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Pellegrino De Rosa




L’Evoluzione ideoplastica
   delle specie viventi




        Saggio divulgativo




                1
Titolo | L’Evoluzione ideoplastica delle specie viventi
Autore | Pellegrino De Rosa
Copertina a cura dell’autore
ISBN | 978-88-67512-91-1


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Dedico questo libro
                                          a mio figlio Antonio De Rosa
                                         con stima e affetto imperituri.
                                                        Pellegrino De Rosa




 La scienza
 ci aiuta a scorgere
 l’impronta di Dio
(Papa Benedetto XVI)


Ogni verità attraversa tre fasi.
Prima viene ridicolizzata.
Poi incontra una violenta opposizione.
Infine, viene accettata come palese.
(Arthur Schopenhauer)




                                   3
4
Sommario


Presentazione di Enzo Pecorelli                                    7

Introduzione dell’autore                                           13
1. Il quesito di partenza: come si è evoluto l’insetto-foglia?     17

2. L’inadeguatezza della teoria darwiniana                         19

3. Considerazioni sul Lamarckismo                                  23
4. Relazione tra mimetismo, evoluzione e convergenza evolutiva     25

5. Tutti gli esseri viventi sono dotati di una mente?              28

6. Relazione tra mente, genoma, ipnologia e scienze quantistiche   31
7. SAM, Podaciris sicula e rapporti con la genetica                37

8. Il Plasticismo Evolutivo                                        42

L’oggetto della discordia                                          47
FAQ (Darwinismo, Intelligent Design o “Plasticismo Evolutivo”?)    53

Note sull’autore                                                   63




                                        5
6
Presentazione


  In questo saggio divulgativo viene presentata una teoria “made
in Italy” sull’evoluzione delle specie viventi, chiamata Plasticismo
Evolutivo, che si propone come possibile terza via tra le opposte
posizioni dei neo-darwinisti e dei sostenitori dell’Intelligent Design.
  Questa nuova ipotesi di studio è stata presentata, nel 2009, dal
dr. Pellegrino De Rosa, che è agronomo e botanico, nonché
giornalista e scrittore di romanzi.
  Essa vuole provare a rispondere ad alcuni interrogativi, scaturiti
da precise osservazioni naturalistiche, e cioè:
  1. In che modo l’insetto-foglia è riuscito a rendere il suo corpo
del tutto simile, fin nei più piccoli particolari, alle foglie del suo
habitat naturale? Solo grazie a mutazioni casuali e alla successiva
selezione naturale? Oppure per azione di qualche meccanismo
ancora ignoto?
  2. Oltre al fatto, già noto, che la selezione naturale agisce
selettivamente sulla diffusione degli individui mimetici, è possibile
che esista qualche altra correlazione, più diretta e ancora non
studiata, tra il mimetismo e l’evoluzione delle specie viventi?
  3. La psiche degli individui può, oltre che influire sull’espressione
dei geni, indurre anche la comparsa di geni del tutto nuovi?
  Come si evince sia dal presente saggio introduttivo sia dal breve
racconto riportato in appendice, l’autore ha cercato di rispondere
a queste domande adottando un approccio multidisciplinare, cioè
tenendo conto non solo delle sue personali osser vazioni
naturalistiche e dei dati scientifici disponibili, ma anche di alcuni
aspetti filosofici, teologici e di fisica teorica.
  Pellegrino De Rosa non mette affatto in discussione il fenomeno
dell’evoluzione, né i risultati della genetica, né l’azione di alcuni
meccanismi ecologici come la selezione naturale (di cui, però,
propone di ridimensionare l’importanza evoluzionistica). Tuttavia,
egli ritiene che le mutazioni del corredo genetico delle specie viventi
(e, quindi, anche la loro evoluzione) non siano causate né da fortuite
variazioni casuali né da un’azione diretta di un Dio, bensì da
un’azione “ideoplastica” esercitata dalla psiche degli individui sul
genoma e sull’epigenoma.
  È bene anche chiarire che questa ipotesi non nasce da astratte

                                  7
elucubrazioni teoriche, ma si fonda sull’osservazione, oggettiva e
ripetibile, del comportamento degli organismi rapido-mimetici
(come le seppie) e della forma del corpo degli organismi cripto-
mimetici (come gli insetti-foglia). E solo in una seconda fase prova
a spiegare queste osservazioni naturalistiche stabilendo dei
collegamenti originali con altre discipline.
  In sintesi, secondo il “Plasticismo Evolutivo”, la forza che genera
l’evoluzione sarebbe la stessa che determina le modifiche,
temporanee o permanenti, del corpo degli organismi mimetici. Si
tratterebbe, cioè, di una presunta azione “ideoplastica” e mutagena
della psiche degli esseri viventi. Per cui, in definitiva, l’evoluzione
non sarebbe altro che “una volontà che prende forma”.
  Secondo tale ipotesi, quindi, la psiche degli esseri viventi sarebbe
in grado non solo di regolare alcune funzioni fisiologiche e di
condizionare epigeneticamente l’espressione dei geni già esistenti
(cosa questa già dimostrata, per esempio, dall’effetto placebo e dai
fenomeni di somatizzazione osservati nella pratica ipnotica e nella
MPD, o Multiple Personality Disorder), ma sarebbe anche in grado di
creare geni completamente nuovi.
  Ma tale impostazione pone subito alcuni tipi di problemi.
  Il primo è: se è la mente a determinare le mutazioni evolutive,
allora tutti gli organismi che si sono evoluti, comprese le piante,
sono dotati di una mente?
  Il secondo è: di che natura è la presunta interfaccia tra la mente e
i geni?
  Il terzo è: con riferimento alla comparsa di mutazioni complesse
e di cui non esiste ancora uno schema in natura, a quale fonte di
informazione accede la mente dell’individuo?
  Ora, mentre l’osservazione naturalistica dell’esistenza del
sorprendente insetto-foglia è un dato oggettivo e incontestabile, e
facilmente verificabile da chiunque, per provare a rispondere alle
domande prima formulate è necessario, secondo l’autore, compiere
un collegamento - multidisciplinare e coerente - con le scienze
cosiddette “di frontiera”.
  Per comprendere la posizione intellettuale dell’autore è necessario
soffermarsi brevemente sul suo atteggiamento speculativo, da lui
definito di “coerenza intellettuale”.
  In sintesi, egli afferma che se alcune conclusioni vengono accettate
in particolari ambiti scientifici e speculativi, esse devono essere
considerate ugualmente valide anche negli altri ambiti.

                                  8
Perciò, se in psichiatria e in ipnologia si ammette l’effetto della
psiche sul corpo, tale effetto deve essere considerato reale anche
quando si studia l’evoluzione delle specie viventi.
   E, se alcuni concetti di cosmologia e di meccanica quantistica sono
ritenuti accettabili quando si studia la materia inanimata (collasso
della funzione d’onda, pattern interferenti, paradigmi olografici,
non-località, ecc.), essi devono essere considerati validi anche
quando si studiano i sistemi biologici e l’evoluzione. In particolare,
se la meccanica quantistica ammette che l’osservatore possa influenzare
il comportamento duale (ondulatorio e corpuscolare) della materia,
si deve pure ammettere che un fenomeno simile possa avvenire
anche nei sistemi biologici. Di conseguenza, non è corretto scartare
frettolosamente l’ipotesi che la mente dell’osservatore possa
condizionare anche la materia biologica, compreso il DNA, che ha
anch’esso una struttura quantistica.
   Infine (e questo vale solo per i credenti), se si crede in un Dio,
bisogna continuare a farlo anche quando si esce dal luogo di culto
e si vive la propria vita e si indossa il camice bianco del ricercatore
o dello scienziato. Chi non lo fa soffrirebbe, secondo l’autore, di
una forma di schizofrenia ideologica.
   Ciò precisato, Pellegrino De Rosa risponde al primo punto
ipotizzando che anche le piante abbiano una mente, e rafforza la
sua tesi facendo riferimento alle ricerche sulla neurobiologia vegetale
del prof. Stefano Mancuso, dell’Università di Firenze, e ad alcune
osservazioni dello stesso Darwin.
   Per rispondere al secondo punto, poi, fa riferimento alla quantum
biology e a tutta una serie di indizi (neurologici, fisici, psichici e
biologici) accennati nel testo.
   Per rispondere al terzo punto, infine, si ricollega al paradigma
olografico di Bohm e al pensiero filosofico di Platone, di Giordano
Bruno e di Hegel.
   Egli, pur avendo una formazione scientifica, fa intendere
chiaramente di non ritenere che la scienza sia la massima
espressione dell’intelletto umano, soprattutto quando degenera in
scientismo. E al di sopra di essa pone la filosofia e, ancora più su,
l’intuizione e l’arte. E osserva che tutti i grandi geni scientifici del
passato avevano una mente aperta al dubbio, all’esplorazione di
nuove possibilità e al pensiero filosofico. Al contrario, quelli che
lui definisce SAM (acronimo che sta per “Studiosi Accademici
Medi”, con cui indica quelle persone che si autodefiniscono scienziati

                                   9
pur essendo, spesso, solo dei tecnici di laboratorio o semplici professori,
che non hanno mai scoperto o proposto niente di rilevante), sono pronti
a rifiutare, a volte anche con arrogante maleducazione, qualunque
nuova ipotesi di studio venga loro proposta.
   Alle teorie neo-darwiniste, l’autore contesta soprattutto il dogma
che il cieco caso sia la sorgente dell’evoluzione. E fa notare che
tutti i fenomeni osservabili in natura sono regolati da leggi, più o
meno complesse. Perché, dunque, egli si chiede, solamente
l’evoluzione delle specie viventi dovrebbe essere prodotta dal caso?
   Egli ritiene che tale posizione sia conformista e ideologica, e
nient’affatto scientifica. E sottolinea, riportando anche degli esempi,
che l’ipotesi della comparsa di mutazioni complesse e funzionali
causate dal caso non è mai stata provata scientificamente - in nessun
laboratorio e in nessun contesto ecologico. E fa notare che provare
a spiegare con le variazioni casuali l’evoluzione di organi complessi
non è accettabile neppure statisticamente.
   Egli, in effetti, ammette che la selezione naturale agisce
eliminando i “meno adatti” e favorendo la sopravvivenza e la
diffusione dei “più adatti”, ma fa notare che essa può agire solo
dopo che sono comparsi e presenti entrambi tali competitors.
   La selezione naturale, perciò, non va confusa con la causa prima
dell’evoluzione, che è costituita invece dalla forza (la cui natura,
ancora controversa, secondo l’autore è di natura psichica e
ondulatoria), che ha portato alla comparsa degli individui mutati.
   Nel precisare questo aspetto, l’autore sottolinea la differenza tra
la normale variabilità genetica che si osserva all’interno della stessa
razza e la comparsa di variazioni evolutive complesse che
conducono alla formazione di nuove specie, e conclude accettando
- per grandi linee - la teoria darwiniana come “teoria ecologica delle
razze” ma rifiutandola come “teoria evoluzionistica delle specie”.
   Infine, pur condividendo l’importantissimo ruolo della genetica,
l’autore dichiara di considerare i geni più il veicolo che la sorgente
dell’evoluzione, e invita gli scienziati a realizzare degli esperimenti
tendenti a indagare se la mente umana possa, in particolari
condizioni “monoideistiche” o di stress o di coscienza alterata,
provocare mutazioni funzionali nel DNA o nell’epigenoma e
nell’ipergernoma.
   Egli fa anche osservare che il fatto di accettare acriticamente i
dogmi darwiniani danneggia gravemente il progresso scientifico, in
quanto spinge a ridicolizzare e a scartare a priori qualunque altra

                                   10
ipotesi di studio, scoraggiando così la ricerca di spiegazioni
alternative dell’ancora misterioso fenomeno evoluzionistico.
   Qui di seguito Pellegrino De Rosa narra, in maniera informale e
con stile narrativo, com’è nata la sua teoria e ne spiega i caratteri
salienti, i rapporti con le altre teorie evoluzionistiche e i collegamenti
con le discipline coinvolte.
   Egli non si dilunga più di tanto nella confutazione delle altre
teorie che confermano oppure che si oppongono all’evoluzione delle
specie viventi, in quanto lo scopo del presente saggio non è quello
di confutare le teorie altrui ma quello di presentare la sua ipotesi.
   I pochi accenni alle altre teorie hanno, perciò, il solo scopo di
contribuire a chiarire le loro differenze e i loro punti di contatto con il
“Plasticismo Evolutivo” e non hanno nessuna pretesa di completezza.
Perciò, rimanda chi volesse approfondire le critiche a tali teorie (sia
creazionistiche che evoluzionistiche), peraltro non tutte condivisibili,
alle centinaia di migliaia di testi pubblicati su tali argomenti.
   In appendice sono raccolte le FAQ più comuni sul “Plasticismo
Evolutivo”, desunte dalle risposte che l’autore ha fornito in vari
articoli di giornale, sui social network e nel corso delle presentazioni
dei suoi libri.
   Altri aspetti della teoria sono trattati nei suoi saggi “Plasticismo
evolutivo. Una nuova ipotesi evoluzionistica basata sulla biologia quantistica
e sull’entanglement olografico” e “E se Darwin si fosse sbagliato?”.
   Ma molto si capisce anche dalla lettura del suo romanzo
“Metamorfer. La gemma di Darwin”, che è ambientato nella magica
atmosfera di Napoli e nel suo splendido Golfo. Esso, pur essendo
soprattutto un divertente e avvincente fanta-thriller, ricco di humor
e di un elegante erotismo, lascia trapelare una serie di concetti
evoluzionistici e filosofici non approfonditi nel presente saggio.
                                                       (Enzo Pecorelli - giornalista)
  Bibliografia:

P. De Rosa - Leggendo una foglia. (2009). Gruppo editoriale L’Espresso.
P. De Rosa - Metamorfer. La gemma di Darwin. (2011). Simple editore.
P. De Rosa - Plasticismo evolutivo. Una nuova ipotesi evoluzionistica basata sulla
             biologia quantistica e sull’entanglement olografico. (2011). Simple editore.
P. De Rosa - Metamorfer. La gemma di Darwin. (2012). Youcanprint editore.
P. De Rosa - E se Darwin si fosse sbagliato? (2012). Youcanprint editore.
P. De Rosa - The intelligent evolution (2012). Youcanprint editore.

L’autore può essere contattato direttamente al seguente indirizzo email:
plasticismoevolutivo@libero.it

                                          11
La    stupefacente
                             somiglianza di un
                             insetto-foglia con la
                             lamina e le nervature
                             fogliari della pagina
                             inferiore delle foglie
                             del suo habitat.




Phyllopteryx taeniolatus o cavalluccio-dragone.




                     12
Introduzione


   Il fatto che le specie viventi non siano sempre state come le
vediamo oggi e che invece si siano evolute nel corso del tempo è
ritenuto un dato di fatto oggettivo, quasi universalmente accettato,
con il quale concordo pienamente.
   L’evidenza dei fossili e altri fatti incontestabili, come la
convergenza evolutiva e la presenza di geni vestigiali - al di là delle
diverse interpretazioni - stanno a provarlo oltre ogni ragionevole
dubbio.
   Ciò, tuttavia, non esclude affatto la possibilità che la spinta
evolutiva sia causata da una qualche causa intelligente - non
necessariamente divina - e non da una serie di variazioni casuali o
da improbabili e ciechi meccanicismi molecolari o genetici.
   Infatti, come provo a spiegare nel mio saggio “Plasticismo evolutivo.
Una nuova ipotesi evoluzionistica basata sulla biologia quantistica e
sull’entanglement olografico”, la teoria oggi maggiormente accreditata
- quella di Darwin - essendo fondata su tre presupposti fallaci (il
parziale equivoco tra i termini evoluzione e selezione naturale,
l’imprecisa definizione di specie e, soprattutto, l’affermazione che
il caso sia la fonte delle mutazioni), non può essere ritenuta valida,
e dovrebbe veder ridotto il suo campo di competenza da teoria
evoluzionistica delle specie a teoria ecologica delle razze.
   In questo scenario, il Plasticismo evolutivo, partendo da osservazioni
naturalistiche (mimetismo, mente collettiva degli insetti sociali,
convergenza evolutiva, neurobiologia vegetale, ecc.), vuole proporre
un evoluzionismo “intelligente e consapevole” - che coinvolge,
direttamente, le facoltà mentali delle specie viventi - e provare,
infine, a conciliare le posizioni evoluzionistiche con quelle
creazionistiche, attraverso considerazioni filosofiche che
richiamano il monismo panteistico bruniano.
   L’impresa non è delle più semplici, ma la biologia quantistica
(quantum biology) e l’entanglement olografico ci potranno fornire,
forse, gli strumenti utili per comprendere, o anche solo per
ipotizzare, alcuni meccanismi di interazione tra mente e corpo
e tra individuo e universo. Interazioni, tra l’altro, già ritenute
possibili sia da alcuni filosofi e mistici del passato sia da alcuni
scienziati dei nostri giorni.

                                   13
In particolare, la teoria fa esplicito riferimento alle concezioni
quantistiche di Bohm, Aspect e Pribram (paradigmi olografici).
   Questa mia teoria ideoplastica introduce anche gli inediti concetti
di complessione ipergenomica e di iperspecie, che, a mio parere, potrebbero
spiegare la comparsa dei singoli step evolutivi e suggerire un punto
d’incontro tra la teoria degli equilibri punteggiati di Gould ed Eldredge e
il gradualismo.
   Questo saggio naturalistico non pretende affatto di essere
esaustivo, e vuole solo proporre una visione alternativa della
questione evoluzionistica, che tenga conto delle possibili
correlazioni esistenti tra i fenomeni presunti “ideoplastici”
(mimetismo, ideoplasia ipnotica, monoideismo) e l’evoluzione delle
specie viventi, nonché le possibili interazioni tra la psiche e i geni.
Il tutto alla luce dei risultati e delle ipotesi provenienti dai settori
di frontiera (come la fisica quantistica, l’ipnologia e la neurobiologia
vegetale) e di quella, forse più illuminante, della speculazione
filosofica.
   Tutto ciò con la speranza che la mia proposta teorica possa
stimolare futuri studi e ricerche multidisciplinari che possano
portarci a meglio comprendere il processo che ha portato alla
formazione dell’insetto-foglia e, di conseguenza, al meccanismo
che ha determinato la comparsa di tutte le mutazioni evolutive
degli esseri viventi.
                                                                   L’autore




              Kallima inachus (farfalla foglia secca)

                                   14
1. Il quesito di partenza: come si è evoluto l’insetto-foglia?

  «E se Darwin si fosse sbagliato?» sbottai, osservando gli insetti-foglia
rinchiusi in una bacheca di vetro appoggiata sul tavolo davanti a me.
  Mi trovavo nell’aula di entomologia della Facoltà di Scienze e
Tecnologie Agrarie, nello splendido edificio settecentesco della Reggia
Borbonica di Portici, nei pressi di Napoli, per completare la
preparazione dell’esame di entomologia agraria, che avevo
intenzione di sostenere prima delle vacanze estive. E alternavo lo
sguardo tra l’insetto-foglia e un multicolore arcobaleno di luce che
la vetrata proiettava sugli attillatissimi short beige di una collega
china sinuosamente su una bacheca più avanti, mentre la fresca
brezza del Golfo si insinuava tra le ante socchiuse dell’antica
veranda e ci portava l’odore del mare e i giocosi garriti dei gabbiani.
  «Sbagliato in che cosa?» chiese, con gentilezza estrema, una voce
maschile alle mie spalle.
  Mi girai e deglutii per la sorpresa. Era il prof. Ermenegildo
Tremblay, eminente entomologo e scopritore della Trioza tremblayi.
Aveva il portamento nobile di un lord e indossava, come sempre, il
camice bianco sbottonato sopra il vestito elegante.
  «Che l’evoluzione sia dovuta a mutazioni casuali...» risposi io,
balbettando.
  «Ah!» fece il professore, con gli occhi che mi scrutavano, sorridenti
ed enigmatici, da dietro i vetri tondi dei suoi occhiali da vista.
«Studi, studi. E non si faccia distrarre da Darwin... e dalle belle
ragazze» aggiunse, con un sorriso cordiale, girando lo sguardo verso
la mia collega.
  La ragazza, che aveva una certa somiglianza con la bambola
Barbie, si girò per salutare rispettosamente il professore, incrociò il
mio sguardo per un attimo e arrossì lievemente.
  Io non seguii i consigli del professore e feci quell’esame solo molto
tempo dopo. Ma, a distanza di anni, ho compreso che, in quella
circostanza, c’erano già molti degli elementi di quella che poi sarebbe
diventata l’ipotesi del “Plasticismo Evolutivo” e, in parte, della
storia di fantasia che avrei narrato nel fortunato fanta-thriller
“Metamorfer. La gemma di Darwin”.

 Ma torniamo agli insetti-foglia.
 Questi sbalorditivi insetti, hanno il corpo incredibilmente simile,
per forma e colore, alla pagina inferiore delle foglie delle piante.

                                   17
E mostrano una serie di segni simili alle nervature dei fasci vascolari
e alcune sfumature di colore che simulano perfettamente le macchie
di seccume. Anche le loro uova sono mimetiche e somigliano ai
semi delle piante erbacee.
  Appartengono, insieme agli insetti-stecco, all’ordine dei
Phasmatodea.
  Il termine Phasma deriva dal greco e significa fantasma, e sta a
indicare il fatto che questi insetti si confondono così bene nel loro
ambiente da non risultare più distinguibili dalla vegetazione
circostante (cripto-mimetismo).
  Chi non li avesse mai visti dal vivo può farsene un’idea cercando
su un motore di ricerca i termini leaf insect e leaf bug, oppure i nomi
di alcune delle specie più rappresentative (Phyllium giganteum,
Phyllium bioculatum, Phyllium pulchrifolium, Phyllium philippinicus,
Phyllium jacobsoni, Phyllium ericoriai, ecc.).
  Sono insetti ovipari e, spesso, partenogenetici. Inoltre, sono in
grado di rigenerare parzialmente le appendici perdute, come le
zampe e le antenne.
  Ebbene, osservandoli attentamente, io mi convinsi che il loro
aspetto, così simile alle foglie che mimavano, non poteva essere
assolutamente spiegato né dalla teoria evoluzionistica di Darwin
né dalle altre teorie a me note e che, quindi, era necessario ricercare
nuove spiegazioni del meccanismo che li aveva fatti evolvere in
quel modo.
  E mi sembrò evidente che il meccanismo che conduce a tutti gli
altri tipi di adattamento evolutivo non doveva essere troppo
dissimile da quello che innescava quei fenomeni mimetici. E mi
convinsi, pure, che tale meccanismo doveva essere di tipo psichico.
  Ma, procediamo per ordine.
  Analizzeremo prima i motivi che - secondo me - rendono
inaccettabile le altre teorie evoluzionistiche, e poi passeremo a
prendere in considerazione gli aspetti che collegano l’evoluzionismo
con il mimetismo.




                                  18
2. L’inadeguatezza della teoria darwiniana.

  Com’è noto, la teoria evoluzionistica di Charles Darwin si fonda
sul concetto di selezione naturale, ovvero sull’osservazione che i
meccanismi ecologici e ambientali hanno l’effetto di favorire la
sopravvivenza e la diffusione degli individui che presentano
caratteristiche fisiche, fisiologiche e comportamentali più idonee
all’ambiente in cui essi vivono.
  Tali meccanismi sono reali e incontestabili, tuttavia, vorrei fare
alcune precisazioni.
  La prima è che il concetto di selezione naturale non è stato
introdotto da Darwin ma da Arthur Russel Wallace, che lo presentò
prima in tre lettere da lui inviate proprio a Darwin e poi nell’articolo
pubblicato nel 1858 con il titolo: “On the tendency of varieties to depart
indefinitely from the original type”. E riporto questa notizia, che è ormai
considerata una certezza storica, non per sminuire gli
importantissimi studi compiuti da Charles Darwin, ma solo per
mettere in evidenza l’inspiegabile conformismo ideologico che ha
portato una parte del mondo accademico, per circa un secolo e
mezzo, a difendere sempre e comunque le posizioni di Darwin,
anche a costo di negare l’evidenza dei fatti.
  La seconda precisazione è che la selezione naturale non può essere
l’unica spiegazione del meccanismo evoluzionistico: essa infatti,
come già accennato, agisce eliminando i “meno adatti” e favorendo
i “più adatti” ma, ovviamente, può fare ciò solo dopo che sia i
primi che i secondi siano comparsi.
  E come comparirebbero, secondo i neo-darwinisti, questi individui
mutati?
  Ebbene, la risposta fornita dei vari studiosi (e, ahimé, anche
dai divulgatori che si sono immeritatamente arricchiti sfruttando
le polemiche attorno a una teoria alla quale loro non hanno
contribuito in alcun modo) è che le mutazioni evolutive
avvengono per caso!
  Ed è proprio questo il principale punto debole della teoria
darwiniana. Poiché voler attribuire le mutazioni evolutive, molte
delle quali di una complessità impressionante, all’effetto random
del cieco caso non è certo un atteggiamento scientifico!
  Personalmente, penso che si tratti di una “non spiegazione”.
  I neo-darwinisti più arroganti, poi, interpretando in maniera errata
alcuni esperimenti, arrivano addirittura a dichiarare che la casualità

                                   19
delle mutazioni sarebbe stata provata in vari laboratori sparsi in
tutto il mondo!
  Ma ciò non è assolutamente vero e ne riparleremo nel capitolo
dedicato ai SAM, al conformismo e alla genetica.
  Qui, riallacciandomi al quesito di partenza, mi vorrei solo limitare
a discutere del fatto che mentre è accettabile che la selezione naturale
abbia potuto favorire la diffusione degli insetti-foglia non è
assolutamente sostenibile l’ipotesi che essi si siano formati per caso.

   Quando mi è capitato di accennare alla mia ipotesi di un possibile
legame tra mimetismo ed evoluzionismo (ipotizzando, cioè, che
entrambi i meccanismi potessero essere indotti da una stessa forza
ideoplastica) i SAM, dopo avermi sorriso come si fa con i bambini,
mi hanno sempre risposto ricordandomi il solito esempio scolastico
del melanismo industriale e della Biston betularia!
   E io, dopo aver ricambiato il loro sorriso di sufficienza, ho sempre
chiesto loro cosa c’entrava questo esempio con quello che era
accaduto agli insetti-foglia, ma non ho mai avuto una risposta
soddisfacente, anzi ho capito che alcuni di essi non sapevano
neppure dell’esistenza di questi sorprendenti insetti mimetici.
   La Biston betularia è una falena appartenente alla famiglia dei
geometridi, le cui larve si nutrono di foglie di betulla, faggio, salice
e olmo. Esiste in tre forme cromatiche: il fenotipo chiaro (con ali
bianco sporco), il fenotipo melanico (con ali nere) e un fenotipo
intermedio (marmorizzato), che si manifesta nel caso di eterozigosi.
Il carattere fenotipico “colore delle ali” è controllato da un unico
gene, in cui l’allele carbonaria (ali nere) ha una dominanza quasi
completa sull’allele typica (ali bianche).
   Ebbene, si vide che mentre prima della rivoluzione industriale,
in Inghilterra, la maggior parte delle Biston betularia presentava il
fenotipo chiaro, con l’inquinamento prodotto dall’industrializ-
zazione si affermò il fenotipo nero. Questo fenotipo aumentava la
fitness della specie perché aveva il vantaggio di potersi mimetizzare
sui tronchi, anneriti dall’inquinamento, delle betulle presenti in zone
industriali. E avveniva che mentre le falene nere sfuggivano alla
predazione da parte degli uccelli quelle bianche venivano individuate
più facilmente e venivano eliminate.
   Questo esempio conferma, perciò, gli effetti della selezione
naturale sulla distribuzione di un certo allele in una popolazione.
   E, in questo caso, si tratta di un carattere semplice che può essere

                                  20
mutato anche per caso (in quanto la sostanziale differenza tra i due
alleli è che un gene produce un certo pigmento e l’altro no).
   Ma deve essere chiaro che, se spostiamo il discorso sulla comparsa
dell’insetto-foglia, ci ritroviamo in tutt’altro livello di complessità.
   Quanti geni, infatti, avrebbe dovuto cambiare l’insetto-foglia per
assumere quella particolare forma dei margini del corpo, identica alla
lamina delle foglie? Quanti geni avrebbe dovuto cambiare per far
apparire al posto giusto le nervature corrispondenti alle nervature
fogliari? Quanti geni, ancora, per far apparire le macchie di seccume? E
quanti geni, infine, per far somigliare le sue uova ai semi delle piante erbacee?
   E quante sono le probabilità che tutte queste variazioni siano
potute avvenire contemporaneamente, per far sì che l’aspetto
complessivo risultasse così simile alle foglie vegetali?
   In realtà, come è stato messo in evidenza dal noto dilemma di Haldane,
le probabilità che una mutazione così complessa sia potuta avvenire
per caso sono così irrisorie da essere ritenute quasi pari a zero.
   Ma i sostenitori delle mutazioni casuali non si arrendono così
facilmente: essi suppongono che l’evoluzione sia avvenuta per
piccole mutazioni casuali che si sarebbero sommate nel tempo e che,
ogni volta, la selezione naturale avrebbe scartato quelle non adatte.
   Ciò vorrebbe forse significare che, nel corso dell’evoluzione
dell’insetto-foglia, c’è stata anche una fase in cui, per esempio, le
nervature erano spinose, o puntiformi, o tratteggiate? E la forma
del corpo dell’insetto era quadrata o pentagonale o a stella? E il
colore magari rosso o blu o giallo, invece che verde? E che, dopo la
comparsa di un certo numero di mutazioni sbagliate, siano poi
comparse alcune mutazioni giuste? E queste si sarebbero sommate
a quelle precedenti giuste e non a quelle precedenti sbagliate?
   A me, questa seconda ipotesi, sembra ancora più incredibile della
prima. Con essa, infatti, si moltiplica enormemente il numero di
“tentativi ed errori” che la natura avrebbe dovuto compiere per
giungere, alla fine, a creare l’insetto-foglia.
   E mentre gli insetti-foglia subivano questa lunga serie di mutazioni
parziali e poco mimetiche, cosa facevano i loro nemici naturali invece di
predarli e di eliminarli dal pianeta? Lanciavano casualmente le monetine?
    Inoltre, vorrei far notare che la casualità della comparsa delle
mutazioni adattative è inaccettabile non solo dal punto di vista
statistico ma anche da quello concettuale. Intendo dire: perché
l’insetto-foglia ha assunto proprio la forma di una foglia del suo
ambiente e non quella di una foglia di banano, di patata o di Cannabis?
                                      21
La risposta dei neodarwinisti è: perché se avesse assunto la forma
di una foglia diversa sarebbe stato individuato e predato.
  Ma questa risposta non è affatto valida: infatti, gli insetti e gli
uccelli entomofagi non mangiano le foglie di banano o di patata né
fanno uso di quelle di Cannabis (contrariamente ad alcuni SAM di
mia conoscenza che, a giudicare dai loro discorsi, sembra ne facciano
un uso poco consigliabile). Perciò è evidente che la domanda non
ha avuto ancora una risposta soddisfacente.
  Ma vorrei andare ancora oltre e chiedermi: come mai non abbiamo
mai trovato un insetto a forma di iPhone? Perché nessun animale
ha il logo di Facebook o di Google sulla schiena?
  Eppure, il caso avrebbe potuto produrre anche animali con tali
scritte. E questi di sicuro non sarebbero stati attaccati dai loro
predatori (questo l’ho verificato di persona: nessun insetto o uccello
ha mai attaccato il mio iPhone o la schermata di Google) e, quindi,
sarebbero stati risparmiati dalla selezione naturale e dovrebbero
ancora esistere in natura!
  Insomma, se si lascia il caso libero di agire non avrebbero dovuto
prodursi anche le forme più bizarre e improbabili?
  E perché, invece, in natura troviamo solo l’insetto-foglia e non
anche l’insetto-Google?
  È semplice: noi troviamo l’insetto-foglia perché un suo progenitore
ha desiderato assumere proprio la forma delle foglie del suo habitat
naturale, oppure perché la sua mente è stata sollecitata da ciò che
esso vedeva nel suo ambiente circostante! E Google, Facebook e
gli iPhone non esistevano ancora e, pertanto, non potevano essere
mimati.
  Ed è proprio da questa constatazione che nasce l’idea di base
della teoria che ho chiamato Plasticismo evolutivo e che propone un
Evoluzionismo ideoplastico. Ovvero: l’insorgenza delle mutazioni
evolutive non è un processo casuale ma un processo orientato dalla
volontà dei viventi, che risponde a precise sollecitazioni ambientali.
  E nulla vieta che possa essere sia graduale (quando si hanno
mutazioni che si realizzano in step successivi in più generazioni)
che totale (quando l’adattamento si completa in una sola
generazione).
  L’unica differenza sarebbe che, nel primo caso, a causa del
permanere delle condizioni di necessità e dell’adattamento solo
parziale ottenuto, l’azione ideoplastica verrebbe esercitata dalle
menti degli individui, solo parzialmente mutati, di più generazioni.

                                 22
3. Considerazioni sul Lamarckismo.

  Il Lamarckismo, che è precedente al Darwinismo, ha il grande
merito di aver introdotto il concetto di evoluzione in opposizione
a quello del fissismo, che riteneva che le specie viventi fossero
immutabili.
  Inoltre, anche se nel corso degli anni è stato ampiamente
confutato, ritengo che esso conservi tuttora un impianto concettuale
degno della massima considerazione. E mi riferisco all’aver
ipotizzato che l’evoluzione non derivi dal caso ma da una necessità
evolutiva - cosa questa che condivido pienamente.
  Di questa rivoluzionaria teoria fu contestato sia il presunto
meccanismo di induzione delle mutazioni sia il fatto che essa non
riesce a spiegare come le caratteristiche acquisite a livello somatico
vengano poi trasmesse alle generazioni future.
  Per quanto riguarda il primo punto, è noto che, secondo il
Lamarckismo, la comparsa di nuove caratteristiche avverrebbe
attraverso uno sforzo fisico esercitato da un individuo sulle sue
cellule e str utture somatiche (attraverso sollecitazioni
meccaniche e lo spostamento di “fluidi” negli organi
maggior mente sollecitati) mentre la scomparsa di alcune
appendici era dovuta al fatto che queste non venivano più usate
e sollecitate (principio dell’uso e del non uso).
  Gli esempi tipici erano quello dell’allungamento del collo delle
giraffe (che avrebbero sviluppato un collo così lungo a causa degli
sforzi fisici da esse prodotti per poter raggiungere le foglie poste
più in alto) e dei serpenti (che avrebbero perso le zampe perché
non le utilizzavano).
  Ma alcuni studiosi, tra cui Georges Cuvier, il fondatore della
paleontologia dei vertebrati, si opposero a questa teoria in quanto
essa non spiegava la comparsa di caratteristiche non dipendenti dall’uso
e disuso delle parti, come la pelle maculata e mimetica delle stesse
giraffe (e, aggiungo io, come anche tutte le mutazioni con finalità
mimetiche accennate nel presente saggio divulgativo).
  Altri oppositori ricorsero a un sadico esperimento per contestare
sia la validità del principio dell’uso e disuso sia l’ipotesi che le
caratteristiche acquisite, a livello somatico, potessero poi essere
trasmesse alle generazioni successive. Essi tagliarono le code, per
varie generazioni, ad alcuni topini di laboratorio (che, così, non
avevano modo di usarle) e fecero notare che i discendenti

                                  23
nascevano sempre con le code: quindi le variazioni del corpo dei
genitori, causate da fattori fisici, non venivano trasmesse ai figli.
  Tuttavia, io condivido con Lamarck l’idea che la comparsa di
nuove caratteristiche in un essere vivente non sia dovuta al caso ma
alla necessità dell’individuo di rispondere alle pressioni ambientali o
di adattarsi a nuove condizioni di vita.
  La sostanziale differenza tra Lamarckismo e Plasticismo evolutivo (o
Evoluzionismo ideoplastico) consiste nel fatto che, mentre secondo
Lamarck l’individuo induceva la comparsa di nuove caratteristiche
attraverso azioni fisiche (uso e non uso), secondo me l’individuo è in
grado indurre le mutazioni adattative agendo - tramite un’azione
psichica e ideoplastica - direttamente sul genoma delle sue cellule
germinali.
  Questa mia ipotesi spiegherebbe, perciò, sia la comparsa - in tempi
brevi - di nuove caratteristiche desiderabili (e che non costringono,
come vorrebbero i neo-darwinisti, il caso a fare miliardi di tentativi
ed errori), sia la comparsa di caratteristiche non legate al principio
dell’uso e non uso, sia la modalità di trasmissione dei nuovi caratteri
alla progenie.
  Quindi, secondo la mia ipotesi, l’allungamento del collo della
giraffa non sarebbe stato causato dallo sforzo fisico esercitato
dall’animale (cosa questa che avrebbe potuto provocare un minimo
effetto solo sull’individuo che provava a raggiungere le foglie più
in alto e non certo sui suoi discendenti) ma dal desiderio e dall’azione
ideoplastica della mente dello stesso individuo che - con le modalità
che illustrerò più avanti - avrebbe indotto le necessarie variazioni
direttamente nel genoma delle sue cellule ger minali e, di
conseguenza, negli individui delle generazioni successive.
  E ciò sarebbe accaduto non solo per l’allungamento del collo
della giraffa, ma anche per la mobilità del pene degli elefanti (gli
elefanti maschi hanno sviluppato un pene che è mobile proprio
come la proboscide e che tasta l’addome della femmina fino a trovare
la giusta strada) e per tutte le altre mutazioni evolutive di qualsiasi
natura e di qualsiasi specie vivente.
  Aggiungo che anche tutte le mutazioni descritte nel capitolo
successivo, e che riguardano variazioni evolutive con finalità
mimetiche, non possono essere spiegate in alcun modo secondo il
principio lamarckista dell’uso e non uso mentre vengono spiegate
agevolmente dalla teoria del Plasticismo evolutivo.


                                  24
4. Relazione tra mimetismo, evoluzione e convergenza
evolutiva.

   Nel corso dei miei studi di zoologia ho avuto modo di osservare
un particolare comportamento dei sepiidae che mi ha fatto molto
pensare.
   Questi animali sono molluschi cefalopodi marini, estremamente
intelligenti, noti con il nome comune di seppie. La caratteristica
che mi ha più interessato è che essi posseggono spiccate capacità
mimetiche che usano in maniera estremamente creativa. Ad
esempio, alcuni maschi giovani talvolta assumono l’aspetto di
femmine sessualmente immature e riescono così a eludere la
vigilanza dei maschi più grandi e ad accoppiarsi con le loro femmine.
   Ma, soprattutto, queste seppie riescono ad adeguare
istantaneamente il colore del proprio corpo a quello del substrato
sul quale poggiano.
   Tale fenomeno viene detto rapido-mimetismo perché si tratta
di una reazione istantanea e temporanea, per certi versi simile
all’arrossimento dell’essere umano.
   Ebbene, io ipotizzo che questo fenomeno non sia involontario
ma che, al contrario, sia una reazione volontaria dovuta a un
fenomeno di somatizzazione ideoplastica (azione della psiche sul
corpo) dello stesso tipo di quello (cripto-mimetico) che si è
verificato nell’insetto-foglia, che però è riuscito addirittura a
fissare la somiglianza con le foglie in maniera stabile nei suoi
geni (imprinting genomico).
   Ritengo, cioè, che i fenomeni mimetici, sia quelli rapido-mimetici
che quelli cripto-mimetici, costituiscano essi stessi una chiara prova
dell’effettiva influenza della psiche sia sul corpo che sui geni, e che
il meccanismo che li induce abbia molto in comune con quello che
determina l’evoluzione di tutte le specie viventi.
   Secondo la mia ipotesi, quindi, la mente sarebbe in grado non
solo di condizionare la fisiologia dell’individuo e di controllare
l’espressione dei geni, ma anche di creare nuovi geni.
   Quanto finora ipotizzato non è stato ancora provato ma può
costituire un fertile campo di indagine.
   Per conto mio, nei capitoli seguenti, proverò a superare le
principali obiezioni alla mia ipotesi evoluzionistica, presentando
alcuni indizi che sembrano confermarla e suggerendo alcune
possibili spiegazioni dei meccanismi coinvolti. E invito chi

                                  25
volesse approfondire tali aspetti a prendere visione delle altre
mie pubblicazioni al riguardo.
  Per il momento, inviterei i lettori a osservare gli individui
mimetici senza preconcetti, poiché il loro attento studio può
davvero condurci a comprendere meglio l’intero meccanismo
evolutivo.
  Ad esempio, se osserviamo la Kallima inachus, di cui consiglio
di cercare le immagini su Internet, non possiamo evitare di
rimanere meravigliati dal suo aspetto e di porci alcune stimolanti
domande.
  Questa farfalla ha la parte superiore delle ali dipinta con colori
sgargianti, utili per il corteggiamento, ma se chiude le ali,
appiattendole verticalmente l’una sull’altra, mostra la colorazione
del lato inferiore, simile in tutto per tutto, anche per la forma, a
quella delle foglie secche tipiche dell’habitat in cui vive.
  Altri animali da osservare con attenzione sono il “cavalluccio
dragone” (Phyllopteryx taeniolatus), il cavalluccio marino che ha
modificato il suo corpo per somigliare alle alghe del suo ecosistema,
e la Aegeria o Sesia apiformis, una farfalla che ha scelto di somigliare
a un’ape per sfuggire ai suoi predatori (mimetismo foberico).
  Ebbene, mi pare evidente che anche l’evoluzione di queste
specie mimetiche, come delle numerose altre osservabili in
natura, sia stata mirabilmente “orientata” e che non possa essere
stata prodotta né da un meccanismo casuale né dall’uso e non uso.
  E ciò vale anche per l’evoluzione degli insetti foglia, della
giraffa e, sia chiaro, anche per tutti gli animali non mimetici.
  Ad esempio, è noto che tutti gli animali che vivono in un certo
tipo di ambiente finiscono per avere la stessa forma e le stesse
funzioni.
  Gli ittiosauri (sauri acquatici primitivi), i cetacei (delfini, orche,
balene, focene, ecc.) e i pesci, hanno tutti una forma idrodinamica
molto simile e hanno sviluppato le pinne.
  Il pipistrello, che è un mammifero insettivoro, e il guacharo, che è
uno strano uccello dalle penne oleose, vivendo entrambi nel buio
delle grotte, hanno sviluppato una sorta di sonar per orientarsi.
  E, ancora, la talpa comune e la talpa marsupiale, che a parte il
diverso colore del pelo (la prima è nera, la seconda è giallastra),
hanno identica conformazione, pur essendo la prima un mammifero
e la seconda un marsupiale, come i canguri.
  Queste specie vengono dette “convergenti” e la spinta evolutiva

                                  26
che causa la comparsa delle caratteristiche comuni prende il nome
di “convergenza evolutiva”.
  Ebbene, secondo la teoria del Plasticismo evolutivo, siccome queste
specie subiscono tutte lo stesso tipo di pressioni ambientali,
finiscono per desiderare di acquisire tutte gli stessi adattamenti e,
in tal modo, orientano nello stesso senso il processo evolutivo
(evoluzione ideoplastica) e, di conseguenza, finiscono per
assomigliarsi fortemente.
  Naturalmente, nulla impedisce che la selezione naturale possa poi
agire sull’eterogenea popolazione presente favorendo la diffusione
degli individui che si saranno rivelati più adatti. Tuttavia è chiaro
che essa non può essere considerata la causa prima dell’evoluzione
ma solo uno dei fattori che la completano.
  Con quali meccanismi ideoplastici la mente degli esseri viventi
possa determinare la comparsa di mutazioni evolutive e produrre
nuovi geni non è affatto chiaro, e cercheremo di ipotizzare insieme
le possibili modalità nei capitoli che seguono.
  Ma il fatto di non aver ancora ben compreso come funziona il
meccanismo ideoplastico delle mutazioni mimetiche non significa
affatto che esso non esista. L’insetto-foglia esiste, è proprio identico
a una foglia, e in qualche modo deve pure essersi prodotto! E una
volta che sarà chiarito di che natura è l’interfaccia mente-geni
avremo anche compreso il meccanismo generale dell’evoluzione
di tutte le specie viventi.
  Ma prima dovremo affrontare una questione di primaria
importanza: valutare la credibilità dell’ipotesi che tutte le specie
viventi, compresi i vegetali, posseggano una mente.




                                  27
5. Tutti gli esseri viventi sono dotati di mente?

  In sintesi, la mia opinione personale coincide con quella del
premio nobel Max Planck, ritenuto il padre della teoria quantistica,
secondo cui: “Tutta la materia ha origine ed esiste solamente in virtù di
una forza... dobbiamo supporre che dietro questa forza ci sia una mente
consapevole e intelligente. Questa mente è la matrice di tutta la materia”.
  Inoltre, non sarei affatto sorpreso se si scoprisse che tutti i
sistemi in cui scorre energia (stelle e plasma, compresi)
manifestino fenomeni di consapevolezza e di intelligenza.
E, ancora, considerando che la materia non è altro che una delle
tante forme di energia, non faticherei neppure a credere che
anch’essa possa essere intelligente.
  Ovviamente, allo stato attuale, non abbiamo alcuna prova di
ciò, ma alcuni studiosi dalla mentalità più aperta stanno
indagando anche in questi settori di frontiera.
  Alcuni di essi, per esempio, stanno cercando di capire se anche
i computer possono essere coscienti (es. Can Machines Be
Consciuous?, Koch C. e Tononi G., in “IEE Spectrum”, Vol 45, n.6,
pp.54-59, giugno 2008).
  Ma agli aspetti quantistici e filosofici connessi con tale
controverso argomento accennerò nei prossimi capitoli, perchè
in questa fase vorrei limitarmi alle sole considerazioni
naturalistiche.

  In particolare, voglio sottolineare che, a mio parere, è stata
proprio la convinzione - piuttosto ingenua oltre che erronea -
che gli animali, i vegetali e i microbi non posseggano alcuna
facoltà mentale ad aver impedito agli studiosi del passato di
esporsi fino al punto di ipotizzare che il processo evolutivo
potesse essere innescato da un fattore psichico, come invece
propongo a chiare lettere io.
  Di conseguenza, tali studiosi hanno dovuto sforzarsi di trovare
meccanismi di induzione alternativi: i darwinisti hanno tentato
di spiegare la spinta evolutiva con il caso, i lamarckisti con il
principio fisico dell’uso e non-uso, i sostenitori dell’Intelligent Design
con l’azione diretta di Dio, e gli studiosi new-age con improbabili
interazioni automatiche di varia natura.
  Eppure già lo stesso Darwin, in “The power of movement in plants”,
aveva osser vato che gli apici radicali dei vegetali si

                                   28
comportavano come un cer vello esteso, simile a quello degli
animali inferiori. Ma, evidentemente, neppure lui aveva osato
rischiare di esporsi al ridicolo affermando che le piante potessero
addirittura essere coscienti e possedere una vera mente. Infatti,
in epoca più recente, alcune osservazioni tendenti a dimostrare
le presunte capacità psichiche dei vegetali (l’effetto Kirlian,
osservato nel 1939, e gli esperimenti condotti nel 1966 da Cleve
Backster), sono state pesantemente avversate e derise dalla
scienza ufficiale.
  Per quanto mi riguarda, io non ho nessuna difficoltà a credere
che gli animali e i microbi posseggano spiccate capacità mentali.
E la cosa, a mio parere, è dimostrata già dal semplice fatto che
essi interagiscono con l’ambiente, si nutrono, si riproducono e
sopravvivono da milioni di anni, e lo fanno con indiscutibile
successo nonostante le osservazioni - talora davvero esilaranti
- di alcuni scienziati e dei soliti SAM.
  Quando noto la sorpresa e lo stupore di alcuni ricercatori nel
constatare, per esempio, che una scimmia riesce a prendere una
nocciolina in un bicchiere facendo alzare il livello dell’acqua in
esso contenuto, non rimango per niente sorpreso dell’intelligenza
mostrata dalla scimmia (che in natura, per sopravvivere, risolve
continuamente problemi ben più complessi e vitali), ma
comincio ad avere serissimi dubbi sull’intelligenza dei ricercatori
e su come essi sprechino il loro tempo e i soldi dei contribuenti.
  Per quanto riguarda invece la presunta intelligenza dei vegetali
faccio esplicito riferimento, oltre che alle osservazioni di Darwin
prima citate, agli studi condotti dal prof. Stefano Mancuso,
dell’Università di Firenze, e al suo filone di ricerca denominato
“neurobiologia vegetale” o “plant neurobiology”.
  Ammetto, in conclusione, che su tali aspetti non si è giunti
ancora a conclusioni definitive e condivise. Tuttavia faccio
notare che anche nei vegetali si verificano fenomeni di
mimetismo che non possono essere ritenuti casuali e che mi
fanno ipotizzare che anch’essi abbiano utilizzato le loro facoltà
mentali per assumere determinate forme.
  Mi riferisco, per esempio, alla particolare forma del fiore
dell’Ophrys apifera, un’orchidea che, per attrarre le api e per
favorire l’impollinazione, ha sviluppato una parte del fiore fino
a renderla perfettamente simile (per colore, forma, dimensioni
e odore) a quello dell’addome di un’ape femmina.

                                29
Inviterei perciò i ricercatori a non ignorare le osservazioni
naturalistiche da me riportate e a ricercare spiegazioni
evoluzionistiche diverse dal caso.
  Anche riprendendo vecchie ipotesi - come quelle avanzate da
Kirlian e da Backster (teoria della percezione primaria), forse
accantonate troppo frettolosamente - e riconsiderandole eventual-
mente alla luce delle nuove prospettive fornite dalla fisica
quantistica e delle osservazioni relative al presunto bio-entanglement,
alcune delle quali riportate nel mio precedente saggio.
  Le neuroscienze stanno compiendo passi da gigante e non è da
escludere che gli studi condotti sulla BCI (brain-computer interface,
chiamata anche MMI, BMI, oppure direct neural interface) possano in
parte essere utilizzati, da qualche ricercatore più ispirato, anche
per studiare l’effetto ideoplastico della psiche sulla produzione di
nuovi geni, come da me ipotizzato.




                                  30
6. Relazione tra mente, genoma, ipnologia e scienze
quantistiche.

  Come è stato già detto, l’ipotesi che la mente possa agire sul corpo
e sul genoma, fino a determinare la comparsa di nuovi geni,
costituisce la base principale della teoria del Plasticismo Evolutivo.
  E ribadisco che lo stesso fatto che gli organismi rapido-mimetici
siano in grado di cambiare a volontà l’aspetto del proprio corpo
costituisce già una chiara prova del potere ideoplastico della psiche.
  Nel saggio “Plasticismo evolutivo. Una nuova ipotesi evoluzionistica
basata sulla biologia quantistica e sull’entanglement olografico” ho riportato
alcuni indizi e considerazioni tendenti ad avvalorare questa mia
ipotesi di studio, e ad esso rimando per ulteriori approfondimenti.
  Qui mi limito a evidenziare alcuni esempi provenienti dai settori
della medicina, della psichiatria e dell’ipnologia.
  Ricordo, innanzitutto, che in medicina sono normalmente considerati
reali sia l’effetto placebo che il suo opposto, l’effetto nocebo. Ed essi
dimostrano chiaramente come le convinzioni e lo stato mentale degli
individui possano condizionare sensibilmente il loro stato di salute.
  Anche la psichiatria ci offre un interessante esempio dell’influenza
della mente sul corpo: la MPD o Multiple Personality Disorder.
  Le persone affette da questa patologia quando credono di essere
una determinata personalità hanno certe manifestazioni fisiologiche
(per esempio, sono violentemente allergiche alla puntura degli
insetti) mentre, quando credono di essere un altro individuo, hanno
tutt’altro tipo di comportamento (per esempio, mostrano reazioni
allergiche nulle o molto limitate). È stato anche osservato che, in
alcuni casi, i soggetti variano addirittura i colori dell’iride dei loro
occhi.
  Tali manifestazioni non hanno basi genetiche - poiché si tratta
sempre dello stesso individuo con lo stesso corredo genetico - ma
psichiche, e si possono spiegare solo ammettendo che la psiche
dell’individuo possa condizionare profondamente la fisiologia, forse
interagendo con i meccanismi di controllo epigenetico.
  Altri impressionanti effetti di somatizzazione, talora associati alla
MPD, sono costituiti dalle gravidanze isteriche e forse - quantomeno
in alcuni casi - dalle stimmate e dalle autoguarigioni miracolose.
  In particolare, per quanto riguarda queste ultime, non è da
escludere qualche tipo di interazione con le cellule staminali.
  Anche l’ipnologia ci fornisce alcuni esempi di un possibile controllo

                                     31
della mente, soprattutto della sua componente inconscia, sul corpo.
   In letteratura sono riportati, infatti, numerosi casi che
testimoniano come un soggetto in stato di trance ipnotica sia in
grado di controllare il dolore, di far sparire le verruche, e anche
di causare un aumento della circonferenza del seno.
   A tale proposito, riporto un estratto di uno studio condotto dal dott.
Willard (Willard, R. D., Accrescimento del seno tramite immaginazione visiva
e ipnosi. “The American Journal of Clinical Hypnosis”, 1977, 4:195-200):
«Alla fine di 12 settimane, il 28% aveva raggiunto l’obiettivo prefissato
all’inizio del programma e non desiderò più alcun accrescimento. L’85%
riportò che c’era stato un accrescimento significativo dei seni, e il 46%
trovò necessario comprare biancheria intima più grande. Il quarantadue
per cento ebbe un calo di peso maggiore di 4 pounds (1,81 kg) e aveva
anche un accrescimento del seno. L’accrescimento medio della
circonferenza fu di 1,37 pollici (3,48 cm.); l’accrescimento in verticale
delle misure fu di 0.67 pollici (1,702 cm.) e l’accrescimento in
orizzontale fu di 1.01 pollici (2,565 cm.)».
   Tutti questi esempi, però, provano solo che la mente può avere
effetti sulla fisiologia e su alcune caratteristiche somatiche
(somatizzazione), e non che ci sia una relazione diretta tra azione
mentale e modifica del patrimonio genetico. Tuttavia, se si ammette
che la mente possa agire sulle cellule somatiche non si comprende
perché non possa agire anche sulle cellule germinali e sul DNA.
   Io sono convinto che la prova dell’interazione tra mente e DNA
sia già sotto i nostri occhi, e che sia facilmente riconoscibile,
purché accettiamo di osservarla senza preconcetti.
   E mi riferisco sia ad alcuni episodi di “imprinting somatico” che
ho riportato nel mio saggio precedente (come i gattini nati con una
data o con la scritta cat sul corpo, e una gallina che deponeva uova
a forma di noci) sia alla particolare forma assunta dagli insetti foglia
e dalle loro uova, al mantello mimetico della giraffa e al corpo a
forma di alga del cavalluccio dragone.
   Poiché, come ho ribadito più volte, secondo la mia ipotesi
ideoplastica è stata la mente, in risposta a un desiderio di
adattamento o a una visualizzazione eidetica (insight), a fissare le
mutazioni nei geni dei gameti, che poi hanno provveduto a
trasmetterle alle generazioni successive.
   Ma questa, allo stato attuale, è solamente un’ipotesi ancora
da dimostrare. Perciò, voglio nuovamente invitare i ricercatori a
considerare seriamente la possibilità che l’induzione evolutiva non

                                    32
sia un evento casuale ma che sia un evento orientato dalla forza mentale
degli individui, e a realizzare una serie di esperimenti che possano
confermare o confutare tale ipotesi, tenendo presente che essa
sembra essere suffragata dalle mie osservazioni naturalistiche sulle
specie mimetiche.
   Io, in particolare, suggerirei di adottare un approccio che tenga
conto dei risultati delle scienze quantistiche. E ciò per una
questione di “coerenza intellettuale”, e cioè che le conclusioni
a cui è giunta la fisica quantistica a proposito della materia
inanimata devono essere ritenute valide anche per la materia
biologica, che ha la stessa struttura elementare.
   Quindi, se la materia ha una natura duale (corpuscolare e
ondulatoria) anche i sistemi biologici devono essere studiati
tenendo conto degli aspetti quantistici.
   E, se alcune conclusioni sono ritenute valide in campo
inanimato (es. l’influenza da parte dell’osservatore tramite il
“collasso della funzione d’onda”, il tunneling, l’effetto Einstein-
Podolsky-Rosen, l’entanglement, la non-località, ecc.) esse devono
essere ritenute ugualmente valide anche a quando si studiano i
fenomeni biologici.
   In definitiva, pur non escludendo altre possibili interpretazioni
o interazioni (eventuali relazioni con la proteomica, presunte
proprietà mnemoniche dell’acqua, ecc.), tenendo conto delle
considerazioni che riporto brevemente qui di seguito, io
propendo per l’ipotesi che l’interfaccia mente-corpo e mente-
geni possa essere di tipo ondulatorio, e faccio diretto riferimento
ai paradigmi olografici di Pribram e di Bohm.
   Karl H. Pribram, insigne medico neurochirurgo austriaco,
stimolato dalle teorie quantistiche di Bohm, teorizzò un modello
olografico del cervello (Holonomic Brain Theory) secondo il quale
le informazioni e i ricordi non sarebbero registrati nei neuroni,
ma sarebbero il risultato di figure d’onda (o pattern interferenti),
rappresentabili con le equazioni di Fourier, e spiegò in tal modo
la capacità del cervello di immagazzinare un’enorme quantità
di informazioni in uno spazio relativamente piccolo.
   Ebbene io, in accordo con quanto ipotizzato da Bernstein,
penso che sia collegato in maniera olografica non solamente il
cervello ma l’intero corpo. Pertanto, tutte le informazioni,
memoria compresa, sarebbero distribuite e memorizzate in tutto
il corpo, in un campo ondulatorio di natura quantistica.

                                  33
E sostengo questa ipotesi collegandomi a tre considerazioni:
la presunta memoria degli organi dei trapiantati, le possibili
implicazioni dell’esperimento di Valerie Hunt, e la presunta mente
collettiva degli insetti sociali.
  Pare, infatti, che molte delle persone che hanno subito il trapianto
di uno o più organi, abbiano acquisito, senza aver ricevuto
informazioni da altre fonti, alcune abitudini dei donatori. Come se
gli organi trapiantati avessero conservato, con un meccanismo
ancora sconosciuto, ma che io ipotizzo possa essere di natura
olografica e ondulatoria, la memoria del donatore.
  E a un campo energetico e immateriale che avvolge l’essere umano
farebbe pensare anche un esperimento di Valerie Hunt.
  Questa ricercatrice americana, studiando le risposte di alcuni
soggetti a uno stimolo luminoso e confrontando le letture degli
elettromiogrammi (EMG) e degli elettroencefalogrammi (EEG),
osservò che, inaspettatamente, l’elettromiogramma registrava la
risposta allo stimolo prima ancora dell’encefalogramma. Fatto
questo che farebbe proprio supporre l’esistenza di un campo
energetico mentale che circonderebbe il corpo e che addirittura
sovrintenderebbe alle funzioni cerebrali.
  E l’ipotesi che la mente possa essere costituita da un campo
energetico separato dal substrato biologico ma ad esso collegato
(bio-entanglement) può essere rafforzata anche dall’osservazione del
comportamento dei cosiddetti “insetti sociali” (formiche, api,
termiti).
  Le colonie di questi insetti vengono, infatti, spesso definite
superorganismi, proprio a causa del fatto che il loro comportamento
sembra essere coordinato da una “mente collettiva” che li porta a
compiere azioni così complesse da non poter essere spiegate con i
soli linguaggi chimici (feromoni) o mimici.
  D’altra parte, l’esistenza di campi morfogenetici, capaci di modellare
la forma e le funzioni di un individuo in via di sviluppo, non è
un’idea nuova, ed è stata ipotizzata dai biologi fin dagli anni ‘20
del secolo scorso e, in tempi più recenti, è stata ripresa anche da
altri studiosi, tra cui il più eminente è sicuramente Rupert Sheldrake.
  Ed è anche il caso di precisare che l’idea che attorno al corpo
umano esista un “campo” di forza, più o meno intelligente,
generalmente definito “aura”, è antichissima: in India da oltre 5.000
anni viene chiamato prana; in Cina viene chiamato ch’i e la Kabalah
ebraica lo definisce nefish e lo descrive come una bolla iridescente

                                  34
di forma ovale che circonderebbe il corpo umano e che sarebbe visibile
da alcuni mistici.
  Nonostante che, lo ripeto, il Plasticismo Evolutivo si basi
soprattutto su considerazioni naturalistiche (in particolare, sul
rapporto tra mimetismo ed evoluzione delle specie), il riferimento
diretto al paradigma olografico di Bohm può, forse essere utile anche
per rispondere a un preciso quesito. E cioè: da dove la psiche
dell’individuo può acquisire le informazioni necessarie per una
mutazione evolutiva la cui soluzione non sia già presente in natura?
  La risposta è: nella porzione dell’universo fisico dove le matrici
di tali forme risiedono.
  Lo so: questa risposta starà facendo gongolare di gioia tutti i SAM
del pianeta, che la ritengono così fantasiosa da sfiorare quasi l’idiozia.
  Tuttavia questa idea non appariva così strana a molti filosofi
(pensiero filosofico di Giordano Bruno e di Hegel, l’iperuranio di
Platone, ecc.) né agli studiosi di scienze cognitive (es. inconscio
collettivo di Jung). E neppure a una buona parte di fisici teorici
che - sia in cosmologia che in fisica quantistica - hanno presentato
teorie simili, secondo le quali la realtà oggettiva, a quattro
dimensioni (le tre spaziali, più il tempo), sarebbe la proiezione
olografica di una matrice bidimensionale situata altrove.
  Bohm, in particolare, ha teorizzato l’esistenza di due piani fisici
collegati in maniera olografica e non-locale: un implicate order, in cui
risiederebbero tutte le informazioni olografiche di ciò che esiste
nella realtà fisica, e la realtà oggettiva, da lui chiamata esplicate order.
  E lo stesso Albert Einstein ha avuto modo di esprimere un analogo
concetto, con la frase: “Tutto è determinato da forze sulle quali non
abbiamo alcun controllo. Vale per l’insetto come per gli astri. Esseri umani,
vegetali o polvere cosmica, tutti danziamo al ritmo di una musica misteriosa,
suonata in lontananza da un pifferaio invisibile”.
  Aggiungo che l’implicate order di Bohm, così simile al mondo delle
idee di Platone, potrebbe essere anche il luogo in cui risiedono non
soltanto le matrici fisiche degli esseri viventi ma anche le matrici
dei loro comportamenti istintuali, con cui si potrebbero spiegare
alcuni sbalorditivi comportamenti di alcuni esseri viventi (per
esempio, l’incredibile perizia con cui i ragni tessono le loro tele e le
api le cellette esagonali dei loro alveari).

 Infine, ammetto che molte delle osservazioni riportate in questo
capitolo (come, per esempio, gli effetti ideoplastici e di

                                    35
somatizzazione osservati in ipnologia e in psichiatria) non sono
così frequenti e, talora, non facilmente ripetibili, ma ciò non vuol
dire affatto che non esistano e che non debbano essere studiati.
  Del resto, faccio notare che anche gli stessi eventi evoluzionistici
non sono poi così frequenti. Ad esempio, l’essere umano negli ultimi
millenni non si è per niente evoluto.
  Abbiamo a che fare, quindi, con fenomeni non frequenti e ciò, a
mio modo di vedere, è un’altra importante caratteristica che hanno
in comune i fenomeni indotti psichicamente e l’evoluzione.
  Questo forse perché, affinché si verifichino, c’è bisogno di
condizioni particolari ed estreme, corrispondenti in ipnologia al
monoideismo, e in ambito evoluzionistico a particolari e intensi
stati di necessità, in qualche caso forse anche protratti per un certo
tempo.
  E, a questo punto, voglio ribadire due concetti basilari.
  Il primo è che ricercare le possibili spiegazioni del fenomeno
evoluzionistico anche tra le ipotesi più fantasiose è sempre meglio
che accontentarsi della non-spiegazione rappresentata dalla sterile,
dogmatica e non scientifica ipotesi delle presunte mutazioni casuali.
  Il secondo è che, se si accettano alcune conclusioni in un settore
di ricerca, esse devono essere ritenute ugualmente valide anche
negli altri settori di ricerca (principio che io definisco di “coerenza
intellettuale”): quindi, per esempio, non vedo alcun problema nel
provare ad applicare alcuni dei principi di fisica quantistica allo
studio dell’evoluzione delle specie viventi.
  E, per concludere, vorrei segnalare un altro possibile elemento di
riflessione: tutti i fenomeni osservabili in natura sono regolati da
precise leggi, forze e regole. Perché proprio l’evoluzione dovrebbe
fare eccezione? Solo per accontentare i SAM e i neo-darwinisti?




                                  36
7. SAM, Podaciris sicula e rapporti con la genetica.

   I SAM (Studiosi Accademici Medi) sono un particolarissimo
gruppo antropologico i cui caratteri principali sono costituiti da
egocentrismo, presunzione, maleducazione e irascibilità.
   Spesse volte si tratta di anonimi ricercatori che non hanno mai
scoperto niente di rilevante e che sono piuttosto frustrati per aver
trascorso tanti anni della loro vita a fare niente.
   A volte sono titolari, incredibilmente e chissà come, di una
cattedra universitaria. Altre volte scrivono libri su argomenti di cui
non hanno contribuito in alcun modo ad accrescere la conoscenza
e - talora - ci guadagnano pure bene, oltre che immeritatamente.
   In quest’ultimo caso, difendono il loro campetto di interesse con
particolare veemenza, come quei cani che proteggono il loro ristretto
e vitale territorio fino alla morte.
   Anche se hanno spesso una formazione settoriale e limitata, e
quasi sempre diversa dall’argomento di cui scrivono, pensano di
essere esperti di tutti i campi dello scibile e offendono pesantemente
(sia nei titoli che nei contenuti dei loro libri) tutti coloro che hanno
opinioni diverse dalle loro.
   Non faccio nomi, per il momento. Ma costoro si riconoscono
facilmente per le loro posizioni fondamentalistiche e scientiste.
   Sono, metaforicamente, come gli asini con i paraocchi (accessori
che li costringono a guardare solo una parte della realtà che li
circonda) e, spesso, hanno pure problemi con la cervicale (patologia
che non gli consente di ruotare nemmeno un po’ il collo di lato, per
cambiare visione), e sono anche miopi (poiché non vedono più in
là della lunghezza limitata del proprio naso). Sono estremamente
conformisti (si veda, a tale proposito l’illuminante esperimento sul
conformismo eseguito da Solomon Asch nel 1956) e tendono a
negare ogni evidenza contraria alle loro rigide convinzioni o alle
loro convenienze, e difendono strenuamente le ideologie dominanti.
   E sono, di sicuro, meno simpatici dei creazionisti (che,
quantomeno, non sono così presuntuosi da credere solo in sé stessi)!
   Infine, anche se non se ne rendono conto, rallentano gravemente
il progresso scientifico, perché ostacolano lo studio di tutto ciò che
non sia già acquisito e non comprendono che, con tale
atteggiamento, l’umanità non scoprirebbe mai niente di nuovo!
Inoltre, trattano con sufficienza, presunzione e maleducazione tutti
coloro che hanno opinioni diverse dalla loro.

                                  37
I creazionisti, invece, sono molto più simpatici e, anche se
non condivido affatto le loro posizioni, devo dire che, per par
condicio, anche le loro opinioni meriterebbero un minimo di
considerazione.
   A livello puramente speculativo, infatti, nonostante ci siano
molti fossili intermedi che fanno propendere per la teoria
evoluzionistica e che la geologia abbia dimostrato che l’età della
Terra è di circa 4,54 miliardi di anni, essi potrebbero anche
sostenere che la Terra abbia solo tre giorni di vita e che i fossili
non provino proprio un bel niente.
   Infatti, se è stato davvero un Dio a creare la Terra nulla vieta
che avrebbe potuta farla, appena tre giorni fa, “già vecchia” di
4,54 miliardi di anni. E, sempre tre giorni fa, potrebbe anche
aver disseminato un po’ di falsi fossili qua e là e impiantato
nella nostra testa mortale i ricordi (tasse e mutui compresi) di
quella che pensiamo sia stata tutta la nostra vita fino ad oggi.
   E va bene: ammetto che questa teoria è piuttosto balorda!
   Ma, se vogliamo essere obiettivi, non lo è molto di più di quella
dei sostenitori dell’evoluzione casuale e che affermano - sapendo
bene di mentire - che nei laboratori di tutto il mondo ci sarebbero
le prove che l’evoluzione delle specie viventi viene prodotta
dal caso.
   E ai SAM vorrei anche dire che, se qualche volta hanno visto
entrare in qualche laboratorio una femmina pelosa e dall’aspetto
primitivo e poi uscirne una bella e affascinante donna moderna,
che controllino bene: il laboratorio dinanzi al quale si trovavano
doveva essere certamente quello di un centro estetico e non
certo di genetica!
   Ironia a parte, so bene - almeno quanto i SAM - che con
l’ingegneria genetica si riescono a far acquisire alle specie viventi
nuove e interessanti caratteristiche. E segnalo che, come agronomo,
ho preso visione di numerosi studi a riguardo, i primi dei quali sono
stati realizzati proprio nel settore di mia competenza: ovvero, quello
degli organismi vegetali e degli animali di interesse zootecnico.
   Ma deve essere chiaro che tutte le variazioni ottenute in
laboratorio non sono state affatto casuali (visto che sono state
operate intenzionalmente dall’uomo) e che mai, finora,
variazioni sperimentali minime, anche artificiali, hanno portato
a mutazioni significative e funzionali, paragonabili cioè alla
comparsa di una nuova specie o di un nuovo organo funzionale.

                                 38
Le mutazioni genetiche casuali possono forse portare a piccole
variazioni (micro-mutazioni), spesso dannose e raramente
funzionali, ma che possano addirittura condurre alla comparsa
di complesse mutazioni evolutive - che coinvolgono numerosi
organi e che devono agire in perfetta sintonia - è un’ipotesi ancora
tutta da dimostrare.
  Ma, ovviamente, sono sempre disposto a rivedere le mie
opinioni se mi verrà dimostrato il contrario. Nel frattempo, in
assenza di dimostrazioni inconfutabili, e pur credendo
fermamente nell’evoluzione degli esseri viventi, continuerò a
ritenere che essa non possa essere determinata dal caso ma che
sia orientata da qualche forza che non abbiamo ancora compreso.
  Perciò, basandomi sulle mie osservazioni naturalistiche sul
mimetismo, continuerò a sostenere la validità dell’evoluzionismo
ideoplastico o Plasticismo evolutivo.

   Vorrei poi chiarire che anche l’esempio della Podaciris sicula,
che tanto piace ad alcuni SAM, può avere spiegazioni molto
diverse da quella casuale da loro proposta.
   Com’è noto, nel 1971 il prof. Eviatar Nevo immise nello
scoglio dalmata di Hrid Pod Mrèaru un certo numero di esemplari
di una piccola lucertola, la Podaciris sicula, per studiare come si
sarebbe adattata al nuovo habitat.
   Nel 2004 un team di scienziati guidato da Duncan Irschick e
Anthony Herrel ritornò sull’isola e osservò che si erano verificati
alcuni cambiamenti morfologici della lucertola.
   L’analisi del DNA mitocondriale eseguita sulle lucertole presenti
sullo scoglio confermò che esse erano appartenenti alla specie
Podarcis sicula ma presentavano importanti differenze: erano più
grandi di quelle del continente, le loro mascelle erano diventate
più robuste, avevano modificato il loro regime alimentare (che da
insettivoro era diventato erbivoro) e nel loro apparato digerente
era comparsa una nuova struttura: la valvola ileocecale, un
favorevole adattamento al nuovo tipo di alimentazione.
   Secondo i sostenitori del neo-darwinismo questo sarebbe un chiaro
esempio di evoluzione. E io tendo a concordare con loro anche se,
purtroppo, non si può escludere del tutto che su quell’isolotto fossero
già presenti, o fossero giunte tra il 1971 e il 2004, a insaputa nostra e
dei ricercatori, delle lucertole maschio portatrici del carattere “valvola
ileoceale”. In tal caso queste ultime avrebbero potuto incrociarsi con

                                   39
le femmine delle lucertole introdotte nel 1971 e tale ipotetico
incrocio non sarebbe stato evidenziato dall’esame del DNA
mitocondriale, la cui trasmissione è madre-dipendente (poiché, di
norma, i pochi mitocondri maschili vengono eliminati dallo zigote).
  Tuttavia, se si esclude questa ipotesi, tutt’altro che improbabile,
non è corretto né automatico concludere che la presunta mutazione
sia stata causata da mutazioni casuali.
  Anzi, è più probabile l’esatto contrario.
  Infatti, lo stretto lasso di tempo (non superiore a 33 anni, ma
forse anche di molto inferiore, poiché non sappiamo con certezza
quando sia apparso il carattere “valvola ileocecale”) rende poco
credibile che in tale breve intervallo di tempo ci siano state
tutta una serie di mutazioni casuali tra le quali poi la selezione
naturale avrebbe scelto quella più adatta al nuovo habitat. Anche
perché sull’isolotto non sono state osservare specie intermedie
(per esempio, con valvola ileocecale abbozzata o parzialmente
funzionante) o presentanti altre mutazioni “sbagliate”.
  Perciò è più probabile, se mutazione c’è stata, che essa sia stata
orientata dalla psiche delle lucertole, stimolata dal forzato
cambiamento di regime alimentare causato dalle caratteristiche
ambientali del nuovo habitat.
  E tale forza ideoplastica avrebbe potuto agire, anche nello spazio
limitatissimo di una sola generazione e senza necessità di ricorrere
a prove ed errori casuali, direttamente sul DNA delle cellule
germinali, con tre possibili modalità: o, come ipotizzo nel mio
precedente saggio, attivando una “complessione genomica” già
presente nell’iperspecie Podacirisi sicula; o causando una mutazione
ideoplastica nel DNA; oppure accedendo alle informazioni presenti
nella matrice dell’implicate order teorizzato da Bohm.
  Sull’eterogenea popolazione così prodotta avrebbe poi agito la
selezione naturale, eliminando le lucertole introdotte nel 1971.
  Quindi, come si vede, l’ipotesi di studio da me denominata
Plasticismo evolutivo, non nega affatto la stretta relazione tra le specie
viventi e la genetica (nonché con l’epigenetica e con la proteomica),
ma considera il DNA più il veicolo che la sorgente dell’evoluzione,
in quanto ipotizza che la presunta azione ideoplastica o mutagena
della psiche avrebbe come “bersaglio” ultimo proprio il complesso
epigenomico e la molecola del DNA, la quale poi esplicherebbe le
sue funzioni secondo le modalità studiate e validate in tutti i laboratori
di genetica del mondo, e che la mia teoria accetta totalmente.

                                   40
Ma torniamo agli aspetti naturalistici.
   Per chiarire meglio la questione vorrei accennare brevemente
all’esempio del camaleonte.
   Questo rettile, oltre che essere mimetico, ha sviluppato una lingua
estroflettibile, lunga circa il doppio del suo corpo, con la quale
cattura le sue prede. Ebbene, osservando questo simpatico animale
durante la caccia, si comprende subito che tale carattere non può
essere comparso per caso: il rettile ha “voluto” sviluppare un simile
organo, si è esercitato e ha desiderato a lungo colpire le sue prede a
distanza e, alla fine, è riuscito a trasmettere questo carattere ai
suoi discendenti, modificando i geni delle cellule germinali, forse
con un meccanismo spiegabile con gli strumenti messi a
disposizione della fisica quantistica.
   Lo stesso processo si è verificato, presumibilmente, anche
nell’evoluzione della rana pescatrice o coda di rospo (Lophius
piscatorius). Questo poco attraente ma saporito pesce ha modificato
il primo raggio della spina dorsale fino a trasformarlo in una
struttura chiamata illicio, simile a un canna da pesca completa di
un’escrescenza carnosa a forma di vermetto, con la quale attira i
pesci davanti alla bocca e li divora.
   Ebbene, neanche questa evoluzione può essere attribuita al caso o
all’uso e non uso ma è stata sicuramente orientata dal desiderio dei progenitori.
E questo, a mio parere, costituisce un’altra prova che l’evoluzione
delle specie viventi non è altro che una volontà che prende forma.
   E mi preme sottolineare che, in natura, esistono numerosi altri
esempi di evoluzioni mimetiche che sarebbe il caso di studiare. E
consiglio ai lettori di cercare in rete, per esempio, le immagini della
mantide-orchidea (Hymenopus coronatus) e degli insetti stecco (Bacillus
rossius, ecc.). Questi ultimi, simili a rametti, per mimetizzarsi meglio
si dispongono allineati ai rami e, quando c’è vento, prendono a
oscillare anch’essi come i rametti mossi dalla brezza. Hanno cioè
la totale consapevolezza di somigliare ai veri rametti e fanno di
tutto per massimizzare il loro mimetismo! Eppure, chissà perché,
alcuni studiosi sono convinti che essi non siano in grado di pensare!
   Infine, ritornando all’esempio della Podaciris sicula con la valvola
ileocecale, mi preme sottolineare che la sua comparsa non può essere
ritenuta, in nessun caso, come la comparsa di una nuova specie,
poiché, da quanto mi risulta, gli individui mutati possono incrociarsi
normalmente con le lucertole senza valvola ileocecale e dare vita a
una progenie fertile.

                                      41
8. Il Plasticismo Evolutivo.


   Riassumendo, l’ipotesi di studio denominata Plasticismo Evolutivo
o Evoluzionismo Ideoplastico propone che l’evoluzione degli esseri
viventi sia dovuta a una presunta azione mutagena della psiche dei
viventi che agirebbe direttamente sul genoma e sull’epigenoma delle
cellule germinali (o, più in generale, delle cellule riproduttive).
   Si fonda su precise osservazioni naturalistiche e, in special modo,
sullo studio degli organismi mimetici.
   In particolare, suppone che il meccanismo che induce le variazioni
temporanee negli organismi rapido-mimetici (es. sepiidae) sia dello
stesso tipo di quello che ha indotto le variazioni fissate
geneticamente negli organismi cripto-mimetici (es. phasmidae), e che
entrambi abbiano dei punti in comune con il meccanismo che
consente l’acquisizione di nuove caratteristiche a tutte specie in
evoluzione.
   Si distingue dal neo-darwinismo perché non accetta il caso come
causa delle mutazioni evolutive e, al contrario, ritiene che
l’evoluzione sia orientata dalla volontà degli esseri viventi. Tuttavia,
pur ridimensionandolo, accetta la fondatezza del meccanismo della
selezione naturale.
   Si distingue dal lamarckismo perché, pur ritenendo che le
mutazioni siano indotte da una necessità vitale, non le spiega con
l’azione di stimoli fisici (principio dell’uso e non uso) ma attraverso
stimoli di natura psichica (azione ideoplastica). Inoltre, rispetto al
lamarckismo riesce anche a spiegare la comparsa di caratteri non
dipendenti dall’uso e non uso e l’ereditarietà dei caratteri acquisiti
(per azione diretta della psiche sul genoma).
   Riconosce il fondamentale ruolo della genetica nell’espressione
dei caratteri fenotipici, ma considera i geni più il veicolo che la
fonte dell’evoluzione (non accetta, cioè, che mutazioni casuali nei
geni possano condurre a mutazioni complesse e funzionali, ma solo
a micro-mutazioni, spesso deleterie).
   Suppone che tutti gli esseri viventi siano dotati di funzioni mentali
e, per quanto riguarda i vegetali, fa anche riferimento alla
neurobiologia vegetale.
   Ipotizza che alcuni aspetti evoluzionistici possano essere spiegati
secondo il paradigma olografico di Bohm. E, infine, pur ammettendo
di non conoscere le modalità con cui la psiche agirebbe sui geni,

                                  42
avanza l’ipotesi che il meccanismo coinvolto possa essere di tipo
quantistico (poiché le conclusioni della fisica quantistica relative
alla materia inanimata devono essere ritenute valide anche per i
sistemi biologici).




  Ciò precisato, concludo invitando i ricercatori a voler tener conto
delle mie osservazioni naturalistiche e a provare a verificare (o
anche a confutare) la mia ipotesi di studio, sia con osservazioni
naturalistiche sia con esperimenti di laboratorio che studino gli
eventuali effetti della psiche sui geni. Anche provando a indagare,
come da me suggerito nel mio romanzo, i possibili effetti dei
potenziali somatosensoriali evocati e dell’ideoplasia ipnotica sul presunto
campo quantistico che avvolgerebbe il corpo e che condizionerebbe
olograficamente il DNA.
  Accetterei di buon grado anche una confutazione, poiché, per
dirla con Karl Popper: «Ogni confutazione dovrebbe essere considerata
come un grosso successo; non semplicemente un successo dello scienziato che ha
confutato la teoria, ma anche quello dello scienziato che ha creato la teoria
confutata e che in questo modo ha suggerito in prima istanza, anche se solo in
modo indiretto, l’esperimento che l’avrebbe confutata».
  Chiarisco, infine, che considero la teoria del Plasticismo Evolutivo
come una terza via tra l’evoluzionismo classico e l’intelligent design:
poiché se si ammette che l’evoluzione sia indotta dalla psiche delle
specie viventi e che queste non sono altro che particelle di Dio,

                                     43
allora affermare che l’evoluzione è determinata dall’azione
ideoplastica della psiche non nega affatto l’azione di un Dio, che
può esprimersi attraverso le opere e le richieste delle sue creature.
  Dal punto di vista filosofico, infine, la mia ipotesi ideoplastica si
riallaccia al monismo panteistico del monaco domenicano Giordano
Bruno (nato a Nola, nei pressi di Napoli, nel 1548, e arso vivo
dall’inquisizione romana, per le sue idee ritenute eretiche, nel 1600),
che nel suo scritto “Spaccio de la bestia trionfante” del 1584, così
scriveva: «La qual natura (come devi sapere) non è altro che Dio nelle cose».




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46
L’oggetto della discordia
                    (Racconto di Pellegrino De Rosa)


  L’oggetto si stagliava immobile e silenzioso, sospeso a mezz’aria,
sopra il mare in bonaccia.
Aveva la forma di un triangolo isoscele, con la base a sinistra e la
punta a destra, e sembrava di metallo.
  Il bambino spalancò gli occhi e corse, trafelato, dall’uomo
chiamato “il Maestro” e lo strattonò tirandogli la tonaca.
  «Che c’è?»
  «Guarda!» fece il bambino, indicando l’oggetto nel cielo. «Cos’è?»
  L’uomo alzò lo sguardo e rimase a bocca aperta.
  L’oggetto era enorme e inquietante, come il dubbio che rode le
vite dei mortali.
  «Non so cos’è. Da quanto tempo è lì?» chiese l’anziano uomo a
sua volta.
  Il bambino alzò le spalle e sgambettò via, corrucciato: dal Maestro
si aspettava delle risposte, non delle domande.

   Il vecchio si mordicchiò un labbro.
   Per quanto ne sapeva lui, quell’oggetto poteva anche essere stato
là, sospeso nel cielo, fin dai tempi della Creazione, senza che nessuno
se ne fosse mai accorto. Gli uomini, infatti, erano troppo presi dai
loro affari e non alzavano mai lo sguardo al cielo.
   La notizia dell’avvistamento si sparse in un battibaleno e tutti,
nell’isola, presero a camminare con il naso all’insù in attesa che
l’oggetto facesse qualche movimento, che andasse via o che cadesse
o che emettesse qualche rumore.
   Ma non avvenne proprio un bel niente!
   E l’oggetto rimase al suo posto per giorni, per mesi e per anni.
   Gli uomini, nel frattempo, si divisero in fazioni: alcuni ebbero
paura, temettero la fine del mondo e formarono una setta religiosa;
altri si misero a studiare un piano per abbatterlo; altri, ancora, presero
a osservarlo con grossi telescopi; altri, infine, cominciarono ad
adorarlo come un Idolo e si diedero alla fornicazione.

 Poi al Maestro venne un’idea.
 Pensò che, oltre che dalla loro isola, quella dei naturalisti, l’oggetto
potesse risultare visibile anche dalle isole vicine. Perciò, vincendo

                                   47
l’innata ritrosia, sollevò il telefono e chiamò i suoi colleghi che
abitavano nell’isola dei fisici.
   E la loro risposta lo lasciò stupefatto: «Noi abbiamo visto l’oggetto
da un bel po’ di tempo. Ma vi sbagliate: non è un triangolo... è un
cerchio!»
   «Un cerchio?»
   «Proprio così... e ha un punto giusto al centro!» continuò il fisico.
   «Ah, ma allora deve trattarsi di un altro oggetto! Strano, però,
che noi non lo vediamo».
   «Se è per questo anche noi vediamo un solo oggetto nel cielo e -
ti ripeto - è un cerchio. Mentre non riusciamo a scorgere il vostro
triangolo».
   «E se vi sbagliaste?» ribatté il professore naturalista. «Forse la
vostra vista non è così buona come credete. Io potrei giurare che si
tratta di un triangolo!»
   «E allora facciamo una cosa» propose il fisico, «chiamiamo i
religiosi e chiediamogli cosa vedono loro».
   «Ottima idea. Vedrai che daranno ragione a noi» rispose il
naturalista.
   Allora telefonarono all’isola dei religiosi e gli chiesero se, dal loro
punto di vista, vedessero qualcosa nel cielo, sospeso sul mare
davanti a loro.
   Il religioso alzò lo sguardo al cielo e ammutolì.
   Era proprio vero!
   Anche nel loro cielo c’era un gigantesco oggetto sospeso a
mezz’aria e non se ne era mai accorto prima.
   Per lo stupore lasciò cadere il telefono, e suonò le campane per
chiamare a raccolta tutti gli abitanti della sua isola.
   «Qualcuno di voi si era già accorto di questo oggetto nel cielo?»
domandò.
   Tutti scuoterono la testa.
   Nessuno lo aveva mai notato!
   Chiamò, quindi, i naturalisti e i fisici e parlò loro: «Anche nel
nostro cielo c’è un oggetto misterioso ma, da come lo vediamo
noi, ha la forma di un cerchio schiacciato - più un’ellissi che un
cerchio - con un piccolo triangolino sulla destra. Perciò, non
dovrebbe trattarsi dello stesso oggetto! Lo osserveremo, ci
rifletteremo, e vi faremo sapere».
   Il Maestro, allora, andò alla spiaggia e piazzò un potente
telescopio.

                                   48
Era ben determinato a non desistere fino a quando non avesse
scoperto cosa fosse quel misterioso oggetto sospeso a mezz’aria.
E rimase ad osservare quell’oggetto per anni, ma senza alcun
risultato.
  Tutti gli altri abitanti dell’isola avevano ormai accettato l’idea
che si trattasse di un triangolo, come dicevano tutti gli altri
naturalisti, e deridevano sia i fisici che i religiosi che vedevano
oggetti diversi. Ma lui non ne era per niente persuaso.
  Una risatina soffocata dietro di sé lo costrinse a girarsi.
  Strinse le palpebre, per mettere meglio a fuoco il volto del
visitatore e, dopo qualche istante, lo riconobbe.
  «Ah, sei tu!» sospirò, imbarazzato.
  Molto tempo era passato e quello che era un bambino era ormai
diventato un ragazzino dallo sguardo vispo e sicuro e lo guardava
sghignazzando, mentre mangiava con gusto un gelato.
  Era proprio il bambino che, anni prima, gli aveva fatto notare
l’oggetto incombente.
  «Senti, non so come dirtelo» sbuffò il Maestro, «ma non ho alcuna
idea di cosa sia quell’oggetto. Per la verità ho chiesto anche ad
altri: ma vedono cose diverse. Alcuni vedono un cerchio, altri un
triangolo, altri un’ellisse con una punta triangolare di lato...» spiegò,
spalancando le braccia e spiando le reazioni del ragazzino, che
sorrideva e continuava a leccare il suo cono gelato.
  «È un cono» dichiarò il ragazzino, alzando il cornetto al cielo.
  «Lo vedo che è un cono gelato» rispose il Maestro, per fortuna
questo riesco ancora a capirlo!
  «Non dicevo questo. Io parlavo di quell’oggetto enorme nel cielo...
è un cono, come questo!»
  Il Maestro sorrise, divertito. «Hai una bella fantasia, e questo è
bene. Però ti sbagli: quello nel cielo non è affatto un cono gelato!»
  «E invece sei tu che ti sbagli, Maestro, perché non hai fantasia e
ragioni solo in base a quello che puoi vedere...»
  Il Maestro arrossì, offeso.
  «Come ti permetti? Io ho studiato tanto, sono un grande accademico,
mentre tu hai la mente vuota, proprio come un foglio bianco!»
  «Ed è proprio per questo che nella mia c’è posto per qualcosa di
nuovo» ribatté il ragazzino. «Guarda: se il gelato lo metto così vedo
un cerchio, se lo giro di lato vedo un triangolo e, se lo metto un po’
obliquo vedo un’ellisse e una punta triangolare di lato» continuò,
sghignazzando.

                                   49
Il Maestro, stupefatto, si lasciò cadere sulla sabbia.
  «Non era poi così difficile» osservò il ragazzino. «Perché mai voi
studiosi non vi siete mai degnati di considerare ognuno anche il
punto di vista degli altri ed elaborare una sintesi?»
  Il ragazzino aveva ragione: la realtà apparente cambiava a seconda
del punto di vista ma l’essenza dell’oggetto era immutabile: l’oggetto
nel cielo era un cono, proprio come un cono gelato!
  E avrebbero potuto capirlo anni prima, se solo ognuno avesse
fatto uno sforzo per ascoltare l’opinione degli altri.
  «E cosa rappresenta quel cono?»
  «Mi sembra chiaro: è il pregiudizio; è il punto di vista fazioso e
parziale»
  «E riusciremo mai a liberarcene?»
  «Forse. Ma si scioglierà solamente se sarà riscaldato dalla luce
della tolleranza… come un cono gelato sotto i raggi del sole!»
rispose il ragazzino, girandosi per andare via.
  «Te ne vai?»
  «Sì. Andrò ad abitare nell’isola dei filosofi. È molto più estesa di
quelle degli scienziati e dei religiosi messe insieme: è a forma di
arco e consente molteplici punti di vista; inoltre, proprio al centro,
ha una montagna, la Vetta della Meditazione, che ti consente di
vedere le cose dall’alto».
  «E noi cosa potremo fare, separati come siamo gli uni dagli altri?»
  «Potreste costruire dei ponti che colleghino le vostre isole tra di
loro, magari anche con quella dei filosofi!»
  «Sarà difficile» commentò il naturalista, «da tempo ho compreso
che ogni capo-isola vuole rimanere separato per dominare meglio
gli abitanti della sua isola...»
  «E allora, almeno parlatevi ogni tanto e cercate di scambiarvi i
punti di vista!»
  Il Maestro storse il naso, dubbioso.
  «Ma tu chi sei veramente?» chiese, infine. «Dimmi chi sei!»
  Il ragazzino fece una lunga pausa e sgranocchiò con gusto il resto
del cono gelato.
  «Sono uno che osserva e che ha la mente e il cuore bianchi come
un foglio vuoto» rispose, con un largo sorriso.




                                 50
51
52
Darwinismo, Intelligent Design o “Plasticismo Evolutivo”?
 (FAQ raccolte da: Benedetta Napolitano, Dante Casoria, Armando
   Cenni, Francesco Colucci, Antonio De Rosa e Enzo Pecorelli).

  Che cos’è il “Plasticismo evolutivo”?
  Il “Plasticismo evolutivo” è una nuova ipotesi sull’evoluzione
delle specie viventi presentata, nel 2009, dal dr. Pellegrino De Rosa,
scrittore e agronomo italiano.
  Secondo tale ipotesi la spinta evolutiva sarebbe costituita da una
presunta azione ideoplastica e mutagena della psiche degli individui
sul complesso genetico (genoma ed epigenoma) delle loro cellule
riproduttive.

   È una ipotesi evoluzionistica o creazionistica?
   È una ipotesi evoluzionistica e “ideoplastica”, poiché ipotizza
che le mutazioni evolutive siano causate dalla volontà
dell’individuo, e presenta alcuni punti in comune sia con le teorie
evoluzionistiche classiche (Darwinismo e Lamarckismo) che con
l’Intelligent Design.

  È una teoria scientifica o filosofica?
  È una teoria caratterizzata da un approccio multidisciplinare.
  Essa parte da precise osservazioni ecologiche e naturalistiche
(rapido-mimetismo dei sepiidae, cripto-mimetismo dei phasmidae,
presunta mente collettiva degli insetti sociali) e poi compie alcuni
collegamenti con la genetica, con le scienze cognitive e con la filosofia.
  Per tentare di spiegare, poi, alcuni particolari aspetti teorici fa
riferimento ad alcuni settori di frontiera, come la quantum biology e
la plant neurobiology.

  In cosa si differenzia dal Darwinismo?
  Il Plasticismo Evolutivo, come il neo-Darwinismo, accetta le
numerose evidenze fossili e genetiche, e concorda con il fatto che
le specie viventi si siano evolute e che ancora si possano evolvere,
e ammette che la selezione naturale conduce all’affermazione e
alla sopravvivenza degli individui “più adatti” (survival of the fittestt).
  Tuttavia, fa notare, in primo luogo, che la selezione naturale agisce
solo dopo che la mutazione evolutiva è già intervenuta e, in secondo
luogo, che il neo-Darwinismo non spiega in maniera convincente
come tali individui “più adatti” si siano formati.

                                    53
Infatti, il Plasticismo Evolutivo non accetta che sia il cieco “caso”
a produrre le mutazioni evolutive e ipotizza, invece, che esse siano
causate direttamente dall’azione ideoplastica della psiche degli
individui sul loro stesso materiale genetico, non solo
condizionandone l’espressione ma giungendo addirittura a produrre
dei nuovi geni.

  Cosa differenzia il Plasticismo Evolutivo dal Lamarckismo?
  Entrambe le teorie partono dal presupposto che le specie viventi
non si siano evolute casualmente ma a causa di una loro precisa
necessità o desiderio di adattamento.
  Tuttavia, mentre il Lamarckismo attribuisce l’evoluzione
esclusivamente a un’azione di tipo somatico (uso e non-uso di parti
del corpo) da parte dell’individuo (es. allungamento del collo della
giraffa), il Plasticismo Evolutivo l’attribuisce a un’azione
ideoplastica, di natura dichiaratamente psichica, che agirebbe
tramite meccanismi quantistici, sia di natura ondulatoria (pattern
interferenti, collasso della funzione d’onda, ecc.) sia di natura non-
locale (paradigmi olografici di Bohm e Pribram).
  Il Lamarckismo, inoltre, non spiega come le caratteristiche
acquisite a livello somatico si possano trasferire alla discendenza,
mentre il Plasticismo Evolutivo suppone che l’azione ideoplastica
della psiche causi direttamente le corrispondenti mutazioni nel
genoma e nell’epigenoma delle cellule riproduttive.
  Infine, il Lamarckismo non riesce a spiegare la comparsa di
caratteri evolutivi non condizionati dall’uso o dal non uso di parti
del corpo (es. mantello mimetico della giraffa, forma dell’insetto-
foglia), mentre il Plasticismo Evolutivo lo spiega in maniera
esauriente.

  Quali sono i rapporti tra la genetica e il Plasticismo
Evolutivo?
  Il Plasticismo Evolutivo ammette totalmente gli effetti dei geni
(e dei meccanismi epigenetici) sull’espressione dei caratteri
fenotipici, nonché gli effetti delle manipolazioni e delle terapie
genetiche sugli esseri viventi, ma considera i geni più il veicolo che
la sorgente dell’evoluzione.
  In effetti, esso non accetta solamente l’ipotesi che l’evoluzione
delle specie viventi sia dovuta a mutazioni casuali e non coordinate
dei geni. E, come già detto, ipotizza che la psiche degli individui

                                  54
non solo condizioni epigeneticamente il funzionamento dei geni
esistenti ma che possa anche produrre la comparsa di geni del tutto
nuovi.
  Inoltre, il dr. Pellegrino De Rosa suggerisce che il DNA debba
essere studiato, sempre più, secondo un approccio quantistico e
ondulatorio, e propone che i ricercatori realizzino degli esperimenti
per verificare i presunti effetti mutageni della psiche sia sulla
struttura dei geni sia sulla comparsa di nuovi geni.

   Il Plasticismo Evolutivo è una teoria evoluzionistica valida
anche per i vegetali e per i microbi. Anch’essi sono, quindi,
dotati di mente?
   Secondo l’autore, è possibile - ma bisognerà verificarlo - che tutti
i sistemi in cui circoli energia siano potenzialmente intelligenti (forse
lo sono anche i computer e il plasma) e, siccome la materia è uno
dei tanti stati dell’energia, è possibile che anch’essa sia intelligente.
   Egli non è né il primo né l’unico a pensarla in questo modo. E lo
stesso autore, in alcune occasioni, ha riportato l’opinione di Max
Planck, secondo cui: “Tutta la materia ha origine ed esiste solamente in
virtù di una forza... dobbiamo supporre che dietro questa forza ci sia una
mente consapevole e intelligente. Questa mente è la matrice di tutta la materia”.
   Per quanto riguarda i vegetali, poi, l’autore fa esplicito riferimento
alle osservazioni del prof. Stefano Mancuso, dell’Università di
Firenze, e al suo filone di ricerca sulla presunta intelligenza dei
vegetali (la cosiddetta “neurobiologia vegetale”, o “plant neurobiology”).
   Inoltre, suppone che sia stata proprio l’errata convinzione che i
vegetali non avessero una loro intelligenza ad aver spinto -
erroneamente - i darwinisti a spiegare la spinta evolutiva con il
caso, i lamarckisti con il principio fisico dell’uso e non-uso, i
creazionisti con l’azione diretta di Dio, e gli studiosi new-age con
presunte e improbabili interazioni automatiche di vario tipo.
   Il Plasticismo Evolutivo, invece, prendendo spunto dall’ipnologia,
mette al centro del processo evolutivo la volontà ideoplastica
dell’individuo.
   Infine, l’autore ritiene che anche i microbi, come tutti gli altri
esseri viventi, siano dotati di mente: la qual cosa sarebbe dimostrata
dal semplice fatto che essi riescono a sopravvivere, a riprodursi, a
nutrirsi e a interagire con l’ambiente, fin dagli albori della vita sulla
Terra, e continuano a farlo con successo e senza preoccuparsi del
parere contrario degli scienziati.

                                      55
L'evoluzione ideoplastica delle specie viventi
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L'evoluzione ideoplastica delle specie viventi

  • 1.
  • 2.
  • 3. Pellegrino De Rosa L’Evoluzione ideoplastica delle specie viventi Saggio divulgativo 1
  • 4. Titolo | L’Evoluzione ideoplastica delle specie viventi Autore | Pellegrino De Rosa Copertina a cura dell’autore ISBN | 978-88-67512-91-1 © Tutti i diritti riservati all’Autore Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il preventivo assenso dell’Autore e dell’Editore. Youcanprint Self - Publishing Via Roma, 73 - 73039 Tricase (LE) - Italy Tel. +39/0832.1836509 Fax. +39/0832.1836533 www.youcanprint.it info@youcanprint.it Facebook: facebook.com/youcanprint.it Twitter: twitter.com/youcanprintit
  • 5. Dedico questo libro a mio figlio Antonio De Rosa con stima e affetto imperituri. Pellegrino De Rosa La scienza ci aiuta a scorgere l’impronta di Dio (Papa Benedetto XVI) Ogni verità attraversa tre fasi. Prima viene ridicolizzata. Poi incontra una violenta opposizione. Infine, viene accettata come palese. (Arthur Schopenhauer) 3
  • 6. 4
  • 7. Sommario Presentazione di Enzo Pecorelli 7 Introduzione dell’autore 13 1. Il quesito di partenza: come si è evoluto l’insetto-foglia? 17 2. L’inadeguatezza della teoria darwiniana 19 3. Considerazioni sul Lamarckismo 23 4. Relazione tra mimetismo, evoluzione e convergenza evolutiva 25 5. Tutti gli esseri viventi sono dotati di una mente? 28 6. Relazione tra mente, genoma, ipnologia e scienze quantistiche 31 7. SAM, Podaciris sicula e rapporti con la genetica 37 8. Il Plasticismo Evolutivo 42 L’oggetto della discordia 47 FAQ (Darwinismo, Intelligent Design o “Plasticismo Evolutivo”?) 53 Note sull’autore 63 5
  • 8. 6
  • 9. Presentazione In questo saggio divulgativo viene presentata una teoria “made in Italy” sull’evoluzione delle specie viventi, chiamata Plasticismo Evolutivo, che si propone come possibile terza via tra le opposte posizioni dei neo-darwinisti e dei sostenitori dell’Intelligent Design. Questa nuova ipotesi di studio è stata presentata, nel 2009, dal dr. Pellegrino De Rosa, che è agronomo e botanico, nonché giornalista e scrittore di romanzi. Essa vuole provare a rispondere ad alcuni interrogativi, scaturiti da precise osservazioni naturalistiche, e cioè: 1. In che modo l’insetto-foglia è riuscito a rendere il suo corpo del tutto simile, fin nei più piccoli particolari, alle foglie del suo habitat naturale? Solo grazie a mutazioni casuali e alla successiva selezione naturale? Oppure per azione di qualche meccanismo ancora ignoto? 2. Oltre al fatto, già noto, che la selezione naturale agisce selettivamente sulla diffusione degli individui mimetici, è possibile che esista qualche altra correlazione, più diretta e ancora non studiata, tra il mimetismo e l’evoluzione delle specie viventi? 3. La psiche degli individui può, oltre che influire sull’espressione dei geni, indurre anche la comparsa di geni del tutto nuovi? Come si evince sia dal presente saggio introduttivo sia dal breve racconto riportato in appendice, l’autore ha cercato di rispondere a queste domande adottando un approccio multidisciplinare, cioè tenendo conto non solo delle sue personali osser vazioni naturalistiche e dei dati scientifici disponibili, ma anche di alcuni aspetti filosofici, teologici e di fisica teorica. Pellegrino De Rosa non mette affatto in discussione il fenomeno dell’evoluzione, né i risultati della genetica, né l’azione di alcuni meccanismi ecologici come la selezione naturale (di cui, però, propone di ridimensionare l’importanza evoluzionistica). Tuttavia, egli ritiene che le mutazioni del corredo genetico delle specie viventi (e, quindi, anche la loro evoluzione) non siano causate né da fortuite variazioni casuali né da un’azione diretta di un Dio, bensì da un’azione “ideoplastica” esercitata dalla psiche degli individui sul genoma e sull’epigenoma. È bene anche chiarire che questa ipotesi non nasce da astratte 7
  • 10. elucubrazioni teoriche, ma si fonda sull’osservazione, oggettiva e ripetibile, del comportamento degli organismi rapido-mimetici (come le seppie) e della forma del corpo degli organismi cripto- mimetici (come gli insetti-foglia). E solo in una seconda fase prova a spiegare queste osservazioni naturalistiche stabilendo dei collegamenti originali con altre discipline. In sintesi, secondo il “Plasticismo Evolutivo”, la forza che genera l’evoluzione sarebbe la stessa che determina le modifiche, temporanee o permanenti, del corpo degli organismi mimetici. Si tratterebbe, cioè, di una presunta azione “ideoplastica” e mutagena della psiche degli esseri viventi. Per cui, in definitiva, l’evoluzione non sarebbe altro che “una volontà che prende forma”. Secondo tale ipotesi, quindi, la psiche degli esseri viventi sarebbe in grado non solo di regolare alcune funzioni fisiologiche e di condizionare epigeneticamente l’espressione dei geni già esistenti (cosa questa già dimostrata, per esempio, dall’effetto placebo e dai fenomeni di somatizzazione osservati nella pratica ipnotica e nella MPD, o Multiple Personality Disorder), ma sarebbe anche in grado di creare geni completamente nuovi. Ma tale impostazione pone subito alcuni tipi di problemi. Il primo è: se è la mente a determinare le mutazioni evolutive, allora tutti gli organismi che si sono evoluti, comprese le piante, sono dotati di una mente? Il secondo è: di che natura è la presunta interfaccia tra la mente e i geni? Il terzo è: con riferimento alla comparsa di mutazioni complesse e di cui non esiste ancora uno schema in natura, a quale fonte di informazione accede la mente dell’individuo? Ora, mentre l’osservazione naturalistica dell’esistenza del sorprendente insetto-foglia è un dato oggettivo e incontestabile, e facilmente verificabile da chiunque, per provare a rispondere alle domande prima formulate è necessario, secondo l’autore, compiere un collegamento - multidisciplinare e coerente - con le scienze cosiddette “di frontiera”. Per comprendere la posizione intellettuale dell’autore è necessario soffermarsi brevemente sul suo atteggiamento speculativo, da lui definito di “coerenza intellettuale”. In sintesi, egli afferma che se alcune conclusioni vengono accettate in particolari ambiti scientifici e speculativi, esse devono essere considerate ugualmente valide anche negli altri ambiti. 8
  • 11. Perciò, se in psichiatria e in ipnologia si ammette l’effetto della psiche sul corpo, tale effetto deve essere considerato reale anche quando si studia l’evoluzione delle specie viventi. E, se alcuni concetti di cosmologia e di meccanica quantistica sono ritenuti accettabili quando si studia la materia inanimata (collasso della funzione d’onda, pattern interferenti, paradigmi olografici, non-località, ecc.), essi devono essere considerati validi anche quando si studiano i sistemi biologici e l’evoluzione. In particolare, se la meccanica quantistica ammette che l’osservatore possa influenzare il comportamento duale (ondulatorio e corpuscolare) della materia, si deve pure ammettere che un fenomeno simile possa avvenire anche nei sistemi biologici. Di conseguenza, non è corretto scartare frettolosamente l’ipotesi che la mente dell’osservatore possa condizionare anche la materia biologica, compreso il DNA, che ha anch’esso una struttura quantistica. Infine (e questo vale solo per i credenti), se si crede in un Dio, bisogna continuare a farlo anche quando si esce dal luogo di culto e si vive la propria vita e si indossa il camice bianco del ricercatore o dello scienziato. Chi non lo fa soffrirebbe, secondo l’autore, di una forma di schizofrenia ideologica. Ciò precisato, Pellegrino De Rosa risponde al primo punto ipotizzando che anche le piante abbiano una mente, e rafforza la sua tesi facendo riferimento alle ricerche sulla neurobiologia vegetale del prof. Stefano Mancuso, dell’Università di Firenze, e ad alcune osservazioni dello stesso Darwin. Per rispondere al secondo punto, poi, fa riferimento alla quantum biology e a tutta una serie di indizi (neurologici, fisici, psichici e biologici) accennati nel testo. Per rispondere al terzo punto, infine, si ricollega al paradigma olografico di Bohm e al pensiero filosofico di Platone, di Giordano Bruno e di Hegel. Egli, pur avendo una formazione scientifica, fa intendere chiaramente di non ritenere che la scienza sia la massima espressione dell’intelletto umano, soprattutto quando degenera in scientismo. E al di sopra di essa pone la filosofia e, ancora più su, l’intuizione e l’arte. E osserva che tutti i grandi geni scientifici del passato avevano una mente aperta al dubbio, all’esplorazione di nuove possibilità e al pensiero filosofico. Al contrario, quelli che lui definisce SAM (acronimo che sta per “Studiosi Accademici Medi”, con cui indica quelle persone che si autodefiniscono scienziati 9
  • 12. pur essendo, spesso, solo dei tecnici di laboratorio o semplici professori, che non hanno mai scoperto o proposto niente di rilevante), sono pronti a rifiutare, a volte anche con arrogante maleducazione, qualunque nuova ipotesi di studio venga loro proposta. Alle teorie neo-darwiniste, l’autore contesta soprattutto il dogma che il cieco caso sia la sorgente dell’evoluzione. E fa notare che tutti i fenomeni osservabili in natura sono regolati da leggi, più o meno complesse. Perché, dunque, egli si chiede, solamente l’evoluzione delle specie viventi dovrebbe essere prodotta dal caso? Egli ritiene che tale posizione sia conformista e ideologica, e nient’affatto scientifica. E sottolinea, riportando anche degli esempi, che l’ipotesi della comparsa di mutazioni complesse e funzionali causate dal caso non è mai stata provata scientificamente - in nessun laboratorio e in nessun contesto ecologico. E fa notare che provare a spiegare con le variazioni casuali l’evoluzione di organi complessi non è accettabile neppure statisticamente. Egli, in effetti, ammette che la selezione naturale agisce eliminando i “meno adatti” e favorendo la sopravvivenza e la diffusione dei “più adatti”, ma fa notare che essa può agire solo dopo che sono comparsi e presenti entrambi tali competitors. La selezione naturale, perciò, non va confusa con la causa prima dell’evoluzione, che è costituita invece dalla forza (la cui natura, ancora controversa, secondo l’autore è di natura psichica e ondulatoria), che ha portato alla comparsa degli individui mutati. Nel precisare questo aspetto, l’autore sottolinea la differenza tra la normale variabilità genetica che si osserva all’interno della stessa razza e la comparsa di variazioni evolutive complesse che conducono alla formazione di nuove specie, e conclude accettando - per grandi linee - la teoria darwiniana come “teoria ecologica delle razze” ma rifiutandola come “teoria evoluzionistica delle specie”. Infine, pur condividendo l’importantissimo ruolo della genetica, l’autore dichiara di considerare i geni più il veicolo che la sorgente dell’evoluzione, e invita gli scienziati a realizzare degli esperimenti tendenti a indagare se la mente umana possa, in particolari condizioni “monoideistiche” o di stress o di coscienza alterata, provocare mutazioni funzionali nel DNA o nell’epigenoma e nell’ipergernoma. Egli fa anche osservare che il fatto di accettare acriticamente i dogmi darwiniani danneggia gravemente il progresso scientifico, in quanto spinge a ridicolizzare e a scartare a priori qualunque altra 10
  • 13. ipotesi di studio, scoraggiando così la ricerca di spiegazioni alternative dell’ancora misterioso fenomeno evoluzionistico. Qui di seguito Pellegrino De Rosa narra, in maniera informale e con stile narrativo, com’è nata la sua teoria e ne spiega i caratteri salienti, i rapporti con le altre teorie evoluzionistiche e i collegamenti con le discipline coinvolte. Egli non si dilunga più di tanto nella confutazione delle altre teorie che confermano oppure che si oppongono all’evoluzione delle specie viventi, in quanto lo scopo del presente saggio non è quello di confutare le teorie altrui ma quello di presentare la sua ipotesi. I pochi accenni alle altre teorie hanno, perciò, il solo scopo di contribuire a chiarire le loro differenze e i loro punti di contatto con il “Plasticismo Evolutivo” e non hanno nessuna pretesa di completezza. Perciò, rimanda chi volesse approfondire le critiche a tali teorie (sia creazionistiche che evoluzionistiche), peraltro non tutte condivisibili, alle centinaia di migliaia di testi pubblicati su tali argomenti. In appendice sono raccolte le FAQ più comuni sul “Plasticismo Evolutivo”, desunte dalle risposte che l’autore ha fornito in vari articoli di giornale, sui social network e nel corso delle presentazioni dei suoi libri. Altri aspetti della teoria sono trattati nei suoi saggi “Plasticismo evolutivo. Una nuova ipotesi evoluzionistica basata sulla biologia quantistica e sull’entanglement olografico” e “E se Darwin si fosse sbagliato?”. Ma molto si capisce anche dalla lettura del suo romanzo “Metamorfer. La gemma di Darwin”, che è ambientato nella magica atmosfera di Napoli e nel suo splendido Golfo. Esso, pur essendo soprattutto un divertente e avvincente fanta-thriller, ricco di humor e di un elegante erotismo, lascia trapelare una serie di concetti evoluzionistici e filosofici non approfonditi nel presente saggio. (Enzo Pecorelli - giornalista) Bibliografia: P. De Rosa - Leggendo una foglia. (2009). Gruppo editoriale L’Espresso. P. De Rosa - Metamorfer. La gemma di Darwin. (2011). Simple editore. P. De Rosa - Plasticismo evolutivo. Una nuova ipotesi evoluzionistica basata sulla biologia quantistica e sull’entanglement olografico. (2011). Simple editore. P. De Rosa - Metamorfer. La gemma di Darwin. (2012). Youcanprint editore. P. De Rosa - E se Darwin si fosse sbagliato? (2012). Youcanprint editore. P. De Rosa - The intelligent evolution (2012). Youcanprint editore. L’autore può essere contattato direttamente al seguente indirizzo email: plasticismoevolutivo@libero.it 11
  • 14. La stupefacente somiglianza di un insetto-foglia con la lamina e le nervature fogliari della pagina inferiore delle foglie del suo habitat. Phyllopteryx taeniolatus o cavalluccio-dragone. 12
  • 15. Introduzione Il fatto che le specie viventi non siano sempre state come le vediamo oggi e che invece si siano evolute nel corso del tempo è ritenuto un dato di fatto oggettivo, quasi universalmente accettato, con il quale concordo pienamente. L’evidenza dei fossili e altri fatti incontestabili, come la convergenza evolutiva e la presenza di geni vestigiali - al di là delle diverse interpretazioni - stanno a provarlo oltre ogni ragionevole dubbio. Ciò, tuttavia, non esclude affatto la possibilità che la spinta evolutiva sia causata da una qualche causa intelligente - non necessariamente divina - e non da una serie di variazioni casuali o da improbabili e ciechi meccanicismi molecolari o genetici. Infatti, come provo a spiegare nel mio saggio “Plasticismo evolutivo. Una nuova ipotesi evoluzionistica basata sulla biologia quantistica e sull’entanglement olografico”, la teoria oggi maggiormente accreditata - quella di Darwin - essendo fondata su tre presupposti fallaci (il parziale equivoco tra i termini evoluzione e selezione naturale, l’imprecisa definizione di specie e, soprattutto, l’affermazione che il caso sia la fonte delle mutazioni), non può essere ritenuta valida, e dovrebbe veder ridotto il suo campo di competenza da teoria evoluzionistica delle specie a teoria ecologica delle razze. In questo scenario, il Plasticismo evolutivo, partendo da osservazioni naturalistiche (mimetismo, mente collettiva degli insetti sociali, convergenza evolutiva, neurobiologia vegetale, ecc.), vuole proporre un evoluzionismo “intelligente e consapevole” - che coinvolge, direttamente, le facoltà mentali delle specie viventi - e provare, infine, a conciliare le posizioni evoluzionistiche con quelle creazionistiche, attraverso considerazioni filosofiche che richiamano il monismo panteistico bruniano. L’impresa non è delle più semplici, ma la biologia quantistica (quantum biology) e l’entanglement olografico ci potranno fornire, forse, gli strumenti utili per comprendere, o anche solo per ipotizzare, alcuni meccanismi di interazione tra mente e corpo e tra individuo e universo. Interazioni, tra l’altro, già ritenute possibili sia da alcuni filosofi e mistici del passato sia da alcuni scienziati dei nostri giorni. 13
  • 16. In particolare, la teoria fa esplicito riferimento alle concezioni quantistiche di Bohm, Aspect e Pribram (paradigmi olografici). Questa mia teoria ideoplastica introduce anche gli inediti concetti di complessione ipergenomica e di iperspecie, che, a mio parere, potrebbero spiegare la comparsa dei singoli step evolutivi e suggerire un punto d’incontro tra la teoria degli equilibri punteggiati di Gould ed Eldredge e il gradualismo. Questo saggio naturalistico non pretende affatto di essere esaustivo, e vuole solo proporre una visione alternativa della questione evoluzionistica, che tenga conto delle possibili correlazioni esistenti tra i fenomeni presunti “ideoplastici” (mimetismo, ideoplasia ipnotica, monoideismo) e l’evoluzione delle specie viventi, nonché le possibili interazioni tra la psiche e i geni. Il tutto alla luce dei risultati e delle ipotesi provenienti dai settori di frontiera (come la fisica quantistica, l’ipnologia e la neurobiologia vegetale) e di quella, forse più illuminante, della speculazione filosofica. Tutto ciò con la speranza che la mia proposta teorica possa stimolare futuri studi e ricerche multidisciplinari che possano portarci a meglio comprendere il processo che ha portato alla formazione dell’insetto-foglia e, di conseguenza, al meccanismo che ha determinato la comparsa di tutte le mutazioni evolutive degli esseri viventi. L’autore Kallima inachus (farfalla foglia secca) 14
  • 17. 1. Il quesito di partenza: come si è evoluto l’insetto-foglia? «E se Darwin si fosse sbagliato?» sbottai, osservando gli insetti-foglia rinchiusi in una bacheca di vetro appoggiata sul tavolo davanti a me. Mi trovavo nell’aula di entomologia della Facoltà di Scienze e Tecnologie Agrarie, nello splendido edificio settecentesco della Reggia Borbonica di Portici, nei pressi di Napoli, per completare la preparazione dell’esame di entomologia agraria, che avevo intenzione di sostenere prima delle vacanze estive. E alternavo lo sguardo tra l’insetto-foglia e un multicolore arcobaleno di luce che la vetrata proiettava sugli attillatissimi short beige di una collega china sinuosamente su una bacheca più avanti, mentre la fresca brezza del Golfo si insinuava tra le ante socchiuse dell’antica veranda e ci portava l’odore del mare e i giocosi garriti dei gabbiani. «Sbagliato in che cosa?» chiese, con gentilezza estrema, una voce maschile alle mie spalle. Mi girai e deglutii per la sorpresa. Era il prof. Ermenegildo Tremblay, eminente entomologo e scopritore della Trioza tremblayi. Aveva il portamento nobile di un lord e indossava, come sempre, il camice bianco sbottonato sopra il vestito elegante. «Che l’evoluzione sia dovuta a mutazioni casuali...» risposi io, balbettando. «Ah!» fece il professore, con gli occhi che mi scrutavano, sorridenti ed enigmatici, da dietro i vetri tondi dei suoi occhiali da vista. «Studi, studi. E non si faccia distrarre da Darwin... e dalle belle ragazze» aggiunse, con un sorriso cordiale, girando lo sguardo verso la mia collega. La ragazza, che aveva una certa somiglianza con la bambola Barbie, si girò per salutare rispettosamente il professore, incrociò il mio sguardo per un attimo e arrossì lievemente. Io non seguii i consigli del professore e feci quell’esame solo molto tempo dopo. Ma, a distanza di anni, ho compreso che, in quella circostanza, c’erano già molti degli elementi di quella che poi sarebbe diventata l’ipotesi del “Plasticismo Evolutivo” e, in parte, della storia di fantasia che avrei narrato nel fortunato fanta-thriller “Metamorfer. La gemma di Darwin”. Ma torniamo agli insetti-foglia. Questi sbalorditivi insetti, hanno il corpo incredibilmente simile, per forma e colore, alla pagina inferiore delle foglie delle piante. 17
  • 18. E mostrano una serie di segni simili alle nervature dei fasci vascolari e alcune sfumature di colore che simulano perfettamente le macchie di seccume. Anche le loro uova sono mimetiche e somigliano ai semi delle piante erbacee. Appartengono, insieme agli insetti-stecco, all’ordine dei Phasmatodea. Il termine Phasma deriva dal greco e significa fantasma, e sta a indicare il fatto che questi insetti si confondono così bene nel loro ambiente da non risultare più distinguibili dalla vegetazione circostante (cripto-mimetismo). Chi non li avesse mai visti dal vivo può farsene un’idea cercando su un motore di ricerca i termini leaf insect e leaf bug, oppure i nomi di alcune delle specie più rappresentative (Phyllium giganteum, Phyllium bioculatum, Phyllium pulchrifolium, Phyllium philippinicus, Phyllium jacobsoni, Phyllium ericoriai, ecc.). Sono insetti ovipari e, spesso, partenogenetici. Inoltre, sono in grado di rigenerare parzialmente le appendici perdute, come le zampe e le antenne. Ebbene, osservandoli attentamente, io mi convinsi che il loro aspetto, così simile alle foglie che mimavano, non poteva essere assolutamente spiegato né dalla teoria evoluzionistica di Darwin né dalle altre teorie a me note e che, quindi, era necessario ricercare nuove spiegazioni del meccanismo che li aveva fatti evolvere in quel modo. E mi sembrò evidente che il meccanismo che conduce a tutti gli altri tipi di adattamento evolutivo non doveva essere troppo dissimile da quello che innescava quei fenomeni mimetici. E mi convinsi, pure, che tale meccanismo doveva essere di tipo psichico. Ma, procediamo per ordine. Analizzeremo prima i motivi che - secondo me - rendono inaccettabile le altre teorie evoluzionistiche, e poi passeremo a prendere in considerazione gli aspetti che collegano l’evoluzionismo con il mimetismo. 18
  • 19. 2. L’inadeguatezza della teoria darwiniana. Com’è noto, la teoria evoluzionistica di Charles Darwin si fonda sul concetto di selezione naturale, ovvero sull’osservazione che i meccanismi ecologici e ambientali hanno l’effetto di favorire la sopravvivenza e la diffusione degli individui che presentano caratteristiche fisiche, fisiologiche e comportamentali più idonee all’ambiente in cui essi vivono. Tali meccanismi sono reali e incontestabili, tuttavia, vorrei fare alcune precisazioni. La prima è che il concetto di selezione naturale non è stato introdotto da Darwin ma da Arthur Russel Wallace, che lo presentò prima in tre lettere da lui inviate proprio a Darwin e poi nell’articolo pubblicato nel 1858 con il titolo: “On the tendency of varieties to depart indefinitely from the original type”. E riporto questa notizia, che è ormai considerata una certezza storica, non per sminuire gli importantissimi studi compiuti da Charles Darwin, ma solo per mettere in evidenza l’inspiegabile conformismo ideologico che ha portato una parte del mondo accademico, per circa un secolo e mezzo, a difendere sempre e comunque le posizioni di Darwin, anche a costo di negare l’evidenza dei fatti. La seconda precisazione è che la selezione naturale non può essere l’unica spiegazione del meccanismo evoluzionistico: essa infatti, come già accennato, agisce eliminando i “meno adatti” e favorendo i “più adatti” ma, ovviamente, può fare ciò solo dopo che sia i primi che i secondi siano comparsi. E come comparirebbero, secondo i neo-darwinisti, questi individui mutati? Ebbene, la risposta fornita dei vari studiosi (e, ahimé, anche dai divulgatori che si sono immeritatamente arricchiti sfruttando le polemiche attorno a una teoria alla quale loro non hanno contribuito in alcun modo) è che le mutazioni evolutive avvengono per caso! Ed è proprio questo il principale punto debole della teoria darwiniana. Poiché voler attribuire le mutazioni evolutive, molte delle quali di una complessità impressionante, all’effetto random del cieco caso non è certo un atteggiamento scientifico! Personalmente, penso che si tratti di una “non spiegazione”. I neo-darwinisti più arroganti, poi, interpretando in maniera errata alcuni esperimenti, arrivano addirittura a dichiarare che la casualità 19
  • 20. delle mutazioni sarebbe stata provata in vari laboratori sparsi in tutto il mondo! Ma ciò non è assolutamente vero e ne riparleremo nel capitolo dedicato ai SAM, al conformismo e alla genetica. Qui, riallacciandomi al quesito di partenza, mi vorrei solo limitare a discutere del fatto che mentre è accettabile che la selezione naturale abbia potuto favorire la diffusione degli insetti-foglia non è assolutamente sostenibile l’ipotesi che essi si siano formati per caso. Quando mi è capitato di accennare alla mia ipotesi di un possibile legame tra mimetismo ed evoluzionismo (ipotizzando, cioè, che entrambi i meccanismi potessero essere indotti da una stessa forza ideoplastica) i SAM, dopo avermi sorriso come si fa con i bambini, mi hanno sempre risposto ricordandomi il solito esempio scolastico del melanismo industriale e della Biston betularia! E io, dopo aver ricambiato il loro sorriso di sufficienza, ho sempre chiesto loro cosa c’entrava questo esempio con quello che era accaduto agli insetti-foglia, ma non ho mai avuto una risposta soddisfacente, anzi ho capito che alcuni di essi non sapevano neppure dell’esistenza di questi sorprendenti insetti mimetici. La Biston betularia è una falena appartenente alla famiglia dei geometridi, le cui larve si nutrono di foglie di betulla, faggio, salice e olmo. Esiste in tre forme cromatiche: il fenotipo chiaro (con ali bianco sporco), il fenotipo melanico (con ali nere) e un fenotipo intermedio (marmorizzato), che si manifesta nel caso di eterozigosi. Il carattere fenotipico “colore delle ali” è controllato da un unico gene, in cui l’allele carbonaria (ali nere) ha una dominanza quasi completa sull’allele typica (ali bianche). Ebbene, si vide che mentre prima della rivoluzione industriale, in Inghilterra, la maggior parte delle Biston betularia presentava il fenotipo chiaro, con l’inquinamento prodotto dall’industrializ- zazione si affermò il fenotipo nero. Questo fenotipo aumentava la fitness della specie perché aveva il vantaggio di potersi mimetizzare sui tronchi, anneriti dall’inquinamento, delle betulle presenti in zone industriali. E avveniva che mentre le falene nere sfuggivano alla predazione da parte degli uccelli quelle bianche venivano individuate più facilmente e venivano eliminate. Questo esempio conferma, perciò, gli effetti della selezione naturale sulla distribuzione di un certo allele in una popolazione. E, in questo caso, si tratta di un carattere semplice che può essere 20
  • 21. mutato anche per caso (in quanto la sostanziale differenza tra i due alleli è che un gene produce un certo pigmento e l’altro no). Ma deve essere chiaro che, se spostiamo il discorso sulla comparsa dell’insetto-foglia, ci ritroviamo in tutt’altro livello di complessità. Quanti geni, infatti, avrebbe dovuto cambiare l’insetto-foglia per assumere quella particolare forma dei margini del corpo, identica alla lamina delle foglie? Quanti geni avrebbe dovuto cambiare per far apparire al posto giusto le nervature corrispondenti alle nervature fogliari? Quanti geni, ancora, per far apparire le macchie di seccume? E quanti geni, infine, per far somigliare le sue uova ai semi delle piante erbacee? E quante sono le probabilità che tutte queste variazioni siano potute avvenire contemporaneamente, per far sì che l’aspetto complessivo risultasse così simile alle foglie vegetali? In realtà, come è stato messo in evidenza dal noto dilemma di Haldane, le probabilità che una mutazione così complessa sia potuta avvenire per caso sono così irrisorie da essere ritenute quasi pari a zero. Ma i sostenitori delle mutazioni casuali non si arrendono così facilmente: essi suppongono che l’evoluzione sia avvenuta per piccole mutazioni casuali che si sarebbero sommate nel tempo e che, ogni volta, la selezione naturale avrebbe scartato quelle non adatte. Ciò vorrebbe forse significare che, nel corso dell’evoluzione dell’insetto-foglia, c’è stata anche una fase in cui, per esempio, le nervature erano spinose, o puntiformi, o tratteggiate? E la forma del corpo dell’insetto era quadrata o pentagonale o a stella? E il colore magari rosso o blu o giallo, invece che verde? E che, dopo la comparsa di un certo numero di mutazioni sbagliate, siano poi comparse alcune mutazioni giuste? E queste si sarebbero sommate a quelle precedenti giuste e non a quelle precedenti sbagliate? A me, questa seconda ipotesi, sembra ancora più incredibile della prima. Con essa, infatti, si moltiplica enormemente il numero di “tentativi ed errori” che la natura avrebbe dovuto compiere per giungere, alla fine, a creare l’insetto-foglia. E mentre gli insetti-foglia subivano questa lunga serie di mutazioni parziali e poco mimetiche, cosa facevano i loro nemici naturali invece di predarli e di eliminarli dal pianeta? Lanciavano casualmente le monetine? Inoltre, vorrei far notare che la casualità della comparsa delle mutazioni adattative è inaccettabile non solo dal punto di vista statistico ma anche da quello concettuale. Intendo dire: perché l’insetto-foglia ha assunto proprio la forma di una foglia del suo ambiente e non quella di una foglia di banano, di patata o di Cannabis? 21
  • 22. La risposta dei neodarwinisti è: perché se avesse assunto la forma di una foglia diversa sarebbe stato individuato e predato. Ma questa risposta non è affatto valida: infatti, gli insetti e gli uccelli entomofagi non mangiano le foglie di banano o di patata né fanno uso di quelle di Cannabis (contrariamente ad alcuni SAM di mia conoscenza che, a giudicare dai loro discorsi, sembra ne facciano un uso poco consigliabile). Perciò è evidente che la domanda non ha avuto ancora una risposta soddisfacente. Ma vorrei andare ancora oltre e chiedermi: come mai non abbiamo mai trovato un insetto a forma di iPhone? Perché nessun animale ha il logo di Facebook o di Google sulla schiena? Eppure, il caso avrebbe potuto produrre anche animali con tali scritte. E questi di sicuro non sarebbero stati attaccati dai loro predatori (questo l’ho verificato di persona: nessun insetto o uccello ha mai attaccato il mio iPhone o la schermata di Google) e, quindi, sarebbero stati risparmiati dalla selezione naturale e dovrebbero ancora esistere in natura! Insomma, se si lascia il caso libero di agire non avrebbero dovuto prodursi anche le forme più bizarre e improbabili? E perché, invece, in natura troviamo solo l’insetto-foglia e non anche l’insetto-Google? È semplice: noi troviamo l’insetto-foglia perché un suo progenitore ha desiderato assumere proprio la forma delle foglie del suo habitat naturale, oppure perché la sua mente è stata sollecitata da ciò che esso vedeva nel suo ambiente circostante! E Google, Facebook e gli iPhone non esistevano ancora e, pertanto, non potevano essere mimati. Ed è proprio da questa constatazione che nasce l’idea di base della teoria che ho chiamato Plasticismo evolutivo e che propone un Evoluzionismo ideoplastico. Ovvero: l’insorgenza delle mutazioni evolutive non è un processo casuale ma un processo orientato dalla volontà dei viventi, che risponde a precise sollecitazioni ambientali. E nulla vieta che possa essere sia graduale (quando si hanno mutazioni che si realizzano in step successivi in più generazioni) che totale (quando l’adattamento si completa in una sola generazione). L’unica differenza sarebbe che, nel primo caso, a causa del permanere delle condizioni di necessità e dell’adattamento solo parziale ottenuto, l’azione ideoplastica verrebbe esercitata dalle menti degli individui, solo parzialmente mutati, di più generazioni. 22
  • 23. 3. Considerazioni sul Lamarckismo. Il Lamarckismo, che è precedente al Darwinismo, ha il grande merito di aver introdotto il concetto di evoluzione in opposizione a quello del fissismo, che riteneva che le specie viventi fossero immutabili. Inoltre, anche se nel corso degli anni è stato ampiamente confutato, ritengo che esso conservi tuttora un impianto concettuale degno della massima considerazione. E mi riferisco all’aver ipotizzato che l’evoluzione non derivi dal caso ma da una necessità evolutiva - cosa questa che condivido pienamente. Di questa rivoluzionaria teoria fu contestato sia il presunto meccanismo di induzione delle mutazioni sia il fatto che essa non riesce a spiegare come le caratteristiche acquisite a livello somatico vengano poi trasmesse alle generazioni future. Per quanto riguarda il primo punto, è noto che, secondo il Lamarckismo, la comparsa di nuove caratteristiche avverrebbe attraverso uno sforzo fisico esercitato da un individuo sulle sue cellule e str utture somatiche (attraverso sollecitazioni meccaniche e lo spostamento di “fluidi” negli organi maggior mente sollecitati) mentre la scomparsa di alcune appendici era dovuta al fatto che queste non venivano più usate e sollecitate (principio dell’uso e del non uso). Gli esempi tipici erano quello dell’allungamento del collo delle giraffe (che avrebbero sviluppato un collo così lungo a causa degli sforzi fisici da esse prodotti per poter raggiungere le foglie poste più in alto) e dei serpenti (che avrebbero perso le zampe perché non le utilizzavano). Ma alcuni studiosi, tra cui Georges Cuvier, il fondatore della paleontologia dei vertebrati, si opposero a questa teoria in quanto essa non spiegava la comparsa di caratteristiche non dipendenti dall’uso e disuso delle parti, come la pelle maculata e mimetica delle stesse giraffe (e, aggiungo io, come anche tutte le mutazioni con finalità mimetiche accennate nel presente saggio divulgativo). Altri oppositori ricorsero a un sadico esperimento per contestare sia la validità del principio dell’uso e disuso sia l’ipotesi che le caratteristiche acquisite, a livello somatico, potessero poi essere trasmesse alle generazioni successive. Essi tagliarono le code, per varie generazioni, ad alcuni topini di laboratorio (che, così, non avevano modo di usarle) e fecero notare che i discendenti 23
  • 24. nascevano sempre con le code: quindi le variazioni del corpo dei genitori, causate da fattori fisici, non venivano trasmesse ai figli. Tuttavia, io condivido con Lamarck l’idea che la comparsa di nuove caratteristiche in un essere vivente non sia dovuta al caso ma alla necessità dell’individuo di rispondere alle pressioni ambientali o di adattarsi a nuove condizioni di vita. La sostanziale differenza tra Lamarckismo e Plasticismo evolutivo (o Evoluzionismo ideoplastico) consiste nel fatto che, mentre secondo Lamarck l’individuo induceva la comparsa di nuove caratteristiche attraverso azioni fisiche (uso e non uso), secondo me l’individuo è in grado indurre le mutazioni adattative agendo - tramite un’azione psichica e ideoplastica - direttamente sul genoma delle sue cellule germinali. Questa mia ipotesi spiegherebbe, perciò, sia la comparsa - in tempi brevi - di nuove caratteristiche desiderabili (e che non costringono, come vorrebbero i neo-darwinisti, il caso a fare miliardi di tentativi ed errori), sia la comparsa di caratteristiche non legate al principio dell’uso e non uso, sia la modalità di trasmissione dei nuovi caratteri alla progenie. Quindi, secondo la mia ipotesi, l’allungamento del collo della giraffa non sarebbe stato causato dallo sforzo fisico esercitato dall’animale (cosa questa che avrebbe potuto provocare un minimo effetto solo sull’individuo che provava a raggiungere le foglie più in alto e non certo sui suoi discendenti) ma dal desiderio e dall’azione ideoplastica della mente dello stesso individuo che - con le modalità che illustrerò più avanti - avrebbe indotto le necessarie variazioni direttamente nel genoma delle sue cellule ger minali e, di conseguenza, negli individui delle generazioni successive. E ciò sarebbe accaduto non solo per l’allungamento del collo della giraffa, ma anche per la mobilità del pene degli elefanti (gli elefanti maschi hanno sviluppato un pene che è mobile proprio come la proboscide e che tasta l’addome della femmina fino a trovare la giusta strada) e per tutte le altre mutazioni evolutive di qualsiasi natura e di qualsiasi specie vivente. Aggiungo che anche tutte le mutazioni descritte nel capitolo successivo, e che riguardano variazioni evolutive con finalità mimetiche, non possono essere spiegate in alcun modo secondo il principio lamarckista dell’uso e non uso mentre vengono spiegate agevolmente dalla teoria del Plasticismo evolutivo. 24
  • 25. 4. Relazione tra mimetismo, evoluzione e convergenza evolutiva. Nel corso dei miei studi di zoologia ho avuto modo di osservare un particolare comportamento dei sepiidae che mi ha fatto molto pensare. Questi animali sono molluschi cefalopodi marini, estremamente intelligenti, noti con il nome comune di seppie. La caratteristica che mi ha più interessato è che essi posseggono spiccate capacità mimetiche che usano in maniera estremamente creativa. Ad esempio, alcuni maschi giovani talvolta assumono l’aspetto di femmine sessualmente immature e riescono così a eludere la vigilanza dei maschi più grandi e ad accoppiarsi con le loro femmine. Ma, soprattutto, queste seppie riescono ad adeguare istantaneamente il colore del proprio corpo a quello del substrato sul quale poggiano. Tale fenomeno viene detto rapido-mimetismo perché si tratta di una reazione istantanea e temporanea, per certi versi simile all’arrossimento dell’essere umano. Ebbene, io ipotizzo che questo fenomeno non sia involontario ma che, al contrario, sia una reazione volontaria dovuta a un fenomeno di somatizzazione ideoplastica (azione della psiche sul corpo) dello stesso tipo di quello (cripto-mimetico) che si è verificato nell’insetto-foglia, che però è riuscito addirittura a fissare la somiglianza con le foglie in maniera stabile nei suoi geni (imprinting genomico). Ritengo, cioè, che i fenomeni mimetici, sia quelli rapido-mimetici che quelli cripto-mimetici, costituiscano essi stessi una chiara prova dell’effettiva influenza della psiche sia sul corpo che sui geni, e che il meccanismo che li induce abbia molto in comune con quello che determina l’evoluzione di tutte le specie viventi. Secondo la mia ipotesi, quindi, la mente sarebbe in grado non solo di condizionare la fisiologia dell’individuo e di controllare l’espressione dei geni, ma anche di creare nuovi geni. Quanto finora ipotizzato non è stato ancora provato ma può costituire un fertile campo di indagine. Per conto mio, nei capitoli seguenti, proverò a superare le principali obiezioni alla mia ipotesi evoluzionistica, presentando alcuni indizi che sembrano confermarla e suggerendo alcune possibili spiegazioni dei meccanismi coinvolti. E invito chi 25
  • 26. volesse approfondire tali aspetti a prendere visione delle altre mie pubblicazioni al riguardo. Per il momento, inviterei i lettori a osservare gli individui mimetici senza preconcetti, poiché il loro attento studio può davvero condurci a comprendere meglio l’intero meccanismo evolutivo. Ad esempio, se osserviamo la Kallima inachus, di cui consiglio di cercare le immagini su Internet, non possiamo evitare di rimanere meravigliati dal suo aspetto e di porci alcune stimolanti domande. Questa farfalla ha la parte superiore delle ali dipinta con colori sgargianti, utili per il corteggiamento, ma se chiude le ali, appiattendole verticalmente l’una sull’altra, mostra la colorazione del lato inferiore, simile in tutto per tutto, anche per la forma, a quella delle foglie secche tipiche dell’habitat in cui vive. Altri animali da osservare con attenzione sono il “cavalluccio dragone” (Phyllopteryx taeniolatus), il cavalluccio marino che ha modificato il suo corpo per somigliare alle alghe del suo ecosistema, e la Aegeria o Sesia apiformis, una farfalla che ha scelto di somigliare a un’ape per sfuggire ai suoi predatori (mimetismo foberico). Ebbene, mi pare evidente che anche l’evoluzione di queste specie mimetiche, come delle numerose altre osservabili in natura, sia stata mirabilmente “orientata” e che non possa essere stata prodotta né da un meccanismo casuale né dall’uso e non uso. E ciò vale anche per l’evoluzione degli insetti foglia, della giraffa e, sia chiaro, anche per tutti gli animali non mimetici. Ad esempio, è noto che tutti gli animali che vivono in un certo tipo di ambiente finiscono per avere la stessa forma e le stesse funzioni. Gli ittiosauri (sauri acquatici primitivi), i cetacei (delfini, orche, balene, focene, ecc.) e i pesci, hanno tutti una forma idrodinamica molto simile e hanno sviluppato le pinne. Il pipistrello, che è un mammifero insettivoro, e il guacharo, che è uno strano uccello dalle penne oleose, vivendo entrambi nel buio delle grotte, hanno sviluppato una sorta di sonar per orientarsi. E, ancora, la talpa comune e la talpa marsupiale, che a parte il diverso colore del pelo (la prima è nera, la seconda è giallastra), hanno identica conformazione, pur essendo la prima un mammifero e la seconda un marsupiale, come i canguri. Queste specie vengono dette “convergenti” e la spinta evolutiva 26
  • 27. che causa la comparsa delle caratteristiche comuni prende il nome di “convergenza evolutiva”. Ebbene, secondo la teoria del Plasticismo evolutivo, siccome queste specie subiscono tutte lo stesso tipo di pressioni ambientali, finiscono per desiderare di acquisire tutte gli stessi adattamenti e, in tal modo, orientano nello stesso senso il processo evolutivo (evoluzione ideoplastica) e, di conseguenza, finiscono per assomigliarsi fortemente. Naturalmente, nulla impedisce che la selezione naturale possa poi agire sull’eterogenea popolazione presente favorendo la diffusione degli individui che si saranno rivelati più adatti. Tuttavia è chiaro che essa non può essere considerata la causa prima dell’evoluzione ma solo uno dei fattori che la completano. Con quali meccanismi ideoplastici la mente degli esseri viventi possa determinare la comparsa di mutazioni evolutive e produrre nuovi geni non è affatto chiaro, e cercheremo di ipotizzare insieme le possibili modalità nei capitoli che seguono. Ma il fatto di non aver ancora ben compreso come funziona il meccanismo ideoplastico delle mutazioni mimetiche non significa affatto che esso non esista. L’insetto-foglia esiste, è proprio identico a una foglia, e in qualche modo deve pure essersi prodotto! E una volta che sarà chiarito di che natura è l’interfaccia mente-geni avremo anche compreso il meccanismo generale dell’evoluzione di tutte le specie viventi. Ma prima dovremo affrontare una questione di primaria importanza: valutare la credibilità dell’ipotesi che tutte le specie viventi, compresi i vegetali, posseggano una mente. 27
  • 28. 5. Tutti gli esseri viventi sono dotati di mente? In sintesi, la mia opinione personale coincide con quella del premio nobel Max Planck, ritenuto il padre della teoria quantistica, secondo cui: “Tutta la materia ha origine ed esiste solamente in virtù di una forza... dobbiamo supporre che dietro questa forza ci sia una mente consapevole e intelligente. Questa mente è la matrice di tutta la materia”. Inoltre, non sarei affatto sorpreso se si scoprisse che tutti i sistemi in cui scorre energia (stelle e plasma, compresi) manifestino fenomeni di consapevolezza e di intelligenza. E, ancora, considerando che la materia non è altro che una delle tante forme di energia, non faticherei neppure a credere che anch’essa possa essere intelligente. Ovviamente, allo stato attuale, non abbiamo alcuna prova di ciò, ma alcuni studiosi dalla mentalità più aperta stanno indagando anche in questi settori di frontiera. Alcuni di essi, per esempio, stanno cercando di capire se anche i computer possono essere coscienti (es. Can Machines Be Consciuous?, Koch C. e Tononi G., in “IEE Spectrum”, Vol 45, n.6, pp.54-59, giugno 2008). Ma agli aspetti quantistici e filosofici connessi con tale controverso argomento accennerò nei prossimi capitoli, perchè in questa fase vorrei limitarmi alle sole considerazioni naturalistiche. In particolare, voglio sottolineare che, a mio parere, è stata proprio la convinzione - piuttosto ingenua oltre che erronea - che gli animali, i vegetali e i microbi non posseggano alcuna facoltà mentale ad aver impedito agli studiosi del passato di esporsi fino al punto di ipotizzare che il processo evolutivo potesse essere innescato da un fattore psichico, come invece propongo a chiare lettere io. Di conseguenza, tali studiosi hanno dovuto sforzarsi di trovare meccanismi di induzione alternativi: i darwinisti hanno tentato di spiegare la spinta evolutiva con il caso, i lamarckisti con il principio fisico dell’uso e non-uso, i sostenitori dell’Intelligent Design con l’azione diretta di Dio, e gli studiosi new-age con improbabili interazioni automatiche di varia natura. Eppure già lo stesso Darwin, in “The power of movement in plants”, aveva osser vato che gli apici radicali dei vegetali si 28
  • 29. comportavano come un cer vello esteso, simile a quello degli animali inferiori. Ma, evidentemente, neppure lui aveva osato rischiare di esporsi al ridicolo affermando che le piante potessero addirittura essere coscienti e possedere una vera mente. Infatti, in epoca più recente, alcune osservazioni tendenti a dimostrare le presunte capacità psichiche dei vegetali (l’effetto Kirlian, osservato nel 1939, e gli esperimenti condotti nel 1966 da Cleve Backster), sono state pesantemente avversate e derise dalla scienza ufficiale. Per quanto mi riguarda, io non ho nessuna difficoltà a credere che gli animali e i microbi posseggano spiccate capacità mentali. E la cosa, a mio parere, è dimostrata già dal semplice fatto che essi interagiscono con l’ambiente, si nutrono, si riproducono e sopravvivono da milioni di anni, e lo fanno con indiscutibile successo nonostante le osservazioni - talora davvero esilaranti - di alcuni scienziati e dei soliti SAM. Quando noto la sorpresa e lo stupore di alcuni ricercatori nel constatare, per esempio, che una scimmia riesce a prendere una nocciolina in un bicchiere facendo alzare il livello dell’acqua in esso contenuto, non rimango per niente sorpreso dell’intelligenza mostrata dalla scimmia (che in natura, per sopravvivere, risolve continuamente problemi ben più complessi e vitali), ma comincio ad avere serissimi dubbi sull’intelligenza dei ricercatori e su come essi sprechino il loro tempo e i soldi dei contribuenti. Per quanto riguarda invece la presunta intelligenza dei vegetali faccio esplicito riferimento, oltre che alle osservazioni di Darwin prima citate, agli studi condotti dal prof. Stefano Mancuso, dell’Università di Firenze, e al suo filone di ricerca denominato “neurobiologia vegetale” o “plant neurobiology”. Ammetto, in conclusione, che su tali aspetti non si è giunti ancora a conclusioni definitive e condivise. Tuttavia faccio notare che anche nei vegetali si verificano fenomeni di mimetismo che non possono essere ritenuti casuali e che mi fanno ipotizzare che anch’essi abbiano utilizzato le loro facoltà mentali per assumere determinate forme. Mi riferisco, per esempio, alla particolare forma del fiore dell’Ophrys apifera, un’orchidea che, per attrarre le api e per favorire l’impollinazione, ha sviluppato una parte del fiore fino a renderla perfettamente simile (per colore, forma, dimensioni e odore) a quello dell’addome di un’ape femmina. 29
  • 30. Inviterei perciò i ricercatori a non ignorare le osservazioni naturalistiche da me riportate e a ricercare spiegazioni evoluzionistiche diverse dal caso. Anche riprendendo vecchie ipotesi - come quelle avanzate da Kirlian e da Backster (teoria della percezione primaria), forse accantonate troppo frettolosamente - e riconsiderandole eventual- mente alla luce delle nuove prospettive fornite dalla fisica quantistica e delle osservazioni relative al presunto bio-entanglement, alcune delle quali riportate nel mio precedente saggio. Le neuroscienze stanno compiendo passi da gigante e non è da escludere che gli studi condotti sulla BCI (brain-computer interface, chiamata anche MMI, BMI, oppure direct neural interface) possano in parte essere utilizzati, da qualche ricercatore più ispirato, anche per studiare l’effetto ideoplastico della psiche sulla produzione di nuovi geni, come da me ipotizzato. 30
  • 31. 6. Relazione tra mente, genoma, ipnologia e scienze quantistiche. Come è stato già detto, l’ipotesi che la mente possa agire sul corpo e sul genoma, fino a determinare la comparsa di nuovi geni, costituisce la base principale della teoria del Plasticismo Evolutivo. E ribadisco che lo stesso fatto che gli organismi rapido-mimetici siano in grado di cambiare a volontà l’aspetto del proprio corpo costituisce già una chiara prova del potere ideoplastico della psiche. Nel saggio “Plasticismo evolutivo. Una nuova ipotesi evoluzionistica basata sulla biologia quantistica e sull’entanglement olografico” ho riportato alcuni indizi e considerazioni tendenti ad avvalorare questa mia ipotesi di studio, e ad esso rimando per ulteriori approfondimenti. Qui mi limito a evidenziare alcuni esempi provenienti dai settori della medicina, della psichiatria e dell’ipnologia. Ricordo, innanzitutto, che in medicina sono normalmente considerati reali sia l’effetto placebo che il suo opposto, l’effetto nocebo. Ed essi dimostrano chiaramente come le convinzioni e lo stato mentale degli individui possano condizionare sensibilmente il loro stato di salute. Anche la psichiatria ci offre un interessante esempio dell’influenza della mente sul corpo: la MPD o Multiple Personality Disorder. Le persone affette da questa patologia quando credono di essere una determinata personalità hanno certe manifestazioni fisiologiche (per esempio, sono violentemente allergiche alla puntura degli insetti) mentre, quando credono di essere un altro individuo, hanno tutt’altro tipo di comportamento (per esempio, mostrano reazioni allergiche nulle o molto limitate). È stato anche osservato che, in alcuni casi, i soggetti variano addirittura i colori dell’iride dei loro occhi. Tali manifestazioni non hanno basi genetiche - poiché si tratta sempre dello stesso individuo con lo stesso corredo genetico - ma psichiche, e si possono spiegare solo ammettendo che la psiche dell’individuo possa condizionare profondamente la fisiologia, forse interagendo con i meccanismi di controllo epigenetico. Altri impressionanti effetti di somatizzazione, talora associati alla MPD, sono costituiti dalle gravidanze isteriche e forse - quantomeno in alcuni casi - dalle stimmate e dalle autoguarigioni miracolose. In particolare, per quanto riguarda queste ultime, non è da escludere qualche tipo di interazione con le cellule staminali. Anche l’ipnologia ci fornisce alcuni esempi di un possibile controllo 31
  • 32. della mente, soprattutto della sua componente inconscia, sul corpo. In letteratura sono riportati, infatti, numerosi casi che testimoniano come un soggetto in stato di trance ipnotica sia in grado di controllare il dolore, di far sparire le verruche, e anche di causare un aumento della circonferenza del seno. A tale proposito, riporto un estratto di uno studio condotto dal dott. Willard (Willard, R. D., Accrescimento del seno tramite immaginazione visiva e ipnosi. “The American Journal of Clinical Hypnosis”, 1977, 4:195-200): «Alla fine di 12 settimane, il 28% aveva raggiunto l’obiettivo prefissato all’inizio del programma e non desiderò più alcun accrescimento. L’85% riportò che c’era stato un accrescimento significativo dei seni, e il 46% trovò necessario comprare biancheria intima più grande. Il quarantadue per cento ebbe un calo di peso maggiore di 4 pounds (1,81 kg) e aveva anche un accrescimento del seno. L’accrescimento medio della circonferenza fu di 1,37 pollici (3,48 cm.); l’accrescimento in verticale delle misure fu di 0.67 pollici (1,702 cm.) e l’accrescimento in orizzontale fu di 1.01 pollici (2,565 cm.)». Tutti questi esempi, però, provano solo che la mente può avere effetti sulla fisiologia e su alcune caratteristiche somatiche (somatizzazione), e non che ci sia una relazione diretta tra azione mentale e modifica del patrimonio genetico. Tuttavia, se si ammette che la mente possa agire sulle cellule somatiche non si comprende perché non possa agire anche sulle cellule germinali e sul DNA. Io sono convinto che la prova dell’interazione tra mente e DNA sia già sotto i nostri occhi, e che sia facilmente riconoscibile, purché accettiamo di osservarla senza preconcetti. E mi riferisco sia ad alcuni episodi di “imprinting somatico” che ho riportato nel mio saggio precedente (come i gattini nati con una data o con la scritta cat sul corpo, e una gallina che deponeva uova a forma di noci) sia alla particolare forma assunta dagli insetti foglia e dalle loro uova, al mantello mimetico della giraffa e al corpo a forma di alga del cavalluccio dragone. Poiché, come ho ribadito più volte, secondo la mia ipotesi ideoplastica è stata la mente, in risposta a un desiderio di adattamento o a una visualizzazione eidetica (insight), a fissare le mutazioni nei geni dei gameti, che poi hanno provveduto a trasmetterle alle generazioni successive. Ma questa, allo stato attuale, è solamente un’ipotesi ancora da dimostrare. Perciò, voglio nuovamente invitare i ricercatori a considerare seriamente la possibilità che l’induzione evolutiva non 32
  • 33. sia un evento casuale ma che sia un evento orientato dalla forza mentale degli individui, e a realizzare una serie di esperimenti che possano confermare o confutare tale ipotesi, tenendo presente che essa sembra essere suffragata dalle mie osservazioni naturalistiche sulle specie mimetiche. Io, in particolare, suggerirei di adottare un approccio che tenga conto dei risultati delle scienze quantistiche. E ciò per una questione di “coerenza intellettuale”, e cioè che le conclusioni a cui è giunta la fisica quantistica a proposito della materia inanimata devono essere ritenute valide anche per la materia biologica, che ha la stessa struttura elementare. Quindi, se la materia ha una natura duale (corpuscolare e ondulatoria) anche i sistemi biologici devono essere studiati tenendo conto degli aspetti quantistici. E, se alcune conclusioni sono ritenute valide in campo inanimato (es. l’influenza da parte dell’osservatore tramite il “collasso della funzione d’onda”, il tunneling, l’effetto Einstein- Podolsky-Rosen, l’entanglement, la non-località, ecc.) esse devono essere ritenute ugualmente valide anche a quando si studiano i fenomeni biologici. In definitiva, pur non escludendo altre possibili interpretazioni o interazioni (eventuali relazioni con la proteomica, presunte proprietà mnemoniche dell’acqua, ecc.), tenendo conto delle considerazioni che riporto brevemente qui di seguito, io propendo per l’ipotesi che l’interfaccia mente-corpo e mente- geni possa essere di tipo ondulatorio, e faccio diretto riferimento ai paradigmi olografici di Pribram e di Bohm. Karl H. Pribram, insigne medico neurochirurgo austriaco, stimolato dalle teorie quantistiche di Bohm, teorizzò un modello olografico del cervello (Holonomic Brain Theory) secondo il quale le informazioni e i ricordi non sarebbero registrati nei neuroni, ma sarebbero il risultato di figure d’onda (o pattern interferenti), rappresentabili con le equazioni di Fourier, e spiegò in tal modo la capacità del cervello di immagazzinare un’enorme quantità di informazioni in uno spazio relativamente piccolo. Ebbene io, in accordo con quanto ipotizzato da Bernstein, penso che sia collegato in maniera olografica non solamente il cervello ma l’intero corpo. Pertanto, tutte le informazioni, memoria compresa, sarebbero distribuite e memorizzate in tutto il corpo, in un campo ondulatorio di natura quantistica. 33
  • 34. E sostengo questa ipotesi collegandomi a tre considerazioni: la presunta memoria degli organi dei trapiantati, le possibili implicazioni dell’esperimento di Valerie Hunt, e la presunta mente collettiva degli insetti sociali. Pare, infatti, che molte delle persone che hanno subito il trapianto di uno o più organi, abbiano acquisito, senza aver ricevuto informazioni da altre fonti, alcune abitudini dei donatori. Come se gli organi trapiantati avessero conservato, con un meccanismo ancora sconosciuto, ma che io ipotizzo possa essere di natura olografica e ondulatoria, la memoria del donatore. E a un campo energetico e immateriale che avvolge l’essere umano farebbe pensare anche un esperimento di Valerie Hunt. Questa ricercatrice americana, studiando le risposte di alcuni soggetti a uno stimolo luminoso e confrontando le letture degli elettromiogrammi (EMG) e degli elettroencefalogrammi (EEG), osservò che, inaspettatamente, l’elettromiogramma registrava la risposta allo stimolo prima ancora dell’encefalogramma. Fatto questo che farebbe proprio supporre l’esistenza di un campo energetico mentale che circonderebbe il corpo e che addirittura sovrintenderebbe alle funzioni cerebrali. E l’ipotesi che la mente possa essere costituita da un campo energetico separato dal substrato biologico ma ad esso collegato (bio-entanglement) può essere rafforzata anche dall’osservazione del comportamento dei cosiddetti “insetti sociali” (formiche, api, termiti). Le colonie di questi insetti vengono, infatti, spesso definite superorganismi, proprio a causa del fatto che il loro comportamento sembra essere coordinato da una “mente collettiva” che li porta a compiere azioni così complesse da non poter essere spiegate con i soli linguaggi chimici (feromoni) o mimici. D’altra parte, l’esistenza di campi morfogenetici, capaci di modellare la forma e le funzioni di un individuo in via di sviluppo, non è un’idea nuova, ed è stata ipotizzata dai biologi fin dagli anni ‘20 del secolo scorso e, in tempi più recenti, è stata ripresa anche da altri studiosi, tra cui il più eminente è sicuramente Rupert Sheldrake. Ed è anche il caso di precisare che l’idea che attorno al corpo umano esista un “campo” di forza, più o meno intelligente, generalmente definito “aura”, è antichissima: in India da oltre 5.000 anni viene chiamato prana; in Cina viene chiamato ch’i e la Kabalah ebraica lo definisce nefish e lo descrive come una bolla iridescente 34
  • 35. di forma ovale che circonderebbe il corpo umano e che sarebbe visibile da alcuni mistici. Nonostante che, lo ripeto, il Plasticismo Evolutivo si basi soprattutto su considerazioni naturalistiche (in particolare, sul rapporto tra mimetismo ed evoluzione delle specie), il riferimento diretto al paradigma olografico di Bohm può, forse essere utile anche per rispondere a un preciso quesito. E cioè: da dove la psiche dell’individuo può acquisire le informazioni necessarie per una mutazione evolutiva la cui soluzione non sia già presente in natura? La risposta è: nella porzione dell’universo fisico dove le matrici di tali forme risiedono. Lo so: questa risposta starà facendo gongolare di gioia tutti i SAM del pianeta, che la ritengono così fantasiosa da sfiorare quasi l’idiozia. Tuttavia questa idea non appariva così strana a molti filosofi (pensiero filosofico di Giordano Bruno e di Hegel, l’iperuranio di Platone, ecc.) né agli studiosi di scienze cognitive (es. inconscio collettivo di Jung). E neppure a una buona parte di fisici teorici che - sia in cosmologia che in fisica quantistica - hanno presentato teorie simili, secondo le quali la realtà oggettiva, a quattro dimensioni (le tre spaziali, più il tempo), sarebbe la proiezione olografica di una matrice bidimensionale situata altrove. Bohm, in particolare, ha teorizzato l’esistenza di due piani fisici collegati in maniera olografica e non-locale: un implicate order, in cui risiederebbero tutte le informazioni olografiche di ciò che esiste nella realtà fisica, e la realtà oggettiva, da lui chiamata esplicate order. E lo stesso Albert Einstein ha avuto modo di esprimere un analogo concetto, con la frase: “Tutto è determinato da forze sulle quali non abbiamo alcun controllo. Vale per l’insetto come per gli astri. Esseri umani, vegetali o polvere cosmica, tutti danziamo al ritmo di una musica misteriosa, suonata in lontananza da un pifferaio invisibile”. Aggiungo che l’implicate order di Bohm, così simile al mondo delle idee di Platone, potrebbe essere anche il luogo in cui risiedono non soltanto le matrici fisiche degli esseri viventi ma anche le matrici dei loro comportamenti istintuali, con cui si potrebbero spiegare alcuni sbalorditivi comportamenti di alcuni esseri viventi (per esempio, l’incredibile perizia con cui i ragni tessono le loro tele e le api le cellette esagonali dei loro alveari). Infine, ammetto che molte delle osservazioni riportate in questo capitolo (come, per esempio, gli effetti ideoplastici e di 35
  • 36. somatizzazione osservati in ipnologia e in psichiatria) non sono così frequenti e, talora, non facilmente ripetibili, ma ciò non vuol dire affatto che non esistano e che non debbano essere studiati. Del resto, faccio notare che anche gli stessi eventi evoluzionistici non sono poi così frequenti. Ad esempio, l’essere umano negli ultimi millenni non si è per niente evoluto. Abbiamo a che fare, quindi, con fenomeni non frequenti e ciò, a mio modo di vedere, è un’altra importante caratteristica che hanno in comune i fenomeni indotti psichicamente e l’evoluzione. Questo forse perché, affinché si verifichino, c’è bisogno di condizioni particolari ed estreme, corrispondenti in ipnologia al monoideismo, e in ambito evoluzionistico a particolari e intensi stati di necessità, in qualche caso forse anche protratti per un certo tempo. E, a questo punto, voglio ribadire due concetti basilari. Il primo è che ricercare le possibili spiegazioni del fenomeno evoluzionistico anche tra le ipotesi più fantasiose è sempre meglio che accontentarsi della non-spiegazione rappresentata dalla sterile, dogmatica e non scientifica ipotesi delle presunte mutazioni casuali. Il secondo è che, se si accettano alcune conclusioni in un settore di ricerca, esse devono essere ritenute ugualmente valide anche negli altri settori di ricerca (principio che io definisco di “coerenza intellettuale”): quindi, per esempio, non vedo alcun problema nel provare ad applicare alcuni dei principi di fisica quantistica allo studio dell’evoluzione delle specie viventi. E, per concludere, vorrei segnalare un altro possibile elemento di riflessione: tutti i fenomeni osservabili in natura sono regolati da precise leggi, forze e regole. Perché proprio l’evoluzione dovrebbe fare eccezione? Solo per accontentare i SAM e i neo-darwinisti? 36
  • 37. 7. SAM, Podaciris sicula e rapporti con la genetica. I SAM (Studiosi Accademici Medi) sono un particolarissimo gruppo antropologico i cui caratteri principali sono costituiti da egocentrismo, presunzione, maleducazione e irascibilità. Spesse volte si tratta di anonimi ricercatori che non hanno mai scoperto niente di rilevante e che sono piuttosto frustrati per aver trascorso tanti anni della loro vita a fare niente. A volte sono titolari, incredibilmente e chissà come, di una cattedra universitaria. Altre volte scrivono libri su argomenti di cui non hanno contribuito in alcun modo ad accrescere la conoscenza e - talora - ci guadagnano pure bene, oltre che immeritatamente. In quest’ultimo caso, difendono il loro campetto di interesse con particolare veemenza, come quei cani che proteggono il loro ristretto e vitale territorio fino alla morte. Anche se hanno spesso una formazione settoriale e limitata, e quasi sempre diversa dall’argomento di cui scrivono, pensano di essere esperti di tutti i campi dello scibile e offendono pesantemente (sia nei titoli che nei contenuti dei loro libri) tutti coloro che hanno opinioni diverse dalle loro. Non faccio nomi, per il momento. Ma costoro si riconoscono facilmente per le loro posizioni fondamentalistiche e scientiste. Sono, metaforicamente, come gli asini con i paraocchi (accessori che li costringono a guardare solo una parte della realtà che li circonda) e, spesso, hanno pure problemi con la cervicale (patologia che non gli consente di ruotare nemmeno un po’ il collo di lato, per cambiare visione), e sono anche miopi (poiché non vedono più in là della lunghezza limitata del proprio naso). Sono estremamente conformisti (si veda, a tale proposito l’illuminante esperimento sul conformismo eseguito da Solomon Asch nel 1956) e tendono a negare ogni evidenza contraria alle loro rigide convinzioni o alle loro convenienze, e difendono strenuamente le ideologie dominanti. E sono, di sicuro, meno simpatici dei creazionisti (che, quantomeno, non sono così presuntuosi da credere solo in sé stessi)! Infine, anche se non se ne rendono conto, rallentano gravemente il progresso scientifico, perché ostacolano lo studio di tutto ciò che non sia già acquisito e non comprendono che, con tale atteggiamento, l’umanità non scoprirebbe mai niente di nuovo! Inoltre, trattano con sufficienza, presunzione e maleducazione tutti coloro che hanno opinioni diverse dalla loro. 37
  • 38. I creazionisti, invece, sono molto più simpatici e, anche se non condivido affatto le loro posizioni, devo dire che, per par condicio, anche le loro opinioni meriterebbero un minimo di considerazione. A livello puramente speculativo, infatti, nonostante ci siano molti fossili intermedi che fanno propendere per la teoria evoluzionistica e che la geologia abbia dimostrato che l’età della Terra è di circa 4,54 miliardi di anni, essi potrebbero anche sostenere che la Terra abbia solo tre giorni di vita e che i fossili non provino proprio un bel niente. Infatti, se è stato davvero un Dio a creare la Terra nulla vieta che avrebbe potuta farla, appena tre giorni fa, “già vecchia” di 4,54 miliardi di anni. E, sempre tre giorni fa, potrebbe anche aver disseminato un po’ di falsi fossili qua e là e impiantato nella nostra testa mortale i ricordi (tasse e mutui compresi) di quella che pensiamo sia stata tutta la nostra vita fino ad oggi. E va bene: ammetto che questa teoria è piuttosto balorda! Ma, se vogliamo essere obiettivi, non lo è molto di più di quella dei sostenitori dell’evoluzione casuale e che affermano - sapendo bene di mentire - che nei laboratori di tutto il mondo ci sarebbero le prove che l’evoluzione delle specie viventi viene prodotta dal caso. E ai SAM vorrei anche dire che, se qualche volta hanno visto entrare in qualche laboratorio una femmina pelosa e dall’aspetto primitivo e poi uscirne una bella e affascinante donna moderna, che controllino bene: il laboratorio dinanzi al quale si trovavano doveva essere certamente quello di un centro estetico e non certo di genetica! Ironia a parte, so bene - almeno quanto i SAM - che con l’ingegneria genetica si riescono a far acquisire alle specie viventi nuove e interessanti caratteristiche. E segnalo che, come agronomo, ho preso visione di numerosi studi a riguardo, i primi dei quali sono stati realizzati proprio nel settore di mia competenza: ovvero, quello degli organismi vegetali e degli animali di interesse zootecnico. Ma deve essere chiaro che tutte le variazioni ottenute in laboratorio non sono state affatto casuali (visto che sono state operate intenzionalmente dall’uomo) e che mai, finora, variazioni sperimentali minime, anche artificiali, hanno portato a mutazioni significative e funzionali, paragonabili cioè alla comparsa di una nuova specie o di un nuovo organo funzionale. 38
  • 39. Le mutazioni genetiche casuali possono forse portare a piccole variazioni (micro-mutazioni), spesso dannose e raramente funzionali, ma che possano addirittura condurre alla comparsa di complesse mutazioni evolutive - che coinvolgono numerosi organi e che devono agire in perfetta sintonia - è un’ipotesi ancora tutta da dimostrare. Ma, ovviamente, sono sempre disposto a rivedere le mie opinioni se mi verrà dimostrato il contrario. Nel frattempo, in assenza di dimostrazioni inconfutabili, e pur credendo fermamente nell’evoluzione degli esseri viventi, continuerò a ritenere che essa non possa essere determinata dal caso ma che sia orientata da qualche forza che non abbiamo ancora compreso. Perciò, basandomi sulle mie osservazioni naturalistiche sul mimetismo, continuerò a sostenere la validità dell’evoluzionismo ideoplastico o Plasticismo evolutivo. Vorrei poi chiarire che anche l’esempio della Podaciris sicula, che tanto piace ad alcuni SAM, può avere spiegazioni molto diverse da quella casuale da loro proposta. Com’è noto, nel 1971 il prof. Eviatar Nevo immise nello scoglio dalmata di Hrid Pod Mrèaru un certo numero di esemplari di una piccola lucertola, la Podaciris sicula, per studiare come si sarebbe adattata al nuovo habitat. Nel 2004 un team di scienziati guidato da Duncan Irschick e Anthony Herrel ritornò sull’isola e osservò che si erano verificati alcuni cambiamenti morfologici della lucertola. L’analisi del DNA mitocondriale eseguita sulle lucertole presenti sullo scoglio confermò che esse erano appartenenti alla specie Podarcis sicula ma presentavano importanti differenze: erano più grandi di quelle del continente, le loro mascelle erano diventate più robuste, avevano modificato il loro regime alimentare (che da insettivoro era diventato erbivoro) e nel loro apparato digerente era comparsa una nuova struttura: la valvola ileocecale, un favorevole adattamento al nuovo tipo di alimentazione. Secondo i sostenitori del neo-darwinismo questo sarebbe un chiaro esempio di evoluzione. E io tendo a concordare con loro anche se, purtroppo, non si può escludere del tutto che su quell’isolotto fossero già presenti, o fossero giunte tra il 1971 e il 2004, a insaputa nostra e dei ricercatori, delle lucertole maschio portatrici del carattere “valvola ileoceale”. In tal caso queste ultime avrebbero potuto incrociarsi con 39
  • 40. le femmine delle lucertole introdotte nel 1971 e tale ipotetico incrocio non sarebbe stato evidenziato dall’esame del DNA mitocondriale, la cui trasmissione è madre-dipendente (poiché, di norma, i pochi mitocondri maschili vengono eliminati dallo zigote). Tuttavia, se si esclude questa ipotesi, tutt’altro che improbabile, non è corretto né automatico concludere che la presunta mutazione sia stata causata da mutazioni casuali. Anzi, è più probabile l’esatto contrario. Infatti, lo stretto lasso di tempo (non superiore a 33 anni, ma forse anche di molto inferiore, poiché non sappiamo con certezza quando sia apparso il carattere “valvola ileocecale”) rende poco credibile che in tale breve intervallo di tempo ci siano state tutta una serie di mutazioni casuali tra le quali poi la selezione naturale avrebbe scelto quella più adatta al nuovo habitat. Anche perché sull’isolotto non sono state osservare specie intermedie (per esempio, con valvola ileocecale abbozzata o parzialmente funzionante) o presentanti altre mutazioni “sbagliate”. Perciò è più probabile, se mutazione c’è stata, che essa sia stata orientata dalla psiche delle lucertole, stimolata dal forzato cambiamento di regime alimentare causato dalle caratteristiche ambientali del nuovo habitat. E tale forza ideoplastica avrebbe potuto agire, anche nello spazio limitatissimo di una sola generazione e senza necessità di ricorrere a prove ed errori casuali, direttamente sul DNA delle cellule germinali, con tre possibili modalità: o, come ipotizzo nel mio precedente saggio, attivando una “complessione genomica” già presente nell’iperspecie Podacirisi sicula; o causando una mutazione ideoplastica nel DNA; oppure accedendo alle informazioni presenti nella matrice dell’implicate order teorizzato da Bohm. Sull’eterogenea popolazione così prodotta avrebbe poi agito la selezione naturale, eliminando le lucertole introdotte nel 1971. Quindi, come si vede, l’ipotesi di studio da me denominata Plasticismo evolutivo, non nega affatto la stretta relazione tra le specie viventi e la genetica (nonché con l’epigenetica e con la proteomica), ma considera il DNA più il veicolo che la sorgente dell’evoluzione, in quanto ipotizza che la presunta azione ideoplastica o mutagena della psiche avrebbe come “bersaglio” ultimo proprio il complesso epigenomico e la molecola del DNA, la quale poi esplicherebbe le sue funzioni secondo le modalità studiate e validate in tutti i laboratori di genetica del mondo, e che la mia teoria accetta totalmente. 40
  • 41. Ma torniamo agli aspetti naturalistici. Per chiarire meglio la questione vorrei accennare brevemente all’esempio del camaleonte. Questo rettile, oltre che essere mimetico, ha sviluppato una lingua estroflettibile, lunga circa il doppio del suo corpo, con la quale cattura le sue prede. Ebbene, osservando questo simpatico animale durante la caccia, si comprende subito che tale carattere non può essere comparso per caso: il rettile ha “voluto” sviluppare un simile organo, si è esercitato e ha desiderato a lungo colpire le sue prede a distanza e, alla fine, è riuscito a trasmettere questo carattere ai suoi discendenti, modificando i geni delle cellule germinali, forse con un meccanismo spiegabile con gli strumenti messi a disposizione della fisica quantistica. Lo stesso processo si è verificato, presumibilmente, anche nell’evoluzione della rana pescatrice o coda di rospo (Lophius piscatorius). Questo poco attraente ma saporito pesce ha modificato il primo raggio della spina dorsale fino a trasformarlo in una struttura chiamata illicio, simile a un canna da pesca completa di un’escrescenza carnosa a forma di vermetto, con la quale attira i pesci davanti alla bocca e li divora. Ebbene, neanche questa evoluzione può essere attribuita al caso o all’uso e non uso ma è stata sicuramente orientata dal desiderio dei progenitori. E questo, a mio parere, costituisce un’altra prova che l’evoluzione delle specie viventi non è altro che una volontà che prende forma. E mi preme sottolineare che, in natura, esistono numerosi altri esempi di evoluzioni mimetiche che sarebbe il caso di studiare. E consiglio ai lettori di cercare in rete, per esempio, le immagini della mantide-orchidea (Hymenopus coronatus) e degli insetti stecco (Bacillus rossius, ecc.). Questi ultimi, simili a rametti, per mimetizzarsi meglio si dispongono allineati ai rami e, quando c’è vento, prendono a oscillare anch’essi come i rametti mossi dalla brezza. Hanno cioè la totale consapevolezza di somigliare ai veri rametti e fanno di tutto per massimizzare il loro mimetismo! Eppure, chissà perché, alcuni studiosi sono convinti che essi non siano in grado di pensare! Infine, ritornando all’esempio della Podaciris sicula con la valvola ileocecale, mi preme sottolineare che la sua comparsa non può essere ritenuta, in nessun caso, come la comparsa di una nuova specie, poiché, da quanto mi risulta, gli individui mutati possono incrociarsi normalmente con le lucertole senza valvola ileocecale e dare vita a una progenie fertile. 41
  • 42. 8. Il Plasticismo Evolutivo. Riassumendo, l’ipotesi di studio denominata Plasticismo Evolutivo o Evoluzionismo Ideoplastico propone che l’evoluzione degli esseri viventi sia dovuta a una presunta azione mutagena della psiche dei viventi che agirebbe direttamente sul genoma e sull’epigenoma delle cellule germinali (o, più in generale, delle cellule riproduttive). Si fonda su precise osservazioni naturalistiche e, in special modo, sullo studio degli organismi mimetici. In particolare, suppone che il meccanismo che induce le variazioni temporanee negli organismi rapido-mimetici (es. sepiidae) sia dello stesso tipo di quello che ha indotto le variazioni fissate geneticamente negli organismi cripto-mimetici (es. phasmidae), e che entrambi abbiano dei punti in comune con il meccanismo che consente l’acquisizione di nuove caratteristiche a tutte specie in evoluzione. Si distingue dal neo-darwinismo perché non accetta il caso come causa delle mutazioni evolutive e, al contrario, ritiene che l’evoluzione sia orientata dalla volontà degli esseri viventi. Tuttavia, pur ridimensionandolo, accetta la fondatezza del meccanismo della selezione naturale. Si distingue dal lamarckismo perché, pur ritenendo che le mutazioni siano indotte da una necessità vitale, non le spiega con l’azione di stimoli fisici (principio dell’uso e non uso) ma attraverso stimoli di natura psichica (azione ideoplastica). Inoltre, rispetto al lamarckismo riesce anche a spiegare la comparsa di caratteri non dipendenti dall’uso e non uso e l’ereditarietà dei caratteri acquisiti (per azione diretta della psiche sul genoma). Riconosce il fondamentale ruolo della genetica nell’espressione dei caratteri fenotipici, ma considera i geni più il veicolo che la fonte dell’evoluzione (non accetta, cioè, che mutazioni casuali nei geni possano condurre a mutazioni complesse e funzionali, ma solo a micro-mutazioni, spesso deleterie). Suppone che tutti gli esseri viventi siano dotati di funzioni mentali e, per quanto riguarda i vegetali, fa anche riferimento alla neurobiologia vegetale. Ipotizza che alcuni aspetti evoluzionistici possano essere spiegati secondo il paradigma olografico di Bohm. E, infine, pur ammettendo di non conoscere le modalità con cui la psiche agirebbe sui geni, 42
  • 43. avanza l’ipotesi che il meccanismo coinvolto possa essere di tipo quantistico (poiché le conclusioni della fisica quantistica relative alla materia inanimata devono essere ritenute valide anche per i sistemi biologici). Ciò precisato, concludo invitando i ricercatori a voler tener conto delle mie osservazioni naturalistiche e a provare a verificare (o anche a confutare) la mia ipotesi di studio, sia con osservazioni naturalistiche sia con esperimenti di laboratorio che studino gli eventuali effetti della psiche sui geni. Anche provando a indagare, come da me suggerito nel mio romanzo, i possibili effetti dei potenziali somatosensoriali evocati e dell’ideoplasia ipnotica sul presunto campo quantistico che avvolgerebbe il corpo e che condizionerebbe olograficamente il DNA. Accetterei di buon grado anche una confutazione, poiché, per dirla con Karl Popper: «Ogni confutazione dovrebbe essere considerata come un grosso successo; non semplicemente un successo dello scienziato che ha confutato la teoria, ma anche quello dello scienziato che ha creato la teoria confutata e che in questo modo ha suggerito in prima istanza, anche se solo in modo indiretto, l’esperimento che l’avrebbe confutata». Chiarisco, infine, che considero la teoria del Plasticismo Evolutivo come una terza via tra l’evoluzionismo classico e l’intelligent design: poiché se si ammette che l’evoluzione sia indotta dalla psiche delle specie viventi e che queste non sono altro che particelle di Dio, 43
  • 44. allora affermare che l’evoluzione è determinata dall’azione ideoplastica della psiche non nega affatto l’azione di un Dio, che può esprimersi attraverso le opere e le richieste delle sue creature. Dal punto di vista filosofico, infine, la mia ipotesi ideoplastica si riallaccia al monismo panteistico del monaco domenicano Giordano Bruno (nato a Nola, nei pressi di Napoli, nel 1548, e arso vivo dall’inquisizione romana, per le sue idee ritenute eretiche, nel 1600), che nel suo scritto “Spaccio de la bestia trionfante” del 1584, così scriveva: «La qual natura (come devi sapere) non è altro che Dio nelle cose». 44
  • 45. 45
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  • 47. L’oggetto della discordia (Racconto di Pellegrino De Rosa) L’oggetto si stagliava immobile e silenzioso, sospeso a mezz’aria, sopra il mare in bonaccia. Aveva la forma di un triangolo isoscele, con la base a sinistra e la punta a destra, e sembrava di metallo. Il bambino spalancò gli occhi e corse, trafelato, dall’uomo chiamato “il Maestro” e lo strattonò tirandogli la tonaca. «Che c’è?» «Guarda!» fece il bambino, indicando l’oggetto nel cielo. «Cos’è?» L’uomo alzò lo sguardo e rimase a bocca aperta. L’oggetto era enorme e inquietante, come il dubbio che rode le vite dei mortali. «Non so cos’è. Da quanto tempo è lì?» chiese l’anziano uomo a sua volta. Il bambino alzò le spalle e sgambettò via, corrucciato: dal Maestro si aspettava delle risposte, non delle domande. Il vecchio si mordicchiò un labbro. Per quanto ne sapeva lui, quell’oggetto poteva anche essere stato là, sospeso nel cielo, fin dai tempi della Creazione, senza che nessuno se ne fosse mai accorto. Gli uomini, infatti, erano troppo presi dai loro affari e non alzavano mai lo sguardo al cielo. La notizia dell’avvistamento si sparse in un battibaleno e tutti, nell’isola, presero a camminare con il naso all’insù in attesa che l’oggetto facesse qualche movimento, che andasse via o che cadesse o che emettesse qualche rumore. Ma non avvenne proprio un bel niente! E l’oggetto rimase al suo posto per giorni, per mesi e per anni. Gli uomini, nel frattempo, si divisero in fazioni: alcuni ebbero paura, temettero la fine del mondo e formarono una setta religiosa; altri si misero a studiare un piano per abbatterlo; altri, ancora, presero a osservarlo con grossi telescopi; altri, infine, cominciarono ad adorarlo come un Idolo e si diedero alla fornicazione. Poi al Maestro venne un’idea. Pensò che, oltre che dalla loro isola, quella dei naturalisti, l’oggetto potesse risultare visibile anche dalle isole vicine. Perciò, vincendo 47
  • 48. l’innata ritrosia, sollevò il telefono e chiamò i suoi colleghi che abitavano nell’isola dei fisici. E la loro risposta lo lasciò stupefatto: «Noi abbiamo visto l’oggetto da un bel po’ di tempo. Ma vi sbagliate: non è un triangolo... è un cerchio!» «Un cerchio?» «Proprio così... e ha un punto giusto al centro!» continuò il fisico. «Ah, ma allora deve trattarsi di un altro oggetto! Strano, però, che noi non lo vediamo». «Se è per questo anche noi vediamo un solo oggetto nel cielo e - ti ripeto - è un cerchio. Mentre non riusciamo a scorgere il vostro triangolo». «E se vi sbagliaste?» ribatté il professore naturalista. «Forse la vostra vista non è così buona come credete. Io potrei giurare che si tratta di un triangolo!» «E allora facciamo una cosa» propose il fisico, «chiamiamo i religiosi e chiediamogli cosa vedono loro». «Ottima idea. Vedrai che daranno ragione a noi» rispose il naturalista. Allora telefonarono all’isola dei religiosi e gli chiesero se, dal loro punto di vista, vedessero qualcosa nel cielo, sospeso sul mare davanti a loro. Il religioso alzò lo sguardo al cielo e ammutolì. Era proprio vero! Anche nel loro cielo c’era un gigantesco oggetto sospeso a mezz’aria e non se ne era mai accorto prima. Per lo stupore lasciò cadere il telefono, e suonò le campane per chiamare a raccolta tutti gli abitanti della sua isola. «Qualcuno di voi si era già accorto di questo oggetto nel cielo?» domandò. Tutti scuoterono la testa. Nessuno lo aveva mai notato! Chiamò, quindi, i naturalisti e i fisici e parlò loro: «Anche nel nostro cielo c’è un oggetto misterioso ma, da come lo vediamo noi, ha la forma di un cerchio schiacciato - più un’ellissi che un cerchio - con un piccolo triangolino sulla destra. Perciò, non dovrebbe trattarsi dello stesso oggetto! Lo osserveremo, ci rifletteremo, e vi faremo sapere». Il Maestro, allora, andò alla spiaggia e piazzò un potente telescopio. 48
  • 49. Era ben determinato a non desistere fino a quando non avesse scoperto cosa fosse quel misterioso oggetto sospeso a mezz’aria. E rimase ad osservare quell’oggetto per anni, ma senza alcun risultato. Tutti gli altri abitanti dell’isola avevano ormai accettato l’idea che si trattasse di un triangolo, come dicevano tutti gli altri naturalisti, e deridevano sia i fisici che i religiosi che vedevano oggetti diversi. Ma lui non ne era per niente persuaso. Una risatina soffocata dietro di sé lo costrinse a girarsi. Strinse le palpebre, per mettere meglio a fuoco il volto del visitatore e, dopo qualche istante, lo riconobbe. «Ah, sei tu!» sospirò, imbarazzato. Molto tempo era passato e quello che era un bambino era ormai diventato un ragazzino dallo sguardo vispo e sicuro e lo guardava sghignazzando, mentre mangiava con gusto un gelato. Era proprio il bambino che, anni prima, gli aveva fatto notare l’oggetto incombente. «Senti, non so come dirtelo» sbuffò il Maestro, «ma non ho alcuna idea di cosa sia quell’oggetto. Per la verità ho chiesto anche ad altri: ma vedono cose diverse. Alcuni vedono un cerchio, altri un triangolo, altri un’ellisse con una punta triangolare di lato...» spiegò, spalancando le braccia e spiando le reazioni del ragazzino, che sorrideva e continuava a leccare il suo cono gelato. «È un cono» dichiarò il ragazzino, alzando il cornetto al cielo. «Lo vedo che è un cono gelato» rispose il Maestro, per fortuna questo riesco ancora a capirlo! «Non dicevo questo. Io parlavo di quell’oggetto enorme nel cielo... è un cono, come questo!» Il Maestro sorrise, divertito. «Hai una bella fantasia, e questo è bene. Però ti sbagli: quello nel cielo non è affatto un cono gelato!» «E invece sei tu che ti sbagli, Maestro, perché non hai fantasia e ragioni solo in base a quello che puoi vedere...» Il Maestro arrossì, offeso. «Come ti permetti? Io ho studiato tanto, sono un grande accademico, mentre tu hai la mente vuota, proprio come un foglio bianco!» «Ed è proprio per questo che nella mia c’è posto per qualcosa di nuovo» ribatté il ragazzino. «Guarda: se il gelato lo metto così vedo un cerchio, se lo giro di lato vedo un triangolo e, se lo metto un po’ obliquo vedo un’ellisse e una punta triangolare di lato» continuò, sghignazzando. 49
  • 50. Il Maestro, stupefatto, si lasciò cadere sulla sabbia. «Non era poi così difficile» osservò il ragazzino. «Perché mai voi studiosi non vi siete mai degnati di considerare ognuno anche il punto di vista degli altri ed elaborare una sintesi?» Il ragazzino aveva ragione: la realtà apparente cambiava a seconda del punto di vista ma l’essenza dell’oggetto era immutabile: l’oggetto nel cielo era un cono, proprio come un cono gelato! E avrebbero potuto capirlo anni prima, se solo ognuno avesse fatto uno sforzo per ascoltare l’opinione degli altri. «E cosa rappresenta quel cono?» «Mi sembra chiaro: è il pregiudizio; è il punto di vista fazioso e parziale» «E riusciremo mai a liberarcene?» «Forse. Ma si scioglierà solamente se sarà riscaldato dalla luce della tolleranza… come un cono gelato sotto i raggi del sole!» rispose il ragazzino, girandosi per andare via. «Te ne vai?» «Sì. Andrò ad abitare nell’isola dei filosofi. È molto più estesa di quelle degli scienziati e dei religiosi messe insieme: è a forma di arco e consente molteplici punti di vista; inoltre, proprio al centro, ha una montagna, la Vetta della Meditazione, che ti consente di vedere le cose dall’alto». «E noi cosa potremo fare, separati come siamo gli uni dagli altri?» «Potreste costruire dei ponti che colleghino le vostre isole tra di loro, magari anche con quella dei filosofi!» «Sarà difficile» commentò il naturalista, «da tempo ho compreso che ogni capo-isola vuole rimanere separato per dominare meglio gli abitanti della sua isola...» «E allora, almeno parlatevi ogni tanto e cercate di scambiarvi i punti di vista!» Il Maestro storse il naso, dubbioso. «Ma tu chi sei veramente?» chiese, infine. «Dimmi chi sei!» Il ragazzino fece una lunga pausa e sgranocchiò con gusto il resto del cono gelato. «Sono uno che osserva e che ha la mente e il cuore bianchi come un foglio vuoto» rispose, con un largo sorriso. 50
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  • 53. Darwinismo, Intelligent Design o “Plasticismo Evolutivo”? (FAQ raccolte da: Benedetta Napolitano, Dante Casoria, Armando Cenni, Francesco Colucci, Antonio De Rosa e Enzo Pecorelli). Che cos’è il “Plasticismo evolutivo”? Il “Plasticismo evolutivo” è una nuova ipotesi sull’evoluzione delle specie viventi presentata, nel 2009, dal dr. Pellegrino De Rosa, scrittore e agronomo italiano. Secondo tale ipotesi la spinta evolutiva sarebbe costituita da una presunta azione ideoplastica e mutagena della psiche degli individui sul complesso genetico (genoma ed epigenoma) delle loro cellule riproduttive. È una ipotesi evoluzionistica o creazionistica? È una ipotesi evoluzionistica e “ideoplastica”, poiché ipotizza che le mutazioni evolutive siano causate dalla volontà dell’individuo, e presenta alcuni punti in comune sia con le teorie evoluzionistiche classiche (Darwinismo e Lamarckismo) che con l’Intelligent Design. È una teoria scientifica o filosofica? È una teoria caratterizzata da un approccio multidisciplinare. Essa parte da precise osservazioni ecologiche e naturalistiche (rapido-mimetismo dei sepiidae, cripto-mimetismo dei phasmidae, presunta mente collettiva degli insetti sociali) e poi compie alcuni collegamenti con la genetica, con le scienze cognitive e con la filosofia. Per tentare di spiegare, poi, alcuni particolari aspetti teorici fa riferimento ad alcuni settori di frontiera, come la quantum biology e la plant neurobiology. In cosa si differenzia dal Darwinismo? Il Plasticismo Evolutivo, come il neo-Darwinismo, accetta le numerose evidenze fossili e genetiche, e concorda con il fatto che le specie viventi si siano evolute e che ancora si possano evolvere, e ammette che la selezione naturale conduce all’affermazione e alla sopravvivenza degli individui “più adatti” (survival of the fittestt). Tuttavia, fa notare, in primo luogo, che la selezione naturale agisce solo dopo che la mutazione evolutiva è già intervenuta e, in secondo luogo, che il neo-Darwinismo non spiega in maniera convincente come tali individui “più adatti” si siano formati. 53
  • 54. Infatti, il Plasticismo Evolutivo non accetta che sia il cieco “caso” a produrre le mutazioni evolutive e ipotizza, invece, che esse siano causate direttamente dall’azione ideoplastica della psiche degli individui sul loro stesso materiale genetico, non solo condizionandone l’espressione ma giungendo addirittura a produrre dei nuovi geni. Cosa differenzia il Plasticismo Evolutivo dal Lamarckismo? Entrambe le teorie partono dal presupposto che le specie viventi non si siano evolute casualmente ma a causa di una loro precisa necessità o desiderio di adattamento. Tuttavia, mentre il Lamarckismo attribuisce l’evoluzione esclusivamente a un’azione di tipo somatico (uso e non-uso di parti del corpo) da parte dell’individuo (es. allungamento del collo della giraffa), il Plasticismo Evolutivo l’attribuisce a un’azione ideoplastica, di natura dichiaratamente psichica, che agirebbe tramite meccanismi quantistici, sia di natura ondulatoria (pattern interferenti, collasso della funzione d’onda, ecc.) sia di natura non- locale (paradigmi olografici di Bohm e Pribram). Il Lamarckismo, inoltre, non spiega come le caratteristiche acquisite a livello somatico si possano trasferire alla discendenza, mentre il Plasticismo Evolutivo suppone che l’azione ideoplastica della psiche causi direttamente le corrispondenti mutazioni nel genoma e nell’epigenoma delle cellule riproduttive. Infine, il Lamarckismo non riesce a spiegare la comparsa di caratteri evolutivi non condizionati dall’uso o dal non uso di parti del corpo (es. mantello mimetico della giraffa, forma dell’insetto- foglia), mentre il Plasticismo Evolutivo lo spiega in maniera esauriente. Quali sono i rapporti tra la genetica e il Plasticismo Evolutivo? Il Plasticismo Evolutivo ammette totalmente gli effetti dei geni (e dei meccanismi epigenetici) sull’espressione dei caratteri fenotipici, nonché gli effetti delle manipolazioni e delle terapie genetiche sugli esseri viventi, ma considera i geni più il veicolo che la sorgente dell’evoluzione. In effetti, esso non accetta solamente l’ipotesi che l’evoluzione delle specie viventi sia dovuta a mutazioni casuali e non coordinate dei geni. E, come già detto, ipotizza che la psiche degli individui 54
  • 55. non solo condizioni epigeneticamente il funzionamento dei geni esistenti ma che possa anche produrre la comparsa di geni del tutto nuovi. Inoltre, il dr. Pellegrino De Rosa suggerisce che il DNA debba essere studiato, sempre più, secondo un approccio quantistico e ondulatorio, e propone che i ricercatori realizzino degli esperimenti per verificare i presunti effetti mutageni della psiche sia sulla struttura dei geni sia sulla comparsa di nuovi geni. Il Plasticismo Evolutivo è una teoria evoluzionistica valida anche per i vegetali e per i microbi. Anch’essi sono, quindi, dotati di mente? Secondo l’autore, è possibile - ma bisognerà verificarlo - che tutti i sistemi in cui circoli energia siano potenzialmente intelligenti (forse lo sono anche i computer e il plasma) e, siccome la materia è uno dei tanti stati dell’energia, è possibile che anch’essa sia intelligente. Egli non è né il primo né l’unico a pensarla in questo modo. E lo stesso autore, in alcune occasioni, ha riportato l’opinione di Max Planck, secondo cui: “Tutta la materia ha origine ed esiste solamente in virtù di una forza... dobbiamo supporre che dietro questa forza ci sia una mente consapevole e intelligente. Questa mente è la matrice di tutta la materia”. Per quanto riguarda i vegetali, poi, l’autore fa esplicito riferimento alle osservazioni del prof. Stefano Mancuso, dell’Università di Firenze, e al suo filone di ricerca sulla presunta intelligenza dei vegetali (la cosiddetta “neurobiologia vegetale”, o “plant neurobiology”). Inoltre, suppone che sia stata proprio l’errata convinzione che i vegetali non avessero una loro intelligenza ad aver spinto - erroneamente - i darwinisti a spiegare la spinta evolutiva con il caso, i lamarckisti con il principio fisico dell’uso e non-uso, i creazionisti con l’azione diretta di Dio, e gli studiosi new-age con presunte e improbabili interazioni automatiche di vario tipo. Il Plasticismo Evolutivo, invece, prendendo spunto dall’ipnologia, mette al centro del processo evolutivo la volontà ideoplastica dell’individuo. Infine, l’autore ritiene che anche i microbi, come tutti gli altri esseri viventi, siano dotati di mente: la qual cosa sarebbe dimostrata dal semplice fatto che essi riescono a sopravvivere, a riprodursi, a nutrirsi e a interagire con l’ambiente, fin dagli albori della vita sulla Terra, e continuano a farlo con successo e senza preoccuparsi del parere contrario degli scienziati. 55