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L’abolizione
del Mezzogiorno
L’abolizione
                del Mezzogiorno
—  Secondo Viesti: “parlare del Mezzogiorno (…) significa parlare del
  già detto, e del già fallito, di un’area che tutto sommato pare
  refrattaria a qualsiasi ipotesi di sviluppo”;



—  inoltre: “Non serve (…) più nessuna politica speciale per il Sud,
  né tanto meno istituzioni speciali che la mettano in atto. Serve
  mettere in atto nelle regioni più deboli le grandi politiche di
  investimento che servono, e tanto, all’intera Italia: farlo con le
  stesse regole e le stesse modalità che valgono in tutto il Paese;
  attraverso il raccordo fra amministrazioni centrali e
  periferiche” (G. Viesti, Abolire il Mezzogiorno, Roma-Bari, Laterza,
  2003).
L’emozione, ovvero il pathos della Cassa
L’abolizione del
                    Mezzogiorno
—  Fino a qualche anno fa: “(…) parlare di Mezzogiorno, questione
  meridionale, meridionalismo, dualismo e divario italiano come
  elementi significativi e attuali, come un problema perdurante
  nell’agenda dell’economia e della politica italiana, rappresenta
  esporsi irrimediabilmente ai sorrisi di sufficienza di coloro che
  vedevano già in corso un’era nuova di conoscenza e di sviluppo della
  realtà italiana e meridionale, per cui veniva a mancare alla discussa
  e negata “categoria Mezzogiorno” il fondamento preteso dal
  “vecchio meridionalismo”, dalla “vecchia politica”, dalla “vecchia
  storiografia”, e così via dicendo” (G. Galasso, Il Mezzogiorno - Da
  “Questione” a “Problema Aperto”, Manduria, Lacaita, 2005, p. 9).
  Tuttavia, Galasso non trascura un giudizio critico su singole scelte
  politiche, sulla progettazione, esecuzione e gestione degli incentivi,
  nei decenni dell’intervento straordinario, fino alla ricostruzione dal
  terremoto che ha colpito la Basilicata e la Campania: una vicenda
  che risulterà fatale per lo stesso intervento straordinario.
La “resurrezione”
                 del Mezzogiorno
—  Secondo Galasso: “negli ultimi due o tre anni il Mezzogiorno è
   tornato con impreveduta, fortissima attualità fra i temi
   principalissimi del dibattito e dell’attività politica in Italia (…). Si è
   tornati a parlare di Mezzogiorno quale grande problema aperto e
   complessivo, e ne parlano sempre più spesso e con esibita e
   disinvolta convinzione, come se avessero sempre detto le stesse
   cose, anche molti dei brillanti campioni dell’improvvisazione politica
   e culturale che volevano negare la ‘questione’ e la ‘categoria’” (p. 9).

—  Inoltre: “si preferirebbe avere torto e vedere trionfare le ragioni degli
   avversari” (p. 11). Tuttavia: “la conoscenza della realtà è sempre una
   delle massime risorse di cui gli uomini dispongono”. Perciò: “che
   poi, tornandosi a parlare di Mezzogiorno, si dica e si faccia quanto di
   meglio sarebbe possibile, è un altro discorso” (p. 11). Per Galasso, il
   problema non è tanto di “parlare di Mezzogiorno”, quanto di “fare di
   meglio” per l’intera società nazionale.
L’IRI, il New Deal, il modello della
   Cassa e la sua realizzazione
Alle origini della Cassa
—  Giuseppe Galasso richiama la continuità dei personaggi, che,
  dall’Iri, alla scuola di Francesco Saverio Nitti e di Alberto
  Beneduce, sono transitati alla SVIMEZ e alla Cassa per il
  Mezzogiorno. Egli sottolinea, inoltre, il ruolo dell’Iri nel
  salvataggio delle banche e delle industrie colpite dalla grande
  crisi del 1929. Nitti e Beneduce vollero sopperire alla carenza di
  imprenditoria privata con l’intervento pubblico (ipotesi avversata
  da Vera Lutz, che, fedele al pensiero liberista, considerava
  l’imprenditoria meridionale, guardando al modello
  manchesteriano alla Adam Smith). Per la Lutz, era sufficiente
  contenere il costo del lavoro, per far sorgere nuove imprese
  (private) nel Sud, e riteneva aberrante l’idea dello Stato
  imprenditore, pur con imprese a partecipazione dello Stato nel
  capitale.
Alle origini della Cassa
Alle origini della Cassa
—  Un passo della relazione al disegno di legge n. 1170, istitutivo della
  «Cassa», presentato al Parlamento il 17 marzo 1950 da De Gasperi:
  “L’esigenza di creare le condizioni necessarie perché l’annosa
  questione meridionale trovi modo di avviarsi verso una soluzione
  definitiva, suscettibile di ulteriori naturali sviluppi, comporta
  un’impostazione d’insieme che deve derivare da un impegno globale
  pluriennale dello Stato, capace di consentire più ampio respiro nella
  programmazione delle opere e nel coordinamento dei singoli progetti.
  Solo attraverso un impegno preciso e determinato nel suo ammontare
  può darsi vita ad un efficiente e coordinato programma di opere,
  evitando una frammentaria programmazione, inadeguata a risolvere
  così gravi problemi e una discontinuità di realizzazione”. Da qui
  l’esigenza di dare vita a un Ente, “che presiedesse allo svolgimento del
  programma con unicità e costanza di direttive e con l’elasticità
  necessaria per adattare la programmazione e l’esecuzione delle opere,
  con adeguata sollecitudine, alle mutevoli esigenze economiche e
  sociali”.
Alle origini della Cassa
La Cassa per il Mezzogiorno,
      secondo l’OECD
La Cassa per il Mezzogiorno,
      secondo l’OECD
La Cassa per il Mezzogiorno,
       secondo l’OECD

—  “Nel secondo dopoguerra, il primo rilevante sforzo d’attuazione di una
   politica di sviluppo territoriale si avvia nel 1950, con la creazione della
   Cassa del Mezzogiorno. Istituita per mettere a punto ed eseguire un
   ampio programma d’investimenti pubblici nel Sud, inizialmente per un
   periodo di dieci anni, tale Ente, pur rimanendo sotto controllo politico,
   opera all’esterno dell’amministrazione centrale e periferica e usufruisce
   di un’ampia autonomia decisionale e gestionale, disponendo di
   considerevoli risorse finanziarie, aggiuntive rispetto alla spesa pubblica
   ordinaria. In un primo tempo, l’operare della Cassa riesce a migliorare i
   livelli di vita locale, in particolare in ambito rurale, modernizzando
   l’agricoltura e rafforzando le infrastrutture di base. Alla fine degli anni
   cinquanta la Cassa modifica la propria politica a favore di un processo di
   industrializzazione delle regioni meridionali”.
La Cassa per il Mezzogiorno,
             secondo l’OECD
—  “Progressivamente, negli anni sessanta e settanta, il Mezzogiorno è
   sottoposto a interventi di industrializzazione di tipo top-down; i programmi
   di investimento delle grandi imprese pubbliche sono la componente
   trainante dello sviluppo. Tuttavia, gli ampi progetti di investimento sono, in
   misura elevata e crescente nel tempo, caratterizzati da una insufficiente
   valutazione di efficacia, una inefficiente gestione delle risorse e scarsi
   incentivi alla redditività. La Cassa, esposta a forti condizionamenti politici,
   perde la sua efficienza originaria. Negli anni settanta, la riforma regionale,
   attuativa del dettato costituzionale, non dà luogo a notevoli cambiamenti,
   data la modesta autonomia finanziaria delle Regioni. Le disparità territoriali
   non diminuiscono. Inoltre, mentre gli incentivi alle imprese e gli investimenti
   pubblici vengono in gran parte destinati all’industria pesante nei cosiddetti
   “poli industriali” (Taranto, Siracusa, Cagliari, Brindisi ed altri), lo sviluppo si
   registra soprattutto in aree e settori diversi (meccanico, alimentare e beni di
   consumo). Nel 1986, il tentativo di riforma della Cassa non produce
   sostanziali cambiamenti” (OCSE, Traduzione italiana degli Assessment and
   Recommendations della OECD Territorial Review - ITALY, Parigi – Roma,
   Settembre 2001. p. 6).
Alle origini della Cassa
L’interesse straordinario per
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    (Paul N. Rosenstein-Rodan e il Big Push)
L’interesse straordinario per il Mezzogiorno
            (Paul N. Rosenstein-Rodan e il Big Push)

—  Per il decollo dell’economia meridionale, il “nuovo meridionalismo”
  confidava sul Big Push che Rosenstein-Rodan aveva teorizzato, come
  spinta bilanciata dal lato dell’offerta e da quello della domanda. A
  sostenere l’offerta avrebbero potuto concorrere sia un programma
  organico di interventi infrastrutturali (strade, ferrovie, porti,
  acquedotti, bonifiche, irrigazioni, trasformazioni fondiarie,
  elettrificazione, altre opere necessarie a favorire gli insediamenti
  industriali, edilizia residenziale, scuole, ospedali, ecc.), sia gli
  investimenti in attività produttive, nell’industria e negli altri settori.
  Per il sostegno della domanda, avrebbero fornito un valido apporto i
  redditi generati sia dalla costruzione delle opere pubbliche, sia dalle
  attività di imprese private, di cui i teorici dello sviluppo davano per
  scontata la disponibilità ad impegnarsi nelle aree sottosviluppate. Le
  infrastrutture avrebbero concorso a migliorare le economie esterne e
  gli incentivi alle imprese avrebbero favorito la decisione di
  investimenti produttivi, nelle aree che avrebbero dovuto essere
  attrezzate a questo fine.
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http://siteresources.worldbank.org/INTWDR2009/Resources/4231006-1225840759068/WDR09_12_Ch06web.pdf.
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Italy and development policies from the golden age to the current crisis: The role of the “Nuovo Meridionalismo”

  • 1. 3° International Conference of the Faculty of Business University “Aleksander Moisiu”, Durres, 8/9 Aprill 2011 Italy and development policies from the golden age to the current crisis: The role of the “Nuovo Meridionalismo” Amedeo Lepore Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
  • 10. Il nuovo meridionalismo di Saraceno
  • 11. Il nuovo meridionalismo di Saraceno
  • 12. Il nuovo meridionalismo di Saraceno
  • 14. L’abolizione del Mezzogiorno —  Secondo Viesti: “parlare del Mezzogiorno (…) significa parlare del già detto, e del già fallito, di un’area che tutto sommato pare refrattaria a qualsiasi ipotesi di sviluppo”; —  inoltre: “Non serve (…) più nessuna politica speciale per il Sud, né tanto meno istituzioni speciali che la mettano in atto. Serve mettere in atto nelle regioni più deboli le grandi politiche di investimento che servono, e tanto, all’intera Italia: farlo con le stesse regole e le stesse modalità che valgono in tutto il Paese; attraverso il raccordo fra amministrazioni centrali e periferiche” (G. Viesti, Abolire il Mezzogiorno, Roma-Bari, Laterza, 2003).
  • 15. L’emozione, ovvero il pathos della Cassa
  • 16. L’abolizione del Mezzogiorno —  Fino a qualche anno fa: “(…) parlare di Mezzogiorno, questione meridionale, meridionalismo, dualismo e divario italiano come elementi significativi e attuali, come un problema perdurante nell’agenda dell’economia e della politica italiana, rappresenta esporsi irrimediabilmente ai sorrisi di sufficienza di coloro che vedevano già in corso un’era nuova di conoscenza e di sviluppo della realtà italiana e meridionale, per cui veniva a mancare alla discussa e negata “categoria Mezzogiorno” il fondamento preteso dal “vecchio meridionalismo”, dalla “vecchia politica”, dalla “vecchia storiografia”, e così via dicendo” (G. Galasso, Il Mezzogiorno - Da “Questione” a “Problema Aperto”, Manduria, Lacaita, 2005, p. 9). Tuttavia, Galasso non trascura un giudizio critico su singole scelte politiche, sulla progettazione, esecuzione e gestione degli incentivi, nei decenni dell’intervento straordinario, fino alla ricostruzione dal terremoto che ha colpito la Basilicata e la Campania: una vicenda che risulterà fatale per lo stesso intervento straordinario.
  • 17. La “resurrezione” del Mezzogiorno —  Secondo Galasso: “negli ultimi due o tre anni il Mezzogiorno è tornato con impreveduta, fortissima attualità fra i temi principalissimi del dibattito e dell’attività politica in Italia (…). Si è tornati a parlare di Mezzogiorno quale grande problema aperto e complessivo, e ne parlano sempre più spesso e con esibita e disinvolta convinzione, come se avessero sempre detto le stesse cose, anche molti dei brillanti campioni dell’improvvisazione politica e culturale che volevano negare la ‘questione’ e la ‘categoria’” (p. 9). —  Inoltre: “si preferirebbe avere torto e vedere trionfare le ragioni degli avversari” (p. 11). Tuttavia: “la conoscenza della realtà è sempre una delle massime risorse di cui gli uomini dispongono”. Perciò: “che poi, tornandosi a parlare di Mezzogiorno, si dica e si faccia quanto di meglio sarebbe possibile, è un altro discorso” (p. 11). Per Galasso, il problema non è tanto di “parlare di Mezzogiorno”, quanto di “fare di meglio” per l’intera società nazionale.
  • 18. L’IRI, il New Deal, il modello della Cassa e la sua realizzazione
  • 19. Alle origini della Cassa —  Giuseppe Galasso richiama la continuità dei personaggi, che, dall’Iri, alla scuola di Francesco Saverio Nitti e di Alberto Beneduce, sono transitati alla SVIMEZ e alla Cassa per il Mezzogiorno. Egli sottolinea, inoltre, il ruolo dell’Iri nel salvataggio delle banche e delle industrie colpite dalla grande crisi del 1929. Nitti e Beneduce vollero sopperire alla carenza di imprenditoria privata con l’intervento pubblico (ipotesi avversata da Vera Lutz, che, fedele al pensiero liberista, considerava l’imprenditoria meridionale, guardando al modello manchesteriano alla Adam Smith). Per la Lutz, era sufficiente contenere il costo del lavoro, per far sorgere nuove imprese (private) nel Sud, e riteneva aberrante l’idea dello Stato imprenditore, pur con imprese a partecipazione dello Stato nel capitale.
  • 21. Alle origini della Cassa —  Un passo della relazione al disegno di legge n. 1170, istitutivo della «Cassa», presentato al Parlamento il 17 marzo 1950 da De Gasperi: “L’esigenza di creare le condizioni necessarie perché l’annosa questione meridionale trovi modo di avviarsi verso una soluzione definitiva, suscettibile di ulteriori naturali sviluppi, comporta un’impostazione d’insieme che deve derivare da un impegno globale pluriennale dello Stato, capace di consentire più ampio respiro nella programmazione delle opere e nel coordinamento dei singoli progetti. Solo attraverso un impegno preciso e determinato nel suo ammontare può darsi vita ad un efficiente e coordinato programma di opere, evitando una frammentaria programmazione, inadeguata a risolvere così gravi problemi e una discontinuità di realizzazione”. Da qui l’esigenza di dare vita a un Ente, “che presiedesse allo svolgimento del programma con unicità e costanza di direttive e con l’elasticità necessaria per adattare la programmazione e l’esecuzione delle opere, con adeguata sollecitudine, alle mutevoli esigenze economiche e sociali”.
  • 23. La Cassa per il Mezzogiorno, secondo l’OECD
  • 24. La Cassa per il Mezzogiorno, secondo l’OECD
  • 25. La Cassa per il Mezzogiorno, secondo l’OECD —  “Nel secondo dopoguerra, il primo rilevante sforzo d’attuazione di una politica di sviluppo territoriale si avvia nel 1950, con la creazione della Cassa del Mezzogiorno. Istituita per mettere a punto ed eseguire un ampio programma d’investimenti pubblici nel Sud, inizialmente per un periodo di dieci anni, tale Ente, pur rimanendo sotto controllo politico, opera all’esterno dell’amministrazione centrale e periferica e usufruisce di un’ampia autonomia decisionale e gestionale, disponendo di considerevoli risorse finanziarie, aggiuntive rispetto alla spesa pubblica ordinaria. In un primo tempo, l’operare della Cassa riesce a migliorare i livelli di vita locale, in particolare in ambito rurale, modernizzando l’agricoltura e rafforzando le infrastrutture di base. Alla fine degli anni cinquanta la Cassa modifica la propria politica a favore di un processo di industrializzazione delle regioni meridionali”.
  • 26. La Cassa per il Mezzogiorno, secondo l’OECD —  “Progressivamente, negli anni sessanta e settanta, il Mezzogiorno è sottoposto a interventi di industrializzazione di tipo top-down; i programmi di investimento delle grandi imprese pubbliche sono la componente trainante dello sviluppo. Tuttavia, gli ampi progetti di investimento sono, in misura elevata e crescente nel tempo, caratterizzati da una insufficiente valutazione di efficacia, una inefficiente gestione delle risorse e scarsi incentivi alla redditività. La Cassa, esposta a forti condizionamenti politici, perde la sua efficienza originaria. Negli anni settanta, la riforma regionale, attuativa del dettato costituzionale, non dà luogo a notevoli cambiamenti, data la modesta autonomia finanziaria delle Regioni. Le disparità territoriali non diminuiscono. Inoltre, mentre gli incentivi alle imprese e gli investimenti pubblici vengono in gran parte destinati all’industria pesante nei cosiddetti “poli industriali” (Taranto, Siracusa, Cagliari, Brindisi ed altri), lo sviluppo si registra soprattutto in aree e settori diversi (meccanico, alimentare e beni di consumo). Nel 1986, il tentativo di riforma della Cassa non produce sostanziali cambiamenti” (OCSE, Traduzione italiana degli Assessment and Recommendations della OECD Territorial Review - ITALY, Parigi – Roma, Settembre 2001. p. 6).
  • 30. L’interesse straordinario per il Mezzogiorno: i protagonisti del nuovo meridionalismo
  • 35. L’interesse straordinario per il Mezzogiorno (Paul N. Rosenstein-Rodan e il Big Push)
  • 36. L’interesse straordinario per il Mezzogiorno (Paul N. Rosenstein-Rodan e il Big Push) —  Per il decollo dell’economia meridionale, il “nuovo meridionalismo” confidava sul Big Push che Rosenstein-Rodan aveva teorizzato, come spinta bilanciata dal lato dell’offerta e da quello della domanda. A sostenere l’offerta avrebbero potuto concorrere sia un programma organico di interventi infrastrutturali (strade, ferrovie, porti, acquedotti, bonifiche, irrigazioni, trasformazioni fondiarie, elettrificazione, altre opere necessarie a favorire gli insediamenti industriali, edilizia residenziale, scuole, ospedali, ecc.), sia gli investimenti in attività produttive, nell’industria e negli altri settori. Per il sostegno della domanda, avrebbero fornito un valido apporto i redditi generati sia dalla costruzione delle opere pubbliche, sia dalle attività di imprese private, di cui i teorici dello sviluppo davano per scontata la disponibilità ad impegnarsi nelle aree sottosviluppate. Le infrastrutture avrebbero concorso a migliorare le economie esterne e gli incentivi alle imprese avrebbero favorito la decisione di investimenti produttivi, nelle aree che avrebbero dovuto essere attrezzate a questo fine.
  • 37. Il ruolo della World Bank
  • 38. Il ruolo della World Bank
  • 39. Il ruolo della World Bank
  • 40. Il ruolo della World Bank
  • 42. Dall’Archivio della World Bank
  • 66.
  • 67. La Cassa dopo la Cassa
  • 68. La Cassa dopo la Cassa
  • 69. La Cassa dopo la Cassa
  • 70. La Cassa dopo la Cassa. Un ritorno al futuro