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Hieronymus Bosch […] raccontò che cosa poteva
significare vivere a cavalcioni tra due mondi,
l’antico e il nuovo.
MARSHALL MCLUHAN
Gli strumenti del comunicare
1
IInnttrroodduuzziioonnee
iinnaasscciimmeennttoo ccoommee aarrttee mmooddeerrnnaa
Quelli che s’innamorano della pratica senza la scienza, sono come nocchieri
che entrano in naviglio senza timone o bussola, che mai hanno certezza
dove si vadano. Sempre la pratica dev’essere edificata sopra la buona
teorica, della quale la prospettiva è guida e porta, e senza questa nulla si
fa bene.
LEONARDO DA VINCI
Trattato della pittura di Leonardo Da Vinci
(cit. Cricco & Di Teodoro, 1996: B27)
Noi pensiamo che il Rinascimento sia l’arte che viene prima dell’arte moderna.
Infatti, se è vero che da un punto di vista storiografico l’Età moderna inizia nel
1492 con la scoperta dell’America, è pur vero che dal punto di vista artistico l’arte
moderna è quella che interessa essenzialmente il XIX secolo.
Ma per gli uomini e le donne di quel tempo, il Rinascimento fu l’arte moderna.
Una carrellata delle conquiste di quest’epoca e dei suoi protagonisti di spicco
basterà a esemplificare la portata d’innovazione di questo fecondo periodo della storia
dell’ingegno umano.
Innanzitutto, la scoperta della prospettiva; non già l’invenzione, poiché la
prospettiva non è altro che un particolare modo di guardare alla realtà: realtà che, con
le sue leggi naturali, era sempre esistita, lì sotto i nostri occhi; da tale nuovo modo di
vedere le cose, poi, conseguì anche un preciso metodo.
McLuhan propone (e noi l’accogliamo) la tesi che l’avvento della prospettiva sia
andata a braccetto con l’invenzione (stavolta il termine è lecito) della stampa a
caratteri mobili da parte di Johann Gutenberg nel 1455:
Il libro stampato, estensione della facoltà visiva, ha intensificato la
prospettiva e il punto di vista fisso. All’accentuazione del punto di vista
e del punto di fuga che fornisce l’illusione della prospettiva
s’accompagna l’illusione che lo spazio sia visivo, uniforme e continuo. La
linearità, la precisione e l’uniformità della disposizione dei caratteri
mobili sono inseparabili da queste grandi innovazioni culturali e
dall’esperienza rinascimentale (McLuhan, 2006: 164).
2
A proposito dell’arte quattrocentesca, Gombrich parla di «conquista della realtà»
da parte degli artisti (2006: 223) e di «armonia raggiunta»:
Ad un capitolo della mia Storia dell’arte, un libro divulgativo, ho dato il
titolo Armonia raggiunta, e con questa espressione intendevo qualcosa
di molto specifico. Ciò che intendevo, e che inoltre spiegavo in questo
libro, è che nell’arte occidentale abbiamo due problemi: uno è il
realismo, il principio del testimone oculare, che si avvicina sempre più
all’illusione della realtà; l’altro è la composizione. Nell’arte medioevale
c’è un meraviglioso equilibrio della composizione, ma esso conduce alla
distorsione dei contorni. Ciò che accadde nel Rinascimento per un breve
momento fu che in effetti nella Scuola di Atene di Raffaello e in altre
cose si ha una completa illusione dello spazio, un completo testimone
oculare in linea di principio, ma anche un meraviglioso equilibrio dei
volumi, decorazioni e ornamenti se si vuole, ed è questo ciò che io
intendo con armonia raggiunta (Gombrich, 1988).
In particolare, il modo di guardare alla realtà proprio della prospettiva consiste
in una «rappresentazione secondo ragione dello spazio» (Argan, 2002: 81). Dal punto di
vista tecnico, la prospettiva riduce le infinite visioni delle realtà a un unico punto di
vista finito: idealmente è quello frontale, che «pone come contrapposti, ma paralleli, il
soggetto e l’oggetto» (ivi p. 82). Così, la realtà, che è per definizione infinita, con la
prospettiva viene ridotta all’unità e all’ordine. Nella riduzione all’unità di tutti i
possibili modi di visione sta proprio l’originalità della prospettiva quattrocentesca
rispetto, ad esempio, a quella medievale definita scienza ottica, secondo la quale ci
sono tante prospettive quante le condizioni del vedere.
Corollario della prospettiva è la teoria delle proporzioni, in base alla quale le
cose vengono intese come in relazioni proporzionali le une con le altre, sul modello del
corpo umano come perfezione di misure ed equilibri. Anche in ciò il Rinascimento si
distacca dalla rappresentazione spaziale medievale, che oscillava tra il troppo grande
(le moli delle immense cattedrali) e il troppo piccolo (le decorazioni miniate).
FILIPPO BRUNELLESCHI (1377-1446), come si sa, è l’artefice di quella che Argan
definisce «la più ardua ed audace impresa del secolo»: la costruzione della cupola del
Duomo di Firenze (Santa Maria del Fiore). Essa presentava un problema tecnico:
durante la costruzione, la cupola andava sorretta da cèntine (armature di legno), ma
date le dimensioni dell’edificio esse sarebbero dovute essere troppo grandi e al tempo
non si disponeva di maestranze adeguate per realizzarle. La trovata di Brunelleschi
3
consisté in una cupola che invece di essere
sostenuta, si auto-sosteneva man mano che veniva
costruita, e ciò grazie al calcolo di un giusto
equilibrio interno tra le forze in atto. Non a caso
tale impresa fece guadagnare a Brunelleschi la
stima di un grande teorico e architetto come Leon
Battista Alberti, che gli dedicò il suo trattato:
Chi mai sì duro e sì invido non lodasse
Pippo [Filippo Brunelleschi] architetto
vedendo qui struttura sì grande, erta sopra
e’ cieli, ampla da coprire con sua ombra
tutti e’ popoli toscani, fatta sanza alcuno
aiuto di travamenti o di copia di legname,
quale artificio certo, se io ben iudico, come a
questi tempi era incredibile potersi, così
forse appresso gli antichi fu non saputo né
conosciuto? (Leon Battista Alberi, Prologo al
De pictura, cit. in Cricco & Di Teodoro, 1996: B21)
Ma l’innovazione introdotta da Brunelleschi andò
ben oltre la sua portata iniziale: l’arte ha infatti un suo
peculiare modo di auto-contaminarsi come un virus, per
cui ogni novità trascolora facilmente da una forma
artistica a un’altra. E’ ciò che accade in questo caso tra
architettura e pittura: come afferma Gombrich (2006:
229), infatti, Brunelleschi ha avuto il merito di aver
«fornito agli artisti i mezzi matematici» per rendere
l’illusione di profondità in pittura. Spetta a MASACCIO
(1401-1428) il primato di aver applicato tali norme in
ambito pittorico nella sua Santissima Trinità con la
Vergine, san Giovanni e i donatori (1425-28 ca). A
riprova della portata rivoluzionaria e profondamente
moderna di tale opera, Gombrich sottolinea giustamente
quanto grande dovette essere
lo stupore dei fiorentini quando, rimosso il velo, apparve questa pittura
che pareva aver scavato un buco nel muro per mostrare al di là una
4
nuova cappella sepolcrale, costruita secondo il moderno stile di
Brunelleschi (Gombrich, 2006: 229).
Un’altra contaminazione del genere la si può
riscontrare nell’opera di PAOLO UCCELLO (1397-1475),
che fu ossessionato dai rapporti matematici, come
emerge ad esempio dall’osservazione di un’opera
prospetticamente rigorosa quale La battaglia di San
Romano (1438-1440 ca), Vedasi nella fattispecie il
particolare del guerriero caduto: come fa notare
Gombrich (2006: 255), «mai una figura consimile era
stata precedentemente dipinta, e per quanto sia
troppo piccola in rapporto alle altre, è facile
immaginare l’impressione che suscitò». Non solo le
forme e le tonalità quasi “fiabesche” delle sue opere
lo collocano tra i «personaggi più moderni e controcorrente di tutta la storia dell’arte
del Quattrocento italiano», ma Uccello ripensa anche l’uso della prospettiva, che non è
più solo comprensione razionale dello spazio, ma diventa un mezzo per esplorare
dimensioni nascoste e misteriose della fantasia (Cricco & Di Teodoro, 1996: A51).
Dalla contaminazione prospettica
non è esente neanche la scultura. Si
prenda ad esempio Il banchetto di Erode di
DONATELLO (1386-1466), che rappresenta
la scena in cui Salomè riceve in dono da
Erode la testa di San Giovanni Battista
come ricompensa della sua danza. La
scena ha una costruzione prospettica
rigorosissima che conferisce grande
realismo alla rappresentazione, tra l’altro
con un effetto di caos e dinamismo del
tutto inediti.
A mettere nero su bianco tutte queste innovazioni pensò LEON BATTISTA
ALBERTI (1404-1472) con i suoi trattati su pittura, scultura e architettura che
compongono una vera e propria teoria dell’arte (1435 ca), la prima dell’Età moderna.
Paolo Uccello, Battaglia di S. Romano,
dettaglio: soldato caduto.
5
Tale trattato (come abbiamo accennato, dedicato non a caso all’amico Brunelleschi)
aveva l’unico decifit di mancare di illustrazioni; lacuna colmata nel 1475 da PIERO
DELLA FRANCESCA (1444-1464), col suo trattato di prospettiva interamente illustrato.
Alla fine del secolo, poi, la teoria della prospettiva si arricchì di un nuovo capitolo con
la prospettiva aerea di LEONARDO DA VINCI (1452-1519), che consisteva nel «tener conto
anche delle molteplici variazioni di colore e di forma
delle cose vedute causate dalla presenza
dell’atmosfera» (Cricco & Di Teodoro, 1996: 290).
Tu sai che in simile aria l’ultime cose viste in
quella, come sono le montagne, per la gran
quantità dell’aria che si trova infra l’occhio tuo
e la montagna, quella pare azzurra, quasi del
colore dell’aria quando il sole è per levante
(Leonardo Da Vinci, ibidem).
Come afferma Argan (2002: 107), «c’è un umanesimo
fiammingo come c’è un umanesimo toscano e presto tra questi
due mondi si stabilirà un rapporto dialettico». A operare al
Nord quella che Gombrich definisce la «conquista della realtà»
fu senz’altro JAN VAN EYCK (1390?-1441): la sua arte infatti
esemplifica bene la via fiamminga per la costruzione spaziale.
La sua opera principale può essere considerata il
Polittico di Gand (1432). Le ante interne rappresentano in alto
la Trinità con Dio Padre, la Vergine e San Giovanni Battista, e
in basso l’Adorazione dell’Agnello che simboleggia Cristo. Le
ante esterne invece mostrano nella parte superiore
l’Annunciazione, e in basso ai lati le
figure dei due coniugi donatori
affiancati dalle statue di Giovanni
Battista e Giovanni Evangelista. Ciò che più conta, comunque,
è l’approccio di van Eyck alla scena sacra, che è quanto mai
concreto, e ciò emerge quasi con violenza dalla
rappresentazione di Adamo ed Eva, la cui nudità, mal celata
dalle foglie di fico, dovette scandalizzare non poco taluni
Leonardo da Vinci, Vergine delle Rocce, dettaglio:
paesaggio sfumato.
Jan van Eyck, Polittico di Gand,
dettaglio: Fontana della Vita.
Jan van Eyck, Polittico di Gand,
Adamo ed Eva.
6
osservatori dell’epoca. In generale, l’opera è un tripudio di particolari quanto mai
minuziosi e realistici, che testimoniano la grande maestria e pazienza dell’artista.
La cura del dettaglio è una costante dell’arte di van Eyck (vedasi ad esempio I
coniungi Arnolfini) e in generale è una sorta di marchio di fabbrica dei pittori
fiamminghi: proprio in questa resa quasi morbosa dei particolari sta la cifra stilistica
che distingue la pittura fiamminga da quella italiana. I nostri artisti, infatti,
iniziavano da un’intelaiatura di linee prospettiche che fungevano da contenitore entro
cui collocare gli oggetti. Piero della Francesca, nel suo trattato De prospectiva
pingendi, rende conto esplicitamente di questo metodo:
[La prospettiva] contiene in sé cinque parti: la prima è il vedere, cioè
l’occhio, seconda la forma della cosa veduta, la terza è la distanzia
dell’occhio alla cosa, la quarta le linee che se partano dalle estremità
della cosa all’occhio, la quinta è il termine che è intra l’occhio et la cosa
veduta, dove intendiamo le cose ponere [corsivo nostro] (cit. in Cricco &
Di Teodoro, 1996: B21).
Come sottolinea anche McLuhan, quella dello spazio come “contenitore”
costituisce la grande svolta del Rinascimento (e qui gli artisti italiani detengono il
primato) rispetto al Medioevo, infatti:
Nel mondo a bassa definizione della xilografia medievale ogni oggetto si
creava il proprio spazio e non esisteva uno spazio razionale e comune
nel quale esso dovesse inserirsi. Man mano che si intensifica
l’impressione retinale, gli oggetti cessano di aderire a uno spazio di loro
creazione e vengono invece «contenuti» in uno spazio continuo, uniforme
e «razionale» (McLuhan, 2008: 156 s.).
Viceversa, per i fiamminghi erano gli oggetti stessi a costruire lo spazio; ed è
dalla graduale e paziente addizione dei dettagli che viene fuori la rappresentazione
della realtà che sia la più scientifica e fedele possibile.
Se l’artista fiorentino o toscano riusciva a rendere la realtà attraverso la
costruzione di una griglia prospettica e lo studio scientifico
dell’anatomia umana, il fiammingo la svelava e la rivelava dopo averla
osservata con l’occhio del detective, quasi sottoponendola ad una
indagine microscopica (Cricco & Di Teodoro, 1996: 356).
Gombrich riassume bene tale differenziazione di metodi:
Ogni opera che eccelle nella rappresentazione della bellezza esteriore
degli oggetti, dei fiori, dei gioielli o dei tessuti sarà di un artista nordico,
e più probabilmente di un artista dei Paesi Bassi; mentre una pittura
7
dai contorni arditi, dalla prospettiva chiara e dalla sicura conoscenza
del mirabile corpo umano sarà italiana (p. 240).
E’ proprio in Piero della Francesca che la via
italiana incontra quella fiamminga, realizzando un felice
connubio tra rigore prospettico e dovizia di particolari.
Come afferma Argan (2002: 137):
Se Piero, anche con la sua scienza matematica,
sviluppa tutte le possibilità proporzionali, può
estendere quasi illimitatamente gli estremi delle
scale dei valori: verso l’infinitamente grande […] e
verso l’infinitamente piccolo.
Ciò emerge chiaramente da un’opera come Il battesimo di Cristo (1440 ca), dove
alla figura di Cristo che campeggia
in primo piano si contrappone in
lontananza lo scorcio della città di
Sansepolcro (patria di Piero),
rappresentata nei minimi dettagli.
Il problema che si pone Piero è di
«ridurre al proprio sistema
proporzionale il modo fiammingo di
“presa diretta” della realtà» (ivi, p.
138). Nell’opera sopracitata, la
chiave dell’equilibrio tra micro e
macro sta nell’albero, che divide in
2/3 l’intera composizione e inoltre
richiama nella forma a colonna (ma
anche nel colore) i corpi delle
figure. In ogni opera, infatti, Piero
Della Francesca risolve ed equilibra
la composizione prospettica
inserendovi un elemento mediano,
Piero della Francesca, Battesimo di Cristo,
dettaglio: Borgo di Sansepolcro.
8
che costituisce appunto la «media proporzionale» tra gli altri elementi (Argan, 2003:
137). Si può quindi affermare che egli abbia interpretato nella maniera più riuscita
l’assunto per cui la prospettiva coniuga l’uno col tutto, il finito con l’infinito.
Erede artistico del metodo “ibrido” di
Piero della Francesca è senz’altro ANTONELLO
DA MESSINA (ca 1430-1479), che combina «le
tecniche prospettiche […] con la cura
meticolosa dei particolari di origine fiamminga»
(Cricco & Di Teodoro, 1996: 356). Basti
osservare San Gerolamo nello studio: dagli
oggetti che occupano lo studio agli animali che
lo popolano, agli elementi architettonici alle
linee del pavimento che corrono verso il punto
di fuga, «è un continuo intersecarsi di minuterie
fiamminghe e spazialità prospettica italiana»
(ivi, p. 357). Una composizione tale che sembra
che lo spazio possa esistere solo in presenza di
tutti quegli elementi e che, diversamente, non possa essere concepito uno spazio
meramente vuoto. Nell’Annunciata di Palermo (1475), poi, spazio teorico e spazio
empirico si incontrano nella forma del
triangolo che, oltre a catalizzare una luce
insieme naturale e divina sulla figura della
Vergine, costruisce geometricamente la sua
sagoma tramite l’elemento del velo blu
cobalto, dal quale emerge un dolce volto di
donna meridionale; il leggìo posto quasi a
proteggerla e la sua mano protesa verso
l’osservatore, inoltre, misurano lo spazio
aggiungendo grande profondità alla
rappresentazione, sia da un punto di vista
compositivo che semantico: la posizione di ¾,
tipica della ritrattistica di Antonello, infatti, a
differenza del tradizionale taglio di profilo,
9
conferisce ai suoi volti un’aria viva ed enigmatica.
L’artista come testimone oculare della realtà è dunque una presenza fissa sia
nel panorama italiano che in quello nordico. Tornando a van Eyck, nei Coniugi
Arnolfini, in particolare, si può dire che la rappresentazione sia stata condotta quasi
con occhio fotografico:
Un angolo qualsiasi del mondo reale è stato
colto istantaneamente su un pannello come
per magia. […] E’ come se facessimo visita
agli Arnolfini a casa loro. […] Il maestro [ha]
messo il proprio nome in un punto
importante del quadro, con le parole latine
Johannes de Eyck fuit hic (Jan van Eyck fu
qui). Nello specchio in fondo alla camera
vediamo tutta la scena riflessa a rovescio e lì
pare si possa scorgere anche l’immagine del
pittore e i testimoni. […] Per la prima volta
nella storia, l’artista diventa un perfetto
testimone oculare nel senso più vero del
termine (Gombrich, 2006: 243).
A proposito di tale dovizia di
particolari, a van Eyck si deve
un’altra grande conquista del
Rinascimento: l’invenzione della
pittura ad olio. Come avvisa
Gombrich (2006: 240), «la sua non
fu un’assoluta novità come [non lo
fu neanche] la scoperta della
prospettiva»; tuttavia, quel che
conta è che egli inventò una
variante per la preparazione dei
colori, che gli artisti ricavavano
dalla macerazione di minerali e da
estratti di piante: come collante,
però, fino ad allora si era usato
l’uovo, che aveva lo svantaggio di
Jan van Eyck, I coniugi Arnolfini, dettaglio.
10
seccare velocemente (pittura a tempera); van Eyck pensò di sostituirlo con l’olio: grazie
a questa nuova tecnica era possibile infatti dedicarsi pazientemente alla stesura di più
livelli di colore (velature) e all’aggiunta di dettagli con un pennello sottilissimo. Senza
questa invenzione i quadri di Van Eyck, e non solo i suoi, non avrebbero mai potuto
raggiungere un tale grado di brillantezza ed esattezza.
C’è un altro pittore, fiammingo come van Eyck, che ha fatto questa operazione
di “fotografia della realtà”, al punto che anch’egli avrebbe potuto inscrivere nella sua
opera “Io ero presente”: si tratta dell’olandese HIERONYMUS BOSCH. Ma la realtà alla
quale egli diede un’attenta occhiata non è una tenera scena coniugale. In un certo
senso, egli fece in pittura ciò che Dante Alighieri realizzò in letteratura: un viaggio,
lucido e allucinante, tra Paradiso, Purgatorio, e Inferno.
11
11
iieerroonnyymmuuss BBoosscchh::
qquueessttoo iilllluussttrree ssccoonnoosscciiuuttoo
Nella città olandese di Hertogenbosch (Bosco Ducale) viveva un
pittore che venne poi chiamato Hieronymus Bosch...
ERNST H. GOMBRICH
La storia dell’arte
La biografia di HIERONYMUS BOSCH è per più
della metà leggenda. Poco infatti si sa della sua
vita, a cominciare dalla sua data di nascita che
rimane dubbia (forse 2 ottobre 1453). Il suo vero
nome era Jeroen Anthoniszoon van Aken, e il suo
pseudonimo lo derivò dalla sua città natale,
s’Hertogenbosch, situata nel sud degli odierni
Paesi Bassi e allora possedimento dei duchi di
Borgogna. Egli era figlio d’arte (il nonno, gli zii,
suo padre e i suoi fratelli erano pittori) ed è
presumibile che la sua prima formazione artistica
ebbe luogo proprio nella bottega di famiglia, dove
si producevano opere pittoriche, scultoree e arredi
di tema sacro. Gombrich (2006: 356) riferisce che
Bosch divenne maestro autonomo nel 1488
(dunque ipoteticamente all’età di 35 anni); ad
ogni modo, i suoi esordi pittorici vengono datati
intorno al 1470 e dunque la sua carriera fu
longeva (circa un quarantennio) dato che si
protrasse fino alla sua morte (1516). Non si hanno
notizie certe neanche circa i suoi viaggi, salvo per uno in Italia (a Venezia) che sarebbe
avvenuto intorno ai primi del Cinquecento, come testimonia la presenza di alcune sue
opere al Palazzo Ducale della città lagunare.
A dispetto di quanto si possa desumere dalle immagini bizzarre rappresentate
nelle sue opere (o forse proprio a ragione di ciò), Bosch era molto religioso: una notizia
certa è infatti quella della sua appartenenza alla Confraternita di Nostra Signora,
impegnata nel culto della Vergine e nella lotta alla corruzione del clero (Cricco & Di
Teodoro, 1996: A66).
Ritratto di Hieronymus Bosch
Attribuito a Jacques Le Boucq (1550 ca)
12
22
ll GGiiaarrddiinnoo ddeellllee DDeelliizziiee
Le vicissitudini di quest’opera sono varie e si inseriscono nel contesto delle vicende
politiche tra Spagna e Paesi Bassi.
In origine (primi del Cinquecento) essa sarebbe stata una commissione di Enrico
III di Nassau, che pare facesse a gara con l’amico Filippo I (detto “il Bello”) per
accaparrarsi le opere di Bosch, essendo entrambi grandi estimatori dell’artista
fiammingo. Finché fu nelle mani di Enrico III, il trittico fu esposto al Palazzo dei Conti
della Casa di Nassau a Bruxelles, dove poteva godere quotidianamente degli sguardi
curiosi di un via-vai di personaggi molto influenti e di prestigio.
Alla morte di Enrico, l’opera fu ereditata dal figlio Guglielmo (fondatore della
casa d’Orange-Nassau e comandante della rivolta olandese contro l'Impero spagnolo
alla fine del XV secolo).
Da qui in poi il destino dell’opera di Bosch si intreccia con le turbolente vicende
politiche e belliche sotto il regno di Filippo II d’Asburgo. Infatti, nel 1568 l’opera venne
confiscata a Guglielmo d’Orange dal Duca d’Alba che la portò in Spagna dove la lasciò
in eredità al figlio don Fernando di Toledo.
Alla sua morte (1591), se l’aggiudicò all’asta il sovrano in persona, Filippo II,
che dopo due anni la trasferì Monastero dell’Escorial.
E lì rimase fino al lontano 1939, quando trovò la sua dimora definitiva al Museo
del Prado di Madrid, insieme ad altre opere di Bosch.
In particolare, nel
2009 il Prado ha
selezionato l’opera come
una delle più importanti
della sua pinacoteca,
rendendola virtualmente
visitabile su Google
Earth con una
risoluzione di ben 14
gigapixel1.
1 http://www.google.it/press/pressrel/20090113_prado.html.
13
HieronymusBosch,IlGiardinodelleDelizie,1480-90ca,trittico,oliosutavola,m2,20x3,89,Madrid,MuseodelPrado.
14
ll PPaarraaddiissoo tteerrrreessttrree
Oggi quest’opera può apparirci in qualche modo familiare, affascinante,
sinistra… stranamente moderna. L’arte rinascimentale è moderna perché
riflette il principio del libero pensare.
L’artista medievale era responsabile solo dell’esecuzione perché i
contenuti e perfino i temi di immagine gli erano dati; ora l’artista
deve trovarli e definirli, cioè non opera più secondo direttive
ideologiche imposte da un’autorità superiore o da una tradizione
consacrata, ma determina in modo autonomo l’orientamento
ideologico e culturale del proprio lavoro. L’arte non è più
un’attività manuale o mechanica, sia pure d’alto livello, ma
intellettuale e liberalis (Argan, 2002: 79).
Bosch interpreta questo principio forse più liberamente di tutti i suoi
coevi.
A dispetto di quanto si possa pensare osservando il Giardino delle Delizie,
al tempo Bosch era famoso per opere di tema sacro, anche se le sue
interpretazioni non sono mai convenzionali.
Nell’Adorazione dei Magi (1485-1500 ca) la scena sembra svolgersi
secondo l’iconografia tradizionale. Nel pannello centrale il perno della
raffigurazione è la figura monumentale della Vergine col Bambino in braccio;
Baldassarre, il più
vecchio, è
genuflesso e ha
posto ai piedi della
Madonna il suo
dono: una scultura
in oro
rappresentante il
Sacrificio di Isacco
e che schiaccia dei
rospi, simbolo
d’eresia; seguono
Melchiorre e il
Moro Gaspare, il
cui colorito bruno è
messo in risalto
dalla veste bianca.
15
Nei pannelli laterali figurano entrambi i
donatori presentati l’uno da San Pietro e l’altra
da Sant’Agata; sullo sfondo c’è un paesaggio
arioso sovrastato da un cielo terso: le tonalità
azzurrine che si perdono all’orizzonte ricordano
molto lo sfumato leonardesco (non a caso pare
risalga a questo periodo il soggiorno di Bosch a
Venezia).
Tutto questo
all’apparenza.
Ma a ben
guardare, ci sono alcuni dettagli che danno un tocco
sinistro all’opera: non solo le scene di combattimento
nella pannello centrale e l’assalto di un viandante da
parte di una fiera nella pannello a sinistra, ma
anche e soprattutto l’atteggiamento da voyeur dei
pastori arrampicati sulla capanna per osservare la
scena (un particolare ricorrente dell’iconografia, ma
che qui si arricchisce di un accanimento quasi
morboso) e infine la figura seminuda che fa capolino
dalla soglia della capanna, un personaggio
enigmatico sul quale sono state costruite tante
ipotesi: potrebbe trattarsi della prefigurazione della
passione di Cristo (per via della corona di spine e
della ferita alla caviglia destra) o addirittura di
Cristo colpito dalla lebbra e trasformato in
Anticristo (si veda il bizzarro sorriso sornione sul
volto del personaggio). Al di là delle varie
interpretazioni, è indubbio che questi dettagli
donano un ché di inquietante alla scena,
contrastandone l’impressione onirica di favola.
Sacro e profano, divino e demoniaco, fiabesco
e sinistro: sono il binomio ricorrente di tutta l’opera
di Bosch, il suo marchio di fabbrica.
Nel Trittico del carro di fieno (1516 ca, anno
della morte dell’artista), in particolare, una luce
soffusa e tonalità pastello unificano la
rappresentazione abbracciando elementi tra loro
contrastanti: nel pannello centrale, in alto, l’epifania
di Cristo e, sotto lo sguardo serafico del Salvatore,
scene di un’umanità violenta e brutale.
H.Bosch, Adorazione dei Magi, dettaglio:
pastore-voyeur.
H. Bosch, Adorazione dei Magi,
dettaglio: personaggio misterioso.
H. Bosch, Trittico del Carro di fieno,
dettaglio: Cristo.
16
H. Bosch, Trittico del Carro di fieno, dettaglio sezione centrale: umanità violenta.
Il motivo centrale
dell’opera è ispirato infatti a
un proverbio fiammingo
sull’avidità, che recita: «Il
mondo è come un carro di
fieno, ciascuno ne arraffa
quel che può». Ai piedi del
carro infatti uomini e donne
si affannano nel tentativo di
conquistarsi un po’ del
bramato fieno, mentre
tutt’intorno imperversano
violenza ed ira. Sulla
sommità del carro stanno
dei contadini che
amoreggiano, suonano e
cantano, alla presenza di un
angelo, a sinistra, e di un
demone azzurro, a destra.
Nessuno si cura dello
sguardo scrutatore di Cristo;
anzi, il carro e il suo folle
corteo vengono
inesorabilmente trascinati
da demoni verso destra, cioè
H. Bosch, Trittico del Carro di fieno,
pannello di sinistra, Paradiso.
H. Bosch, Trittico del Carro di fieno,
pannello di destra, Inferno.
17
verso l’Inferno, rappresentato appunto nel pannello laterale. Quanto al pannello
di sinistra, esso ritrae quattro scene: la cacciata degli angeli ribelli, che cadendo
sulla terra si trasformano in insetti e rospi (simboli d’eresia, come abbiamo
accennato); la creazione di Eva dalla costola di Adamo; il Peccato Originale col
serpente dalla testa di donna; la cacciata dei progenitori dal Paradiso terrestre.
Paradiso terrestre a sinistra, l’umanità ritratta nei suoi vizi al centro, e il
destino finale all’Inferno a destra: questa la tripartizione dell’opera.
Il Trittico del Giardino delle Delizie presenta la medesima suddivisione,
ma con una ricchezza di simboli che colpisce per quantità sia di dettagli che di
significati.
A un’occhiata superficiale, abbiamo: a sinistra il Paradiso terrestre, al
centro il cosiddetto “Giardino delle Delizie”, e a destra l’Inferno. Già nella
rappresentazione del Paradiso, però, si notano elementi che escono fuori dalla
tradizione iconografica del tempo: qui infatti non troviamo la creazione di Eva
dalla costola di Adamo, né la cacciata dei progenitori dal Giardino dell’Eden.
H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie,
pannello di sinistra, Paradiso.
H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie,
pannello di destra, Inferno.
18
Cominciando dal basso, lì si sta
consumando una lotta tra bestie
mitologiche e ibride: alcune stanno
isolate, altre sembrano giocare, altre
ancora vengono divorate. Il campo di
battaglia “in piccolo” arriva sino al
limitare dei piedi di Adamo: il Primo
Uomo sta seduto con le gambe
distese; sul suo volto, un’espressione
d’attesa, ma che trasmette anche ingenuità o forse stupidità; con timidezza i
suoi piedi sfiorano il mantello di
Dio (che qui ha le fattezze di
Gesù). Eva, invece, è come
languidamente abbandonata alla
stretta del Creatore, che la tiene
saldamente per mano, come a
sorreggerla: infatti le ginocchia
della Prima Donna sono
leggermente piegate, a sostenere
appena il peso del corpo sinuoso;
tale posizione sembra quasi un
invito sensuale della donna
all’uomo, l’offerta del proprio
corpo per dare origine
all’umanità: da qui l’espressione stupefatta di Adamo, appena risvegliato dopo
che Dio ha creato Eva dalla sua costola. Non è stato escluso che lo sguardo del
Primo Uomo possa tradire anche attesa e brama di possedere Eva, come se il
peccato sia insito già nel solo contatto visivo con la donna e ancor prima di
mangiare il frutto proibito.
Nel paesaggio sopra il trio di figure,
campeggiano ancora animali, alcuni fantastici
(unicorni), altri esotici come la giraffa e l’elefante (il
ché ha offerto ai critici ragioni per post-datare l’opera
dopo la scoperta dell’America), che insieme agli
elementi della natura richiamano forme altre, come
in una rappresentazione surrealista. Anche lì
continua la loro piccola lotta per la sopravvivenza:
alcuni perseguitano, altri sono perseguitati, altri
ancora rimangono incuranti di ciò che avviene
attorno a loro. Un fatto è palese: non c’è alcuna
armonia tra le specie. Nel Paradiso terrestre pericoli
e crudeltà sembrano regnare indisturbati.
H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio Paradiso:
creature mitologiche e ibride.
H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio Paradiso:
Adamo, Dio/Gesù ed Eva.
H. Bosch, Trittico del Giardino delle
delizie, dettaglio Paradiso: roccia
antropomorfa e creature fantastiche.
19
’’uummaanniittàà ttrraa ppeeccccaattoo ee lliicceennzzaa
La lotta bestiale che minaccia l’armonia del
Paradiso dilaga fino al pannello centrale,
dove l’umanità folleggia. Un vizio, in
particolare, domina la scena, richiamando
tutti gli altri: la gola. Ovunque, uomini e
donne si cibano famelicamente di frutti
proibiti che richiamano in qualche modo la
lussuria: frutti succosi e sanguigni come
fragole e lamponi. Tanti Adamo ed Eva
perpetuano insaziabilmente il Peccato
originale; non solo, vengono anche imboccati
dalle bestie: in questo modo uomini e animali
assurgono allo stesso rango, quello bestiale, posti così dall’autore sullo stesso
piano.
Ma qui l’ordine naturale delle cose è stravolto, sia nelle gerarchie che
nelle proporzioni: animali e uomini hanno le stesse dimensioni, siano gli uccelli
ingigantiti a misura umana o viceversa gli uomini rimpiccioliti come fossero
abitanti della Lilliput dei Viaggi di Gulliver.
H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio sezione centrale: animali e uomini nella stessa misura.
“Capovolgimento” è proprio la parola chiave per spiegare l’arte di Bosch.
Essa si esplica tramite due direttrici: 1) realismo dei corpi e della natura; 2)
comune senso capovolto. Vediamo di esemplificare.
In quanto pittore fiammingo, Bosch non si sottrae alla tendenza
principale di tale corrente artistica, ovvero la visione microscopica della natura
descritta con un tocco pittorico di estrema brillantezza. Un solo frammento può
H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie,
dettaglio sezione centrale: uomini-uccello.
20
valere a rendere visivamente l’idea di ciò: la fontana
tratta dal Polittico di Gand di Jan van Eyck.
Nell’iconografia cristiana, si tratta della Fontana della
Vita, che sgorga in zampilli inesauribili, come recita il
passo biblico:
Chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più
sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui
sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna
(Giovanni, 4:14).
Bosch riprende il motivo della fontana e lo inserisce
nella sua opera, ma con connotati ben diversi: le
costruzioni sono stravaganti per forma e colore; inoltre, il
contesto in cui sono inserite sembra rimandare più al loro
significato profano che a quello sacro.
Al centro del pannello del
“Giardino delle Delizie”, infatti, si
volge quella che è stata definita la
«cavalcata della libidine attorno
alla fontana della giovinezza» e in
questo caso la fontana sarebbe non
quella della Vita ma quella
dell’«adulterio»2, come dimostrano i
corpi nudi che giocano e si
arrampicano su di essa. Il pannello
centrale è dominato infatti dal
motivo del piacere e della
sensualità, che sia espresso come
degustazione di frutti proibiti o più
esplicitamente come esperienza
erotica in senso stretto. Tra l’altro,
il tema erotico è declinato molto liberamente, comprendendo anche
l’omosessualità e zoofilia. L’atteggiamento
di questa umanità sembra quello tipico
dell’adolescente che scopre il proprio corpo
in un misto di malizia e innocenza.
Si noti inoltre che non vi sono
bambini: l’umanità è immortalata nella sua
fase adulta; eppure, tutto in questo mondo
fantastico sembra in continua crescita e
rigoglio, al punto che frutti e fiori sbocciano
2 Wikipedia → “Trittico del Giardino delle delizie”
(http://it.wikipedia.org/wiki/Trittico_del_Giardino_delle_delizie).
Jan van Eyck, Polittico di Gand,
pannello centrale: Fontana
della Vita.
H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio
sezione centrale: fiori sbocciano dai corpi.
H.Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio sezione
centrale: la “cavalcata della libidine” e la “Fontana della
giovinezza”.
21
e fuoriescono dai corpi stessi. Inoltre, ci sono molte creature ibride e
stravaganti: umano, animale e vegetale sono un tutt’uno nella grande giostra
della vita. Ma non c’è un ordine naturale o morale nel mondo immaginato da
Bosch; piuttosto, l’unico principio
unificatore rintracciabile è quello visuale,
ovvero il realismo: uomo e bestia, divino e
terreno sono rappresentati con la stessa
intensità di dettagli e resi in una bellezza
sconcertante.
E’ in questa commistione di
realismo e capovolgimento di senso che
risiede l’attrazione che quest’opera riesce
ad esercitare su di noi. L’intensità di
dettagli ci ammalia; il contesto inedito
entro cui sono inseriti ci spiazza.
Di cosa tratta allora il Giardino
delle Delizie?
Il sostrato è certamente religioso: non bisogna dimenticare l’iconografia
precedente a Bosch e soprattutto il fatto che la sua famiglia era famosa per la
realizzazione di opere sacre; non per ultimo, Bosch stesso era religioso, come
dimostra la sua militanza attiva nella Confraternita di Nostra Signora.
Il punto, però, è che Bosch reinterpreta il tema religioso attraverso
l’invenzione di simboli nuovi e potremmo dire “disturbanti”: egli infatti lavora
con i topoi religiosi rielaborandoli tramite l’uso di simboli popolari.
Uno di questi è quello della civetta,
presenza costante di tutti e tre i pannelli.
Nell’iconografia tradizionale essa è un
simbolo diabolico, l’uccello notturno
portatore di malaugurio e il compagno
fedele delle streghe. Nella mitologia greca,
invece, la civetta è associata ad Atena e
simboleggia la sapienza scaturita dalla
mente del Padre, l’intelligenza che riesce a
discernere laddove c’è solo ombra. La
civetta qui allora potrebbe essere la complice delle follie lussuriose dell’umanità,
oppure, in un totale capovolgimento di senso, il testimone impassibile della
perdizione dell’umanità che proprio a causa della sua libidine si avvia
inesorabilmente alla dannazione.
Questo è solo uno degli esempi del dualismo simbolico che permea tutta
l’opera di Bosch e a causa del quale è tutt’oggi difficile affermare se il Giardino
delle Delizie sia un’opera profondamente religiosa ed ortodossa o piuttosto se in
essa l’autore abbia celato significati addirittura eretici ed esoterici. La difficoltà
nell’interpretare la simbologia complessa dell’arte di Bosch sta nel fatto che oggi
H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio
sezione centrale.
H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio
sezione centrale: civetta.
22
la maggior parte di questi simboli sono sconosciuti a noi, dato che la loro chiave
di lettura è andata persa. Dunque l’enigma è destinato a rimanere irrisolto. Ma
è innegabile la presenza della tematica erotica nel trittico, poiché tale motivo è
universale e incrocia tutti i secoli della storia umana. Anche se non riusciamo a
decifrare appieno gli strati di simboli di quest’opera, avvertiamo comunque la
dirompenza di tale simbologia e non possiamo sottrarci al suo potere ipnotico.
I simboli di Bosch sono come il volo degli uccelli: esso trasmette
informazioni, ma noi possiamo cogliere solo la bellezza del disegno che traccia
nell’aria (Collings, 2010).
H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio Paradiso: volo degli uccelli.
23
’’IInnffeerrnnoo mmuussiiccaallee
È un popolo privo di discernimento e di senno; o, se fossero
saggi e chiaroveggenti, si occuperebbero di ciò che li aspetta.
Io nasconderò il mio volto davanti a loro e considererò
quale sarà la loro fine.
Iscrizione dai Sette peccati capitali,
Hieronymus Bosch.
Al fascino sensuale del pannello centrale
subentra l’orrore raccapricciante di quello
dell’Inferno.
Qui la reinterpretazione simbolica
dell’arte di Bosch tocca il suo apice per
fantasia e suggestività.
Le variopinte creature del Giardino si
sono trasformate in demoni e l’umanità si
trova catapultata dalle gioie carnali a un
incubo dalle tinte forti e abbacinanti.
Qui, uomini e donne pagano il fio
delle loro dissolutezze subendo la tortura
tramite arnesi inusuali: strumenti musicali.
E’ per questo motivo che questo pannello è
conosciuto con la dicitura quasi ossimorica
di “Inferno musicale”.
Nei Sette peccati capitali (1500-1525
ca), non a caso, Bosch inserisce gli
strumenti musicali nella sezione
riguardante il vizio della Lussuria: basta
fare due più due per capire come tale
motivo sia in relazione col pannello centrale
del Giardino delle Delizie dove si assiste a
un vero e proprio exploit di libidine, e quello
laterale dell’Inferno. La musica porta con sé
una carica inevitabilmente sensuale; in una
sorta di contrappasso dantesco, nell’Inferno
di Bosch l’umanità perisce sotto le sferzate
degli strumenti musicali che erano stati
complici dei suoi intrighi amorosi.
La fantasia di Bosch, così come
H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio
Inferno: strumenti musicali di tortura.
H. Bosch, I sette peccati capitali, dettaglio: Lussuria e
strumenti musicali.
24
accade per la caleidoscopica natura ritratta negli altri pannelli, qui si esplica
con altrettanta abbondanza di particolari, sebbene macabri; non vengono
risparmiati neanche i dettagli su condizioni sub-umane e turpi: il goloso vomita,
l’avaro defeca denaro, una donna superba si specchia nelle terga di un demone
verde, mentre in basso un giocatore d’azzardo viene inchiodato al tavolo da
gioco. Ognuno secondo il suo peccato e senza via di scampo dal proprio destino.
H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio Inferno: contrappasso per una donna superba.
Tutto è rovesciato nella sua variante peggiorativa: la nudità qui ha perso
ogni attrattiva sensuale per lasciar posto alla
vergogna e all’umiliazione: uomini e donne si
ritraggono cercando di coprirsi alla bell’e meglio,
rivelati i loro corpi in tutta la loro triste condizione;
gli animali non sono più innocenti compagni di giochi,
ma complici ed esecutori delle vessazioni inferte agli
uomini. Anche la natura è stravolta, priva dei suoi
colori brillanti e del suo rigoglio: nella parte superiore
del pannello, nello sfondo, si stagliano scenari di
guerra in una città in fiamme assalita da orde di
creature demoniache, il cielo è infuocato e il paesaggio è inospitale e arido.
H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio Inferno: scenari di guerra.
H. Bosch, Trittico del Giardino delle
delizie, dettaglio Inferno: suora-maiale.
25
In mezzo al caos infernale, però, una figura sembra rimanere impassibile
nella sua quasi incosciente crudeltà: ritorna la civetta, ma stavolta sotto vesti
ben più notevoli… il Principe degli Inferi, che osserva distaccato l’umanità
condotta alla propria rovina: i suoi occhi sono vacui pozzi senza fondo.
Nient’altro che un giudice incorruttibile posto lì ad adempiere a ciò che è
necessario che accada; egli divora le anime dei dannati, per poi defecarle dentro
un abisso oscuro.
H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio Inferno: il Principe degli Inferi.
Sembra risuonare il monito posto al centro dei Sette
peccati capitali, nell’iscrizione sotto la figura di Cristo:
«Attenzione, attenzione, Dio vede».
Alla luce di ciò che Bosch mostra attendere
l’umanità dopo i piaceri terreni, sembra di dover
rivalutare il pannello centrale: non più celebrazione della
libertà primordiale dell’umanità, dunque, ma
avvertimento categorico e richiamo alla retta via, prima
che sia troppo tardi.
Eppure, l’indugio dell’artista nei dettagli pare comunicare un suo
compiacimento: ancora una volta è la sfolgorante bellezza del tocco figurativo ad
incantarci e farci dimenticare per un attimo il mondo raccapricciante davanti al
quale siamo stati catapultati avendo spostato il nostro sguardo dal centro al
pannello di destra, dal Giardino delle delizie terrene all’Inferno musicale: un
meraviglioso incubo senza via d’uscita.
Dopo aver visitato l’Inferno, inoltre, un’altra scena pare acquisire un
diverso significato: si tratta della “Creazione del mondo” rappresentata nei
pannelli esterni del trittico. Qui predominano le tonalità fredde, molto
probabilmente per far poi risaltare i colori brillanti del trittico una volta aperto.
Dovrebbe trattarsi della rappresentazione del mondo all’atto della creazione: ma
è un mondo grigio, spento, una landa desolata avvolta da una nebbia spettrale;
ed è racchiuso in una sfera di vetro, come un giocattolo.
H. Bosch, I sette peccati
capitali, dettaglio: "Cave cave
deus videt".
26
H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, ante chiuse.
In assenza di luce solare, questa proviene
dall’angolo superiore sinistro, dove si apre uno
squarcio nella profonda notte primordiale. Lì, sta
sospeso tra le nubi Dio Padre: sul suo volto
imperturbabile un’espressione molto cupa e
corrucciata.
Sopra a tutto sta un’iscrizione: «IPSE DIXIT
ET FACTA SUNT. IPSE MANDAVIT ET CREATA
SUNT» (“Egli parla e tutto è fatto. Egli comanda e
tutto esiste”) che avvalora il tema della
rappresentazione, la Creazione appunto.
Eppure, più si osserva il quadro e più viene da pensare a un mondo alla
fine del mondo.
H. Bosch, Trittico del Giardino delle
delizie, ante chiuse, dettaglio: Dio Padre.
27
oonncclluussiioonnii
Parlano dell’inferno, parlano della dannazione eterna, parlano
di sant’Agostino, delle eresie, della riforma di Lutero, vanno a
frugare nella vita privata di Hieronymus, che nessuno di loro può
conoscere, riempiono centinaia di pagine con interpretazioni
gigantesche. E la psicanalisi! E l’angoscia esistenziale e il
surrealismo con quattro secoli di anticipo! […] E poi il
manicheismo immancabile. E i refoulements sessuali… i
complessi aberranti… la componente sodomitica… l’esoterismo
negromantico… Quanta fatica inutile! […] Ma se è così semplice;
così limpido! Se non è mai esistito un pittore più realista e chiaro
di lui!… Altro che fantasie, altro che incubi, altro che magia
nera… La realtà nuda e cruda che gli stava davanti… Solo che
lui era un genio che vedeva quello che nessuno, prima di lui e
dopo di lui, è stato capace di vedere. Tutto qui il suo segreto: era
uno che vedeva e ha dipinto quello che vedeva (Dino Buzzati,
Presentazione a “L’opera completa di Bosch”, Rizzoli, 1966).
Abbiamo avanzato l’ipotesi fantasiosa che Bosch abbia ritratto-raccontato il
proprio viaggio nell’Aldilà così come aveva fatto Dante nella sua Divina
Commedia.
C’è una figura, forse più enigmatica di tutte, della quale non abbiamo
ancora trattato: l’Uomo-Albero, posto nella sezione centrale dell’Inferno di
Bosch.
Uomo-Albero nell’Inferno del Giardino delle Delizie. H. Bosch, L’albero che ascolta e vede (1500 ca).
28
Su questo personaggio si è dibattuto molto, e le ipotesi sono varie. A noi
piace accogliere quella che vede in questo monstrum niente meno che un
autoritratto dello stesso Bosch. E’ curioso infatti notare che Bosch significa
“bosco”; inoltre, l’ibridazione tra natura ed elementi anatomici è una costante
dell’arte di Bosch. Si veda in particolare il disegno dell’artista, dal significativo
titolo L’albero che ascolta e vede, che guarda caso risale allo stesso periodo di
composizione del Giardino. Queste due opere sembrano essere l’una la metafora
dell’altra: mettiamole a confronto.
Se nell’Inferno il corpo
dell’Uomo-Albero ha il ventre di un
uovo e gli arti come rami, nel disegno
il corpo è il tronco di un albero; ma
esso è cavo, proprio come lo è anche
l’uovo. E’ come un invito a uno
sguardo introspettivo. Viene da
chiedersi: cosa c’è dentro l’Uomo-
Albero? Il ché, al contempo, è anche
chiedersi: cosa c’è dentro Bosch-
artista? E in ultima analisi: cosa si
annida nell’animo umano?
Dentro il ventre-uovo dell’Uomo-Albero c’è una bettola: lì uomini e donne
stanno bighellonando attorno a un desco, mentre una sorta di ostessa riempie
una brocca da un barile. Una scenetta in allineamento con il resto dei vizi
rappresentati nell’Inferno.
Ma invece cosa fa capolino dal tronco
antropomorfo nel disegno? La civetta, animale tanto
caro a Bosch; l’abbiamo definita come un simbolo a
due facce: uccello diabolico e/o portatrice di saggezza.
Ma si tratta davvero di due significati in
contrasto tra loro?
Ragioniamo: dentro all’Uomo-Albero si
nasconde la civetta, cioè si annida segretamente il
Male; al contempo, però, dimorando nel profondo, essa
può essere intesa come la coscienza grazie alla quale si
discerne il Bene dal Male.
Continuando su questa strada interpretativa,
possiamo affermare che è come se Bosch si offrisse a
noi a mo’ di libro aperto entro cui poter scrutare
liberamente.
Al contempo, però, l’Uomo-Albero è ritratto di spalle e ha la testa girata
all’indietro: il suo volto guarda oltre il quadro… cioè guarda noi.
H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio Inferno:
ventre dell'Uomo-Albero.
H. Bosch, L'albero che ascolta e
vede, dettaglio: civetta dentro al
tronco.
29
Il suo sguardo è enigmatico quanto il
sorriso della Gioconda di Leonardo, ed è
difficile catturarne il significato profondo.
Ad ogni modo, esso ci appare quieto: la
serenità (o rassegnazione?) tipica di chi ha
è giunto a una comprensione ultima; poi,
non manca una punta di ironia: il sorriso
sornione di chi, oltre ad aver compreso, ha
voluto condividere il suo segreto col resto
dell’umanità.
Ma si tratta davvero di un segreto?
O ciò che ha visto e ritratto Bosch è in
verità sotto gli occhi di tutti noi?
Allora, il suo sguardo rivolto a noi sarebbe un invito a cercare, tra i
dettagli e le stravaganze del mondo, quel segreto che ci accomuna tutti in
quanto uomini e donne.
Bosch mostrò che le tradizioni e le conquiste pittoriche, grazie
alle quali erano state create opere così profondamente concrete,
potevano essere usate per così dire a rovescio, e offrirci un
quadro ugualmente plausibile di cose mai viste da occhio umano.
[…] Per la prima e forse per l’ultima volta un artista era riuscito
a dare forma concreta e sensibile ai terrori che avevano pesato
come un incubo sull’uomo del medioevo. Fu un risultato possibile
forse soltanto nel preciso momento in cui, sopravvivendo ancora
vigorosamente le vecchie concezioni, lo spirito moderno aveva
d’altra parte provvisto l’artista dei mezzi necessari a
rappresentare ciò che vedeva (Gombrich, 2006: 356 ss.).
Bosch attinge infatti
all’iconografia tradizionale
per creare i suoi mostri, nel
senso etimologico del
termine: cioè creature
prodigiose, ma anche
aberrazioni della natura; un
po’ come gli animali parlanti
e sottilmente inquietanti del
Paese delle Meraviglie
raccontato da Lewis Carroll.
A tal proposito, il grande massmediologo McLuhan affermò:
Hieronymus Bosch, con una pittura che innestava forme
medievali in uno spazio rinascimentale, raccontò che cosa poteva
significare vivere a cavalcioni tra due mondi, l’antico e il nuovo,
H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio
Inferno: sguardo dell'Uomo-Albero.
H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio Inferno.
30
durante questa rivoluzione. Egli presentò l’immagine plastica,
tattile, di tipo tradizionale ma la collocò nella nuova e intensa
prospettiva visiva. Sovrimpose cioè l’idea medievale dello spazio
unico e discontinuo alla nuova idea dello spazio uniforme e
connesso. E lo fece con un’intensità da incubo.
Lewis Carroll portò l’Ottocento in un mondo di sogni
sorprendente quanto quello di Bosch ma basato su principi
totalmente opposti. Alice nel paese delle meraviglie presenta
come norma quello spazio e quel tempo continui che suscitarono
costernazione all’epoca del Rinascimento. Ma in questo mondo
euclideo uniforme e familiare, Carroll introdusse una fantasiosa
discontinuità di spazio e tempo che anticipava Kafka, Joyce e
Eliot. […] Con Alice nel paese delle meraviglie fornì ai vittoriani,
così sicuri di se stessi, una scherzosa anticipazione del tempo e
dello spazio einsteniani. Bosch aveva offerto alla propria epoca
un primo assaggio della nuova continuità spaziale e temporale
della prospettiva uniforme. Ma anticipava il mondo moderno con
un sentimento d’orrore […]. Lewis Carroll invece salutò l’era
elettronica con un applauso (McLuhan, 2008: 156 s.).
E’ in questa sorta di bifrontismo – immaginario tradizionale e
reinvenzione di senso – che risiede tutta la sconvolgente modernità di Bosch.
Come afferma Matthew Collings (2010), Bosch ha inventato una “foresta
di simboli” attraverso i quali interrogare il mondo e discorrere della natura
umana. Così, di fronte al Giardino delle Delizie non bisogna solo chiedersi:
“Cosa rappresenta questo quadro?”
Ma anche e soprattutto:
“Chi sono io?”
H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio pannello centrale.
31
BBiibblliiooggrraaffiiaa
ARGAN, Giulio Carlo
2002 Storia dell’Arte italiana. Vol. II. “Da Giotto a Leonardo”, Sansoni
Milano.
COLLINGS, Matthew
2010 Renaissance Revolution – The Garden of Earthly Delights, BBC
(documentario reperibile agli indirizzi:
http://www.youtube.com/watch?v=pVYbpypUmow
http://www.youtube.com/watch?v=4namAFthwD8
http://www.youtube.com/watch?v=_jLNguDyFk4).
CRICCO, Giorgio & DI TEODORO, Francesco Paolo
1996 Itinerario nell’arte. Vol. II. “Da Giotto all’età barocca”, Zanichelli
Bologna.
GOMBRICH, Ernst Hans
2006 La storia dell’arte raccontata da Ernst H. Gombrich, Mondadori
Milano.
1988 Riflessioni sulla storia dell’arte, in “Enciclopedia Multimediale
delle Scienze Filosofiche – RAI Educational” (reperibile
all’indirizzo: http://www.emsf.rai.it/interviste/interviste.asp?d=464).
MCLUHAN, Marshall
2008 Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore Milano.
32
IInnddiiccee
Introduzione. Rinascimento come arte moderna....................................................2
1. Hieronymus Bosch: questo illustre sconosciuto...............................................11
2. Il Giardino delle Delizie.....................................................................................12
Il Paradiso terrestre............................................................................................14
L’umanità tra peccato e licenza..........................................................................19
L’Inferno musicale ..............................................................................................23
Conclusioni.............................................................................................................27
Bibliografia.............................................................................................................31

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  • 2. Hieronymus Bosch […] raccontò che cosa poteva significare vivere a cavalcioni tra due mondi, l’antico e il nuovo. MARSHALL MCLUHAN Gli strumenti del comunicare
  • 3. 1 IInnttrroodduuzziioonnee iinnaasscciimmeennttoo ccoommee aarrttee mmooddeerrnnaa Quelli che s’innamorano della pratica senza la scienza, sono come nocchieri che entrano in naviglio senza timone o bussola, che mai hanno certezza dove si vadano. Sempre la pratica dev’essere edificata sopra la buona teorica, della quale la prospettiva è guida e porta, e senza questa nulla si fa bene. LEONARDO DA VINCI Trattato della pittura di Leonardo Da Vinci (cit. Cricco & Di Teodoro, 1996: B27) Noi pensiamo che il Rinascimento sia l’arte che viene prima dell’arte moderna. Infatti, se è vero che da un punto di vista storiografico l’Età moderna inizia nel 1492 con la scoperta dell’America, è pur vero che dal punto di vista artistico l’arte moderna è quella che interessa essenzialmente il XIX secolo. Ma per gli uomini e le donne di quel tempo, il Rinascimento fu l’arte moderna. Una carrellata delle conquiste di quest’epoca e dei suoi protagonisti di spicco basterà a esemplificare la portata d’innovazione di questo fecondo periodo della storia dell’ingegno umano. Innanzitutto, la scoperta della prospettiva; non già l’invenzione, poiché la prospettiva non è altro che un particolare modo di guardare alla realtà: realtà che, con le sue leggi naturali, era sempre esistita, lì sotto i nostri occhi; da tale nuovo modo di vedere le cose, poi, conseguì anche un preciso metodo. McLuhan propone (e noi l’accogliamo) la tesi che l’avvento della prospettiva sia andata a braccetto con l’invenzione (stavolta il termine è lecito) della stampa a caratteri mobili da parte di Johann Gutenberg nel 1455: Il libro stampato, estensione della facoltà visiva, ha intensificato la prospettiva e il punto di vista fisso. All’accentuazione del punto di vista e del punto di fuga che fornisce l’illusione della prospettiva s’accompagna l’illusione che lo spazio sia visivo, uniforme e continuo. La linearità, la precisione e l’uniformità della disposizione dei caratteri mobili sono inseparabili da queste grandi innovazioni culturali e dall’esperienza rinascimentale (McLuhan, 2006: 164).
  • 4. 2 A proposito dell’arte quattrocentesca, Gombrich parla di «conquista della realtà» da parte degli artisti (2006: 223) e di «armonia raggiunta»: Ad un capitolo della mia Storia dell’arte, un libro divulgativo, ho dato il titolo Armonia raggiunta, e con questa espressione intendevo qualcosa di molto specifico. Ciò che intendevo, e che inoltre spiegavo in questo libro, è che nell’arte occidentale abbiamo due problemi: uno è il realismo, il principio del testimone oculare, che si avvicina sempre più all’illusione della realtà; l’altro è la composizione. Nell’arte medioevale c’è un meraviglioso equilibrio della composizione, ma esso conduce alla distorsione dei contorni. Ciò che accadde nel Rinascimento per un breve momento fu che in effetti nella Scuola di Atene di Raffaello e in altre cose si ha una completa illusione dello spazio, un completo testimone oculare in linea di principio, ma anche un meraviglioso equilibrio dei volumi, decorazioni e ornamenti se si vuole, ed è questo ciò che io intendo con armonia raggiunta (Gombrich, 1988). In particolare, il modo di guardare alla realtà proprio della prospettiva consiste in una «rappresentazione secondo ragione dello spazio» (Argan, 2002: 81). Dal punto di vista tecnico, la prospettiva riduce le infinite visioni delle realtà a un unico punto di vista finito: idealmente è quello frontale, che «pone come contrapposti, ma paralleli, il soggetto e l’oggetto» (ivi p. 82). Così, la realtà, che è per definizione infinita, con la prospettiva viene ridotta all’unità e all’ordine. Nella riduzione all’unità di tutti i possibili modi di visione sta proprio l’originalità della prospettiva quattrocentesca rispetto, ad esempio, a quella medievale definita scienza ottica, secondo la quale ci sono tante prospettive quante le condizioni del vedere. Corollario della prospettiva è la teoria delle proporzioni, in base alla quale le cose vengono intese come in relazioni proporzionali le une con le altre, sul modello del corpo umano come perfezione di misure ed equilibri. Anche in ciò il Rinascimento si distacca dalla rappresentazione spaziale medievale, che oscillava tra il troppo grande (le moli delle immense cattedrali) e il troppo piccolo (le decorazioni miniate). FILIPPO BRUNELLESCHI (1377-1446), come si sa, è l’artefice di quella che Argan definisce «la più ardua ed audace impresa del secolo»: la costruzione della cupola del Duomo di Firenze (Santa Maria del Fiore). Essa presentava un problema tecnico: durante la costruzione, la cupola andava sorretta da cèntine (armature di legno), ma date le dimensioni dell’edificio esse sarebbero dovute essere troppo grandi e al tempo non si disponeva di maestranze adeguate per realizzarle. La trovata di Brunelleschi
  • 5. 3 consisté in una cupola che invece di essere sostenuta, si auto-sosteneva man mano che veniva costruita, e ciò grazie al calcolo di un giusto equilibrio interno tra le forze in atto. Non a caso tale impresa fece guadagnare a Brunelleschi la stima di un grande teorico e architetto come Leon Battista Alberti, che gli dedicò il suo trattato: Chi mai sì duro e sì invido non lodasse Pippo [Filippo Brunelleschi] architetto vedendo qui struttura sì grande, erta sopra e’ cieli, ampla da coprire con sua ombra tutti e’ popoli toscani, fatta sanza alcuno aiuto di travamenti o di copia di legname, quale artificio certo, se io ben iudico, come a questi tempi era incredibile potersi, così forse appresso gli antichi fu non saputo né conosciuto? (Leon Battista Alberi, Prologo al De pictura, cit. in Cricco & Di Teodoro, 1996: B21) Ma l’innovazione introdotta da Brunelleschi andò ben oltre la sua portata iniziale: l’arte ha infatti un suo peculiare modo di auto-contaminarsi come un virus, per cui ogni novità trascolora facilmente da una forma artistica a un’altra. E’ ciò che accade in questo caso tra architettura e pittura: come afferma Gombrich (2006: 229), infatti, Brunelleschi ha avuto il merito di aver «fornito agli artisti i mezzi matematici» per rendere l’illusione di profondità in pittura. Spetta a MASACCIO (1401-1428) il primato di aver applicato tali norme in ambito pittorico nella sua Santissima Trinità con la Vergine, san Giovanni e i donatori (1425-28 ca). A riprova della portata rivoluzionaria e profondamente moderna di tale opera, Gombrich sottolinea giustamente quanto grande dovette essere lo stupore dei fiorentini quando, rimosso il velo, apparve questa pittura che pareva aver scavato un buco nel muro per mostrare al di là una
  • 6. 4 nuova cappella sepolcrale, costruita secondo il moderno stile di Brunelleschi (Gombrich, 2006: 229). Un’altra contaminazione del genere la si può riscontrare nell’opera di PAOLO UCCELLO (1397-1475), che fu ossessionato dai rapporti matematici, come emerge ad esempio dall’osservazione di un’opera prospetticamente rigorosa quale La battaglia di San Romano (1438-1440 ca), Vedasi nella fattispecie il particolare del guerriero caduto: come fa notare Gombrich (2006: 255), «mai una figura consimile era stata precedentemente dipinta, e per quanto sia troppo piccola in rapporto alle altre, è facile immaginare l’impressione che suscitò». Non solo le forme e le tonalità quasi “fiabesche” delle sue opere lo collocano tra i «personaggi più moderni e controcorrente di tutta la storia dell’arte del Quattrocento italiano», ma Uccello ripensa anche l’uso della prospettiva, che non è più solo comprensione razionale dello spazio, ma diventa un mezzo per esplorare dimensioni nascoste e misteriose della fantasia (Cricco & Di Teodoro, 1996: A51). Dalla contaminazione prospettica non è esente neanche la scultura. Si prenda ad esempio Il banchetto di Erode di DONATELLO (1386-1466), che rappresenta la scena in cui Salomè riceve in dono da Erode la testa di San Giovanni Battista come ricompensa della sua danza. La scena ha una costruzione prospettica rigorosissima che conferisce grande realismo alla rappresentazione, tra l’altro con un effetto di caos e dinamismo del tutto inediti. A mettere nero su bianco tutte queste innovazioni pensò LEON BATTISTA ALBERTI (1404-1472) con i suoi trattati su pittura, scultura e architettura che compongono una vera e propria teoria dell’arte (1435 ca), la prima dell’Età moderna. Paolo Uccello, Battaglia di S. Romano, dettaglio: soldato caduto.
  • 7. 5 Tale trattato (come abbiamo accennato, dedicato non a caso all’amico Brunelleschi) aveva l’unico decifit di mancare di illustrazioni; lacuna colmata nel 1475 da PIERO DELLA FRANCESCA (1444-1464), col suo trattato di prospettiva interamente illustrato. Alla fine del secolo, poi, la teoria della prospettiva si arricchì di un nuovo capitolo con la prospettiva aerea di LEONARDO DA VINCI (1452-1519), che consisteva nel «tener conto anche delle molteplici variazioni di colore e di forma delle cose vedute causate dalla presenza dell’atmosfera» (Cricco & Di Teodoro, 1996: 290). Tu sai che in simile aria l’ultime cose viste in quella, come sono le montagne, per la gran quantità dell’aria che si trova infra l’occhio tuo e la montagna, quella pare azzurra, quasi del colore dell’aria quando il sole è per levante (Leonardo Da Vinci, ibidem). Come afferma Argan (2002: 107), «c’è un umanesimo fiammingo come c’è un umanesimo toscano e presto tra questi due mondi si stabilirà un rapporto dialettico». A operare al Nord quella che Gombrich definisce la «conquista della realtà» fu senz’altro JAN VAN EYCK (1390?-1441): la sua arte infatti esemplifica bene la via fiamminga per la costruzione spaziale. La sua opera principale può essere considerata il Polittico di Gand (1432). Le ante interne rappresentano in alto la Trinità con Dio Padre, la Vergine e San Giovanni Battista, e in basso l’Adorazione dell’Agnello che simboleggia Cristo. Le ante esterne invece mostrano nella parte superiore l’Annunciazione, e in basso ai lati le figure dei due coniugi donatori affiancati dalle statue di Giovanni Battista e Giovanni Evangelista. Ciò che più conta, comunque, è l’approccio di van Eyck alla scena sacra, che è quanto mai concreto, e ciò emerge quasi con violenza dalla rappresentazione di Adamo ed Eva, la cui nudità, mal celata dalle foglie di fico, dovette scandalizzare non poco taluni Leonardo da Vinci, Vergine delle Rocce, dettaglio: paesaggio sfumato. Jan van Eyck, Polittico di Gand, dettaglio: Fontana della Vita. Jan van Eyck, Polittico di Gand, Adamo ed Eva.
  • 8. 6 osservatori dell’epoca. In generale, l’opera è un tripudio di particolari quanto mai minuziosi e realistici, che testimoniano la grande maestria e pazienza dell’artista. La cura del dettaglio è una costante dell’arte di van Eyck (vedasi ad esempio I coniungi Arnolfini) e in generale è una sorta di marchio di fabbrica dei pittori fiamminghi: proprio in questa resa quasi morbosa dei particolari sta la cifra stilistica che distingue la pittura fiamminga da quella italiana. I nostri artisti, infatti, iniziavano da un’intelaiatura di linee prospettiche che fungevano da contenitore entro cui collocare gli oggetti. Piero della Francesca, nel suo trattato De prospectiva pingendi, rende conto esplicitamente di questo metodo: [La prospettiva] contiene in sé cinque parti: la prima è il vedere, cioè l’occhio, seconda la forma della cosa veduta, la terza è la distanzia dell’occhio alla cosa, la quarta le linee che se partano dalle estremità della cosa all’occhio, la quinta è il termine che è intra l’occhio et la cosa veduta, dove intendiamo le cose ponere [corsivo nostro] (cit. in Cricco & Di Teodoro, 1996: B21). Come sottolinea anche McLuhan, quella dello spazio come “contenitore” costituisce la grande svolta del Rinascimento (e qui gli artisti italiani detengono il primato) rispetto al Medioevo, infatti: Nel mondo a bassa definizione della xilografia medievale ogni oggetto si creava il proprio spazio e non esisteva uno spazio razionale e comune nel quale esso dovesse inserirsi. Man mano che si intensifica l’impressione retinale, gli oggetti cessano di aderire a uno spazio di loro creazione e vengono invece «contenuti» in uno spazio continuo, uniforme e «razionale» (McLuhan, 2008: 156 s.). Viceversa, per i fiamminghi erano gli oggetti stessi a costruire lo spazio; ed è dalla graduale e paziente addizione dei dettagli che viene fuori la rappresentazione della realtà che sia la più scientifica e fedele possibile. Se l’artista fiorentino o toscano riusciva a rendere la realtà attraverso la costruzione di una griglia prospettica e lo studio scientifico dell’anatomia umana, il fiammingo la svelava e la rivelava dopo averla osservata con l’occhio del detective, quasi sottoponendola ad una indagine microscopica (Cricco & Di Teodoro, 1996: 356). Gombrich riassume bene tale differenziazione di metodi: Ogni opera che eccelle nella rappresentazione della bellezza esteriore degli oggetti, dei fiori, dei gioielli o dei tessuti sarà di un artista nordico, e più probabilmente di un artista dei Paesi Bassi; mentre una pittura
  • 9. 7 dai contorni arditi, dalla prospettiva chiara e dalla sicura conoscenza del mirabile corpo umano sarà italiana (p. 240). E’ proprio in Piero della Francesca che la via italiana incontra quella fiamminga, realizzando un felice connubio tra rigore prospettico e dovizia di particolari. Come afferma Argan (2002: 137): Se Piero, anche con la sua scienza matematica, sviluppa tutte le possibilità proporzionali, può estendere quasi illimitatamente gli estremi delle scale dei valori: verso l’infinitamente grande […] e verso l’infinitamente piccolo. Ciò emerge chiaramente da un’opera come Il battesimo di Cristo (1440 ca), dove alla figura di Cristo che campeggia in primo piano si contrappone in lontananza lo scorcio della città di Sansepolcro (patria di Piero), rappresentata nei minimi dettagli. Il problema che si pone Piero è di «ridurre al proprio sistema proporzionale il modo fiammingo di “presa diretta” della realtà» (ivi, p. 138). Nell’opera sopracitata, la chiave dell’equilibrio tra micro e macro sta nell’albero, che divide in 2/3 l’intera composizione e inoltre richiama nella forma a colonna (ma anche nel colore) i corpi delle figure. In ogni opera, infatti, Piero Della Francesca risolve ed equilibra la composizione prospettica inserendovi un elemento mediano, Piero della Francesca, Battesimo di Cristo, dettaglio: Borgo di Sansepolcro.
  • 10. 8 che costituisce appunto la «media proporzionale» tra gli altri elementi (Argan, 2003: 137). Si può quindi affermare che egli abbia interpretato nella maniera più riuscita l’assunto per cui la prospettiva coniuga l’uno col tutto, il finito con l’infinito. Erede artistico del metodo “ibrido” di Piero della Francesca è senz’altro ANTONELLO DA MESSINA (ca 1430-1479), che combina «le tecniche prospettiche […] con la cura meticolosa dei particolari di origine fiamminga» (Cricco & Di Teodoro, 1996: 356). Basti osservare San Gerolamo nello studio: dagli oggetti che occupano lo studio agli animali che lo popolano, agli elementi architettonici alle linee del pavimento che corrono verso il punto di fuga, «è un continuo intersecarsi di minuterie fiamminghe e spazialità prospettica italiana» (ivi, p. 357). Una composizione tale che sembra che lo spazio possa esistere solo in presenza di tutti quegli elementi e che, diversamente, non possa essere concepito uno spazio meramente vuoto. Nell’Annunciata di Palermo (1475), poi, spazio teorico e spazio empirico si incontrano nella forma del triangolo che, oltre a catalizzare una luce insieme naturale e divina sulla figura della Vergine, costruisce geometricamente la sua sagoma tramite l’elemento del velo blu cobalto, dal quale emerge un dolce volto di donna meridionale; il leggìo posto quasi a proteggerla e la sua mano protesa verso l’osservatore, inoltre, misurano lo spazio aggiungendo grande profondità alla rappresentazione, sia da un punto di vista compositivo che semantico: la posizione di ¾, tipica della ritrattistica di Antonello, infatti, a differenza del tradizionale taglio di profilo,
  • 11. 9 conferisce ai suoi volti un’aria viva ed enigmatica. L’artista come testimone oculare della realtà è dunque una presenza fissa sia nel panorama italiano che in quello nordico. Tornando a van Eyck, nei Coniugi Arnolfini, in particolare, si può dire che la rappresentazione sia stata condotta quasi con occhio fotografico: Un angolo qualsiasi del mondo reale è stato colto istantaneamente su un pannello come per magia. […] E’ come se facessimo visita agli Arnolfini a casa loro. […] Il maestro [ha] messo il proprio nome in un punto importante del quadro, con le parole latine Johannes de Eyck fuit hic (Jan van Eyck fu qui). Nello specchio in fondo alla camera vediamo tutta la scena riflessa a rovescio e lì pare si possa scorgere anche l’immagine del pittore e i testimoni. […] Per la prima volta nella storia, l’artista diventa un perfetto testimone oculare nel senso più vero del termine (Gombrich, 2006: 243). A proposito di tale dovizia di particolari, a van Eyck si deve un’altra grande conquista del Rinascimento: l’invenzione della pittura ad olio. Come avvisa Gombrich (2006: 240), «la sua non fu un’assoluta novità come [non lo fu neanche] la scoperta della prospettiva»; tuttavia, quel che conta è che egli inventò una variante per la preparazione dei colori, che gli artisti ricavavano dalla macerazione di minerali e da estratti di piante: come collante, però, fino ad allora si era usato l’uovo, che aveva lo svantaggio di Jan van Eyck, I coniugi Arnolfini, dettaglio.
  • 12. 10 seccare velocemente (pittura a tempera); van Eyck pensò di sostituirlo con l’olio: grazie a questa nuova tecnica era possibile infatti dedicarsi pazientemente alla stesura di più livelli di colore (velature) e all’aggiunta di dettagli con un pennello sottilissimo. Senza questa invenzione i quadri di Van Eyck, e non solo i suoi, non avrebbero mai potuto raggiungere un tale grado di brillantezza ed esattezza. C’è un altro pittore, fiammingo come van Eyck, che ha fatto questa operazione di “fotografia della realtà”, al punto che anch’egli avrebbe potuto inscrivere nella sua opera “Io ero presente”: si tratta dell’olandese HIERONYMUS BOSCH. Ma la realtà alla quale egli diede un’attenta occhiata non è una tenera scena coniugale. In un certo senso, egli fece in pittura ciò che Dante Alighieri realizzò in letteratura: un viaggio, lucido e allucinante, tra Paradiso, Purgatorio, e Inferno.
  • 13. 11 11 iieerroonnyymmuuss BBoosscchh:: qquueessttoo iilllluussttrree ssccoonnoosscciiuuttoo Nella città olandese di Hertogenbosch (Bosco Ducale) viveva un pittore che venne poi chiamato Hieronymus Bosch... ERNST H. GOMBRICH La storia dell’arte La biografia di HIERONYMUS BOSCH è per più della metà leggenda. Poco infatti si sa della sua vita, a cominciare dalla sua data di nascita che rimane dubbia (forse 2 ottobre 1453). Il suo vero nome era Jeroen Anthoniszoon van Aken, e il suo pseudonimo lo derivò dalla sua città natale, s’Hertogenbosch, situata nel sud degli odierni Paesi Bassi e allora possedimento dei duchi di Borgogna. Egli era figlio d’arte (il nonno, gli zii, suo padre e i suoi fratelli erano pittori) ed è presumibile che la sua prima formazione artistica ebbe luogo proprio nella bottega di famiglia, dove si producevano opere pittoriche, scultoree e arredi di tema sacro. Gombrich (2006: 356) riferisce che Bosch divenne maestro autonomo nel 1488 (dunque ipoteticamente all’età di 35 anni); ad ogni modo, i suoi esordi pittorici vengono datati intorno al 1470 e dunque la sua carriera fu longeva (circa un quarantennio) dato che si protrasse fino alla sua morte (1516). Non si hanno notizie certe neanche circa i suoi viaggi, salvo per uno in Italia (a Venezia) che sarebbe avvenuto intorno ai primi del Cinquecento, come testimonia la presenza di alcune sue opere al Palazzo Ducale della città lagunare. A dispetto di quanto si possa desumere dalle immagini bizzarre rappresentate nelle sue opere (o forse proprio a ragione di ciò), Bosch era molto religioso: una notizia certa è infatti quella della sua appartenenza alla Confraternita di Nostra Signora, impegnata nel culto della Vergine e nella lotta alla corruzione del clero (Cricco & Di Teodoro, 1996: A66). Ritratto di Hieronymus Bosch Attribuito a Jacques Le Boucq (1550 ca)
  • 14. 12 22 ll GGiiaarrddiinnoo ddeellllee DDeelliizziiee Le vicissitudini di quest’opera sono varie e si inseriscono nel contesto delle vicende politiche tra Spagna e Paesi Bassi. In origine (primi del Cinquecento) essa sarebbe stata una commissione di Enrico III di Nassau, che pare facesse a gara con l’amico Filippo I (detto “il Bello”) per accaparrarsi le opere di Bosch, essendo entrambi grandi estimatori dell’artista fiammingo. Finché fu nelle mani di Enrico III, il trittico fu esposto al Palazzo dei Conti della Casa di Nassau a Bruxelles, dove poteva godere quotidianamente degli sguardi curiosi di un via-vai di personaggi molto influenti e di prestigio. Alla morte di Enrico, l’opera fu ereditata dal figlio Guglielmo (fondatore della casa d’Orange-Nassau e comandante della rivolta olandese contro l'Impero spagnolo alla fine del XV secolo). Da qui in poi il destino dell’opera di Bosch si intreccia con le turbolente vicende politiche e belliche sotto il regno di Filippo II d’Asburgo. Infatti, nel 1568 l’opera venne confiscata a Guglielmo d’Orange dal Duca d’Alba che la portò in Spagna dove la lasciò in eredità al figlio don Fernando di Toledo. Alla sua morte (1591), se l’aggiudicò all’asta il sovrano in persona, Filippo II, che dopo due anni la trasferì Monastero dell’Escorial. E lì rimase fino al lontano 1939, quando trovò la sua dimora definitiva al Museo del Prado di Madrid, insieme ad altre opere di Bosch. In particolare, nel 2009 il Prado ha selezionato l’opera come una delle più importanti della sua pinacoteca, rendendola virtualmente visitabile su Google Earth con una risoluzione di ben 14 gigapixel1. 1 http://www.google.it/press/pressrel/20090113_prado.html.
  • 16. 14 ll PPaarraaddiissoo tteerrrreessttrree Oggi quest’opera può apparirci in qualche modo familiare, affascinante, sinistra… stranamente moderna. L’arte rinascimentale è moderna perché riflette il principio del libero pensare. L’artista medievale era responsabile solo dell’esecuzione perché i contenuti e perfino i temi di immagine gli erano dati; ora l’artista deve trovarli e definirli, cioè non opera più secondo direttive ideologiche imposte da un’autorità superiore o da una tradizione consacrata, ma determina in modo autonomo l’orientamento ideologico e culturale del proprio lavoro. L’arte non è più un’attività manuale o mechanica, sia pure d’alto livello, ma intellettuale e liberalis (Argan, 2002: 79). Bosch interpreta questo principio forse più liberamente di tutti i suoi coevi. A dispetto di quanto si possa pensare osservando il Giardino delle Delizie, al tempo Bosch era famoso per opere di tema sacro, anche se le sue interpretazioni non sono mai convenzionali. Nell’Adorazione dei Magi (1485-1500 ca) la scena sembra svolgersi secondo l’iconografia tradizionale. Nel pannello centrale il perno della raffigurazione è la figura monumentale della Vergine col Bambino in braccio; Baldassarre, il più vecchio, è genuflesso e ha posto ai piedi della Madonna il suo dono: una scultura in oro rappresentante il Sacrificio di Isacco e che schiaccia dei rospi, simbolo d’eresia; seguono Melchiorre e il Moro Gaspare, il cui colorito bruno è messo in risalto dalla veste bianca.
  • 17. 15 Nei pannelli laterali figurano entrambi i donatori presentati l’uno da San Pietro e l’altra da Sant’Agata; sullo sfondo c’è un paesaggio arioso sovrastato da un cielo terso: le tonalità azzurrine che si perdono all’orizzonte ricordano molto lo sfumato leonardesco (non a caso pare risalga a questo periodo il soggiorno di Bosch a Venezia). Tutto questo all’apparenza. Ma a ben guardare, ci sono alcuni dettagli che danno un tocco sinistro all’opera: non solo le scene di combattimento nella pannello centrale e l’assalto di un viandante da parte di una fiera nella pannello a sinistra, ma anche e soprattutto l’atteggiamento da voyeur dei pastori arrampicati sulla capanna per osservare la scena (un particolare ricorrente dell’iconografia, ma che qui si arricchisce di un accanimento quasi morboso) e infine la figura seminuda che fa capolino dalla soglia della capanna, un personaggio enigmatico sul quale sono state costruite tante ipotesi: potrebbe trattarsi della prefigurazione della passione di Cristo (per via della corona di spine e della ferita alla caviglia destra) o addirittura di Cristo colpito dalla lebbra e trasformato in Anticristo (si veda il bizzarro sorriso sornione sul volto del personaggio). Al di là delle varie interpretazioni, è indubbio che questi dettagli donano un ché di inquietante alla scena, contrastandone l’impressione onirica di favola. Sacro e profano, divino e demoniaco, fiabesco e sinistro: sono il binomio ricorrente di tutta l’opera di Bosch, il suo marchio di fabbrica. Nel Trittico del carro di fieno (1516 ca, anno della morte dell’artista), in particolare, una luce soffusa e tonalità pastello unificano la rappresentazione abbracciando elementi tra loro contrastanti: nel pannello centrale, in alto, l’epifania di Cristo e, sotto lo sguardo serafico del Salvatore, scene di un’umanità violenta e brutale. H.Bosch, Adorazione dei Magi, dettaglio: pastore-voyeur. H. Bosch, Adorazione dei Magi, dettaglio: personaggio misterioso. H. Bosch, Trittico del Carro di fieno, dettaglio: Cristo.
  • 18. 16 H. Bosch, Trittico del Carro di fieno, dettaglio sezione centrale: umanità violenta. Il motivo centrale dell’opera è ispirato infatti a un proverbio fiammingo sull’avidità, che recita: «Il mondo è come un carro di fieno, ciascuno ne arraffa quel che può». Ai piedi del carro infatti uomini e donne si affannano nel tentativo di conquistarsi un po’ del bramato fieno, mentre tutt’intorno imperversano violenza ed ira. Sulla sommità del carro stanno dei contadini che amoreggiano, suonano e cantano, alla presenza di un angelo, a sinistra, e di un demone azzurro, a destra. Nessuno si cura dello sguardo scrutatore di Cristo; anzi, il carro e il suo folle corteo vengono inesorabilmente trascinati da demoni verso destra, cioè H. Bosch, Trittico del Carro di fieno, pannello di sinistra, Paradiso. H. Bosch, Trittico del Carro di fieno, pannello di destra, Inferno.
  • 19. 17 verso l’Inferno, rappresentato appunto nel pannello laterale. Quanto al pannello di sinistra, esso ritrae quattro scene: la cacciata degli angeli ribelli, che cadendo sulla terra si trasformano in insetti e rospi (simboli d’eresia, come abbiamo accennato); la creazione di Eva dalla costola di Adamo; il Peccato Originale col serpente dalla testa di donna; la cacciata dei progenitori dal Paradiso terrestre. Paradiso terrestre a sinistra, l’umanità ritratta nei suoi vizi al centro, e il destino finale all’Inferno a destra: questa la tripartizione dell’opera. Il Trittico del Giardino delle Delizie presenta la medesima suddivisione, ma con una ricchezza di simboli che colpisce per quantità sia di dettagli che di significati. A un’occhiata superficiale, abbiamo: a sinistra il Paradiso terrestre, al centro il cosiddetto “Giardino delle Delizie”, e a destra l’Inferno. Già nella rappresentazione del Paradiso, però, si notano elementi che escono fuori dalla tradizione iconografica del tempo: qui infatti non troviamo la creazione di Eva dalla costola di Adamo, né la cacciata dei progenitori dal Giardino dell’Eden. H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, pannello di sinistra, Paradiso. H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, pannello di destra, Inferno.
  • 20. 18 Cominciando dal basso, lì si sta consumando una lotta tra bestie mitologiche e ibride: alcune stanno isolate, altre sembrano giocare, altre ancora vengono divorate. Il campo di battaglia “in piccolo” arriva sino al limitare dei piedi di Adamo: il Primo Uomo sta seduto con le gambe distese; sul suo volto, un’espressione d’attesa, ma che trasmette anche ingenuità o forse stupidità; con timidezza i suoi piedi sfiorano il mantello di Dio (che qui ha le fattezze di Gesù). Eva, invece, è come languidamente abbandonata alla stretta del Creatore, che la tiene saldamente per mano, come a sorreggerla: infatti le ginocchia della Prima Donna sono leggermente piegate, a sostenere appena il peso del corpo sinuoso; tale posizione sembra quasi un invito sensuale della donna all’uomo, l’offerta del proprio corpo per dare origine all’umanità: da qui l’espressione stupefatta di Adamo, appena risvegliato dopo che Dio ha creato Eva dalla sua costola. Non è stato escluso che lo sguardo del Primo Uomo possa tradire anche attesa e brama di possedere Eva, come se il peccato sia insito già nel solo contatto visivo con la donna e ancor prima di mangiare il frutto proibito. Nel paesaggio sopra il trio di figure, campeggiano ancora animali, alcuni fantastici (unicorni), altri esotici come la giraffa e l’elefante (il ché ha offerto ai critici ragioni per post-datare l’opera dopo la scoperta dell’America), che insieme agli elementi della natura richiamano forme altre, come in una rappresentazione surrealista. Anche lì continua la loro piccola lotta per la sopravvivenza: alcuni perseguitano, altri sono perseguitati, altri ancora rimangono incuranti di ciò che avviene attorno a loro. Un fatto è palese: non c’è alcuna armonia tra le specie. Nel Paradiso terrestre pericoli e crudeltà sembrano regnare indisturbati. H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio Paradiso: creature mitologiche e ibride. H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio Paradiso: Adamo, Dio/Gesù ed Eva. H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio Paradiso: roccia antropomorfa e creature fantastiche.
  • 21. 19 ’’uummaanniittàà ttrraa ppeeccccaattoo ee lliicceennzzaa La lotta bestiale che minaccia l’armonia del Paradiso dilaga fino al pannello centrale, dove l’umanità folleggia. Un vizio, in particolare, domina la scena, richiamando tutti gli altri: la gola. Ovunque, uomini e donne si cibano famelicamente di frutti proibiti che richiamano in qualche modo la lussuria: frutti succosi e sanguigni come fragole e lamponi. Tanti Adamo ed Eva perpetuano insaziabilmente il Peccato originale; non solo, vengono anche imboccati dalle bestie: in questo modo uomini e animali assurgono allo stesso rango, quello bestiale, posti così dall’autore sullo stesso piano. Ma qui l’ordine naturale delle cose è stravolto, sia nelle gerarchie che nelle proporzioni: animali e uomini hanno le stesse dimensioni, siano gli uccelli ingigantiti a misura umana o viceversa gli uomini rimpiccioliti come fossero abitanti della Lilliput dei Viaggi di Gulliver. H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio sezione centrale: animali e uomini nella stessa misura. “Capovolgimento” è proprio la parola chiave per spiegare l’arte di Bosch. Essa si esplica tramite due direttrici: 1) realismo dei corpi e della natura; 2) comune senso capovolto. Vediamo di esemplificare. In quanto pittore fiammingo, Bosch non si sottrae alla tendenza principale di tale corrente artistica, ovvero la visione microscopica della natura descritta con un tocco pittorico di estrema brillantezza. Un solo frammento può H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio sezione centrale: uomini-uccello.
  • 22. 20 valere a rendere visivamente l’idea di ciò: la fontana tratta dal Polittico di Gand di Jan van Eyck. Nell’iconografia cristiana, si tratta della Fontana della Vita, che sgorga in zampilli inesauribili, come recita il passo biblico: Chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna (Giovanni, 4:14). Bosch riprende il motivo della fontana e lo inserisce nella sua opera, ma con connotati ben diversi: le costruzioni sono stravaganti per forma e colore; inoltre, il contesto in cui sono inserite sembra rimandare più al loro significato profano che a quello sacro. Al centro del pannello del “Giardino delle Delizie”, infatti, si volge quella che è stata definita la «cavalcata della libidine attorno alla fontana della giovinezza» e in questo caso la fontana sarebbe non quella della Vita ma quella dell’«adulterio»2, come dimostrano i corpi nudi che giocano e si arrampicano su di essa. Il pannello centrale è dominato infatti dal motivo del piacere e della sensualità, che sia espresso come degustazione di frutti proibiti o più esplicitamente come esperienza erotica in senso stretto. Tra l’altro, il tema erotico è declinato molto liberamente, comprendendo anche l’omosessualità e zoofilia. L’atteggiamento di questa umanità sembra quello tipico dell’adolescente che scopre il proprio corpo in un misto di malizia e innocenza. Si noti inoltre che non vi sono bambini: l’umanità è immortalata nella sua fase adulta; eppure, tutto in questo mondo fantastico sembra in continua crescita e rigoglio, al punto che frutti e fiori sbocciano 2 Wikipedia → “Trittico del Giardino delle delizie” (http://it.wikipedia.org/wiki/Trittico_del_Giardino_delle_delizie). Jan van Eyck, Polittico di Gand, pannello centrale: Fontana della Vita. H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio sezione centrale: fiori sbocciano dai corpi. H.Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio sezione centrale: la “cavalcata della libidine” e la “Fontana della giovinezza”.
  • 23. 21 e fuoriescono dai corpi stessi. Inoltre, ci sono molte creature ibride e stravaganti: umano, animale e vegetale sono un tutt’uno nella grande giostra della vita. Ma non c’è un ordine naturale o morale nel mondo immaginato da Bosch; piuttosto, l’unico principio unificatore rintracciabile è quello visuale, ovvero il realismo: uomo e bestia, divino e terreno sono rappresentati con la stessa intensità di dettagli e resi in una bellezza sconcertante. E’ in questa commistione di realismo e capovolgimento di senso che risiede l’attrazione che quest’opera riesce ad esercitare su di noi. L’intensità di dettagli ci ammalia; il contesto inedito entro cui sono inseriti ci spiazza. Di cosa tratta allora il Giardino delle Delizie? Il sostrato è certamente religioso: non bisogna dimenticare l’iconografia precedente a Bosch e soprattutto il fatto che la sua famiglia era famosa per la realizzazione di opere sacre; non per ultimo, Bosch stesso era religioso, come dimostra la sua militanza attiva nella Confraternita di Nostra Signora. Il punto, però, è che Bosch reinterpreta il tema religioso attraverso l’invenzione di simboli nuovi e potremmo dire “disturbanti”: egli infatti lavora con i topoi religiosi rielaborandoli tramite l’uso di simboli popolari. Uno di questi è quello della civetta, presenza costante di tutti e tre i pannelli. Nell’iconografia tradizionale essa è un simbolo diabolico, l’uccello notturno portatore di malaugurio e il compagno fedele delle streghe. Nella mitologia greca, invece, la civetta è associata ad Atena e simboleggia la sapienza scaturita dalla mente del Padre, l’intelligenza che riesce a discernere laddove c’è solo ombra. La civetta qui allora potrebbe essere la complice delle follie lussuriose dell’umanità, oppure, in un totale capovolgimento di senso, il testimone impassibile della perdizione dell’umanità che proprio a causa della sua libidine si avvia inesorabilmente alla dannazione. Questo è solo uno degli esempi del dualismo simbolico che permea tutta l’opera di Bosch e a causa del quale è tutt’oggi difficile affermare se il Giardino delle Delizie sia un’opera profondamente religiosa ed ortodossa o piuttosto se in essa l’autore abbia celato significati addirittura eretici ed esoterici. La difficoltà nell’interpretare la simbologia complessa dell’arte di Bosch sta nel fatto che oggi H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio sezione centrale. H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio sezione centrale: civetta.
  • 24. 22 la maggior parte di questi simboli sono sconosciuti a noi, dato che la loro chiave di lettura è andata persa. Dunque l’enigma è destinato a rimanere irrisolto. Ma è innegabile la presenza della tematica erotica nel trittico, poiché tale motivo è universale e incrocia tutti i secoli della storia umana. Anche se non riusciamo a decifrare appieno gli strati di simboli di quest’opera, avvertiamo comunque la dirompenza di tale simbologia e non possiamo sottrarci al suo potere ipnotico. I simboli di Bosch sono come il volo degli uccelli: esso trasmette informazioni, ma noi possiamo cogliere solo la bellezza del disegno che traccia nell’aria (Collings, 2010). H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio Paradiso: volo degli uccelli.
  • 25. 23 ’’IInnffeerrnnoo mmuussiiccaallee È un popolo privo di discernimento e di senno; o, se fossero saggi e chiaroveggenti, si occuperebbero di ciò che li aspetta. Io nasconderò il mio volto davanti a loro e considererò quale sarà la loro fine. Iscrizione dai Sette peccati capitali, Hieronymus Bosch. Al fascino sensuale del pannello centrale subentra l’orrore raccapricciante di quello dell’Inferno. Qui la reinterpretazione simbolica dell’arte di Bosch tocca il suo apice per fantasia e suggestività. Le variopinte creature del Giardino si sono trasformate in demoni e l’umanità si trova catapultata dalle gioie carnali a un incubo dalle tinte forti e abbacinanti. Qui, uomini e donne pagano il fio delle loro dissolutezze subendo la tortura tramite arnesi inusuali: strumenti musicali. E’ per questo motivo che questo pannello è conosciuto con la dicitura quasi ossimorica di “Inferno musicale”. Nei Sette peccati capitali (1500-1525 ca), non a caso, Bosch inserisce gli strumenti musicali nella sezione riguardante il vizio della Lussuria: basta fare due più due per capire come tale motivo sia in relazione col pannello centrale del Giardino delle Delizie dove si assiste a un vero e proprio exploit di libidine, e quello laterale dell’Inferno. La musica porta con sé una carica inevitabilmente sensuale; in una sorta di contrappasso dantesco, nell’Inferno di Bosch l’umanità perisce sotto le sferzate degli strumenti musicali che erano stati complici dei suoi intrighi amorosi. La fantasia di Bosch, così come H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio Inferno: strumenti musicali di tortura. H. Bosch, I sette peccati capitali, dettaglio: Lussuria e strumenti musicali.
  • 26. 24 accade per la caleidoscopica natura ritratta negli altri pannelli, qui si esplica con altrettanta abbondanza di particolari, sebbene macabri; non vengono risparmiati neanche i dettagli su condizioni sub-umane e turpi: il goloso vomita, l’avaro defeca denaro, una donna superba si specchia nelle terga di un demone verde, mentre in basso un giocatore d’azzardo viene inchiodato al tavolo da gioco. Ognuno secondo il suo peccato e senza via di scampo dal proprio destino. H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio Inferno: contrappasso per una donna superba. Tutto è rovesciato nella sua variante peggiorativa: la nudità qui ha perso ogni attrattiva sensuale per lasciar posto alla vergogna e all’umiliazione: uomini e donne si ritraggono cercando di coprirsi alla bell’e meglio, rivelati i loro corpi in tutta la loro triste condizione; gli animali non sono più innocenti compagni di giochi, ma complici ed esecutori delle vessazioni inferte agli uomini. Anche la natura è stravolta, priva dei suoi colori brillanti e del suo rigoglio: nella parte superiore del pannello, nello sfondo, si stagliano scenari di guerra in una città in fiamme assalita da orde di creature demoniache, il cielo è infuocato e il paesaggio è inospitale e arido. H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio Inferno: scenari di guerra. H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio Inferno: suora-maiale.
  • 27. 25 In mezzo al caos infernale, però, una figura sembra rimanere impassibile nella sua quasi incosciente crudeltà: ritorna la civetta, ma stavolta sotto vesti ben più notevoli… il Principe degli Inferi, che osserva distaccato l’umanità condotta alla propria rovina: i suoi occhi sono vacui pozzi senza fondo. Nient’altro che un giudice incorruttibile posto lì ad adempiere a ciò che è necessario che accada; egli divora le anime dei dannati, per poi defecarle dentro un abisso oscuro. H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio Inferno: il Principe degli Inferi. Sembra risuonare il monito posto al centro dei Sette peccati capitali, nell’iscrizione sotto la figura di Cristo: «Attenzione, attenzione, Dio vede». Alla luce di ciò che Bosch mostra attendere l’umanità dopo i piaceri terreni, sembra di dover rivalutare il pannello centrale: non più celebrazione della libertà primordiale dell’umanità, dunque, ma avvertimento categorico e richiamo alla retta via, prima che sia troppo tardi. Eppure, l’indugio dell’artista nei dettagli pare comunicare un suo compiacimento: ancora una volta è la sfolgorante bellezza del tocco figurativo ad incantarci e farci dimenticare per un attimo il mondo raccapricciante davanti al quale siamo stati catapultati avendo spostato il nostro sguardo dal centro al pannello di destra, dal Giardino delle delizie terrene all’Inferno musicale: un meraviglioso incubo senza via d’uscita. Dopo aver visitato l’Inferno, inoltre, un’altra scena pare acquisire un diverso significato: si tratta della “Creazione del mondo” rappresentata nei pannelli esterni del trittico. Qui predominano le tonalità fredde, molto probabilmente per far poi risaltare i colori brillanti del trittico una volta aperto. Dovrebbe trattarsi della rappresentazione del mondo all’atto della creazione: ma è un mondo grigio, spento, una landa desolata avvolta da una nebbia spettrale; ed è racchiuso in una sfera di vetro, come un giocattolo. H. Bosch, I sette peccati capitali, dettaglio: "Cave cave deus videt".
  • 28. 26 H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, ante chiuse. In assenza di luce solare, questa proviene dall’angolo superiore sinistro, dove si apre uno squarcio nella profonda notte primordiale. Lì, sta sospeso tra le nubi Dio Padre: sul suo volto imperturbabile un’espressione molto cupa e corrucciata. Sopra a tutto sta un’iscrizione: «IPSE DIXIT ET FACTA SUNT. IPSE MANDAVIT ET CREATA SUNT» (“Egli parla e tutto è fatto. Egli comanda e tutto esiste”) che avvalora il tema della rappresentazione, la Creazione appunto. Eppure, più si osserva il quadro e più viene da pensare a un mondo alla fine del mondo. H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, ante chiuse, dettaglio: Dio Padre.
  • 29. 27 oonncclluussiioonnii Parlano dell’inferno, parlano della dannazione eterna, parlano di sant’Agostino, delle eresie, della riforma di Lutero, vanno a frugare nella vita privata di Hieronymus, che nessuno di loro può conoscere, riempiono centinaia di pagine con interpretazioni gigantesche. E la psicanalisi! E l’angoscia esistenziale e il surrealismo con quattro secoli di anticipo! […] E poi il manicheismo immancabile. E i refoulements sessuali… i complessi aberranti… la componente sodomitica… l’esoterismo negromantico… Quanta fatica inutile! […] Ma se è così semplice; così limpido! Se non è mai esistito un pittore più realista e chiaro di lui!… Altro che fantasie, altro che incubi, altro che magia nera… La realtà nuda e cruda che gli stava davanti… Solo che lui era un genio che vedeva quello che nessuno, prima di lui e dopo di lui, è stato capace di vedere. Tutto qui il suo segreto: era uno che vedeva e ha dipinto quello che vedeva (Dino Buzzati, Presentazione a “L’opera completa di Bosch”, Rizzoli, 1966). Abbiamo avanzato l’ipotesi fantasiosa che Bosch abbia ritratto-raccontato il proprio viaggio nell’Aldilà così come aveva fatto Dante nella sua Divina Commedia. C’è una figura, forse più enigmatica di tutte, della quale non abbiamo ancora trattato: l’Uomo-Albero, posto nella sezione centrale dell’Inferno di Bosch. Uomo-Albero nell’Inferno del Giardino delle Delizie. H. Bosch, L’albero che ascolta e vede (1500 ca).
  • 30. 28 Su questo personaggio si è dibattuto molto, e le ipotesi sono varie. A noi piace accogliere quella che vede in questo monstrum niente meno che un autoritratto dello stesso Bosch. E’ curioso infatti notare che Bosch significa “bosco”; inoltre, l’ibridazione tra natura ed elementi anatomici è una costante dell’arte di Bosch. Si veda in particolare il disegno dell’artista, dal significativo titolo L’albero che ascolta e vede, che guarda caso risale allo stesso periodo di composizione del Giardino. Queste due opere sembrano essere l’una la metafora dell’altra: mettiamole a confronto. Se nell’Inferno il corpo dell’Uomo-Albero ha il ventre di un uovo e gli arti come rami, nel disegno il corpo è il tronco di un albero; ma esso è cavo, proprio come lo è anche l’uovo. E’ come un invito a uno sguardo introspettivo. Viene da chiedersi: cosa c’è dentro l’Uomo- Albero? Il ché, al contempo, è anche chiedersi: cosa c’è dentro Bosch- artista? E in ultima analisi: cosa si annida nell’animo umano? Dentro il ventre-uovo dell’Uomo-Albero c’è una bettola: lì uomini e donne stanno bighellonando attorno a un desco, mentre una sorta di ostessa riempie una brocca da un barile. Una scenetta in allineamento con il resto dei vizi rappresentati nell’Inferno. Ma invece cosa fa capolino dal tronco antropomorfo nel disegno? La civetta, animale tanto caro a Bosch; l’abbiamo definita come un simbolo a due facce: uccello diabolico e/o portatrice di saggezza. Ma si tratta davvero di due significati in contrasto tra loro? Ragioniamo: dentro all’Uomo-Albero si nasconde la civetta, cioè si annida segretamente il Male; al contempo, però, dimorando nel profondo, essa può essere intesa come la coscienza grazie alla quale si discerne il Bene dal Male. Continuando su questa strada interpretativa, possiamo affermare che è come se Bosch si offrisse a noi a mo’ di libro aperto entro cui poter scrutare liberamente. Al contempo, però, l’Uomo-Albero è ritratto di spalle e ha la testa girata all’indietro: il suo volto guarda oltre il quadro… cioè guarda noi. H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio Inferno: ventre dell'Uomo-Albero. H. Bosch, L'albero che ascolta e vede, dettaglio: civetta dentro al tronco.
  • 31. 29 Il suo sguardo è enigmatico quanto il sorriso della Gioconda di Leonardo, ed è difficile catturarne il significato profondo. Ad ogni modo, esso ci appare quieto: la serenità (o rassegnazione?) tipica di chi ha è giunto a una comprensione ultima; poi, non manca una punta di ironia: il sorriso sornione di chi, oltre ad aver compreso, ha voluto condividere il suo segreto col resto dell’umanità. Ma si tratta davvero di un segreto? O ciò che ha visto e ritratto Bosch è in verità sotto gli occhi di tutti noi? Allora, il suo sguardo rivolto a noi sarebbe un invito a cercare, tra i dettagli e le stravaganze del mondo, quel segreto che ci accomuna tutti in quanto uomini e donne. Bosch mostrò che le tradizioni e le conquiste pittoriche, grazie alle quali erano state create opere così profondamente concrete, potevano essere usate per così dire a rovescio, e offrirci un quadro ugualmente plausibile di cose mai viste da occhio umano. […] Per la prima e forse per l’ultima volta un artista era riuscito a dare forma concreta e sensibile ai terrori che avevano pesato come un incubo sull’uomo del medioevo. Fu un risultato possibile forse soltanto nel preciso momento in cui, sopravvivendo ancora vigorosamente le vecchie concezioni, lo spirito moderno aveva d’altra parte provvisto l’artista dei mezzi necessari a rappresentare ciò che vedeva (Gombrich, 2006: 356 ss.). Bosch attinge infatti all’iconografia tradizionale per creare i suoi mostri, nel senso etimologico del termine: cioè creature prodigiose, ma anche aberrazioni della natura; un po’ come gli animali parlanti e sottilmente inquietanti del Paese delle Meraviglie raccontato da Lewis Carroll. A tal proposito, il grande massmediologo McLuhan affermò: Hieronymus Bosch, con una pittura che innestava forme medievali in uno spazio rinascimentale, raccontò che cosa poteva significare vivere a cavalcioni tra due mondi, l’antico e il nuovo, H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio Inferno: sguardo dell'Uomo-Albero. H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio Inferno.
  • 32. 30 durante questa rivoluzione. Egli presentò l’immagine plastica, tattile, di tipo tradizionale ma la collocò nella nuova e intensa prospettiva visiva. Sovrimpose cioè l’idea medievale dello spazio unico e discontinuo alla nuova idea dello spazio uniforme e connesso. E lo fece con un’intensità da incubo. Lewis Carroll portò l’Ottocento in un mondo di sogni sorprendente quanto quello di Bosch ma basato su principi totalmente opposti. Alice nel paese delle meraviglie presenta come norma quello spazio e quel tempo continui che suscitarono costernazione all’epoca del Rinascimento. Ma in questo mondo euclideo uniforme e familiare, Carroll introdusse una fantasiosa discontinuità di spazio e tempo che anticipava Kafka, Joyce e Eliot. […] Con Alice nel paese delle meraviglie fornì ai vittoriani, così sicuri di se stessi, una scherzosa anticipazione del tempo e dello spazio einsteniani. Bosch aveva offerto alla propria epoca un primo assaggio della nuova continuità spaziale e temporale della prospettiva uniforme. Ma anticipava il mondo moderno con un sentimento d’orrore […]. Lewis Carroll invece salutò l’era elettronica con un applauso (McLuhan, 2008: 156 s.). E’ in questa sorta di bifrontismo – immaginario tradizionale e reinvenzione di senso – che risiede tutta la sconvolgente modernità di Bosch. Come afferma Matthew Collings (2010), Bosch ha inventato una “foresta di simboli” attraverso i quali interrogare il mondo e discorrere della natura umana. Così, di fronte al Giardino delle Delizie non bisogna solo chiedersi: “Cosa rappresenta questo quadro?” Ma anche e soprattutto: “Chi sono io?” H. Bosch, Trittico del Giardino delle delizie, dettaglio pannello centrale.
  • 33. 31 BBiibblliiooggrraaffiiaa ARGAN, Giulio Carlo 2002 Storia dell’Arte italiana. Vol. II. “Da Giotto a Leonardo”, Sansoni Milano. COLLINGS, Matthew 2010 Renaissance Revolution – The Garden of Earthly Delights, BBC (documentario reperibile agli indirizzi: http://www.youtube.com/watch?v=pVYbpypUmow http://www.youtube.com/watch?v=4namAFthwD8 http://www.youtube.com/watch?v=_jLNguDyFk4). CRICCO, Giorgio & DI TEODORO, Francesco Paolo 1996 Itinerario nell’arte. Vol. II. “Da Giotto all’età barocca”, Zanichelli Bologna. GOMBRICH, Ernst Hans 2006 La storia dell’arte raccontata da Ernst H. Gombrich, Mondadori Milano. 1988 Riflessioni sulla storia dell’arte, in “Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche – RAI Educational” (reperibile all’indirizzo: http://www.emsf.rai.it/interviste/interviste.asp?d=464). MCLUHAN, Marshall 2008 Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore Milano.
  • 34. 32 IInnddiiccee Introduzione. Rinascimento come arte moderna....................................................2 1. Hieronymus Bosch: questo illustre sconosciuto...............................................11 2. Il Giardino delle Delizie.....................................................................................12 Il Paradiso terrestre............................................................................................14 L’umanità tra peccato e licenza..........................................................................19 L’Inferno musicale ..............................................................................................23 Conclusioni.............................................................................................................27 Bibliografia.............................................................................................................31