3. periodico amministratore:
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4. INDICE
LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
DISCORSI
7 Alla veglia di preghiera per la beatificazione del Cardinale John Henry
Newman
12 All’incontro con i Vescovi d’Inghilterra, Galles e Scozia
16 All’incontro con i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i seminaristi nella Cat-
tedrale di Palermo
20 All’ncontro con i ragazzi e i giovanissimi dell’Azione Cattolica Italiana
MESSAGGI
26 Pasqua 2010
29 Per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (2010)
LETTERE
32 Ai Seminaristi
OMELIE
39 Nella solennità del Natale del Signore
44 Nella Celebrazione dei Primi Vespri della solennità di Maria SS.ma Madre di
Dio Te Deum di ringraziamento
VARIE
48 Meditazione sulla Prima Congregazione Generale del Sinodo dei Vescovi
all’Assemblea Speciale per il Medio Oriente
53 Preghiera per la vita nascente
LA PAROLA DEI VESCOVI ITALIANI
CEI - ORIENTAMENTI PASTORALI
57 Educare alla vita buona del Vangelo - Orientamenti pastorali dell’Episcopa-
to Italiano per il decennio 2010-2020
MESSAGGI
127 Per la giornata del Ringraziamento
43ª MARCIA PER LA PACE
130 Cristo, nostra pace
LA PAROLA DI MONS. VALENTINETTI
NOMINE E DECRETI
141 Nomine
5. INDICE
144 La Parrocchia dell’Immacolata Concezione della B.V. Maria diventa Cuore
Immacolato della B.V. Maria
IN DIOCESI
149 Necrologio
NOTIZIE
150 Notizie in breve
151 Notizie in rassegna - La Caritas abruzzese dice stop alla povertà
152 “Sogno un mondo per tutti” - di Cristina Santonastaso
155 All’unisono per dare voce all’amore
156 Con Frisina per la “solidarietà sociale” - di Roberta Fioravante
APPROFONDIMENTI
158 La questione antropologica: sfide e prospettive - di S. E. Mons. Ignazio San-
na
175 La proposta morale oggi: “La carità nella verità... per la costruzione di una
buona società e di un vero sviluppo integrale” (Caritas in veritate, n. 4)
SPECIALE “laPorzione.it”
189 LaPorzione.it... nel frammento, tutto - L’Arcidiocesi sceglie l’informazione
digitale
ESEMPIO DI “EDITORIALE”
191 Borghezio e GF specchio di una Italia decadente - di Simone Chiappetta
ESEMPIO DI “BIANCO E NERO”
194 La democrazia che cade in “basso” - di Simone Chiappetta
ESEMPIO DI “INTERVISTA”
196 “Vorrei avere il buon umore di Wojtyla” - di Davide De Amicis
ESEMPIO DI “LA PORZIONE”
199 Teologia della Porzione - di Giovanni Marcotullio
ESEMPIO DI “TERZA WEB”
202 La verità rosa - di Giovanni Marcotullio
8. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
DISCORSI
Alla veglia di preghiera per la beatificazione
del Cardinale John Henry Newman
Hyde Park - London
Sabato, 18 settembre 2010
Cari Fratelli e Sorelle in Cristo,
questa è una serata di gioia, di immensa gioia spirituale per tutti
noi. Siamo qui riuniti in questa veglia di preghiera per prepararci alla
Messa di domani, durante la quale un grande figlio di questa Nazione,
il Cardinale John Henry Newman, sarà dichiarato Beato. Quante per-
sone, in Inghilterra e in tutto il mondo, hanno atteso questo momen-
to! Anche per me personalmente è una grande gioia condividere que-
sta esperienza con voi. Come sapete, Newman ha avuto da tanto tem-
po un influsso importante nella mia vita e nel mio pensiero, come lo
è stato per moltissime persone al di là di queste isole. Il dramma della
vita di Newman ci invita ad esaminare le nostre vite, a vederle nel
contesto del vasto orizzonte del piano di Dio, e a crescere in comu-
nione con la Chiesa di ogni tempo e di ogni luogo: la Chiesa degli
Apostoli, la Chiesa dei martiri, la Chiesa dei santi, la Chiesa che New-
man amò ed alla cui missione consacrò la propria intera esistenza.
Ringrazio l’Arcivescovo Peter Smith per le gentili parole di benve-
nuto pronunciate a vostro nome, e sono particolarmente lieto di vede-
re molti giovani presenti a questa veglia. Questa sera, nel contesto
della preghiera comune, desidero riflettere con voi su alcuni aspetti
della vita di Newman, che considero importanti per le nostre vite di
credenti e per la vita della Chiesa oggi.Permettetemi di cominciare ri-
cordando che Newman, secondo il suo stesso racconto, ha ripercorso
il cammino della sua intera vita alla luce di una potente esperienza di
conversione, che ebbe quando era giovane. Fu un’esperienza imme-
diata della verità della Parola di Dio, dell’oggettiva realtà della rivela-
zione cristiana quale era stata trasmessa nella Chiesa. Tale esperienza,
al contempo religiosa e intellettuale, avrebbe ispirato la sua vocazione
ad essere ministro del Vangelo, il suo discernimento della sorgente di
7
9. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
DISCORSI
insegnamento autorevole nella Chiesa di Dio ed il suo zelo per il rin-
novamento della vita ecclesiale nella fedeltà alla tradizione apostolica.
Alla fine della vita, Newman avrebbe descritto il proprio lavoro come
una lotta contro la tendenza crescente a considerare la religione come
un fatto puramente privato e soggettivo, una questione di opinione
personale. Qui vi è la prima lezione che possiamo apprendere dalla
sua vita: ai nostri giorni, quando un relativismo intellettuale e morale
minaccia di fiaccare i fondamenti stessi della nostra società, Newman
ci rammenta che, quali uomini e donne creati ad immagine e somi-
glianza di Dio, siamo stati creati per conoscere la verità, per trovare in
essa la nostra definitiva libertà e l’adempimento delle più profonde
aspirazioni umane. In una parola, siamo stati pensati per conoscere
Cristo, che è Lui stesso “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6).
L’esistenza di Newman, inoltre, ci insegna che la passione per la
verità, per l’onestà intellettuale e per la conversione genuina compor-
tano un grande prezzo da pagare. La verità che ci rende liberi non
può essere trattenuta per noi stessi; esige la testimonianza, ha bisogno
di essere udita, ed in fondo la sua potenza di convincere viene da es-
sa stessa e non dall’umana eloquenza o dai ragionamenti nei quali
può essere adagiata. Non lontano da qui, a Tyburn, un gran numero
di nostri fratelli e sorelle morirono per la fede; la testimonianza della
loro fedeltà sino alla fine fu ben più potente delle parole ispirate che
molti di loro dissero prima di abbandonare ogni cosa al Signore. Nella
nostra epoca, il prezzo da pagare per la fedeltà al Vangelo non è tanto
quello di essere impiccati, affogati e squartati, ma spesso implica l’es-
sere additati come irrilevanti, ridicolizzati o fatti segno di parodia. E
tuttavia la Chiesa non si può esimere dal dovere di proclamare Cristo
e il suo Vangelo quale verità salvifica, la sorgente della nostra felicità
ultima come individui, e quale fondamento di una società giusta e
umana.
Infine, Newman ci insegna che se abbiamo accolto la verità di Cri-
sto e abbiamo impegnato la nostra vita per lui, non vi può essere se-
parazione tra ciò che crediamo ed il modo in cui viviamo la nostra
esistenza. Ogni nostro pensiero, parola e azione devono essere rivolti
alla gloria di Dio e alla diffusione del suo Regno. Newman comprese
8
10. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
DISCORSI
questo e fu il grande campione dell’ufficio profetico del laicato cristia-
no. Vide chiaramente che non dobbiamo tanto accettare la verità co-
me un atto puramente intellettuale, quanto piuttosto accoglierla me-
diante una dinamica spirituale che penetra sino alle più intime fibre
del nostro essere. La verità non viene trasmessa semplicemente me-
diante un insegnamento formale, pur importante che sia, ma anche
mediante la testimonianza di vite vissute integralmente, fedelmente e
santamente; coloro che vivono della e nella verità riconoscono istinti-
vamente ciò che è falso e, proprio perché falso, è nemico della bel-
lezza e della bontà che accompagna lo splendore della verità, veritatis
splendor.
La prima lettura di stasera è la magnifica preghiera con la quale san
Paolo chiede che ci sia dato di conoscere “l’amore di Cristo che supe-
ra ogni conoscenza” (cfr Ef 3,14-21). L’Apostolo prega affinché Cristo
dimori nei nostri cuori mediante la fede (cfr Ef 3,17) e perché possia-
mo giungere a “comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la
lunghezza, l’altezza e la profondità” di quell’amore. Mediante la fede
giungiamo a vedere la parola di Dio come una lampada per i nostri
passi e luce del nostro cammino (cfr Sal 119, 105). Come innumerevo-
li santi che lo precedettero sulla via del discepolato cristiano, New-
man insegnò che la “luce gentile” della fede ci conduce a renderci
conto della verità su noi stessi, sulla nostra dignità di figli di Dio, e sul
sublime destino che ci attende in cielo. Permettendo a questa luce
della fede di risplendere nei nostri cuori e abbandonandoci ad essa
mediante la quotidiana unione al Signore nella preghiera e nella par-
tecipazione ai sacramenti della Chiesa, datori di vita, diventiamo noi
stessi luce per quanti ci stanno attorno; esercitiamo il nostro “ufficio
profetico”; spesso, senza saperlo, attiriamo le persone più vicino al Si-
gnore ed alla sua verità. Senza la vita di preghiera, senza l’interiore
trasformazione che avviene mediante la grazia dei sacramenti, non
possiamo – con le parole di Newman – “irradiare Cristo”; diveniamo
semplicemente un altro “cembalo squillante” (1Cor 13,1) in un mondo
già pieno di crescente rumore e confusione, pieno di false vie che
conducono solo a profondo dolore del cuore e ad illusione.
9
11. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
DISCORSI
Una delle più amate meditazioni del Cardinale contiene queste pa-
role: “Dio mi ha creato per offrire a lui un certo specifico servizio. Mi
ha affidato un certo lavoro che non ha affidato ad altri” (Meditations
on Christian Doctrine). Vediamo qui il preciso realismo cristiano di
Newman, il punto nel quale la fede e la vita inevitabilmente si incro-
ciano. La fede è destinata a portare frutto nella trasformazione del no-
stro mondo mediante la potenza dello Spirito Santo che opera nella
vita e nell’attività dei credenti. Nessuno che guardi realisticamente al
nostro mondo d’oggi può pensare che i cristiani possano continuare a
far le cose di ogni giorno, ignorando la profonda crisi di fede che è
sopraggiunta nella società, o semplicemente confidando che il patri-
monio di valori trasmesso lungo i secoli cristiani possa continuare ad
ispirare e plasmare il futuro della nostra società. Sappiamo che in tem-
pi di crisi e di ribellioni Dio ha fatto sorgere grandi santi e profeti per
il rinnovamento della Chiesa e della società cristiana; noi abbiamo fi-
ducia nella sua provvidenza e preghiamo per la sua continua guida.
Ma ciascuno di noi, secondo il proprio stato di vita, è chiamato ad
operare per la diffusione del Regno di Dio impregnando la vita tem-
porale dei valori del Vangelo. Ciascuno di noi ha una missione, cia-
scuno è chiamato a cambiare il mondo, ad operare per una cultura
della vita, una cultura forgiata dall’amore e dal rispetto per la dignità
di ogni persona umana. Come il Signore ci insegna nel Vangelo appe-
na ascoltato, la nostra luce deve risplendere al cospetto di tutti, così
che, vedendo le nostre opere buone, possano dar gloria al nostro Pa-
dre celeste (cfr Mt 5,16).
Qui desidero dire una parola speciale ai molti giovani presenti. Cari
giovani amici: solo Gesù conosce quale “specifico servizio” ha in
mente per voi. Siate aperti alla sua voce che risuona nel profondo del
vostro cuore: anche ora il suo cuore parla al vostro cuore. Cristo ha
bisogno di famiglie che ricordano al mondo la dignità dell’amore
umano e la bellezza della vita familiare. Egli ha bisogno di uomini e
donne che dedichino la loro vita al nobile compito dell’educazione,
prendendosi cura dei giovani e formandoli secondo le vie del Vange-
lo. Ha bisogno di quanti consacreranno la propria vita al persegui-
mento della carità perfetta, seguendolo in castità, povertà e obbedien-
za, e servendoLo nel più piccolo dei nostri fratelli e sorelle. Ha biso-
10
12. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
DISCORSI
gno dell’amore potente dei religiosi contemplativi che sorreggono la
testimonianza e l’attività della Chiesa mediante la loro continua ora-
zione. Ed ha bisogno di sacerdoti, buoni e santi sacerdoti, uomini di-
sposti a perdere la propria vita per il proprio gregge. Chiedete a Dio
cosa ha in mente per voi! Chiedetegli la generosità di dirgli di sì! Non
abbiate paura di donarvi interamente a Gesù. Vi darà la grazia neces-
saria per adempiere alla vostra vocazione. Permettetemi di concludere
queste poche parole invitandovi ad unirvi a me il prossimo anno a
Madrid per la Giornata Mondiale della Gioventù. Si tratta sempre di
una splendida occasione per crescere nell’amore per Cristo ed essere
incoraggiati nella vostra gioiosa vita di fede assieme a migliaia di altri
giovani. Spero di vedere là molti di voi!
Ed ora, cari amici, continuiamo questa veglia di preghiera prepa-
randoci ad incontrare Cristo, presente fra noi nel Santissimo Sacra-
mento dell’Altare. Insieme, nel silenzio della nostra comune adorazio-
ne, apriamo le menti ed i cuori alla sua presenza, al suo amore, alla
potenza convincente della sua verità. In modo speciale, ringraziamolo
per la continua testimonianza a quella verità, offerta dal Cardinale
John Henry Newman. Confidando nelle sue preghiere, chiediamo a
Dio di illuminare i nostri passi e quelli della società britannica, con la
luce gentile della sua verità, del suo amore, della sua pace. Amen.
11
13. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
DISCORSI
All’incontro con i Vescovi d’Inghilterra,
Galles e Scozia
Cappella del Francis Martin House dell’Oscott College - Birmingham
Domenica, 19 settembre 2010
Venerati Fratelli nell’Episcopato,
questo è stato un giorno di grande gioia per la comunità cattolica
in queste isole. Il Beato John Henry Newman, come ora lo possiamo
chiamare, è stato elevato all’onore degli altari quale esempio di fe-
deltà eroica al Vangelo ed un intercessore per la Chiesa in queste ter-
re, che egli amò e servì così bene. Qui proprio in questa cappella nel
1852, diede voce alla nuova fiducia e vitalità della comunità cattolica
in Inghilterra e Galles, dopo la restaurazione della gerarchia, e le sue
parole possono essere applicate pure alla Scozia, venticinque anni do-
po. La sua beatificazione odierna è un ricordo della continua azione
dello Spirito Santo nell’elargire doni di santità su tutta la gente della
Gran Bretagna, così che da est ad ovest e dal nord al sud, sia elevata
una perfetta oblazione di lode e di ringraziamento alla gloria del no-
me di Dio.
Ringrazio il Cardinale O’Brien e l’Arcivescovo Nichols per le loro
parole e, ciò facendo, mi viene alla mente quanto poco tempo è tra-
scorso da quando mi è stato dato di accogliervi tutti a Roma per le vi-
site Ad limina delle vostre rispettive Conferenze Episcopali. In quella
occasione abbiamo parlato di alcune delle sfide che vi stanno innanzi
nel vostro guidare la gente nella fede, particolarmente circa l’urgente
necessità di proclamare il Vangelo di nuovo in un contesto altamente
secolarizzato. Nel corso della mia visita mi è apparso chiaro come, fra
i britannici, sia profonda la sete per la buona novella di Gesù Cristo.
Siete stati scelti da Dio per offrire loro l’acqua viva del Vangelo, inco-
raggiandoli a porre le proprie speranze non nelle vane lusinghe di
questo mondo, bensì nelle solide rassicurazioni del mondo futuro.
Mentre annunciate la venuta del Regno, con le sue promesse di spe-
ranza per i poveri ed i bisognosi, i malati e gli anziani, i non ancora
12
14. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
DISCORSI
nati e gli abbandonati, fate di tutto per presentare nella sua interezza
il messaggio vivificante del Vangelo, compresi quegli elementi che sfi-
dano le diffuse convinzioni della cultura odierna. Come sapete, è stato
di recente costituito un Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizza-
zione dei Paesi di lunga tradizione cristiana, e desidero incoraggiarvi
ad avvalervi dei suoi servigi per affrontare i compiti che vi stanno in-
nanzi. Inoltre, molti dei nuovi movimenti ecclesiali hanno un carisma
particolare per l’evangelizzazione e son certo che continuerete ad
esplorare vie appropriate ed efficaci per coinvolgerli nella missione
della Chiesa.
Dalla vostra visita a Roma, i cambiamenti politici nel Regno Unito
hanno concentrato l’attenzione sulle conseguenze della crisi finanzia-
ria, che ha causato tante privazioni ad innumerevoli persone e tante
famiglie. Lo spettro della disoccupazione sta stendendo le proprie om-
bre sulla vita di molta gente, ed il costo a lungo termine di pratiche
d’investimento dei tempi recenti, mal consigliate, sta diventando
quantomai evidente. In tali circostanze, vi saranno ulteriori appelli alla
caratteristica generosità dei cattolici britannici, e sono certo che voi
sarete in prima linea per esortare alla solidarietà nei confronti dei bi-
sognosi. La voce profetica dei cristiani ha un ruolo importante nel
mettere in evidenza i bisogni dei poveri e degli svantaggiati, che pos-
sono così facilmente essere trascurati nella destinazione di risorse li-
mitate. Nel documento magisteriale Choosing the Common Good, i Ve-
scovi d’Inghilterra e del Galles hanno sottolineato l’importanza della
pratica della virtù nella vita pubblica. Le circostanze odierne offrono
una buona opportunità per rafforzare quel messaggio, e certamente
per incoraggiare le persone ad aspirare ai valori morali più alti in ogni
settore della loro vita, contro un retroterra di crescente cinismo addi-
rittura circa la possibilità di una vita virtuosa.
Un altro argomento che ha ricevuto molta attenzione nei mesi tra-
scorsi e che mina seriamente la credibilità morale dei responsabili del-
la Chiesa è il vergogno abuso di ragazzi e di giovani da parte di sacer-
doti e di religiosi. In molte occasioni ho parlato delle profonde ferite
che tale comportamento ha causato, anzitutto nelle vittime ma anche
nel rapporto di fiducia che dovrebbe esistere fra sacerdoti e popolo,
13
15. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
DISCORSI
fra sacerdoti e i loro Vescovi, come pure fra le autorità della Chiesa e
la gente. So bene che avete fatto passi molto seri per portare rimedio
a questa situazione, per assicurare che i ragazzi siano protetti in ma-
niera efficace da qualsiasi danno, e per affrontare in modo appropria-
to e trasparente le accuse quando esse sorgono. Avete pubblicamente
fatto conoscere il vostro profondo dispiacere per quanto accaduto e
per i modi spesso inadeguati con i quali, in passato, si è affrontata la
questione. La vostra crescente comprensione dell’estensione degli
abusi sui ragazzi nella società, dei suoi effetti devastanti, e della ne-
cessità di fornire adeguato sostegno alle vittime, dovrebbe servire da
incentivo per condividere, con la società più ampia, la lezione da voi
appresa. In realtà, quale via migliore potrebbe esserci se non quella di
fare riparazione per tali peccati avvicinandovi, in umile spirito di com-
passione, ai ragazzi che soffrono anche altrove per gli abusi? Il nostro
dovere di prenderci cura della gioventù esige proprio questo e niente
di meno.
Mentre riflettiamo sulla fragilità umana che questi tragici eventi ri-
velano in maniera così dura, ci viene ricordato che, per essere guide
cristiane efficaci, dobbiamo vivere nella più alta integrità, umiltà e
santità. Come scrisse una volta il beato John Henry Newman: “Che
Dio ci doni dei sacerdoti che sappiano sentire la propria debolezza di
peccatori, e che il popolo li sappia compatire ed amare e pregare per
la loro crescita in ogni buon dono di grazia” (Sermon, 22 marzo
1829). 191). Prego che fra le grazie di questa visita vi sia un rinnovato
impegno da parte delle guide cristiane alla vocazione profetica che
hanno ricevuto, e un nuovo apprezzamento da parte del popolo per il
grande dono del ministero ordinato. Sgorgheranno così spontanea-
mente le preghiere per le vocazioni, e possiamo esser fiduciosi che il
Signore risponderà inviando operai che raccolgano l’abbondante mes-
se che ha preparato in tutto il Regno Unito (cfr Mt 9,37-38). A tale
proposito sono lieto di avere l’opportunità di incontrare fra poco i se-
minaristi dell’Inghilterra, della Scozia e del Galles per rassicurarli delle
mie preghiere, mentre si preparano a far la loro parte per raccogliere
quella messe.
14
16. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
DISCORSI
Infine vorrei parlarvi di due materie specifiche che riguardano in
questo tempo il vostro ministero episcopale. Una è l’imminente pub-
blicazione della nuova traduzione del Messale Romano. In questa cir-
costanza desidero ringraziare tutti voi per il contributo dato, con così
minuziosa cura, all’esercizio collegiale nella revisione e nell’approva-
zione dei testi. Ciò ha fornito un immenso servizio ai cattolici di tutto
il mondo anglofono. Vi incoraggio a cogliere l’occasione che questa
nuova traduzione offre, per una approfondita catechesi sull’Eucaristia
e per una rinnovata devozione nei modi in cui essa viene celebrata.
“Quanto più viva è la fede eucaristica nel popolo di Dio, tanto più
profonda è la sua partecipazione alla vita ecclesiale che Cristo ha affi-
dato ai suoi discepoli” (Sacramentum caritatis, 6). L’altro punto lo
sollevai in febbraio con i Vescovi dell’Inghilterra e del Galles, quando
vi chiesi di essere generosi nel porre in atto la Costituzione apostolica
Anglicanorum coetibus. Questo dovrebbe essere considerato un gesto
profetico che può contribuire positivamente allo sviluppo delle rela-
zioni fra anglicani e cattolici. Ci aiuta a volgere lo sguardo allo scopo
ultimo di ogni attività ecumenica: la restaurazione della piena comu-
nione ecclesiale nel contesto della quale il reciproco scambio di doni
dai nostri rispettivi patrimoni spirituali, serve da arricchimento per noi
tutti. Continuiamo a pregare e ad operare incessantemente per affret-
tare il lieto giorno in cui quel traguardo potrà essere raggiunto.
Con tali sentimenti vi ringrazio cordialmente per la vostra ospitalità
durante questi ultimi quattro giorni. Nell’affidare voi e il popolo che
servite all’intercessione di sant’Andrea, san Davide e san Giorgio, vo-
lentieri imparto la Benedizione Apostolica a voi, al clero, ai religiosi e
ai laici dell’Inghilterra, della Scozia e del Galles.
15
17. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
DISCORSI
All’incontro con i sacerdoti, i religiosi,
le religiose e i seminaristi
Cattedrale di Palermo
Domenica, 3 ottobre 2010
Venerati Fratelli nell’Episcopato,
cari fratelli e sorelle!
In questa mia visita pastorale nella vostra terra non poteva mancare
l’incontro con voi. Grazie per la vostra accoglienza! Mi è piaciuto il
parallelismo, nelle parole dell’Arcivescovo, tra la bellezza della Catte-
drale e quella dell’edificio di “pietre vive” che siete voi. Sì, in questo
breve ma intenso momento con voi io posso ammirare il volto della
Chiesa, nella varietà dei suoi doni. E, come Successore di Pietro, ho la
gioia di confermarvi nell’unica fede e nella profonda comunione che
il Signore Gesù Cristo ci ha acquistato. A Mons. Paolo Romeo esprimo
la mia gratitudine, e la estendo al Vescovo Ausiliare. A voi, cari pre-
sbiteri di questa Arcidiocesi e di tutte le Diocesi della Sicilia, a voi, ca-
ri diaconi e seminaristi, e a voi, religiosi e religiose, e laici consacrati,
rivolgo il mio saluto più cordiale, e vorrei farlo arrivare a tutti i confra-
telli e le consorelle della Sicilia, in modo speciale a quelli che sono
malati e molto anziani.
L’adorazione eucaristica, che abbiamo avuto la grazia e la gioia di
condividere, ci ha svelato e ci ha fatto sentire il senso profondo di ciò
che siamo: membra del Corpo di Cristo che è la Chiesa. Prostrato da-
vanti a Gesù, qui in mezzo a voi, gli ho chiesto di infiammare i vostri
cuori con la sua carità, così che siate assimilati a Lui e possiate imitar-
lo nella più completa e generosa donazione alla Chiesa e ai fratelli.
Cari sacerdoti, vorrei rivolgermi prima di tutto a voi. So che lavora-
te con zelo e intelligenza, senza risparmio di energie. Il Signore Gesù,
al quale avete consacrato la vita, è con voi! Siate sempre uomini di
preghiera, per essere anche maestri di preghiera. Le vostre giornate
siano scandite dai tempi dell’orazione, durante i quali, sul modello di
16
18. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
DISCORSI
Gesù, vi intrattenete in colloquio rigenerante con il Padre. Non è faci-
le mantenersi fedeli a questi quotidiani appuntamenti con il Signore,
soprattutto oggi che il ritmo della vita si è fatto frenetico e le occupa-
zioni assorbono in misura sempre maggiore. Dobbiamo tuttavia con-
vincerci: il momento della preghiera è fondamentale: in essa, agisce
con più efficacia la grazia divina, dando fecondità al ministero. Tante
cose ci premono, ma se non siamo interiormente in comunione con
Dio non possiamo dare niente neppure agli altri. Dobbiamo sempre
riservare il tempo necessario per “stare con lui” (cfr Mc 3,14).
Il Concilio Vaticano II a proposito dei sacerdoti afferma: “È nel cul-
to eucaristico o sinassi che essi esercitano soprattutto il loro ministero
sacro” (Cost. dogm. Lumen gentium, 28). L’Eucaristia è la sorgente e il
culmine di tutta la vita cristiana. Cari fratelli sacerdoti, possiamo dire
che lo è per noi, per la nostra vita sacerdotale? Quale cura poniamo
nel prepararci alla santa Messa, nel celebrarla, nel rimanere in adora-
zione? Le nostre chiese sono veramente “casa di Dio”, dove la sua
presenza attira la gente, che purtroppo oggi sente spesso l’assenza di
Dio?
Il Sacerdote trova sempre, ed in maniera immutabile, la sorgente
della propria identità in Cristo Sacerdote. Non è il mondo a fissare il
nostro statuto, secondo i bisogni e le concezioni dei ruoli sociali. Il
prete è segnato dal sigillo del Sacerdozio di Cristo, per partecipare al-
la sua funzione di unico Mediatore e Redentore. In forza di questo le-
game fondamentale, si apre al sacerdote il campo immenso del servi-
zio delle anime, per la loro salvezza in Cristo e nella Chiesa. Un servi-
zio che deve essere completamente ispirato dalla carità di Cristo. Dio
vuole che tutti gli uomini siano salvi, che nessuno si perda. Diceva il
Santo Curato d’Ars: “Il sacerdote dev’essere sempre pronto a risponde-
re ai bisogni delle anime. Egli non è per sé, è per voi”. Il sacerdote è
per i fedeli: li anima e li sostiene nell’esercizio del sacerdozio comune
dei battezzati, nel loro cammino di fede, nel coltivare la speranza, nel
vivere la carità, l’amore di Cristo. Cari sacerdoti, abbiate sempre una
particolare attenzione anche per il mondo giovanile. Come disse in
questa terra il Venerabile Giovanni Paolo II, spalancate le porte delle
17
19. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
DISCORSI
vostre parrocchie ai giovani, perché possano aprire le porte del loro
cuore a Cristo! Mai le trovino chiuse!
Il Sacerdote non può restare lontano dalle preoccupazioni quotidia-
ne del Popolo di Dio; anzi, deve essere vicinissimo, ma da sacerdote,
sempre nella prospettiva della salvezza e del Regno di Dio. Egli è te-
stimone e dispensatore di una vita diversa da quella terrena (cfr Decr.
Presbyterorum Ordinis, 3). Egli è portatore di una speranza forte, di
una “speranza affidabile”, quella di Cristo, con la quale affrontare il
presente, anche se spesso faticoso (cfr Enc. Spe salvi, 1). E’ essenziale
per la Chiesa che l’identità del sacerdote sia salvaguardata, con la sua
dimensione “verticale”. La vita e la personalità di san Giovanni Maria
Vianney, ma anche di tanti Santi della vostra terra, come sant’Annibale
Maria di Francia, il beato Giacomo Cusmano o il beato Francesco
Spoto, ne sono una dimostrazione particolarmente illuminante e vigo-
rosa.
La Chiesa di Palermo ha ricordato recentemente l’anniversario del
barbaro assassinio di Don Giuseppe Puglisi, appartenente a questo
presbiterio, ucciso dalla mafia. Egli aveva un cuore che ardeva di au-
tentica carità pastorale; nel suo zelante ministero ha dato largo spazio
all’educazione dei ragazzi e dei giovani, ed insieme si è adoperato
perché ogni famiglia cristiana vivesse la fondamentale vocazione di
prima educatrice della fede dei figli. Lo stesso popolo affidato alle sue
cure pastorali ha potuto abbeverarsi alla ricchezza spirituale di questo
buon pastore, del quale è in corso la causa di Beatificazione. Vi esor-
to a conservare viva memoria della sua feconda testimonianza sacer-
dotale imitandone l’eroico esempio.
Con grande affetto mi rivolgo anche a voi, che in varie forme ed
istituti vivete la consacrazione a Dio in Cristo e nella Chiesa. Un parti-
colare pensiero ai monaci e alle monache di clausura, il cui servizio di
preghiera è così prezioso per la Comunità ecclesiale. Cari fratelli e so-
relle, continuate a seguire Gesù senza compromessi, come viene pro-
posto nel Vangelo, dando così testimonianza della bellezza di essere
cristiani in maniera radicale. Spetta in particolare a voi tenere viva nei
battezzati la consapevolezza delle esigenze fondamentali del Vangelo.
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20. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
DISCORSI
Infatti, la vostra stessa presenza e il vostro stile infondono alla Comu-
nità ecclesiale un prezioso impulso verso la “misura alta” della vita vo-
cazione cristiana; anzi potremmo dire che la vostra esistenza costitui-
sce come una predicazione, assai eloquente, anche se spesso silenzio-
sa. Il vostro, carissimi, è un genere di vita antico e sempre nuovo, no-
nostante la diminuzione del numero e delle forze. Ma abbiate fiducia:
i nostri tempi non sono quelli di Dio e della sua provvidenza. E’ ne-
cessario pregare e crescere nella santità personale e comunitaria. Il Si-
gnore poi provvede!
Con affetto di predilezione saluto voi, cari seminaristi, e vi esorto a
rispondere con generosità alla chiamata del Signore e alle attese del
Popolo di Dio, crescendo nell’identificazione con Cristo, il Sommo Sa-
cerdote, preparandovi alla missione con una solida formazione uma-
na, spirituale, teologica e culturale. Il Seminario è quanto mai prezio-
so per il vostro futuro, perché, attraverso un’esperienza completa e un
lavoro paziente, vi conduce ad essere pastori d’anime e maestri di fe-
de, ministri dei santi misteri e portatori della carità di Cristo. Vivete
con impegno questo tempo di grazia e conservate nel cuore la gioia e
lo slancio del primo momento della chiamata e del vostro “sì”, quan-
do, rispondendo alla voce misteriosa di Cristo, avete dato una svolta
decisiva alla vostra vita. Siate docili alle direttive dei superiori e dei re-
sponsabili della vostra crescita in Cristo, e imparate da Lui l’amore per
ogni figlio di Dio e della Chiesa.
Cari fratelli e sorelle, mentre vi ringrazio ancora per il vostro affet-
to, vi assicuro il mio ricordo nella preghiera, perché proseguiate con
rinnovato slancio e con forte speranza il cammino di fedele adesione
a Cristo e di generoso servizio alla Chiesa. Vi assista sempre la Vergine
Maria, nostra Madre; vi proteggano santa Rosalia e tutti i Santi patroni
di questa terra di Sicilia; e vi accompagni anche la Benedizione Apo-
stolica, che imparto di cuore a voi e alle vostre comunità.
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21. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
DISCORSI
All’incontro con i ragazzi e i giovanissimi
dell’Azione Cattolica Italiana
Piazza San Pietro
Sabato, 30 ottobre 2010
Domanda del ragazzo ACR:
Santità, cosa significa diventare grandi? Cosa devo fare per crescere
seguendo Gesù? Chi mi può aiutare?
Cari amici dell’Azione Cattolica Italiana!
Sono semplicemente felice di incontrarvi, così numerosi, su questa
bella piazza e vi ringrazio di cuore per il vostro affetto! A tutti voi ri-
volgo il mio benvenuto. In particolare, saluto il Presidente, Prof. Fran-
co Miano, e l’Assistente Generale, Mons. Domenico Sigalini. Saluto il
Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale
Italiana, gli altri Vescovi, i sacerdoti, gli educatori e i genitori che han-
no voluto accompagnarvi.
Allora, ho ascoltato la domanda del ragazzo dell’ACR. La risposta
più bella su che cosa significa diventare grandi la portate scritta voi
tutti sulle vostre magliette, sui cappellini, sui cartelloni: “C’è di più”.
Questo vostro motto, che non conoscevo, mi fa riflettere. Che cosa fa
un bambino per vedere se diventa grande? Confronta la sua altezza
con quella dei compagni; e immagina di diventare più alto, per sentir-
si più grande. Io, quando sono stato ragazzo, alla vostra età, nella mia
classe ero uno dei più piccoli, e tanto più ho avuto il desiderio di es-
sere un giorno molto grande; e non solo grande di misura, ma volevo
fare qualcosa di grande, di più nella mia vita, anche se non conosce-
vo questa parola “c’è di più”. Crescere in altezza implica questo “c’è
di più”. Ve lo dice il vostro cuore, che desidera avere tanti amici, che
è contento quando si comporta bene, quando sa dare gioia al papà e
alla mamma, ma soprattutto quando incontra un amico insuperabile,
buonissimo e unico che è Gesù. Voi sapete quanto Gesù voleva bene
ai bambini e ai ragazzi! Un giorno tanti bambini come voi si avvicina-
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22. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
DISCORSI
rono a Gesù, perché si era stabilita una bella intesa, e nel suo sguardo
coglievano il riflesso dell’amore di Dio; ma c’erano anche degli adulti
che invece si sentivano disturbati da quei bambini. Capita anche a voi
che qualche volta, mentre giocate, vi divertite con gli amici, i grandi
vi dicono di non disturbare… Ebbene, Gesù rimprovera proprio que-
gli adulti e dice loro: Lasciate qui tutti questi ragazzi, perché hanno
nel cuore il segreto del Regno di Dio. Così Gesù ha insegnato agli
adulti che anche voi siete “grandi” e che gli adulti devono custodire
questa grandezza, che è quella di avere un cuore che vuole bene a
Gesù. Cari bambini, cari ragazzi: essere “grandi” vuol dire amare tanto
Gesù, ascoltarlo e parlare con Lui nella preghiera, incontrarlo nei Sa-
cramenti, nella Santa Messa, nella Confessione; vuole dire conoscerlo
sempre di più e anche farlo conoscere agli altri, vuol dire stare con gli
amici, anche i più poveri, gli ammalati, per crescere insieme. E l’ACR
è proprio parte di quel “di più”, perché non siete soli a voler bene a
Gesù - siete in tanti, lo vediamo anche questa mattina! -, ma vi aiutate
gli uni gli altri; perché non volete lasciare che nessun amico sia solo,
ma a tutti volete dire forte che è bello avere Gesù come amico ed è
bello essere amici di Gesù; ed è bello esserlo insieme, aiutati dai vo-
stri genitori, sacerdoti, animatori! Così diventate grandi davvero, non
solo perché la vostra altezza aumenta, ma perché il vostro cuore si
apre alla gioia e all’amore che Gesù vi dona. E così si apre alla vera
grandezza, stare nel grande amore di Dio, che è anche sempre amore
degli amici. Speriamo e preghiamo di crescere in questo senso, di tro-
vare il “di più” e di essere veramente persone con un cuore grande,
con un Amico grande che dà la sua grandezza anche a noi. Grazie.
Domanda della giovanissima:
Santità, i nostri educatori dell’Azione Cattolica ci dicono che per di-
ventare grandi occorre imparare ad amare, ma spesso noi ci per-
diamo e soffriamo nelle nostre relazioni, nelle nostre amicizie, nei
nostri primi amori. Ma cosa significa amare fino in fondo? Come
possiamo imparare ad amare davvero?
Una grande questione. E’ molto importante, direi fondamentale im-
parare ad amare, amare veramente, imparare l’arte del vero amore!
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23. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
DISCORSI
Nell’adolescenza ci si ferma davanti allo specchio e ci si accorge che
si sta cambiando. Ma fino a quando si continua a guardare se stessi,
non si diventa mai grandi! Diventate grandi quando non permettete
più allo specchio di essere l’unica verità di voi stessi, ma quando la
lasciate dire a quelli che vi sono amici. Diventate grandi se siete capa-
ci di fare della vostra vita un dono agli altri, non di cercare se stessi,
ma di dare se stessi agli altri: questa è la scuola dell’amore. Questo
amore, però, deve portarsi dentro quel “di più” che oggi gridate a tut-
ti. “C’è di più”! Come vi ho già detto, anch’io nella mia giovinezza vo-
levo qualcosa di più di quello che mi presentava la società e la men-
talità del tempo. Volevo respirare aria pura, soprattutto desideravo un
mondo bello e buono, come lo aveva voluto per tutti il nostro Dio, il
Padre di Gesù. E ho capito sempre di più che il mondo diventa bello
e diventa buono se si conosce questa volontà di Dio e se il mondo è
in corrispondenza con questa volontà di Dio, che è la vera luce, la
bellezza, l’amore che dà senso al mondo.
E’ proprio vero: voi non potete e non dovete adattarvi ad un amore
ridotto a merce di scambio, da consumare senza rispetto per sé e per
gli altri, incapace di castità e di purezza. Questa non è libertà. Molto
“amore” proposto dai media, in internet, non è amore, ma è egoismo,
chiusura, vi dà l’illusione di un momento, ma non vi rende felici, non
vi fa grandi, vi lega come una catena che soffoca i pensieri e i senti-
menti più belli, gli slanci veri del cuore, quella forza insopprimibile
che è l’amore e che trova in Gesù la sua massima espressione e nello
Spirito Santo la forza e il fuoco che incendia le vostre vite, i vostri
pensieri, i vostri affetti. Certo costa anche sacrificio vivere in modo ve-
ro l’amore - senza rinunce non si arriva a questa strada - ma sono si-
curo che voi non avete paura della fatica di un amore impegnativo e
autentico, E’ l’unico che, in fin dei conti, dà la vera gioia! C’è una pro-
va che vi dice se il vostro amore sta crescendo bene: se non escludete
dalla vostra vita gli altri, soprattutto i vostri amici che soffrono e sono
soli, le persone in difficoltà, e se aprite il vostro cuore al grande Ami-
co che è Gesù. Anche l’Azione Cattolica vi insegna le strade per impa-
rare l’amore autentico: la partecipazione alla vita della Chiesa, della
vostra comunità cristiana, il voler bene ai vostri amici del gruppo di
ACR, di AC, la disponibilità verso i coetanei che incontrate a scuola,
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24. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
DISCORSI
in parrocchia o in altri ambienti, la compagnia della Madre di Gesù,
Maria, che sa custodire il vostro cuore e guidarvi nella via del bene.
Del resto, nell’Azione Cattolica, avete tanti esempi di amore genuino,
bello, vero: il beato Pier Giorgio Frassati, il beato Alberto Marvelli;
amore che arriva anche al sacrificio della vita, come la beata Pierina
Morosini e la beata Antonia Mesina.
Giovanissimi di Azione Cattolica, aspirate a mete grandi, perché
Dio ve ne dà la forza. Il “di più” è essere ragazzi e giovanissimi che
decidono di amare come Gesù, di essere protagonisti della propria vi-
ta, protagonisti nella Chiesa, testimoni della fede tra i vostri coetanei.
Il “di più” è la formazione umana e cristiana che sperimentate in AC,
che unisce la vita spirituale, la fraternità, la testimonianza pubblica
della fede, la comunione ecclesiale, l’amore per la Chiesa, la collabo-
razione con i Vescovi e i sacerdoti, l’amicizia spirituale. “Diventare
grandi insieme” dice l’importanza di far parte di un gruppo e di una
comunità che vi aiutano a crescere, a scoprire la vostra vocazione e a
imparare il vero amore. Grazie.
Domanda dell’educatrice:
Santità, cosa significa oggi essere educatori? Come affrontare le dif-
ficoltà che incontriamo nel nostro servizio? E come fare in modo
che siano tutti a prendersi cura del presente e del futuro delle nuove
generazioni? Grazie.
Una grande domanda. Lo vediamo in questa situazione del proble-
ma dell’educazione. Direi che essere educatori significa avere una
gioia nel cuore e comunicarla a tutti per rendere bella e buona la vita;
significa offrire ragioni e traguardi per il cammino della vita, offrire la
bellezza della persona di Gesù e far innamorare di Lui, del suo stile di
vita, della sua libertà, del suo grande amore pieno di fiducia in Dio
Padre. Significa soprattutto tenere sempre alta la meta di ogni esisten-
za verso quel “di più” che ci viene da Dio. Questo esige una cono-
scenza personale di Gesù, un contatto personale, quotidiano, amore-
vole con Lui nella preghiera, nella meditazione sulla Parola di Dio,
nella fedeltà ai Sacramenti, all’Eucaristia, alla Confessione; esige di co-
municare la gioia di essere nella Chiesa, di avere amici con cui condi-
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25. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
DISCORSI
videre non solo le difficoltà, ma anche le bellezze e le sorprese della
vita di fede.
Voi sapete bene che non siete padroni dei ragazzi, ma servitori del-
la loro gioia a nome di Gesù, guide verso di Lui. Avete ricevuto il
mandato dalla Chiesa per questo compito. Quando aderite all’Azione
Cattolica dite a voi stessi e a tutti che amate la Chiesa, che siete dispo-
sti ad essere corresponsabili con i Pastori della sua vita e della sua
missione, in un’associazione che si spende per il bene delle persone,
per i loro e vostri cammini di santità, per la vita delle comunità cristia-
ne nella quotidianità della loro missione. Voi siete dei buoni educatori
se sapete coinvolgere tutti per il bene dei più giovani. Non potete es-
sere autosufficienti, ma dovete far sentire l’urgenza dell’educazione
delle giovani generazioni a tutti i livelli. Senza la presenza della fami-
glia, ad esempio, rischiate di costruire sulla sabbia; senza una collabo-
razione con la scuola non si forma un’intelligenza profonda della fe-
de; senza un coinvolgimento dei vari operatori del tempo libero e del-
la comunicazione la vostra opera paziente rischia di non essere effica-
ce, di non incidere sulla vita quotidiana. Io sono sicuro che l’Azione
Cattolica è ben radicata nel territorio e ha il coraggio di essere sale e
luce. La vostra presenza qui, stamattina, dice non solo a me, ma a tutti
che è possibile educare, che è faticoso ma bello dare entusiasmo ai
ragazzi e ai giovanissimi. Abbiate il coraggio, vorrei dire l’audacia di
non lasciare nessun ambiente privo di Gesù, della sua tenerezza che
fate sperimentare a tutti, anche ai più bisognosi e abbandonati, con la
vostra missione di educatori.
Cari amici, alla fine vi ringrazio per aver partecipato a questo in-
contro. Mi piacerebbe fermarmi ancora con voi, perché quando sono
in mezzo a tanta gioia ed entusiasmo, anche io sono pieno di gioia,
mi sento ringiovanito! Ma purtroppo il tempo passa veloce, mi aspet-
tano altri. Ma col cuore sono con voi e rimango con voi! E vi invito,
cari amici, a continuare nel vostro cammino, ad essere fedeli all’iden-
tità e alla finalità dell’Azione Cattolica. La forza dell’amore di Dio può
compiere in voi grandi cose. Vi assicuro che mi ricordo di tutti nella
mia preghiera e vi affido alla materna intercessione della Vergine Ma-
ria, Madre della Chiesa, perché come lei possiate testimoniare che “c’è
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26. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
DISCORSI
di più”, la gioia della vita piena della presenza del Signore. Grazie a
tutti voi di cuore!
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27. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
MESSAGGI
Pasqua 2010
“CANTEMUS DOMINO: GLORIOSE ENIM MAGNIFICATUS EST”.
“CANTIAMO AL SIGNORE: È VERAMENTE GLORIOSO!”
(Liturgia delle Ore, Pasqua, Ufficio di Lettura, Ant. 1)
Cari fratelli e sorelle!
Vi reco l’annuncio della Pasqua con queste parole della Liturgia,
che riecheggiano l’antichissimo inno di lode degli ebrei dopo il pas-
saggio del Mar Rosso. Narra il Libro dell’Esodo (cfr 15,19-21) che
quando ebbero attraversato il mare all’asciutto e videro gli egiziani
sommersi dalle acque, Miriam – la sorella di Mosè e di Aronne – e le
altre donne intonarono danzando questo canto di esultanza: “Cantate
al Signore, / perché ha mirabilmente trionfato: / cavallo e cavaliere /
ha gettato nel mare!”. I cristiani, in tutto il mondo, ripetono questo
cantico nella Veglia pasquale, ed una speciale preghiera ne spiega il
significato; una preghiera che ora, nella piena luce della Risurrezione,
con gioia facciamo nostra: “O Dio, anche ai nostri tempi vediamo ri-
splendere i tuoi antichi prodigi: ciò che facesti con la tua mano poten-
te per liberare un solo popolo dall’oppressione del faraone, ora lo
compi attraverso l’acqua del Battesimo per la salvezza di tutti i popoli;
concedi che l’umanità intera sia accolta tra i figli di Abramo e parteci-
pi alla dignità del popolo eletto”.
Il Vangelo ci ha rivelato il compimento delle antiche figure: con la
sua morte e risurrezione, Gesù Cristo ha liberato l’uomo dalla schia-
vitù radicale, quella del peccato, e gli ha aperto la strada verso la vera
Terra promessa, il Regno di Dio, Regno universale di giustizia, di amo-
re e di pace. Questo “esodo” avviene prima di tutto dentro l’uomo
stesso, e consiste in una nuova nascita nello Spirito Santo, effetto del
Battesimo che Cristo ci ha donato proprio nel mistero pasquale. L’uo-
mo vecchio lascia il posto all’uomo nuovo; la vita di prima è alle spal-
le, si può camminare in una vita nuova (cfr Rm 6,4). Ma l’“esodo” spi-
rituale è principio di una liberazione integrale, capace di rinnovare
ogni dimensione umana, personale e sociale.
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28. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
MESSAGGI
Sì, fratelli, la Pasqua è la vera salvezza dell’umanità! Se Cristo – l’A-
gnello di Dio – non avesse versato il suo Sangue per noi, non avrem-
mo alcuna speranza, il destino nostro e del mondo intero sarebbe ine-
vitabilmente la morte. Ma la Pasqua ha invertito la tendenza: la Risur-
rezione di Cristo è una nuova creazione, come un innesto che può ri-
generare tutta la pianta. E’ un avvenimento che ha modificato l’orien-
tamento profondo della storia, sbilanciandola una volta per tutte dalla
parte del bene, della vita, del perdono. Siamo liberi, siamo salvi! Ecco
perché dall’intimo del cuore esultiamo: “Cantiamo al Signore: è vera-
mente glorioso!”.
Il popolo cristiano, uscito dalle acque del Battesimo, è inviato in
tutto il mondo a testimoniare questa salvezza, a portare a tutti il frutto
della Pasqua, che consiste in una vita nuova, liberata dal peccato e re-
stituita alla sua bellezza originaria, alla sua bontà e verità. Continua-
mente, nel corso di duemila anni, i cristiani – specialmente i santi –
hanno fecondato la storia con l’esperienza viva della Pasqua. La Chie-
sa è il popolo dell’esodo, perché costantemente vive il mistero pa-
squale e diffonde la sua forza rinnovatrice in ogni tempo e in ogni
luogo. Anche ai nostri giorni l’umanità ha bisogno di un “esodo”, non
di aggiustamenti superficiali, ma di una conversione spirituale e mora-
le. Ha bisogno della salvezza del Vangelo, per uscire da una crisi che
è profonda e come tale richiede cambiamenti profondi, a partire dalle
coscienze.
Al Signore Gesù chiedo che in Medio Oriente, ed in particolare nel-
la Terra santificata dalla sua morte e risurrezione, i Popoli compiano
un “esodo” vero e definitivo dalla guerra e dalla violenza alla pace ed
alla concordia. Alle comunità cristiane, che, specialmente in Iraq, co-
noscono prove e sofferenze, il Risorto ripeta la parola carica di conso-
lazione e di incoraggiamento che rivolse agli Apostoli nel Cenacolo:
“Pace a voi!” (Gv 20,21).
Per quei Paesi Latino-americani e dei Caraibi che sperimentano una
pericolosa recrudescenza dei crimini legati al narcotraffico, la Pasqua
di Cristo segni la vittoria della convivenza pacifica e del rispetto per il
bene comune. La diletta popolazione di Haiti, devastata dall’immane
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29. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
MESSAGGI
tragedia del terremoto, compia il suo “esodo” dal lutto e dalla dispera-
zione ad una nuova speranza, sostenuta dalla solidarietà internaziona-
le. Gli amati cittadini cileni, prostrati da un’altra grave catastrofe, ma
sorretti dalla fede, affrontino con tenacia l’opera di ricostruzione.
Nella forza di Gesù risorto, in Africa si ponga fine ai conflitti che
continuano a provocare distruzione e sofferenze e si raggiunga quella
pace e quella riconciliazione che sono garanzie di sviluppo. In parti-
colare, affido al Signore il futuro della Repubblica Democratica del
Congo, della Guinea e della Nigeria.
Il Risorto sostenga i cristiani che, per la loro fede, soffrono la per-
secuzione e persino la morte, come in Pakistan. Ai Paesi afflitti dal ter-
rorismo e dalle discriminazioni sociali o religiose, Egli conceda la for-
za di intraprendere percorsi di dialogo e di convivenza serena. Ai re-
sponsabili di tutte le Nazioni, la Pasqua di Cristo rechi luce e forza,
perché l’attività economica e finanziaria sia finalmente impostata se-
condo criteri di verità, di giustizia e di aiuto fraterno. La potenza salvi-
fica della risurrezione di Cristo investa tutta l’umanità, affinché essa
superi le molteplici e tragiche espressioni di una “cultura di morte”
che tende a diffondersi, per edificare un futuro di amore e di verità, in
cui ogni vita umana sia rispettata ed accolta.
Cari fratelli e sorelle! La Pasqua non opera alcuna magia. Come al
di là del Mar Rosso gli ebrei trovarono il deserto, così la Chiesa, dopo
la Risurrezione, trova sempre la storia con le sue gioie e le sue spe-
ranze, i suoi dolori e le sue angosce. E tuttavia, questa storia è cam-
biata, è segnata da un’alleanza nuova ed eterna, è realmente aperta al
futuro. Per questo, salvati nella speranza, proseguiamo il nostro pelle-
grinaggio, portando nel cuore il canto antico e sempre nuovo: “Can-
tiamo al Signore: è veramente glorioso!”.
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30. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
MESSAGGI
Per la Giornata Mondiale
del Migrante e del Rifugiato (2010)
"I MIGRANTI E I RIFUGIATI MINORENNI"
Cari fratelli e sorelle,
la celebrazione della Giornata del Migrante e del Rifugiato mi offre
nuovamente l'occasione di manifestare la costante sollecitudine che la
Chiesa nutre verso coloro che vivono, in vari modi, l'esperienza dell'e-
migrazione. Si tratta di un fenomeno che, come ho scritto nell'Encicli-
ca Caritas in veritate, impressiona per il numero di persone coinvolte,
per le problematiche sociali, economiche, politiche, culturali e religio-
se che solleva, per le sfide drammatiche che pone alle comunità na-
zionali e a quella internazionale. Il migrante è una persona umana
con diritti fondamentali inalienabili da rispettare sempre e da tutti (cfr
n. 62). Il tema di quest'anno - "I migranti e i rifugiati minorenni" toc-
ca un aspetto che i cristiani valutano con grande attenzione, memori
del monito di Cristo, il quale nel giudizio finale considererà riferito a
Lui stesso tutto ciò che è stato fatto o negato "a uno solo di questi più
piccoli" (cfr Mt 25, 40.45). E come non considerare tra "i più piccoli"
anche i minori migranti e rifugiati? Gesù stesso da bambino ha vissuto
l'esperienza del migrante perché, come narra il Vangelo, per sfuggire
alle minacce di Erode dovette rifugiarsi in Egitto insieme a Giuseppe e
Maria (cfr Mt 2,14).
Se la Convenzione dei Diritti del Bambino afferma con chiarezza
che va sempre salvaguardato l'interesse del minore (cfr art. 3), al qua-
le vanno riconosciuti i diritti fondamentali della persona al pari dell'a-
dulto, purtroppo nella realtà questo non sempre avviene. Infatti, men-
tre cresce nell'opinione pubblica la consapevolezza della necessità di
un'azione puntuale e incisiva a protezione dei minori, di fatto tanti so-
no lasciati in abbandono e, in vari modi, si ritrovano a rischio di sfrut-
tamento. Della drammatica condizione in cui essi versano, si è fatto
interprete il mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II nel messag-
gio inviato il 22 settembre del 1990 al Segretario Generale delle Nazio-
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31. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
MESSAGGI
ni Unite, in occasione del Vertice Mondiale per i Bambini. "Sono testi-
mone - egli scrisse - della straziante condizione di milioni di bambini
di ogni continente. Essi sono più vulnerabili perché meno capaci di
far sentire la loro voce" (Insegnamenti XIII, 2, 1990, p. 672). Auspico
di cuore che si riservi la giusta attenzione ai migranti minorenni, biso-
gnosi di un ambiente sociale che consenta e favorisca il loro sviluppo
fisico, culturale, spirituale e morale. Vivere in un paese straniero sen-
za effettivi punti di riferimento crea ad essi, specialmente a quelli privi
dell'appoggio della famiglia, innumerevoli e talora gravi disagi e diffi-
coltà.
Un aspetto tipico della migrazione minorile è costituito dalla situa-
zione dei ragazzi nati nei paesi ospitanti oppure da quella dei figli che
non vivono con i genitori emigrati dopo la loro nascita, ma li raggiun-
gono successivamente. Questi adolescenti fanno parte di due culture
con i vantaggi e le problematiche connesse alla loro duplice apparte-
nenza, condizione questa che tuttavia può offrire l'opportunità di spe-
rimentare la ricchezza dell'incontro tra differenti tradizioni culturali. È
importante che ad essi sia data la possibilità della frequenza scolastica
e del successivo inserimento nel mondo del lavoro e che ne vada faci-
litata l'integrazione sociale grazie a opportune strutture formative e so-
ciali. Non si dimentichi mai che l'adolescenza rappresenta una tappa
fondamentale per la formazione dell'essere umano.
Una particolare categoria di minori è quella dei rifugiati che chie-
dono asilo, fuggendo per varie ragioni dal proprio paese, dove non ri-
cevono adeguata protezione. Le statistiche rivelano che il loro numero
è in aumento. Si tratta dunque di un fenomeno da valutare con atten-
zione e da affrontare con azioni coordinate, con misure di prevenzio-
ne, di protezione e di accoglienza adatte, secondo quanto prevede
anche la stessa Convenzione dei Diritti del Bambino (cfr art. 22).
Mi rivolgo ora particolarmente alle parrocchie e alle molte associa-
zioni cattoliche che, animate da spirito di fede e di carità, compiono
grandi sforzi per venire incontro alle necessità di questi nostri fratelli e
sorelle. Mentre esprimo gratitudine per quanto si sta facendo con
grande generosità, vorrei invitare tutti i cristiani a prendere consape-
30
32. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
MESSAGGI
volezza della sfida sociale e pastorale che pone la condizione dei mi-
nori migranti e rifugiati. Risuonano nel nostro cuore le parole di Gesù:
"Ero forestiero e mi avete ospitato" (Mt 25,35), come pure il comanda-
mento centrale che Egli ci ha lasciato: amare Dio con tutto il cuore,
con tutta l'anima e con tutta la mente, ma unito all'amore al prossimo
(cfr Mt 22,37-39). Questo ci porta a considerare che ogni nostro con-
creto intervento deve nutrirsi prima di tutto di fede nell'azione della
grazia e della Provvidenza divina. In tal modo anche l'accoglienza e la
solidarietà verso lo straniero, specialmente se si tratta di bambini, di-
viene annuncio del Vangelo della solidarietà. La Chiesa lo proclama
quando apre le sue braccia e opera perché siano rispettati i diritti dei
migranti e dei rifugiati, stimolando i responsabili delle Nazioni, degli
Organismi e delle istituzioni internazionali perché promuovano oppor-
tune iniziative a loro sostegno. Vegli su tutti materna la Beata Vergine
Maria e ci aiuti a comprendere le difficoltà di quanti sono lontani dalla
propria patria. A quanti sono coinvolti nel vasto mondo dei migranti e
rifugiati assicuro la mia preghiera e imparto di cuore la Benedizione
Apostolica.
Dal Vaticano, 16 ottobre 2009
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33. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
LETTERE
Ai Seminaristi
Cari Seminaristi,
nel dicembre 1944, quando fui chiamato al servizio militare, il co-
mandante di compagnia domandò a ciascuno di noi a quale professio-
ne aspirasse per il futuro. Risposi di voler diventare sacerdote cattoli-
co. Il sottotenente replicò: Allora Lei deve cercarsi qualcos’altro. Nella
nuova Germania non c’è più bisogno di preti. Sapevo che questa
“nuova Germania” era già alla fine, e che dopo le enormi devastazioni
portate da quella follia sul Paese, ci sarebbe stato bisogno più che mai
di sacerdoti. Oggi, la situazione è completamente diversa. In vari mo-
di, però, anche oggi molti pensano che il sacerdozio cattolico non sia
una “professione” per il futuro, ma che appartenga piuttosto al passa-
to. Voi, cari amici, vi siete decisi ad entrare in seminario, e vi siete,
quindi, messi in cammino verso il ministero sacerdotale nella Chiesa
Cattolica, contro tali obiezioni e opinioni. Avete fatto bene a farlo.
Perché gli uomini avranno sempre bisogno di Dio, anche nell’epoca
del dominio tecnico del mondo e della globalizzazione: del Dio che ci
si è mostrato in Gesù Cristo e che ci raduna nella Chiesa universale,
per imparare con Lui e per mezzo di Lui la vera vita e per tenere pre-
senti e rendere efficaci i criteri della vera umanità. Dove l’uomo non
percepisce più Dio, la vita diventa vuota; tutto è insufficiente. L’uomo
cerca poi rifugio nell’ebbrezza o nella violenza, dalla quale proprio la
gioventù viene sempre più minacciata. Dio vive. Ha creato ognuno di
noi e conosce, quindi, tutti. È così grande che ha tempo per le nostre
piccole cose: “I capelli del vostro capo sono tutti contati”. Dio vive, e
ha bisogno di uomini che esistono per Lui e che Lo portano agli altri.
Sì, ha senso diventare sacerdote: il mondo ha bisogno di sacerdoti, di
pastori, oggi, domani e sempre, fino a quando esisterà.
Il seminario è una comunità in cammino verso il servizio sacerdota-
le. Con ciò, ho già detto qualcosa di molto importante: sacerdoti non
si diventa da soli. Occorre la “comunità dei discepoli”, l’insieme di co-
loro che vogliono servire la comune Chiesa. Con questa lettera vorrei
32
34. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
LETTERE
evidenziare – anche guardando indietro al mio tempo in seminario –
qualche elemento importante per questi anni del vostro essere in
cammino.
1. Chi vuole diventare sacerdote, dev’essere soprattutto un “uomo
di Dio”, come lo descrive san Paolo (1 Tm 6,11). Per noi Dio non è
un’ipotesi distante, non è uno sconosciuto che si è ritirato dopo il “big
bang”. Dio si è mostrato in Gesù Cristo. Nel volto di Gesù Cristo ve-
diamo il volto di Dio. Nelle sue parole sentiamo Dio stesso parlare
con noi. Perciò la cosa più importante nel cammino verso il sacerdo-
zio e durante tutta la vita sacerdotale è il rapporto personale con Dio
in Gesù Cristo. Il sacerdote non è l’amministratore di una qualsiasi as-
sociazione, di cui cerca di mantenere e aumentare il numero dei
membri. È il messaggero di Dio tra gli uomini. Vuole condurre a Dio
e così far crescere anche la vera comunione degli uomini tra di loro.
Per questo, cari amici, è tanto importante che impariate a vivere in
contatto costante con Dio. Quando il Signore dice: “Pregate in ogni
momento”, naturalmente non ci chiede di dire continuamente parole
di preghiera, ma di non perdere mai il contatto interiore con Dio.
Esercitarsi in questo contatto è il senso della nostra preghiera. Perciò
è importante che il giorno incominci e si concluda con la preghiera.
Che ascoltiamo Dio nella lettura della Scrittura. Che gli diciamo i no-
stri desideri e le nostre speranze, le nostre gioie e sofferenze, i nostri
errori e il nostro ringraziamento per ogni cosa bella e buona, e che in
questo modo Lo abbiamo sempre davanti ai nostri occhi come punto
di riferimento della nostra vita. Così diventiamo sensibili ai nostri erro-
ri e impariamo a lavorare per migliorarci; ma diventiamo sensibili an-
che a tutto il bello e il bene che riceviamo ogni giorno come cosa ov-
via, e così cresce la gratitudine. Con la gratitudine cresce la gioia per
il fatto che Dio ci è vicino e possiamo servirlo.
2. Dio non è solo una parola per noi. Nei Sacramenti Egli si dona a
noi in persona, attraverso cose corporali. Il centro del nostro rapporto
con Dio e della configurazione della nostra vita è l’Eucaristia. Cele-
brarla con partecipazione interiore e incontrare così Cristo in persona,
dev’essere il centro di tutte le nostre giornate. San Cipriano ha inter-
pretato la domanda del Vangelo: “Dacci oggi il nostro pane quotidia-
33
35. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
LETTERE
no”, dicendo, tra l’altro, che “nostro” pane, il pane che possiamo rice-
vere da cristiani nella Chiesa, è il Signore eucaristico stesso. Nella do-
manda del Padre Nostro preghiamo quindi che Egli ci doni ogni gior-
no questo “nostro” pane; che esso sia sempre il cibo della nostra vita.
Che il Cristo risorto, che si dona a noi nell’Eucaristia, plasmi davvero
tutta la nostra vita con lo splendore del suo amore divino. Per la retta
celebrazione eucaristica è necessario anche che impariamo a conosce-
re, capire e amare la liturgia della Chiesa nella sua forma concreta.
Nella liturgia preghiamo con i fedeli di tutti i secoli – passato, presen-
te e futuro si congiungono in un unico grande coro di preghiera. Co-
me posso affermare per il mio cammino personale, è una cosa entu-
siasmante imparare a capire man mano come tutto ciò sia cresciuto,
quanta esperienza di fede ci sia nella struttura della liturgia della Mes-
sa, quante generazioni l’abbiano formata pregando.
3. Anche il sacramento della Penitenza è importante. Mi insegna a
guardarmi dal punto di vista di Dio, e mi costringe ad essere onesto
nei confronti di me stesso. Mi conduce all’umiltà. Il Curato d’Ars ha
detto una volta: Voi pensate che non abbia senso ottenere l’assoluzio-
ne oggi, pur sapendo che domani farete di nuovo gli stessi peccati.
Ma – così dice – Dio stesso dimentica al momento i vostri peccati di
domani, per donarvi la sua grazia oggi. Benché abbiamo da combatte-
re continuamente con gli stessi errori, è importante opporsi all’abbru-
timento dell’anima, all’indifferenza che si rassegna al fatto di essere
fatti così. È importante restare in cammino, senza scrupolosità, nella
consapevolezza riconoscente che Dio mi perdona sempre di nuovo.
Ma anche senza indifferenza, che non farebbe più lottare per la san-
tità e per il miglioramento. E, nel lasciarmi perdonare, imparo anche a
perdonare gli altri. Riconoscendo la mia miseria, divento anche più
tollerante e comprensivo nei confronti delle debolezze del prossimo.
4. Mantenete pure in voi la sensibilità per la pietà popolare, che è
diversa in tutte le culture, ma che è pur sempre molto simile, perché il
cuore dell’uomo alla fine è lo stesso. Certo, la pietà popolare tende al-
l’irrazionalità, talvolta forse anche all’esteriorità. Eppure, escluderla è
del tutto sbagliato. Attraverso di essa, la fede è entrata nel cuore degli
uomini, è diventata parte dei loro sentimenti, delle loro abitudini, del
34
36. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
LETTERE
loro comune sentire e vivere. Perciò la pietà popolare è un grande
patrimonio della Chiesa. La fede si è fatta carne e sangue. Certamente
la pietà popolare dev’essere sempre purificata, riferita al centro, ma
merita il nostro amore, ed essa rende noi stessi in modo pienamente
reale “Popolo di Dio”.
5. Il tempo in seminario è anche e soprattutto tempo di studio. La
fede cristiana ha una dimensione razionale e intellettuale che le è es-
senziale. Senza di essa la fede non sarebbe se stessa. Paolo parla di
una “forma di insegnamento”, alla quale siamo stati affidati nel battesi-
mo (Rm 6,17). Voi tutti conoscete la parola di San Pietro, considerata
dai teologi medioevali la giustificazione per una teologia razionale e
scientificamente elaborata: “Pronti sempre a rispondere a chiunque vi
domandi ‘ragione’ (logos) della speranza che è in voi” (1 Pt 3,15). Im-
parare la capacità di dare tali risposte, è uno dei principali compiti de-
gli anni di seminario. Posso solo pregarvi insistentemente: Studiate
con impegno! Sfruttate gli anni dello studio! Non ve ne pentirete. Cer-
to, spesso le materie di studio sembrano molto lontane dalla pratica
della vita cristiana e dal servizio pastorale. Tuttavia è completamente
sbagliato porre sempre subito la domanda pragmatica: Mi potrà servi-
re questo in futuro? Sarà di utilità pratica, pastorale? Non si tratta ap-
punto soltanto di imparare le cose evidentemente utili, ma di conosce-
re e comprendere la struttura interna della fede nella sua totalità, così
che essa diventi risposta alle domande degli uomini, i quali cambiano,
dal punto di vista esteriore, di generazione in generazione, e tuttavia
restano in fondo gli stessi. Perciò è importante andare oltre le mutevo-
li domande del momento per comprendere le domande vere e pro-
prie e capire così anche le risposte come vere risposte. È importante
conoscere a fondo la Sacra Scrittura interamente, nella sua unità di
Antico e Nuovo Testamento: la formazione dei testi, la loro peculiarità
letteraria, la graduale composizione di essi fino a formare il canone
dei libri sacri, l’interiore unità dinamica che non si trova in superficie,
ma che sola dà a tutti i singoli testi il loro significato pieno. È impor-
tante conoscere i Padri e i grandi Concili, nei quali la Chiesa ha assi-
milato, riflettendo e credendo, le affermazioni essenziali della Scrittu-
ra. Potrei continuare in questo modo: ciò che chiamiamo dogmatica è
il comprendere i singoli contenuti della fede nella loro unità, anzi,
35
37. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
LETTERE
nella loro ultima semplicità: ogni singolo particolare è alla fine solo
dispiegamento della fede nell’unico Dio, che si è manifestato e si ma-
nifesta a noi. Che sia importante conoscere le questioni essenziali del-
la teologia morale e della dottrina sociale cattolica, non ho bisogno di
dirlo espressamente. Quanto importante sia oggi la teologia ecumeni-
ca, il conoscere le varie comunità cristiane, è evidente; parimenti la
necessità di un orientamento fondamentale sulle grandi religioni, e
non da ultima la filosofia: la comprensione del cercare e domandare
umano, al quale la fede vuol dare risposta. Ma imparate anche a com-
prendere e - oso dire – ad amare il diritto canonico nella sua necessità
intrinseca e nelle forme della sua applicazione pratica: una società
senza diritto sarebbe una società priva di diritti. Il diritto è condizione
dell’amore. Ora non voglio continuare ad elencare, ma solo dire anco-
ra una volta: amate lo studio della teologia e seguitelo con attenta
sensibilità per ancorare la teologia alla comunità viva della Chiesa, la
quale, con la sua autorità, non è un polo opposto alla scienza teologi-
ca, ma il suo presupposto. Senza la Chiesa che crede, la teologia
smette di essere se stessa e diventa un insieme di diverse discipline
senza unità interiore.
6. Gli anni nel seminario devono essere anche un tempo di matura-
zione umana. Per il sacerdote, il quale dovrà accompagnare altri lun-
go il cammino della vita e fino alla porta della morte, è importante
che egli stesso abbia messo in giusto equilibrio cuore e intelletto, ra-
gione e sentimento, corpo e anima, e che sia umanamente “integro”.
La tradizione cristiana, pertanto, ha sempre collegato con le “virtù teo-
logali” anche le “virtù cardinali”, derivate dall’esperienza umana e dal-
la filosofia, e in genere la sana tradizione etica dell’umanità. Paolo lo
dice ai Filippesi in modo molto chiaro: “In conclusione, fratelli, quello
che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è pu-
ro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò
che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri” (4,8). Di que-
sto contesto fa parte anche l’integrazione della sessualità nell’insieme
della personalità. La sessualità è un dono del Creatore, ma anche un
compito che riguarda lo sviluppo del proprio essere umano. Quando
non è integrata nella persona, la sessualità diventa banale e distruttiva
allo stesso tempo. Oggi vediamo questo in molti esempi nella nostra
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38. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
LETTERE
società. Di recente abbiamo dovuto constatare con grande dispiacere
che sacerdoti hanno sfigurato il loro ministero con l’abuso sessuale di
bambini e giovani. Anziché portare le persone ad un’umanità matura
ed esserne l’esempio, hanno provocato, con i loro abusi, distruzioni di
cui proviamo profondo dolore e rincrescimento. A causa di tutto ciò
può sorgere la domanda in molti, forse anche in voi stessi, se sia bene
farsi prete; se la via del celibato sia sensata come vita umana. L’abuso,
però, che è da riprovare profondamente, non può screditare la missio-
ne sacerdotale, la quale rimane grande e pura. Grazie a Dio, tutti co-
nosciamo sacerdoti convincenti, plasmati dalla loro fede, i quali testi-
moniano che in questo stato, e proprio nella vita celibataria, si può
giungere ad un’umanità autentica, pura e matura. Ciò che è accaduto,
però, deve renderci più vigilanti e attenti, proprio per interrogare ac-
curatamente noi stessi, davanti a Dio, nel cammino verso il sacerdo-
zio, per capire se ciò sia la sua volontà per me. È compito dei padri
confessori e dei vostri superiori accompagnarvi e aiutarvi in questo
percorso di discernimento. È un elemento essenziale del vostro cam-
mino praticare le virtù umane fondamentali, con lo sguardo rivolto al
Dio manifestato in Cristo, e lasciarsi, sempre di nuovo, purificare da
Lui.
7. Oggi gli inizi della vocazione sacerdotale sono più vari e diversi
che in anni passati. La decisione per il sacerdozio si forma oggi spes-
so nelle esperienze di una professione secolare già appresa. Cresce
spesso nelle comunità, specialmente nei movimenti, che favoriscono
un incontro comunitario con Cristo e la sua Chiesa, un’esperienza spi-
rituale e la gioia nel servizio della fede. La decisione matura anche in
incontri del tutto personali con la grandezza e la miseria dell’essere
umano. Così i candidati al sacerdozio vivono spesso in continenti spi-
rituali completamente diversi. Potrà essere difficile riconoscere gli ele-
menti comuni del futuro mandato e del suo itinerario spirituale. Pro-
prio per questo il seminario è importante come comunità in cammino
al di sopra delle varie forme di spiritualità. I movimenti sono una cosa
magnifica. Voi sapete quanto li apprezzo e amo come dono dello Spi-
rito Santo alla Chiesa. Devono essere valutati, però, secondo il modo
in cui tutti sono aperti alla comune realtà cattolica, alla vita dell’unica
e comune Chiesa di Cristo che in tutta la sua varietà è comunque solo
37
39. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
LETTERE
una. Il seminario è il periodo nel quale imparate l’uno con l’altro e
l’uno dall’altro. Nella convivenza, forse talvolta difficile, dovete impa-
rare la generosità e la tolleranza non solo nel sopportarvi a vicenda,
ma nell’arricchirvi l’un l’altro, in modo che ciascuno possa apportare
le sue peculiari doti all’insieme, mentre tutti servono la stessa Chiesa,
lo stesso Signore. Questa scuola della tolleranza, anzi, dell’accettarsi e
del comprendersi nell’unità del Corpo di Cristo, fa parte degli elemen-
ti importanti degli anni di seminario.
Cari seminaristi! Con queste righe ho voluto mostrarvi quanto pen-
so a voi proprio in questi tempi difficili e quanto vi sono vicino nella
preghiera. E pregate anche per me, perché io possa svolgere bene il
mio servizio, finché il Signore lo vuole. Affido il vostro cammino di
preparazione al Sacerdozio alla materna protezione di Maria Santissi-
ma, la cui casa fu scuola di bene e di grazia. Tutti vi benedica Dio on-
nipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo.
Dal Vaticano, 18 ottobre 2010, Festa di San Luca, Evangelista.
38
40. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
OMELIE
Nella solennità del Natale del Signore
Santa messa di mezzanotte
Venerdì, 24 dicembre 2010
Cari fratelli e sorelle!
“Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato” – con questa parola del
Salmo secondo, la Chiesa inizia la liturgia della Notte Santa. Essa sa
che questa parola originariamente apparteneva al rituale dell’incoro-
nazione dei re d’Israele. Il re, che di per sé è un essere umano come
gli altri uomini, diventa “figlio di Dio” mediante la chiamata e l’inse-
diamento nel suo ufficio: è una specie di adozione da parte di Dio, un
atto di decisione, mediante il quale Egli dona a quell’uomo una nuova
esistenza, lo attrae nel suo proprio essere. In modo ancora più chiaro
la lettura tratta dal profeta Isaia, che abbiamo appena ascoltato, pre-
senta lo stesso processo in una situazione di travaglio e di minaccia
per Israele: “Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle
sue spalle è il potere” (9,5). L’insediamento nell’ufficio del re è come
una nuova nascita. Proprio come nuovo nato dalla decisione persona-
le di Dio, come bambino proveniente da Dio, il re costituisce una
speranza. Sulle sue spalle poggia il futuro. Egli è il detentore della
promessa di pace. Nella notte di Betlemme, questa parola profetica è
diventata realtà in un modo che al tempo di Isaia sarebbe stato ancora
inimmaginabile. Sì, ora è veramente un bambino Colui sulle cui spalle
è il potere. In Lui appare la nuova regalità che Dio istituisce nel mon-
do. Questo bambino è veramente nato da Dio. È la Parola eterna di
Dio, che unisce l’una all’altra umanità e divinità. Per questo bambino
valgono i titoli di dignità che il cantico d’incoronazione di Isaia gli at-
tribuisce: Consigliere mirabile – Dio potente – Padre per sempre –
Principe della pace (9,5). Sì, questo re non ha bisogno di consiglieri
appartenenti ai sapienti del mondo. Egli porta in se stesso la sapienza
e il consiglio di Dio. Proprio nella debolezza dell’essere bambino Egli
è il Dio forte e ci mostra così, di fronte ai poteri millantatori del mon-
do, la fortezza propria di Dio.
39
41. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
OMELIE
Le parole del rituale dell’incoronazione in Israele, in verità, erano
sempre soltanto rituali di speranza, che prevedevano da lontano un
futuro che sarebbe stato donato da Dio. Nessuno dei re salutati in
questo modo corrispondeva alla sublimità di tali parole. In loro, tutte
le parole sulla figliolanza di Dio, sull’insediamento nell’eredità delle
genti, sul dominio delle terre lontane (Sal 2,8) restavano solo rimando
a un avvenire – quasi cartelli segnaletici della speranza, indicazioni
che conducevano verso un futuro che in quel momento era ancora in-
concepibile. Così l’adempimento della parola che inizia nella notte di
Betlemme è al contempo immensamente più grande e – dal punto di
vista del mondo – più umile di ciò che la parola profetica lasciava in-
tuire. È più grande, perché questo bambino è veramente Figlio di Dio,
veramente “Dio da Dio, Luce da Luce, generato, non creato, della
stessa sostanza del Padre”. L’infinita distanza tra Dio e l’uomo è supe-
rata. Dio non si è soltanto chinato verso il basso, come dicono i Salmi;
Egli è veramente “disceso”, entrato nel mondo, diventato uno di noi
per attrarci tutti a sé. Questo bambino è veramente l’Emmanuele – il
Dio-con-noi. Il suo regno si estende veramente fino ai confini della
terra. Nella vastità universale della santa Eucaristia, Egli ha veramente
eretto isole di pace. Ovunque essa viene celebrata si ha un’isola di
pace, di quella pace che è propria di Dio. Questo bambino ha acceso
negli uomini la luce della bontà e ha dato loro la forza di resistere alla
tirannia del potere. In ogni generazione Egli costruisce il suo regno
dal di dentro, a partire dal cuore. Ma è anche vero che “il bastone del-
l’aguzzino” non è stato spezzato. Anche oggi marciano rimbombanti i
calzari dei soldati e sempre ancora e sempre di nuovo c’è il “mantello
intriso di sangue” (Is 9,3s). Così fa parte di questa notte la gioia per la
vicinanza di Dio. Ringraziamo perché Dio, come bambino, si dà nelle
nostre mani, mendica, per così dire, il nostro amore, infonde la sua
pace nel nostro cuore. Questa gioia, tuttavia, è anche una preghiera:
Signore, realizza totalmente la tua promessa. Spezza i bastoni degli
aguzzini. Brucia i calzari rimbombanti. Fa che finisca il tempo dei
mantelli intrisi di sangue. Realizza la promessa: “La pace non avrà fi-
ne” (Is 9,6). Ti ringraziamo per la tua bontà, ma ti preghiamo anche:
mostra la tua potenza. Erigi nel mondo il dominio della tua verità, del
tuo amore – il “regno della giustizia, dell’amore e della pace”.
40
42. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
OMELIE
“Maria diede alla luce il suo figlio primogenito” (Lc 2,7). Con que-
sta frase, san Luca racconta, in modo assolutamente privo di pathos, il
grande evento che le parole profetiche nella storia di Israele avevano
intravisto in anticipo. Luca qualifica il bambino come “primogenito”.
Nel linguaggio formatosi nella Sacra Scrittura dell’Antica Alleanza,
“primogenito” non significa il primo di una serie di altri figli. La parola
“primogenito” è un titolo d’onore, indipendentemente dalla questione
se poi seguono altri fratelli e sorelle o no. Così, nel Libro dell’Esodo
(Es 4,22), Israele viene chiamato da Dio “il mio figlio primogenito”, e
con ciò si esprime la sua elezione, la sua dignità unica, l’amore parti-
colare di Dio Padre. La Chiesa nascente sapeva che in Gesù questa
parola aveva ricevuto una nuova profondità; che in Lui sono riassunte
le promesse fatte ad Israele. Così la Lettera agli Ebrei chiama Gesù “il
primogenito” semplicemente per qualificarLo, dopo le preparazioni
nell’Antico Testamento, come il Figlio che Dio manda nel mondo (cfr
Eb 1,5-7). Il primogenito appartiene in modo particolare a Dio, e per
questo egli – come in molte religioni – doveva essere in modo parti-
colare consegnato a Dio ed essere riscattato mediante un sacrificio so-
stitutivo, come san Luca racconta nell’episodio della presentazione di
Gesù al tempio. Il primogenito appartiene a Dio in modo particolare,
è, per così dire, destinato al sacrificio. Nel sacrificio di Gesù sulla cro-
ce, la destinazione del primogenito si compie in modo unico. In se
stesso, Egli offre l’umanità a Dio e unisce uomo e Dio in modo tale
che Dio sia tutto in tutti. San Paolo, nelle Lettere ai Colossesi e agli
Efesini, ha ampliato ed approfondito l’idea di Gesù come primogeni-
to: Gesù, ci dicono tali Lettere, è il Primogenito della creazione – il
vero archetipo dell’uomo secondo cui Dio ha formato la creatura uo-
mo. L’uomo può essere immagine di Dio, perché Gesù è Dio e Uomo,
la vera immagine di Dio e dell’uomo. Egli è il primogenito dei morti,
ci dicono inoltre queste Lettere. Nella Risurrezione, Egli ha sfondato il
muro della morte per tutti noi. Ha aperto all’uomo la dimensione della
vita eterna nella comunione con Dio. Infine, ci viene detto: Egli è il
primogenito di molti fratelli. Sì, ora Egli è tuttavia il primo di una serie
di fratelli, il primo, cioè, che inaugura per noi l’essere in comunione
con Dio. Egli crea la vera fratellanza – non la fratellanza, deturpata dal
peccato, di Caino ed Abele, di Romolo e Remo, ma la fratellanza nuo-
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43. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
OMELIE
va in cui siamo la famiglia stessa di Dio. Questa nuova famiglia di Dio
inizia nel momento in cui Maria avvolge il “primogenito” in fasce e lo
pone nella mangiatoia. Preghiamolo: Signore Gesù, tu che hai voluto
nascere come primo di molti fratelli, donaci la vera fratellanza. Aiutaci
perché diventiamo simili a te. Aiutaci a riconoscere nell’altro che ha
bisogno di me, in coloro che soffrono o che sono abbandonati, in tut-
ti gli uomini, il tuo volto, ed a vivere insieme con te come fratelli e
sorelle per diventare una famiglia, la tua famiglia.
Il Vangelo di Natale ci racconta, alla fine, che una moltitudine di
angeli dell’esercito celeste lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nel più
alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama.” (Lc 2,14). La
Chiesa ha amplificato, nel Gloria, questa lode, che gli angeli hanno in-
tonato di fronte all’evento della Notte Santa, facendone un inno di
gioia sulla gloria di Dio. “Ti rendiamo grazie per la tua gloria immen-
sa”. Ti rendiamo grazie per la bellezza, per la grandezza, per la tua
bontà, che in questa notte diventano visibili a noi. L’apparire della
bellezza, del bello, ci rende lieti senza che dobbiamo interrogarci sulla
sua utilità. La gloria di Dio, dalla quale proviene ogni bellezza, fa
esplodere in noi lo stupore e la gioia. Chi intravede Dio prova gioia, e
in questa notte vediamo qualcosa della sua luce. Ma anche degli uo-
mini parla il messaggio degli angeli nella Notte Santa: “Pace agli uo-
mini che egli ama”. La traduzione latina di tale parola, che usiamo
nella liturgia e che risale a Girolamo, suona diversamente: “Pace agli
uomini di buona volontà”. L’espressione “gli uomini di buona volontà”
proprio negli ultimi decenni è entrata in modo particolare nel vocabo-
lario della Chiesa. Ma quale traduzione è giusta? Dobbiamo leggere
ambedue i testi insieme; solo così comprendiamo la parola degli an-
geli in modo giusto. Sarebbe sbagliata un’interpretazione che ricono-
scesse soltanto l’operare esclusivo di Dio, come se Egli non avesse
chiamato l’uomo ad una risposta libera di amore. Sarebbe sbagliata,
però, anche un’interpretazione moralizzante, secondo cui l’uomo con
la sua buona volontà potrebbe, per così dire, redimere se stesso. Am-
bedue le cose vanno insieme: grazia e libertà; l’amore di Dio, che ci
previene e senza il quale non potremmo amarLo, e la nostra risposta,
che Egli attende e per la quale, nella nascita del suo Figlio, addirittura
ci prega. L’intreccio di grazia e libertà, l’intreccio di chiamata e rispo-
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44. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
OMELIE
sta non lo possiamo scindere in parti separate l’una dall’altra. Ambe-
due sono inscindibilmente intessute tra loro. Così questa parola è in-
sieme promessa e chiamata. Dio ci ha prevenuto con il dono del suo
Figlio. Sempre di nuovo Dio ci previene in modo inatteso. Non cessa
di cercarci, di sollevarci ogniqualvolta ne abbiamo bisogno. Non ab-
bandona la pecora smarrita nel deserto in cui si è persa. Dio non si la-
scia confondere dal nostro peccato. Egli ricomincia sempre nuova-
mente con noi. Tuttavia aspetta il nostro amare insieme con Lui. Egli
ci ama affinché noi possiamo diventare persone che amano insieme
con Lui e così possa esservi pace sulla terra.
Luca non ha detto che gli angeli hanno cantato. Egli scrive molto
sobriamente: l’esercito celeste lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nel
più alto dei cieli…” (Lc 2,13s). Ma da sempre gli uomini sapevano che
il parlare degli angeli è diverso da quello degli uomini; che proprio in
questa notte del lieto messaggio esso è stato un canto in cui la gloria
sublime di Dio ha brillato. Così questo canto degli angeli è stato per-
cepito fin dall’inizio come musica proveniente da Dio, anzi, come in-
vito ad unirsi nel canto, nella gioia del cuore per l’essere amati da
Dio. Cantare amantis est, dice sant'Agostino: cantare è cosa di chi
ama. Così, lungo i secoli, il canto degli angeli è diventato sempre
nuovamente un canto di amore e di gioia, un canto di coloro che
amano. In quest’ora noi ci associamo pieni di gratitudine a questo
cantare di tutti i secoli, che unisce cielo e terra, angeli e uomini. Sì, ti
rendiamo grazie per la tua gloria immensa. Ti ringraziamo per il tuo
amore. Fa che diventiamo sempre di più persone che amano insieme
con te e quindi persone di pace. Amen.
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45. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
OMELIE
Nella Celebrazione dei Primi Vespri
della solennità di Maria SS.ma Madre di Dio
Te Deum di ringraziamento
Venerdì, 31 dicembre 2010
Cari fratelli e sorelle!
Al termine di un anno, ci ritroviamo questa sera nella Basilica Vati-
cana per celebrare i Primi Vespri della solennità di Maria Santissima
Madre di Dio ed elevare un inno di ringraziamento al Signore per le
innumerevoli grazie che ci ha donato, ma anche e soprattutto per la
Grazia in persona, ossia per il Dono vivente e personale del Padre,
che è il Figlio suo prediletto, il Signore nostro Gesù Cristo. Proprio
questa gratitudine per i doni ricevuti da Dio nel tempo che ci è dato
di vivere ci aiuta a scoprire un grande valore iscritto nel tempo: scan-
dito nei suoi ritmi annuali, mensili, settimanali e quotidiani, esso è
abitato dall’amore di Dio, dai suoi doni di grazia; è tempo di salvezza.
Sì, il Dio eterno è entrato e rimane nel tempo dell’uomo. Vi è entrato
e vi rimane con la persona di Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo, il Sal-
vatore del mondo. È quanto ci ha ricordato l’apostolo Paolo nella bre-
ve lettura poc’anzi proclamata: «Quando venne la pienezza del tempo,
Dio mandò il suo Figlio…perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal
4,4-5).
Dunque, l’Eterno entra nel tempo e lo rinnova in radice, liberando
l’uomo dal peccato e rendendolo figlio di Dio. Già “al principio”, os-
sia con la creazione del mondo e dell’uomo nel mondo, l’eternità di
Dio ha fatto sbocciare il tempo, nel quale scorre la storia umana, di
generazione in generazione. Ora, con la venuta di Cristo e con la sua
redenzione, siamo ‘alla pienezza’ del tempo. Come rileva san Paolo,
con Gesù il tempo si fa pieno, giunge al suo compimento, acquistan-
do quel significato di salvezza e di grazia per il quale è stato voluto
da Dio prima della creazione del mondo. Il Natale ci richiama a que-
sta ‘pienezza’ del tempo, ossia alla salvezza rinnovatrice portata da
Gesù a tutti gli uomini. Ce la richiama e, misteriosamente ma realmen-
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46. LA PAROLA DI BENEDETTO XVI
OMELIE
te, ce la dona sempre di nuovo. Il nostro tempo umano è sì carico di
mali, di sofferenze, di drammi di ogni genere – da quelli provocati
dalla cattiveria degli uomini a quelli derivanti dagli infausti eventi na-
turali –, ma racchiude ormai e in maniera definitiva e incancellabile la
novità gioiosa e liberatrice di Cristo salvatore. Proprio nel Bambino di
Betlemme possiamo contemplare in modo particolarmente luminoso
ed eloquente l’incontro dell’eternità con il tempo, come ama espri-
mersi la liturgia della Chiesa. Il Natale ci fa ritrovare Dio nella carne
umile e debole di un bambino. Non c’è qui forse un invito a ritrovare
la presenza di Dio e del suo amore che dona la salvezza anche nelle
brevi e faticose ore della nostra vita quotidiana? Non è forse un invito
a scoprire che il nostro tempo umano – anche nei momenti difficili e
pesanti – è incessantemente arricchito delle grazie del Signore, anzi
della Grazia che è il Signore stesso?
Alla fine di quest’anno 2010, prima di consegnarne i giorni e le ore
a Dio e al suo giudizio giusto e misericordioso, sento più vivo nel
cuore il bisogno di elevare il nostro “grazie” a Lui e al suo amore per
noi. In questo clima di riconoscenza, desidero rivolgere un particolare
saluto al Cardinale Vicario, ai Vescovi Ausiliari, ai sacerdoti, alle perso-
ne consacrate, come pure ai tanti fedeli laici qui convenuti. Saluto il
Signor Sindaco e le Autorità presenti. Un ricordo speciale va a quanti
sono in difficoltà e trascorrono fra disagi e sofferenze questi giorni di
festa. A tutti e a ciascuno assicuro il mio affettuoso pensiero, che ac-
compagno con la preghiera.
Cari fratelli e sorelle, la nostra Chiesa di Roma è impegnata ad aiu-
tare tutti i battezzati a vivere fedelmente la vocazione che hanno rice-
vuto e a testimoniare la bellezza della fede. Per poter essere autentici
discepoli di Cristo, un aiuto essenziale ci viene dalla meditazione quo-
tidiana della Parola di Dio che, come ho scritto nella recente Esorta-
zione apostolica Verbum Domini, «sta alla base di ogni autentica spiri-
tualità cristiana» (n. 86). Per questo desidero incoraggiare tutti a colti-
vare un intenso rapporto con essa, in particolare attraverso la lectio
divina, per avere quella luce necessaria a discernere i segni di Dio nel
tempo presente e a proclamare efficacemente il Vangelo. Anche a Ro-
ma, infatti, c’è sempre più bisogno di un rinnovato annuncio del Van-
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gelo affinché i cuori degli abitanti della nostra città si aprano all’incon-
tro con quel Bambino, che è nato per noi, con Cristo, Redentore del-
l’uomo. Poiché, come ricorda l’Apostolo Paolo, «la fede viene dell’a-
scolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo» (Rm 10,17), un utile aiu-
to in questa azione evangelizzatrice può venire – come già sperimen-
tato durante la Missione Cittadina in preparazione al Grande Giubileo
dell’anno 2000 – dai “Centri di ascolto del Vangelo”, che incoraggio a
far rinascere o a rivitalizzare non solo nei condomini, ma anche negli
ospedali, nei luoghi di lavoro e in quelli dove si formano le nuove ge-
nerazioni e si elabora la cultura. Il Verbo di Dio, infatti, si è fatto car-
ne per tutti e la sua verità è accessibile ad ogni uomo e ad ogni cultu-
ra. Ho appreso con favore dell’ulteriore impegno del Vicariato nell’or-
ganizzazione dei “Dialoghi in Cattedrale”, che avranno luogo nella Ba-
silica di San Giovanni in Laterano: tali significativi appuntamenti espri-
mono il desiderio della Chiesa di incontrare tutti coloro che sono alla
ricerca delle risposte ai grandi quesiti dell’esistenza umana.
Il luogo privilegiato dell’ascolto della Parola di Dio è la celebrazio-
ne dell’Eucaristia. Il Convegno diocesano del giugno scorso, al quale
ho partecipato, ha voluto evidenziare la centralità della Santa Messa
domenicale nella vita di ogni comunità cristiana e ha offerto delle in-
dicazioni affinché la bellezza dei divini misteri possa maggiormente ri-
splendere nell’atto celebrativo e nei frutti spirituali che da essi deriva-
no. Incoraggio i parroci e i sacerdoti a dare attuazione a quanto indi-
cato nel programma pastorale: la formazione di un gruppo liturgico
che animi la celebrazione, e una catechesi che aiuti tutti a conoscere
maggiormente il mistero eucaristico, da cui scaturisce la testimonianza
della carità. Nutriti da Cristo, anche noi siamo attirati nello stesso atto
di offerta totale, che spinse il Signore a donare la propria vita, rivelan-
do in tal modo l’immenso amore del Padre. La testimonianza della ca-
rità possiede, dunque, un’essenziale dimensione teologale ed è
profondamente unita all’annuncio della Parola. In questa celebrazione
di ringraziamento a Dio per i doni ricevuti nel corso dell’anno, ricordo
in particolare la visita che ho compiuto all’Ostello della Caritas alla
Stazione Termini dove, attraverso il servizio e la generosa dedizione
di numerosi volontari, tanti uomini e donne possono toccare con ma-
no l’amore di Dio. Il momento presente genera ancora preoccupazio-
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ne per la precarietà in cui versano tante famiglie e chiede all’intera co-
munità diocesana di essere vicina a coloro che vivono in condizioni di
povertà e disagio. Dio, infinito amore, infiammi il cuore di ciascuno di
noi con quella carità che lo spinse a donarci il suo Figlio unigenito.
Cari fratelli e sorelle, siamo invitati a guardare al futuro e a guar-
darlo con quella speranza che è la parola finale del Te Deum: “In te,
Domine, speravi: non confundar in aeternum! - Signore, Tu sei la no-
stra speranza, non saremo confusi in eterno”. A donarci Cristo, nostra
Speranza, è sempre lei, la Madre di Dio: Maria santissima. Come già ai
pastori e ai magi, le sue braccia e ancor più il suo cuore continuano
ad offrire al mondo Gesù, suo Figlio e nostro Salvatore. In Lui sta tutta
la nostra speranza, perché da Lui sono venute per ogni uomo la sal-
vezza e la pace. Amen!
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