2. I numeri di Twitter
Twitter fu lanciato il 15 luglio 2006. Secondo Twopcharts il 22 febbraio 2012 ha
passato i 500 milioni di utenti (al lordo di doppioni, inattivi e spam)
Secondo una ricerca di Semiocast, lo Stato con più utenti (al 31 dicembre 2011)
erano - come prevedibile - gli Stati Uniti con 107.700.000 utenti davanti al
Brasile (33 milioni e 300mila). Nei tre mesi da settembre a novembre 2011 i più
attivi sono stati gli olandesi (il 33 per cento degli utenti ha scritto almeno un
post)
E l'Italia? In quella classifica è ventiduesima con 4,1 milioni di utenti e la
percentuale di chi ha scritto un post in quei tre mesi è del 25 per cento
3. L'Italia e le redazioni scoprono Twitter
Nell'estate del 2011 i direttori del Corriere Ferruccio De Bortoli (@DeBortoliF) e
di Repubblica Ezio Mauro (@eziomauro) si iscrivono a Twitter. Dall'autunno loro
e altri giornalisti famosi iscritti da prima (Mario Calabresi lo è da luglio 2009)
cominciano a twittare e a trascinare altri colleghi e molti lettori dei giornali che
dirigono.
Nello stesso periodo Twitter viene scoperto (o comunque usato in modo più
intensivo di prima) anche da personaggi dello spettacolo come Fiorello (che
qualche settimana fa ha persino diffuso un comunicato per annunciare che
sarebbe uscito da Twitter).
4. Come si usa in televisione
Sono sempre di più le trasmissioni televisive che utilizzano Twitter. La maggior
parte lo fa in sostituzione dei classici sondaggi o per sentire l'opinione degli
spettatori. Gli utenti vengono invitati a inserire un hashtag che contiene il nome
della trasmissione (il primo fu Exit con #exitla7, ora sono moltissimi:
#piazzapulita #skytg24 ecc.) o generici hashtag come #ditelavostra (che
rischiano di mettere insieme tweet indirizzati a giornali o tv diversi)
5. Giusto o sbagliato? Efficace o no?
Il bello dei social network è che ciascuno può adattarli alle proprie preferenze e
cercare di piegarli alle proprie esigenze. Ma quell'uso degli hashtag non è né
giusto né efficace
Usare il nome di una trasmissione come hashtag in un social network è
grammaticalmente scorretto perché si sostituisce al nome utente e tradisce il
significato di hashtag, che indica un evento, un fatto, un oggetto, non
un'azienda o qualcosa di collegato strettamente a un'azienda. E gli utenti,
abituati a un uso diverso degli hashtag, difficilmente si adatteranno a un uso
così diverso da quello consueto
6. La cultura aziendale e le conversazioni
Se quell'uso di Twitter non è né giusto né efficace, perché è così diffuso?
Esistono due problemi, uno di conoscenza del mezzo e uno aziendale. Quello di
conoscenza è facilmente colmabile con l'esperienza e l'uso prolungato. Quello
aziendale è più difficile da risolvere: le aziende tradizionali (e molti di coloro che
le guidano) sono abituati a sentirsi al centro dell'attenzione, a guidare il
dibattito, a dettare la linea e non a sentirsi parte di una conversazione. Senza
generalizzare, molti si sentirebbero sminuiti. Eppure otterrebbero risultati
migliori: pensate a quanti tweet in più (e quindi una maggior ricchezza di
opinioni) si otterrebbero se in una trasmissione sugli esodati si usasse l'hashtag
#esodati e non quello del programma tv
7. Gli altri social network
(non mi farete mai usare "social media", come sa chi sa chi ha avuto la sventura
di sentirmi in altre occasioni)
Dal punto di vista grammaticale, Facebook è più malleabile, per questo è un
luogo nel quale le aziende si trovano meglio (anche per il numero di utenti e per
la maggior facilità di inserire pubblicità).
Le altre piattaforme per ora non hanno un numero di utenti attivi che le abbia
rese appetibili (neppure Google+ per ora). Friendfeed, per esempio, è forse il
social network più bello e ordinato, ma per motivi misteriosi non ha avuto la
fortuna di Facebook (che se l'è comprato nell'agosto 2009) e di Twitter
8. Giornalismo e social network
Chi vede nei social network il giornalismo del futuro probabilmente sbaglia: i
social network sono più una fonte del giornalismo tradizionale che una sua
forma. Ma attenzione ai tentativi di forzatura che stanno avvenendo da parte di
grandi brand, soprattutto su Facebook: potrebbero riuscire a trasformare la
natura del social network, che a quel punto diventerebbe un luogo di
conversazioni più rarefatte. Un network poco social, insomma
9. Il futuro del giornalismo
Cercare di fare i Nostradamus (meno oscuri di Nostradamus) in un periodo che
è soltanto quello di inizio di trasformazioni profonde in molti campi, è
pericolosissimo ed espone a rischi di figuracce.
Solo un'osservazione: da anni ascolto dibattiti fra giornalisti con un massimo
comun denominatore: stanno cambiando i mezzi, stanno cambiando gli
strumenti, internet sta cambiando radicalmente il nostro modo di lavorare, ma ci
sarà sempre bisogno di chi raccoglie le notizie, le approfondisce, le sceglie e le
scrive (con parole o immagini) per i cittadini
Ecco, senza voler essere Nostradamus io non sono più così sicuro che il futuro
sia questo (qualche accenno nel mio ultimo post sul blog "