Pagine di Moda: Maria Canella ed Elena Puccinelli, Centro MIC Università degl...
Anatome a Milano. Philippe Apeloig, progettare per la cultura
1. ANATOME A MILANO
Philippe Apeloig. Progettare per la cultura.
Giulietta Carito
SCUOLA DEL DESIGN
Corso di laurea in Design della Comunicazione
Laboratorio di Sintesi Finale a cura di:
Gianfranco Torri, Fulvia Bleu, Francesco E. Guida
A.A. 2011/201 2
Milano, 25 febbario 2013
3
2.
3. INDICE
GALLERIA ANATOME
Premessa 6
Rue Sedaine, 38
7
COSTRUZIONE DI UN
MARCHIO
Approfondimenti teorici
12
Il marchio Anatome
17
Percorso progettuale
18
Sviluppo del progetto
19
Cancelleria 28
Ampliamento identità
30
Manuale di utilizzo del logo
34
PHILIPPE APELOIG
Biografia 41
Le ispirazioni
Cassandre 46
Costruttivismo 48
Paul Rand 50
Swiss design 52
Le esperienze
Total design 56
April Greiman 58
PROGETTARE
PER LA CULTURA
Considerazioni sulla promozione
dell’ identità museale
63
Apeloig e il museo
Louvre 69
D’Orsay 74
Museo dell’arte e della storia
Ebraica 82
Appendice 88
UN PROGETTO PER
ANATOME MILANO
Manifesto 94
Sedicesimo 100
Invito 104
Cartella stampa
106
Stendardo 108
Bibliografia/ sitografia
113
7. 38, Rue Sedaine
Premessa
La galleria Anatome oggi è chiusa.
Alla fine di marzo 2012, questo importante
esperimento culturale durato dodici anni
è giunto al termine per mancanza di fondi.
Solo la stampa francese di settore ha dedicato qualche
spazio alla notizia, pubblicando anche la petizione dei
lavoratori della galleria che chiedevano il sostegno del
pubblico e delle istituzioni per continuare a vivere.
Anche Philippe Apeloig figurava tra i firmatari.
La rue Sedaine, nell’undicesimo arrondissement
di Parigi, è nelle vicinanze della Bastiglia.
Al numero 38 c’è un edificio tipico dell’architettura
della seconda metà del XIX secolo.
Superato il portone un cortile interno introduce
a un vecchio atelier oggi occupato dai locali
della Galerie Anatome. Galleria che, a partire dal
progetto di Henri Meynadier e Marie-Anne Couvreu
– proseguito più recentemente grazie all’impegno
di Nawal Bakouri, l’attuale direttrice che si ringrazia –, ha fatto da anni la scelta di essere consacrata
alla presentazione della produzione grafica
contemporanea. Un’iniziativa senza precedenti
in Francia in cui non esiste alcun luogo
di esposizione permanente interamente
dedicato al graphic design.
La storia della Galleria è ormai piuttosto
importante, a partire da settembre 1999, ed è
sembrato interessante proporre la presentazione
a Milano di una serie dei principali autori sia
francesi che di altri paesi, simulando l’allestimento
di una serie di mostre che fornisse uno spaccato
di quanto presentato a Parigi in questi ultimi 11
anni. Durante il laboratorio di sintesi finale
(a.a. 2011-2012), in collaborazione con la Galleria,
è stato proposto agli allievi di lavorare su una serie
di artefatti – manifesto, un quaderno in formato
sedicesimo, un coordinato che potesse funzionare
come cartella stampa – presentino 18 autori
ritenuti particolarmente significativi della
produzione recente e contemporanea.
Con la speranza, se non l’aspettativa, che tale
proposta possa essere di auspicio a iniziative
similari anche nel nostro paese se non più
semplicemente di presentare l’esito di questo
lavoro in uno spazio espositivo interno alla Scuola
del Design.
Gianfranco Torri
GALLERIA ANATOME
7
8. Dieci anni sono ormai passati da quando
Galerie Anatome è stata fondata per sostenere
e diffondere la grafica, inizialmente come
prolungamento dell’agenzia Anatome di MarieAnne Couvreu, attuale direttrice della galleria.
La galleria organizza durante l’anno mostre monografiche e tematiche, ma è anche sede di altre
iniziative dedicate a valorizzare e promuovere
la cultura grafica contemporanea – conferenze,
incontri, pubblicazioni. Dal 2000 la galleria è inoltre
la sede degli appuntamenti mensili organizzati dai
“Rencontres de Lure”, dedicati alla tipografia e
alla grafica; e dallo stesso anno ospita inoltre una
libreria specializzata, gestita in collaborazione con
la famosa libreria La Hune.
Dal 1999 la “Galerie” e l’associazione a essa collegata sono cresciute, costruendo una rete internazionale di connessioni composta da studenti,
grafici, ma anche appassionati e curiosi, insomma
una sorta di piccolo mondo del graphic design che
pulsa proprio nel cuore di Parigi, in rue Sedaine.
Eppure, considerate le motivazioni iniziali del progetto, è forse significativo che ancor’oggi la galleria
sia l’unico spazio espositivo permanente dedicato
alla grafica, non solo nella capitale francese ma
in tutta la Francia. Come hanno recentemente
ribadito i fondatori della galleria, Couvreu e Henri
Meynadier, la battaglia è tutt’altro che vinta, al contrario: «le combat pour la qualité» non è concluso.
Proprio per questo nel 2009 la Galerie ha diffuso
un proprio manifesto, rilanciando il proprio impegno per la diffusione della grafica e per il miglioramento dell’ambiente visivo della società contemporanea.
«Ensemble nous
continuerons
ce combat.»
“Galerie Anatome / Grand Journal Manifeste”, settembre 2009.
8
GALLERIA ANATOME
12. Approfondimenti teorici
La suggestione della Galleria Anatome che ha
rappresentato la grafica come una forma d’arte,
non rende meno importante l’aspetto tecnico della
grafica e delle sue funzioni specifiche. “Pertanto,
in un percorso a ritroso, il mio lavoro riporta il pensiero teorico elaborato su di un elemento fondamentale del lavoro grafico, il marchio. Le riflessioni
e le indicazioni dei maggiori grafici moderni citati,
toccano tutti i segni e i significati che compongono lo sfondo della società dei consumi, dominata
dal mercato e dalle sue leggi, senza prescindere
dall’aspetto artistico intrinseco del prodotto visuale. Tutti i contenuti relativi al marchio di seguito
citati, sono a mio parere sintetizzati da questa
definizione di Paul Rand , uno dei più noti e creativi
grafici del ‘900 : ”Good design adds value of some
kind, gives meaning, and, not incidentally, can be
sheer pleasure to behold; it respects the viewer’s
sensibilities and rewards the entrepreneur.” 1
“Il buon design aggiunge valore, produce significato, e non incidentalmente può fornire puro piacere
a chi guarda; rispetta le sensibilità dell’astante e
ricompensa il committente.”
Paul Rand
12
Adrian Frutiger, grafico svizzero e maestro della
tipografia, riassume in un efficacissimo passaggio
il rapporto tra bene di consumo e consumatore mediato da un marchio:” Tutti sono coinvolti
nell’economia moderna in qualità di consumatori.
[…]Si può dire che il giorno cominci realmente
solo dopo aver visto il proprio marchio di fiducia
sul pacchetto del caffè e del tè: è un susseguirsi
ininterrotto di marchi per l’intera giornata, sino a
quello che si vede per ultimo sulla sveglia prima di
spegnere la luce. L’abbondanza e la domanda dei
beni di consumo è tale che è divenuto necessario
marchiarli con segni sintetici perché siano notati
e riconosciuti e perché si fissino nella memoria
del consumatore. Per ideare e progettare queste
”trappole per gli occhi“ occorre scegliere con cura
il settore della memoria da raggiungere e valutare
quale sia l’immagine più efficace e l’effetto grafico
più attraente: queste sono diventate le mansioni
principali della nuova professione di progettista
grafico. In un’economia caratterizzata dalla competizione, la “anonimia visiva” è decisamente uno
svantaggio. Il compratore/trice non si affida più al
prodotto anonimo o al servizio impersonale.
Oggi, crearsi un’immagine è divenuto indispensabile per ottenere e mantenere un posto nel
mercato.” 2 Lo stesso Frutiger cita e commenta il
pensiero di alcuni eccellenti creatori di loghi come
Ivan Chermayeff, Tom Geismar e Steff Geisbuhler,
che hanno creato fra gli altri i loghi della Mobil e
della Chase Manhattan Bank. Essi hanno formulato
questa esauriente definizione: “ Un marchio è allo
stesso tempo forma e sostanza, immagine e idea”.
Frutiger approfondisce questa enunciazione affermando che la forma di un marchio “deve essere
sufficientemente familiare per essere riconosciuta
e sufficientemente insolita per essere facile da
COSTRUZIONE DI UN MARCHIO
13. ricordare. La grafica deve essere abbastanza semplice per essere letta in un attimo e abbastanza ricca di particolari e significati per essere interessante. Deve essere tanto contemporanea da riflettere
la sua epoca, tuttavia non troppo altrimenti risulta
datata prima che sia trascorso un decennio. Infine
deve essere facile da ricordare, e adeguata alle
idee e attività che rappresenta.”3
Secondo Wolff e Olins, grafici e fondatori della
omonima agenzia londinese, il primo passo in
molte esperienze progettuali è lo studio del nome,
e quindi della sua applicazione visiva sotto forma di
marchio.4
FHK Henrion e Alan Parkin, grafici e autori del
libro “Thinking design coordination and corporate
image” citano proprio Olins,5 approfondendo tutti
gli aspetti dell’utilizzo di un nome per un marchio,
dal contesto, alla comprensibilità, all’associabilità.
Tomàs Maldonado, pittore, disegnatore e filosofo
argentino, che è stato presente con
l’ attività e l’ insegnamento soprattutto in Germania e in Italia nella seconda metà del Novecento,
ha scritto sul marchio in un numero monografico
della rivista “Il campo della grafica italiana”.
In questa sede analizza attentamente le possibilità
di significato che un nome nel marchio può assumere quando viene espresso tramite un fonogramma, un pittogramma o un diagramma.6
Bruno Munari, famosissimo artista e designer
italiano, afferma la necessità dell’estrema semplificazione nella creazione di un marchio:
“I marchi troppo complicati non sono ricordabili[…]”7 Aldo Colonnetti, filosofo, storico e teorico
dell’arte, del design e dell’architettura, affronta il
marchio dal punto di vista filosofico e sociologico:
“ il marchio è, o dovrebbe essere, pars pro toto, la
parte per il tutto, attraverso un processo, appunto,
di semplificazione, altrimenti diventerebbe un altro
sistema complesso, e la risposta dell’interprete sarebbe labirintica e il suo comportamento ambiguo.
[…] Il marchio non deve produrre ambiguità semantiche, ma deve entrare dolcemente in sintonia,
senza forzature né autoritarismi, con la memoria
del pubblico.”8
Albe Steiner, designer italiano scomparso nel
1974, fornisce ulteriore punto di vista sul marchio:
“Bisogna tener presente che un marchio perchè
raggiunga il suo scopo deve stimolare subito i
riflessi condizionati prima ancora che la successiva
lettura o spiegazione ne chiarisca il significato.”9
Proseguendo l’analisi delle definizioni e delle
analisi sul marchio è interessante citare la visione
in negativo di Mario Piazza, grafico e architetto, e
attuale direttore della rivista Abitare: “ Un marchio stereotipato ha una bassa carica informativa
e scarsa suggestione; contraddice lo scopo del
marchio di distinguersi e di evidenziare il soggetto
che rappresenta.”10
Mario Piazza
COSTRUZIONE DI UN MARCHIO
13
14. Più storica è l’analisi di Giovanni Anceschi:
artista, grafico e docente, a cui si deve l’introduzione nel design discourse di nozioni come “monogramma”, “artefatto comunicativo” (communication artifact), “teoria protetica degli oggetti”,
“immagine coordinata hard e soft”, […]11:
“Antenati degli odierni marchi commerciali e
istituzionali possono essere considerati i simboli
politici, religiosi e filosofici dell’antichità (come la
svastica, il segno taoista dello ying e dello yang,
la stella di Davide, la mezzaluna araba, la croce),
i sigilli e i monogrammi reali e nobiliari, le insegne
araldiche e delle corporazioni, i marchi di fabbrica
delle prime manifatture.“12
Continuando con le definizioni troviamo quella di
Antonio Boggeri, grafico e musicista, che aggiunge ulteriori elementi di conoscenza: “un marchio
come un nome è astratto, non suggerisce alcuna
immagine, è neutro, oggettivo.[…] deve essere conciso ed espressivo, semplice ed esatto, stilizzato e
definitivo proprio come una sedia o una stilografica
[…] deve contenere un’idea ridotta nell’espressione
più semplice, risvegliare immagini elementari nostre da sempre, i segni tipici più definitivi, comuni a
tutti i linguaggi: le lettere dell’alfabeto, i numeri, ad
esempio […].13
Come punto d’arrivo di questo excursus teorico
che riferisce le considerazioni dei moderni maestri della grafica attraverso chiavi interpretative di
varia natura, val la pena di riconsiderare la potenza
sintetica della definizione di Paul Rand già citata in
questo capitolo: ”Good design adds value of some
kind, gives meaning, and, not incidentally, can be
sheer pleasure to behold; it respects the viewer’s
sensibilities and rewards the entrepreneur.”, perchè un marchio ben riuscito mette insieme bellezza, mercato, individuo e significato.14
14
Giovanni Anceschi
Note:
1 Paul Rand, www.paul–rand.com
2 Adrian Frutiger, “Segni e simboli”, Nuovi Equilibri s.r.l, 1996.
3 Ibidem.
4 Wolff Olins, “The new guide to identity”, Gower Publishing Ltd,
Aldershot 1995.
5 FHK Henrion e Alan Parkin, “Thinking design coordination and
corporate image”, Studio Vista/Reinhold Publishing.
6 Cfr. Tomàs Maldonado, “Sul marchio”, Rassegna n.6, “Il
campo della grafica italiana”, aprile 1986; pagg.33-34 (numero
monografico a cura di G. Anceschi). Cfr. anche Gelsomino D’Ambrosio, Pino Grimaldi, “Lo studio grafico. Da Gutemberg al piano
di identità visiva”, Edizioni 10/17, Salerno 1995.
7 Bruno Munari, La progettazione di un marchio.
8 Aldo Colonnetti, Il marchio: un nome figurato,
in Lineagrafica n. 6/ 1985 pag. 4 e segg.
9 Albe Steiner, Il mestiere del grafico, Einaudi,Torino, 1978
p.173
10 Mario Piazza, Progettare il marchio, Mario Piazza,2001
11 Giovanni Anceschi in http://erewhon.ticonuno.it/
12 Giovanni Anceschi, Monogrammi e figure, La casa Usher,
Firenze, 1988, pag 190 e segg.
13 Antonio Boggeri,“Un segno, un tabù”, da Civiltà delle macchine, n. 2, 1953
14 Paul Rand, www.paul–rand.com
COSTRUZIONE DI UN MARCHIO
15. Marchio Pirelli– dal 1954
“La grafica […] deve essere tanto contemporanea da riflettere la sua epoca, tuttavia
non troppo altrimenti risulta datata prima che sia trascorso un decennio.”
Ivan Chermayeff, in op. cit.
Marchio Chanel, da un’ispirazione
di Gabrielle Chanel, anni ‘20.
Marchio Deutsche Bank, Anton Stankowski, 1974.
“Antenati degli odierni marchi commerciali […]
possono essere considerati […]
i sigilli e i monogrammi reali e nobiliari […].”
“[…] un marchio come un nome è astratto, non suggerisce alcuna immagine, è neutro, oggettivo.”
Antonio Boggeri, in op. cit.
Giovanni Anceschi, in op. cit.
COSTRUZIONE DI UN MARCHIO
15
16. Marchio Apple Computers, Rob Janoff, 1977.
Marchio The International Wool Secretariat, Francesco Seraglio, 1964.
“[…] (la grafica) deve essere facile da ricordare,
e adeguata alle idee e attività che rappresenta.”
Ivan Chermayeff, in op. cit.
Ivan Chermayeff, in op. cit.
Marchio Chase Manhattan Bank,
Ivan Chermayeff, Tom Geismar e Steff Geisbuhler, 1959.
Marchio della Metropolitana Londinese,
Redesign di Misha Black, Research Unit, 1972.
“I marchi troppo complicati non sono ricordabili.”
Bruno Munari, in op. cit.
“ Un marchio è allo stesso tempo forma e sostanza,
immagine e idea”.
“Il marchio deve stimolare subito i riflessi
condizionati prima ancora che la successiva
lettura o spiegazione ne chiarisca il significato.”
Albe Steiner, in op. cit.
16
COSTRUZIONE DI UN MARCHIO
17. Progetttare un marchio per una nuova Galleria Anatome situata a Milano:
questo è stato il compito assegnatoci dal Laboratorio di Sintesi Finale.
I contenuti e l’impostazione organizzativa della nuova galleria
avrebbero dovuto rispecchiare le analoghe caratteristiche della casa madre.
Lo schema grafico che si apre nelle pagine seguenti illustra
le fasi e gli sviluppi del mio progetto.
18.
19. Sviluppo del progetto
Premessa
La Galleria Anatome è ed è stata fin dalla sua
apertura nel 1999 una piattaforma di lancio per la
grafica e per le idee ad essa connesse. Si potrebbero identificare alcuni valori che la rappresentano:
condivisione, novità, solidarietà, cultura.
In questo logotipo ho cercato di rispettare alcune linee guida al fine di ottenere un risultato convicente
e coerente con i valori da illustrare. La leggibilità e
la chiarezza sono stati i miei obiettivi fondamentali,
l’aspetto grafico ricercato voleva essere definito
e semplice. Non si è lasciato troppo spazio al figurativismo. Si è voluta rendere l’idea della spazialità, che viene richiamata dalla geometria scalena
in cui è inserita la dicitura “Anatome”. L’uso del
contorno netto e della tinta piatta vuole creare un
collegamento con il concetto di contenitore. Si può
percorrere un’altra strada visiva, ossia immaginare il triangolo come l’area di uno spiraglio di luce
proiettato sul pavimento da una porta semiaperta
nell’angolo in alto a destra. Così intendo alludere
all’azione di apertura della galleria, che, unica nel
suo genere, ha investito idee, mezzi ed energie nel
mondo non totalmente strutturato, “in continuo
movimento” della grafica contemporanea.
Per così dire si “apre una porta” che affaccia su
zone dell’arte non esplorate, almeno dalle grandi
masse e dal mainstream culturale. La galleria rappresenta infatti un trait– d’union fra tutto ciò che
costituisce la sfera del graphic design e il cittadino
medio che non la conosce.
Proprio su questa zona d’ombra agisce lo spiraglio di luce che proviene dalla galleria. Esso può
incuriosire e forse stimolare tutti coloro che sono
immersi nell’universo di segni indistinto della contemporaneità.
COSTRUZIONE DI UN MARCHIO
19
21. Colori
QUADRICROMIA
C 64 M 0 Y 65 K 0
WEB SAFE
#52BA64
RGB
R 82 G 186 B 100
PANTONE SOLID COATED
3405 C
AREA DI RISPETTO
COSTRUZIONE DI UN MARCHIO
21
23. 1.
Nel caso si utilizzi uno sfondo misto colorato fare attenzione ai colori, non usare il
logo postivo su colori con tonalità scure.
2.
Usare il logo in negativo su sfondi in scala di grigio o con tonalità molto scure.
3.
Si deve usare molta attenzione agli sfondi non compleamente campiti, che presentano variazione tonale al loro interno, tenendo presente che il logo in negativo vuole
sfondi scuri, anche se di tipo fotografico.
4.
Per il logo in positivo che si vada a sovrapporre a sfondi fotografici in bianco e nero si
deve tenere conto di quanto detto al punto uno.
COSTRUZIONE DI UN MARCHIO
23
24. Perchè la font Miso
La scelta del carattere da usare nel mio marchio
è caduta sulla font Miso perchè la ritengo semplice, leggibile e fresca. La font Miso, font per lettering che si usa in documenti architettonici
e planimetrie, è stata disegnata nel 2006
dall’architetto svedese Mårten Nettelbladt.
Supporta l’estensione Open Type Format,
licenza Open Source creata apposta per le font.
L’obiettivo di questa licenza è favorire la creazione
di una comunità tipografica digitale aperta e libera,
dotata dei mezzi legali per tutelare il proprio lavoro
ma al tempo stesso distribuirlo a carattere gratuito
così da ricevere feedback immediati dagli utenti
e dai professionisti.
La font è disponibile in cinque pesi: regular, light,
bold, chunky e skinny. Il fatto che sia nata per il lettering nell’architettura non contrasta a mio parere
con il suo impiego nel logo di una galleria
di grafica. Infatti grafica ed architettura si possono
considerare a tutti gli effetti “arti gemelle”,
24
come Paul Rand afferma ”The roots of good design
lie in aesthetics: painting, drawing, and architecture.” L’architettura, disciplina che regola e crea gli
spazi, può infatti essere utile strumento di lettura
dello spazio fisico della galleria.
La galleria è contemporaneamente spazio concettuale, in cui vengono esposte opere creative, che
spazio materiale, reale. Al suo interno si impongono le visioni di grafici/e ed artisti/e generalmente
ignorati/e dal gusto di massa.
La font che ho utilizzato vuole rappresentare il
carattere della galleria. Io lo immagino libero da
condizionamenti, semplice perchè deve avvicinare
la gente comune alla grafica, giovane allo scopo di
richiamare la parte più nuova e fresca degli autori
grafici, leggibile perchè deve parlare una lingua
comprensibile ai più.
COSTRUZIONE DI UN MARCHIO
30. Ampliamento di identità
Agenda.
Supporto digitale.
A fianco– esempio di ampliamento dell’identità: il marchio
in negativo viene apposto su vari
oggetti, come ombrelli, agende
e cd. Si è scelto di abbinare il
marchio in negativo (bianco) ad
un fondale nero. Il colore istituzionale rimane sempre il C61
M0 Y93 K0 in quadricromia, più
precisamente un verde prato. Ritenendo la versione bianco–nero
più sobria ed elegante, si produrranno quindi due linee differenti
e parallele: per il merchandising
e per le pubblicazioni verrà usato
il logo in bianco e in verde, per
la cancelleria solo quello nero.
Il logo, che presenta una buona
versatilità d’impiego, viene usato
in vari colori a seconda del supporto, seguendo lo stile di vari
grafici come ad esempio Apeloig.
Ombrello.
30
COSTRUZIONE DI UN MARCHIO
31. In alto/ in basso: chiavetta USB nel colore istituzionale modellata sul logo della galleria.
COSTRUZIONE DI UN MARCHIO
31
34. Manuale di utilizzo del logo
Il manuale di utilizzo del marchio contiene
una serie di regole che ne permettono
la corretta riproducibilità.
Si incontra per primo il logo nella versione
positiva e negativa; successivamente vengono
analizzate la versione colore e la griglia
di costruzione, grazie alla quale il marchio
è riproducibile. Vengono inoltre indicate l’area
di rispetto, ossia l’area che deve restare libera
da qualsiasi elemento grafico, la leggibilità,
cioè l’indicazione della misura oltre la quale il logo
non può essere ridotto, le indicazioni di collocazione del logo su sfondi, e infine alcune prove colore.
34
COSTRUZIONE DI UN MARCHIO
41. Biografia
Philippe Apeloig nasce a Parigi nel 1962.
Studia alla scuola superiore di arti applicate
Duperrè e alla Scuola Superiore
delle Arti Decorative (ENSAD).
Nel 1983 compie un tirocinio ad Amsterdam
presso lo studio Total Design, dove scopre
la passione per la tipografia. Nel 1985 comincia
a lavorare per il Museo d’Orsay di Parigi come
graphic designer. Nel 1988 ottiene una borsa
di studio dal Ministero degli Affari Esteri
che gli permette di studiare negli Stati Uniti.
Philippe continua i suoi studi a Los Angeles
lavorando con April Greiman.
Nel 1993 continua per un anno gli studi post
diploma facendo un tirocinio all’ Accademia
di Francia a Roma. é in questo periodo dei suoi
studi che Philippe formalizza l’interesse per la tipografia con una tesi sul type design. Egli si dedica
alla tipografia e mantiene sempre aperto il rapporto con le istituzioni culturali.
Nel 1993 diventa direttore artistico del magazine
“Le jardin des Modes”. Più tardi si sposta
dalle pubblicazioni all’insegnamento, accettando
una cattedra alla Scuola Superiore delle Arti
Decorative, insegnando esclusivamente tipografia.
Nel 1997 diviene prima consulente, poi direttore
artistico del Louvre, posizione che mantiene
fino al 2003. Nel 1999 Philippe ritorna negli USA,
questa volta come professore di design grafico e
non più come studente. é assunto dalla prestigiosa università Cooper Union di New York. In questo
periodo diventa anche curatore del centro per il
design e la tipografia Herb Lubaljn. Nel 2011 è diventato membro del Ordre des Arts et des Lettres.
Attualmente Philippe Apeloig dirige un proprio
studio con sedi a Parigi e a New York.
PHILIPPE APELOIG
41
46. Le ispirazioni
Tra gli artisti e le scuole a cui Apeloig ha tributato
un riconoscimento diretto di ispirazione compaiono
Cassandre, i costruttivisti russi e olandesi, lo Swiss
design e Paul Rand.
Di queste fonti verranno date in questo capitolo le
notizie essenziali e saranno esaminate, secondo
un criterio del tutto soggettivo, quelle opere che
accostate a altrettante di Apeloig presenteranno
elementi riconoscibili di ispirazione.
“In France, Cassandre’s work represents a frame
of reference to me.
He is everything I think a graphic artist should be:
a poster designer, typographer, creator of logotypes
(take the Yves Saint Laurent logo– a classic!) and,
even, stage designer. “15
“In Francia, il lavoro di Cassandre rappresenta per
me un quadro di riferimento. Penso che lui sia tutto ciò che un artista grafico debba essere: disegnatore di manifesti, tipografo, creatore di logotipi,
(si pensi al logo di Yves Saint Laurent–un classico!)
e, persino scenografo.”
Le parole dedicate a Cassandre da Philippe Apeloig
nell’intervista precedentemente riportata testimoniano una grande ammirazione per la personalità e
il lavoro dell’artista.
“Adolphe Jean–Marie Mouron, in arte Cassandre,
definito dai biografi «affichiste, décorateur de
théatre, lithographe, peintre, créateur du caractères d’imprimerie» sembra cogliere fin dalla
giovane età la sintesi di quei concetti della “pura
visibilità” e della percezione visiva espressi dagli
studiosi solo più tardi. La sua, è un’arte molto sintetica, simbolica, bidimensionale […]”16
“Del 1925 è l’immortale manifesto “L’intransigeant”. La testa piena di forza e le linee telefoniche
che si irradiano, creano un’immagine indistrutti-
46
Cassandre
bile. Se c’è un continuum nel lavoro di Cassandre,
sta nella sua padronanza dell’intero spettro degli
stili visuali. Egli, dal 1923 al 1939, fu un ponte
tra le belle arti moderne e le loro applicazioni
contemporanee. Esaminando i suoi manifesti,
sentiamo e vediamo l’aura del surrealismo,
costruttivismo, suprematismo, cubismo e romanticismo, il gamut del pluralismo artistico. 17
Apeloig come Cassandre è insieme progettista,
tipografo e scenografo, il suo interesse per il teatro
e per la danza contribuisce alla sua ricerca di un
senso di velocità e fluidità nel disegno finale, che
sembra un istante congelato di un movimento continuo, iniziato prima del manifesto e che continua
oltre esso.18
Queste parole sembrano realizzarsi nei due manifesti qui a fianco e sopra. In entrambi le linee diagonali legate alle figure umane danno un senso di
movimento ma contemporaneamente la resa visiva
è quella di un fermo immagine fotografico.
15 Philippe Apeloig, Michael Rozemberg, Au coeur du mot/
inside the word, Lars Müller Publishers, 2001.
16 Daniele Baroni in “Cassandre Poeta dello Spazio”,
Linea Grafica, Gennaio 1988, pag. 4.
17 The 51st Annual of Advertising, Editorial, and Television,
Art and Design of 1971 “The inception of the Hall of Fame”,
Watson–Guptill, 1972.
18 Philippe Apeloig, Michael Rozemberg, op.cit.
LE ISPIRAZIONI–CASSANDRE
47. Cassandre, l’intransigeant, 1925.
Cassandre, logotipo per la casa di moda Yves Saint
Laurent,1963.
LE ISPIRAZIONI–CASSANDRE
Philippe Apeloig, Naissance et Renaissance, Ottobre in
Normandia, manifesto,1998.
47
48. Le ispirazioni
“I studied the Russian Constructivist a great deal–
El Lissitsky and Malevitch–and, during my two
stays in Amsterdam, I also discovered the De Stijl
movement. Mondrian’s painting impressed itself
deeply on me, his progression towards abstraction
and the impact of his work on Dutch design. Rietveld, Van Doesburg, and Piet Zwart were real eye–
openers.”19
“Ho studiato moltissimo i costruttivisti russi
–El Lissitsky e Malevič– e, durante i miei due
sogggiorni ad Amsterdam ho anche scoperto il
movimento De Stjil. Mi ha profondamente colpito la
pittura di Mondrian, il suo progredire verso l’astrazione e l’impatto del suo lavoro sul design olandese. Rietveld, Van Doesburg e Piet Zwart hanno
davvero avuto la funzione di aprirmi gli occhi.”
Nell’ intervista ad Apeloig, pubblicata nel suo libro
“Inside the word”, egli riconosce come fonte di ispirazione alcuni esponenti di varie scuole europee,
partendo dai costruttivisti russi come Malevitch e
El Lissitsky, passando per il movimento De Stijl per
arrivare a figure della scena grafica olandese come
Rietveld, Van Doesburg e Piet Zwart.
Nella teoria di Malevič si ritiene che si possa liberare l’arte dal vincolo di rappresentare figure e oggetti con immagini riconoscibili non dovendosi più
preoccupare di raffigurare la realtà esterna, l’arte
potrà sviluppare un linguaggio di forme proprio e
creare nuove realtà “non meno significative delle
realtà della natura”.
Per Malevič gli elementi basilari dell’arte sono la
linea retta e il quadrato, che rispecchiano l’accento
da lui posto sulle forme prodotte dall’uomo piuttosto che su quelle esistenti in natura.
Per quanto riguarda il movimento olandese
De Stjil, nel suo ambito venne coniato il termine
48
Costruttivismo,
neoplasticismo,
suprematismo
neoplasticismo. Questo termine è stato utilizzato
da Piet Mondrian e Theo van Doesburg
nella pubblicazione del Manifesto De Stijl
per descrivere la loro forma d’arte: astratta, essenziale e geometrica. Quella del neoplasticismo
è una pittura, nell’ambito dell’astrattismo geometrico, che in un certo senso assomiglia ad una operazione matematica. Tutto si basa sugli elementari
della linea, del piano e dei colori primari.
19 Philippe Apeloig, Michael Rozenberg, Op. cit.
LE ISPIRAZIONI–COSTRUTTIVISMO
49. Piet Zwart, pagina di un catalogo tipografico, 1931.
Philippe Apeloig, Châtelet.
Manifesto per la stagione 2010-2011.
Nei manifesti scelti si può notare l’uso comune
della sovrapposizione dei caratteri, nella composizione di Zwart è evidente la presenza di una struttura, seppur debole. Nel manifesto di Apeloig, vi è
assenza di una struttura che regoli la disposizione
delle lettere e delle frasi, ma appare evidente
l’ elemento comune dell’utilizzo di tre colori oltre
il nero. Nel Manifesto Dada di Van Doesburg,
la tecnica della sovrapposizione di caratteri viene
portata all’estremo producendo un effetto più formale che comunicativo. D’altra parte la funzione,
legata alla committenza, di comunicare un luogo
e un evento, evidente nel manifesto di Apeloig, ha
reso necessaria la scrematura di quegli elementi
che erano più legati alla funzione e allo spirito
delle opere dei due artisti olandesi. Infatti l’immagine di Zwart è una pagina di catalogo tipografico,
mentre quella di Theo van Doesburg è una pura
composizione artistica.
Theo van Doesburg, Dada Affiche.
LE ISPIRAZIONI–COSTRUTTIVISMO
49
50. Le ispirazioni
“In the summer of 1983 I enjoyed a three month
training with …[ the Total Design Agency.]
…my fellow trainees were English, Swiss, German or
American. The experience was a real revelation. We
would eye each other’s work and compare skills. The
gaps thus uncovered was enormous! I had so much
to learn about graphic design… Subsequently, I came
to appreciate the rigor and diversity of the Swiss posters that I came across in books and magazines…”20
“Nell’estate del 1983 ho fatto un corso di tre mesi
presso…[l’agenzia Total Design.]…i miei compagni di
corso erano inglesi, svizzeri, tedeschi o americani.
L’esperienza fu una vera rivelazione. Ci guardavamo
reciprocamente i lavori e paragonavamo le nostre
abilità. I vuoti di preparazione che scoprivo erano
enormi! Avevo così tanto da imparare sul disegno
grafico…Di conseguenza, imparai ad apprezzare il rigore e la diversità dei manifesti svizzeri che conobbi
attraverso libri e riviste…”
Nella parte dell’intervista già riportata, che Apeloig
dedica all’ ispirazione proveniente dalla grafica svizzera egli riconosce gli elementi tipici di questa scuola che riporterà nel suo lavoro: chiarezza, leggibilità
e obiettività, senza alcun accenno al decorativismo.
Lo stile svizzero, detto anche stile tipografico
internazionale si è sviluppato in Svizzera negli anni
Cinquanta. Caratteristiche ricorrenti di questo stile
sono l’utilizzo di caratteri bastone come l’Akzidenz
Grotesk (da cui derivarono due dei caratteri più
conosciuti e utilizzati, come l’Univers e l’Helvetica),
l’uso di gabbie, una preferenza per la fotografia al
posto delle illustrazioni o dei disegni, e un complessivo impegno per un’estetica pulita e razionale. Gli
esponenti principali della scuola sono stati Max Bill,
Richard Paul Lohse, Josef Müller-Brockmann, Hans
Neuburg, Carlo Vivarelli e Max Huber.
50
Swiss design
Nella pagina a fianco si collegano due esempi di
manifesti di scuola svizzera con opere di Apeloig.
Nei primi due manifesti in alto, Brockman e
Apeloig , sono elementi comuni lo stile pulito e
razionale, l’uso della linea diagonale e la presenza di una griglia sottostante.
Nei due manifesti successivi, Lhose e Apeloig, si
individua la forte presenza modulare del rettengolo, poi ripetuto per dare forma alla composizione. Apeloig inserisce tipografia nei moduli
rettangolari. Anche nei colori i due manifesti
presentano delle somiglianze.
20 Philippe Apeloig, Michael Rozemberg, Op. cit.
LE ISPIRAZIONI–SWISS DESIGN
51. Joseph Müller Brockman, locandina per concerto,1955.
Philippe Apeloig, Ottobre in Normandia, manifesto1995.
Richard Paul Lohse, studio di colori e di pattern, 1949/1956.
LE ISPIRAZIONI–SWISS DESIGN
Philippe Apeloig, Typo Typè, 2005.
51
52. Le ispirazioni
Se la parola “leggenda” ha un significato nelle arti
grafiche, può certamente essere applicato a Paul
Rand (1914-1996), professore in Graphic Design,
che ha attraversato il Novecento e il panorama
americano con una poderosa e fortunatissima produzione grafica. Il suo stile è stato estremamente
creativo, libero e privo di codificazioni, come egli
stesso ha affermato nelle frasi seguenti:
” There are no formulas in creative work. I do many
variations, which is a question of curiosity.”21
“Everything is design. Everything!”22
Per Philippe Apeloig Paul Rand è stato maestro di
semplicità e di stile come egli rimarca nell’intervista già riportata in precedenza. “......in the United
States, I was very impressed with Paul Rand’s
inventiveness and precision”.23
“..... negli Stati Uniti sono stato molto colpito dalla
capacità di invenzione e dalla precisione di Paul
Rand”.
Singolarmente il campo in cui Apeloig ritiene di
avere meno successo è proprio quello in cui deve
utilizzare una comunicazione semplice, con un
numero minimo di significanti, ridotti all’indispensabile. E comunque egli trova molto difficile essere
minimalista senza ricadere nelle scelte di pionieri
del design grafico, come Paul Rand, che prima di
lui hanno raggiunto un elevato livello di semplicità
e sobrietà.24
“A questo proposito la visione di Paul Rand, pubblicata su ‘A designer’s Art’, era la seguente:” le idee
non hanno bisogno di essere incomprensibili per
essere originali o emozionanti.”
Il suo marchio della American Broadcasting Company, creato nel 1962, riassume quell’idea di minimalismo, e nello stesso tempo testimonia il punto
di vista dell’artista che un logo ‘non può sopravvivere se non è disegnato con la massima semplicità
52
Paul Rand
e limitazione.’”25
Nelle immagini seguenti, confrontate a coppie
a partire dall’alto, vediamo come Apeloig realizzi
l’esempio e l’ispirazione di Paul Rand usando
la stessa semplicità ed economia di segno.
Analizzando la prima coppia di immagini Rand/
Apeloig, dove appare il marchio “Abc” appena
menzionato, possiamo affermare che Apeloig
abbia seguito la lezione di semplicità del maestro
e ottenuto il logo che affianchiamo all’ “Abc”, servendosi di elementi basilari come cerchio, tipografia pulita, e dicromia.
A scendere, nella seconda coppia d’immagini,
viene utilizzato similmente il cerchio, dove è inserito un gioco di pieni e vuoti in dicromia bianco/ nero
che produce una resa pulita ma dinamica.
L’ ultima coppia d’immagini, pur con geometrie
diverse come rettangolo e cerchio, utilizza l’elemento comune della freccia che comunica efficacemente un’idea di movimento, pur mantenendo
la bidimensionalità del disegno. Un altro aspetto
simile è l’uso di colori come il giallo ed il blu, che
rende i due loghi complessivamente affini.
21 www.paul–rand.com
22 www.paul–rand.com
23 Philippe Apeloig, Michael Rozemberg, op. cit.
24 Philippe Apeloig, Michael Rozemberg, op. cit.
25 www.paul–rand.com
LE ISPIRAZIONI–PAUL RAND
53. Philippe Apeloig, Palais de la découverte, 2010.
Paul Rand, logo per l’emittente tevlevisva americana Abc, 1962.
Paul Rand, Columbus Indiana Visitors’ Center, 1973.
Philippe Apeloig, Rose & Fafner,
Festival de théâtre et de musique en Normandie, 2003.
Paul Rand, Servador, 1996.
Philippe Apeloig, Médiateur Européen, 2009.
LE ISPIRAZIONI–PAUL RAND
53
56. Le esperienze
Mentre il ventenne Philippe Apeloig frequentava
l’École Nationale Supérieure des Arts Décoratifs”,
il suo professore Roger Druet, notando il suo approccio perfezionista alla linea e alla composizione
gli suggerì di fare una domanda di stàge presso
l’agenzia Total Design di Amsterdam.
Qui, per il giovane Apeloig si aprì un mondo nuovo
e affascinante, come testimonia il suo racconto:
“Imparai molto sulla ricca storia delle arti grafiche
olandesi, abile mescolanza di tradizione e modernità. Sentii di essere al posto giusto nel momento giusto. Mi piaceva la qualità della tipografia
attentamente costruita e dolorosamente concepita,
il suo funzionalismo puro e informativo libero da
qualsiasi abbellimento decorativo o anedottico.”26
Questa esperienza segnò profondamente il suo
universo artistico e concettuale e lo spinse a consolidare quello che aveva appreso in una successiva esperienza di stàge.
L’agenzia Total Design fu anche il luogo dove
Apeloig venne a conoscenza delle possibilità che la
tecnologia avrebbe offerto al design. Durante il suo
stàge assistette infatti a varie dimostrazioni
sull’ uso di un nuovo sistema informatico che
l’agenzia stava per acquistare. Alla fine del
secondo tirocinio che fece nell’agenzia nel 1985,
Apeloig dichiarò che il disegno grafico si profilava
seriamente nel suo orizzonte professionale.
Total Design era stato fondato nel 1963 da Wim
Crouwel, Friso Kramer, Benno Wissing e Paul e
Dick Schwarz e si ispirava soprattutto al movimento neoplasticista olandese. Suo obiettivo era
che tutte le forme di design fossero ospitate sotto
lo stesso tetto. Le sue realizzazioni ebbero come
committenti lo Stato, le autorità locali, l’industria
e il commercio, segnando fortemente l’ universo
visivo del proprio paese; il loro intervento fu infatti
56
Total Design
visibile anche su ospedali, aereoporti e musei olandesi. Nella pagina a fianco, si confrontano elementi
grafici della produzione di Apeloig che possono
essere riconducibili a esempi tipografici tipici di
Wim Crouwel, uno degli esponenti più in vista della
agenzia.
Gli esempi che ho scelto per illustrare eventuali
somiglianze fra maestro ed allievo rappresentano
delle font. Nella prima immagine in alto è riprodotto il carattere tipografico New Alphabet di Wim
Creuwel. Esso venne disegnato nel 1967 per
ovviare ai problemi generati dall’elaborazione
dell’immagine del tubo catodico e dei primi monitor per computer. Nell’ immagine immediatamente
sottostante si può notare che Philippe Apeloig, nel
font Carré, usa per gli angoli delle lettere lo stesso
taglio a 45 gradi che si trova nel font New Alphabet.
Nell’ultima immagine in basso a destra il puntinato
che Apeloig usa per formare le lettere può ricordare la composizione a grandi punti che formano la
lettera di Wim Creuwel, in basso a sinistra.
26 Philippe Apeloig, Michael Rozemberg, op. cit.
LE ESPERIENZE–TOTAL DESIGN
57. Wim Crouwel, font geometrico, 1967.
Philippe Apeloig, font Carré, 1993.
Wim Crouwel, lettera, forma base.
Philippe Apeloig, font Abf, disegnato per l’Associazione
Bibliotecaria di Francia, 2006.
LE ESPERIENZE–TOTAL DESIGN
57
58. Le esperienze
Philippe Apeloig lavora presso lo studio di Los
Angeles di April Greiman nel 1987/88.
Il riconoscimento che egli attribuisce alla pensatrice, artista e designer americana, riguarda prevalentemente l’area della tecnologia applicata al design. Lui stesso dichiara che al momento della sua
partenza per l’ America si sentiva poco amichevole
nei confronti delle nuove tecnologie, anche se era
disponibile a farsene sedurre. Osservando i suoi
colleghi grafici mentre digitavano davanti ai loro
schermi per intere giornate, finisce per imparare
a creare attraverso il computer. Il racconto della
sua esperienza sulla potenzialità dei computer
risale a più di vent’anni fa, ma Apeloig sembra aver
mantenuto un certo distacco nei confronti dell’uso
esclusivo della tecnologia se in un’intervista del
2012 esprime questa posizione: ”Essere un super
tecnico del software mi stanca.”27
April Greiman è una figura dominante nel mondo
del design contemporaneo, e i suoi progetti poli–
mediali ne abbracciano tutte le aree, dalla comunicazione alla moda, dall’architettura ai nuovi media.
Originaria di New York, Greiman studia design
e pittura alla Allgemeine Kunstgewerbeschule,
a Basilea, e all’ Istituto d’ Arte di Kansas City, nel
Missouri. Nel 1976 si sposta a Los Angeles dove
fonda Made in Space, uno spazio di consulenza per
le varie forme del design. I radicali progetti di identità visiva e alcune pubblicazioni che ha fatto per
scuole molto progressiste come la Cal Arts– dove
è stata docente di Comunicazione Visiva dal ‘92 al
‘94 –e la SCI–Arc sono notevoli per l’uso pionieristico dei software Machintosh. Inoltre è importante
la sua enfasi sui novel video e sull’esplorazione
digitale. Greiman sfida attivamente i confini interdisciplinari, indagando i paralleli e le intersezioni tra
arte e design in tutti gli aspetti del suo lavoro.
58
April Greiman
Ha collaborato inoltre con architetti di fama come
Frank Gehry per la produzione di identità segnaletiche, per mostre, e sulla definizione degli interni
dell’edificio progettato da quest’ultimo. é anche
molto attiva nell’insegnamento, e sulla rete è presente un suo blog.
La sua grande e pluridisciplinare produzione può
essere ben riassunta dalle sue parole:”Seeing
is a kind of thinking, an instantaneous synthesis
from a chaos of simultaneous visual impressions
– a coherent whole, a single perception, a unique
observation.”28 “L’atto del vedere è una specie di
pensiero, una sintesi istantanea del caos di impressioni visive simultanee– un insieme coerente, una
singola percezione, un’unica osservazione.”
I manifesti che ho scelto, riportati nella pagina
a fianco, sembrano rappresentare perfettamente“
la sintesi istantanea del caos di impressioni visive
simultanee”. Nel primo manifesto in alto a sinistra,
del 1994, la leggerezza del pensiero indotto dalla
visione, che identifica sia singoli oggetti che un insieme in movimento, viene resa abilmente grazie ai
nuovi strumenti grafici digitali, che Greiman utilizzò appena comparvero. Nel suo manifesto del 2011,
in basso a sinistra, la comunicazione sempre più
rarefatta ed onirica viene ottenuta con la sgranatura dell’immagine. Il manifesto di Apeloig del 2009,
in basso a destra ne ricorda lo spirito, attraverso la
resa velata e in movimento, ottenuta in digitale.
27 Intervista a Philippe Apeloig, Slanted, 2012.
28 www.aprilgreiman.com
LE ESPERIENZE–APRIL GREIMAN
59. April Greiman, manifesto, 1994.
April Greiman, manifesto, 2011.
April Greiman, Hibrid Imagery, copertina.
Philippe Apeloig, manifesto, 2009.
LE ESPERIENZE–APRIL GREIMAN
59
62. 24. Guggenheim Museum, New York.
62
SEZIONE PROVA NFJNJSDNFJHDSBHJSDBHJSDBVDFHJSBFJHSDBFHJSDBFHJDS
63. Considerazioni sulla promozione
dell’ identità museale
Con un movimento progressivo che si è fortemente
accelerato a partire dagli anni ‘80 del ‘900 e ancora in corso oggigiorno, i musei hanno cambiato
sostanza, funzione e immagine. Da luoghi spesso
vissuti come paludati ed elitari e relativamente
poco frequentati, si sono trasformati in strumenti
di popolarizzazione della cultura, di elevazione
dell’intrattenimento, di trasformazione dell’esperienza visiva, che diviene più attiva e più accessibile al pubblico.
Margo Rouard-Snowman, nella sua opera
“Museum Graphics” analizza questo mutamento
affermando:”Venti o trenta anni fa, i musei e le
cosiddette “imprese culturali” avevano una reputazione elitaria. Questo a causa, tra le altre cose,
della difficoltà del pubblico accesso e alle politiche conservatrici dei curatori, più interessati ad
acquisire pezzi rari e a perseguire la propria linea
di ricerca piuttosto che a mettere in mostra i propri
tesori e presentarli al pubblico. Oggi i musei e gli
eventi culturali in genere sono visti con rispetto.
Il pubblico ha una vasta gamma di attrazioni
tra le quali scegliere, ed è preparato ad aspettare
ore in fila per entrare. Questo boom si può osservare quasi dovunque nel mondo. Le mostre d’arte
stanno diventando eventi importanti...”29
Schematizzando, si potrebbe affermare che si
è passati dall’opporsi alla popolarizzazione alla
ricerca del favore del pubblico. Molte sono state
le cause di questo cambiamento dell’istituzione
museale: autoconservazione, valorizzazione della
propria funzione educativa, diminuzione dei contributi pubblici, popolarizzazione della tecnologia,
ricerca dell’ attivo nei propri bilanci.
Tutti questi obiettivi sono stati ricercati attraverso
l’attribuzione al museo di un’identità forte e rico-
noscibile. Negli anni passati la principale fonte
di sostentamento dei musei erano i contributi
pubblici, talvolta affiancati da donazioni private.
Negli ultimi decenni i fondi statali non stavano più
garantendo la vitalità dei musei anche in rapporto
alla domanda di un pubblico sempre più aggiornato ed esigente. Inevitabile è diventato il ricorso
a strategie per rendersi identificabili, variare la
propria offerta culturale per aumentare i visitatori
e attrarre fondi e sponsorizzazioni.
Il principale strumento di questo cambiamento è
stato il ricorso massiccio a tecniche di marketing:
“[…] Sempre più musei si comportano come aziende, e ovviamente più si ha successo nel farlo,
più viene richiesto di continuare […].” 30
“[…] Qualunque siano i suoi meriti, in assoluto,
oggigiorno la cultura è obbligata a dar prova
di sè in termini di mercato […]”31.
“[…] c’è sempre più la tendenza ad utilizzare,
come direzione delle istituzioni culturali, persone
con competenze in marketing e micromanagement. A coloro che comandano viene chiesto,
in breve, di riuscire nell’azione di combinare buon
gusto ed intuizione, insieme con una sapiente opera di raccolta del denaro, il quale deve poi essere
saputo gestire con parsimonia.”32
29 Margo Rouard Snowman, Museum Graphics, Thames and
Hudson Limited, 1992, pag. 6. Testo in inglese, traduzione di
Giulietta Carito.
30 Emily King, Cultural Identities and branding for the
arts, King, 2006, in prefazione. Testo in inglese, traduzione
di Giulietta Carito.
31 Ibidem.
32 Ibidem.
CONSIDERAZIONI SULLA PROMOZIONE DELL’IDENTITà MUSEALE
63
64. 1.
2.
La popolarità e il potere evocativo del nome
di alcuni musei universalmente noti, come il Moma
di New York, i vari Guggenheim, il sistema Tate
a Londra, sono stati il prodotto di un’operazione
vincente diretta a connotarne fortemente l’ identità,
con interventi adeguati sull’immagine e sulla sua
promozione.
La strada per darsi un marchio riconoscibile
e distintivo è quella che tutte le istituzioni museali
moderne stanno seguendo.
Il lavoro grafico appare pertanto come un elemento
fondamentale per creare un’immagine coordinata
che abbraccia tutti i vari elementi costitutivi della
comunicazione museo-utente.
“[…] adesso il mondo dell’arte sta assistendo
alla comparsa dei programmi di marketing
per i musei, i quali stanno eliminando le tradizionali barriere e creando opportunità professionali
per il disegno grafico[…]”33
[…] C’è, pertanto, un sempre maggior bisogno
di grafici professionisti, non solo per i propositi
di comunicazione, ma anche per attirare un pubblico più vasto.[…]34
Come già affermato in precedenza, le risorse statali a disposizione di un’istituzione artistica sono in
molti casi sufficienti solo alla gestione quotidiana
del personale, delle strutture e al mantenimento
delle collezioni. Tutte le operazioni necessarie al
successo della comunicazione della propria identità hanno bisogno di una disponibilità di capitali che
va ricercata all’esterno.
Di qui nasce la ricerca di sponsor importanti
e di donazioni. La risposta dei privati non si fa
mancare. Importanti contributi vengono forniti
soprattutto se collegati a iniziative specifiche e
temporanee che valorizzino fortemente il nome
dello sponsor.
64
L’intervento economico delle aziende, che per ragioni fiscali, di gusto, profitto o prestigio, finanziano
le istituzioni artistiche, e così alleggeriscono
lo Stato e le autorità locali dei propri oneri, presenta luci ed ombre che val la pena di analizzare:
“[…] a volte la sponsorizzazione privata permette
maggiore o uguale libertà stilistica rispetto
al suo equivalente statale. Gli sgravi fiscali
che le aziende ricevono per la loro sovvenzione alle
istituzioni sono spesso delimitati da confini incerti
o spesso non è nel loro interesse tentare di dirigere
le attività dei curatori. Naturalmente esistono anche sponsor che tentano di utilizzare l’aiuto all’arte
come trampolino di lancio o comunque come mezzo per avere un ritorno d’immagine. […]”35
I metodi del marketing, mirati ad ottenere maggior
profitto, anche se nella maggior parte dei casi non
influenzano le scelte dei curatori, possono comunque influenzare altri aspetti della comunicazione.
Questo è il caso della maggiore disponibilità
di risorse messe a disposizione dalle aziende
per finanziare lo spazio esterno ed espositivo
del museo. Spesso si affida questa realizzazione
ad un architetto di grido, ritenendo il risultato
più utile alla propria immagine di sponsor di quanto non lo sia un intervento sulla comunicazione
grafica. Questo aspetto della questione rischia
di rendere meno rilevanti i contenuti del museo.
Sostanzialmente, la fama della forma del museo può deviare la funzione artistica e formativa
dell’istituzione, come vien bene analizzato qui di
seguito:
“[…] la discrepanza che esiste tra i sostanziosi
investimenti concessi all’architettura e ai suoi protagonisti che appartengono allo star system,
e le piccole somme allocate alla comunicazione visiva è deplorevole. In certe occasioni, la poca qua-
CONSIDERAZIONI SULLA PROMOZIONE DELL’IDENTITà MUSEALE
65. 3.
4.
lità delle collezioni è nascosta dalla commissione
dell’edificio ad uno dei grandi nomi dell’architettura. In questo caso, la strategia di comunicazione è
in gran parte centrata sul nome dell’architetto
e dell’edificio a detrimento di una vera politica
di comunicazione[…]36 Riflettendo su queste
considerazioni di Snowman, si può effettivamente
pensare a famosi musei che attraggono ogni anno
decine di migliaia di visitatori, come il Guggenheim
di New York, la new Tate a Londra, il Centre Pompidou a Parigi, il Guggenheim di Bilbao.
Non possiamo non notare che la loro grande notorietà è dovuta a una capacità comunicativa che lega
insieme nome dell’ istituzione e spazio espositivo
di grande impatto architettonico o fama dell’architetto che l’ha progettato. Fra i progettisti che hanno
realizzato in Europa i nuovi musei più noti si possono citare: Richard Meier per il Museo di Barcellona,
Frank O’ Gehry per il Museo Guggenheim di Bilbao,
Stirling&Wilford per la Tate Gallery come pure
Robert Venturi e Denis Scott-Brown per la National Gallery. A volte il contenuto artistico di grande
qualità, e nella maggior parte dei casi pari allo
sforzo economico impegnato per pubblicizzarlo,
può apparire meno significativo rispetto alla personalità del museo in quanto edificio. Si può dire che
una visita al Guggenheim di New York per salire la
notissima rampa circolare di Frank Lloyd Wright
può essere altrettanto, se non più importante per il
turista, che visitare il contenuto dell’edificio.
Immagini
1. Marina Willer / Wolff Olins, logo per il sistema di musei Tate,
che comprende Tate Modern, Tate Britain, Tate Liverpool,
Tate St. Yves.
2. Logotipo del sistema museale Guggenheim redatto
in carattere Verlag. Questo carattere è ispirato al lettering
Art Decò creato da Frank Lloyd Wright per la facciata
del museo negli anni Cinquanta. Nel 1996 Jonathan Hoefler
della Hoefler & Frere-Jones, ridisegna la font per la rivista
ufficiale del museo e nel 2006 viene rilasciata una release della
font in 30 pesi diversi (da Extra Light a Black, da Condensed
a Compressed) per un totale di cento lingue differenti.
3. Nel 1964 Ivan Chermayeff disegna il logo del museo d’ arte
moderna di New york (MoMA), creando un punto di riferimento istituzionale. Il carattere tipografico utilizzato è il Franklin
Gothic n. 2.
Nel 2004 questo logo è stato ridisegnato da Mattew Carter ,
che ha creato un font ad hoc, il MoMa Gothic.
Più recentemente il sistema di identità visiva è stato disegnato
da Paula Scher e sviluppato e applicato da Julia Hoffmann,
direttrice creativa per la grafica formatasi in Pentagram.
4. Jean Widmer, logo per il Centro Georges Pompidou, 1975.
33 Margo Rouard Snowman, Museum Graphics, Thames and
Hudson Limited, 1992, pag. 6. Testo in inglese, traduzione di
Giulietta Carito.
34 Ibidem.
35 Emily King, op. cit.
36 Margo Rouard Snowman, op. cit.
CONSIDERAZIONI SULLA PROMOZIONE DELL’IDENTITà MUSEALE
65
66. I musei classici che contengono importantissime
opere del passato come gli Uffizi di Firenze,
il Prado di Madrid, l’Hermitage di San Pietroburgo
ecc., vivono sul richiamo dei loro contenuti, anche se potrebbero giovarsi enormemente di una
campagna comunicativa dinamica, centrata sia su
interventi architettonici, laddove economicamente
possibili, che sul rinnovamento della comunicazione grafica. Fra i grandi musei il Louvre sembra
l’unico ad aver cercato di innovare la comunicazione della sua identità, compiendo un’ importante
sforzo economico mirato al cambiamento, sia degli
spazi che della propria identità visiva.
La grandiosa strategia di rinnovamento, a cui non
è stato estraneo il concetto di grandeur tipico della
cultura francese, si è giovata di finanziamenti pubblici e privati molto consistenti. Essa ha previsto
la costruzione della Pyramide dell’architetto Pei
insieme a un progetto di comunicazione complesso che ha utilizzato una grafica chiara e moderna
includente anche connotazioni storiche. Il logotipo
ideato dal gruppo Grapus presenta spunti tratti
dalla Pyramide e una grafica che ricorda i frontoni
dei monumenti. La segnaletica provvisoria durante
i lavori di restauro del museo, ha usato il sistema
duttile di Kenneth Carbone, adattabile allo spostamento delle opere in attesa della loro collocazione
finale. La segnaletica definitiva fu elaborata dalla
agenzia Anatome, modificando in parte il lavoro
di Carbone e introducendo l’uso dei colori per individuare le diverse aree espositive ai vari piani.
“A tal punto è giunta la ricerca di finanziamenti per
valorizzare il museo e le sue attività che, da almeno un decennio il Louvre intrattiene anche rapporti
stretti con alcuni emirati arabi per avere finanziamenti per i lavori di ristrutturazione dei settori più
recenti e per l’organizzazione delle mostre temporanee. In cambio, esso offre la fruizione privilegiata
degli spazi espositivi per le famiglie reali arabe,
e in prospettiva, l’invio di proprie opere negli emirati.”37
37 Isabella Pace, in “Musei in franchising” su www.mi.camcom.it
Collettivo Grapus, logo museo dell’Louvre. Un’impressione di imponenza viene prodotta dall’accentuazione dello spazio tra le lettere.
66
CONSIDERAZIONI SULLA PROMOZIONE DELL’IDENTITà MUSEALE
70. Il Louvre e Apeloig
Il Museo del Louvre rappresenta un esempio
importante di come architettura, grafica e tecnologia sono state impiegate insieme per ottenere un
museo moderno che coniuga identità, polifunzionalità e richiamo, caratteristiche necessarie per una
impresa culturale che deve anche produrre profitti.
Nel 1983, quando venne commissionato un ampliamento del Louvre all’architetto Ieoh Ming Pei,
il museo sembrava essere limitato e antiquato ogni
anno di più. Il progetto di Pei doveva adempiere a
tre scopi: incrementare i visitatori, aumentare lo
spazio adibito alle esposizioni, e sviluppare i servizi
tecnici necessari alla gestione e alla sicurezza di
un museo moderno. La piramide creò uno spazio
interno bagnato di luce. La Hall Napoleon, spazio
che si estende sotto la struttura trasparente, venne
trattato in maniera fortemente grafica. Le sue
caratteristiche più importanti sono i giochi che si
creano tra la linea e piano, bianco nero, ombra e
luce. La compresenza di differenti materiali come
vetro, acciaio, calcestruzzo, pietra, contribuisce
a produrre un’estrema sobrietà di stile, privo di
qualsiasi colore eccetto quello riflesso dalle continue evoluzioni del cielo parigino. Gli alberi che
crescono all’interno, demarcando gli ingressi alle
zone Richelieu, Denon, Sully, sottolineano inoltre la stretta relazione tra architettura e natura.
L’apertura della Hall Napoleon è il primo passo del
progetto Grand Louvre, terminato nel 1993, bicentenario della nascita del museo. La sua espansione
spaziale continuò fino al 1989, anno in cui il Ministero delle Finanze, lasciando libero lo spazio che
occupava permise che in un unico luogo si potesse
offrire una straordinaria concentrazione di mostre.
Nel 1988 il Ministero della Cultura indisse un
concorso per reperire uno studio grafico che creasse la nuova identità visiva del museo. La giuria
70
internazionale presieduta da Pei scelse lo Studio
Grapus. Venne loro offerto un anno di contratto
per produrre logo, cancelleria base e concept per
eventuali pubblicazioni. Il Gruppo era formato da
membri del partito comunista francese che si erano conosciuti nel periodo del ‘68. All’inizio dell’attività essi rifiutavano incarichi commerciali
o governativi, ma accettarono di lavorare per il
Louvre. Ciò avvenne non senza gravi contrasti
interni di natura ideologica, che li condusse alla
fine ad una separazione. Nella creazione del logo,
Grapus abbandonò la dicitura “Musee du Louvre”
in favore del più semplice “Louvre”. Per il nome del
museo venne mantenuto il carattere Granjon, del
XVII secolo, stampato in lettere maiuscole sopra
lo sfondo di un cielo nuvoloso. Il Granjon riflette
l’eredità storica del Louvre e delle sue collezioni,
mentre il cielo evoca la trasparenza della Pyramide. Nonostante la sua semplicità lo sfondo con il
cielo rende più difficile la riproduzione del logo.38
Philippe Apeloig iniziò il suo intervento di perfezionamento e di arricchimento della grafica del Louvre nel 1996. Il materiale grafico creato dal collettivo Grapus aveva bisogno di un ulteriore sviluppo.
Infatti nel 1996, l’allora direttore del Louvre Pierre
Rosemberg, visto il materiale che Apeloig aveva
preparato per una borsa di studio, gli commissionò
la sfida di ripensare la concezione grafica di tutta
la cancelleria, e delle pubblicazioni del museo.
La gestione dinamica di Rosemberg permise di
qualificare ulteriormente l’immagine dell’istituzione. Dal 1997 Philippe Apeloig divenne prima consulente, poi direttore creativo nel 2003, e mantenne
questo ruolo fino al 2007. Appertengono a questo
periodo i manifesti della pagina a fianco.
38 Margo Rouard Snowman, op. cit.
IL LOUVRE E APELOIG
71. Philippe Apeloig, 1998,
Louvre, Dieci anni della Pyramide.
Stagione ‘98 99.
Manifesto 118 x 175 cm
Philippe Apeloig, 1996.
Manifesto per espopsizioni al Louvre.
Stagione ‘96-97.
Manifesto 118 x 175 cm
Questo manifesto per il museo del Louvre celebra
i dieci anni di costruzione della Pyramide.
L’idea più scontata di rappresentare la piramide
con una fotografia, è sostituita dall’evocazione
grafica della sua architettura.
La notorietà dell’immagine della piramide rende
possibile richiamarla tramite le lettere, che in
primo luogo comunicano la forma piramidale e in
seconda istanza permettono la lettura
del messaggio.
Manifesto per il museo del Louvre, stagione
1996/1997. L’obiettivo è quello di dare un volto
a tutte le collezioni del Louvre, dalla pittura alla
scultura, dalle civiltà antiche a quelle moderne.
Questo si ottiene attraverso una griglia ben visibile,
in cui sono inserite in sovrapposizione sia le
immagini che la tipografia. L’immagine
complessiva comunica un forte ritmo.
IL LOUVRE E APELOIG
71
72. 1.
2.
39 Margo Rouard Snowman, op.cit.
Immagini
1. Mappe del museo, in varie lingue.
2. Philippe Apeloig, libro dedicato a tutte le collezioni dell’Louvre.
Il museo avrebbe preferito come copertina la riproduzione di un opera, ma per Apeloig sarebbe stato
fortemente riduttivo, perchè il Louvre è un mondo in cui si entra come se si entrasse in un libro.
La copertina riprende quindi la Pyramide, la sintesi della parola “Louvre” racchiude l’enormità
del museo e quindi del libro.
72
IL LOUVRE E APELOIG
73. Il logotipo del Museo
Louvre soffre di uno
svantaggio: nonostante
la semplicità visiva del
lettering contro il cielo,
presenta dei problemi
di riproducibilità.
Questi sono ad esempio
una perdita di definizione
specialmente nelle
nuvole.39
IL LOUVRE E APELOIG
73
76. Il Musée d’Orsay e Apeloig
Il museo d’Orsay è ospitato negli spazi nell’ ex stazione d’Orsay, progettata nel 1898 da Victor Laloux
per l’esposizione Universale del 1900 e in funzione
fino al 1975. Dopo la chiusura della stazione, nel
1979 il Ministero della Cultura indisse un concorso
mirato alla trasformazione dello spazio in museo.
Il vincitore del concorso fu il gruppo ACT
(R. Bardon, P. Colboc, J.P. Philippon). Nel 1980
venne attribuito il compito di disegnare gli interni
all’architetta italiana Gae Aulenti.
La realizzazione di Aulenti riflette idiomi passati
e presenti: la gigantesca navata mantiene infatti
le fattezze della stazione di Laloux dietro le vesti
contemporanee.
Il museo ha adottato una politica espositiva multidisciplinare, costruita attorno al concept di un
“collage a sequenze”: mostre che normalmente
risulterebbero separate, per esempio di pittura e
di scultura, sono allestite insieme in sequenza cronologica. Esso è organizzato nelle seguenti sezioni:
pittura, scultura, architettura, Art Nouveau, prima
cinematografia ed esibizioni temporanee, relative
al periodo che va dal 1848 al 1914.
I pannelli di orientamento, in quattro lingue, usano
la tipografia per sottolineare o ridurre l’importanza
delle varie mostre. Il nome delle sale appare su
pannelli metallici interscambiabili posti su guide di
ottone. Barre parallele vengono usate come indicatori di direzione. Dodici “punti chiave”di informazione riferiti a specifiche zone sono distribuiti in
tutto il museo.
I designers grafici Widmer e Monguzzi vinsero un
concorso nel 1983 per la segnaletica interna, che
venne realizzata insieme allo sviluppo dell’identità
visiva. Una segnaletica efficace e comprensibile
era indispensabile per uno spazio così particolare
in cui un’ unica navata ospitava volumi ricavati per
76
esporre tipologie artistiche diverse. “La segnaletica che fu realizzata fa da mediatrice con i suoi
colori e materiali tra la vastità della navata e la
densa consistenza delle pareti. La lacca rossa e
l’ottone scintillante contrastano con l’opaco calcestruzzo marrone, le etichette lucidate, con la pietra
granulare di Buxy, usata per le gli indicatori delle
stanze.”40
Il programma grafico realizzato da Monguzzi e
Widmer è fondato su tre elementi: tipografia,
logo e colore. L’elemento base della tipografia è il
Walbaum Buch, carattere del diciottesimo secolo
largamente usato nel diciannovesimo. Il disegno
delle lettere combina grazia, forza e severità.
Il logo del Museè d’Orsay fu creato da Monguzzi
mentre meditava sull’acronimo“Moma”,
del Museum of Modern Art. Esso rappresenta una
“M” al di sopra di una “O”, separato da una linea
netta, come due scatti su una sequenza di una
pellicola. Il logo produce un’ immagine compatta
e una sensazione di movimento. L’immagine visiva
complessiva utilizza il colori diversi a seconda della
funzione. L’immagine istituzionale a partire dal
logo è rappresentata attraverso la gamma monocromatica di bianco, nero e grigio. Il bianco, il nero,
il grigio, il rosso, il marrone, il verde vengono invece usati per adempiere a un ruolo funzionale come
le guide, le pubblicazioni, i depliant. Il programma
grafico possiede una grande eleganza, e riflette un’
armoniosa alleanza tra la tradizione svizzera e la
cultura francese. Esso ha messo al servizio dell’arte una tipografia classica che realmente “serve”
senza competizione.
Dopo il compimento del loro incarico e l’apertura
del museo il 1º dicembre 1986, il gruppo grafico
mantenne il ruolo di supervisore della coerenza
grafica complessiva dell’istituzione.
IL MUSéE D’ORSAY E APELOIG
77. Philippe Apeloig è legato al Museo d’Orsay dalla
sua collaborazione come grafico iniziata nel 1985
quando il museo non era ancora aperto. Egli partecipò a soli ventitre anni ed ancora da studente a un
concorso indetto dal Ministero della Cultura per il
Museo d’Orsay. Lo vinse, e iniziò così la sua carriera professionale in una sede prestigiosissima.
Alcuni manifesti realizzati dal giovane grafico per il
museo vengono riportati nelle pagine seguenti.
Nel primo, “Chicago, naissance d’une métropole”,
Apeloig utilizza per la prima volta un computer
per il suo lavoro, utilizzando un metodo che aveva
osservato durante gli stage allo studio Total Design
per creare un effetto tridimensionale.41La parola “Chicago” appare in prospettiva, riprendendo
quella della strada sottostante nell’immagine, allo
scopo di creare un effetto di vertigine con l’orientamento del testo. Le linee oblique della foto richiamano le dimensioni geometriche dei primi grattacieli. Parlando di questo poster in un’ intervista
Apeloig dichiara che è uno dei suoi lavori preferiti e
che gli piacerebbe molto ritrovare l’innocenza e la
freschezza dei giovani anni in cui l’aveva creato.42
In un’altra intervista il grafico rievoca la sua esperienza di lavoro presso il Museo d’Orsay e afferma
di aver ereditato da Monguzzi e Widmer un logotipo
e un sistema grafico molto ben ideato, che gli ha
permesso di esprimersi liberamente. Ritiene che
l’unico limite del suo lavoro consisteva nel dover
utilizzare il carattere tipografico predefinito dal
Museo, il Walbaum. Il suo sforzo quindi è stato di
creare delle immagini senza compromettere lo
spirito grafico iniziale.43 L’esperienza con il Musée
d’Orsay si concluse nel 1987. L’anno successivo ricevette dal Ministero Francese per gli Affari Esteri
una borsa di studio per progredire i suoi studi presso April Greiman, negli Stati Uniti.
40 Margo Rouard Snowman, op. cit.
41 Ayse Kongur, An interwiev with Philippe
Apeloig, “Creative Review” Febbraio, 2010.
42 Philippe Apeloig, intervista a DesignBoom.
43 Philippe Apeloig, “intervista f”, 2001. in www.apeloig.com
IL MUSéE D’ORSAY E APELOIG
77
78. Philippe Apeloig, manifesto per la mostra “Chicago, nascita di una metropoli 1877–1922”,1987.
78
IL MUSéE D’ORSAY E APELOIG
79. Philippe Apeloig, manifesto per una mostra
sulla comicità e sui personaggi del cinema
muto, 1987.
Philippe Apeloig, manifesto per celebrare
il decimo anniversario dell’apertura del museo
d’Orsay, serigrafia, 1996.
Philippe Apeloig, manifesto per la mostra
“Carte Blanche”, mostra a libero accesso,
1987.
La resa visiva del manifesto “Comique muet” è assimilabile al precedente “Chicago” per l’uso della
fotografia e dei primi software grafici.
Nel manifesto “Carte Blanche”,
del 1987, Apeloig riprende come
elemento centrale il logo creato da
Monguzzi e Widmer, racchiuso da una
scansione regolare ed equilibrata
di tante piccole forme sferiche. Le
informazioni sulla mostra si leggono
chiaramente in basso. Nel manifesto
che celebra i dieci anni di apertura
del museo, Apeloig inscrive il logo
del museo in una forma che richiama
il numero dieci, in cui viene inserito anche il titolo. Questo manifesto
semplice ed elegante, del tutto privo
di decorazione, gioca tutto il suo
effetto sia nelle forme, attentamente calibrate, che nell’uso dei colori;
infatti si alternano due gradazioni di
grigio, su cui spicca il giallo del titolo
della mostra.
IL MUSéE D’ORSAY E APELOIG
79
80. 2.
1.
1. Formula di abbonamento per le visite al museo.
2. Copertina di un pieghevole pubblicitario.
3 Programma delle mostre Settembre 2012 Gennaio 2013.
4. Pieghevole, lato A contenente riproduzioni di quadri della
collezione permanente.
5. Pieghevole, lato B. Nelle fustellature è presente una linea
tratteggiata che invita a tagliare, con lo scopo di creare delle
cartoline.
80
MUSéE D’ORSAY MATERIALE PROMOZIONALE RECENTE
3.
84. Nel 1998 veniva aperto nel quartiere del Marais a
Parigi il Musée d’art e d’histoire du Judaïsme.
Nel contempo veniva bandito un concorso per un
logo che rappresentasse l’istituzione e ne connotasse la funzione di memoria storica, artistica e
culturale. Philippe Apeloig vinse il concorso con
due bozzetti, ma la giuria chiese un’ alternativa,
perchè i disegni presentati raffiguravano una spirale in una stella e una mano con sette dita.
Questi simboli vennero ritenuti potenzialmente ambigui; la stella di David ha infatti connotati
storici negativi a causa della stella gialla imposta
dai nazisti agli ebrei, mentre la mano è anche un
simbolo islamico. Il percorso creativo seguito da
Apeloig per arrivare alla soluzione definitiva, che
rappresentava l’immagine di una ménorah, il candelabro con sette braccia, viene da lui descritto nel
libro “La spirale, la main et la ménorah”44.
La premessa concettuale affermata da Apeloig
risiede nella consapevolezza che il museo ebraico
non era uno spazio confessionale per la comunità,
ma il museo aperto al pubblico di una comunità con una storia e una cultura. La preparazione dell’identità visiva del museo ha richiesto ad
Apeloig un vasto approfondimento del panorama
simbolico e allegorico dell’ebraismo. Egli racconta
che il suo obiettivo complessivo era di associare
tradizioni ed emblemi del Giudaismo alla modernità e all’emozionalità. La prima soluzione che
aveva presentato, dove spirale e stella apparivano
mescolati, era collegata all’immagine dei cerchi
concentrici della Cabala45, e alla visione in sezione
dei rotoli della Torah, e voleva richiamare gli scambi e le relazioni della comunità ebraica con
il mondo esterno. L’altra soluzione, la mano a sette
dita, voleva ricordare un simbolo molto presente
nella cultura ebraica. La mano infatti è un simbolo
84
di memoria correlata anche allo yad (mano), nome
del puntatore con cui l’officiante segue il testo sulla Torah. Inoltre sulle lapidi tombali c’è l’immagine
benedicente delle mani, e la figura ritorna nella
cultura sefardita. Apeloig scrive che due artisti
che gli sono molto familiari come El Lissitsky
e Marc Chagall hanno sublimato tale immagine
nelle loro opere, ribadendo la loro appartenenza
alla comunità ebraica. Chagall aggiunse due dita
alla sua mano e una mano con sette dita si trasforma nel candelabro a sette braccia, la ménorah,
simbolo universale dell’ ebraismo. Per disegnare
la mano a sette dita, aperta e ben riconoscibile,
Apeloig usa pittura, inchiostro e gesso, e ne lascia
i contorni volontariamente irregolari, per rompere
la meccanicità del disegno computerizzato.
Dalla mano a sette dita si ha il passaggio al disegno del candelabro a sette braccia, che sarà
il logo definitivo scelto dal museo. Il candelabro
è un simbolo universale del popolo ebraico, quindi
l’aspetto del significato era già evidente e Apeloig
scelse di lavorare maggiormente sull’ aspetto plastico e formale del simbolo. Nel suo libro mostra
i molteplici passaggi per arrivare al disegno della
ménorah, basati soprattutto sulla calligrafia delle
lettere ebraiche. Il senso dell’antichità del simbolo
e della fragilità di qualcosa su cui è passato
un tempo lunghissimo viene reso, dopo innumerevoli prove, da strumenti che lasciano il margine
non netto, come il bambù, il pennello, la penna,
prima della resa computerizzata.
Dopo un lavoro di raffinamento e limatura la figura
ottenuta assomiglia a una moneta antica, o a un
sigillo. Le sette fiammelle che si innalzano dalle
braccia rendono chiaramente leggibile l’immagine
di un’antico candelabro.
IL MUSEO EBRAICO E APELOIG
85. 1.
44 Philippe Apeloig, La spirale, la main et la ménorah,
GCE, 1999.
45 La cabala è una dottrina ebraica esoterica su Dio e sull’universo a sfondo panteistico, in cui tutto ciò che esiste è la manifestazione di Dio stesso. Egli si rivela attraverso dieci sefirot,
o emanazioni, rappresentate appunto con dei cerchi.
Immagini
1. Yad, il puntatore con il quale l’officiante segue il testo sulla
Torah.
2. Marc Chagall, da Self portrait with seven fingers,1912–1913.
IL MUSEO EBRAICO E APELOIG
2.
85
86. 1.
2.
1. Brochure.
2. Mappa del museo.
3. Cartolina pubblicitaria della mostra “Ebrei d’Algeria”e programma
delle mostre Settembre 2012 Gennaio 2013.
86
MUSEO EBRAICO MATERIALE PROMOZIONALE RECENTE
91. 6
4
5
1. Museo di Belle Arti di Tours, 2004.
2. Musée Girodet a Montargis, 2005.
3. Musée de France, Direzione dei musei di Francia, 2006.
4. Litvak Gallery, Galleria d’arte contemporanea, Tel Aviv, 2009.
5. La Maison de Photo, Casa di edizioni di foto d’arte, 2009.
6. Petit Palais, Museo di Belle Arti della città di Parigi, 2012.
94. Introduzione
Il progetto che mi è stato affidato prevede la creazione dell’immagine coordinata di una mostra di lavori di Apeloig presso la sede virtuale della Galleria
Anatome a Milano.
Lo sviluppo delle varie parti del progetto si è
accompagnato all’ approfondimento del mondo
dell’autore, dei suoi elementi stilistici e delle ragioni delle sue scelte. Il mio lavoro ha come obiettivo
di comunicare lo spirito della ricerca di Apeloig e
di esprimere la sua poliedricità. Il percorso che ho
seguito è visibile nel confronto tra le prime versioni
di alcuni elaborati, come il manifesto e la copertina
del sedicesimo, con quelle successive, arricchite
da nuovi elementi legati all’artista. Il progetto di
identità della mostra presso la galleria Anatome
ha inoltre previsto la creazione di vari materiali
promozionali come:
il manifesto, destinato all’affissione negli spazi
pubblicitari della città;
il sedicesimo, opuscolo introduttivo sull’autore;
l’ invito, da spedire agli addetti ai lavori;
la cartella stampa, destinata ai giornalisti;
lo stendardo, presente nel luogo stesso della mostra.
A sinistra: Philippe Apeloig, manifesto per la mostra autografa
all’University of the Arts di Philadelphia, USA:
”Play Type, design–work”, 2005.
Sopra: Philippe Apeloig, carattere tipografico “Carré”, 1993.
94
UN PROGETTO PER ANATOME MILANO
95. Manifesto
Formato: 70 x 100 cm
Target: persone con interessi artistici
Destinazione: affissione negli spazi pubblicitari
della città.
Durante lo studio dell’opera e degli elementi stilistici dell’autore si è circoscritta l’area della tipografia, considerandola come base dello sviluppo
dell’identità visiva del mio progetto. La font Carrè,
progettata nel 1993 da Philippe Apeloig è stata
usata per il lettering principale, che riporta il nome
dell’artista. Per le informazioni su luogo/data/ora
si è usato Helvetica Neue, nei pesi bold e regular.
Il titolo della mostra, “Typomania” è stato composto con gli stessi caratteri del lettering principale.
La font Carrè è caratterizzata dalla somiglianza
con il quadrato e crea un effetto di stabilità ed
equilibrio. Come si vede nel manifesto di Apeloig
per la Design–Exibition del 2005, riportato qui a
sinistra, è anche una font adatta a giochi di colore
e variazione spaziale. Alla prima versione del mio
manifesto, qui a fianco, si sono gradualmente aggiunti elementi nella seconda versione e in quella
definitiva, come si vede nelle pagine successive.
Nella seconda versione è stato aggiunto il titolo
della mostra,“Typomania”. Il nome allude alla nota
passione di Apeloig per la tipografia. Nella terza
e definitiva versione si è cambiata la palette colori
per entrambi i lettering, e si è aggiunta un’ ombreggiatura dietro ai caratteri del lettering principale. I colori usati sia per il lettering principale sia
per quello secondario sono campioni presi da vari
manifesti di Apeloig. Nelle pagine 102 e 103 sono
riportate alcune prove di stampa del manifesto.
UN PROGETTO PER ANATOME MILANO
95
100. Sedicesimo
Formato: 17 x 24 cm
Target: visitatori della mostra.
Destinazione: negozio della galleria.
Numero 15 della rivista “Un sedicesimo” Ed. Corraini
100
Si definisce sedicesimo una rilegatura di sedici
pagine. “Un sedicesimo” è anche il nome di una
rivista, che la casa editrice Corraini di Mantova
ha pubblicato a partire dal dicembre 2007.
“Un sedicesimo” misura diciassette centimetri
di larghezza e ventiquattro di altezza, non ha un
tema e neanche una gabbia grafica. Ogni numero
è affidato ad un autore diverso che ha il compito di
creare un progetto lungo sedici pagine. È una sorta
di galleria su carta. é un oggetto editoriale che
ha lo scopo di presentare l’autore e deve pertanto
contenere tutti gli spunti, le caratteristiche ed i
temi propri dell’artista. Così accade nella mostra
della Galleria Anatome Milano, che commissiona
alla curatrice virtuale la redazione del sedicesimo
dedicato a Philippe Apeloig. Per fare questo si è
preferito operare una sintesi estrema dello stile
di Apeloig, troppo ricco, complesso, e pervaso di
influenze per essere definito in breve. Si è quindi
scelto di rivelare Apeloig attraverso il suo nome,
usando come strumento la tipografia, tema da lui
prediletto e fortemente presente nella sua produzione. Utilizzando le font da lui create –Drop, Ndebele, Santa Co, Aleph, Serpent, Bollywood, Octobre,
Carrè– si rivelerà alla fine il suo nome completo. Il
percorso progettutale si è sviluppato con il supporto di un’agendina Moleskine sulle cui pagine sono
state incollate le lettere.
UN PROGETTO PER ANATOME MILANO
101. Un sedicesimo di
Giulietta Carito
“Philippe Apeloig”
composto in Drop,
SantaCo, Octobre,
Serpent, Bollywood,
Aleph, Ndebele, Carré,
font disegnati da
Philippe Apeloig.
www.anatomemilano.it
Copertina
Quarta di copertina
UN PROGETTO PER ANATOME MILANO
101
104. Invito
Formato:10 x15cm (chiuso)
Target: un numero limitato di persone potenzialmente interessate alla mostra, giornalisti/e.
Questo supporto è pieghevole. La soluzione che si
è sviluppata prevede due ante. L’invito aperto misura in lunghezza 20 cm e in altezza 15 cm.
Lo scopo dell’invito è quello di comunicare la data
ed il luogo nonchè altre informazioni come l’orario
della mostra. Sarà inviato a personaggi del settore
e a giornalisti/e. La busta sarà trasparente, così
da evidenziare la grafica del contenuto: il fronte
dell’invito deve essere posizionato all’interno della
busta lato indirizzo.
Galleria Anatome
Via Durando 10,
20158 Milano
Zona Bovisa
Tel +39 340 355 83 34
info@anatomemilano.it
www.anatomemilano.it
104
UN PROGETTO PER ANATOME MILANO
106. Cartella stampa
Formato: 22 x 30,5 cm
Target: giornalisti/e
Destinazione: da consegnare all’inaugurazione
della mostra.
La cartella stampa ha lo scopo di contenere i vari
materiali con le informazioni, cartacee e multimediali che riguardano un evento. Ciò al fine di
di costituire un insieme completo a cui i giornalisti possano fare riferimento per i loro articoli.
In questa occasione i materiali forniti in cartella
sono il comunicato stampa, in formato A4 su carta
intestata della galleria Anatome Milano, e un CD.
Il progetto comprende sia la fustella, (sotto) ovvero
la struttura, la piegatura e le tasche della cartella,
sia la veste grafica; in essa si ripetono gli elementi
già utilizzati nei precedenti artefatti, come il lettering del manifesto, e alcuni elementi dell’invito che
106
derivano dal sedicesimo. La copertina utilizza la
stessa grafica dell’invito e del manifesto, ossia le
lettere che compongono il nome “Philippe Apeloig”. Nel retro di copertina si legge la grafica con il
titolo della mostra, già presente nell’invito.
La forma della tasca riprende fortemente il logo
della galleria Anatome, così da costituire una
costante, che rende riconoscibile la cartella e il suo
marchio anche a distanza di tempo. Sul cd è stato
riprodotto una sequenza di stampe della grafica
del manifesto. Nel risvolto interno è stato inserito
il calligramma già usato per il sedicesimo, che cita
una frase di Apeloig riferita ai suoi ispiratori della
scuola olandese ”Rietveld, Van Doesburg,
Piet Zwart were real eye openers”. Questa frase
non è stata scelta a caso, il suo significato– l’arte
che apre gli occhi–è un invito destinato a chi guarderà professionalmente la mostra.
UN PROGETTO PER ANATOME MILANO
107.
108. Stendardo
Formato: 9x2,5 m
Target: avventori/frequentatori dell’edificio N
Destinazione: atrio dell’ edificio N, Bovisa
Lo stendardo è stato progettato per essere appeso
nell’atrio dell’edificio N della scuola del design,
nel campus di Bovisa Durando.
Ha dimensioni notevoli (9x 2,5 m) e un formato
alto e stretto. L’immagine del manifesto, che
nell’invito era stata trasformata da verticale in
orizzontale, nello stendardo viene adattata alla
verticalità, accentuandola. Il testo ha un corpo
molto grande per poter facilitare la lettura anche
a distanza. La grafica dello stendardo ripete quella
dell’invito e del manifesto.
Se il nome di Philippe Apeloig non è immediatamente riconoscibile nella grafica colorata, la
comprensione del messaggio è garantita induttivamente da tutte le altre informazioni che appaiono
sul supporto, leggibili molto chiaramente.
108
UN PROGETTO PER ANATOME MILANO
113. Bibliografia
Sitografia
Apeloig Philippe, La spirale, la
main et la ménorah, Gabriele
Cappelli Editore, 1999
Piazza Mario, Progettare il
marchio, Identità del GAI, GAI
Edizioni, Torino 2001
Apeloig Philippe, Rozemberg
Michael, Au coeur du mot/
Inside the word, Lars Müller
Publishers, 2001
Rouard Snowman Margo,
Museum graphics,
Thames and Hudson, 1992
Ferrara Cinzia, La comunicazione dei beni culturali,
Lupetti, 2007
Guida Francesco E. (a cura di),
Comunicazione coordinata per
i beni culturali: 4 progetti italiani, Valentino Editore, Napoli,
2003
Hyland Angus , King Emily,
Visual Identities and branding
for the arts, Laurence King
Publishing, 2006
Mollerup Per, Marks of Excellence, Phaidon Press Ltd,1997
Spera Michele, Abecedario
del grafico, Gangemi Editore,
2005.
www.apeloig.com
www.aprilgreiman.com
www.behance.net
www.brandsoftheworld.com
www.corraini.com
www.designwebkit.com
www.directions.ch
www.flickr.com
www.guggenheim.org
www.kak.ru
www.kingygraphicdesignhistory.blogspot.it
www.icograda.org
www.issuu.com
www.madeinspace.la
www.nmwa.org
www.paul-rand.com
www.petitpalais.paris.fr
www.slanted.de
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