizzazione è quello di impegnarsi nello sfruttamento sufficiente ad assicurare la sua vitalità attuale e, allo stesso tempo, di dedicare l'energia sufficiente per l'esplorazione al fine di garantirne la redditività futura”. Allo stesso modo, Burgelman (1991, 2002) attraverso la sua analisi, suggerisce che le imprese possono tenere entrambi i processi in gioco in ogni momento, anche se questo significa che le imprese non massimizzano mai completamente i loro benefici dal dominio corrente. La necessità di un adeguato equilibrio tra esplorazione e sfruttamento è stata concettualizzata da Tushman e O'Reilly (1996) attraverso la definizione di una organizzazione ambidestra: entrambi hanno usato la metafora del “giocoliere” per descrivere una società che ha la capacità di competere nei mercati maturi (dove il costo, l'efficienza e l'innovazione incrementali sono critici) e di sviluppare nuovi prodotti e servizi per i mercati emergenti (dove la sperimentazione, la velocità e flessibilità sono fondamentali). Più in particolare, essi hanno affermato che un'impresa ambidestra che è in grado di operare simultaneamente: esplorando e sfruttando le risorse a propria disposizione, è probabile che si possa riuscire ad ottenere prestazioni superiori rispetto alle altre imprese che enfatizzano l’uso di una formulazione a scapito dell’altra. Il concetto di ambidestro è anche implicito nella più recente concettualizzazione delle capacità dinamiche di Eisenhardt e Martin (2000): gli stessi hanno suggerito che, nel complesso, le capacità dinamiche richiedono una miscela D’Aveni R., Gunther R., (1994), Hypercompetition: Managing the Dynamics of Strategic Maneuvering, New York, Free Press, pagg. 70-71. 37 29
  • 30. delle due diverse logiche strategiche, vale a dire, la logica di esplorazione e di logiche di sfruttamento. Secondo Katila e Ahuja (2002)38, lo sfruttamento delle capacità esistenti è spesso necessario per esplorare nuove funzionalità, e l'esplorazione di nuove funzionalità migliora anche le competenze di un’impresa. Anche se, teoricamente, si può prevedere un effetto positivo di interazione tra l’esplorazione e lo sfruttamento, Tushman e O'Reilly (1996) non hanno fornito ulteriore sostegno empirico al di là delle citazioni dei diversi casi di studio. Essi hanno suggerito che nella pratica, poche aziende possono riuscire a gestire una struttura ambidestra, poiché l'esplorazione e lo sfruttamento sono logiche fondamentalmente diverse che richiedono strategie e strutture specializzate; inoltre, le tensioni risultanti tra i due modelli sono difficili da conciliare. Dalle loro argomentazioni, risulta implicito che, le imprese che cercano di portare avanti l'esplorazione e lo sfruttamento possono realmente finire peggio, cioè, l'effetto dell’interazione tra esplorazione e lo sfruttamento può rivelarsi negativo piuttosto che positivo. Dalle tesi fin qui esposte, risulta la necessità per i senior manager di gestire l'innovazione esplorativa e di sfruttamento simultaneamente, mettendo in contrapposizione uno stazionario “punto di vista” con una prospettiva di “ciclo di vita” (Winter e Szulanski 2001, p. 731). Burgelman (2002) ha individuato due modelli organizzativi di adattamento: (1) uno schema equilibri punteggiati che coinvolge una serie di periodi distinti, ognuno dei quali si occupa principalmente di esplorazione o sfruttamento, e (2) un processo evolutivo che costituisca un continuo bilanciamento tra esplorazione e di sfruttamento. I manager dovranno necessariamente gestire la tensione tra esplorazione e lo sfruttamento su base continua, ad esempio, attraverso lo sviluppo di capacità di sintesi “per creare un vantaggio competitivo tra forze in conflitto”, come sostenuto da Nonaka e Toyama (2002), “l'adozione di principi ambidestri di progettazione organizzativa”, come sostenuto da Tushman e O'Reilly (1996), o il perseguimento di “semi-strutture” per competere sulle soglie del caos, come suggerito da Brown e Eisenhardt (1998). Ci proponiamo di verificare l'ipotesi ambidestra nel particolare contesto dell’innovazione tecnologica. A tal proposito la letteratura differenzia l'innovazione 38 Katila R., Ahuja G., (2002), Acad Management, Something old, something new: A longitudinal study of search behavior and new product introduction, Stanford University, Michigan University, December, Vol. 45, pag. 1184. 30
  • 31. tecnologica dall’ innovazione organizzativa.39Mentre l'innovazione organizzativa comporta modifiche alle strutture organizzative e ai processi amministrativi, il presente documento si concentra sull’utilizzo da parte delle imprese delle tecnologiche più moderne, sia per quanto riguarda i processi produttivi che in riferimento alle nuove idee di produzione. 1.3.3. L’ innovazione e i processi decisionali. La sopravvivenza e il successo delle imprese, quindi, dipendono dalla capacità del manager di rinnovare e di ricercare nuove strade. La difficoltà nasce nello scegliere in che modo espandere e rimodulare la propria capacità produttiva (“Exploration and Exploitation”) partendo dalle risorse di cui l’azienda dispone. L’innovazione quindi, oltre a mettere il manager di fronte ad una scelta cruciale, che si estrinseca nei due approcci poc’anzi trattati, spinge lo stesso a costruire una strategia che si possa adattare nel miglior modo possibile alle esigenze aziendali. Quale strategia mettere a punto in virtù della tecnologia utilizzata o da utilizzare? Le minacce emergenti, che provengono dall’ambiente esterno, spingono le imprese a rimodellare i processi strategici in base alle necessità provenienti dal mercato. Ma quanto è importante la tecnologia nella definizione dei processi strategici? La tecnologia è la fondamentale capacità del nucleo di un'impresa. È un corpo sistematico di conoscenze, che evidenzia il modo in cui i fattori naturali e artificiali, che convergono nel sistema aziendale, funzionano e interagiscono. Si tratta di un “corpo” di conoscenza che si innesta nel “cervello” (dipendenti) e nei “muscoli” (macchinari, software e procedure operative standard dell'organizzazione). Come tale, è inevitabile che essa diventi uno degli elementi centrali nelle decisioni strategiche dell'impresa. Alcuni studi si sono addentrati nel campo dell’ “interazione dinamica tra strategia e tecnologia” 40 , arrivando a distinguere 3 possibili tipologie di relazione tra strategia e tecnologia: a) interazione tra tecnologia attuale e strategia attuale; b) interazione tra tecnologia futura e strategia attuale, 39 Poole M.S., Van de Ven A.H., (1989), 49th Annual Meeting A cad. Management, Towards a metatheory of innovation process, Washington, D.C., 13-16 Agosto. 40 Itami H., Numagami T., (1992), Strategic Management Journal, Dynamic interaction between strategy and technology, Hitotsubashi University, Kunitachi, Tokyo, Japan, Vol. 13, pagg. 119-123. 31
  • 32. c) interazione tra tecnologia attuale e strategia futura. L'effetto di queste relazioni, evidenziano tre legami: - la strategia è capitalizzata sulla tecnologia (a), - la strategia che coltiva la tecnologia (b) - la tecnologia guida i processi cognitivi della strategia.(c) Procedendo per ordine, dal primo al terzo caso, la strategia diventa meno convenzionale, meno orientata all'economia, più concentrata sullo sviluppo e sui processi di orientamento dell’organizzazione. In passato la strategia adottata dalle aziende rispecchiava maggiormente la visione di una strategia capitalizzata sulla tecnologia, divenendo poco flessibile ai mutamenti provenienti dall’ambiente esterno. Quando la strategia è capitalizzata sulla tecnologia, la tecnologia attuale funge da traino per la strategia aziendale; Inoltre, agisce sulla stessa in 3 modi: 1) come arma che l'impresa può utilizzare a suo favore (Abell 1980)41 (Maidique and Patch, 1988)42 (Porter, 1983)43: l'azienda ha probabilmente qualche vantaggio tecnologico sulla concorrenza e quindi può sfruttare la sua tecnologia attuale. 2) come vincolo a cui l’impresa deve adattarsi (Hofer e Schendel, 197844): gli strateghi devono trovare il modo migliore per capitalizzare la strategia esistente; 3) come minacce da prevenire e affrontare (Cooper e Schendel, 197645; Foster, 198646; Abernathy, 197847; Tushman and Anderson, 198648; Anderson and 41 Abell D.F., (1993), Op. Cit. Maidique M., Patch P., (1988), Readings in the Management of Innovation, Marshfield Corporate Strategy and Technological Policy in Tusman, M.L. and Moore, W.L., Pitman, pagg. 273-285. 43 Porter M., (1983), Research on Technological Innovation, The Technological Dimension of Competitive Strategy, Management and Policy, R.S. Rosenbloom , Vol 1, pag. 1. 44 Hofer C.W., Schendel D. (1978), West Publishing Company, Strategy Formulation: Analytical Concepts. St. Paul, MN. 45 Cooper A.C., Schendel D., (1976), Business Horizons, Strategic responses to technological threats, pagg. 62-62. 46 Foster R.N., (1986), Pergamon Press, Timing technological transitions. In M. Horwitch (ed.) Technology in the Modern Corporation: A Strategic Perspective, New York, pag. 41. 47 Abernathy W.J., (1978), Johns Hopkins University Press, The Productivity Dilemma: Roadblock to Innovation in the Automobile Industry, Baltimore, MD 48 Tushman M., Anderson P., (1986), Administrative Science Quarterly, Technological discontinuities and organizational environments, Vol. 31, pag. 440. 42 32
  • 33. Tushman, 199049) la tecnologia costringe la società ad adeguarsi alla concorrenza e alla tendenza del settore e, per farlo, l'azienda ancora una volta deve fare il miglior uso delle possibilità tecnologiche di cui dispone o attraverso la quale può svilupparsi. L’impresa si trova di fronte ad un vincolo dettato dalla staticità aziendale. Anche quando la ricerca si concentra sul tipo di sviluppo tecnologico da intraprendere per colmare alcune esigenze strategiche nel mercato, si tratta di trovare una corrispondenza tra strategia e tecnologia. Questa linea di ricerca non può trattare la tecnologia dell'impresa come qualcosa di avulso dal contesto, dato che, quest’ultima, è vista come il telaio della strategia. In sintesi, a tecnologia, determina o limiti strategici dettati da fattori ambientali, come armi vincoli e minacce, o possibilità di sviluppo tecnologico per inquadrare la strategia in esame. Per il corretto perseguimento dello sviluppo aziendale, bisogna abbinare e integrare tra loro le diverse caratteristiche aziendali per ottenere elevati livelli di performance. L’integrazione avviene regolando tra loro le due variabili: strategia e tecnologia Quando la strategia coltiva la tecnologia una decisione strategica tipica è quella che costringe l'azienda a investire nello sviluppo tecnologico per essere maggiormente competitivi sul mercato. Molto spesso, le attuali decisioni strategiche hanno implicazioni a lungo termine: ad esempio, una decisione di avviare o rafforzare una determinata attività richiede uno impegno prolungato. Questo sforzo nell’acquisizione di uno sviluppo tecnologico può portare l’azienda ad ottenere un efficace mezzo di vantaggio competitivo, utile per rafforzare il proprio business e i propri incassi. Casio, ad esempio, una piccola azienda Giapponese, ha deciso di espandere le sue conoscenze nel settore digitale: strumenti per ufficio, orologi, musica elettronica ecc. La sua capacità di progettazione e di diversificazione del settore, l’ha portata ad espandere i suoi guadagni: Casio non solo è diventata maggiormente competitiva, ma ha esteso il suo portafoglio prodotti, rendendo la propria strategia dinamica e pronta ad adeguarsi ai cambiamenti del futuro. Un altro esempio di questo tipo è riconducibile al caso Toyota. L'industria automobilistica giapponese, dopo la seconda guerra mondiale, dovette far fronte alle difficili esigenze di pianificazione della produzione di una varietà di veicoli (dai camion alle autovetture) utilizzando impianti di produzione limitati. Per rimanere in vita, Toyota non ha avuto 49 Anderson P., Tushman M.L., (1990), Administrative Science Quarterly, Technological discontinuities and dominant designs: A cyclical model of technological change, Vol. 35, pag. 621. 33
  • 34. molta scelta se non quella di produrre piccoli volumi di mercato per ciascun prodotto. Per attuare questa strategia con efficienza, ha inventato un nuovo sistema di produzione, che in seguito divenne una delle basi della sua competitività su base internazionale.50 La costruzione di una base produttiva competitiva a livello internazionale non era l'intenzione originaria di Toyota, ma questa fu la diretta conseguenza dell’innovazione (a livello produttivo) dettata dalle necessità del momento. Casio, decidendo di espandere le proprie conoscenze nel mondo digitale, incrementò la sua competitività nonché i guadagni. In entrambi i casi, i processi di implementazione della strategia, dettati dai cambiamenti del mercato, puntano ad accumulare conoscenze per coltivare la tecnologia futura. In altri casi è la tecnologia a guidare i processi cognitivi della strategia: ci si riferisce agli effetti che la tecnologia attuale può avere sulla strategia futura. La tecnologia che l'azienda possiede influenza i processi cognitivi umani. Naturalmente, qualsiasi fattore può avere due effetti opposti sui processi cognitivi umani: può contribuire a stimolare tali processi, oppure può ostacolarli. In questo caso sosteniamo l’ipotesi che la tecnologia possa contribuire positivamente a stimolare i processi cognitivi umani. In passato, il margine negativo degli effetti cognitivi della tecnologia sulla strategia no ha avuto riscontri positivi: l’evoluzione tecnologica è spesso d’intralcio allo sviluppo dell’azienda in quanto, il permanere degli effetti cognitivi della vecchia tecnologia sulla cultura aziendale, può ostacolare l’emergere di un nuovo pensiero strategico. In realtà, tuttavia, ci sono molti casi in cui il forte impegno nel focalizzare la propria attenzione su un particolare tipo di tecnologia permette all’azienda di avere un pensiero strategico che si spinge al di la dell’immaginario della concorrenza. Citiamo il caso di Sharp che, nonostante l’esperienza consolidata nel campo dell’elettronica di consumo giapponese, sta diventando una società con una chiara direzione strategica improntata all’evoluzione nell’ambito dell'elettronica, sviluppando una tecnologia sempre più innovativa nel settore dei display a cristalli liquidi. Il suo obiettivo strategico è quello di utilizzare la tecnologia LCD come l'arma principale di differenziazione in molti dei suoi prodotti.51 50 Jaikumar R., Bohn R.E., (1986), JAI Press, Research on Technological Innovation, Management And Policy, The development of intelligent systems for industrial use: A conceptual Framework, Greenwich, Vol. 3, pagg. 169-175. 51 Numagami T., (1991), Business Review, Ekisho display sangyo no kokusai hikaku: Shinka no ba seisei to sinka no keizaisei (A comparative study on the U.S. and Japanese LCD industries: emergence of evolutionary field and economies of evolution), Vol. 39, pagg. 33-60. 34
  • 35. Nella maggior parte dei casi, le tre relazioni appena esposte, si integrano tra loro per permettere al management di risolvere le dinamiche aziendali legate alla costante evoluzione tecnologica. Ma in ogni azienda si deve far fronte ad altri elementi che possono influenzare l’evoluzione dei processi tecnologici. Gli studiosi hanno avanzato diverse teorie per spiegare il fallimento dei leader di mercato nel cambiamento rivolto alla tecnologia52. Un tema che è prominente nella letteratura evidenzia come gli operatori del mercato, a livello storico, sono condizionati dalla natura intrinseca della tecnologia e dalle conseguenze immediate del suo utilizzo. Gli studi dimostrano che cambiamenti architettonici nella progettazione e ridefinizione delle competenze che distruggono capacità innovative, renderanno problematica l’esistenza delle aziende (Henderson e Clark, 199053; Tushman e Anderson, 198654). Inoltre, non sono rari i casi in cui potrebbero nascere delle vere e proprie reti sociali (dipendenti, clienti, fornitori) in grado di impedire l'adattamento al cambiamento e all’evoluzione tecnologica (Sull, Tedlow, e Rosenbloom, 1997). Gli economisti hanno sottolineato l’asimmetria di incentivi tra i diversi tipi di imprese che devono affrontare le stesse opportunità tecnologiche (Henderson, 1993): essi sostengono che gli operatori di mercato che posseggono aziende di medio - grandi dimensioni, saranno maggiormente incentivati nei confronti delle politiche di innovazione e rischio d’impresa. Nel mondo di oggi, sembra inevitabile che una società finirà per incontrare una nuova tecnologia dirompente in uno o più aspetti, e che le sue risposte possono essere limitate da disincentivi finanziari e consolidati impegni manageriali. Alcuni sostengono, tuttavia, che le imprese dovrebbero essere in grado di adattarsi con successo ai cambiamenti, ma solo nel caso in cui si posseggano sufficienti capacità dinamiche, ossia predisposizione al cambiamento. Le capacità dinamiche sono quelle competenze che consentono ad un'impresa di integrare, costruire e riconfigurare la propria struttura nonché la propria strategia per affrontare gli ambienti in rapida evoluzione Shuen (1997), Teece e Pisano (1994) suggeriscono che le capacità dinamiche di un'impresa sono determinate da tre classi di fattori: “i processi gestionali e organizzativi e le routine”, “le attuali dotazioni 52 Rosenbloom R., (2000), Strategic Management Journal, Leadership, Capabilities, and Technological change: the trasformation of NCR in electronic Era, Vol. 21, pagg. 1083-1084. 53 Henderson R, Clark KB., (1990), Administrative Science Quarterly Journal, Architectural innovation: the reconfiguration of existing product technologies and the failure of established firms, Vol. 35, pagg. 9-30. 54 Tushman M.L., Anderson P., (1986), Administrative Science Quarterly Journal, Technological discontinuities and organizational environments, Vol. 31, pagg. 439-465. 35
  • 36. di tecnologie di base, rapporti con i clienti e fornitori”; “le alternative strategiche disponibili” che possono derivare da collaborazioni e cooperazioni con gli stackeholder interni o esterni. La capacità di realizzare nuove forme di vantaggio competitivo è l'essenza di una capacità dinamica. In conclusione, i manager dovrebbero operare tenendo presenti le esigenze aziendali e quelle di mercato, utilizzando la giusta misura nei processi di esplorazione e sfruttamento (ipotesi ambidestra), scegliendo una strategia che permetta all’azienda di investire nello sviluppo tecnologico (strategia che coltiva le nuove tecnologie). 36
  • 37. 1.4 STRATEGIE COOPERATIVE Negli ultimi anni si sta assistendo una profonda ma graduale evoluzione della struttura organizzativa nelle imprese (Figura 1.9). Trasformazione che comporta un abbandono del modello di tipo gerarchico a favore di strutture più flessibili, aperte alle nuove prospettive derivanti dall’ambiente esterno. L’evoluzione dell’ambiente esterno caratterizza in questi ultimi la diffusione di nuove tecnologie e la globalizzazione dei mercati, inducendo le imprese a ridisegnare gli assetti organizzativi per affrontare in modo competitivo i mercati.55 Nella realtà delle attuali organizzazioni il numero dei livelli gerarchici tende a ridursi; diventano preponderanti le linee di comunicazione orizzontale e al nucleo interno di rapporti gerarchici, si affiancano sempre più spesso relazioni esterne di mercato e forme di collaborazione con fornitori, clienti, e talvolta concorrenti56. Questa tendenza può essere sintetizzata in tre passaggi chiave: 1. abbattimento barriere strutturali, 2. incremento della collaborazione con operatori esterni 3. allargamento dei confini. Fig. 1.9 – Evoluzione delle strutture organizzative. Evoluzione ambiente esterno Complessità (innovazione tecnologica e globalizzazione dei mercati) Nuove variabili competitive Nuovi confini dell’impresa Sviluppo di relazione esterne Necessità di strutture organizzative flessibili Fonte - Ricciardi A., (2000), op. cit., pag. 12 Le relazioni di cooperazione tra imprese, quando si realizzano, sono di lungo periodo. Prevedono accordi tra due o più aziende che implicano una serie di prestazioni congiunte in una o più attività. Nei casi di alleanze durature nel tempo, si riscontrano 55 Ricciardi A., (2009), Le reti di imprese. Vantaggi competitivi e pianificazione strategica, Milano, Franco Angeli, pagg. 13-14. 56 Sicca L., (1998), La gestione strategica dell’impresa, Padova, Cedam, pag. 518. 37
  • 38. vantaggi evidenti: gli investimenti realizzati congiuntamente garantiscono tempi più brevi e rischi ridotti; la struttura dei costi diventa più elastica; le applicazioni di innovazioni organizzative e tecnologiche diventano più rapide e frequenti57. Inoltre, per le imprese che partecipano alle alleanze vi è la possibilità di concentrare sulle competenze distintive le risorse resesi disponibili grazie alla cooperazione. Il ricorso a forme di collaborazione, tuttavia può determinare la perdita del dominio della tecnologia,; le performance di gestione risultano condizionate dalle prestazioni dei partner; gli stessi partner, grazie all’apprendimento di processi e tecniche di produzione gestite in comune possono dar vita a comportamenti opportunistici e diventare temibili concorrenti58. 1.4.1. Alleanze tra imprese: una prima classificazione. Per accordo di cooperazione si intende una relazione di lungo periodo tra imprese, riguardante una o più aree di attività, disciplinate mediante meccanismi contrattuali o rapporti informali. Gli accordi possono essere di tipo equity, allorquando si determina una modifica della struttura proprietaria delle imprese (vedansi scambi di partecipazioni, creazione di una nuova società); questi sono accordi di tipo contrattuale. Gli accordi non equity, non generano modifiche nell’assetto proprietario, possono essere accordi informali o formali qualora si basino su protocolli d’intesa (cooperative).59 Ulteriore distinzione tra le forme di cooperazione è basata sull’orientamento strategico della collaborazione che può essere esplicata in accordi: - verticali: queste forme di collaborazione tendono a evolversi in forma di vera e propria produzione congiunta tra imprese, rappresentando un diverso modo di gestire il rapporto fornitore/cliente. Questo tipo di accordi rientrano in una prospettiva competitiva riconducibili alla scarsa concentrazione del settore, ovvero rivolte a produrre una crescita della concentrazione mediante l’innalzamento di barriere e/o la realizzazione di economie di scala60. 57 Ricciardi A., (2009), op. cit., pag. 15. Vicari S., (1989), Nuove dimensioni della concorrenza, Milano, Egea, pag. 281. 59 Passaponti B., (1975), Politiche di aggregazione aziendale: attinenze e diversificazioni, Pisa, Cursi, pagg. 65-66. 60 Sicca L., (1998), op. cit., pag. 532. 58 38
  • 39. - orizzontali: alleanze con imprese concorrenti che mirano a rafforzare la posizione competitiva e ad acquisire quote di mercato in tempi relativamente brevi mediante patti di controllo delle zone di vendita e per la determinazione dei prezzi.61 - di diversificazione: tendono ad essere formalizzati tra imprese con produzioni complementari o sostitutive. Per concretizzare queste applicazioni sono necessari adeguati sviluppi delle tecnologie con applicazioni di competenze non disponibili al proprio interno, ma recuperabili mediante accordi con imprese terze. In presenza di un progetto comune, l’omogeneizzazione degli obiettivi perseguiti, il coinvolgimento di ciascuna azienda nei processi di investimento e decisionali, rappresentano un sistema di incentivi che aumentano il grado di integrazione tra le parti. 1.4.2. Innovazione tecnologica e cooperazione tra imprese. Sostanziali mutamenti dell’ambiente esterno hanno indotto le aziende a contenere i costi, a produrre innovazioni in tempi rapidi e ravvicinati e ad essere più efficaci nel soddisfare una domanda sempre più esigente e frammentata. Per raggiungere questi obiettivi si è proceduto a vere e proprie ristrutturazioni aziendali caratterizzate da:  snellimento degli organigrammi con la conseguente riduzione dei livelli gerarchici  ridisegno dei principali processi  sviluppo di rapporti di collaborazione e alleanza con imprese fornitrici e concorrenti che hanno ridefinito i confini aziendali. Il denominatore comune di queste ristrutturazioni è stata la concentrazione delle risorse sul core business, cioè su quelle attività che garantiscono il vantaggio competitivo dell’azienda e per le quali si posseggono competenze distintive, know how, esclusivo ed esperienza cumulata. In particolare, nelle aziende caratterizzate da uno scenario tecnologico in continua evoluzione, le cooperazioni tra le imprese subiscono un’impennata. Si fa riferimento all’aumento dei rischi connessi a progetti innovativi, alla più rapida 61 Ricciardi A., (2009), op. cit., pag. 18. 39
  • 40. obsolescenza dell’innovazione dei prodotti, alla multipolarità delle sorgenti del progresso tecnico, all’aumento dei costi in ricerca e sviluppo62. In tal senso, le iniziative di cooperazione tendono a garantire effettivi vantaggi:suddividono il rischio su più aziende; agevolano il rientro più rapido degli investimenti; favoriscono il contenimento dei costi grazie ai superiori livelli di efficienza per la divisione del lavoro tra operatori specializzati; permettono la riduzione dei tempi per lo sviluppo dell’innovazione; realizzano processi di verticalizzazione incrociata (cross verticalization) tra aree tecnologiche talvolta distanti. La possibilità da parte di tutti gli operatori coinvolti, di beneficiare dello sviluppo congiunto di innovazione, è una condizione necessaria ma non sufficiente per la collaborazione nella R&S.Ciò che è necessario è che i singoli partner devono essere in grado di contribuire in maniera differenziale al processo63. 62 Cainarca G.C., Colombo M.G., Mariotti S., (1989), Accordi tra imprese nel sistema industriale dell’informazione e della comunicazione, Milano, Edizioni Comunità, pag. 19. 63 Sobrero M., (1996), Innovazione, tecnologia e relazioni tra imprese, Roma, La nuova scientifica, pag. 51. 40
  • 41. CAP. 2 IL SETTORE TELEVISIVO La televisione è uno dei mezzi di comunicazione di massa più diffusi. Diverse le opinioni in merito al linguaggio utilizzato dal mass media per eccellenza: apprezzamenti e discussioni ruotano attorno al mondo televisivo sin dalla sua nascita. Per il pubblico, la semplicità d'uso, la molteplicità di contenuti, e i bassi costi legati all’utilizzo del mezzo, hanno portato la televisione ad affiancare sempre più efficacemente la stampa e la radio come fonte di informazione e, con l’evolversi dei mezzi di trasmissione, a sostituire il cinema, offrendo differenti occasioni di svago con una rapidità d’azione pressoché immediata64. A tal proposito, è utile arrivare a comprendere in quale modo la storia della tv in Italia ha preso forma. Dal 1954 al 2012 si è verificato un graduale passaggio da una gestione esclusiva del settore televisivo da parte dello Stato, ravvisabile nel monopolio, ad un successivo duopolio Rai - Fininvest, sino ad arrivare alla crescita esponenziale di canali su tutto il territorio nazionale e regionale. Al fianco dei grandi competitor, realtà stabili ed economicamente avanzate (Rai 1, Rai 2, Rai 3, Canale 5, Italia 1, Rete 4, La 7), crescono le emittenti televisive concessionarie di frequenze locali. E non solo. L’avvento del digitale terrestre ha segnato l’evoluzione del sistema di trasmissione, ed ha incentivato (attraverso l’eliminazione di ingenti barriere all’entrata) l’ingresso nel settore a nuovi acquirenti (Cielo, Sky, Mediaset Premium, Real Time), interessati ai proventi di possibile derivazione dal settore pubblicitario. Queste realtà, ampliando l’offerta attraverso la produzione di format televisivi accattivanti, hanno raccolto consensi tra il pubblico disperdendo gli indici d’ascolto (share), metro di giudizio rilevante ai fini della raccolta pubblicitaria. D’altra parte, a livello regionale, approfittando di vuoti legislativi, alcuni soggetti privati sono divenuti proprietari di emittenti televisive locali, di rilevanza non trascurabile (vedansi Telenorba). Inoltre, in seguito all’avvento del digitale, i proprietari di piccole emittenti locali, hanno dovuto sostenere ingenti investimenti tecnologici, che li hanno portati a rivedere l’assetto societario, e, in alcuni casi, a ridurre drasticamente la forza lavoro. Dovendo, inoltre, aggirare una normativa complessa e contraddittoria, per mantenere le concessioni Statali, sono state sottoscritte numerose alleanze tra le emittenti dislocate sui territori regionali. 64 Pagliaro P., (2009), Sociologia dell’organizzazione dei Media, Lecce, Manni, pagg. 7-8. 41
  • 42. 2.1. NORMATIVA E STORIA DELLA TELEVISIONE IN ITALIA Per meglio comprendere la natura nonché la struttura della televisione Italiana di oggi, risulta necessario un excursus nella disciplina giuridica, prima fautrice dei cambiamenti e della regolamentazione del sistema radiotelevisivo italiano. Una sovrapposizione di leggi e decreti, approvati in media ogni dieci anni, racchiude in se le complicazioni di un settore economico in continua evoluzione. 2.1.1 Creazione, crescita e sviluppo della legislazione Italiano Nei primi anni venti (1923) i servizi di radio diffusione furono affidati allo Stato. La prima concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo italiano è stata la Rai (denominata inizialmente URI, Unione Radiofonica Italiana). Dal 1954 nasce la RAI (Radiotelevisione Italiana) e il suo monopolio prosegue fino alla metà degli anni cinquanta, periodo in cui cresce l’interesso verso il nuovo settore da parte dei privati (“il Tempo tv”). Il ministero non consente l’accesso alle nuove emittenti. Il “Tempo tv”, la prima azienda in grado di competere con la Rai, si rivolge al Consiglio di Stato che rimette la decisione agli atti della Corte Costituzionale. I giudici, con sentenza n.59 del 1960, riconoscono la legittimità del monopolio Statale, facendo riferimento all’art. 43 Cost.65, principio che si pone in contrapposizione il dettato dell’art 21 Cost.66, ovvero la libertà di informare e di “A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”. (art. 43 Cost.) 66 “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo di ogni effetto. La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.” (art. 21 Cost.) 65 42
  • 43. essere informati67, limitando di fatto la possibilità a nuove imprese di accedere al mercato televisivo. I piccoli imprenditori italiani (e quelli esteri), interessati alle prospettive economiche che dal settore potessero scaturire, agli inizi degli anni sessanta, in seguito all’avvento delle nuove tecnologie e della tv via cavo, ottengono una prima pronuncia di incostituzionalità (da parte della Corte Costituzionale) della riserva statale relativa alla ripetizione in Italia di programmi radiotelevisivi irradiati da emittenti estere, aprendo la strada all’ingresso nell’etere di altre emittenti (sentenza 9 luglio 1974 n. 225). Mediante la sentenza n. 226 del 1974 si proclama anche l’incostituzionalità della riserva statale per le radiotelevisioni via cavo in ambito locale, autorizzando i privati ad accedere al settore. Ma la situazione a livello nazionale resta invariata. Fino alla nuova legge del 6 agosto 1990, n. 223, che disciplinerà in maniera organica i rapporti tra sistema radiotelevisivo pubblico e privato, vige la legge accolta il 14 aprile 1975 n.10368: il parlamento diventa l’organo di gestione dell’informazione nazionale. Inoltre, le sentenze emanate in precedenza, riconoscendo la legittimità degli impianti via cavo su dimensione locale69, danno il via alla proliferazione di canali privati, che possono regolarmente trasmettere attraverso il rilascio di una apposita autorizzazione70. Dopo un anno dall’approvazione della legge del 14 aprile del 1975, n.103, la Corte dichiara l’incostituzionalità del monopolio statale anche per le trasmissioni via etere71. I vuoti nella materia creati dal legislatore, resero impossibile il controllo del proliferare di antenne e di strategie volte a aggirare la legge. In questi anni, meglio conosciuti come gli anni del “caos dell’etere”, il metodo dell’interconnessione funzionale aggirava di fatto il divieto posto dal legislatore: l’interconnessione permetteva di mettere in Chimenti A., (2007), l’Ordinamento radiotelevisivo Italiano, Torino, Giappichelli, pagg. 27-29. Cheli E., Zaccaria R., (1980), Radiotelevisione Pubblica e Privata, I principi di legge della riforma del 1975, Bologna, Il Mulino, pagg. 120-123. 69 La Corte afferma che: “vietare, in ambito locale, comprimendo l’iniziativa privata, la realizzazione di una pluralità di reti televisive via cavo, attraverso le quali sia attuata più largamente la libertà di manifestazione di pensiero sancita dall’art 21, primo comma, Cost. si pone in contrasto con il requisito dell’utilità generale, condizionante la riserva dello Stato” Cfr. Sentenza n. 226 del 1974. 70 L. 14 aprile 1975, n.103, Art. 3: “Il Governo può provvedere al servizio pubblico della radio e della televisione con qualsiasi mezzo tecnico, mediante atto di concessione ad una società per azioni a totale partecipazione pubblica sentita la commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. La concessione importa di diritto l'attribuzione alla concessionaria della qualità di società di interesse nazionale, ai sensi dell'articolo 2461 del codice civile.” 71 Zaccaria R., (1977), Radiotelevisione e Costituzione, Milano, Giuffre’, pag. 85. 67 68 43
  • 44. onda contemporaneamente (in diverse emittenti, ubicate in differenti posizioni sul territorio nazionale) cassette preregistrate dal contenuto pressoché identico72. Prima della “legge Mammì” (6 agosto 1990, n. 223) in Italia operavano (secondo fonti Rai) almeno 4000 emittenti radiofoniche private, quasi tutte in Fm (modulazione di frequenza), 515 emittenti tv private indipendenti, 182 emittenti tv private consorziate in circuiti, 12 network televisivi (Canale 5, Rete 4, Italia Uno, Euro Tv, Tele Elefante, Tv Port, Rete A, Rete Capri, Video Music, Pantv, Tv Italia), oltre alle tre reti Rai, e 4 emittenti estere: Antenna Due, Tv svizzera italiana, Telemontecarlo e Capodistria. Una mancanza di definizione dei limiti, nell’ambito locale, da il via a un allargamento incontrollabile delle reti televisive. Alla fine degli anni settanta, le emittenti locali, raggiungeranno la cifra record di oltre 1500. La sentenza del’76 pose le basi per un sistema radiotelevisivo misto, creando confusione a livello nazionale. Tra il 1979 e il 1985 il valore degli investimenti pubblicitari nella televisione privata sale da 42 a 1.350 miliardi di lire, oltre un terzo della spesa pubblicitaria, e questo spiega il crescente interesse degli imprenditore nel campo televisivo. Nel 1978 il gruppo Rizzoli – Corriere della Sera, prova a creare la prima rete indipendente, la Pin, diretta rivale della Rai. La missione risulta del tutto fallimentare, e si conclude con la sentenza del 14 aprile 1981, n.148, attraverso la quale la Corte costituzionale blocca l’impresa Rizzoli, riaffermando il monopolio su base nazionale. Nel frattempo, un piccolo imprenditore edile milanese, Silvio Berlusconi, per migliorare il tenore di vita degli inquilini del suo complesso residenziale di Milano 2, acquista Telemilano: attraverso la creazione di collaborazioni su tutto il territorio nazionale con altre reti private, trasmette simultaneamente i propri programmi attraverso il metodo dell’interconnessione per cassettazione73. Telemilano diventa il primo canale tv nazionale mediante il collegamento di undici stazioni locali connesse in network. Dall’’81 all’84 si va avanti senza particolari novità fino a quando i pretori di Torino, Roma e Pescara, dispongono il sequestro degli impianti di Silvio Berlusconi. Le emittenti, effettuano il black out, facendo credere alla pubblica opinione che l’oscurazione fosse l’effetto di un provvedimento giudiziale. Bettino Craxi, allora Presidente de Consiglio, condannò la decisione dei magistrati e fece Barile P., Zaccaria R., (1986), Rapporto annuale sui problemi giuridici dell’informazione, Padova, Cedam, pag. 68. 73 Invio dei programmi tramite videocassette trasmesse negli stessi orari da emittenti locali diverse su tutto il territorio nazionale. 72 44
  • 45. riaccendere le reti tv private. Tale decreto legislativo del 20 ottobre 1984, n.694, meglio conosciuto come “decreto Berlusconi”. La norma di tipo provvisorio, venne convertita in legge il 4 febbraio 1985, per decisione del Presidente del Consiglio, Giuliano Amato: il decreto, allargando il provvedimento a tutto il sistema televisivo pubblico e privato, riconobbe un sistema radiotelevisivo misto. Il 22 febbraio del 1989 il pretore di Varazze richiese una effettiva riesamina della legge dell’85 che, pur essendo provvisoria sopravviveva attraverso proroghe continue. La sentenza n.223 del 1990, meglio riconosciuta come “legge Mammì”74 rappresentò una prima disciplina organica del sistema radiotelevisivo nazionale: essa eliminò la parola “monopolio” dal settore televisivo ed evidenziò l’interesse generale (pubblico e privato) all’”informazione”. Ma la legge n. 223 non tenne conto di eventuali evoluzioni sistemiche e tecnologiche in campo televisivo come la tv via cavo, il satellite e la pay tv. La Corte Costituzionale il 7 dicembre 1994 bocciò la legge Mammì definendola «incoerente, irragionevole»75 e inidonea a garantire il pluralismo in materia televisiva. Secondo il pronunciamento, la legge del 1990 non risolveva i problemi di concentrazione che la Corte aveva evidenziato nella sua sentenza del 1988 (in quanto 3 reti su 12, di cui 9 date in concessione ai privati, avrebbero continuato a permettere ad un unico soggetto di controllare un terzo delle trasmissioni nazionali, superando il tetto massimo del 25% fissato dalla legge Mammì), ma anzi li aggravava, poiché impediva a soggetti privati l’accesso al mercato televisivo nazionale, limitando un maggiore pluralismo.76 Il 22 maggio 1997 il Parlamento approvò la “Legge Maccanico”77: questa legge vietava ad uno stesso soggetto di essere titolare di concessioni o autorizzazioni che consentissero di irradiare più del 20% delle reti televisive analogiche in ambito nazionale. Legge 6 agosto 1990, n. 223, “Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato”, Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 9 agosto 1990, n. 185, Supplemento Ordinario. 75 Sentenza della Corte Costituzionale n. 420, 1994, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 69 del 24/03/98. 76 [...] Con la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art.15, comma 4, il valore del pluralismo, espresso dall'art. 21 Cost., si specifica già, come regola di immediata applicazione, nel divieto - in rapporto all'attuale assetto complessivo del settore televisivo - di titolarità di tre concessioni di reti nazionali su nove assentibili a privati (o dodici in totale) ovvero di titolarità del 25% del numero complessivo delle reti previste, mentre rimane nella discrezionalità del legislatore disegnare la nuova disciplina positiva di tale limite per colmarne la sopravvenuta mancanza.[...] Sentenza n. 420, 1994. 77 Legge 31 luglio 1997, n. 249, "Istituzione dell'Autorità' per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 177 del 31 Luglio 1997 - Supplemento ordinario 74 45
  • 46. La norma istituiva un nuovo organo quale l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e prevedeva l’approvazione di un «Piano nazionale delle frequenze». I soggetti preposti all’assegnazione delle frequenze in ambito nazionale d’ora in avanti sarebbero stati: il Ministero delle Comunicazioni, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e la Commissione parlamentare per l’indirizzo e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. La pianificazione del servizio radiotelevisivo si divideva in due momenti: 1 – il piano di ripartizione delle frequenze, che indicava le bande di frequenza utilizzabili dai servizi di telecomunicazione; 2- il piano di assegnazione delle frequenze, che indicava la localizzazione degli impianti, le loro aree di servizio, i parametri radioelettrici e le frequenze assegnate agli impianti; Il piano di ripartizione è stato elaborato dal Ministero delle Comunicazioni, dopo aver sentito i pareri delle Concessionarie di servizi di TLC ad uso pubblico e il Consiglio superiore tecnico. Il piano fu approvato con decreto su proposta del Ministro delle Comunicazioni, previa delibera del Consiglio dei ministri. Il piano di assegnazione, elaborato e approvato dalla Commissione per le infrastrutture e le reti istituita presso l’Autorità, previa consultazione della RAI, delle associazioni dei titolari di emittenti privati, e delle Regioni, entrò in vigore con la delibera n. 68 del 1998, e in base ad esso il territorio nazionale fu diviso in bacini d’utenza,e 17 reti a copertura nazionale (di cui 11 a diffusione nazionale e 6 a diffusione regionale). Ma la situazione di fatto si discosta in modo evidente dall’assetto delle frequenze previsto dal legislatore. Innanzitutto, una delle 11 televisioni che aveva avuto la concessione nazionale, Europa 7, si trovò nell’impossibilità di trasmettere, poiché le stesse frequenze per le quali le era stato concesso di irradiare trasmissioni sul territorio nazionale, rimasero occupate da Rete 4 (che fa capo a Mediaset). L’intreccio tra valutazioni politiche e giuridiche discordanti, permise a Rete 4 di continuare a trasmettere, in maniera abusiva, anche dopo il nuovo limite imposto dal legislatore per attuare il ripristino della situazione di diritto: per il legislatore dall’aprile del 1998 difatti, rete 4, avrebbero dovuto affiancare le trasmissioni analogiche a quelle digitali, in modo tale da permettere alla rete un passaggio graduale verso le nuove tecnologie di emissione. Si pensò erroneamente, di poter risolvere il problema del pluralismo, ovvero dell’occupazione di tutte le frequenze 46