Lorenzo D'Emidio- Lavoro sulla Bioarchittetura.pptx
Italy and development policies from the golden age to the current crisis: The role of the “Nuovo Meridionalismo”
1. 3° International Conference of the Faculty of Business
University “Aleksander Moisiu”, Durres, 8/9 Aprill 2011
Italy and development policies
from the golden age to the current crisis:
The role of the “Nuovo Meridionalismo”
Amedeo Lepore
Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
14. L’abolizione
del Mezzogiorno
— Secondo Viesti: “parlare del Mezzogiorno (…) significa parlare del
già detto, e del già fallito, di un’area che tutto sommato pare
refrattaria a qualsiasi ipotesi di sviluppo”;
— inoltre: “Non serve (…) più nessuna politica speciale per il Sud,
né tanto meno istituzioni speciali che la mettano in atto. Serve
mettere in atto nelle regioni più deboli le grandi politiche di
investimento che servono, e tanto, all’intera Italia: farlo con le
stesse regole e le stesse modalità che valgono in tutto il Paese;
attraverso il raccordo fra amministrazioni centrali e
periferiche” (G. Viesti, Abolire il Mezzogiorno, Roma-Bari, Laterza,
2003).
16. L’abolizione del
Mezzogiorno
— Fino a qualche anno fa: “(…) parlare di Mezzogiorno, questione
meridionale, meridionalismo, dualismo e divario italiano come
elementi significativi e attuali, come un problema perdurante
nell’agenda dell’economia e della politica italiana, rappresenta
esporsi irrimediabilmente ai sorrisi di sufficienza di coloro che
vedevano già in corso un’era nuova di conoscenza e di sviluppo della
realtà italiana e meridionale, per cui veniva a mancare alla discussa
e negata “categoria Mezzogiorno” il fondamento preteso dal
“vecchio meridionalismo”, dalla “vecchia politica”, dalla “vecchia
storiografia”, e così via dicendo” (G. Galasso, Il Mezzogiorno - Da
“Questione” a “Problema Aperto”, Manduria, Lacaita, 2005, p. 9).
Tuttavia, Galasso non trascura un giudizio critico su singole scelte
politiche, sulla progettazione, esecuzione e gestione degli incentivi,
nei decenni dell’intervento straordinario, fino alla ricostruzione dal
terremoto che ha colpito la Basilicata e la Campania: una vicenda
che risulterà fatale per lo stesso intervento straordinario.
17. La “resurrezione”
del Mezzogiorno
— Secondo Galasso: “negli ultimi due o tre anni il Mezzogiorno è
tornato con impreveduta, fortissima attualità fra i temi
principalissimi del dibattito e dell’attività politica in Italia (…). Si è
tornati a parlare di Mezzogiorno quale grande problema aperto e
complessivo, e ne parlano sempre più spesso e con esibita e
disinvolta convinzione, come se avessero sempre detto le stesse
cose, anche molti dei brillanti campioni dell’improvvisazione politica
e culturale che volevano negare la ‘questione’ e la ‘categoria’” (p. 9).
— Inoltre: “si preferirebbe avere torto e vedere trionfare le ragioni degli
avversari” (p. 11). Tuttavia: “la conoscenza della realtà è sempre una
delle massime risorse di cui gli uomini dispongono”. Perciò: “che
poi, tornandosi a parlare di Mezzogiorno, si dica e si faccia quanto di
meglio sarebbe possibile, è un altro discorso” (p. 11). Per Galasso, il
problema non è tanto di “parlare di Mezzogiorno”, quanto di “fare di
meglio” per l’intera società nazionale.
18. L’IRI, il New Deal, il modello della
Cassa e la sua realizzazione
19. Alle origini della Cassa
— Giuseppe Galasso richiama la continuità dei personaggi, che,
dall’Iri, alla scuola di Francesco Saverio Nitti e di Alberto
Beneduce, sono transitati alla SVIMEZ e alla Cassa per il
Mezzogiorno. Egli sottolinea, inoltre, il ruolo dell’Iri nel
salvataggio delle banche e delle industrie colpite dalla grande
crisi del 1929. Nitti e Beneduce vollero sopperire alla carenza di
imprenditoria privata con l’intervento pubblico (ipotesi avversata
da Vera Lutz, che, fedele al pensiero liberista, considerava
l’imprenditoria meridionale, guardando al modello
manchesteriano alla Adam Smith). Per la Lutz, era sufficiente
contenere il costo del lavoro, per far sorgere nuove imprese
(private) nel Sud, e riteneva aberrante l’idea dello Stato
imprenditore, pur con imprese a partecipazione dello Stato nel
capitale.
21. Alle origini della Cassa
— Un passo della relazione al disegno di legge n. 1170, istitutivo della
«Cassa», presentato al Parlamento il 17 marzo 1950 da De Gasperi:
“L’esigenza di creare le condizioni necessarie perché l’annosa
questione meridionale trovi modo di avviarsi verso una soluzione
definitiva, suscettibile di ulteriori naturali sviluppi, comporta
un’impostazione d’insieme che deve derivare da un impegno globale
pluriennale dello Stato, capace di consentire più ampio respiro nella
programmazione delle opere e nel coordinamento dei singoli progetti.
Solo attraverso un impegno preciso e determinato nel suo ammontare
può darsi vita ad un efficiente e coordinato programma di opere,
evitando una frammentaria programmazione, inadeguata a risolvere
così gravi problemi e una discontinuità di realizzazione”. Da qui
l’esigenza di dare vita a un Ente, “che presiedesse allo svolgimento del
programma con unicità e costanza di direttive e con l’elasticità
necessaria per adattare la programmazione e l’esecuzione delle opere,
con adeguata sollecitudine, alle mutevoli esigenze economiche e
sociali”.
25. La Cassa per il Mezzogiorno,
secondo l’OECD
— “Nel secondo dopoguerra, il primo rilevante sforzo d’attuazione di una
politica di sviluppo territoriale si avvia nel 1950, con la creazione della
Cassa del Mezzogiorno. Istituita per mettere a punto ed eseguire un
ampio programma d’investimenti pubblici nel Sud, inizialmente per un
periodo di dieci anni, tale Ente, pur rimanendo sotto controllo politico,
opera all’esterno dell’amministrazione centrale e periferica e usufruisce
di un’ampia autonomia decisionale e gestionale, disponendo di
considerevoli risorse finanziarie, aggiuntive rispetto alla spesa pubblica
ordinaria. In un primo tempo, l’operare della Cassa riesce a migliorare i
livelli di vita locale, in particolare in ambito rurale, modernizzando
l’agricoltura e rafforzando le infrastrutture di base. Alla fine degli anni
cinquanta la Cassa modifica la propria politica a favore di un processo di
industrializzazione delle regioni meridionali”.
26. La Cassa per il Mezzogiorno,
secondo l’OECD
— “Progressivamente, negli anni sessanta e settanta, il Mezzogiorno è
sottoposto a interventi di industrializzazione di tipo top-down; i programmi
di investimento delle grandi imprese pubbliche sono la componente
trainante dello sviluppo. Tuttavia, gli ampi progetti di investimento sono, in
misura elevata e crescente nel tempo, caratterizzati da una insufficiente
valutazione di efficacia, una inefficiente gestione delle risorse e scarsi
incentivi alla redditività. La Cassa, esposta a forti condizionamenti politici,
perde la sua efficienza originaria. Negli anni settanta, la riforma regionale,
attuativa del dettato costituzionale, non dà luogo a notevoli cambiamenti,
data la modesta autonomia finanziaria delle Regioni. Le disparità territoriali
non diminuiscono. Inoltre, mentre gli incentivi alle imprese e gli investimenti
pubblici vengono in gran parte destinati all’industria pesante nei cosiddetti
“poli industriali” (Taranto, Siracusa, Cagliari, Brindisi ed altri), lo sviluppo si
registra soprattutto in aree e settori diversi (meccanico, alimentare e beni di
consumo). Nel 1986, il tentativo di riforma della Cassa non produce
sostanziali cambiamenti” (OCSE, Traduzione italiana degli Assessment and
Recommendations della OECD Territorial Review - ITALY, Parigi – Roma,
Settembre 2001. p. 6).
36. L’interesse straordinario per il Mezzogiorno
(Paul N. Rosenstein-Rodan e il Big Push)
— Per il decollo dell’economia meridionale, il “nuovo meridionalismo”
confidava sul Big Push che Rosenstein-Rodan aveva teorizzato, come
spinta bilanciata dal lato dell’offerta e da quello della domanda. A
sostenere l’offerta avrebbero potuto concorrere sia un programma
organico di interventi infrastrutturali (strade, ferrovie, porti,
acquedotti, bonifiche, irrigazioni, trasformazioni fondiarie,
elettrificazione, altre opere necessarie a favorire gli insediamenti
industriali, edilizia residenziale, scuole, ospedali, ecc.), sia gli
investimenti in attività produttive, nell’industria e negli altri settori.
Per il sostegno della domanda, avrebbero fornito un valido apporto i
redditi generati sia dalla costruzione delle opere pubbliche, sia dalle
attività di imprese private, di cui i teorici dello sviluppo davano per
scontata la disponibilità ad impegnarsi nelle aree sottosviluppate. Le
infrastrutture avrebbero concorso a migliorare le economie esterne e
gli incentivi alle imprese avrebbero favorito la decisione di
investimenti produttivi, nelle aree che avrebbero dovuto essere
attrezzate a questo fine.