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 NUOVO DIRITTO SOCIETARIO E RESPONSABILITÀ DEL CONSIGLIO
     DI AMMINISTRAZIONE E DEL COLLEGIO SINDACALE


                                    (PROF. AVV. GIOVANNI DORIA)

 Relazione per il convegno organizzato da AEC Broker su “Responsabilità Civili e Penali
   degli Organi di Amministrazione e di Controllo nella Riforma del Diritto Societario”
                      Roma, Auditorium-Parco della Musica 12 Marzo 2004


Cercherò di delineare, nel tempo assegnatomi, le principali novità apportate dalla riforma del
diritto societario alla disciplina della responsabilità degli amministratori e dei sindaci nelle
società di capitali, per modo da delineare, complessivamente – sia pure in sintesi –, i profili
essenziali della responsabilità degli organi di gestione e di controllo nell’ambito del modello
c.d. tradizionale di amministrazione e controllo, essendo già stati egregiamente illustrati
dall’amico Daniele Santosuosso le nuove forme di responsabilità gestorie e di controllo relative
ai modelli alternativi (il sistema c.d. monistico e quello c.d. dualistico) di amministrazione e
controllo.


      Il modello c.d. tradizionale di amministrazione e controllo – che trova applicazione in
assenza di una diversa e specifica previsione statutaria con la quale si sia optato per uno dei due
diversi modelli alternativi – si basa, come è noto, sulla presenza di un consiglio di
amministrazione – o di un amministratore unico – e del collegio sindacale, al quale è stata
oramai sottratta la funzione del controllo contabile (con l’eccezione delle società che non fanno
ricorso al mercato del capitale di rischio e che non sono tenute alla redazione del bilancio
consolidato); funzione attribuita, ormai, per tutte le società per azioni, ad un organo esterno che
è il revisore.



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   avv. Massimo Petroni, avv. Maria Grazia Rulli, avv. Stefano Bartoli, avv. Giorgia Lorusso Caputi, avv. Alessia Tanasi
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     Nell’ambito del richiamato modello tradizionale di amministrazione e controllo, la
riforma ha realizzato una estensione (anche attraverso una puntualizzazione) dei compiti del


consiglio di amministrazione e del collegio sindacale, e, conseguentemente, una estensione del
sistema della responsabilità degli amministratori e dei sindaci.




Il sistema della responsabilità degli amministratori si articola in tre diversi tipi (o, se si vuole,
forme) di responsabilità: responsabilità nei confronti della società (artt. 2392 e ss. c.c.);
responsabilità nei confronti dei creditori sociali (art. 2394 c.c.) e responsabilità nei confronti del
singolo socio o del terzo (art. 2395 c.c.).




L’art. 2392 c.c. delineava, nella previgente disciplina, e delinea ancora oggi, a seguito della
riforma, la responsabilità degli amministratori nei confronti della società. Secondo la
formulazione dell’art. 2392 c.c. anteriore alla riforma, gli amministratori dovevano
<<adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo con la diligenza del
mandatario, e sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti
dall’inosservanza di tali doveri, a meno che non si tratti di attribuzioni proprie del comitato
esecutivo o di uno o più amministratori>>.


Gli obblighi, nascenti dalla legge e dell’atto costitutivo, la cui inosservanza determina
l’insorgenza della responsabilità a carico degli amministratori, non sono (specie in questa sede)
identificabili analiticamente, non soltanto perché sono numerose le norme che, in tema di
amministrazione della società, impongono obblighi agli amministratori, ma anche perché, come
dispone lo stesso art. 2392 c.c., gli obblighi possono discendere dall’atto costitutivo e, dunque,
sono evidentemente variabili a seconda delle scelte compiute dalla compagine sociale. E’
possibile, piuttosto, ordinare i predetti obblighi per categorie e, dunque, pervenire ad una sorta


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di classificazione concettuale dei principali obblighi incombenti sugli amministratori, secondo
il seguente schema:




        a) obblighi di fare o non fare, scaturenti dalla legge o dall’atto costitutivo (per fare un
            esempio, il divieto di compiere operazioni estranee all’oggetto sociale);


        b) obbligo di conservare l’integrità del patrimonio sociale (da cui peraltro, come si
            vedrà, discende la responsabilità nei confronti dei creditori sociali);


        c) divieto di agire in conflitto d’interessi (ipotesi, questa, di particolare interesse, e
            modificata dalla riforma);


        d) divieto di compiere nuove operazioni dopo che si sia verificata una causa di
            scioglimento della società;


        e) obblighi nascenti da previsioni statutarie.


Tra gli obblighi previsti dalla legge a carico degli amministratori, specifico significato
assumeva il dovere imposto dal secondo comma dell’art. 2392 c.c. (nella sua precedente
formulazione) di esercitare la vigilanza <<sul generale andamento della gestione>> e di fare
quanto possibile per impedire il compimento di atti pregiudizievoli, dei quali fossero venuti a
conoscenza, o, quantomeno, per eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose. La predetta
disposizione imponeva, dunque, agli amministratori di tenere un comportamento avente
contenuto misto, perché rivolto a vigilare per intervenire, allo scopo di impedire atti
pregiudizievoli degli altri amministratori ovvero di elidere (o quantomeno ridurre) le
conseguenze dannose eventualmente già prodottesi. La richiamata disposizione, applicabile,
evidentemente, solamente nei casi in cui il consiglio di amministrazione avesse delegato alcune
proprie attribuzioni ad uno o più dei suoi membri, disponeva, pertanto, che tutti gli

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amministratori, nonostante la delega di funzioni, avendo il dovere di esercitare il controllo,
conservavano, per così dire, il dovere di impulso e di azione.




L’originaria formulazione dell’art. 2392 c.c., oltre a indicare gli obblighi dalla cui inosservanza
insorgeva responsabilità in capo agli amministratori nei confronti della società, precisava in che
modo gli amministratori dovevano adempiere ai predetti obblighi, con ciò stesso stabilendo
quando poteva affermarsi che gli amministratori non avessero ottemperato agli obblighi imposti
dalla legge o dall’atto costitutivo. L’art. 2392 c.c. prevedeva, infatti, che gli amministratori
dovevano <<adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo con la
diligenza del mandatario>>; e, prescindendo da ogni considerazione in ordine alla natura del
rapporto tra l’amministratore e la società, il richiamo, contenuto nell’art. 2392 c.c., alla
diligenza del mandatario aveva il significato di ricondurre la responsabilità degli amministratori
alle regole comuni dei rapporti obbligatori. La responsabilità degli amministratori, pertanto,
insorgeva ogni qual volta fosse dimostrabile che l’amministratore non avesse adempiuto agli
obblighi su di esso incombenti con la diligenza del buon padre di famiglia e, dunque, non
avesse utilizzato, nell’adempimento dei predetti obblighi, i comuni ed ordinari canoni di
ragionevolezza e di buon senso propri di un uomo attento e coscienzioso, provocando, per tal
modo, una perdita patrimoniale in capo alla società.




Le novità introdotte dalla riforma al sistema della responsabilità degli amministratori nei
confronti della società sono correlate, in estrema sintesi, a due aspetti essenziali. In primo
luogo, il legislatore della riforma ha proceduto a porre un diverso e più rigoroso criterio
attraverso il quale valutare se l’amministratore abbia o meno ottemperato agli obblighi imposti
dalla legge e dall’atto costitutivo. Al contempo, il medesimo legislatore ha proceduto, per così
dire, ad un “ampliamento qualitativo” degli obblighi nascenti dalla legge a carico degli
amministratori, mediante una estensione dell’attività degli amministratori operata dal


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legislatore della riforma anche attraverso una più puntuale e precisa indicazione dei compiti e
delle funzioni loro spettanti.


Iniziamo dall’esame del primo profilo.


L’attuale formulazione dell’art. 2392 c.c. non contiene più alcun richiamo alla diligenza del
mandatario quale criterio di valutazione dell’operato degli amministratori. Viene introdotto,
infatti, un diverso criterio, stabilendo: <<gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi
imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle
loro specifiche competenze>>. Il criterio della diligenza del mandatario risultava, infatti,
anacronistico se posto in correlazione alle mutate esigenze dell’economia moderna,
caratterizzata da società multinazionali, e alla necessità di ancorare la responsabilità
dell’organo di gestione non alla semplice diligenza dell’uomo ragionevole e di buon senso, ma
alla natura dell’attività in concreto esercitata.


Nella relazione illustrativa al decreto legislativo di riforma del diritto societario viene precisato
che, attraverso la mutata previsione legislativa, non si impone, di certo, agli amministratori una
conoscenza specifica in ambito finanziario, contabile e in ogni altro settore relativo all’attività
di gestione, ma piuttosto impone agli amministratori di compiere scelte <<informate e mediate,
basate sulle rispettive conoscenze e frutto di un rischio calcolato e non di irresponsabile e
negligente improvvisazione>>. La nuova formulazione dell’art. 2392 pone, dunque, una più
rigorosa valutazione della diligenza richiesta agli amministratori, che non è più quella del buon
padre di famiglia, ma è quella del buon amministratore dotato di un precisa professionalità, con
riferimento specifico alle funzioni da esso svolte nell’ambito della società, alla natura
dell’incarico e alle specifiche competenze svolte dagli amministratori.


L’ulteriore importante novità introdotta dal legislatore della riforma al sistema della
responsabilità degli amministratori nei confronti della società è stata operata (se si eccettua il
secondo comma, su cui spenderemo qualche parola) non attraverso una ulteriore modifica della

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lettera della legge, ma mediante una estensione degli obblighi nascenti dalla legge a carico
degli amministratori; estensione correlata a tre aspetti salienti della riforma, consistenti:
                 a)    nella previsione, anche se in via indiretta, della nozione di amministratore;




                 b)    in una più puntuale ripartizione dei compiti fra amministratori e assemblea
                       inerenti all’attività gestoria;
                 c)    in una compiuta definizione del rapporto tra amministratori deleganti e
                       amministratori delegati.


    Esaminiamo, singolarmente, i tre aspetti appena indicati, cercando di cogliere i relativi
riflessi sul piano della insorgenza di specifici obblighi in capo agli amministratori e, dunque, su
quello delle correlate responsabilità.


Il legislatore della riforma ha introdotto, per la prima volta nel nostro ordinamento, una vera e
propria norma definitoria del contenuto del rapporto di amministrazione della società,
fornendo, se pur indirettamente, una nozione di amministratore. L’art. 2380 bis c.c., al primo
comma, recita testualmente <<la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli
amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto
sociale>>: l’amministratore è, dunque, colui a cui spetta la gestione esclusiva della società
attraverso il compimento di tutte le operazioni occorrenti per l’attuazione dell’oggetto
sociale.


L’art. 2380 bis non ha una funzione meramente descrittiva, ma ha una sua precisa portata
precettiva: tra i doveri imposti agli amministratori, oltre agli altri derivanti dalla legge e dallo
statuto, fanno parte il compimento delle operazioni rientranti nell’attività compresa nell’oggetto
sociale, ed il compimento di tutte quelle altre operazioni, che pur estranee all’oggetto sociale,
siano comunque necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale medesimo. Si tratta, dunque, di

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un ampliamento dei compiti degli amministratori e, conseguentemente, della relativa sfera di
responsabilità.




Il legislatore della riforma ha, poi, proceduto, come avevo anticipato, a una più puntuale
ripartizione dei compiti fra amministratori e assemblea inerenti all’attività gestoria, al precipuo
scopo di separare, con maggiore precisione, le funzioni gestorie da quelle di supervisione; ed in
questa prospettiva, la riforma ha realizzato una estensione dei compiti e funzioni dell’organo
amministrativo, con l’ulteriore conseguente ampliamente della sfera di responsabilità degli
amministratori. Non è possibile, in questa sede, prendere in esame gli svariati aspetti attinenti
alla ripartizione di competenze tra amministratori ed assemblea come ridisegnata dalla riforma.
Per tutti, si consideri la nuova formulazione dell’art. 2364 c.c. disciplinante le attribuzioni
dell’assemblea ordinaria, dove, al punto n. 5, non si prevede più, come in passato, che gli
amministratori possano di propria iniziativa sottoporre all’esame dell’assemblea medesima la
discussione afferente ad atti gestori. A norma dell’art. 2364 n. 5 c.c. l’assemblea ordinaria
<<delibera (…) sulle autorizzazioni eventualmente richieste dallo statuto per il compimento di
atti degli amministratori, ferma restando in ogni caso la responsabilità di questi per gli atti
compiuti>>. Rispetto alla precedente formula dell’art. 2364 c.c. (secondo la quale l’assemblea
ordinaria poteva deliberare sugli atti attinenti alla gestione della società (…) sottoposti al suo
esame dagli amministratori), oggi è lo statuto ad indicare i casi in cui certe attività gestorie
debbano essere sottoposte all’assemblea, la quale, ove deliberi in senso favorevole, pone in
essere un atto che la legge qualifica come <<autorizzazione>>. Tale aspetto non ha una valenza
esclusivamente nominalistica, specie sul piano della responsabilità degli amministratori.
L’assemblea, infatti, si limita ad autorizzare e, dunque, non a far proprio un atto che è e
riamane proprio dell’organo di amministrazione; tant’è vero che l’art. 2364, al n. 5, precisa che
resta ferma, <<in ogni caso>>, la responsabilità degli amministratori per gli atti compiuti;
sicché l’organo gestorio non può andare esente da responsabilità anche ove abbia ricevuto
l’autorizzazione dell’assemblea a compiere quel determinato atto.

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Un punto saliente della riforma concerne, poi, il rapporto fra amministratori deleganti ed
amministratori delegati; rapporto che incide su specifici aspetti attinenti alla loro responsabilità.


La precedente formulazione dell’articolo 2392 c.c, come ho già avuto modo di accennare, era
tale da configurare a carico degli amministratori deleganti una responsabilità correlata alla
mancata ottemperanza al <<dovere di vigilare sul generale andamento della gestione>>.


Con la riforma, il dovere di vigilanza degli amministratori deleganti è stato espunto dalla
formulazione dell’art. 2392, secondo comma, e sostituito da altri e più stringenti obblighi
imposti agli amministratori deleganti e delegati, secondo quanto emerge dal comb. disp. degli
artt. 2381 e 2392 c.c., che danno, indubbiamente, maggiore concretezza alla responsabilità
degli amministratori. Ed infatti, secondo la formulazione del quinto comma dell’art. 2381, gli
amministratori delegati devono riferire al consiglio di amministrazione con periodicità di
almeno 180 giorni, circa il generale andamento della gestione e le operazioni di maggior
rilievo; con la conseguenza che ogni profilo di responsabilità degli amministratori deleganti
dovrà essere valutato con riguardo alla misura ed alla natura delle informazioni ricevute ed
acquisite da parte degli amministratori delegati, e non alla stregua del generico criterio del
dovere di vigilanza.


La riforma del diritto societario, oltre ad aver comportato un ampliamento (appena esaminato)
dei compiti imposti agli amministratori, ha modificato, integrandoli, altri obblighi di fonte
legale, previsti nella normativa ante riforma, la cui inosservanza provoca la responsabilità degli
amministratori. Non è certo questa la sede per esaminare integralmente tali modifiche; mi
limiterò, pertanto, ad esaminare un aspetto di particolare interesse inerente all’obbligo degli
amministratori di perseguire l’interesse della società nell’esercizio dell’attività gestoria.




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Il legislatore della riforma ha inteso, infatti, dettare una disciplina organica e particolarmente
rigorosa dei doveri di fedeltà che l’amministratore, quale gestore di un patrimonio altrui, ha nei
confronti della società. E’ stato, infatti, espunto dalla nuova formulazione dell’art. 2391 c.c. il
riferimento al conflitto di interessi – contemplato nella formulazione originaria dell’art. 2391 –




che è stato sostituito con la previsione degli <<interessi degli amministratori>>, ciò per
evidenziare che l’obbligo di informare (gravante sugli amministratori) il consiglio di
amministrazione ed il collegio sindacale non concerne più, soltanto, le ipotesi di interessi
dell’amministratore in conflitto con quelli della società, ma anche le ipotesi di interessi
dell’amministratore semplicemente coincidenti o compatibili, con conseguente estensione
dell’ambito di applicazione della normativa e, dunque, della responsabilità dell’amministratore,
che potrà essere chiamato a rispondere qualora agisca nell’interesse proprio se pur coincidente
con quello della società.


In tutti i casi in cui l’amministratore sia chiamato, per le ragioni appena indicate, a rispondere
dei danni arrecati alla società, la riforma ha “precisato”, rispetto alla precedente formulazione,
che il danno risarcibile non è limitato alle sole perdite, ma è ristorabile il danno nella sua
pienezza, considerando il danno emergente ed il lucro cessante.


Particolare interesse riveste, poi, la previsione contenuta nell’ultimo comma dell’art. 2391 c.c.,
dove si prevede che <<l’amministratore risponde (…) dei danni che siano derivati alla società
dalla utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di dati, notizie o opportunità di affari appresi
nell’esercizio del suo incarico>>. In questa prospettiva piene “irrobustito” l’obbligo di lealtà
verso la società, con conseguente configurabilità di responsabilità nel caso in cui
l’amministratore si sia appropriato o abbia permesso a terzi di appropriarsi di opportunità
commerciali che la società avrebbe legittimamente potuto sfruttare a proprio vantaggio. La
norma consente, peraltro, di ritenere l’amministratore responsabile dei danni derivanti alla
società dalla perdita di chance commerciali (si discute, in tali casi, di corporate opportunities).

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Nel campo di applicazione della richiamata previsione rientrano, inoltre, le ipotesi di danni
subiti da società non quotate e derivanti da insider trading; e ciò sulla base dell’esplicito
riferimento all’utilizzazione dei dati a vantaggio proprio. La società però, nel relativo giudizio
di responsabilità, oltre alla prova del danno, dovrà fornire l’ulteriore e non certo agevole prova


che i dati, le notizie o le opportunità d’affari sfruttati dall’amministratore siano stati appresi
nell’esercizio del suo incarico.




L’art. 2392 c.c., nella sua attuale formulazione, non presenta ulteriori “segni” di novità rispetto
alla formulazione originaria. Viene, pertanto, ribadita la regola della responsabilità solidale
degli amministratori, che si esplica sotto un duplice profilo: responsabilità solidale degli
amministratori fra loro e degli amministratori senza delega rispetto agli amministratori delegati.
Il criterio della solidarietà costituisce, indubbiamente, la chiave di volta della responsabilità
degli amministratori, in quanto esalta la collegialità della loro funzione e li vincola alla
reciproca sorveglianza, ampliando, poi, in sede esecutiva, la possibilità di ristoro dei danni da
essi arrecati grazie alla pluralità dei patrimoni personali soggetti all’azione esecutiva. L’art.
2392 ultimo comma c.c. prevede, inoltre, l’esonero dalla responsabilità per l’amministratore
immune      da    colpa.     La     responsabilità       solidale,      infatti,    non   opera     nei    confronti
dell’amministratore che abbia fatto annotare senza ritardo il proprio dissenso nel libro delle
adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione e ne abbia data tempestiva
notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale. Per evitare la responsabilità solidale non
risulta sufficiente che l’amministratore sia esente da colpa, se non abbia fatto quanto necessario
per rendere edotti gli organi sociali attraverso l’annotazione e la comunicazione scritta. La
previsione di un duplice requisito (assenza di colpa e adempimenti da curare) ai fini
dell’esonero da responsabilità dell’amministratore risulta perfettamente in linea con il criterio
di colpevolezza come base della responsabilità.




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La riforma del diritto societario non ha apportato particolari modifiche all’art. 2393 c.c.
disciplinante l’azione sociale di responsabilità. La disposizione appena citata, infatti, continua a
prevedere, al primo comma, che <<l’azione di responsabilità contro gli amministratori è


promossa in seguito a deliberazione dell’assemblea anche se la società è in liquidazione>>.
Occorre sottolineare, però, due importanti novità della riforma; novità legate da un lato
all’esigenza di precisare il termine di prescrizione dell’azione; dall’altro alla necessità di far
fronte a diffusi orientamenti giurisprudenziali che esponevano gli amministratori ad azioni di
responsabilità fondate su elementi estranei al dibattito assembleare. Il terzo comma dell’art.
2393 prevede, infatti, che l’azione sociale di responsabilità si prescrive entro 5 anni dalla data
di cessazione dell’amministratore dalla carica. Quanto all’ulteriore aspetto, il secondo comma
dell’art. 2393 c.c. prevede che la deliberazione dell’azione da parte dell’assemblea può essere
adottata in occasione dell’approvazione del bilancio, anche se non è posta all’ordine del giorno,
ma solo se afferente a <<fatti di competenza dell’esercizio cui si riferisce il bilancio>>.
Rispetto alla precedente disciplina, l’iscrizione all’ordine del giorno fra le materie da trattare
dell’azione di responsabilità degli amministratori si renderà necessaria non solo ove tale
delibera sia adottata al di fuori dell’approvazione del bilancio, ma anche quando, ricorrendo
quest’ultima ipotesi, la responsabilità degli amministratori sia riconducibile a fatti ed
inadempimenti relativi ad altri esercizi.


Il modello di responsabilità degli amministratori verso al società, delineato nella disciplina ante
riforma, lasciava sostanzialmente la maggioranza arbitra della tutela degli interessi della società
di fronte agli illeciti degli amministratori; ciò a tutto svantaggio dei soci di minoranza,
impotenti di fronte agli “abusi” del gruppo di comando. A questo riguardo, una delle principali
novità consiste nell’introduzione dell’art. 2393 bis, che attribuisce alla minoranza la
legittimazione attiva in ordine all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità, assicurando, in
tal modo, una tutela diretta e più incisiva dei soci di minoranza di fronte alle decisioni del
gruppo di comando. La riforma, quindi, configura un nuovo scenario in relazione all’esercizio

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dell’azione sociale di responsabilità, in quanto è stata estesa, a tutte le società per azioni,
l’azione sociale di responsabilità della minoranza dei soci, originariamente introdotta dall’art.
129 T.U.F. per le sole società quotate, purché esercitata da una minoranza sufficientemente
significativa secondo i criteri posti nell’art. 2393 bis. E’ bene chiarire che l’azione ex art. 2393


bis c.c. ha carattere surrogatorio; sicché, dal punto di vista strettamente processuale, condizione
necessaria ai fini dell’esperimento dell’azione è l’inerzia dell’assemblea. La società deve essere
chiamata in giudizio, mediante la notificazione dell’atto di citazione al presidente del collegio
sindacale; in questo modo l’organo di controllo della società viene messo a conoscenza della
configurabilità di una responsabilità in capo a uno o più amministratori, anche al fine
dell’adozione di opportuni procedimenti di controllo. I soci, che intendono promuovere
l’azione, devono nominare uno o più rappresentanti per l’esercizio dell’azione e per il
compimento degli atti necessari.


L’azione medesima è volta alla reintegrazione del patrimonio sociale e non al risarcimento dei
danni patiti dai singoli soci. Conseguentemente, ove la domanda risarcitoria venga accolta, la
società è tenuta a rimborsare i soci che hanno agito in giudizio, delle spese da questi sostenute,
che non siano state poste a carico degli amministratori soccombenti o che non sia possibile
recuperare mediante l’escussione dei patrimoni degli stessi. Ai soci è attribuita, inoltre, la
facoltà di rinunciare all’azione o transigerla con conseguente attribuzione alla società del
relativo corrispettivo, in quanto destinataria del danno.


Un ulteriore aspetto di notevole interesse attiene, evidentemente, ai profili del danno risarcibile.
Il codice civile non conteneva alcuna previsione specifica in ordine al danno risarcibile e la
riforma non ha apportato alcuna novità. E’ necessario, pertanto, far riferimento alla disciplina
generale sul risarcimento del danno contenuta nel libro quarto del codice civile, alla cui stregua
occorre, ai fini della configurabilità di una responsabilità in capo all’amministratore:
   -    l’inosservanza, dolosa o colposa, dei doveri imposti dalla legge o derivanti dallo statuto;
   -    un danno subito dalla società, consistente in una lesione del patrimonio sociale;

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    -   il nesso di causalità fra comportamento illecito e danno, di modo che questo si possa
        considerare conseguenza immediata e diretta della condotta illecita dell’amministratore.




L’onere della prova circa l’esistenza della lesione del patrimonio sociale e del nesso di causalità
tra condotta illecita e danno incombe, secondo le regole generali poste dal codice civile, su chi
agisce. Tuttavia, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, non occorrerebbe per
la società attrice fornirne la prova circa la sussistenza di un nesso di causalità.


La società che promuove l’azione di responsabilità, dovrà provare in giudizio, inoltre,
l’esistenza e la misura del danno di cui chiede il risarcimento. Sotto questo profilo, secondo
l’art. 1223 c.c., si individuano due voci:
        a) danno emergente e, cioè, perdita subita dalla società;
        b) lucro cessante e, cioè, mancato guadagno ritraibile.


La giurisprudenza ricorre, al riguardo, a talune presunzioni. Ed infatti, in sede di azione sociale
di responsabilità, la giurisprudenza ritiene che il danno risarcibile vada così quantificato:
        a) nel caso in cui la società sia caduta in stato di insolvenza, il danno consisterà nella
             differenza tra il passivo fallimentare e l’attivo realizzato nel corso del fallimento,
             con la vendita dei beni sociali;


        b) nel caso di scioglimento della società, il danno consisterà nel saldo negativo
             relativo alla gestione sociale dopo lo scioglimento della società;


        c) negli altri casi, la giurisprudenza fa ricorso, se pur sulla base di elementi contabili, a
             criteri presuntivi o equitativi.




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Veniamo, ora, ad esaminare l’ulteriore tipo di responsabilità degli amministratori: la
responsabilità nei confronti dei creditori sociali.




La riforma del diritto societario non ha apportato significative novità in questo ambito,
essendosi limitata ad espungere dall’attuale testo normativo il riferimento all’azione di
responsabilità nelle procedure concorsuali che è oggetto di una norma autonoma (art. 2394 bis).


A norma dell’articolo 2394 c.c <<gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per
l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio
sociale>>: in queste ipotesi, dunque, la responsabilità a carico degli amministratori si configura
allorquando si sia in presenza di un comportamento o di un omissione che abbia determinato
una riduzione del patrimonio sociale tale da renderlo insufficiente per il soddisfacimento delle
loro ragioni.


In realtà non è semplice tracciare una linea di demarcazione fra questa categoria di obblighi, da
cui discende la responsabilità nei confronti dei creditori sociali, e quelli la cui violazione
importa responsabilità verso la società. Certamente, gli amministratori sono responsabili a
norma dell’art. 2394 ove non rispettino le prescrizioni poste a tutela del patrimonio sociale e
dell’effettività del capitale sociale – come il divieto di distribuire dividendi se non per utili
realmente conseguiti. Non si può, però, ritenere che in tale ambito il legislatore abbia voluto
creare una categoria a sé stante di doveri, avente come esclusiva finalità la tutela dell’integrità
del patrimonio sociale, la cui violazione comporta l’insorgere della responsabilità degli
amministratori nei confronti dei soli creditori sociali. Gli obblighi inerenti alla conservazione
dell’integrità del patrimonio sociale rientrano, pertanto, anch’essi nell’ampio genus dei doveri
imposti dalla legge agli amministratori, la cui inosservanza importa responsabilità anche nei
confronti della società.

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La legge di riforma del diritto societario ha, peraltro, lasciato aperte due questioni in merito
all’azione di responsabilità esercitata dai creditori sociali; questioni relative:
    1) alla natura autonoma o surrogatoria dell’azione stessa rispetto all’azione sociale di
        responsabilità;


    2) alla natura contrattuale o extracontrattuale della responsabilità degli amministratori nei
        confronti dei creditori sociali.


La complessità di siffatte problematiche meriterebbe un esame approfondito che purtroppo non
può essere svolto in questa sede, soprattutto perché le conseguenze della diversa qualificazione
dell’azione di responsabilità proposta dai creditori sociali sono notevoli. Ed infatti, le principali
conseguenze a seconda che costituisca o meno azione surrogatoria riguardano:
    1.1 il risultato utile dell’azione (a beneficio della società nel caso di surrogatoria, a
        beneficio dei creditori nel caso di azione autonoma);
    1.2 opponibilità, da parte degli amministratori, delle eccezioni opponibili esclusivamente
    alla società.


Inoltre, a seconda che l’azione dei creditori abbia natura contrattuale o extracontrattuale,
diverso è l’onere della prova in merito alla sussistenza del requisito della colpa in capo agli
amministratori. Nel primo caso, come nell’azione sociale, la colpa è presunta; nel secondo caso
è chi agisce a dover fornire la relativa prova. Diversa sarà anche la misura del risarcimento che,
ove si tratti di un illecito di natura contrattuale, sarà limitato ai soli danni prevedibili (tranne il
caso di azione dolosa da parte dell’amministratore).




L’ulteriore tipo di responsabilità a carico degli amministratori è prevista dall’art. 2395 c.c. che
disciplina, anche in questo caso senza particolari novità apportate dalla riforma, l’azione di
responsabilità esercitata dal socio o dal terzo, direttamente danneggiati da fatti dolosi o colposi

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degli amministratori. Le azioni di responsabilità della società e dei creditori sociali, infatti,
<<non pregiudicano il diritto al risarcimento del danno spettante al singolo socio o al terzo
che sono stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori>>.




La riforma ha introdotto un secondo comma all’art. 2395, in cui viene contemplato il termine
quinquennale       di   prescrizione       dell’azione,        che     decorre      dal   compimento        dell’atto
pregiudizievole. Rimane inalterato il presupposto dell’azione, che è costituito dal compimento
da parte degli amministratori di un atto illecito che incida direttamente, provocando un danno,
sul patrimonio del singolo socio o del terzo. Anche per la questa forma di responsabilità è
controverso se abbia carattere contrattuale o extracontrattuale. La prevalente dottrina e
giurisprudenza ritengono che la responsabilità dell’amministratore nei confronti del singolo
socio o del terzo abbai carattere extracontrattuale. Ne consegue che spetta a chi agisce in
giudizio fornire la prova in ordine alla sussistenza del dolo o della colpa, all’esistenza di un
danno diretto e al nesso di casualità tra illecito e danno sofferto.


Dall’art. 2395 c.c. si deduce che questa forma di responsabilità riguarda solo i danni subiti dal
socio o dal terzo direttamente ricollegabili al comportamento illegittimo degli amministratori.
Al riguardo, la casistica ritraibile dall’analisi giurisprudenziale è piuttosto ampia:
             -    l’amministratore, che induce, mediante la redazione di un bilancio falso, il socio
                  o il terzo ad acquistare azioni poi risultate prive di valore;
             -    l’amministratore che dissimulando lo stato di dissesto della società, induca un
                  fornitore a contrattare con la stessa.


Se il danno provocato dagli amministratori incide esclusivamente sul patrimonio della società,
con effetti meramente riflessi e indiretti nella sfera giuridica del terzo o del socio (come la
perdita del valore delle azioni), potrà essere esperita esclusivamente l’azione sociale di
responsabilità, o ove ricorrano i presupposti, l’azione spettante ai creditori.

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Veniamo, infine, alle novità apportate dalla riforma in relazione alla responsabilità del collegio
sindacale, organo di controllo interno delle società per azioni, con funzioni di vigilanza
sull’amministrazione della società.




La disciplina ante riforma ha subito, al riguardo, profonde modifiche per garantire l’efficacia
della relativa attività di vigilanza. In effetti, l’originaria struttura di tale organo risultava
eccessivamente rigida; e a ciò si aggiungeva, spesso, l’insufficiente competenza professionale
dei suoi membri ed una scarsa incisività dei poteri riconosciuti a tale organo.


Già nel 1974 il legislatore era intervenuto, introducendo per le sole società quotate in borsa,
accanto al tradizionale controllo esplicato dal collegio sindacale, un controllo contabile più
penetrante affidato ad un soggetto esterno, la società di revisione, a cui, a partire dal 1998, è
stato attribuito, in via esclusiva, tale controllo limitatamente alle società quotate.


In questo quadro normativo è intervenuta la riforma, apportando significative modifiche, in
particolare, agli artt. 2403 e 2407.


Il vecchio testo dell’art. 2403 prevedeva: <<il collegio sindacale deve controllare
l’amministrazione della società, vigilare sull’osservanza della legge e dell’atto costitutivo ed
accertare la regolare tenuta della contabilità, la corrispondenza del bilancio alle risultanze
dei libri e delle scritture contabili e l’osservanza delle norme stabilite dall’art. 2426 per la
valutazione del patrimonio sociale. Il collegio sindacale deve altresì accertare almeno ogni
trimestre la consistenza di cassa e l’esistenza dei valori e dei titoli di proprietà sociale
(……)>>


La principale innovazione apportata dalla riforma al sistema tradizionale è la soppressione della
funzione di controllo contabile ora attribuita in via esclusiva ad un soggetto estraneo alla

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società, a norma del nuovo art. 2409 bis. La funzione contabile non è stata abolita del tutto
dall’ambito delle competenze del collegio sindacale. Per effetto del terzo comma dell’art. 2409
bis c.c, lo statuto, nelle società che adottano il sistema tradizionale, può attribuire le funzioni di
controllo contabile al collegio sindacale, solo ove ricorrano due condizioni: che si tratti di
società che non ricorrono al mercato del capitale di rischio, e che non sono tenute alla


redazione del bilancio consolidato. In tali casi i membri del collegio dovranno essere iscritti
nell’apposito registro dei revisori contabili.


Ad eccezione di questa fattispecie, si assiste ad uno sdoppiamento dei controlli spettanti al
collegio sindacale e al revisore. La sottrazione del controllo contabile dalla sfera dei doveri
spettanti ai sindaci produce un’enfatizzazione dei compiti di sorveglianza dell’attività gestoria.
Quest’ultima, a norma del precedente testo dell’art. 2403 c.c., costituiva, già, un dovere dei
sindaci, ma risultava genericamente ricompresa nel controllo sull’amministrazione della società
e nella vigilanza sull’osservanza delle leggi e dell’atto costitutivo. Con la riforma tale funzione
è stata rimarcata, ed è stata attribuita ai membri del collegio sindacale la funzione di alta
vigilanza sulla società.


Siffatta attività assume un significato ed una portata notevolmente più ampia rispetto al passato,
e comporta una valutazione complessiva degli atti posti in essere nella prospettiva degli
interessi sociali, non limitata alla mera verifica della conformità tra fattispecie realizzate in
concreto e fattispecie astratta prevista dalla norma. Ne consegue che secondo il novellato art.
2403 c.c. <<il collegio sindacale vigila sull’osservanza della legge e dello statuto>> ed in
particolare sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, con specifico riferimento
all’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e
sul suo concreto funzionamento. La vigilanza del collegio sindacale si esplica, innanzitutto, nei
confronti dell’operato degli amministratori, in quanto investiti della gestione della società, ma,
anche, nei confronti dell’assemblea e può estendersi, comunque, in ogni direzione.


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Per consentire ai sindaci di svolgere in modo efficace tali funzioni di controllo la riforma ha
notevolmente ampliato gli obblighi di comunicazione imposti agli amministratori e ha
potenziato i poteri dei sindaci in tale ambito, anche con riferimento alle società controllate. Il
collegio sindacale assurge, oggi, ad organo supervisore in grado di verificare la rispondenza
dell’attività di gestione alla legge e agli obiettivi previsti nel contratto sociale.


La disciplina in ordine alla responsabilità dei sindaci si presenta, conseguentemente, più
efficace e, dunque, più rigorosa rispetto al passato. Ed infatti:
               a)    viene posto il criterio della diligenza esigibile dai sindaci nello svolgimento
                     del proprio incarico;
               b)    viene posto un preciso coordinamento con le disposizioni sulla responsabilità
                     degli amministratori che trovano applicazione anche per i membri del
                     collegio sindacale.


Il novellato art. 2407 c.c. stabilisce, infatti, che <<i sindaci devono adempiere i loro doveri con
la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico>> ed al secondo comma,
senza sostanziali novità, che <<essi sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i
fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato
in conformità agli obblighi della loro carica>>.


La legge, dunque, prevede una responsabilità dei sindaci, per così dire, esclusiva, perché
correlata alla violazione diretta di specifici obblighi posti in capo ai sindaci medesimi; ed una
responsabilità c.d. concorrente con quella degli amministratori.


La prima forma di responsabilità si realizza, indipendentemente da un illecito degli
amministratori, allorché i membri del collegio sindacale non adempiano agli obblighi posti
direttamente a loro carico. La principale novità contenuta nell’art. 2407 c.c., in linea con i
principi ispiratori della riforma, è costituita da una più precisa indicazione della diligenza
richiesta ai sindaci nell’adempimento dei propri doveri. In particolare anche in questo ambito

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viene meno il riferimento alla diligenza del mandatario: la legge di riforma specifica, infatti,
che i sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla
natura dell’incarico. Il legislatore ha, in tal modo, adeguato il testo legislativo all’opinione di
buona parte dalla dottrina secondo cui, dal momento che i sindaci svolgono un’attività
professionale, per determinare la condotta da osservare nell’adempimento dei propri incarichi,


non è sufficiente considerare il generico riferimento alla diligenza del buon padre di famiglia,
ma occorre riferirsi specificatamente alla diligenza professionale, in linea con l’art. 1176, 2
comma c.c.


La responsabilità c.d. concorrente tra amministratori e sindaci (di natura solidale) sorge per fatti
e omissioni imputabili agli amministratori, qualora il danno non si sarebbe prodotto se i
membri del collegio sindacale avessero vigilato conformemente agli obblighi derivanti dalla
loro carica. La responsabilità dei sindaci, difatti, non è un’automatica proiezione di quella degli
amministratori, bensì discende da fatti imputabili ai sindaci medesimi, in correlazione
all’inosservanza dei propri doveri di vigilanza e controllo. La riforma fa salva la possibilità, per
i membri del collegio sindacale, di provare di essere immuni da colpa, per l’espresso richiamo
contenuto nell’art. 2407 ultimo comma c.c. alla previsione di cui all’art. 2393 c.c. Di
conseguenza la posizione di ciascuno dei soggetti solidalmente responsabili va valutata
distintamente in relazione ai diversi obblighi che fanno loro capo e alle circostanze concrete.


Per quanto concerne le azioni di responsabilità esperibili nei confronti del collegio sindacale,
trovano applicazione, in quanto compatibili, le norme relative alla responsabilità degli
amministratori. In siffatto ambito sono principalmente due le novità apportate dalla riforma. In
primo luogo, in linea con le previsioni di cui all’art. 2393 bis c.c., a cui si fa espresso richiamo,
viene riconosciuta la legittimazione processuale dei soci di minoranza in ordine all’esercizio
dell’azione sociale di responsabilità, mettendo a disposizione della minoranza, anche sotto il
versante della responsabilità dei sindaci, un efficace strumento di tutela. In secondo luogo, la legge
di riforma ha recepito l’orientamento dominante sotto il vigore della precedente disciplina

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codicistica, secondo cui, nonostante il mancato richiamo nel precedente testo normativo, anche al
singolo socio o al terzo deve essere riconosciuta la possibilità di agire direttamente nei confronti dei
sindaci. Infatti nella nuova formulazione dell’art. 2407 c.c, ultimo comma, compare anche l’art.
2395 c.c., e pertanto sindaci possono essere chiamati a rispondere della propria condotta illecita,




non solo nei confronti della società e dei creditori sociali, ma anche nei confronti dei soci o dei terzi
direttamente danneggiati dai loro atti dolosi o colposi.




                                                                       (prof. avv. Giovanni Doria)




                  prof. avv. Carmine Bevilacqua, prof. avv. Giovanni Doria, prof. avv. Giorgio Lener
   avv. Massimo Petroni, avv. Maria Grazia Rulli, avv. Stefano Bartoli, avv. Giorgia Lorusso Caputi, avv. Alessia Tanasi
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Prof. Avv. Giovanni Doria - Ordinario di diritto privato nell'Università degli Studi di Roma "Tor Vergata"

  • 1. Bevilacqua Doria Lener & Partners Via Antonio Bertoloni 26/b – 00197 Roma tel. +39 06 80 69 66 02 - fax +39 06 80 69 66 30 e-mail: giovanni.doria@blp-lex.com NUOVO DIRITTO SOCIETARIO E RESPONSABILITÀ DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE E DEL COLLEGIO SINDACALE (PROF. AVV. GIOVANNI DORIA) Relazione per il convegno organizzato da AEC Broker su “Responsabilità Civili e Penali degli Organi di Amministrazione e di Controllo nella Riforma del Diritto Societario” Roma, Auditorium-Parco della Musica 12 Marzo 2004 Cercherò di delineare, nel tempo assegnatomi, le principali novità apportate dalla riforma del diritto societario alla disciplina della responsabilità degli amministratori e dei sindaci nelle società di capitali, per modo da delineare, complessivamente – sia pure in sintesi –, i profili essenziali della responsabilità degli organi di gestione e di controllo nell’ambito del modello c.d. tradizionale di amministrazione e controllo, essendo già stati egregiamente illustrati dall’amico Daniele Santosuosso le nuove forme di responsabilità gestorie e di controllo relative ai modelli alternativi (il sistema c.d. monistico e quello c.d. dualistico) di amministrazione e controllo. Il modello c.d. tradizionale di amministrazione e controllo – che trova applicazione in assenza di una diversa e specifica previsione statutaria con la quale si sia optato per uno dei due diversi modelli alternativi – si basa, come è noto, sulla presenza di un consiglio di amministrazione – o di un amministratore unico – e del collegio sindacale, al quale è stata oramai sottratta la funzione del controllo contabile (con l’eccezione delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e che non sono tenute alla redazione del bilancio consolidato); funzione attribuita, ormai, per tutte le società per azioni, ad un organo esterno che è il revisore. prof. avv. Carmine Bevilacqua, prof. avv. Giovanni Doria, prof. avv. Giorgio Lener avv. Massimo Petroni, avv. Maria Grazia Rulli, avv. Stefano Bartoli, avv. Giorgia Lorusso Caputi, avv. Alessia Tanasi dott. Luca D’Amelio, dott. Mario Mastrodonato
  • 2. Bevilacqua Doria Lener & Partners Via Antonio Bertoloni 26/b – 00197 Roma tel. +39 06 80 69 66 02 - fax +39 06 80 69 66 30 e-mail: giovanni.doria@blp-lex.com Nell’ambito del richiamato modello tradizionale di amministrazione e controllo, la riforma ha realizzato una estensione (anche attraverso una puntualizzazione) dei compiti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale, e, conseguentemente, una estensione del sistema della responsabilità degli amministratori e dei sindaci. Il sistema della responsabilità degli amministratori si articola in tre diversi tipi (o, se si vuole, forme) di responsabilità: responsabilità nei confronti della società (artt. 2392 e ss. c.c.); responsabilità nei confronti dei creditori sociali (art. 2394 c.c.) e responsabilità nei confronti del singolo socio o del terzo (art. 2395 c.c.). L’art. 2392 c.c. delineava, nella previgente disciplina, e delinea ancora oggi, a seguito della riforma, la responsabilità degli amministratori nei confronti della società. Secondo la formulazione dell’art. 2392 c.c. anteriore alla riforma, gli amministratori dovevano <<adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo con la diligenza del mandatario, e sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri, a meno che non si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di uno o più amministratori>>. Gli obblighi, nascenti dalla legge e dell’atto costitutivo, la cui inosservanza determina l’insorgenza della responsabilità a carico degli amministratori, non sono (specie in questa sede) identificabili analiticamente, non soltanto perché sono numerose le norme che, in tema di amministrazione della società, impongono obblighi agli amministratori, ma anche perché, come dispone lo stesso art. 2392 c.c., gli obblighi possono discendere dall’atto costitutivo e, dunque, sono evidentemente variabili a seconda delle scelte compiute dalla compagine sociale. E’ possibile, piuttosto, ordinare i predetti obblighi per categorie e, dunque, pervenire ad una sorta prof. avv. Carmine Bevilacqua, prof. avv. Giovanni Doria, prof. avv. Giorgio Lener avv. Massimo Petroni, avv. Maria Grazia Rulli, avv. Stefano Bartoli, avv. Giorgia Lorusso Caputi, avv. Alessia Tanasi dott. Luca D’Amelio, dott. Mario Mastrodonato
  • 3. Bevilacqua Doria Lener & Partners Via Antonio Bertoloni 26/b – 00197 Roma tel. +39 06 80 69 66 02 - fax +39 06 80 69 66 30 e-mail: giovanni.doria@blp-lex.com di classificazione concettuale dei principali obblighi incombenti sugli amministratori, secondo il seguente schema: a) obblighi di fare o non fare, scaturenti dalla legge o dall’atto costitutivo (per fare un esempio, il divieto di compiere operazioni estranee all’oggetto sociale); b) obbligo di conservare l’integrità del patrimonio sociale (da cui peraltro, come si vedrà, discende la responsabilità nei confronti dei creditori sociali); c) divieto di agire in conflitto d’interessi (ipotesi, questa, di particolare interesse, e modificata dalla riforma); d) divieto di compiere nuove operazioni dopo che si sia verificata una causa di scioglimento della società; e) obblighi nascenti da previsioni statutarie. Tra gli obblighi previsti dalla legge a carico degli amministratori, specifico significato assumeva il dovere imposto dal secondo comma dell’art. 2392 c.c. (nella sua precedente formulazione) di esercitare la vigilanza <<sul generale andamento della gestione>> e di fare quanto possibile per impedire il compimento di atti pregiudizievoli, dei quali fossero venuti a conoscenza, o, quantomeno, per eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose. La predetta disposizione imponeva, dunque, agli amministratori di tenere un comportamento avente contenuto misto, perché rivolto a vigilare per intervenire, allo scopo di impedire atti pregiudizievoli degli altri amministratori ovvero di elidere (o quantomeno ridurre) le conseguenze dannose eventualmente già prodottesi. La richiamata disposizione, applicabile, evidentemente, solamente nei casi in cui il consiglio di amministrazione avesse delegato alcune proprie attribuzioni ad uno o più dei suoi membri, disponeva, pertanto, che tutti gli prof. avv. Carmine Bevilacqua, prof. avv. Giovanni Doria, prof. avv. Giorgio Lener avv. Massimo Petroni, avv. Maria Grazia Rulli, avv. Stefano Bartoli, avv. Giorgia Lorusso Caputi, avv. Alessia Tanasi dott. Luca D’Amelio, dott. Mario Mastrodonato
  • 4. Bevilacqua Doria Lener & Partners Via Antonio Bertoloni 26/b – 00197 Roma tel. +39 06 80 69 66 02 - fax +39 06 80 69 66 30 e-mail: giovanni.doria@blp-lex.com amministratori, nonostante la delega di funzioni, avendo il dovere di esercitare il controllo, conservavano, per così dire, il dovere di impulso e di azione. L’originaria formulazione dell’art. 2392 c.c., oltre a indicare gli obblighi dalla cui inosservanza insorgeva responsabilità in capo agli amministratori nei confronti della società, precisava in che modo gli amministratori dovevano adempiere ai predetti obblighi, con ciò stesso stabilendo quando poteva affermarsi che gli amministratori non avessero ottemperato agli obblighi imposti dalla legge o dall’atto costitutivo. L’art. 2392 c.c. prevedeva, infatti, che gli amministratori dovevano <<adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo con la diligenza del mandatario>>; e, prescindendo da ogni considerazione in ordine alla natura del rapporto tra l’amministratore e la società, il richiamo, contenuto nell’art. 2392 c.c., alla diligenza del mandatario aveva il significato di ricondurre la responsabilità degli amministratori alle regole comuni dei rapporti obbligatori. La responsabilità degli amministratori, pertanto, insorgeva ogni qual volta fosse dimostrabile che l’amministratore non avesse adempiuto agli obblighi su di esso incombenti con la diligenza del buon padre di famiglia e, dunque, non avesse utilizzato, nell’adempimento dei predetti obblighi, i comuni ed ordinari canoni di ragionevolezza e di buon senso propri di un uomo attento e coscienzioso, provocando, per tal modo, una perdita patrimoniale in capo alla società. Le novità introdotte dalla riforma al sistema della responsabilità degli amministratori nei confronti della società sono correlate, in estrema sintesi, a due aspetti essenziali. In primo luogo, il legislatore della riforma ha proceduto a porre un diverso e più rigoroso criterio attraverso il quale valutare se l’amministratore abbia o meno ottemperato agli obblighi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo. Al contempo, il medesimo legislatore ha proceduto, per così dire, ad un “ampliamento qualitativo” degli obblighi nascenti dalla legge a carico degli amministratori, mediante una estensione dell’attività degli amministratori operata dal prof. avv. Carmine Bevilacqua, prof. avv. Giovanni Doria, prof. avv. Giorgio Lener avv. Massimo Petroni, avv. Maria Grazia Rulli, avv. Stefano Bartoli, avv. Giorgia Lorusso Caputi, avv. Alessia Tanasi dott. Luca D’Amelio, dott. Mario Mastrodonato
  • 5. Bevilacqua Doria Lener & Partners Via Antonio Bertoloni 26/b – 00197 Roma tel. +39 06 80 69 66 02 - fax +39 06 80 69 66 30 e-mail: giovanni.doria@blp-lex.com legislatore della riforma anche attraverso una più puntuale e precisa indicazione dei compiti e delle funzioni loro spettanti. Iniziamo dall’esame del primo profilo. L’attuale formulazione dell’art. 2392 c.c. non contiene più alcun richiamo alla diligenza del mandatario quale criterio di valutazione dell’operato degli amministratori. Viene introdotto, infatti, un diverso criterio, stabilendo: <<gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze>>. Il criterio della diligenza del mandatario risultava, infatti, anacronistico se posto in correlazione alle mutate esigenze dell’economia moderna, caratterizzata da società multinazionali, e alla necessità di ancorare la responsabilità dell’organo di gestione non alla semplice diligenza dell’uomo ragionevole e di buon senso, ma alla natura dell’attività in concreto esercitata. Nella relazione illustrativa al decreto legislativo di riforma del diritto societario viene precisato che, attraverso la mutata previsione legislativa, non si impone, di certo, agli amministratori una conoscenza specifica in ambito finanziario, contabile e in ogni altro settore relativo all’attività di gestione, ma piuttosto impone agli amministratori di compiere scelte <<informate e mediate, basate sulle rispettive conoscenze e frutto di un rischio calcolato e non di irresponsabile e negligente improvvisazione>>. La nuova formulazione dell’art. 2392 pone, dunque, una più rigorosa valutazione della diligenza richiesta agli amministratori, che non è più quella del buon padre di famiglia, ma è quella del buon amministratore dotato di un precisa professionalità, con riferimento specifico alle funzioni da esso svolte nell’ambito della società, alla natura dell’incarico e alle specifiche competenze svolte dagli amministratori. L’ulteriore importante novità introdotta dal legislatore della riforma al sistema della responsabilità degli amministratori nei confronti della società è stata operata (se si eccettua il secondo comma, su cui spenderemo qualche parola) non attraverso una ulteriore modifica della prof. avv. Carmine Bevilacqua, prof. avv. Giovanni Doria, prof. avv. Giorgio Lener avv. Massimo Petroni, avv. Maria Grazia Rulli, avv. Stefano Bartoli, avv. Giorgia Lorusso Caputi, avv. Alessia Tanasi dott. Luca D’Amelio, dott. Mario Mastrodonato
  • 6. Bevilacqua Doria Lener & Partners Via Antonio Bertoloni 26/b – 00197 Roma tel. +39 06 80 69 66 02 - fax +39 06 80 69 66 30 e-mail: giovanni.doria@blp-lex.com lettera della legge, ma mediante una estensione degli obblighi nascenti dalla legge a carico degli amministratori; estensione correlata a tre aspetti salienti della riforma, consistenti: a) nella previsione, anche se in via indiretta, della nozione di amministratore; b) in una più puntuale ripartizione dei compiti fra amministratori e assemblea inerenti all’attività gestoria; c) in una compiuta definizione del rapporto tra amministratori deleganti e amministratori delegati. Esaminiamo, singolarmente, i tre aspetti appena indicati, cercando di cogliere i relativi riflessi sul piano della insorgenza di specifici obblighi in capo agli amministratori e, dunque, su quello delle correlate responsabilità. Il legislatore della riforma ha introdotto, per la prima volta nel nostro ordinamento, una vera e propria norma definitoria del contenuto del rapporto di amministrazione della società, fornendo, se pur indirettamente, una nozione di amministratore. L’art. 2380 bis c.c., al primo comma, recita testualmente <<la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale>>: l’amministratore è, dunque, colui a cui spetta la gestione esclusiva della società attraverso il compimento di tutte le operazioni occorrenti per l’attuazione dell’oggetto sociale. L’art. 2380 bis non ha una funzione meramente descrittiva, ma ha una sua precisa portata precettiva: tra i doveri imposti agli amministratori, oltre agli altri derivanti dalla legge e dallo statuto, fanno parte il compimento delle operazioni rientranti nell’attività compresa nell’oggetto sociale, ed il compimento di tutte quelle altre operazioni, che pur estranee all’oggetto sociale, siano comunque necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale medesimo. Si tratta, dunque, di prof. avv. Carmine Bevilacqua, prof. avv. Giovanni Doria, prof. avv. Giorgio Lener avv. Massimo Petroni, avv. Maria Grazia Rulli, avv. Stefano Bartoli, avv. Giorgia Lorusso Caputi, avv. Alessia Tanasi dott. Luca D’Amelio, dott. Mario Mastrodonato
  • 7. Bevilacqua Doria Lener & Partners Via Antonio Bertoloni 26/b – 00197 Roma tel. +39 06 80 69 66 02 - fax +39 06 80 69 66 30 e-mail: giovanni.doria@blp-lex.com un ampliamento dei compiti degli amministratori e, conseguentemente, della relativa sfera di responsabilità. Il legislatore della riforma ha, poi, proceduto, come avevo anticipato, a una più puntuale ripartizione dei compiti fra amministratori e assemblea inerenti all’attività gestoria, al precipuo scopo di separare, con maggiore precisione, le funzioni gestorie da quelle di supervisione; ed in questa prospettiva, la riforma ha realizzato una estensione dei compiti e funzioni dell’organo amministrativo, con l’ulteriore conseguente ampliamente della sfera di responsabilità degli amministratori. Non è possibile, in questa sede, prendere in esame gli svariati aspetti attinenti alla ripartizione di competenze tra amministratori ed assemblea come ridisegnata dalla riforma. Per tutti, si consideri la nuova formulazione dell’art. 2364 c.c. disciplinante le attribuzioni dell’assemblea ordinaria, dove, al punto n. 5, non si prevede più, come in passato, che gli amministratori possano di propria iniziativa sottoporre all’esame dell’assemblea medesima la discussione afferente ad atti gestori. A norma dell’art. 2364 n. 5 c.c. l’assemblea ordinaria <<delibera (…) sulle autorizzazioni eventualmente richieste dallo statuto per il compimento di atti degli amministratori, ferma restando in ogni caso la responsabilità di questi per gli atti compiuti>>. Rispetto alla precedente formula dell’art. 2364 c.c. (secondo la quale l’assemblea ordinaria poteva deliberare sugli atti attinenti alla gestione della società (…) sottoposti al suo esame dagli amministratori), oggi è lo statuto ad indicare i casi in cui certe attività gestorie debbano essere sottoposte all’assemblea, la quale, ove deliberi in senso favorevole, pone in essere un atto che la legge qualifica come <<autorizzazione>>. Tale aspetto non ha una valenza esclusivamente nominalistica, specie sul piano della responsabilità degli amministratori. L’assemblea, infatti, si limita ad autorizzare e, dunque, non a far proprio un atto che è e riamane proprio dell’organo di amministrazione; tant’è vero che l’art. 2364, al n. 5, precisa che resta ferma, <<in ogni caso>>, la responsabilità degli amministratori per gli atti compiuti; sicché l’organo gestorio non può andare esente da responsabilità anche ove abbia ricevuto l’autorizzazione dell’assemblea a compiere quel determinato atto. prof. avv. Carmine Bevilacqua, prof. avv. Giovanni Doria, prof. avv. Giorgio Lener avv. Massimo Petroni, avv. Maria Grazia Rulli, avv. Stefano Bartoli, avv. Giorgia Lorusso Caputi, avv. Alessia Tanasi dott. Luca D’Amelio, dott. Mario Mastrodonato
  • 8. Bevilacqua Doria Lener & Partners Via Antonio Bertoloni 26/b – 00197 Roma tel. +39 06 80 69 66 02 - fax +39 06 80 69 66 30 e-mail: giovanni.doria@blp-lex.com Un punto saliente della riforma concerne, poi, il rapporto fra amministratori deleganti ed amministratori delegati; rapporto che incide su specifici aspetti attinenti alla loro responsabilità. La precedente formulazione dell’articolo 2392 c.c, come ho già avuto modo di accennare, era tale da configurare a carico degli amministratori deleganti una responsabilità correlata alla mancata ottemperanza al <<dovere di vigilare sul generale andamento della gestione>>. Con la riforma, il dovere di vigilanza degli amministratori deleganti è stato espunto dalla formulazione dell’art. 2392, secondo comma, e sostituito da altri e più stringenti obblighi imposti agli amministratori deleganti e delegati, secondo quanto emerge dal comb. disp. degli artt. 2381 e 2392 c.c., che danno, indubbiamente, maggiore concretezza alla responsabilità degli amministratori. Ed infatti, secondo la formulazione del quinto comma dell’art. 2381, gli amministratori delegati devono riferire al consiglio di amministrazione con periodicità di almeno 180 giorni, circa il generale andamento della gestione e le operazioni di maggior rilievo; con la conseguenza che ogni profilo di responsabilità degli amministratori deleganti dovrà essere valutato con riguardo alla misura ed alla natura delle informazioni ricevute ed acquisite da parte degli amministratori delegati, e non alla stregua del generico criterio del dovere di vigilanza. La riforma del diritto societario, oltre ad aver comportato un ampliamento (appena esaminato) dei compiti imposti agli amministratori, ha modificato, integrandoli, altri obblighi di fonte legale, previsti nella normativa ante riforma, la cui inosservanza provoca la responsabilità degli amministratori. Non è certo questa la sede per esaminare integralmente tali modifiche; mi limiterò, pertanto, ad esaminare un aspetto di particolare interesse inerente all’obbligo degli amministratori di perseguire l’interesse della società nell’esercizio dell’attività gestoria. prof. avv. Carmine Bevilacqua, prof. avv. Giovanni Doria, prof. avv. Giorgio Lener avv. Massimo Petroni, avv. Maria Grazia Rulli, avv. Stefano Bartoli, avv. Giorgia Lorusso Caputi, avv. Alessia Tanasi dott. Luca D’Amelio, dott. Mario Mastrodonato
  • 9. Bevilacqua Doria Lener & Partners Via Antonio Bertoloni 26/b – 00197 Roma tel. +39 06 80 69 66 02 - fax +39 06 80 69 66 30 e-mail: giovanni.doria@blp-lex.com Il legislatore della riforma ha inteso, infatti, dettare una disciplina organica e particolarmente rigorosa dei doveri di fedeltà che l’amministratore, quale gestore di un patrimonio altrui, ha nei confronti della società. E’ stato, infatti, espunto dalla nuova formulazione dell’art. 2391 c.c. il riferimento al conflitto di interessi – contemplato nella formulazione originaria dell’art. 2391 – che è stato sostituito con la previsione degli <<interessi degli amministratori>>, ciò per evidenziare che l’obbligo di informare (gravante sugli amministratori) il consiglio di amministrazione ed il collegio sindacale non concerne più, soltanto, le ipotesi di interessi dell’amministratore in conflitto con quelli della società, ma anche le ipotesi di interessi dell’amministratore semplicemente coincidenti o compatibili, con conseguente estensione dell’ambito di applicazione della normativa e, dunque, della responsabilità dell’amministratore, che potrà essere chiamato a rispondere qualora agisca nell’interesse proprio se pur coincidente con quello della società. In tutti i casi in cui l’amministratore sia chiamato, per le ragioni appena indicate, a rispondere dei danni arrecati alla società, la riforma ha “precisato”, rispetto alla precedente formulazione, che il danno risarcibile non è limitato alle sole perdite, ma è ristorabile il danno nella sua pienezza, considerando il danno emergente ed il lucro cessante. Particolare interesse riveste, poi, la previsione contenuta nell’ultimo comma dell’art. 2391 c.c., dove si prevede che <<l’amministratore risponde (…) dei danni che siano derivati alla società dalla utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di dati, notizie o opportunità di affari appresi nell’esercizio del suo incarico>>. In questa prospettiva piene “irrobustito” l’obbligo di lealtà verso la società, con conseguente configurabilità di responsabilità nel caso in cui l’amministratore si sia appropriato o abbia permesso a terzi di appropriarsi di opportunità commerciali che la società avrebbe legittimamente potuto sfruttare a proprio vantaggio. La norma consente, peraltro, di ritenere l’amministratore responsabile dei danni derivanti alla società dalla perdita di chance commerciali (si discute, in tali casi, di corporate opportunities). prof. avv. Carmine Bevilacqua, prof. avv. Giovanni Doria, prof. avv. Giorgio Lener avv. Massimo Petroni, avv. Maria Grazia Rulli, avv. Stefano Bartoli, avv. Giorgia Lorusso Caputi, avv. Alessia Tanasi dott. Luca D’Amelio, dott. Mario Mastrodonato
  • 10. Bevilacqua Doria Lener & Partners Via Antonio Bertoloni 26/b – 00197 Roma tel. +39 06 80 69 66 02 - fax +39 06 80 69 66 30 e-mail: giovanni.doria@blp-lex.com Nel campo di applicazione della richiamata previsione rientrano, inoltre, le ipotesi di danni subiti da società non quotate e derivanti da insider trading; e ciò sulla base dell’esplicito riferimento all’utilizzazione dei dati a vantaggio proprio. La società però, nel relativo giudizio di responsabilità, oltre alla prova del danno, dovrà fornire l’ulteriore e non certo agevole prova che i dati, le notizie o le opportunità d’affari sfruttati dall’amministratore siano stati appresi nell’esercizio del suo incarico. L’art. 2392 c.c., nella sua attuale formulazione, non presenta ulteriori “segni” di novità rispetto alla formulazione originaria. Viene, pertanto, ribadita la regola della responsabilità solidale degli amministratori, che si esplica sotto un duplice profilo: responsabilità solidale degli amministratori fra loro e degli amministratori senza delega rispetto agli amministratori delegati. Il criterio della solidarietà costituisce, indubbiamente, la chiave di volta della responsabilità degli amministratori, in quanto esalta la collegialità della loro funzione e li vincola alla reciproca sorveglianza, ampliando, poi, in sede esecutiva, la possibilità di ristoro dei danni da essi arrecati grazie alla pluralità dei patrimoni personali soggetti all’azione esecutiva. L’art. 2392 ultimo comma c.c. prevede, inoltre, l’esonero dalla responsabilità per l’amministratore immune da colpa. La responsabilità solidale, infatti, non opera nei confronti dell’amministratore che abbia fatto annotare senza ritardo il proprio dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione e ne abbia data tempestiva notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale. Per evitare la responsabilità solidale non risulta sufficiente che l’amministratore sia esente da colpa, se non abbia fatto quanto necessario per rendere edotti gli organi sociali attraverso l’annotazione e la comunicazione scritta. La previsione di un duplice requisito (assenza di colpa e adempimenti da curare) ai fini dell’esonero da responsabilità dell’amministratore risulta perfettamente in linea con il criterio di colpevolezza come base della responsabilità. prof. avv. Carmine Bevilacqua, prof. avv. Giovanni Doria, prof. avv. Giorgio Lener avv. Massimo Petroni, avv. Maria Grazia Rulli, avv. Stefano Bartoli, avv. Giorgia Lorusso Caputi, avv. Alessia Tanasi dott. Luca D’Amelio, dott. Mario Mastrodonato
  • 11. Bevilacqua Doria Lener & Partners Via Antonio Bertoloni 26/b – 00197 Roma tel. +39 06 80 69 66 02 - fax +39 06 80 69 66 30 e-mail: giovanni.doria@blp-lex.com La riforma del diritto societario non ha apportato particolari modifiche all’art. 2393 c.c. disciplinante l’azione sociale di responsabilità. La disposizione appena citata, infatti, continua a prevedere, al primo comma, che <<l’azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa in seguito a deliberazione dell’assemblea anche se la società è in liquidazione>>. Occorre sottolineare, però, due importanti novità della riforma; novità legate da un lato all’esigenza di precisare il termine di prescrizione dell’azione; dall’altro alla necessità di far fronte a diffusi orientamenti giurisprudenziali che esponevano gli amministratori ad azioni di responsabilità fondate su elementi estranei al dibattito assembleare. Il terzo comma dell’art. 2393 prevede, infatti, che l’azione sociale di responsabilità si prescrive entro 5 anni dalla data di cessazione dell’amministratore dalla carica. Quanto all’ulteriore aspetto, il secondo comma dell’art. 2393 c.c. prevede che la deliberazione dell’azione da parte dell’assemblea può essere adottata in occasione dell’approvazione del bilancio, anche se non è posta all’ordine del giorno, ma solo se afferente a <<fatti di competenza dell’esercizio cui si riferisce il bilancio>>. Rispetto alla precedente disciplina, l’iscrizione all’ordine del giorno fra le materie da trattare dell’azione di responsabilità degli amministratori si renderà necessaria non solo ove tale delibera sia adottata al di fuori dell’approvazione del bilancio, ma anche quando, ricorrendo quest’ultima ipotesi, la responsabilità degli amministratori sia riconducibile a fatti ed inadempimenti relativi ad altri esercizi. Il modello di responsabilità degli amministratori verso al società, delineato nella disciplina ante riforma, lasciava sostanzialmente la maggioranza arbitra della tutela degli interessi della società di fronte agli illeciti degli amministratori; ciò a tutto svantaggio dei soci di minoranza, impotenti di fronte agli “abusi” del gruppo di comando. A questo riguardo, una delle principali novità consiste nell’introduzione dell’art. 2393 bis, che attribuisce alla minoranza la legittimazione attiva in ordine all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità, assicurando, in tal modo, una tutela diretta e più incisiva dei soci di minoranza di fronte alle decisioni del gruppo di comando. La riforma, quindi, configura un nuovo scenario in relazione all’esercizio prof. avv. Carmine Bevilacqua, prof. avv. Giovanni Doria, prof. avv. Giorgio Lener avv. Massimo Petroni, avv. Maria Grazia Rulli, avv. Stefano Bartoli, avv. Giorgia Lorusso Caputi, avv. Alessia Tanasi dott. Luca D’Amelio, dott. Mario Mastrodonato
  • 12. Bevilacqua Doria Lener & Partners Via Antonio Bertoloni 26/b – 00197 Roma tel. +39 06 80 69 66 02 - fax +39 06 80 69 66 30 e-mail: giovanni.doria@blp-lex.com dell’azione sociale di responsabilità, in quanto è stata estesa, a tutte le società per azioni, l’azione sociale di responsabilità della minoranza dei soci, originariamente introdotta dall’art. 129 T.U.F. per le sole società quotate, purché esercitata da una minoranza sufficientemente significativa secondo i criteri posti nell’art. 2393 bis. E’ bene chiarire che l’azione ex art. 2393 bis c.c. ha carattere surrogatorio; sicché, dal punto di vista strettamente processuale, condizione necessaria ai fini dell’esperimento dell’azione è l’inerzia dell’assemblea. La società deve essere chiamata in giudizio, mediante la notificazione dell’atto di citazione al presidente del collegio sindacale; in questo modo l’organo di controllo della società viene messo a conoscenza della configurabilità di una responsabilità in capo a uno o più amministratori, anche al fine dell’adozione di opportuni procedimenti di controllo. I soci, che intendono promuovere l’azione, devono nominare uno o più rappresentanti per l’esercizio dell’azione e per il compimento degli atti necessari. L’azione medesima è volta alla reintegrazione del patrimonio sociale e non al risarcimento dei danni patiti dai singoli soci. Conseguentemente, ove la domanda risarcitoria venga accolta, la società è tenuta a rimborsare i soci che hanno agito in giudizio, delle spese da questi sostenute, che non siano state poste a carico degli amministratori soccombenti o che non sia possibile recuperare mediante l’escussione dei patrimoni degli stessi. Ai soci è attribuita, inoltre, la facoltà di rinunciare all’azione o transigerla con conseguente attribuzione alla società del relativo corrispettivo, in quanto destinataria del danno. Un ulteriore aspetto di notevole interesse attiene, evidentemente, ai profili del danno risarcibile. Il codice civile non conteneva alcuna previsione specifica in ordine al danno risarcibile e la riforma non ha apportato alcuna novità. E’ necessario, pertanto, far riferimento alla disciplina generale sul risarcimento del danno contenuta nel libro quarto del codice civile, alla cui stregua occorre, ai fini della configurabilità di una responsabilità in capo all’amministratore: - l’inosservanza, dolosa o colposa, dei doveri imposti dalla legge o derivanti dallo statuto; - un danno subito dalla società, consistente in una lesione del patrimonio sociale; prof. avv. Carmine Bevilacqua, prof. avv. Giovanni Doria, prof. avv. Giorgio Lener avv. Massimo Petroni, avv. Maria Grazia Rulli, avv. Stefano Bartoli, avv. Giorgia Lorusso Caputi, avv. Alessia Tanasi dott. Luca D’Amelio, dott. Mario Mastrodonato
  • 13. Bevilacqua Doria Lener & Partners Via Antonio Bertoloni 26/b – 00197 Roma tel. +39 06 80 69 66 02 - fax +39 06 80 69 66 30 e-mail: giovanni.doria@blp-lex.com - il nesso di causalità fra comportamento illecito e danno, di modo che questo si possa considerare conseguenza immediata e diretta della condotta illecita dell’amministratore. L’onere della prova circa l’esistenza della lesione del patrimonio sociale e del nesso di causalità tra condotta illecita e danno incombe, secondo le regole generali poste dal codice civile, su chi agisce. Tuttavia, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, non occorrerebbe per la società attrice fornirne la prova circa la sussistenza di un nesso di causalità. La società che promuove l’azione di responsabilità, dovrà provare in giudizio, inoltre, l’esistenza e la misura del danno di cui chiede il risarcimento. Sotto questo profilo, secondo l’art. 1223 c.c., si individuano due voci: a) danno emergente e, cioè, perdita subita dalla società; b) lucro cessante e, cioè, mancato guadagno ritraibile. La giurisprudenza ricorre, al riguardo, a talune presunzioni. Ed infatti, in sede di azione sociale di responsabilità, la giurisprudenza ritiene che il danno risarcibile vada così quantificato: a) nel caso in cui la società sia caduta in stato di insolvenza, il danno consisterà nella differenza tra il passivo fallimentare e l’attivo realizzato nel corso del fallimento, con la vendita dei beni sociali; b) nel caso di scioglimento della società, il danno consisterà nel saldo negativo relativo alla gestione sociale dopo lo scioglimento della società; c) negli altri casi, la giurisprudenza fa ricorso, se pur sulla base di elementi contabili, a criteri presuntivi o equitativi. prof. avv. Carmine Bevilacqua, prof. avv. Giovanni Doria, prof. avv. Giorgio Lener avv. Massimo Petroni, avv. Maria Grazia Rulli, avv. Stefano Bartoli, avv. Giorgia Lorusso Caputi, avv. Alessia Tanasi dott. Luca D’Amelio, dott. Mario Mastrodonato
  • 14. Bevilacqua Doria Lener & Partners Via Antonio Bertoloni 26/b – 00197 Roma tel. +39 06 80 69 66 02 - fax +39 06 80 69 66 30 e-mail: giovanni.doria@blp-lex.com Veniamo, ora, ad esaminare l’ulteriore tipo di responsabilità degli amministratori: la responsabilità nei confronti dei creditori sociali. La riforma del diritto societario non ha apportato significative novità in questo ambito, essendosi limitata ad espungere dall’attuale testo normativo il riferimento all’azione di responsabilità nelle procedure concorsuali che è oggetto di una norma autonoma (art. 2394 bis). A norma dell’articolo 2394 c.c <<gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale>>: in queste ipotesi, dunque, la responsabilità a carico degli amministratori si configura allorquando si sia in presenza di un comportamento o di un omissione che abbia determinato una riduzione del patrimonio sociale tale da renderlo insufficiente per il soddisfacimento delle loro ragioni. In realtà non è semplice tracciare una linea di demarcazione fra questa categoria di obblighi, da cui discende la responsabilità nei confronti dei creditori sociali, e quelli la cui violazione importa responsabilità verso la società. Certamente, gli amministratori sono responsabili a norma dell’art. 2394 ove non rispettino le prescrizioni poste a tutela del patrimonio sociale e dell’effettività del capitale sociale – come il divieto di distribuire dividendi se non per utili realmente conseguiti. Non si può, però, ritenere che in tale ambito il legislatore abbia voluto creare una categoria a sé stante di doveri, avente come esclusiva finalità la tutela dell’integrità del patrimonio sociale, la cui violazione comporta l’insorgere della responsabilità degli amministratori nei confronti dei soli creditori sociali. Gli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale rientrano, pertanto, anch’essi nell’ampio genus dei doveri imposti dalla legge agli amministratori, la cui inosservanza importa responsabilità anche nei confronti della società. prof. avv. Carmine Bevilacqua, prof. avv. Giovanni Doria, prof. avv. Giorgio Lener avv. Massimo Petroni, avv. Maria Grazia Rulli, avv. Stefano Bartoli, avv. Giorgia Lorusso Caputi, avv. Alessia Tanasi dott. Luca D’Amelio, dott. Mario Mastrodonato
  • 15. Bevilacqua Doria Lener & Partners Via Antonio Bertoloni 26/b – 00197 Roma tel. +39 06 80 69 66 02 - fax +39 06 80 69 66 30 e-mail: giovanni.doria@blp-lex.com La legge di riforma del diritto societario ha, peraltro, lasciato aperte due questioni in merito all’azione di responsabilità esercitata dai creditori sociali; questioni relative: 1) alla natura autonoma o surrogatoria dell’azione stessa rispetto all’azione sociale di responsabilità; 2) alla natura contrattuale o extracontrattuale della responsabilità degli amministratori nei confronti dei creditori sociali. La complessità di siffatte problematiche meriterebbe un esame approfondito che purtroppo non può essere svolto in questa sede, soprattutto perché le conseguenze della diversa qualificazione dell’azione di responsabilità proposta dai creditori sociali sono notevoli. Ed infatti, le principali conseguenze a seconda che costituisca o meno azione surrogatoria riguardano: 1.1 il risultato utile dell’azione (a beneficio della società nel caso di surrogatoria, a beneficio dei creditori nel caso di azione autonoma); 1.2 opponibilità, da parte degli amministratori, delle eccezioni opponibili esclusivamente alla società. Inoltre, a seconda che l’azione dei creditori abbia natura contrattuale o extracontrattuale, diverso è l’onere della prova in merito alla sussistenza del requisito della colpa in capo agli amministratori. Nel primo caso, come nell’azione sociale, la colpa è presunta; nel secondo caso è chi agisce a dover fornire la relativa prova. Diversa sarà anche la misura del risarcimento che, ove si tratti di un illecito di natura contrattuale, sarà limitato ai soli danni prevedibili (tranne il caso di azione dolosa da parte dell’amministratore). L’ulteriore tipo di responsabilità a carico degli amministratori è prevista dall’art. 2395 c.c. che disciplina, anche in questo caso senza particolari novità apportate dalla riforma, l’azione di responsabilità esercitata dal socio o dal terzo, direttamente danneggiati da fatti dolosi o colposi prof. avv. Carmine Bevilacqua, prof. avv. Giovanni Doria, prof. avv. Giorgio Lener avv. Massimo Petroni, avv. Maria Grazia Rulli, avv. Stefano Bartoli, avv. Giorgia Lorusso Caputi, avv. Alessia Tanasi dott. Luca D’Amelio, dott. Mario Mastrodonato
  • 16. Bevilacqua Doria Lener & Partners Via Antonio Bertoloni 26/b – 00197 Roma tel. +39 06 80 69 66 02 - fax +39 06 80 69 66 30 e-mail: giovanni.doria@blp-lex.com degli amministratori. Le azioni di responsabilità della società e dei creditori sociali, infatti, <<non pregiudicano il diritto al risarcimento del danno spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori>>. La riforma ha introdotto un secondo comma all’art. 2395, in cui viene contemplato il termine quinquennale di prescrizione dell’azione, che decorre dal compimento dell’atto pregiudizievole. Rimane inalterato il presupposto dell’azione, che è costituito dal compimento da parte degli amministratori di un atto illecito che incida direttamente, provocando un danno, sul patrimonio del singolo socio o del terzo. Anche per la questa forma di responsabilità è controverso se abbia carattere contrattuale o extracontrattuale. La prevalente dottrina e giurisprudenza ritengono che la responsabilità dell’amministratore nei confronti del singolo socio o del terzo abbai carattere extracontrattuale. Ne consegue che spetta a chi agisce in giudizio fornire la prova in ordine alla sussistenza del dolo o della colpa, all’esistenza di un danno diretto e al nesso di casualità tra illecito e danno sofferto. Dall’art. 2395 c.c. si deduce che questa forma di responsabilità riguarda solo i danni subiti dal socio o dal terzo direttamente ricollegabili al comportamento illegittimo degli amministratori. Al riguardo, la casistica ritraibile dall’analisi giurisprudenziale è piuttosto ampia: - l’amministratore, che induce, mediante la redazione di un bilancio falso, il socio o il terzo ad acquistare azioni poi risultate prive di valore; - l’amministratore che dissimulando lo stato di dissesto della società, induca un fornitore a contrattare con la stessa. Se il danno provocato dagli amministratori incide esclusivamente sul patrimonio della società, con effetti meramente riflessi e indiretti nella sfera giuridica del terzo o del socio (come la perdita del valore delle azioni), potrà essere esperita esclusivamente l’azione sociale di responsabilità, o ove ricorrano i presupposti, l’azione spettante ai creditori. prof. avv. Carmine Bevilacqua, prof. avv. Giovanni Doria, prof. avv. Giorgio Lener avv. Massimo Petroni, avv. Maria Grazia Rulli, avv. Stefano Bartoli, avv. Giorgia Lorusso Caputi, avv. Alessia Tanasi dott. Luca D’Amelio, dott. Mario Mastrodonato
  • 17. Bevilacqua Doria Lener & Partners Via Antonio Bertoloni 26/b – 00197 Roma tel. +39 06 80 69 66 02 - fax +39 06 80 69 66 30 e-mail: giovanni.doria@blp-lex.com Veniamo, infine, alle novità apportate dalla riforma in relazione alla responsabilità del collegio sindacale, organo di controllo interno delle società per azioni, con funzioni di vigilanza sull’amministrazione della società. La disciplina ante riforma ha subito, al riguardo, profonde modifiche per garantire l’efficacia della relativa attività di vigilanza. In effetti, l’originaria struttura di tale organo risultava eccessivamente rigida; e a ciò si aggiungeva, spesso, l’insufficiente competenza professionale dei suoi membri ed una scarsa incisività dei poteri riconosciuti a tale organo. Già nel 1974 il legislatore era intervenuto, introducendo per le sole società quotate in borsa, accanto al tradizionale controllo esplicato dal collegio sindacale, un controllo contabile più penetrante affidato ad un soggetto esterno, la società di revisione, a cui, a partire dal 1998, è stato attribuito, in via esclusiva, tale controllo limitatamente alle società quotate. In questo quadro normativo è intervenuta la riforma, apportando significative modifiche, in particolare, agli artt. 2403 e 2407. Il vecchio testo dell’art. 2403 prevedeva: <<il collegio sindacale deve controllare l’amministrazione della società, vigilare sull’osservanza della legge e dell’atto costitutivo ed accertare la regolare tenuta della contabilità, la corrispondenza del bilancio alle risultanze dei libri e delle scritture contabili e l’osservanza delle norme stabilite dall’art. 2426 per la valutazione del patrimonio sociale. Il collegio sindacale deve altresì accertare almeno ogni trimestre la consistenza di cassa e l’esistenza dei valori e dei titoli di proprietà sociale (……)>> La principale innovazione apportata dalla riforma al sistema tradizionale è la soppressione della funzione di controllo contabile ora attribuita in via esclusiva ad un soggetto estraneo alla prof. avv. Carmine Bevilacqua, prof. avv. Giovanni Doria, prof. avv. Giorgio Lener avv. Massimo Petroni, avv. Maria Grazia Rulli, avv. Stefano Bartoli, avv. Giorgia Lorusso Caputi, avv. Alessia Tanasi dott. Luca D’Amelio, dott. Mario Mastrodonato
  • 18. Bevilacqua Doria Lener & Partners Via Antonio Bertoloni 26/b – 00197 Roma tel. +39 06 80 69 66 02 - fax +39 06 80 69 66 30 e-mail: giovanni.doria@blp-lex.com società, a norma del nuovo art. 2409 bis. La funzione contabile non è stata abolita del tutto dall’ambito delle competenze del collegio sindacale. Per effetto del terzo comma dell’art. 2409 bis c.c, lo statuto, nelle società che adottano il sistema tradizionale, può attribuire le funzioni di controllo contabile al collegio sindacale, solo ove ricorrano due condizioni: che si tratti di società che non ricorrono al mercato del capitale di rischio, e che non sono tenute alla redazione del bilancio consolidato. In tali casi i membri del collegio dovranno essere iscritti nell’apposito registro dei revisori contabili. Ad eccezione di questa fattispecie, si assiste ad uno sdoppiamento dei controlli spettanti al collegio sindacale e al revisore. La sottrazione del controllo contabile dalla sfera dei doveri spettanti ai sindaci produce un’enfatizzazione dei compiti di sorveglianza dell’attività gestoria. Quest’ultima, a norma del precedente testo dell’art. 2403 c.c., costituiva, già, un dovere dei sindaci, ma risultava genericamente ricompresa nel controllo sull’amministrazione della società e nella vigilanza sull’osservanza delle leggi e dell’atto costitutivo. Con la riforma tale funzione è stata rimarcata, ed è stata attribuita ai membri del collegio sindacale la funzione di alta vigilanza sulla società. Siffatta attività assume un significato ed una portata notevolmente più ampia rispetto al passato, e comporta una valutazione complessiva degli atti posti in essere nella prospettiva degli interessi sociali, non limitata alla mera verifica della conformità tra fattispecie realizzate in concreto e fattispecie astratta prevista dalla norma. Ne consegue che secondo il novellato art. 2403 c.c. <<il collegio sindacale vigila sull’osservanza della legge e dello statuto>> ed in particolare sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, con specifico riferimento all’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento. La vigilanza del collegio sindacale si esplica, innanzitutto, nei confronti dell’operato degli amministratori, in quanto investiti della gestione della società, ma, anche, nei confronti dell’assemblea e può estendersi, comunque, in ogni direzione. prof. avv. Carmine Bevilacqua, prof. avv. Giovanni Doria, prof. avv. Giorgio Lener avv. Massimo Petroni, avv. Maria Grazia Rulli, avv. Stefano Bartoli, avv. Giorgia Lorusso Caputi, avv. Alessia Tanasi dott. Luca D’Amelio, dott. Mario Mastrodonato
  • 19. Bevilacqua Doria Lener & Partners Via Antonio Bertoloni 26/b – 00197 Roma tel. +39 06 80 69 66 02 - fax +39 06 80 69 66 30 e-mail: giovanni.doria@blp-lex.com Per consentire ai sindaci di svolgere in modo efficace tali funzioni di controllo la riforma ha notevolmente ampliato gli obblighi di comunicazione imposti agli amministratori e ha potenziato i poteri dei sindaci in tale ambito, anche con riferimento alle società controllate. Il collegio sindacale assurge, oggi, ad organo supervisore in grado di verificare la rispondenza dell’attività di gestione alla legge e agli obiettivi previsti nel contratto sociale. La disciplina in ordine alla responsabilità dei sindaci si presenta, conseguentemente, più efficace e, dunque, più rigorosa rispetto al passato. Ed infatti: a) viene posto il criterio della diligenza esigibile dai sindaci nello svolgimento del proprio incarico; b) viene posto un preciso coordinamento con le disposizioni sulla responsabilità degli amministratori che trovano applicazione anche per i membri del collegio sindacale. Il novellato art. 2407 c.c. stabilisce, infatti, che <<i sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico>> ed al secondo comma, senza sostanziali novità, che <<essi sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità agli obblighi della loro carica>>. La legge, dunque, prevede una responsabilità dei sindaci, per così dire, esclusiva, perché correlata alla violazione diretta di specifici obblighi posti in capo ai sindaci medesimi; ed una responsabilità c.d. concorrente con quella degli amministratori. La prima forma di responsabilità si realizza, indipendentemente da un illecito degli amministratori, allorché i membri del collegio sindacale non adempiano agli obblighi posti direttamente a loro carico. La principale novità contenuta nell’art. 2407 c.c., in linea con i principi ispiratori della riforma, è costituita da una più precisa indicazione della diligenza richiesta ai sindaci nell’adempimento dei propri doveri. In particolare anche in questo ambito prof. avv. Carmine Bevilacqua, prof. avv. Giovanni Doria, prof. avv. Giorgio Lener avv. Massimo Petroni, avv. Maria Grazia Rulli, avv. Stefano Bartoli, avv. Giorgia Lorusso Caputi, avv. Alessia Tanasi dott. Luca D’Amelio, dott. Mario Mastrodonato
  • 20. Bevilacqua Doria Lener & Partners Via Antonio Bertoloni 26/b – 00197 Roma tel. +39 06 80 69 66 02 - fax +39 06 80 69 66 30 e-mail: giovanni.doria@blp-lex.com viene meno il riferimento alla diligenza del mandatario: la legge di riforma specifica, infatti, che i sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico. Il legislatore ha, in tal modo, adeguato il testo legislativo all’opinione di buona parte dalla dottrina secondo cui, dal momento che i sindaci svolgono un’attività professionale, per determinare la condotta da osservare nell’adempimento dei propri incarichi, non è sufficiente considerare il generico riferimento alla diligenza del buon padre di famiglia, ma occorre riferirsi specificatamente alla diligenza professionale, in linea con l’art. 1176, 2 comma c.c. La responsabilità c.d. concorrente tra amministratori e sindaci (di natura solidale) sorge per fatti e omissioni imputabili agli amministratori, qualora il danno non si sarebbe prodotto se i membri del collegio sindacale avessero vigilato conformemente agli obblighi derivanti dalla loro carica. La responsabilità dei sindaci, difatti, non è un’automatica proiezione di quella degli amministratori, bensì discende da fatti imputabili ai sindaci medesimi, in correlazione all’inosservanza dei propri doveri di vigilanza e controllo. La riforma fa salva la possibilità, per i membri del collegio sindacale, di provare di essere immuni da colpa, per l’espresso richiamo contenuto nell’art. 2407 ultimo comma c.c. alla previsione di cui all’art. 2393 c.c. Di conseguenza la posizione di ciascuno dei soggetti solidalmente responsabili va valutata distintamente in relazione ai diversi obblighi che fanno loro capo e alle circostanze concrete. Per quanto concerne le azioni di responsabilità esperibili nei confronti del collegio sindacale, trovano applicazione, in quanto compatibili, le norme relative alla responsabilità degli amministratori. In siffatto ambito sono principalmente due le novità apportate dalla riforma. In primo luogo, in linea con le previsioni di cui all’art. 2393 bis c.c., a cui si fa espresso richiamo, viene riconosciuta la legittimazione processuale dei soci di minoranza in ordine all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità, mettendo a disposizione della minoranza, anche sotto il versante della responsabilità dei sindaci, un efficace strumento di tutela. In secondo luogo, la legge di riforma ha recepito l’orientamento dominante sotto il vigore della precedente disciplina prof. avv. Carmine Bevilacqua, prof. avv. Giovanni Doria, prof. avv. Giorgio Lener avv. Massimo Petroni, avv. Maria Grazia Rulli, avv. Stefano Bartoli, avv. Giorgia Lorusso Caputi, avv. Alessia Tanasi dott. Luca D’Amelio, dott. Mario Mastrodonato
  • 21. Bevilacqua Doria Lener & Partners Via Antonio Bertoloni 26/b – 00197 Roma tel. +39 06 80 69 66 02 - fax +39 06 80 69 66 30 e-mail: giovanni.doria@blp-lex.com codicistica, secondo cui, nonostante il mancato richiamo nel precedente testo normativo, anche al singolo socio o al terzo deve essere riconosciuta la possibilità di agire direttamente nei confronti dei sindaci. Infatti nella nuova formulazione dell’art. 2407 c.c, ultimo comma, compare anche l’art. 2395 c.c., e pertanto sindaci possono essere chiamati a rispondere della propria condotta illecita, non solo nei confronti della società e dei creditori sociali, ma anche nei confronti dei soci o dei terzi direttamente danneggiati dai loro atti dolosi o colposi. (prof. avv. Giovanni Doria) prof. avv. Carmine Bevilacqua, prof. avv. Giovanni Doria, prof. avv. Giorgio Lener avv. Massimo Petroni, avv. Maria Grazia Rulli, avv. Stefano Bartoli, avv. Giorgia Lorusso Caputi, avv. Alessia Tanasi dott. Luca D’Amelio, dott. Mario Mastrodonato