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Popolari Per l’Italia
I Popolari dei Gruppi Parlamentari "Per l'Italia" partecipano al confronto interno alla
maggioranza con l'intento di concorrere in maniera seria e leale al consolidamento di un’esperienza
di Governo che ritengono di fondamentale importanza per il rilancio del Paese secondo gli auspici
autorevoli e pressanti del Capo dello Stato e in sintonia con le aspettative della comunità nazionale.
Premessa necessaria per ogni ulteriore successo dell'azione di governo e' che le forze politiche di
maggioranza assumano fino in fondo le proprie responsabilità, senza coltivare ambiguità o vie di
fuga finalizzate a immediati interessi di parte.
I nostri Gruppi Parlamentari rinnovano questo impegno, senza peraltro rinunciare a far
valere idee e priorità che ritengono coerenti con la cultura del popolarismo alla quale espressamente
si ispirano.
Le nostre idee e le nostre priorità hanno un orizzonte rappresentato dall'Unione Europea.
Dobbiamo essere coscienti che le linee politiche e le decisioni prese a livello europeo
rappresentano, da un lato, un riferimento ineludibile e dall'altro, che ne siamo pienamente coautori.
La cornice entro la quale il lavoro del Governo potrà essere efficace per il Paese, al fine di
intraprendere le riforme strutturali e istituzionali non più rinviabili, è costituita dall'azione comune
dei paesi membri dell'Unione. Un'occasione peculiare è data, nel 2014, dal programma per il
semestre di presidenza italiana.
Si apre, con quest'anno, una fase nuova, di straordinaria valenza, innanzitutto per l'Europa.
L'Unione, molto su impulso italiano, sta ritrovando la propria ispirazione solidale; dalla mera
austerità, da un'attenzione rivolta esclusivamente al rigore nei bilanci, nel corso degli ultimi due
anni, si è passati a discutere di più di crescita economica e di creazione di posti di lavoro, di lotta
alla disoccupazione, specie quella giovanile. L'Italia ha concorso a questo nuovo orientamento delle
priorità e deve continuare a farlo.
Senza sfuggire all'imperativo di mantenere sani i conti pubblici, possiamo connotare le
scelte europee verso obiettivi di investimento e di uno sviluppo economico, sostenibile dal punto di
vista sociale e ambientale. Possiamo influire sulle forme di integrazione già impostate o in corso di
discussione, affinché l'Europa appaia nuovamente come 'amica', veicolo di una comunità coesa e
competitiva, che offra opportunità ai giovani e inverta un declino di disuguaglianze e di precarietà.
Iniziando dall'unione bancaria, con una visione che i cittadini europe i percepiscano come una reale
risposta all'esigenza di garanzia sui loro risparmi; e continuando con l'idea dei 'partenariati' per
incentivare le riforme da attuare a livello nazionale e con le altre possibili iniziative istituzionali
nella direzione dell'auspicata, vera unione politica europea.
Il nostro Paese e le sfide che ha davanti possono trovare nel rilancio di questa idea di Unione
Europea un contesto di opportunità. In particolare, dobbiamo avvalerci al meglio di quelle
flessibilità negli investimenti pubblici produttivi, su nostra proposta riconosciute dal Consiglio
Europeo, per i paesi non sottoposti a procedura di infrazione per deficit eccessivo. Simili
investimenti, possibili in deroga all'obiettivo del pareggio di bilancio, possono consentire incisivi
interventi per una modernizzazione delle infrastrutture base, per azioni pro ambiente, per la lotta
contro la povertà e per progetti nel campo delle politiche a favore del lavoro e delle zone
svantaggiate.

1
Le nostre priorità di sistema
1. COMMUNITY ACT
2. CENTRALITA’ DEL LAVORO
3. RIFORME ISTITUZIONALI E LEGGE ELETTORALE

Alcune priorità specifiche
4. UNA RIFORMA ORGANICA DELLE AUTORITA’ INDIPENDENTI
5. ECONOMIA DEL MARE
6. COMPARTO DIFESA E SICUREZZA

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1 - COMMUNITY ACT: Cinque ambiti su cui cambiare passo
A) FAMIGLIA
B) INCLUSIONE SOCIALE
C) CITTADINANZA E COESIONE
D) VALORIZZAZIONE DEGLI ITALIANI ALL’ESTERO
E) CONOSCENZA
Le proposte
A. FAMIGLIA
A.1. Nomina di Responsabile politico nel Governo con delega per la Famiglia
A.2. Modifica della scala di equivalenza dell’ISEE
A.3. Introduzione del Fattore Famiglia
A.4. Ridefinizione della soglia di reddito che definisce un figlio fiscalmente a carico
A.5. Ridefinizione importo per gli assegni familiari
A.6. Attribuzione per le donne mamme di almeno tre anni di contributi figurativi per ogni figlio
naturale o adottato
B) INCLUSIONE SOCIALE
B.1. Reddito di sostegno per la riqualificazione professionale
B.2. Stabilizzazione dello strumento del 5x1000
B.3. Abolizione dell’IMU per gli Enti non profit
B.4. Aiuti alimentari agli indigenti
B.5. Credito di imposta per le cooperative sociali e le aziende che lavorano con i detenuti
B.6. Modifica alla legge 155/2006 sull' impresa sociale
C) CITTADINANZA E COESIONE
C.1. Approvazione proposta di legge sulla cittadinanza C525 Modifiche alla legge 5 febbraio 1992,
n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza
C.2. Servizio civile nazionale universale
C.3. Carcere: indulto e amnistia
D) VALORIZZARE LE COMUNITÀ DEGLI ITALIANI ALL'ESTERO
E) CONOSCENZA
E.1. Uscita a 18 anni dal sistema formativo
E.2. Formazione Professionale
E.3. Formazione obbligatoria degli insegnanti nel campo dei Bisogni educativi speciali.
E.4. Ricerca

3
Le azioni per realizzare le nostre proposte:
A.FAMIGLIA
A.1. Venga nominato un Responsabile politico nel Governo con delega per la Famiglia che possa
esercitare a nome del Governo la valutazione preventiva delle ricadute sulle famiglie dei
provvedimenti legislativi, in particolare sulle materie fiscali, tributarie e tariffarie, sulle relative
leggi di bilancio e leggi di stabilità, sul rapporto tra carico fiscale, reddito e composizione del
nucleo familiare e verifichi sistematicamente i risultati in termini di qualità ed efficacia delle
prestazioni e dei benefici indirizzati alla famiglia.
A.2. La scala di equivalenza dell’ISEE risente pesantemente dell’ideologia neomalthusiana
contraria alla prole e, dunque, alla Costituzione (Art. 31). La scala di equivalenza dell’ISEE è
particolarmente gravosa nei confronti delle famiglie numerose. E’ necessaria una modifica della
Tabella relativa al Nuovo ISEE inserendo una maggiorazione significativa per ogni figlio a carico
fino ai 26 anni: solo così i figli potranno essere considerati per quel che sono, persone.
A.3 Mentre in diversi Paesi europei il riconoscimento per il mantenimento dei figli riguarda tutte le
classi di reddito, in Italia varia in base alla soglia di reddito. L’introduzione della soglia di reddito,
peraltro decisamente bassa, rivela la natura assistenziale dei provvedimenti e contradd ice il
principio costituzionale universalistico dell’equità orizzontale. Va quindi introdotto un sistema
fiscale basato non solo sull’equità verticale ma anche sull’equità orizzontale che, a parità di reddito
percepito, tenga conto dei componenti il nucleo familiare. Significa non togliere al contribuente le
risorse indispensabili al mantenimento di ciascun familiare, superando nel contempo i limiti del
quoziente familiare francese. Si tratta dunque di introdurre un’area non tassabile, proporzionale alle
necessità primarie della persona, necessità che non possono costituire “capacità contributiva” e
quindi non possano essere tassabili (Art. 53 Costituzione). Si tratta di introdurre cioè il Fattore
Famiglia: stabilito un livello minimo di reddito ad personam non tassabile, esso viene moltiplicato
per un fattore proporzionale al carico familiare (utilizzando per esempio la scala di equivalenza
ISEE formulata secondo la nostra proposta o utilizzando la soglia di povertà relativa calcolata
annualmente dall’ISTAT). Superata tale soglia, si applicano alla parte restante del reddito familiare
le aliquote progressive normalmente previste. Il Fattore Famiglia rappresenta uno strumento di
facile applicazione, duttile e flessibile, chiave di volta per riequilibrare e risolvere la maggior parte
delle iniquità fiscali e tributarie oggi esistenti.
A.4. Appare urgente rivedere la soglia di reddito che definisce un figlio fiscalmente a carico, ferma
da troppi anni (1986) al valore di € 2.841,00. E’ necessario innalzare immediatamente tale soglia
almeno a quella di povertà relativa stabilità dall’ISTAT (circa € 594/mm/pp nel 2012). Ciò
consentirebbe, peraltro, di ridurre il lavoro nero giovanile, fenomeno evidentemente sostenuto da
una soglia ferma ad oltre 30 anni fa.
A.5 Il rapporto tra prestazioni dell’Inps per gli assegni familiari e ammontare del PIL è passato dal
15,03% nel 1975 al 3% del 1994”. Nel 2012, tale rapporto è sceso allo 0,3% del PIL. L’ultimo
aumento significativo di assegni familiari in Italia è stato realizzato dal Governo Prodi nel 2006. Si
ricorda che da decenni l’importo incassato per gli assegni familiari dallo Stato è superiore del 40%
in media rispetto a quello effettivamente erogato (la differenza viene deviata su altre voci di spesa,
le più disparate).

4
A.6. La recente riforma del sistema pensionistico ha elevato notevolmente l'età per l'accesso alla
pensione anche alle lavoratrici. Tuttavia sarebbe profondamente iniquo e socialmente dannoso
trattare allo stesso modo donne che non hanno avuto figli e donne che ne hanno avuti. La madre
lavoratrice – specie se madre di più di un figlio – per dedicarsi alla cura della famiglia deve molto
probabilmente rinunciare alla carriera, rimanendo quindi ai livelli più bassi di retribuzione; spesso è
obbligata a ricorrere al part-time, con la conseguente decurtazione di stipendio e contributi
previdenziali, o ad abbandonare il lavoro. Per ristabilire giustizia e dignità alla lavoratrici madri,
occorre attribuire almeno tre anni di contributi figurativi per ogni figlio naturale o adottato. Si tratta
di un provvedimento che sui conti pubblici impatta molto relativamente e soprattutto viene diluito
nei prossimi decenni, pur mantenendo effetti immediati sulla vita di tante do nne, le quali vedranno
riconosciuto il valore della maternità e dei sacrifici e delle rinunce che hanno dovuto affrontare. E’
inoltre un provvedimento che può essere attuato gradualmente, a partire da un certo numero di figli
(per esempio 10) e decrescendo ogni anno di uno.
-

La coerente attuazione di questa politica a favore della famiglia costituisce a nostro avviso
anche la condizione imprescindibile per corrispondere, con spirito costruttivo e rispetto di
tutte le sensibilità, all'esigenza di tutelare secondo principi di ragionevolezza le varie forme
di convivenza derivanti dal mutare del contesto sociale. Resta per noi inteso che i relativi
provvedimenti devono essere assunti in base agli articoli 3 e 18 della Costituzione e non
certo in base agli articoli 29 e 31 che definiscono in modo chiaro la famiglia, come ribadito
del resto dalla stessa Corte Costituzionale.

B) INCLUSIONE SOCIALE
B.1. Talento lavoro: un reddito di sostegno per la riqualificazione professionale
Creazione di una misura di contrasto alla povertà e all’esclusione che possiamo definire “Talento
lavoro” (accanto ad altre misure come Social card, SIA, youth guarantee etc.). Il sostegno
finanziario è erogato a fronte di adesione a un programma di formazione e impegno in attività
socialmente utili: un patto sociale che non riguarda solo le generazioni giovani e i Neet, ma anche
chi è uscito dal mercato del lavoro: una seconda chance, anche per chi esce dal mondo produttivo a
50 anni, senza possibilità, ma con responsabilità personali e familiari a carico. La misura può essere
finanziata con Fondi europei. con lo scopo di reinserire attivamente soggetti in difficoltà. Dovrebbe
includere un sostegno al reddito insieme ad un' altra somma da impiegare per formazione e/o
tirocini con accompagnamento al lavoro, che le persone spendono presso Enti accreditati (Centri per
l’impiego, agenzie per il lavoro, enti non profit). Un campo privilegiato potrebbe essere la
qualificazione nel campo dei servizi museali e dei beni culturali. La struttura di assistenza tecnica
potrebbe essere Italia lavoro, agenzia tecnica del Ministero del lavoro.
B.2. Stabilizzazione lo strume nto del 5x1000, che dal 2006 in avanti ha visto ogni anno la
riproposizione della sperimentazione, con oltre 16 milioni di contribuenti (circa i 2/3 del totale) che
hanno apprezzato tale strumento di solidarietà fiscale. Una quota pari ai cinque per mille
dell'imposta stessa liquidata dagli uffici sulla base delle dichiarazioni annuali è destinata in base alla
scelta dei contribuente. La Corte dei conti nel dicembre 2013 ha criticato la mancata stabilizzazione,
l’inefficienza e i ritardi del meccanismo. Chiediamo di stabilizzare il 5x1000 ed eliminare il tetto
delle risorse destinate (nel 2013 pari a 400 milioni di euro). Lo strumento da utilizzare è un decreto
legge, come nel caso del finanziamento ai partiti.

5
B.3. Abolizione dell’IMU per gli Enti non profit
Premesso che il non profit italiano ha sempre pagato la vecchia Ici quando le sue attività erano
commerciali, il problema nasce adesso da una mancata comprensione dell'Europa verso il Terzo
Settore italiano (appunto terzo tra Stato e Mercato) e dall'arretratezza del nostro Codice Civile e dei
Governi Italiani , nel non difendere intelligentemente il patrimonio non profit presente così
riccamente nel nostro Paese. Si chiede un adeguamento della normativa italiana primaria e
regolamentare che consenta al Terzo Settore non profit italiano di non pagare l' IMU su immobili in
suo possesso o in uso, destinati allo svolgimento di attività senza fini di lucro ( assistenziali,
ricreative ,educative, ecc).
Nell'ambito del riesame complessivo della materia, si richiede una revisione della normativa IMU
in relazione agli enti non commerciali, affinché i medesimi siano tenuti al pagamento dell'IMU solo
per gli immobili (o le porzioni di essi) effettivamente destinati ad attività commerciali. La mancata
soluzione della problematica sulla nozione di “commercialità” rischia di nuocere all'iniziativa svolta
dagli enti non profit e compromettere i benefici sociali prodotti dalle loro attività. In Italia parliamo
di oltre 235.000 organizzazioni, un sistema che fornisce servizi di importanza vitale per tanti
cittadini e cittadine: dalle mense sociali ai dormitori, dall’assistenza ai disabili alla cura degli
anziani, dalla protezione civile alla difesa del patrimonio culturale, dalla promozione della pratica
sportiva per tutti ai centri di aggregazione.
B.4 Aiuti alime ntari agli indigenti, Si chiede che il Governo utilizzi i finanziamenti previsti dal
Fondo di aiuti europei agli indigenti (FEAD), almeno i 35 milioni inizialmente previsti, per dare
prosecuzione, senza soluzione di continuità, al programma di distribuzione di alimenti agli indigenti
finora svolto da AGEA in concorso con le organizzazioni caritative. La chiusura di tale programma
(attualmente finanziato solo con 10 milioni) sostituito solo dalla social card, comporterebbe lo
smantellamento di una rete di aiuto svolta da 242 Enti caritativi Capofila, e alle oltre 15.000
strutture che hanno finora dato aiuto a 4 milioni di persone con 100.000 tonnellate di prodotti
alimentari.
Gli aiuti diretti offrono un altissimo grado di conversione in aiuto alimentare dei fondi erogati
(94%), l’ottimizzazione dei processi distributivi grazie all’apporto di una rete nazionale che genera
una sorta di inclusione sociale nazionale, la qualità dell’aiuto e la durata del sostegno.
B.5 Credito di imposta per le coope rative sociali e le aziende che lavorano con i detenuti.
E' noto che l'esperienza di lavoro che i detenuti svolgono durante il periodo di reclusione, in carcere
o fuori dal carcere abbatte enormemente la possibilità di recidiva per il detenuto che esce poi dal
carcere. Se la recidiva media in Italia e intorno al 70% nel caso di detenuti con esperienze lavorativa
li recidiva scende intorno al 3%. Oggi il fenomeno dei detenuti che lavorano e' estremamente
minoritario circa i detenuti presenti nelle carceri italiane. Il coinvolgimento delle aziende profit
nell’inserimento dei detenuti va agevolato attraverso la progettazione e lo sviluppo di un percorso
organico, dove le complessità e le problematiche del mondo carcerario siano a carico di un soggetto
specifico che possiede il know how professionale e sociale idoneo a operare in maniera efficace,
vale a dire le cooperative sociali e i loro consorzi. Esse tra l’altro sono le sole imprese in grado di
garantire la continuità dell’inserimento lavorativo nel delicato passaggio tra il lavoro all’interno e
quello all’esterno fino all’inserimento in imprese profit.
Al fine di rendere più interessante l’investimento nel lavoro penitenziario per le imprese profit, si
propone di introdurre un credito d’imposta per queste aziende in percentuale pari al 10% delle
lavorazioni affidate a cooperative sociali, da svolgere con detenuti all’interno delle carceri.
L’agevolazione andrebbe utilizzata dalle aziende non per realizzare utile ma per essere investita in
innovazioni tecnologiche, ricerca scientifica, formazione e nuove attrezzature.

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Questa misura rappresenta un altro tentativo di incrementare le occasioni di lavoro per i detenuti,
principale possibilità di rieducazione e reinserimento sociale, con benefici economici e sociali per
tutta la collettività.
B.6 Modifica alla legge 155/2006 sull' impresa sociale
La legge 155 e relativi decreti attuativi e' di fatto, per le sue contraddizioni interne risultata
inefficace e incapace di far crescere il numero delle imprese sociali in Italia (attualmente sono
formalmente solo seicento). Occorre una modifica della normativa della legge 155, anche in linea
con la stessa normativa europea, che permetta una adeguata diffusione della forma impresa sociale
(un' impresa che produce utile ma reinveste in misura prevalente il suo utile nello scopo dell'
impresa stessa senza remunerazione per i soci) anche in Italia.
C) CITTADINANZA E COESIONE
C.1. Approvazione proposta legge sulla cittadinanza C525 Modifiche alla legge 5 febbraio
1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza (deputati Marazziti e Santerini).
Mentre in termini simbolici parlare di “revisione della Bossi-Fini” può diventare materia di scontro
(sarebbe opportuno nel linguaggio concentrarsi sulla revisione del “pacchetto sicurezza” che ha
causato le maggiori distorsioni della “Bossi-Fini” e si è rivelato fallimentare – dall’indurimento dei
tempi e delle condizioni di vita nei CIE in poi), introdurre la nuova legislazione sulla “cittadinanza”
è un provvedimento che tocca direttamente un milione di nuovi italiani, largamente maturo nel
tessuto sociale e, sulla base di una proposta di mediazione già “testata”, accettabile anche dal NCD.
Per la revisione della “Bossi-Fini” può essere avviato un processo ambizioso, ma senza scadenza
nell’anno, per una Conferenza nazionale sull’immigrazione, analoga a quella del 1990 precedente la
Legge Martelli, in vista di una riscrittura radicale del Testo unico sull’Immigrazione e dell’intera
normativa, carica di stratificazioni e norme attuative vecchie via via un quarto di secolo, fino al
paradosso di una normativa che non considera la figura dell’immigrato “anziano”. Occorre un
grande processo di consultazione e di partecipazione culturale e popolare per una nuova legge
sull’immigrazione in Italia proiettata nel XXI secolo e nel nuovo scenario europeo e della
globalizzazione.
La legge intende rispondere alla domanda di cittadinanza italiana rivolta dalle cosiddette “seconde
generazioni”: figli di immigrati, ma nati o vissuti in Italia nell’intero periodo della loro formazione
linguistica e culturale. Il percorso di stabilizzazione degli immigrati, che ha caratterizzato gli ultimi
20 anni del nostro Paese, vede infatti la presenza di un milione di minori, di cui circa 400 mila nati
in Italia.
Il testo è caratterizzato da una posizione avanzata sul terreno del riconoscimento dei diritti, ma da
una posizione mediana, non “ideologica”, che risponde anche a obiezioni di ambienti storicamente
contrari alla concessione della cittadinanza su basi diverse dallo “ius sanguinis” (scambiato per
“italianità” fino alle terze generazioni di emigrati all’estero che non hanno avuto contatto né con la
lingua, né con la residenza, né con la cultura italiana). In sintesi: ius soli temperato e ius culturae
come base del riconoscimento di cittadinanza, sottolineatura della capacità attrattiva dell’italianità e
strumento di integrazione e coesione sociale.
Questi minori attualmente possono acquistare la cittadinanza solo al raggiungimento della maggiore
età e a condizione di avervi risieduto legalmente e senza interruzioni. Esiste, quindi, il rischio che

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un’intera generazione cresca restando straniera nel Paese che sente come proprio. In un mondo
sempre più interconnesso, invece, lo sviluppo si fonda anche sulla valorizzazione del grande
potenziale della risorsa per eccellenza, cioè il capitale umano raffinato nell’integrazione.
L’iniziativa nasce, in sintesi, dalla consapevolezza della forte necessità per l’Italia di aprire una fase
nuova in cui utilizzare tutte le forze presenti ai fini dello sviluppo.
Con la proposta si vuole dare ingresso al principio dello ius soli temperato, prevedendo
la cittadinanza per nascita da genitori già stabilmente soggiornanti; l’acquisizione della cittadinanza
non sarà quindi automatica, ma potrà essere richiesta solo in presenza di un significativo legame
sociale. E’ un principio condiviso da molte proposte di legge giacenti, sullo stesso tema. Variazioni
possono riguardare la possibilità che il secondo genitore debba essere soggiornante in Italia da
almeno un anno (superando l’argomento dell’”invasione” per diventare italiani). Ovvero la
dilazione dell’erogazione del diritto al momento dell’iscrizione alla scuola elementare.
La parte più significativa e innovativa rispetto agli altri progetti di legge esistenti riguarda invece le
misure legate a quello che può essere definito ius culturae, per cui si prevede l’acquisto non tardivo
della cittadinanza per i bambini e ragazzi nati all’estero, giunti in tenera età o nell’adolescenza in
Italia, la cui formazione culturale avviene nel nostro Paese (frequenza e conclusione con esito
positivo di un corso di studi). La cittadinanza viene quindi conseguita grazie al prolungato e
positivo inserimento linguistico e culturale nella società italiana. E’ lo stile di vita, la cultura, la
partecipazione ai modelli educativi dell’Italia che crea “italianità” e nuovi italiani. Il contrario del
temuto percorso di perdita di identità nazionale. In linea con la storia di formazione dell’unità e
identità nazionale, avvenuta non su base semplicemente linguistica o storica, ma “volontaristica” e
culturale.
Infine, viene modificato il testo vigente dell’articolo 9 della legge n. 91 del 1992, riconducendo ai
più diffusi standard europei il periodo di stabile residenza in Italia richiesto per poter presentare la
domanda di naturalizzazione da parte degli immigrati (tre anni per i cittadini europei, cinque per gli
extra-europei).
L’iniziativa può essere parlamentare e il percorso legislativo avviato dalla Camera dei deputati
C.2) Servizio civile nazionale universale
Il servizio di leva obbligatorio è stato abolito nel 2005, dopo 144 anni. Con la scuola elementare è
stato un elemento cardine della formazione dell’unità e identità italiana. Un servizio civile
universale delle leve giovanili, aperto anche a quanti, fuori dal tessuto formativo (Neet) e
occupazionale, fino ai 30 anni vogliano cogliere – a titolo volontario – una “seconda chance”, può
rappresentare, dopo decenni di frammentazione e percorsi centrifughi, una occasione di
ricostruzione del tessuto sociale e culturale nazionale in chiave unitaria.
Un servizio civile breve (sei mesi), con ritorni annuali di una settimana nei primi 5 anni e di due
week end nei due decenni successivi, con piano di formazione, tirocinio in lavori socialmente utili e
a vantaggio della comunità nazionale e delle comunità locali, e, al centro, la cultura del bene
comune e del servizio alla comunità.
Dal servizio civile si può ottenere rinvio per motivi di studio o dispensa per gravi motivi di
famiglia.

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Il servizio civile stesso entra però a fare parte di una ridefinizione del welfare nazionale e del
riequilibrio e manutenzione del territorio, con progetti a favore delle fasce deboli della popolazione,
del patrimonio culturale e ambientale, e progetti formativi volti al recupero di parte della
popolazione giovanile rimasta ai margini, all’interno di un patto formativo. In tal modo la misura di
compensazione finanziaria acquista un valore di sostegno sociale non assistenziale e un volano di
qualificazione e possibilità di inserimento sociale e professionale.
Anche questa misura può essere parzialmente finanziata all’interno dei Fondi europei. Il progetto
può essere avviato il primo anno in forma sperimentale come misure innovative nel quadro delle
misure di Youth Guarantee, e il secondo anno in via generale.

C.3.) Carcere: indulto e amnistia
Accanto all’intera lista di provvedimenti indicati dal Presidente della Repubblica Napolitano, il
nostro Gruppo è favorevole e propone di mettere allo studio in Parlamento un Disegno di legge
praticabile di amnistia e indulto: affiancato e preceduto dall’intero arco di misure riformatrici del
sistema carcerario e giudiziario volte a eliminare le storture, le lentezze che hanno favorito la
superfetazione di carcerazioni non necessarie e il degrado dell’intero sistema de lle pene e della
riabilitazione, provvedimenti di amnistia e indulto possono risultare determinanti per una definitiva
riabilitazione del sistema.

D) VALORIZZARE LE COMUNITÀ DEGLI ITALIANI ALL'ESTERO
Rafforzare il senso di comunità nazionale significa anche non fare passi indietro nella
valorizzazione delle nostre comunità che vivono all'estero.
E' un nostro dovere morale verso questa componente di nostri connazionali ma è anche una
opportunità per un'Italia che ha assoluto bisogno di farsi conoscere e apprezzare a livello globale e
di capitalizzare la propria immagine positiva anche come leva di sviluppo economico.
La presenza in Parlamento dei rappresentanti eletti all'estero deve per questo essere una occasione
di impegno in più.
In tale quadro, riteniamo anche necessario che il Governo, nel procedere alla necessaria
riorganizzazione della spesa, non comprometta la continuità della preziosa rete degli Istituti Italiani
di Cultura e dei Consolati collocati in realtà significative per presenza di comunità italiane e per
rapporti di cooperazione con il nostro Paese.
E) FORMAZIONE-SCUOLA-UNIVERSITA’
E.1. Uscita a 18 anni dal sistema formativo per contrastare la dispe rsione scolastica: operare il
taglio di un anno per qualificare la secondaria superiore a parità di risorse (ridistribuzione e
mobilità cattedre). Innovare le didattiche, prolungare e rendere flessibili gli orari, gestire
l’orientamento. Creare un modello 4+1 in cui l’ultimo anno, libero, può essere utilizzato per
iscriversi anticipatamente all’Università, per orientarsi a una formazione professionale superiore,
verso l’apprendistato, il lavoro o il servizio civile.
E.2. Rilanciare la formazione professionale
L'annunciato vertice europeo sui temi del lavoro, che si terrà a Roma nella prossima primavera,
potrà essere un’occasione utile per l'esame delle pratiche più efficaci di accompagnamento al lavoro
dei giovani presenti nei vari Paesi.

9
In questo senso proponiamo di introdurre in Italia un modello di formazione professionale ispirato
al sistema duale in uso nella realtà tedesca. Ciò consentirebbe di valorizzare di più i talenti dei
ragazzi, di avvicinare il mondo formativo a quello delle aziende e di restituire piena dignità sociale
a questa opzione formativa sempre più essenziale per il successo del nostro sistema produttivo.
E.3. Formazione obbligatoria degli insegnanti nel campo dei Bisogni educativi speciali.
L’Italia è uno dei rari paesi europei a non prevedere l’obbligo di formazione per gli insegnanti. La
sempre maggiore complessità delle classi chiede che nell’ambito dei programmi di formazione del
personale docente e dirigenziale delle scuole di ogni ordine e grado, comprese le scuole
dell'infanzia, sia assicurata un'adeguata preparazione riguardo alle problematiche relative
all’inclusione scolastica degli alunni con bisogni educativi speciali (BES) quali disabilità, disturbi
evolutivi specifici, alunni con svantaggio socio-culturale nonché alunni non italofoni. Questa
formazione è finalizzata ad acquisire la competenza per la presa in carico e la gestione della classe
“con differenze” e la conseguente capacità di applicare strategie didattiche, metodologiche e
valutative adeguate. Si propone che gli insegnanti, nell’ambito dell’orario di servizio e non di
insegnamento - partecipino ad almeno un corso di formazione non inferiore a 20 ore sugli aspetti
della didattica dell’inclusione scolastica per classi con esigenze differenziate e della facilitazione
per l’apprendimento della seconda lingua.
E.4 Ricerca

10
2 – CENTRALITA’ DEL LAVORO
Premessa
- E’ necessario sostenere le imprese, che costituiscono la realtà principale per la creazione di lavoro
dipendente e autonomo. A tal fine bisogna accelerare le riforme che facilitano sviluppo e producono
investimenti:
 Semplificazione burocratica
 Riduzione dei costi dell’energia
 Riforma della giustizia civile
 Nuovi strumenti per la finanza d’impresa
- Valorizzazione del marchio “Made in Italy”:
Il nostro Paese è riconosciuto nel mondo per una grande ricchezza rappresentata dal nostro marchio
di origine. Tuttavia alcuni pensano che con il MADE IN ITALY si identifichino dei settori ormai
marginali e quindi non più interessanti per un paese che guarda al futuro.
Il MADE in ITALY investe tutti quei settori che ruotano intorno all'esistenza stessa della persona, e
del territorio (Turismo, Agroalimentare, Arredo/design, Moda, Gioielleria, Prodotti per la cura della
persona, ecc.). Questi settori generano un indotto importante nel settore della meccanica, della
ricerca e dei servizi, fondamentali per l'esistenza delle stesse imprese.
Realizzare un piano nazionale per la realizzazione di Start-up di giovani (in partnership con Alta
formazione e ricerca, Venture Capital, Istituzioni di finanza collettiva) che unifichi e promuova le
risorse esistenti al fine di creare nuove imprese in settori specifici:
 Ambiente
 Beni culturali
 Servizi alla persona
 Agenda digitale
-

A questi settori si possono aggiungere quelli derivanti dalla riorganizzazione della Pubblica
Amministrazione, per la quale serve un vero e prop rio piano industriale in base al quale - tra l'altro una serie di attività oggi gestite in ambito pubblico potrebbero essere affidate a nuove imprese
promosse da giovani.
Solo nel quadro di queste iniziative per lo sviluppo possono trovare efficacia le pur doverose – e da
noi condivise – iniziative per la riforma delle regole del lavoro e per il suo alleggerimento fiscale.
A) Nuove regole per il lavoro
Il Lavoro è la priorità centrale da affrontare e risolvere, tenuto conto innanzitutto della
disgregazione sociale e politica il cui alto livello di disoccupazione, se dovesse ancora permanere,
può ulteriormente aggravare. Siamo favorevoli a innovazioni normative sul tema del lavoro, ma
siamo convinti che non sia sufficiente cambiare le regole, ma rimette re in movimento il mercato con
la creazione di lavoro.
Siamo favorevoli alle norme sulla flessibilità e all’idea del contratto unico con una indicazione
chiara: il lavoro flessibile va pagato in modo adeguato. La flessibilità diventa precarietà perché è
pagata male. Per i più deboli le tutele (art. 18, sostegno) non esistono: vengono solo da una
remunerazione più alta. In ogni caso nella formulazione delle riforme e delle nuove regole devono
essere coinvolte le rappresentanze sindacali.

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B) Nuova fiscalità per il lavoro
Avviare una serie di misure volte al graduale passaggio dalla tassazione dei redditi a quella dei
capitali. L'abbattimento del cuneo fiscale sul lavoro può rilanciare l'occupazione e la competitività
della produzione, ampliando di fatto la domanda interna, ormai ferma o addirittura in regressione da
tempo. I minori costi per l'impresa e il maggior reddito disponibile per i lavoratori si ottengono
attraverso un taglio significativo degli oneri sociali, non minore dei venti miliardi diluiti nei
prossimi quattro o cinque anni, da programmare subito.
La copertura finanziaria può essere trovata in una riduzione graduale dei trasferimenti pubblici alle
imprese, mentre la parte analoga rimanente può essere reperita applicando le regole del sistema
pensionistico contributivo. Così nel periodo medio- lungo l'intervento sul cuneo fiscale si
autofinanzia. Nella transizione e nel breve tempo, se non si vuole prevedere il recupero delle risorse
necessarie attraverso un maggiore disavanzo, è necessario pensare ad un'azione più incidente sulla
spesa pubblica con la spending review e ad una rafforzata lotta all'evasione fiscale. Oltre, all'utilizzo
dei miliardi di risparmio dovuti al calo dello spread, arrivato in questi giorni al di sotto dei 200
punti.

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3 RIFORME ISTITUZIONALI E LEGGE ELETTORALE
RIFORMA COSTITUZIONALE
In punto di riforme istituzionali è da dire subito che, rispetto alla fase in cui è maturata la Relazione
finale della Commissione sulle riforme istituzionali, c he rappresenta il testo di riferimento del
dibattito corrente, vanno registrati alcuni elementi che hanno contribuito a mutare il quadro
complessivo in cui collocare il discorso.
In particolare vanno tenuti in considerazione:
-

-

il mutamento della composizione del sistema politico, successivo alla pubblicazione della
Relazione. Questo ha portato ad una modifica della maggioranza di governo, tale da rendere
più difficoltoso l’impiego del procedimento aggravato ex art. 138 cost.; e dunque tale da
rendere più difficoltoso ogni percorso di riforma;
l’annuncio del 4 dicembre 2013 dell’Ufficio stampa della Corte costituzionale relativo alla
imminente pubblicazione della sentenza di annullamento parziale della l. 270/2005;
la conseguente modificazione dell’ordine d i priorità intercorrente tra riforma della legge
elettorale e riforme istituzionali.

Se, fino al 4 dicembre, intervento sul sistema elettorale e riforme costituzionali potevano essere
concepiti unitariamente e andare di pari passo, l’annuncio della decis ione della Corte ha mutato
l’orizzonte del dibattito sulle riforme, restringendolo, almeno a breve termine, alla riforma della
legge elettorale.
Nondimeno, anche se le proposte di riforma delle legge elettorale devono essere, al momento,
concepite e avanzate a costituzione invariata, sembra bene ragionare di riforma della legge
elettorale tenendo conto degli scenari relativi ad alcune questioni a questa strettamente
connesse, quali sono quelle relative al superamento del bicameralismo paritario, alla riduzione
del numero dei parlamentari e alla riforma del Titolo V (in rapporto alla ridefinizione del ruolo
del Senato).
Più chiaramente, se in questo momento la priorità deve essere accordata alle proposte in materia
di riforma della legge elettorale, queste proposte non possono prescindere dalla elaborazione di
una posizione – e di una proposta politica – con riferimento ai temi sopra indicati.
Bicameralismo
Dai lavori della Commissione emerge unanimemente una opinione a favore del superamento del
bicameralismo perfetto caratteristico del nostro sistema istituzionale. Sicché non sembra che, da
questo punto di vista, si dia spazio ad ipotesi alternative.
Fatto salvo questo punto le opzioni aperte dalla Commissione si dividono. E le opzioni politiche
possono grandemente differenziarsi.
Da una parte si propone un bicameralismo differenziato, che tuttavia postula una accurata opera
di progettazione delle competenze delle due Camere, ferma restando la scelta per cui al Senato
dovrebbe spettare la rappresentanza dei territori e/o delle istituzioni locali e alla Camera le
funzioni in punto di rapporto fiduciario ed indirizzo politico. Questa messa a punto delle

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competenze include altresì tutta una serie di scelte – assai delicate - in ordine al procedimento
legislativo, che dovrebbe essere distinto tra leggi di competenza della Camera, leggi di
competenza del Senato, leggi bicamerali; e in ordine al rapporto fiduciario con il Governo. Va
osservato che su questo ultimo punto il testo della Relazione è estremamente generico e non dà
indicazioni univoche in ordine all’esercizio della funzione di controllo e in ordine al voto di
fiducia: non si chiarisce, cioè, se la questione di fiducia debba essere riservata ad una o
entrambe le Camere. Il che condiziona, evidentemente, anche le scelte in punto di legislazione
elettorale e di differenziazione dei sistemi di elezione.
Alternativa a questa ipotesi è l’opzione per il monocameralismo e per la conseguente
costituzionalizzazione ed allargamento del sistema delle Confere nze Stato-Regione, cui
spetterebbe a) una funzione di rappresentanza degli interessi territoriali; b) di raccordo tra stato
ed autonomie locali. Si tratta di una posizione che semplificherebbe in modo significativo il
percorso delle riforme e che, tuttavia, dal punto di vista delle politiche istituzionali, potrebbe
portare con sé anche effetti di criticità.
Una posizione interlocutoria rispetto a questa alternativa può essere vista nella scelta di
mantenere il Senato con una elezione di secondo livello, contestuale alla elezione dei consigli
regionali.
Riduzione numero dei parlamentari
La questione della riduzione del numero dei parlamentari è stata affrontata dalla Commissione
nella prospettiva del rapporto tra popolazione residente e numero dei parlamentari. La
Relazione finale – partendo da un rapporto 1/125.00 definito conforme agli standard europei –
propone un numero complessivo di 480 deputati e un numero di senatori oscillante tra i 150 e i
200 (partendo dal presupposto del mantenimento del sistema bicamerale).
E’ evidente che la questione non può essere affrontata disgiuntamente da quella relativa al
mantenimento o meno del bicameralismo perfetto attuale.
Una soluzione alternativa, in caso di scelta per il modello monocamerale e per la
costituzionalizzazione del sistema di conferenze , può essere quella di mantenere il numero
attuale di deputati a compensare la diminuzione delle sedi di rappresentanza politica.

Riforma del Titolo V
E’ questo il settore più complesso e probabilmente più biso gnoso di sistemazione, vista la scarsa
resa istituzionale della riforma approvata nel 2001 e l’aumentato livello di conflittualità nel
rapporto stato-regioni.
Qui i punti possono essere almeno quattro:
a) revisione dell’elenco delle competenze legislative comprese nell’art. 117 cost. nel senso di
una rispettiva semplificazione, eventualmente accompagnata da una eliminazione della
potestà legislativa concorrente;

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b) introduzione di una clausola di flessibilità nella utilizzazione dell’elenco delle materie che
possa tenere luogo della cd. ‘chiamata in sussidiarietà’ e che sia gestita dal Senato riformato
o da un eventuale meccanismo di raccordo tra Stato e Regioni;
c) introduzione di un sistema uniforme di contabilità regionale e di un centro unico di
controllo preventivo sulla osservanza delle regole uniformi di contabilità.
d) valorizzazione delle esperienze positive e responsabili maturate ne l campo autonomie
differenziate e definizione di specifiche misure innovative volte a promuovere l’autogoverno
delle aree montane.

LEGGE ELETTORALE
Premessa
Ogni proposta sulla riforma della legge elettorale deve al momento partire da una serie di premesse
di carattere strutturale e di carattere politico.
Da un punto di vista strutturale:
ogni proposta deve essere condotta a costituzione invariata: e cioè senza tenere conto, al momento,
di quanto emerso nella Relazione finale della Commissione dei 35 in punto di riduzione del numero
dei parlamentari e di bicameralismo perfetto;
il discorso deve essere svolto sulla base delle indicazioni della Corte costituzionale, come emerse
nel Comunicato Stampa del 4 dicembre 2013: incostituzionalità del premio di maggioranza (non si
sa se in assoluto o in rapporto alla mancata indicazione di una soglia minima per l’attribuzione);
necessità del voto di preferenza; garanzia di una rappresentanza di genere.
Da un punto di vista politico:
la nostra proposta vuole tener conto del contesto di approvazione e di applicazione della riforma.
Vuole cioè tenere conto della effettiva aumentata complessità del sistema politico rispetto alla
raffigurazione tradizionale del sistema italiano come sistema bipolare: calare una logica bipolare in
un sistema politico imperniato su tre partiti sopra il 20% e su una serie variegata di formazioni dalla
consistenza variabile rischia di forzare la situazione; di produrre distorsioni nel sistema
rappresentativo foriere di tensioni future; di rendere irrealizzabile l’approvazione di una legge
elettorale per il mancato concorso di forze politiche sacrificate;
la nostra proposta vuole perseguire in modo chiaro gli obiettivi della riforma già evidenziati dal
presidente Napolitano al momento della sua rielezione. E cioè a) rappresentatività del sistema
politico complessivo e b) stabilità delle maggioranze di governo, tenendo anche conto che la Corte
costituzionale è, in fondo, intervenuta sulla irrazionale composizione di queste due esigenze,
sanzionando quel premio di maggioranza meccanico che era stato inserito nella l. 270/2005 al fine
garantire la stabilità delle maggioranze.

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Sistema elettorale misto (proporzionale/maggioritario)
Ciò detto, avendo riguardo a tutti questi elementi, sembra ragionevole orientarsi verso
l’introduzione di un sistema elettorale misto, che combini elementi dei sistemi proporzionali e dei
sistemi maggioritari, secondo una linea di tendenza affermatasi in Italia soprattutto a livello di
elezioni locali (l. 81/1993) e di elezioni regionali (l. 43/1995). Nelle loro diverse varianti – ormai
ampiamente sperimentate dai primi anni ‘90 – questi sistemi in genere riescono a soddisfare le
esigenze di proiettività tipiche dei sistemi proporzionali con le esigenze di stabilità delle
maggioranze di governo in modo sufficiente da poter essere presi in considerazione anche per le
elezioni nazionali.
Sistema elettorale a doppio turno. Prima fase
In particolare, il sistema che si potrebbe proporre dovrebbe essere un sistema articolato in due turni.
Al primo turno le diverse forze politiche si presenterebbero disgiuntamente agli elettori, i quali
esprimerebbero un voto a favore di ogni lista concorrente a livello di circoscrizione, con
introduzione di una doppia preferenza di genere (imposta dalla Corte costituzionale e dall’art. 51
cost.). Il metodo di elezione del singolo parlamentare dovrebbe essere imperniato sul meccanismo
del quoziente circoscrizionale con recupero nazionale dei resti. Va da sé che le circoscrizioni
dovrebbero avere carattere plurinominale e – tendenzialmente – dovrebbero essere ritagliate sulla
dimensione provinciale e/o delle future città metropolitane e aree vaste.
Il carattere fortemente proporzionale degli effetti di questo primo turno potrebbe essere temperato,
alternativamente, dalla introduzione di una soglia di sbarramento – che si ipotizza attorno al 3% ovvero attraverso un intervento di modulazione della ampiezza dei collegi elettorali, tenendo
presente che quanto più ristretto è il collegio, tanto più forte è l’attenuazione dell’effetto proiettivo
del sistema. Illuminante in questo senso è l’esempio del sistema spagnolo, dove di fatto la
compresenza di una soglia di sbarramento del 3% e di circoscrizioni molto ristrette rende
inoperante, se non a livello formale, la soglia di sbarramento, la quale opera soltanto nelle due
circoscrizioni più larghe (Madrid e Barcellona).
Un primo turno di questo genere – che fondamentalmente mira a raccogliere e misurare il consenso
delle diverse formazioni politiche – presenterebbe il doppio vantaggio di assicurare a tutte le liste
una rappresentanza parlamentare (compatibilmente con quanto detto sopra) e di consentire ai partiti
di misurare reciprocamente la propria consistenza in termini di seggi e rappresentanza parlamentare.
A questo primo turno conseguirebbe l’assegnazione dell’85% dei seggi: e cioè, alla Camera, 535
seggi su 630 a costituzione invariata.

Sistema elettorale a doppio turno. Seconda fase
Con il secondo turno di votazioni, previsto entro due settimana successivo al primo, verrebbero
attribuiti i restanti 95 seggi. Il lasso di tempo intercorrente tra il primo e secondo turno,
particolarmente ampio, dovrebbe essere finalizzato a consentire ai partiti politici di elaborare
alleanze e programmi da presentare agli elettori, affinché questi possano effettivamente scegliere la
coalizione da premiare con l’attribuzione della quota residua a disposizione (15% dei seggi non
assegnati).

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In questo secondo turno si presenterebbero dunque all’elettorato coalizioni di partiti che esplicitano
il loro accordo, un programma comune e una comune lista di candidati (non superiore al numero
dei seggi a disposizione: 95) e il cui capolista potrebbe essere – ma non è detto che necessariamente
debba essere - il Presidente del Consiglio incaricato. (Si riprendono qui i contenuti della proposta
Pasquino-Milani alla Commissione Bozzi del 1989). I candidati e le liste potrebbero presentarsi
all’interno di un collegio unico nazionale, secondo uno schema simile a quello presente nella attuale
l. 270/2005.
Al Senato, stante la prescrizione dell’art. 57 cost., il premio di maggioranza potrà ess ere attribuito
alla coalizione più votata sul piano nazionale, ma ripartito su base regionale in rapporto ai voti
raccolti nelle singole regioni (secondo uno schema già presente nella proposta di legge n. 1116
Nicoletti ed altri, Camera, XVII legislatura).
Allo stesso modo la prescrizione di cui all’art. 51 cost. potrà essere rispettata attraverso
l’introduzione di una riserva nella composizione delle liste di coalizione.
Va da sé che la presenza al secondo turno deve essere garantita anche alle forze po litiche che
decidano di non apparentarsi in coalizioni e decidano comunque di concorrere da sole per il premio
di maggioranza. Si dà comunque per scontato che le forze politiche uscite prevalenti al primo turno
siano incentivate a coalizzarsi e a stringere apparentamenti nella prospettiva di andare in
sovrarappresentazione rispetto agli esiti del primo turno con l’acquisizione del restante 15%.

Considerazioni conclusive.
Un sistema di questo genere, che può essere visto come una variante dello schema del doppio turno
di coalizione, presenterebbe alcuni evidenti vantaggi.
Innanzi tutto la formazione in modo ragionevolmente trasparente di coalizioni di governo che si
presentano congiuntamente agli elettori e congiuntamente si impegnano a governare per la d urata
della legislatura. In questo modo l’elettore sceglierebbe nel primo turno una lista cui conferire una
autonoma forza rappresentativa e nel secondo turno una coalizione precisa, dotata dal premio di
maggioranza dei numeri sufficienti ad esprimere un governo. L’elettore sceglie, in altre parole, chi
debba governare, con quali alleati e con quali programmi nell’ambito della offerta politica che il
sistema dei partito è stato in grado di elaborare. E, qualora si voglia accogliere questa soluzione,
l’elettore esprime al secondo turno anche una indicazione sul nome del Presidente del Consiglio.
In secondo luogo, pur operando nel secondo turno con una logica maggioritaria, il sistema resta
proporzionale quanto alla capacità di convogliare all’interno del sistema rappresentativo partiti e
formazioni politiche minori, preservandone l’identità tanto nel momento pre-elettorale, quanto in
sede di formazione dell’accordo di governo. Per contro la trasparenza della fase di formazione
dell’accordo di governo – e la conseguente pubblicità degli impegni - segna – compatibilmente con
l’art. 67 cost. - un motivo per le formazioni minori a restare all’interno della coalizione di governo,
posto che la rottura dell’accordo costituirebbe una sconfessione degli impegni assunt i durante
l’intervallo di tempo intercorrente tra il primo e il secondo turno. Che sarebbe plausibilmente
sanzionata dagli elettori nella successiva tornata elettorale.
In terzo luogo, il riconoscimento della necessità di accordi di coalizione implicito nella proposta
vale ad evitare che, dalla conservazione della logica maggioritaria, esca un governo appiattito sulla

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linea programmatica di un singolo partito, con pregiudizio della diversità di posizioni presenti
all’interno del sistema rappresentativo. E dunque in contrasto con la attuale struttura del sistema
politico.
In quarto luogo un sistema del genere – soprattutto se accompagnato dalla reintroduzione del voto
di preferenza che probabilmente sarà imposta dalla Corte costituzionale – impone un modo diverso
dal recente passato di concepire il ruolo e l’azione dei partiti politici, costringendo i partiti ad un
rapporto più stretto con le circoscrizioni e con il territorio.

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4. RIFORMA ORGANICA DELLE AUTORITÀ INDIPENDENTI
Premessa
Sono note le ragioni storiche, giuridiche e teorico-economiche a sostegno dell’istituzione e del
mantenimento di autorità amministrative indipendenti; senza pretesa di completezza, vanno
ricordate:
1. Esigenza di vigilanza sul funzionamento dei mercati;
2. Esigenza di regolazione tecnica di taluni mercati allo scopo di correggere i fallimenti di
mercato e favorire lo sviluppo della concorrenza;
3. Esigenza di attuazione dei vincoli dettati dall’ordinamento comunitario.
Sono parimenti note le ragioni per le quali in Italia si propo ne da tempo una riforma organica delle
Autorità Indipendenti nella prospettiva di una razionalizzazione dell’intera materia; va ricordato, tra
l’altro:
1. Mancanza di un disegno istituzionale sistematico ed eccessiva frammentazione del quadro
normativo di riferimento;
2. Disomogeneità di modelli organizzativi e funzionali e mancanza di una disciplina organica
di competenze, funzioni, procedure e modalità operative;
3. Sovrapposizioni tra aree di intervento e possibili conflitti di attribuzioni;
4. Proliferare di autorità settoriali e/o di enti assimilabili istituiti anche sulla scorta di singole
emergenze;
5. Incertezza in merito alle procedure operative e agli strumenti di tutela dei privati, nonché in
generale inefficienza dei meccanismi di vigilanza e/o regolazione.
Negli ultimi sette anni si contano almeno tre disegni di legge e/o proposte legislative aventi ad oggetto
la riforma delle Autorità Indipendenti, nessuno dei quali è tuttavia giunto a risultati concreti ed apprezzabili.

Con il presente documento si intende sottoporre alcuni suggerimenti che, a mio avviso, senza
pretesa di novità, potrebbero costituire un concreto contributo al superamento di talune criticità
evidenziate ai precedenti punti.
><
(1) Riparto funzionale : si evidenzia l’opportunità di un riordino delle competenze che comporti:
(a)
l’acquisizione da parte dell’AGCM delle competenze di tutela della concorrenza su tutti i
mercati, compreso quello bancario, nonché delle competenze di applicazione delle norme
antimonopolistiche “settoriali” (comprese quelle a tutela anche del pluralismo dell’informazione);
obiettivo, il primo, parzialmente conseguito già a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 262 del 28
dicembre 2005 (legge sul risparmio);
(b)
il completamento delle funzioni di vigilanza a fini di stabilità in capo a Banca d’Italia, estese
anche alle compagnie di assicurazione ed agli altri intermediari finanziari in generale;

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(c)
il consolidamento della funzione di controllo di trasparenza sull’intero comparto dei mercati
finanziari in senso lato, affidato alla Consob, comprendendovi sia le assicurazioni che i fondi
pensione, con l’ulteriore conseguenza della soppressione dell’IVASS e l’eliminazione delle
disomogeneità delle regole di comportamento e di trasparenza nel collocamento di tutti i prodotti
finanziari, a prescindere dalla natura dell’emittente o dell’intermediario (con evidente riferimento
alle banche e alle assicurazioni);
(d)
l’accorpamento delle funzioni delle Autorità nei settori delle telecomunicazioni e
dell’energia in un’unica autorità, cui attribuire in generale i compiti di regolazione dei servizi a rete e
delle utilities.
(2) Quanto agli aspetti di governance delle Autorità , si evidenziano i seguenti profili:
(a)
il mantenimento della nomina governativa dei commissari, sottoposta però al consenso
vincolante dei due terzi di un’apposita commissione parlamentare competente, e temperata con una
disciplina più rigorosa dei requisiti di nomina (in particolare, regole di incompatibilità per un
determinato numero di anni per membri del Governo e Parlamentari, ad evitare improprie
commistioni tra carriere politiche e tecniche o il loro artificioso prolungamento) o divieto del
passaggio da un’Autorità all’altra. In alternativa, una soluzione che consenta, almeno per una parte
dei commissari, l’ascesa dei quadri interni ai vertici dell’Autorità, favorendo la formazione di corpi
burocratici più stabili ed evitando il frequente passaggio al settore privato delle figure apicali delle
varie Autorità di controllo;
(b)
sul piano della c.d. accountability, insieme alla valorizzazione della trasparenza e
dell’apertura delle procedure decisionali, l’opportunità di un’analisi di impatto della
regolamentazione (spesso inapplicata e, quando effettuata, priva di tempi certi) e del c.d. regulatory
management (in particolare, vincolando le Autorità a predeterminare obiettivi e criteri
dell’intervento regolativo e ad osservare termini di consultazione sufficienti ad un’effettiva
allegazione di dati e documenti);
(c)
sul piano dei rapporti con gli organi di indirizzo politico, la necessità di contemperare forme
di accountability nei confronti di Governo e Parlamento – senza dubbio necessarie – e l’esigenza di
evitare ingerenze sui singoli atti regolativi, a cominciare da quelli tariffari e respingere il presunto e
pervasivo primato della politica, in quanto è forte la tentazione di assoggettare le Autorità a
penetranti indirizzi e interventi politici. Per questa ragione, era segnalata l’opportunità di abrogare le
norme della più recente legislazione che prevedono una puntuale conformazione dell’attività
regolativa e addirittura l’esercizio di poteri governativi di sostituzione;
(d)
sul problema dell’autofinanziamento delle Autorità, l’individuazione di meccanismi atti a
garantire la certezza delle risorse necessarie alla funzionalità degli enti e, allo stesso tempo, ad
assicurare l’equità dei meccanismi di prelievo, anche consentendo alle imprese regolate un effettivo
controllo circa la buona gestione economico-finanziaria delle Autorità.
(3) Quanto alla tutela giurisdizionale e alla trasparenza, ci si limita a riprendere talune considerazioni
generalissime, quali:

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(a)
l’esclusione di una configurazione delle Autorità come giudici speciali e l’esigenza di
mantenere il controllo giurisdizionale sugli atti delle Autorità;
(b)
l’opportunità di incidere sulla disciplina della legittimazione ad agire e delle spese del
processo, consentendo forme efficaci di tutela giurisdizionale collettiva inibitoria e risarcitoria nei
confronti dei responsabili di comportamenti abusivi soggetti al controllo delle Autorità Indipendenti,
al fine di conseguire l’obiettivo di coadiuvare l’attuazione concreta della volontà della legge da parte
delle Autorità Indipendenti, oltre che con la cooperazione e la sistematica consultazione dei soggetti
regolati, anche con poteri di iniziativa delle parti interessate, sub specie di poteri di accesso ai
procedimenti presso tali Autorità, e la concreta possibilità di avvalersi della tutela giurisdizionale
presso l’autorità giudiziaria. Infatti, solo la convergenza dell’iniziativa pubblica e di quella privata
assicura la deterrenza dei comportamenti illeciti dei detentori di poteri privati. In mancanza,
difficilmente le sanzioni imposte dalle Autorità possono impedire che per tali soggetti violare la
legge risulti comunque economicamente conveniente (posto che la eventuale tutela penale appare, a
sua volta, sprovvista di effettività nei confronti di chi sia munito delle risorse idonee a sfruttare
l’immenso repertorio di garanzie offerto dalla disciplina del processo penale configuratasi nel corso
degli ultimi anni, e fintanto che non si sia provveduto alle riforme prospettate sopra).
***
Le proposte normative del presente documento sono coordinate tra loro, per cui dovrebbero essere
assunte e modificate nel loro complesso e contemporaneamente per evitare contrasti tra gli effetti che si
verrebbero a generare se non armonizzate.

Con il presente documento si intende sottoporre alcuni suggerimenti che, senza pretesa di
novità, potrebbero costituire un concreto contributo al superamento di talune criticità evidenziate ai
precedenti punti.
(4) Riparto funzionale : si evidenzia l’opportunità di un riordino delle competenze che comporti:
(a)
l’acquisizione da parte dell’AGCM delle competenze di tutela della concorrenza su tutti i
mercati, compreso quello bancario, nonché delle competenze di applicazione delle norme
antimonopolistiche “settoriali” (comprese quelle a tutela anche del pluralismo dell’informazione);
obiettivo, il primo, parzialmente conseguito già a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 262 del 28
dicembre 2005 (legge sul risparmio);
(b)
il completamento delle funzioni di vigilanza a fini di stabilità in capo a Banca d’Italia, estese
anche alle compagnie di assicurazione ed agli altri intermediari finanziari in generale;
(c)
il consolidamento della funzione di controllo di trasparenza sull’intero comparto dei mercati
finanziari in senso lato, affidato alla Consob, comprendendovi sia le assicurazioni che i fondi
pensione, con l’ulteriore conseguenza della soppressione dell’IVASS e l’eliminazione delle
disomogeneità delle regole di comportamento e di trasparenza nel collocamento di tutti i prodotti
finanziari, a prescindere dalla natura dell’emittente o dell’intermediario (con evidente riferimento
alle banche e alle assicurazioni);

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(d)
l’accorpamento delle funzioni delle Autorità nei settori delle telecomunicazioni e
dell’energia in un’unica autorità, cui attribuire in generale i compiti di regolazione dei servizi a rete e
delle utilities.
(5) Quanto agli aspetti di governance delle Autorità , si evidenziano i seguenti profili:
(a)
il mantenimento della nomina governativa dei commissari, sottoposta però al consenso
vincolante dei due terzi di un’apposita commissione parlamentare competente, e temperata con una
disciplina più rigorosa dei requisiti di nomina (in particolare, regole di incompatibilità per un
determinato numero di anni per membri del Governo e Parlamentari, ad evitare improprie
commistioni tra carriere politiche e tecniche o il loro art ificioso prolungamento) o divieto del
passaggio da un’Autorità all’altra. In alternativa, una soluzione che consenta, almeno per una parte
dei commissari, l’ascesa dei quadri interni ai vertici dell’Autorità, favorendo la formazione di corpi
burocratici più stabili ed evitando il frequente passaggio al settore privato delle figure apicali delle
varie Autorità di controllo;
(b)
sul piano della c.d. accountability, insieme alla valorizzazione della trasparenza e
dell’apertura delle procedure decisionali, l’opportunità di un’analisi di impatto della
regolamentazione (spesso inapplicata e, quando effettuata, priva di tempi certi) e del c.d. regulatory
management (in particolare, vincolando le Autorità a predeterminare obiettivi e criteri
dell’intervento regolativo e ad osservare termini di consultazione sufficienti ad un’effettiva
allegazione di dati e documenti);
(c)
sul piano dei rapporti con gli organi di indirizzo politico, la necessità di contemperare forme
di accountability nei confronti di Governo e Parlamento – senza dubbio necessarie – e l’esigenza di
evitare ingerenze sui singoli atti regolativi, a cominciare da quelli tariffari e respingere il presunto e
pervasivo primato della politica, in quanto è forte la tentazione di assoggettare le Autorità a
penetranti indirizzi e interventi politici. Per questa ragione, era segnalata l’opportunità di abrogare le
norme della più recente legislazione che prevedono una puntuale conformazione dell’attività
regolativa e addirittura l’esercizio di poteri governativi di sostituzione;
(d)
sul problema dell’autofinanziamento delle Autorità, l’individuazione di meccanismi atti a
garantire la certezza delle risorse necessarie alla funzionalità degli enti e, allo stesso tempo, ad
assicurare l’equità dei meccanismi di prelievo, anche consentendo alle imprese regolate un effettivo
controllo circa la buona gestione economico-finanziaria delle Autorità.
(6) Quanto alla tutela giurisdizionale e alla trasparenza, ci si limita a riprendere talune considerazioni
generalissime, quali:
(a)
l’esclusione di una configurazione delle Autorità come giudici speciali e l’esigenza di
mantenere il controllo giurisdizionale sugli atti delle Autorità;
(b)
l’opportunità di incidere sulla disciplina della legittimazione ad agire e delle spese del
processo, consentendo forme efficaci di tutela giurisdizionale collettiva inibitoria e risarcitoria nei

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confronti dei responsabili di comportamenti abusivi soggetti al controllo delle Autorità Indipendenti,
al fine di conseguire l’obiettivo di coadiuvare l’attuazione concreta della volontà della legge da parte
delle Autorità Indipendenti, oltre che con la cooperazione e la sistematica consultazione dei soggetti
regolati, anche con poteri di iniziativa delle parti interessate, sub specie di poteri di accesso ai
procedimenti presso tali Autorità, e la concreta possibilità di avvalersi della tutela giurisdizionale
presso l’autorità giudiziaria. Infatti, solo la convergenza dell’iniziativa pubblica e di quella privata
assicura la deterrenza dei comportamenti illeciti dei detentori di poteri privati. In mancanza,
difficilmente le sanzioni imposte dalle Autorità possono impedire che per tali soggetti violare la
legge risulti comunque economicamente conveniente (posto che la eventuale tutela penale appare, a
sua volta, sprovvista di effettività nei confronti di chi sia munito delle risorse idonee a sfruttare
l’immenso repertorio di garanzie offerto dalla disciplina del processo penale configuratasi nel corso
degli ultimi anni, e fintanto che non si sia provveduto alle riforme prospettate sopra).

23
5. ECONOMIA DEL MARE
Attualmente è in discussione al Senato la riforma della 84/94.
Si tratta di un forte passo avanti per risolvere diversi problemi che non consentono ai porti
italiani di essere competitivi nei confronti del sistema portuale europeo e mondiale. Ed è
essenziale che la riforma sia trasformata in legge nel più breve tempo possibile.
Accanto alla riforma normativa, debbono essere sviluppate vere e proprie cabine di regia (a) per
snellire l’amministrazione nei porti, e accelerare gli adempimenti burocratici e doganali in
particolare, e (b) per far confluire investimenti adeguati nei collegamenti tra sistema portuale e
infrastrutture terrestri (strada e ferrovia).
In parallelo, è tuttavia necessario immaginare soluzioni più coraggiose che proponiamo al
Governo quali:
1.Un significativo accorpamento di diverse Autorità portuali secondo criteri basati
(a) sul raggiungimento di livelli di traffico ben più elevati di quanto attualmente previsto dalla
legge, e/o
(b) sull’unificazione in un unico soggetto di Autorità minori c he si trovano su un medesimo
mercato/ambito territoriale, e/o
(c) sulla loro coincidenza coi porti TEN-T.
L'accorpamento, oltre a determinare un risparmio di costi, consentirebbe di sviluppare sinergie e
facilitare la creazione di sistemi portuali coordinati, in modo da evitare forme di “competizione
programmatoria”, dannose per le imprese e per l’economia portuale.
2.Una decisa accelerazione nel senso di una maggiore autonomia finanziaria delle Autorità
portuali, per consentire loro di poter beneficiare di una cifra intorno al 5% del gettito tributario
generato dai porti.
In alternativa, e in uno scenario del tutto nuovo, idoneo a superare anche il tema dell’autonomia
finanziaria, si potrebbe immaginare invece la trasformazione delle Autorità Portuali in società
per azioni, e la loro patrimonializzazione mediante le aree demaniali, adeguatamente valorizzate
e conferite in tali società. Queste nuove società per azioni, inizialmente statali al 100%,
potrebbero poi aprirsi a investitori privati, restando per il resto soggette alla regolazione delle
competenti Autorità (in primis, quella marittima e la neocostituita autor ità dei trasporti), che
garantirebbero l’utilizzo pubblico dei porti e l’accesso ai relativi mercati nell’interesse pubblico
e dell’economia nazionale.

24
6. COMPARTO DIFESA E SICUREZZA
La lotta all’evasione fiscale e la sicurezza sono presupposto indisp ensabile per lo sviluppo
reale del Paese. Queste misure creando lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione
creano direttamente sviluppo delle imprese e quindi lavoro.
- Valorizzazione della specificità del Comparto Difesa e Sicurezza da sviluppare nei vari
settori:
- Stipendiale: sblocco degli automatismi stipendiali per il 2014 come per gli insegnanti
(usufruendo ove necessario di norme vigenti per prelievo risorse per fondo una tantum da
Fondo unico giustizia e risparmi missioni).
- Previdenziale: apertura tavolo negoziale sulla previdenza (generale e per quella
complementare)
- Normativo: esterno. Apertura tavolo negoziale di concertazione normativa
Interno: apertura tavolo per decreti correttivi a decreti di revisione
- Welfare: piano alloggiativo. (negozi o generi tax free; buoni benzina)
- Diritti: Riforma rappresentanza militare

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Proposte Gruppo Per l'Italia per "Un patto di coalizione" - Antonio De Poli

  • 1. Popolari Per l’Italia I Popolari dei Gruppi Parlamentari "Per l'Italia" partecipano al confronto interno alla maggioranza con l'intento di concorrere in maniera seria e leale al consolidamento di un’esperienza di Governo che ritengono di fondamentale importanza per il rilancio del Paese secondo gli auspici autorevoli e pressanti del Capo dello Stato e in sintonia con le aspettative della comunità nazionale. Premessa necessaria per ogni ulteriore successo dell'azione di governo e' che le forze politiche di maggioranza assumano fino in fondo le proprie responsabilità, senza coltivare ambiguità o vie di fuga finalizzate a immediati interessi di parte. I nostri Gruppi Parlamentari rinnovano questo impegno, senza peraltro rinunciare a far valere idee e priorità che ritengono coerenti con la cultura del popolarismo alla quale espressamente si ispirano. Le nostre idee e le nostre priorità hanno un orizzonte rappresentato dall'Unione Europea. Dobbiamo essere coscienti che le linee politiche e le decisioni prese a livello europeo rappresentano, da un lato, un riferimento ineludibile e dall'altro, che ne siamo pienamente coautori. La cornice entro la quale il lavoro del Governo potrà essere efficace per il Paese, al fine di intraprendere le riforme strutturali e istituzionali non più rinviabili, è costituita dall'azione comune dei paesi membri dell'Unione. Un'occasione peculiare è data, nel 2014, dal programma per il semestre di presidenza italiana. Si apre, con quest'anno, una fase nuova, di straordinaria valenza, innanzitutto per l'Europa. L'Unione, molto su impulso italiano, sta ritrovando la propria ispirazione solidale; dalla mera austerità, da un'attenzione rivolta esclusivamente al rigore nei bilanci, nel corso degli ultimi due anni, si è passati a discutere di più di crescita economica e di creazione di posti di lavoro, di lotta alla disoccupazione, specie quella giovanile. L'Italia ha concorso a questo nuovo orientamento delle priorità e deve continuare a farlo. Senza sfuggire all'imperativo di mantenere sani i conti pubblici, possiamo connotare le scelte europee verso obiettivi di investimento e di uno sviluppo economico, sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale. Possiamo influire sulle forme di integrazione già impostate o in corso di discussione, affinché l'Europa appaia nuovamente come 'amica', veicolo di una comunità coesa e competitiva, che offra opportunità ai giovani e inverta un declino di disuguaglianze e di precarietà. Iniziando dall'unione bancaria, con una visione che i cittadini europe i percepiscano come una reale risposta all'esigenza di garanzia sui loro risparmi; e continuando con l'idea dei 'partenariati' per incentivare le riforme da attuare a livello nazionale e con le altre possibili iniziative istituzionali nella direzione dell'auspicata, vera unione politica europea. Il nostro Paese e le sfide che ha davanti possono trovare nel rilancio di questa idea di Unione Europea un contesto di opportunità. In particolare, dobbiamo avvalerci al meglio di quelle flessibilità negli investimenti pubblici produttivi, su nostra proposta riconosciute dal Consiglio Europeo, per i paesi non sottoposti a procedura di infrazione per deficit eccessivo. Simili investimenti, possibili in deroga all'obiettivo del pareggio di bilancio, possono consentire incisivi interventi per una modernizzazione delle infrastrutture base, per azioni pro ambiente, per la lotta contro la povertà e per progetti nel campo delle politiche a favore del lavoro e delle zone svantaggiate. 1
  • 2. Le nostre priorità di sistema 1. COMMUNITY ACT 2. CENTRALITA’ DEL LAVORO 3. RIFORME ISTITUZIONALI E LEGGE ELETTORALE Alcune priorità specifiche 4. UNA RIFORMA ORGANICA DELLE AUTORITA’ INDIPENDENTI 5. ECONOMIA DEL MARE 6. COMPARTO DIFESA E SICUREZZA 2
  • 3. 1 - COMMUNITY ACT: Cinque ambiti su cui cambiare passo A) FAMIGLIA B) INCLUSIONE SOCIALE C) CITTADINANZA E COESIONE D) VALORIZZAZIONE DEGLI ITALIANI ALL’ESTERO E) CONOSCENZA Le proposte A. FAMIGLIA A.1. Nomina di Responsabile politico nel Governo con delega per la Famiglia A.2. Modifica della scala di equivalenza dell’ISEE A.3. Introduzione del Fattore Famiglia A.4. Ridefinizione della soglia di reddito che definisce un figlio fiscalmente a carico A.5. Ridefinizione importo per gli assegni familiari A.6. Attribuzione per le donne mamme di almeno tre anni di contributi figurativi per ogni figlio naturale o adottato B) INCLUSIONE SOCIALE B.1. Reddito di sostegno per la riqualificazione professionale B.2. Stabilizzazione dello strumento del 5x1000 B.3. Abolizione dell’IMU per gli Enti non profit B.4. Aiuti alimentari agli indigenti B.5. Credito di imposta per le cooperative sociali e le aziende che lavorano con i detenuti B.6. Modifica alla legge 155/2006 sull' impresa sociale C) CITTADINANZA E COESIONE C.1. Approvazione proposta di legge sulla cittadinanza C525 Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza C.2. Servizio civile nazionale universale C.3. Carcere: indulto e amnistia D) VALORIZZARE LE COMUNITÀ DEGLI ITALIANI ALL'ESTERO E) CONOSCENZA E.1. Uscita a 18 anni dal sistema formativo E.2. Formazione Professionale E.3. Formazione obbligatoria degli insegnanti nel campo dei Bisogni educativi speciali. E.4. Ricerca 3
  • 4. Le azioni per realizzare le nostre proposte: A.FAMIGLIA A.1. Venga nominato un Responsabile politico nel Governo con delega per la Famiglia che possa esercitare a nome del Governo la valutazione preventiva delle ricadute sulle famiglie dei provvedimenti legislativi, in particolare sulle materie fiscali, tributarie e tariffarie, sulle relative leggi di bilancio e leggi di stabilità, sul rapporto tra carico fiscale, reddito e composizione del nucleo familiare e verifichi sistematicamente i risultati in termini di qualità ed efficacia delle prestazioni e dei benefici indirizzati alla famiglia. A.2. La scala di equivalenza dell’ISEE risente pesantemente dell’ideologia neomalthusiana contraria alla prole e, dunque, alla Costituzione (Art. 31). La scala di equivalenza dell’ISEE è particolarmente gravosa nei confronti delle famiglie numerose. E’ necessaria una modifica della Tabella relativa al Nuovo ISEE inserendo una maggiorazione significativa per ogni figlio a carico fino ai 26 anni: solo così i figli potranno essere considerati per quel che sono, persone. A.3 Mentre in diversi Paesi europei il riconoscimento per il mantenimento dei figli riguarda tutte le classi di reddito, in Italia varia in base alla soglia di reddito. L’introduzione della soglia di reddito, peraltro decisamente bassa, rivela la natura assistenziale dei provvedimenti e contradd ice il principio costituzionale universalistico dell’equità orizzontale. Va quindi introdotto un sistema fiscale basato non solo sull’equità verticale ma anche sull’equità orizzontale che, a parità di reddito percepito, tenga conto dei componenti il nucleo familiare. Significa non togliere al contribuente le risorse indispensabili al mantenimento di ciascun familiare, superando nel contempo i limiti del quoziente familiare francese. Si tratta dunque di introdurre un’area non tassabile, proporzionale alle necessità primarie della persona, necessità che non possono costituire “capacità contributiva” e quindi non possano essere tassabili (Art. 53 Costituzione). Si tratta di introdurre cioè il Fattore Famiglia: stabilito un livello minimo di reddito ad personam non tassabile, esso viene moltiplicato per un fattore proporzionale al carico familiare (utilizzando per esempio la scala di equivalenza ISEE formulata secondo la nostra proposta o utilizzando la soglia di povertà relativa calcolata annualmente dall’ISTAT). Superata tale soglia, si applicano alla parte restante del reddito familiare le aliquote progressive normalmente previste. Il Fattore Famiglia rappresenta uno strumento di facile applicazione, duttile e flessibile, chiave di volta per riequilibrare e risolvere la maggior parte delle iniquità fiscali e tributarie oggi esistenti. A.4. Appare urgente rivedere la soglia di reddito che definisce un figlio fiscalmente a carico, ferma da troppi anni (1986) al valore di € 2.841,00. E’ necessario innalzare immediatamente tale soglia almeno a quella di povertà relativa stabilità dall’ISTAT (circa € 594/mm/pp nel 2012). Ciò consentirebbe, peraltro, di ridurre il lavoro nero giovanile, fenomeno evidentemente sostenuto da una soglia ferma ad oltre 30 anni fa. A.5 Il rapporto tra prestazioni dell’Inps per gli assegni familiari e ammontare del PIL è passato dal 15,03% nel 1975 al 3% del 1994”. Nel 2012, tale rapporto è sceso allo 0,3% del PIL. L’ultimo aumento significativo di assegni familiari in Italia è stato realizzato dal Governo Prodi nel 2006. Si ricorda che da decenni l’importo incassato per gli assegni familiari dallo Stato è superiore del 40% in media rispetto a quello effettivamente erogato (la differenza viene deviata su altre voci di spesa, le più disparate). 4
  • 5. A.6. La recente riforma del sistema pensionistico ha elevato notevolmente l'età per l'accesso alla pensione anche alle lavoratrici. Tuttavia sarebbe profondamente iniquo e socialmente dannoso trattare allo stesso modo donne che non hanno avuto figli e donne che ne hanno avuti. La madre lavoratrice – specie se madre di più di un figlio – per dedicarsi alla cura della famiglia deve molto probabilmente rinunciare alla carriera, rimanendo quindi ai livelli più bassi di retribuzione; spesso è obbligata a ricorrere al part-time, con la conseguente decurtazione di stipendio e contributi previdenziali, o ad abbandonare il lavoro. Per ristabilire giustizia e dignità alla lavoratrici madri, occorre attribuire almeno tre anni di contributi figurativi per ogni figlio naturale o adottato. Si tratta di un provvedimento che sui conti pubblici impatta molto relativamente e soprattutto viene diluito nei prossimi decenni, pur mantenendo effetti immediati sulla vita di tante do nne, le quali vedranno riconosciuto il valore della maternità e dei sacrifici e delle rinunce che hanno dovuto affrontare. E’ inoltre un provvedimento che può essere attuato gradualmente, a partire da un certo numero di figli (per esempio 10) e decrescendo ogni anno di uno. - La coerente attuazione di questa politica a favore della famiglia costituisce a nostro avviso anche la condizione imprescindibile per corrispondere, con spirito costruttivo e rispetto di tutte le sensibilità, all'esigenza di tutelare secondo principi di ragionevolezza le varie forme di convivenza derivanti dal mutare del contesto sociale. Resta per noi inteso che i relativi provvedimenti devono essere assunti in base agli articoli 3 e 18 della Costituzione e non certo in base agli articoli 29 e 31 che definiscono in modo chiaro la famiglia, come ribadito del resto dalla stessa Corte Costituzionale. B) INCLUSIONE SOCIALE B.1. Talento lavoro: un reddito di sostegno per la riqualificazione professionale Creazione di una misura di contrasto alla povertà e all’esclusione che possiamo definire “Talento lavoro” (accanto ad altre misure come Social card, SIA, youth guarantee etc.). Il sostegno finanziario è erogato a fronte di adesione a un programma di formazione e impegno in attività socialmente utili: un patto sociale che non riguarda solo le generazioni giovani e i Neet, ma anche chi è uscito dal mercato del lavoro: una seconda chance, anche per chi esce dal mondo produttivo a 50 anni, senza possibilità, ma con responsabilità personali e familiari a carico. La misura può essere finanziata con Fondi europei. con lo scopo di reinserire attivamente soggetti in difficoltà. Dovrebbe includere un sostegno al reddito insieme ad un' altra somma da impiegare per formazione e/o tirocini con accompagnamento al lavoro, che le persone spendono presso Enti accreditati (Centri per l’impiego, agenzie per il lavoro, enti non profit). Un campo privilegiato potrebbe essere la qualificazione nel campo dei servizi museali e dei beni culturali. La struttura di assistenza tecnica potrebbe essere Italia lavoro, agenzia tecnica del Ministero del lavoro. B.2. Stabilizzazione lo strume nto del 5x1000, che dal 2006 in avanti ha visto ogni anno la riproposizione della sperimentazione, con oltre 16 milioni di contribuenti (circa i 2/3 del totale) che hanno apprezzato tale strumento di solidarietà fiscale. Una quota pari ai cinque per mille dell'imposta stessa liquidata dagli uffici sulla base delle dichiarazioni annuali è destinata in base alla scelta dei contribuente. La Corte dei conti nel dicembre 2013 ha criticato la mancata stabilizzazione, l’inefficienza e i ritardi del meccanismo. Chiediamo di stabilizzare il 5x1000 ed eliminare il tetto delle risorse destinate (nel 2013 pari a 400 milioni di euro). Lo strumento da utilizzare è un decreto legge, come nel caso del finanziamento ai partiti. 5
  • 6. B.3. Abolizione dell’IMU per gli Enti non profit Premesso che il non profit italiano ha sempre pagato la vecchia Ici quando le sue attività erano commerciali, il problema nasce adesso da una mancata comprensione dell'Europa verso il Terzo Settore italiano (appunto terzo tra Stato e Mercato) e dall'arretratezza del nostro Codice Civile e dei Governi Italiani , nel non difendere intelligentemente il patrimonio non profit presente così riccamente nel nostro Paese. Si chiede un adeguamento della normativa italiana primaria e regolamentare che consenta al Terzo Settore non profit italiano di non pagare l' IMU su immobili in suo possesso o in uso, destinati allo svolgimento di attività senza fini di lucro ( assistenziali, ricreative ,educative, ecc). Nell'ambito del riesame complessivo della materia, si richiede una revisione della normativa IMU in relazione agli enti non commerciali, affinché i medesimi siano tenuti al pagamento dell'IMU solo per gli immobili (o le porzioni di essi) effettivamente destinati ad attività commerciali. La mancata soluzione della problematica sulla nozione di “commercialità” rischia di nuocere all'iniziativa svolta dagli enti non profit e compromettere i benefici sociali prodotti dalle loro attività. In Italia parliamo di oltre 235.000 organizzazioni, un sistema che fornisce servizi di importanza vitale per tanti cittadini e cittadine: dalle mense sociali ai dormitori, dall’assistenza ai disabili alla cura degli anziani, dalla protezione civile alla difesa del patrimonio culturale, dalla promozione della pratica sportiva per tutti ai centri di aggregazione. B.4 Aiuti alime ntari agli indigenti, Si chiede che il Governo utilizzi i finanziamenti previsti dal Fondo di aiuti europei agli indigenti (FEAD), almeno i 35 milioni inizialmente previsti, per dare prosecuzione, senza soluzione di continuità, al programma di distribuzione di alimenti agli indigenti finora svolto da AGEA in concorso con le organizzazioni caritative. La chiusura di tale programma (attualmente finanziato solo con 10 milioni) sostituito solo dalla social card, comporterebbe lo smantellamento di una rete di aiuto svolta da 242 Enti caritativi Capofila, e alle oltre 15.000 strutture che hanno finora dato aiuto a 4 milioni di persone con 100.000 tonnellate di prodotti alimentari. Gli aiuti diretti offrono un altissimo grado di conversione in aiuto alimentare dei fondi erogati (94%), l’ottimizzazione dei processi distributivi grazie all’apporto di una rete nazionale che genera una sorta di inclusione sociale nazionale, la qualità dell’aiuto e la durata del sostegno. B.5 Credito di imposta per le coope rative sociali e le aziende che lavorano con i detenuti. E' noto che l'esperienza di lavoro che i detenuti svolgono durante il periodo di reclusione, in carcere o fuori dal carcere abbatte enormemente la possibilità di recidiva per il detenuto che esce poi dal carcere. Se la recidiva media in Italia e intorno al 70% nel caso di detenuti con esperienze lavorativa li recidiva scende intorno al 3%. Oggi il fenomeno dei detenuti che lavorano e' estremamente minoritario circa i detenuti presenti nelle carceri italiane. Il coinvolgimento delle aziende profit nell’inserimento dei detenuti va agevolato attraverso la progettazione e lo sviluppo di un percorso organico, dove le complessità e le problematiche del mondo carcerario siano a carico di un soggetto specifico che possiede il know how professionale e sociale idoneo a operare in maniera efficace, vale a dire le cooperative sociali e i loro consorzi. Esse tra l’altro sono le sole imprese in grado di garantire la continuità dell’inserimento lavorativo nel delicato passaggio tra il lavoro all’interno e quello all’esterno fino all’inserimento in imprese profit. Al fine di rendere più interessante l’investimento nel lavoro penitenziario per le imprese profit, si propone di introdurre un credito d’imposta per queste aziende in percentuale pari al 10% delle lavorazioni affidate a cooperative sociali, da svolgere con detenuti all’interno delle carceri. L’agevolazione andrebbe utilizzata dalle aziende non per realizzare utile ma per essere investita in innovazioni tecnologiche, ricerca scientifica, formazione e nuove attrezzature. 6
  • 7. Questa misura rappresenta un altro tentativo di incrementare le occasioni di lavoro per i detenuti, principale possibilità di rieducazione e reinserimento sociale, con benefici economici e sociali per tutta la collettività. B.6 Modifica alla legge 155/2006 sull' impresa sociale La legge 155 e relativi decreti attuativi e' di fatto, per le sue contraddizioni interne risultata inefficace e incapace di far crescere il numero delle imprese sociali in Italia (attualmente sono formalmente solo seicento). Occorre una modifica della normativa della legge 155, anche in linea con la stessa normativa europea, che permetta una adeguata diffusione della forma impresa sociale (un' impresa che produce utile ma reinveste in misura prevalente il suo utile nello scopo dell' impresa stessa senza remunerazione per i soci) anche in Italia. C) CITTADINANZA E COESIONE C.1. Approvazione proposta legge sulla cittadinanza C525 Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza (deputati Marazziti e Santerini). Mentre in termini simbolici parlare di “revisione della Bossi-Fini” può diventare materia di scontro (sarebbe opportuno nel linguaggio concentrarsi sulla revisione del “pacchetto sicurezza” che ha causato le maggiori distorsioni della “Bossi-Fini” e si è rivelato fallimentare – dall’indurimento dei tempi e delle condizioni di vita nei CIE in poi), introdurre la nuova legislazione sulla “cittadinanza” è un provvedimento che tocca direttamente un milione di nuovi italiani, largamente maturo nel tessuto sociale e, sulla base di una proposta di mediazione già “testata”, accettabile anche dal NCD. Per la revisione della “Bossi-Fini” può essere avviato un processo ambizioso, ma senza scadenza nell’anno, per una Conferenza nazionale sull’immigrazione, analoga a quella del 1990 precedente la Legge Martelli, in vista di una riscrittura radicale del Testo unico sull’Immigrazione e dell’intera normativa, carica di stratificazioni e norme attuative vecchie via via un quarto di secolo, fino al paradosso di una normativa che non considera la figura dell’immigrato “anziano”. Occorre un grande processo di consultazione e di partecipazione culturale e popolare per una nuova legge sull’immigrazione in Italia proiettata nel XXI secolo e nel nuovo scenario europeo e della globalizzazione. La legge intende rispondere alla domanda di cittadinanza italiana rivolta dalle cosiddette “seconde generazioni”: figli di immigrati, ma nati o vissuti in Italia nell’intero periodo della loro formazione linguistica e culturale. Il percorso di stabilizzazione degli immigrati, che ha caratterizzato gli ultimi 20 anni del nostro Paese, vede infatti la presenza di un milione di minori, di cui circa 400 mila nati in Italia. Il testo è caratterizzato da una posizione avanzata sul terreno del riconoscimento dei diritti, ma da una posizione mediana, non “ideologica”, che risponde anche a obiezioni di ambienti storicamente contrari alla concessione della cittadinanza su basi diverse dallo “ius sanguinis” (scambiato per “italianità” fino alle terze generazioni di emigrati all’estero che non hanno avuto contatto né con la lingua, né con la residenza, né con la cultura italiana). In sintesi: ius soli temperato e ius culturae come base del riconoscimento di cittadinanza, sottolineatura della capacità attrattiva dell’italianità e strumento di integrazione e coesione sociale. Questi minori attualmente possono acquistare la cittadinanza solo al raggiungimento della maggiore età e a condizione di avervi risieduto legalmente e senza interruzioni. Esiste, quindi, il rischio che 7
  • 8. un’intera generazione cresca restando straniera nel Paese che sente come proprio. In un mondo sempre più interconnesso, invece, lo sviluppo si fonda anche sulla valorizzazione del grande potenziale della risorsa per eccellenza, cioè il capitale umano raffinato nell’integrazione. L’iniziativa nasce, in sintesi, dalla consapevolezza della forte necessità per l’Italia di aprire una fase nuova in cui utilizzare tutte le forze presenti ai fini dello sviluppo. Con la proposta si vuole dare ingresso al principio dello ius soli temperato, prevedendo la cittadinanza per nascita da genitori già stabilmente soggiornanti; l’acquisizione della cittadinanza non sarà quindi automatica, ma potrà essere richiesta solo in presenza di un significativo legame sociale. E’ un principio condiviso da molte proposte di legge giacenti, sullo stesso tema. Variazioni possono riguardare la possibilità che il secondo genitore debba essere soggiornante in Italia da almeno un anno (superando l’argomento dell’”invasione” per diventare italiani). Ovvero la dilazione dell’erogazione del diritto al momento dell’iscrizione alla scuola elementare. La parte più significativa e innovativa rispetto agli altri progetti di legge esistenti riguarda invece le misure legate a quello che può essere definito ius culturae, per cui si prevede l’acquisto non tardivo della cittadinanza per i bambini e ragazzi nati all’estero, giunti in tenera età o nell’adolescenza in Italia, la cui formazione culturale avviene nel nostro Paese (frequenza e conclusione con esito positivo di un corso di studi). La cittadinanza viene quindi conseguita grazie al prolungato e positivo inserimento linguistico e culturale nella società italiana. E’ lo stile di vita, la cultura, la partecipazione ai modelli educativi dell’Italia che crea “italianità” e nuovi italiani. Il contrario del temuto percorso di perdita di identità nazionale. In linea con la storia di formazione dell’unità e identità nazionale, avvenuta non su base semplicemente linguistica o storica, ma “volontaristica” e culturale. Infine, viene modificato il testo vigente dell’articolo 9 della legge n. 91 del 1992, riconducendo ai più diffusi standard europei il periodo di stabile residenza in Italia richiesto per poter presentare la domanda di naturalizzazione da parte degli immigrati (tre anni per i cittadini europei, cinque per gli extra-europei). L’iniziativa può essere parlamentare e il percorso legislativo avviato dalla Camera dei deputati C.2) Servizio civile nazionale universale Il servizio di leva obbligatorio è stato abolito nel 2005, dopo 144 anni. Con la scuola elementare è stato un elemento cardine della formazione dell’unità e identità italiana. Un servizio civile universale delle leve giovanili, aperto anche a quanti, fuori dal tessuto formativo (Neet) e occupazionale, fino ai 30 anni vogliano cogliere – a titolo volontario – una “seconda chance”, può rappresentare, dopo decenni di frammentazione e percorsi centrifughi, una occasione di ricostruzione del tessuto sociale e culturale nazionale in chiave unitaria. Un servizio civile breve (sei mesi), con ritorni annuali di una settimana nei primi 5 anni e di due week end nei due decenni successivi, con piano di formazione, tirocinio in lavori socialmente utili e a vantaggio della comunità nazionale e delle comunità locali, e, al centro, la cultura del bene comune e del servizio alla comunità. Dal servizio civile si può ottenere rinvio per motivi di studio o dispensa per gravi motivi di famiglia. 8
  • 9. Il servizio civile stesso entra però a fare parte di una ridefinizione del welfare nazionale e del riequilibrio e manutenzione del territorio, con progetti a favore delle fasce deboli della popolazione, del patrimonio culturale e ambientale, e progetti formativi volti al recupero di parte della popolazione giovanile rimasta ai margini, all’interno di un patto formativo. In tal modo la misura di compensazione finanziaria acquista un valore di sostegno sociale non assistenziale e un volano di qualificazione e possibilità di inserimento sociale e professionale. Anche questa misura può essere parzialmente finanziata all’interno dei Fondi europei. Il progetto può essere avviato il primo anno in forma sperimentale come misure innovative nel quadro delle misure di Youth Guarantee, e il secondo anno in via generale. C.3.) Carcere: indulto e amnistia Accanto all’intera lista di provvedimenti indicati dal Presidente della Repubblica Napolitano, il nostro Gruppo è favorevole e propone di mettere allo studio in Parlamento un Disegno di legge praticabile di amnistia e indulto: affiancato e preceduto dall’intero arco di misure riformatrici del sistema carcerario e giudiziario volte a eliminare le storture, le lentezze che hanno favorito la superfetazione di carcerazioni non necessarie e il degrado dell’intero sistema de lle pene e della riabilitazione, provvedimenti di amnistia e indulto possono risultare determinanti per una definitiva riabilitazione del sistema. D) VALORIZZARE LE COMUNITÀ DEGLI ITALIANI ALL'ESTERO Rafforzare il senso di comunità nazionale significa anche non fare passi indietro nella valorizzazione delle nostre comunità che vivono all'estero. E' un nostro dovere morale verso questa componente di nostri connazionali ma è anche una opportunità per un'Italia che ha assoluto bisogno di farsi conoscere e apprezzare a livello globale e di capitalizzare la propria immagine positiva anche come leva di sviluppo economico. La presenza in Parlamento dei rappresentanti eletti all'estero deve per questo essere una occasione di impegno in più. In tale quadro, riteniamo anche necessario che il Governo, nel procedere alla necessaria riorganizzazione della spesa, non comprometta la continuità della preziosa rete degli Istituti Italiani di Cultura e dei Consolati collocati in realtà significative per presenza di comunità italiane e per rapporti di cooperazione con il nostro Paese. E) FORMAZIONE-SCUOLA-UNIVERSITA’ E.1. Uscita a 18 anni dal sistema formativo per contrastare la dispe rsione scolastica: operare il taglio di un anno per qualificare la secondaria superiore a parità di risorse (ridistribuzione e mobilità cattedre). Innovare le didattiche, prolungare e rendere flessibili gli orari, gestire l’orientamento. Creare un modello 4+1 in cui l’ultimo anno, libero, può essere utilizzato per iscriversi anticipatamente all’Università, per orientarsi a una formazione professionale superiore, verso l’apprendistato, il lavoro o il servizio civile. E.2. Rilanciare la formazione professionale L'annunciato vertice europeo sui temi del lavoro, che si terrà a Roma nella prossima primavera, potrà essere un’occasione utile per l'esame delle pratiche più efficaci di accompagnamento al lavoro dei giovani presenti nei vari Paesi. 9
  • 10. In questo senso proponiamo di introdurre in Italia un modello di formazione professionale ispirato al sistema duale in uso nella realtà tedesca. Ciò consentirebbe di valorizzare di più i talenti dei ragazzi, di avvicinare il mondo formativo a quello delle aziende e di restituire piena dignità sociale a questa opzione formativa sempre più essenziale per il successo del nostro sistema produttivo. E.3. Formazione obbligatoria degli insegnanti nel campo dei Bisogni educativi speciali. L’Italia è uno dei rari paesi europei a non prevedere l’obbligo di formazione per gli insegnanti. La sempre maggiore complessità delle classi chiede che nell’ambito dei programmi di formazione del personale docente e dirigenziale delle scuole di ogni ordine e grado, comprese le scuole dell'infanzia, sia assicurata un'adeguata preparazione riguardo alle problematiche relative all’inclusione scolastica degli alunni con bisogni educativi speciali (BES) quali disabilità, disturbi evolutivi specifici, alunni con svantaggio socio-culturale nonché alunni non italofoni. Questa formazione è finalizzata ad acquisire la competenza per la presa in carico e la gestione della classe “con differenze” e la conseguente capacità di applicare strategie didattiche, metodologiche e valutative adeguate. Si propone che gli insegnanti, nell’ambito dell’orario di servizio e non di insegnamento - partecipino ad almeno un corso di formazione non inferiore a 20 ore sugli aspetti della didattica dell’inclusione scolastica per classi con esigenze differenziate e della facilitazione per l’apprendimento della seconda lingua. E.4 Ricerca 10
  • 11. 2 – CENTRALITA’ DEL LAVORO Premessa - E’ necessario sostenere le imprese, che costituiscono la realtà principale per la creazione di lavoro dipendente e autonomo. A tal fine bisogna accelerare le riforme che facilitano sviluppo e producono investimenti:  Semplificazione burocratica  Riduzione dei costi dell’energia  Riforma della giustizia civile  Nuovi strumenti per la finanza d’impresa - Valorizzazione del marchio “Made in Italy”: Il nostro Paese è riconosciuto nel mondo per una grande ricchezza rappresentata dal nostro marchio di origine. Tuttavia alcuni pensano che con il MADE IN ITALY si identifichino dei settori ormai marginali e quindi non più interessanti per un paese che guarda al futuro. Il MADE in ITALY investe tutti quei settori che ruotano intorno all'esistenza stessa della persona, e del territorio (Turismo, Agroalimentare, Arredo/design, Moda, Gioielleria, Prodotti per la cura della persona, ecc.). Questi settori generano un indotto importante nel settore della meccanica, della ricerca e dei servizi, fondamentali per l'esistenza delle stesse imprese. Realizzare un piano nazionale per la realizzazione di Start-up di giovani (in partnership con Alta formazione e ricerca, Venture Capital, Istituzioni di finanza collettiva) che unifichi e promuova le risorse esistenti al fine di creare nuove imprese in settori specifici:  Ambiente  Beni culturali  Servizi alla persona  Agenda digitale - A questi settori si possono aggiungere quelli derivanti dalla riorganizzazione della Pubblica Amministrazione, per la quale serve un vero e prop rio piano industriale in base al quale - tra l'altro una serie di attività oggi gestite in ambito pubblico potrebbero essere affidate a nuove imprese promosse da giovani. Solo nel quadro di queste iniziative per lo sviluppo possono trovare efficacia le pur doverose – e da noi condivise – iniziative per la riforma delle regole del lavoro e per il suo alleggerimento fiscale. A) Nuove regole per il lavoro Il Lavoro è la priorità centrale da affrontare e risolvere, tenuto conto innanzitutto della disgregazione sociale e politica il cui alto livello di disoccupazione, se dovesse ancora permanere, può ulteriormente aggravare. Siamo favorevoli a innovazioni normative sul tema del lavoro, ma siamo convinti che non sia sufficiente cambiare le regole, ma rimette re in movimento il mercato con la creazione di lavoro. Siamo favorevoli alle norme sulla flessibilità e all’idea del contratto unico con una indicazione chiara: il lavoro flessibile va pagato in modo adeguato. La flessibilità diventa precarietà perché è pagata male. Per i più deboli le tutele (art. 18, sostegno) non esistono: vengono solo da una remunerazione più alta. In ogni caso nella formulazione delle riforme e delle nuove regole devono essere coinvolte le rappresentanze sindacali. 11
  • 12. B) Nuova fiscalità per il lavoro Avviare una serie di misure volte al graduale passaggio dalla tassazione dei redditi a quella dei capitali. L'abbattimento del cuneo fiscale sul lavoro può rilanciare l'occupazione e la competitività della produzione, ampliando di fatto la domanda interna, ormai ferma o addirittura in regressione da tempo. I minori costi per l'impresa e il maggior reddito disponibile per i lavoratori si ottengono attraverso un taglio significativo degli oneri sociali, non minore dei venti miliardi diluiti nei prossimi quattro o cinque anni, da programmare subito. La copertura finanziaria può essere trovata in una riduzione graduale dei trasferimenti pubblici alle imprese, mentre la parte analoga rimanente può essere reperita applicando le regole del sistema pensionistico contributivo. Così nel periodo medio- lungo l'intervento sul cuneo fiscale si autofinanzia. Nella transizione e nel breve tempo, se non si vuole prevedere il recupero delle risorse necessarie attraverso un maggiore disavanzo, è necessario pensare ad un'azione più incidente sulla spesa pubblica con la spending review e ad una rafforzata lotta all'evasione fiscale. Oltre, all'utilizzo dei miliardi di risparmio dovuti al calo dello spread, arrivato in questi giorni al di sotto dei 200 punti. 12
  • 13. 3 RIFORME ISTITUZIONALI E LEGGE ELETTORALE RIFORMA COSTITUZIONALE In punto di riforme istituzionali è da dire subito che, rispetto alla fase in cui è maturata la Relazione finale della Commissione sulle riforme istituzionali, c he rappresenta il testo di riferimento del dibattito corrente, vanno registrati alcuni elementi che hanno contribuito a mutare il quadro complessivo in cui collocare il discorso. In particolare vanno tenuti in considerazione: - - il mutamento della composizione del sistema politico, successivo alla pubblicazione della Relazione. Questo ha portato ad una modifica della maggioranza di governo, tale da rendere più difficoltoso l’impiego del procedimento aggravato ex art. 138 cost.; e dunque tale da rendere più difficoltoso ogni percorso di riforma; l’annuncio del 4 dicembre 2013 dell’Ufficio stampa della Corte costituzionale relativo alla imminente pubblicazione della sentenza di annullamento parziale della l. 270/2005; la conseguente modificazione dell’ordine d i priorità intercorrente tra riforma della legge elettorale e riforme istituzionali. Se, fino al 4 dicembre, intervento sul sistema elettorale e riforme costituzionali potevano essere concepiti unitariamente e andare di pari passo, l’annuncio della decis ione della Corte ha mutato l’orizzonte del dibattito sulle riforme, restringendolo, almeno a breve termine, alla riforma della legge elettorale. Nondimeno, anche se le proposte di riforma delle legge elettorale devono essere, al momento, concepite e avanzate a costituzione invariata, sembra bene ragionare di riforma della legge elettorale tenendo conto degli scenari relativi ad alcune questioni a questa strettamente connesse, quali sono quelle relative al superamento del bicameralismo paritario, alla riduzione del numero dei parlamentari e alla riforma del Titolo V (in rapporto alla ridefinizione del ruolo del Senato). Più chiaramente, se in questo momento la priorità deve essere accordata alle proposte in materia di riforma della legge elettorale, queste proposte non possono prescindere dalla elaborazione di una posizione – e di una proposta politica – con riferimento ai temi sopra indicati. Bicameralismo Dai lavori della Commissione emerge unanimemente una opinione a favore del superamento del bicameralismo perfetto caratteristico del nostro sistema istituzionale. Sicché non sembra che, da questo punto di vista, si dia spazio ad ipotesi alternative. Fatto salvo questo punto le opzioni aperte dalla Commissione si dividono. E le opzioni politiche possono grandemente differenziarsi. Da una parte si propone un bicameralismo differenziato, che tuttavia postula una accurata opera di progettazione delle competenze delle due Camere, ferma restando la scelta per cui al Senato dovrebbe spettare la rappresentanza dei territori e/o delle istituzioni locali e alla Camera le funzioni in punto di rapporto fiduciario ed indirizzo politico. Questa messa a punto delle 13
  • 14. competenze include altresì tutta una serie di scelte – assai delicate - in ordine al procedimento legislativo, che dovrebbe essere distinto tra leggi di competenza della Camera, leggi di competenza del Senato, leggi bicamerali; e in ordine al rapporto fiduciario con il Governo. Va osservato che su questo ultimo punto il testo della Relazione è estremamente generico e non dà indicazioni univoche in ordine all’esercizio della funzione di controllo e in ordine al voto di fiducia: non si chiarisce, cioè, se la questione di fiducia debba essere riservata ad una o entrambe le Camere. Il che condiziona, evidentemente, anche le scelte in punto di legislazione elettorale e di differenziazione dei sistemi di elezione. Alternativa a questa ipotesi è l’opzione per il monocameralismo e per la conseguente costituzionalizzazione ed allargamento del sistema delle Confere nze Stato-Regione, cui spetterebbe a) una funzione di rappresentanza degli interessi territoriali; b) di raccordo tra stato ed autonomie locali. Si tratta di una posizione che semplificherebbe in modo significativo il percorso delle riforme e che, tuttavia, dal punto di vista delle politiche istituzionali, potrebbe portare con sé anche effetti di criticità. Una posizione interlocutoria rispetto a questa alternativa può essere vista nella scelta di mantenere il Senato con una elezione di secondo livello, contestuale alla elezione dei consigli regionali. Riduzione numero dei parlamentari La questione della riduzione del numero dei parlamentari è stata affrontata dalla Commissione nella prospettiva del rapporto tra popolazione residente e numero dei parlamentari. La Relazione finale – partendo da un rapporto 1/125.00 definito conforme agli standard europei – propone un numero complessivo di 480 deputati e un numero di senatori oscillante tra i 150 e i 200 (partendo dal presupposto del mantenimento del sistema bicamerale). E’ evidente che la questione non può essere affrontata disgiuntamente da quella relativa al mantenimento o meno del bicameralismo perfetto attuale. Una soluzione alternativa, in caso di scelta per il modello monocamerale e per la costituzionalizzazione del sistema di conferenze , può essere quella di mantenere il numero attuale di deputati a compensare la diminuzione delle sedi di rappresentanza politica. Riforma del Titolo V E’ questo il settore più complesso e probabilmente più biso gnoso di sistemazione, vista la scarsa resa istituzionale della riforma approvata nel 2001 e l’aumentato livello di conflittualità nel rapporto stato-regioni. Qui i punti possono essere almeno quattro: a) revisione dell’elenco delle competenze legislative comprese nell’art. 117 cost. nel senso di una rispettiva semplificazione, eventualmente accompagnata da una eliminazione della potestà legislativa concorrente; 14
  • 15. b) introduzione di una clausola di flessibilità nella utilizzazione dell’elenco delle materie che possa tenere luogo della cd. ‘chiamata in sussidiarietà’ e che sia gestita dal Senato riformato o da un eventuale meccanismo di raccordo tra Stato e Regioni; c) introduzione di un sistema uniforme di contabilità regionale e di un centro unico di controllo preventivo sulla osservanza delle regole uniformi di contabilità. d) valorizzazione delle esperienze positive e responsabili maturate ne l campo autonomie differenziate e definizione di specifiche misure innovative volte a promuovere l’autogoverno delle aree montane. LEGGE ELETTORALE Premessa Ogni proposta sulla riforma della legge elettorale deve al momento partire da una serie di premesse di carattere strutturale e di carattere politico. Da un punto di vista strutturale: ogni proposta deve essere condotta a costituzione invariata: e cioè senza tenere conto, al momento, di quanto emerso nella Relazione finale della Commissione dei 35 in punto di riduzione del numero dei parlamentari e di bicameralismo perfetto; il discorso deve essere svolto sulla base delle indicazioni della Corte costituzionale, come emerse nel Comunicato Stampa del 4 dicembre 2013: incostituzionalità del premio di maggioranza (non si sa se in assoluto o in rapporto alla mancata indicazione di una soglia minima per l’attribuzione); necessità del voto di preferenza; garanzia di una rappresentanza di genere. Da un punto di vista politico: la nostra proposta vuole tener conto del contesto di approvazione e di applicazione della riforma. Vuole cioè tenere conto della effettiva aumentata complessità del sistema politico rispetto alla raffigurazione tradizionale del sistema italiano come sistema bipolare: calare una logica bipolare in un sistema politico imperniato su tre partiti sopra il 20% e su una serie variegata di formazioni dalla consistenza variabile rischia di forzare la situazione; di produrre distorsioni nel sistema rappresentativo foriere di tensioni future; di rendere irrealizzabile l’approvazione di una legge elettorale per il mancato concorso di forze politiche sacrificate; la nostra proposta vuole perseguire in modo chiaro gli obiettivi della riforma già evidenziati dal presidente Napolitano al momento della sua rielezione. E cioè a) rappresentatività del sistema politico complessivo e b) stabilità delle maggioranze di governo, tenendo anche conto che la Corte costituzionale è, in fondo, intervenuta sulla irrazionale composizione di queste due esigenze, sanzionando quel premio di maggioranza meccanico che era stato inserito nella l. 270/2005 al fine garantire la stabilità delle maggioranze. 15
  • 16. Sistema elettorale misto (proporzionale/maggioritario) Ciò detto, avendo riguardo a tutti questi elementi, sembra ragionevole orientarsi verso l’introduzione di un sistema elettorale misto, che combini elementi dei sistemi proporzionali e dei sistemi maggioritari, secondo una linea di tendenza affermatasi in Italia soprattutto a livello di elezioni locali (l. 81/1993) e di elezioni regionali (l. 43/1995). Nelle loro diverse varianti – ormai ampiamente sperimentate dai primi anni ‘90 – questi sistemi in genere riescono a soddisfare le esigenze di proiettività tipiche dei sistemi proporzionali con le esigenze di stabilità delle maggioranze di governo in modo sufficiente da poter essere presi in considerazione anche per le elezioni nazionali. Sistema elettorale a doppio turno. Prima fase In particolare, il sistema che si potrebbe proporre dovrebbe essere un sistema articolato in due turni. Al primo turno le diverse forze politiche si presenterebbero disgiuntamente agli elettori, i quali esprimerebbero un voto a favore di ogni lista concorrente a livello di circoscrizione, con introduzione di una doppia preferenza di genere (imposta dalla Corte costituzionale e dall’art. 51 cost.). Il metodo di elezione del singolo parlamentare dovrebbe essere imperniato sul meccanismo del quoziente circoscrizionale con recupero nazionale dei resti. Va da sé che le circoscrizioni dovrebbero avere carattere plurinominale e – tendenzialmente – dovrebbero essere ritagliate sulla dimensione provinciale e/o delle future città metropolitane e aree vaste. Il carattere fortemente proporzionale degli effetti di questo primo turno potrebbe essere temperato, alternativamente, dalla introduzione di una soglia di sbarramento – che si ipotizza attorno al 3% ovvero attraverso un intervento di modulazione della ampiezza dei collegi elettorali, tenendo presente che quanto più ristretto è il collegio, tanto più forte è l’attenuazione dell’effetto proiettivo del sistema. Illuminante in questo senso è l’esempio del sistema spagnolo, dove di fatto la compresenza di una soglia di sbarramento del 3% e di circoscrizioni molto ristrette rende inoperante, se non a livello formale, la soglia di sbarramento, la quale opera soltanto nelle due circoscrizioni più larghe (Madrid e Barcellona). Un primo turno di questo genere – che fondamentalmente mira a raccogliere e misurare il consenso delle diverse formazioni politiche – presenterebbe il doppio vantaggio di assicurare a tutte le liste una rappresentanza parlamentare (compatibilmente con quanto detto sopra) e di consentire ai partiti di misurare reciprocamente la propria consistenza in termini di seggi e rappresentanza parlamentare. A questo primo turno conseguirebbe l’assegnazione dell’85% dei seggi: e cioè, alla Camera, 535 seggi su 630 a costituzione invariata. Sistema elettorale a doppio turno. Seconda fase Con il secondo turno di votazioni, previsto entro due settimana successivo al primo, verrebbero attribuiti i restanti 95 seggi. Il lasso di tempo intercorrente tra il primo e secondo turno, particolarmente ampio, dovrebbe essere finalizzato a consentire ai partiti politici di elaborare alleanze e programmi da presentare agli elettori, affinché questi possano effettivamente scegliere la coalizione da premiare con l’attribuzione della quota residua a disposizione (15% dei seggi non assegnati). 16
  • 17. In questo secondo turno si presenterebbero dunque all’elettorato coalizioni di partiti che esplicitano il loro accordo, un programma comune e una comune lista di candidati (non superiore al numero dei seggi a disposizione: 95) e il cui capolista potrebbe essere – ma non è detto che necessariamente debba essere - il Presidente del Consiglio incaricato. (Si riprendono qui i contenuti della proposta Pasquino-Milani alla Commissione Bozzi del 1989). I candidati e le liste potrebbero presentarsi all’interno di un collegio unico nazionale, secondo uno schema simile a quello presente nella attuale l. 270/2005. Al Senato, stante la prescrizione dell’art. 57 cost., il premio di maggioranza potrà ess ere attribuito alla coalizione più votata sul piano nazionale, ma ripartito su base regionale in rapporto ai voti raccolti nelle singole regioni (secondo uno schema già presente nella proposta di legge n. 1116 Nicoletti ed altri, Camera, XVII legislatura). Allo stesso modo la prescrizione di cui all’art. 51 cost. potrà essere rispettata attraverso l’introduzione di una riserva nella composizione delle liste di coalizione. Va da sé che la presenza al secondo turno deve essere garantita anche alle forze po litiche che decidano di non apparentarsi in coalizioni e decidano comunque di concorrere da sole per il premio di maggioranza. Si dà comunque per scontato che le forze politiche uscite prevalenti al primo turno siano incentivate a coalizzarsi e a stringere apparentamenti nella prospettiva di andare in sovrarappresentazione rispetto agli esiti del primo turno con l’acquisizione del restante 15%. Considerazioni conclusive. Un sistema di questo genere, che può essere visto come una variante dello schema del doppio turno di coalizione, presenterebbe alcuni evidenti vantaggi. Innanzi tutto la formazione in modo ragionevolmente trasparente di coalizioni di governo che si presentano congiuntamente agli elettori e congiuntamente si impegnano a governare per la d urata della legislatura. In questo modo l’elettore sceglierebbe nel primo turno una lista cui conferire una autonoma forza rappresentativa e nel secondo turno una coalizione precisa, dotata dal premio di maggioranza dei numeri sufficienti ad esprimere un governo. L’elettore sceglie, in altre parole, chi debba governare, con quali alleati e con quali programmi nell’ambito della offerta politica che il sistema dei partito è stato in grado di elaborare. E, qualora si voglia accogliere questa soluzione, l’elettore esprime al secondo turno anche una indicazione sul nome del Presidente del Consiglio. In secondo luogo, pur operando nel secondo turno con una logica maggioritaria, il sistema resta proporzionale quanto alla capacità di convogliare all’interno del sistema rappresentativo partiti e formazioni politiche minori, preservandone l’identità tanto nel momento pre-elettorale, quanto in sede di formazione dell’accordo di governo. Per contro la trasparenza della fase di formazione dell’accordo di governo – e la conseguente pubblicità degli impegni - segna – compatibilmente con l’art. 67 cost. - un motivo per le formazioni minori a restare all’interno della coalizione di governo, posto che la rottura dell’accordo costituirebbe una sconfessione degli impegni assunt i durante l’intervallo di tempo intercorrente tra il primo e il secondo turno. Che sarebbe plausibilmente sanzionata dagli elettori nella successiva tornata elettorale. In terzo luogo, il riconoscimento della necessità di accordi di coalizione implicito nella proposta vale ad evitare che, dalla conservazione della logica maggioritaria, esca un governo appiattito sulla 17
  • 18. linea programmatica di un singolo partito, con pregiudizio della diversità di posizioni presenti all’interno del sistema rappresentativo. E dunque in contrasto con la attuale struttura del sistema politico. In quarto luogo un sistema del genere – soprattutto se accompagnato dalla reintroduzione del voto di preferenza che probabilmente sarà imposta dalla Corte costituzionale – impone un modo diverso dal recente passato di concepire il ruolo e l’azione dei partiti politici, costringendo i partiti ad un rapporto più stretto con le circoscrizioni e con il territorio. 18
  • 19. 4. RIFORMA ORGANICA DELLE AUTORITÀ INDIPENDENTI Premessa Sono note le ragioni storiche, giuridiche e teorico-economiche a sostegno dell’istituzione e del mantenimento di autorità amministrative indipendenti; senza pretesa di completezza, vanno ricordate: 1. Esigenza di vigilanza sul funzionamento dei mercati; 2. Esigenza di regolazione tecnica di taluni mercati allo scopo di correggere i fallimenti di mercato e favorire lo sviluppo della concorrenza; 3. Esigenza di attuazione dei vincoli dettati dall’ordinamento comunitario. Sono parimenti note le ragioni per le quali in Italia si propo ne da tempo una riforma organica delle Autorità Indipendenti nella prospettiva di una razionalizzazione dell’intera materia; va ricordato, tra l’altro: 1. Mancanza di un disegno istituzionale sistematico ed eccessiva frammentazione del quadro normativo di riferimento; 2. Disomogeneità di modelli organizzativi e funzionali e mancanza di una disciplina organica di competenze, funzioni, procedure e modalità operative; 3. Sovrapposizioni tra aree di intervento e possibili conflitti di attribuzioni; 4. Proliferare di autorità settoriali e/o di enti assimilabili istituiti anche sulla scorta di singole emergenze; 5. Incertezza in merito alle procedure operative e agli strumenti di tutela dei privati, nonché in generale inefficienza dei meccanismi di vigilanza e/o regolazione. Negli ultimi sette anni si contano almeno tre disegni di legge e/o proposte legislative aventi ad oggetto la riforma delle Autorità Indipendenti, nessuno dei quali è tuttavia giunto a risultati concreti ed apprezzabili. Con il presente documento si intende sottoporre alcuni suggerimenti che, a mio avviso, senza pretesa di novità, potrebbero costituire un concreto contributo al superamento di talune criticità evidenziate ai precedenti punti. >< (1) Riparto funzionale : si evidenzia l’opportunità di un riordino delle competenze che comporti: (a) l’acquisizione da parte dell’AGCM delle competenze di tutela della concorrenza su tutti i mercati, compreso quello bancario, nonché delle competenze di applicazione delle norme antimonopolistiche “settoriali” (comprese quelle a tutela anche del pluralismo dell’informazione); obiettivo, il primo, parzialmente conseguito già a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 262 del 28 dicembre 2005 (legge sul risparmio); (b) il completamento delle funzioni di vigilanza a fini di stabilità in capo a Banca d’Italia, estese anche alle compagnie di assicurazione ed agli altri intermediari finanziari in generale; 19
  • 20. (c) il consolidamento della funzione di controllo di trasparenza sull’intero comparto dei mercati finanziari in senso lato, affidato alla Consob, comprendendovi sia le assicurazioni che i fondi pensione, con l’ulteriore conseguenza della soppressione dell’IVASS e l’eliminazione delle disomogeneità delle regole di comportamento e di trasparenza nel collocamento di tutti i prodotti finanziari, a prescindere dalla natura dell’emittente o dell’intermediario (con evidente riferimento alle banche e alle assicurazioni); (d) l’accorpamento delle funzioni delle Autorità nei settori delle telecomunicazioni e dell’energia in un’unica autorità, cui attribuire in generale i compiti di regolazione dei servizi a rete e delle utilities. (2) Quanto agli aspetti di governance delle Autorità , si evidenziano i seguenti profili: (a) il mantenimento della nomina governativa dei commissari, sottoposta però al consenso vincolante dei due terzi di un’apposita commissione parlamentare competente, e temperata con una disciplina più rigorosa dei requisiti di nomina (in particolare, regole di incompatibilità per un determinato numero di anni per membri del Governo e Parlamentari, ad evitare improprie commistioni tra carriere politiche e tecniche o il loro artificioso prolungamento) o divieto del passaggio da un’Autorità all’altra. In alternativa, una soluzione che consenta, almeno per una parte dei commissari, l’ascesa dei quadri interni ai vertici dell’Autorità, favorendo la formazione di corpi burocratici più stabili ed evitando il frequente passaggio al settore privato delle figure apicali delle varie Autorità di controllo; (b) sul piano della c.d. accountability, insieme alla valorizzazione della trasparenza e dell’apertura delle procedure decisionali, l’opportunità di un’analisi di impatto della regolamentazione (spesso inapplicata e, quando effettuata, priva di tempi certi) e del c.d. regulatory management (in particolare, vincolando le Autorità a predeterminare obiettivi e criteri dell’intervento regolativo e ad osservare termini di consultazione sufficienti ad un’effettiva allegazione di dati e documenti); (c) sul piano dei rapporti con gli organi di indirizzo politico, la necessità di contemperare forme di accountability nei confronti di Governo e Parlamento – senza dubbio necessarie – e l’esigenza di evitare ingerenze sui singoli atti regolativi, a cominciare da quelli tariffari e respingere il presunto e pervasivo primato della politica, in quanto è forte la tentazione di assoggettare le Autorità a penetranti indirizzi e interventi politici. Per questa ragione, era segnalata l’opportunità di abrogare le norme della più recente legislazione che prevedono una puntuale conformazione dell’attività regolativa e addirittura l’esercizio di poteri governativi di sostituzione; (d) sul problema dell’autofinanziamento delle Autorità, l’individuazione di meccanismi atti a garantire la certezza delle risorse necessarie alla funzionalità degli enti e, allo stesso tempo, ad assicurare l’equità dei meccanismi di prelievo, anche consentendo alle imprese regolate un effettivo controllo circa la buona gestione economico-finanziaria delle Autorità. (3) Quanto alla tutela giurisdizionale e alla trasparenza, ci si limita a riprendere talune considerazioni generalissime, quali: 20
  • 21. (a) l’esclusione di una configurazione delle Autorità come giudici speciali e l’esigenza di mantenere il controllo giurisdizionale sugli atti delle Autorità; (b) l’opportunità di incidere sulla disciplina della legittimazione ad agire e delle spese del processo, consentendo forme efficaci di tutela giurisdizionale collettiva inibitoria e risarcitoria nei confronti dei responsabili di comportamenti abusivi soggetti al controllo delle Autorità Indipendenti, al fine di conseguire l’obiettivo di coadiuvare l’attuazione concreta della volontà della legge da parte delle Autorità Indipendenti, oltre che con la cooperazione e la sistematica consultazione dei soggetti regolati, anche con poteri di iniziativa delle parti interessate, sub specie di poteri di accesso ai procedimenti presso tali Autorità, e la concreta possibilità di avvalersi della tutela giurisdizionale presso l’autorità giudiziaria. Infatti, solo la convergenza dell’iniziativa pubblica e di quella privata assicura la deterrenza dei comportamenti illeciti dei detentori di poteri privati. In mancanza, difficilmente le sanzioni imposte dalle Autorità possono impedire che per tali soggetti violare la legge risulti comunque economicamente conveniente (posto che la eventuale tutela penale appare, a sua volta, sprovvista di effettività nei confronti di chi sia munito delle risorse idonee a sfruttare l’immenso repertorio di garanzie offerto dalla disciplina del processo penale configuratasi nel corso degli ultimi anni, e fintanto che non si sia provveduto alle riforme prospettate sopra). *** Le proposte normative del presente documento sono coordinate tra loro, per cui dovrebbero essere assunte e modificate nel loro complesso e contemporaneamente per evitare contrasti tra gli effetti che si verrebbero a generare se non armonizzate. Con il presente documento si intende sottoporre alcuni suggerimenti che, senza pretesa di novità, potrebbero costituire un concreto contributo al superamento di talune criticità evidenziate ai precedenti punti. (4) Riparto funzionale : si evidenzia l’opportunità di un riordino delle competenze che comporti: (a) l’acquisizione da parte dell’AGCM delle competenze di tutela della concorrenza su tutti i mercati, compreso quello bancario, nonché delle competenze di applicazione delle norme antimonopolistiche “settoriali” (comprese quelle a tutela anche del pluralismo dell’informazione); obiettivo, il primo, parzialmente conseguito già a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 262 del 28 dicembre 2005 (legge sul risparmio); (b) il completamento delle funzioni di vigilanza a fini di stabilità in capo a Banca d’Italia, estese anche alle compagnie di assicurazione ed agli altri intermediari finanziari in generale; (c) il consolidamento della funzione di controllo di trasparenza sull’intero comparto dei mercati finanziari in senso lato, affidato alla Consob, comprendendovi sia le assicurazioni che i fondi pensione, con l’ulteriore conseguenza della soppressione dell’IVASS e l’eliminazione delle disomogeneità delle regole di comportamento e di trasparenza nel collocamento di tutti i prodotti finanziari, a prescindere dalla natura dell’emittente o dell’intermediario (con evidente riferimento alle banche e alle assicurazioni); 21
  • 22. (d) l’accorpamento delle funzioni delle Autorità nei settori delle telecomunicazioni e dell’energia in un’unica autorità, cui attribuire in generale i compiti di regolazione dei servizi a rete e delle utilities. (5) Quanto agli aspetti di governance delle Autorità , si evidenziano i seguenti profili: (a) il mantenimento della nomina governativa dei commissari, sottoposta però al consenso vincolante dei due terzi di un’apposita commissione parlamentare competente, e temperata con una disciplina più rigorosa dei requisiti di nomina (in particolare, regole di incompatibilità per un determinato numero di anni per membri del Governo e Parlamentari, ad evitare improprie commistioni tra carriere politiche e tecniche o il loro art ificioso prolungamento) o divieto del passaggio da un’Autorità all’altra. In alternativa, una soluzione che consenta, almeno per una parte dei commissari, l’ascesa dei quadri interni ai vertici dell’Autorità, favorendo la formazione di corpi burocratici più stabili ed evitando il frequente passaggio al settore privato delle figure apicali delle varie Autorità di controllo; (b) sul piano della c.d. accountability, insieme alla valorizzazione della trasparenza e dell’apertura delle procedure decisionali, l’opportunità di un’analisi di impatto della regolamentazione (spesso inapplicata e, quando effettuata, priva di tempi certi) e del c.d. regulatory management (in particolare, vincolando le Autorità a predeterminare obiettivi e criteri dell’intervento regolativo e ad osservare termini di consultazione sufficienti ad un’effettiva allegazione di dati e documenti); (c) sul piano dei rapporti con gli organi di indirizzo politico, la necessità di contemperare forme di accountability nei confronti di Governo e Parlamento – senza dubbio necessarie – e l’esigenza di evitare ingerenze sui singoli atti regolativi, a cominciare da quelli tariffari e respingere il presunto e pervasivo primato della politica, in quanto è forte la tentazione di assoggettare le Autorità a penetranti indirizzi e interventi politici. Per questa ragione, era segnalata l’opportunità di abrogare le norme della più recente legislazione che prevedono una puntuale conformazione dell’attività regolativa e addirittura l’esercizio di poteri governativi di sostituzione; (d) sul problema dell’autofinanziamento delle Autorità, l’individuazione di meccanismi atti a garantire la certezza delle risorse necessarie alla funzionalità degli enti e, allo stesso tempo, ad assicurare l’equità dei meccanismi di prelievo, anche consentendo alle imprese regolate un effettivo controllo circa la buona gestione economico-finanziaria delle Autorità. (6) Quanto alla tutela giurisdizionale e alla trasparenza, ci si limita a riprendere talune considerazioni generalissime, quali: (a) l’esclusione di una configurazione delle Autorità come giudici speciali e l’esigenza di mantenere il controllo giurisdizionale sugli atti delle Autorità; (b) l’opportunità di incidere sulla disciplina della legittimazione ad agire e delle spese del processo, consentendo forme efficaci di tutela giurisdizionale collettiva inibitoria e risarcitoria nei 22
  • 23. confronti dei responsabili di comportamenti abusivi soggetti al controllo delle Autorità Indipendenti, al fine di conseguire l’obiettivo di coadiuvare l’attuazione concreta della volontà della legge da parte delle Autorità Indipendenti, oltre che con la cooperazione e la sistematica consultazione dei soggetti regolati, anche con poteri di iniziativa delle parti interessate, sub specie di poteri di accesso ai procedimenti presso tali Autorità, e la concreta possibilità di avvalersi della tutela giurisdizionale presso l’autorità giudiziaria. Infatti, solo la convergenza dell’iniziativa pubblica e di quella privata assicura la deterrenza dei comportamenti illeciti dei detentori di poteri privati. In mancanza, difficilmente le sanzioni imposte dalle Autorità possono impedire che per tali soggetti violare la legge risulti comunque economicamente conveniente (posto che la eventuale tutela penale appare, a sua volta, sprovvista di effettività nei confronti di chi sia munito delle risorse idonee a sfruttare l’immenso repertorio di garanzie offerto dalla disciplina del processo penale configuratasi nel corso degli ultimi anni, e fintanto che non si sia provveduto alle riforme prospettate sopra). 23
  • 24. 5. ECONOMIA DEL MARE Attualmente è in discussione al Senato la riforma della 84/94. Si tratta di un forte passo avanti per risolvere diversi problemi che non consentono ai porti italiani di essere competitivi nei confronti del sistema portuale europeo e mondiale. Ed è essenziale che la riforma sia trasformata in legge nel più breve tempo possibile. Accanto alla riforma normativa, debbono essere sviluppate vere e proprie cabine di regia (a) per snellire l’amministrazione nei porti, e accelerare gli adempimenti burocratici e doganali in particolare, e (b) per far confluire investimenti adeguati nei collegamenti tra sistema portuale e infrastrutture terrestri (strada e ferrovia). In parallelo, è tuttavia necessario immaginare soluzioni più coraggiose che proponiamo al Governo quali: 1.Un significativo accorpamento di diverse Autorità portuali secondo criteri basati (a) sul raggiungimento di livelli di traffico ben più elevati di quanto attualmente previsto dalla legge, e/o (b) sull’unificazione in un unico soggetto di Autorità minori c he si trovano su un medesimo mercato/ambito territoriale, e/o (c) sulla loro coincidenza coi porti TEN-T. L'accorpamento, oltre a determinare un risparmio di costi, consentirebbe di sviluppare sinergie e facilitare la creazione di sistemi portuali coordinati, in modo da evitare forme di “competizione programmatoria”, dannose per le imprese e per l’economia portuale. 2.Una decisa accelerazione nel senso di una maggiore autonomia finanziaria delle Autorità portuali, per consentire loro di poter beneficiare di una cifra intorno al 5% del gettito tributario generato dai porti. In alternativa, e in uno scenario del tutto nuovo, idoneo a superare anche il tema dell’autonomia finanziaria, si potrebbe immaginare invece la trasformazione delle Autorità Portuali in società per azioni, e la loro patrimonializzazione mediante le aree demaniali, adeguatamente valorizzate e conferite in tali società. Queste nuove società per azioni, inizialmente statali al 100%, potrebbero poi aprirsi a investitori privati, restando per il resto soggette alla regolazione delle competenti Autorità (in primis, quella marittima e la neocostituita autor ità dei trasporti), che garantirebbero l’utilizzo pubblico dei porti e l’accesso ai relativi mercati nell’interesse pubblico e dell’economia nazionale. 24
  • 25. 6. COMPARTO DIFESA E SICUREZZA La lotta all’evasione fiscale e la sicurezza sono presupposto indisp ensabile per lo sviluppo reale del Paese. Queste misure creando lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione creano direttamente sviluppo delle imprese e quindi lavoro. - Valorizzazione della specificità del Comparto Difesa e Sicurezza da sviluppare nei vari settori: - Stipendiale: sblocco degli automatismi stipendiali per il 2014 come per gli insegnanti (usufruendo ove necessario di norme vigenti per prelievo risorse per fondo una tantum da Fondo unico giustizia e risparmi missioni). - Previdenziale: apertura tavolo negoziale sulla previdenza (generale e per quella complementare) - Normativo: esterno. Apertura tavolo negoziale di concertazione normativa Interno: apertura tavolo per decreti correttivi a decreti di revisione - Welfare: piano alloggiativo. (negozi o generi tax free; buoni benzina) - Diritti: Riforma rappresentanza militare 25