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Nuovo patto azienda-collaboratore: performance eccellente e impiegabilità
Da almeno un ventennio, tutti sappiamo che è defunto il vecchio patto fra aziende e collaboratori.
Un patto allora basato sullo scambio Prestazione Fedele in cambio di Sicurezza del Posto di Lavoro a
lungo termine.
Un patto che, per entrambi i contraenti, era fondato sulla necessità di una sostanziale stabilità e
prevedibilità della relazione di lavoro.

Nessuna azienda, oggi, è più in grado di impegnarsi seriamente sulla sicurezza del lavoro così intesa.
Ne, cosa più importante, sempre meno aziende hanno interesse nella stabilità di ruoli, organici,
competenze, dato il contesto di mercato variabile ed incerto, che impone sempre più frequenti
cambiamenti di assetto, di focalizzazione e persino di localizzazione.

Tutti questi cambiamenti, sono anche testimoniati dall’ampio consenso politico e sociale che si è
raccolto attorno al tema di una coerente revisione degli ammortizzatori sociali. Per un sistema che sia
maggiormente rispondente sia ad un bisogno di equità (eliminazione della dualità del nostro mercato
del lavoro, chiesta anche nella lettera della BCE) sia alla esigenza di seguire l’apparente inarrestabile
accelerazione delle dinamiche del mercato del lavoro. In Senato, il 10 novembre 2010 è passato a
stragrande maggioranza un provvedimento sulla cosi detta Flexisecurity (“mozione Rutelli“ al
Collegato Lavoro).
Solo tatticismi di un Esecutivo sempre più ingessato, sempre meno condivisibili e coerenti con le vere
esigenze del Paese, hanno ancora una volta vanificato questa concreta possibilità di riforma (1).

A fronte di questa situazione, serve un nuovo patto fra azienda e collaboratori?
Un patto che sia più articolato di quello di base, mai venuto meno, che scambia remunerazione e
prestazione?

Non servono molte argomentazioni per rispondere : Si.
Le aziende vogliono impegno, contributo professionale, energia, al livello più elevato possibile.
Chiamiamo questo extra effort “Engagement” (2).
Da un lato, l’engagement dei collaboratori non si può ottenere solo con leve economiche.
Ne del resto sarebbe desiderabile dal lato dell’impresa.
D’altro canto, il livello di engagement richiesto è variabile, considerando la variabilità nel tempo delle
politiche aziendali sui “Key People” (o sui Talenti) e sulle aree professionali chiave.

I collaboratori, invece, hanno necessità di progettare e gestire la loro occupabilità lungo un percorso
biografico sempre più lungo, articolato ed anch’esso imprevedibile, rispetto ad una durata media del
rapporto di lavoro con una singola organizzazione che va via via riducendosi.
Per gestire in modo efficace questo progetto di vita lavorativa (sarebbe meglio dire questo cantiere
continuo), i lavoratori devono cercare di massimizzare tutte le opportunità di sviluppo, e le più rilevanti
sono inevitabilmente quelle che si presentano tramite le esperienze fatte in quello che di volta in volta è
il luogo di lavoro.

Come si può ottenere l’engagement dei collaboratori che interessano maggiormente alle aziende, e per
il tempo, sempre più a dimensione progettuale, che interessa alle aziende?
Che valore scambiare con questi collaboratori, per rendere accettabile la richiesta di un extra effort,
intellettivo, emozionale, energetico, ma senza la promessa di una continuità indefinita del rapporto
(ristrutturazioni, licenziamenti, spostamenti di sito….)?

Questo valore scambiato, ove non sia meramente economico, è nell’interesse dei collaboratori che sia
sempre più ogni elemento che mantiene ed incrementa nel medio lungo termine la loro Impiegabilità
sul mercato. La capacità di essere sempre competitivi sul mercato del lavoro, possedendo competenze
ed esperienze che sono apprezzate e ricercate.

Per comprendere cosa questo significa per una funzione HR efficace nel raggiungere il target di
engagement e retention selettivi (chi e per quanto tempo) che vogliono le aziende, propongo di tentare
di interpretare questo patto dal punto di vista del collaboratore, desideroso di mantenersi appetibile per
il mercato, e consapevole di doverlo fare facendosi co-attore del suo processo di sviluppo.

In Tabella 1, senza ambizioni di completezza, provo ad elencare alcuni elementi che possano
contribuire ad una prassi articolata di gestione della propria Impiegabilità.
Voce per voce, proverò anche a stimare i possibili impatti dal punto di vista aziendale, nel caso in cui
un‘organizzazione fosse interessata a svolgere un ruolo di supporto attivo per i propri collaboratori.

Tabella 1




In sostanza mi pare si evidenzino tre possibili aree su cui l’azienda potrebbe focalizzare la propria
attenzione

Area 1 - Processi Lavorativi
    Sfruttamento dei processi interni di lavoro anche a fini di arricchimento professionale;
    Revisione delle modalità di lavoro per introdurre una flessibilità oraria che favorisce una maggiore
work-life balance;
    Valorizzazione delle ore non lavorate a fini di sviluppo attraverso accordi, individuali o collettivi.

Area 2 - Formazione No Cost
Uso più intenso dei fondi di formazione

Area 3 - Benefit Flessibili
Introduzione di benefit, differenziati a seconda della popolazione di interesse (professionalità,
prestazione, potenziale), andando dalle quote di iscrizione ad Associazioni Profesionali o dagli
abbonamenti a riviste specializzate (stimabile in 2-300 euro/ anno per sottoscrizione), sino alla spesa
per un coaching di sviluppo manageriale (4-6000 euro/ persona).
L’approccio flessibile ai benefit suggerito in quest’area, in realtà apre molte più opportunità (3), sia per
le aziende sia per i collaboratori.

In questo contesto, due processi HR appaiono particolarmente critici per alimentare l’Engagement:
    La selezione del personale;
    Lo sviluppo delle sue capacità professionali.

Il primo processo per selezionare il più possibile collaboratori che, soprattutto quando senior, già
possiedano l’attitudine, se non la sperimentata capacità, di essere attori della propria crescita, e al
contempo apprezzino le opportunità che in questo campo l’organizzazione può loro offrire.

Il secondo, con la duplice finalità di orientare al nuovo approccio i profili più junior e di co - gestire nel
tempo, e per la durata di fatto del rapporto di lavoro, la crescita professionale implicita nel nuovo patto
azienda - collaboratori.
D.Famà
HR Business Partner


RIFERIMENTI

(1) www.pietroichino.it , andare nella sezione interviste e cercare “Mozione Rutelli al Collegato
Lavoro” (Intervista a cura di Alessandro Giorgiutti, pubblicata su Libero il 19 novembre 2010).

(2) Per un approfondimento sul tema dell’Engagement, si rimanda alle ricerche Bocconi presentate in
occasione dell’incontro GIDP del 18 ottobre 2011: “I PARADOSSI DELL’ENGAGEMENT”;
www.gidp.it

(3) Incontro GIDP del 27 ottobre 2011: ”WELFARE AZIENDALE: REMUNERARE E MOTIVARE I
DIPENDENTI IN TEMPI DIFFICILI”; www.gidp.it

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  • 1. Nuovo patto azienda-collaboratore: performance eccellente e impiegabilità Da almeno un ventennio, tutti sappiamo che è defunto il vecchio patto fra aziende e collaboratori. Un patto allora basato sullo scambio Prestazione Fedele in cambio di Sicurezza del Posto di Lavoro a lungo termine. Un patto che, per entrambi i contraenti, era fondato sulla necessità di una sostanziale stabilità e prevedibilità della relazione di lavoro. Nessuna azienda, oggi, è più in grado di impegnarsi seriamente sulla sicurezza del lavoro così intesa. Ne, cosa più importante, sempre meno aziende hanno interesse nella stabilità di ruoli, organici, competenze, dato il contesto di mercato variabile ed incerto, che impone sempre più frequenti cambiamenti di assetto, di focalizzazione e persino di localizzazione. Tutti questi cambiamenti, sono anche testimoniati dall’ampio consenso politico e sociale che si è raccolto attorno al tema di una coerente revisione degli ammortizzatori sociali. Per un sistema che sia maggiormente rispondente sia ad un bisogno di equità (eliminazione della dualità del nostro mercato del lavoro, chiesta anche nella lettera della BCE) sia alla esigenza di seguire l’apparente inarrestabile accelerazione delle dinamiche del mercato del lavoro. In Senato, il 10 novembre 2010 è passato a stragrande maggioranza un provvedimento sulla cosi detta Flexisecurity (“mozione Rutelli“ al Collegato Lavoro). Solo tatticismi di un Esecutivo sempre più ingessato, sempre meno condivisibili e coerenti con le vere esigenze del Paese, hanno ancora una volta vanificato questa concreta possibilità di riforma (1). A fronte di questa situazione, serve un nuovo patto fra azienda e collaboratori? Un patto che sia più articolato di quello di base, mai venuto meno, che scambia remunerazione e prestazione? Non servono molte argomentazioni per rispondere : Si. Le aziende vogliono impegno, contributo professionale, energia, al livello più elevato possibile. Chiamiamo questo extra effort “Engagement” (2). Da un lato, l’engagement dei collaboratori non si può ottenere solo con leve economiche. Ne del resto sarebbe desiderabile dal lato dell’impresa. D’altro canto, il livello di engagement richiesto è variabile, considerando la variabilità nel tempo delle politiche aziendali sui “Key People” (o sui Talenti) e sulle aree professionali chiave. I collaboratori, invece, hanno necessità di progettare e gestire la loro occupabilità lungo un percorso biografico sempre più lungo, articolato ed anch’esso imprevedibile, rispetto ad una durata media del rapporto di lavoro con una singola organizzazione che va via via riducendosi. Per gestire in modo efficace questo progetto di vita lavorativa (sarebbe meglio dire questo cantiere continuo), i lavoratori devono cercare di massimizzare tutte le opportunità di sviluppo, e le più rilevanti sono inevitabilmente quelle che si presentano tramite le esperienze fatte in quello che di volta in volta è il luogo di lavoro. Come si può ottenere l’engagement dei collaboratori che interessano maggiormente alle aziende, e per il tempo, sempre più a dimensione progettuale, che interessa alle aziende? Che valore scambiare con questi collaboratori, per rendere accettabile la richiesta di un extra effort, intellettivo, emozionale, energetico, ma senza la promessa di una continuità indefinita del rapporto (ristrutturazioni, licenziamenti, spostamenti di sito….)? Questo valore scambiato, ove non sia meramente economico, è nell’interesse dei collaboratori che sia sempre più ogni elemento che mantiene ed incrementa nel medio lungo termine la loro Impiegabilità sul mercato. La capacità di essere sempre competitivi sul mercato del lavoro, possedendo competenze ed esperienze che sono apprezzate e ricercate. Per comprendere cosa questo significa per una funzione HR efficace nel raggiungere il target di engagement e retention selettivi (chi e per quanto tempo) che vogliono le aziende, propongo di tentare di interpretare questo patto dal punto di vista del collaboratore, desideroso di mantenersi appetibile per il mercato, e consapevole di doverlo fare facendosi co-attore del suo processo di sviluppo. In Tabella 1, senza ambizioni di completezza, provo ad elencare alcuni elementi che possano
  • 2. contribuire ad una prassi articolata di gestione della propria Impiegabilità. Voce per voce, proverò anche a stimare i possibili impatti dal punto di vista aziendale, nel caso in cui un‘organizzazione fosse interessata a svolgere un ruolo di supporto attivo per i propri collaboratori. Tabella 1 In sostanza mi pare si evidenzino tre possibili aree su cui l’azienda potrebbe focalizzare la propria attenzione Area 1 - Processi Lavorativi Sfruttamento dei processi interni di lavoro anche a fini di arricchimento professionale; Revisione delle modalità di lavoro per introdurre una flessibilità oraria che favorisce una maggiore work-life balance; Valorizzazione delle ore non lavorate a fini di sviluppo attraverso accordi, individuali o collettivi. Area 2 - Formazione No Cost Uso più intenso dei fondi di formazione Area 3 - Benefit Flessibili Introduzione di benefit, differenziati a seconda della popolazione di interesse (professionalità, prestazione, potenziale), andando dalle quote di iscrizione ad Associazioni Profesionali o dagli abbonamenti a riviste specializzate (stimabile in 2-300 euro/ anno per sottoscrizione), sino alla spesa per un coaching di sviluppo manageriale (4-6000 euro/ persona). L’approccio flessibile ai benefit suggerito in quest’area, in realtà apre molte più opportunità (3), sia per le aziende sia per i collaboratori. In questo contesto, due processi HR appaiono particolarmente critici per alimentare l’Engagement: La selezione del personale; Lo sviluppo delle sue capacità professionali. Il primo processo per selezionare il più possibile collaboratori che, soprattutto quando senior, già possiedano l’attitudine, se non la sperimentata capacità, di essere attori della propria crescita, e al contempo apprezzino le opportunità che in questo campo l’organizzazione può loro offrire. Il secondo, con la duplice finalità di orientare al nuovo approccio i profili più junior e di co - gestire nel tempo, e per la durata di fatto del rapporto di lavoro, la crescita professionale implicita nel nuovo patto azienda - collaboratori.
  • 3. D.Famà HR Business Partner RIFERIMENTI (1) www.pietroichino.it , andare nella sezione interviste e cercare “Mozione Rutelli al Collegato Lavoro” (Intervista a cura di Alessandro Giorgiutti, pubblicata su Libero il 19 novembre 2010). (2) Per un approfondimento sul tema dell’Engagement, si rimanda alle ricerche Bocconi presentate in occasione dell’incontro GIDP del 18 ottobre 2011: “I PARADOSSI DELL’ENGAGEMENT”; www.gidp.it (3) Incontro GIDP del 27 ottobre 2011: ”WELFARE AZIENDALE: REMUNERARE E MOTIVARE I DIPENDENTI IN TEMPI DIFFICILI”; www.gidp.it