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Viaggio alla ricerca del lavoro: I migranti con o senza famiglia tra il XX e il XXI secolo. Il caso  Marcinelle Classi IIB e IID coordinate dalle professoresse Stefania Canel e Innocenza Pappagallo
Le  Testimonianze “ Nous sommes une cinquantine. Nous fuyons les  fumeès vers les quatres paumes…”  Eravamo una cinquantina. Fuggivamo a quattro palmi. Queste parole furono scritte con il gesso su di una tavoletta di legno da una delle vittime, mentre cercava scampo
Gino era un operaio, minatore funzionario del partito e uomo sposato, proveniente da Rimini. Il suo immenso sforzo in fabbrica e in miniera, il suo impegno, erano spinti dall’amore per i genitori che avevano  gravi problemi economici. Lui lavorava duramente per mantenerli.  Però fu  un brutto periodo perchè si ubriacava, non andava al lavoro e non guadagnava una Lira da mandare alla famiglia.Questo problema fu superato facilmente con l’aiuto e l’ altruismo delle persone che gli stavano accanto. Gino nella sua carriera provò tante situazioni e tante emozioni. “…  il mio lavoro da falegname non mi dava una paga sufficiente…” Questo è stato il motivo che lo  spinse a cercare altro lavoro all’estero.  Gino racconta anche che l’esperienza nella miniera fu stupenda soprattutto perché in quel luogo si avevano rapporti di profonda amicizia. Infine spiega che: “…  nonostante tutto sono riuscito a capire qualche cosa della vita, perché nei momenti tristi e difficili ho trovato aiuto…” Gino
Innocente Carlet, pensionato per invalidità dovuta alla silicosi contratta in miniera  ci racconta la tragica vicenda del 1956 a Marcinelle.  Nel secondo dopo guerra era stato designato per andare a lavorare in Belgio dopo essere stato dichiarato idoneo da quattro medici. Il lavoro nelle miniere era duro, gli alloggi erano scadenti le condizioni igieniche erano  scarse e le miniere non offrivano la minima protezione dai gas del sottosuolo e dai  vari incidenti. Le condizioni di lavoro nella miniera si scoprirono solo dopo il disastro di Marcinelle del ’56. Innocente
Mario è nato nel 1924 e vissuto in una famiglia numerosa . Suo padre guadagnava poco lavorando un piccolo pezzo di terra. Un giorno, proprio suo padre, riuscì a  procurargli un lavoro in miniera  da 130 lire al mese. Mario, lavorando, riusciva a trovare forza, coraggio e fiducia in se stesso. Lavorava in continuazione per non patire la fame. Era forte e non si arrendeva, neanche quando ebbe una malattia che non aveva gravi conseguenze immediate, ma avrebbe potuto portare  alla morte. Era un immigrato che cercava lavoro e sicurezza contro  la povertà. Mario
Il dramma fu orribile, anche perché spesso i minatori calabresi venivano ingaggiati e prelevati da villaggi interi e questo fece sì che molte donne rimasero “vedove” nell’Italia meridionale. Dopo Marcinelle, il resto degli immigrati italiani avvertì gli effetti di questo tragico incidente e successivamente la regolamentazione in materia di sicurezza sul lavoro venne resa più rigida. Il Presidente della Repubblica conferì la medaglia d’oro al merito civile alla memoria dei 136 connazionali scomparsi nel disastro di Marcinelle in Belgio. Davide
Questa tragedia diventò il simbolo della sofferenza, fatica e del sangue versato sul lavoro dagli italiani nel mondo. Questi lavoratori nostri connazionali erano stati “affittati” dai governanti italiani alle autorità belghe, in cambio di sacchi di carbone, per supplire alla carenza di risorse energetiche. Il Governo italiano,visto che in quel periodo era molto forte la disoccupazione, aveva stipulato col governo belga dei contratti di lavoro con il vicolo di durata di almeno un anno. “ Il lavoro del minatore è un mestiere molto duro, rende gli uomini rudi e forti e li rende maturi prima del tempo. Non vi era giorno in cui non vi fossero degli infortuni sul lavoro e di tanto in tanto scappava anche qualche morto. Mirko
Nonno Gerardo abruzzese nel secondo dopo guerra parte per il Belgio come minatore. Essendo l’ultimo arrivato, gli venne offerto il lavoro più pericoloso: costruire l’armatura delle gallerie. Lavorava molte ore al giorno, non gli erano concessi giorni di riposo neanche per malattia e spesso veniva discriminato dai belgi che gli impedivano l’accesso ai locali pubblici. Nonostante l’incidente del ’56, continuò a lavorare fino al ’79, quando riuscì a dare le dimissioni e tornare con tutta la sua famiglia. Nonno Gerardo
La zia di mio padre ha lavorato a Liegi, in Belgio, per un anno come domestica  in una casa privata e come addetta  alle pulizie nei negozi, nel ’51. Mio nonno paterno e suo fratello hanno lavorato nelle miniere di carbone vicino  a Liegi. Mio nonno riempiva i carrelli che portano in superficie il carbone. Suo fratello invece lavorava ai livelli inferiori della miniera come minatore. Aveva un  contratto di cinque anni allo scadere dei quali poteva cercarsi un altro lavoro fuori dalla miniera. Anzi, aveva la precedenza su altri immigrati per un lavoro migliore. Appena arrivato nel ’47 il fratello di mio nonno ha dovuto abitare nelle baracche destinate ai minatori. Quando arrivò sua moglie dall’ Italia, rimase molto delusa a  vedere le condizioni in cui era costretta a vivere, peggiori di quelle lasciate  in Italia. Entrambi i fratelli, per ricongiungersi con le fidanzate, hanno dovuto sposarsi per procura, cioè a distanza. Arrivati in Belgio le mogli hanno lavorato come domestiche. La zia racconta che tutti gli italiani che ha conosciuto, che lavoravano in miniera  morirono nel giro di pochi anni di silicosi. Il fratello di mio nonno è stato più fortunato, perché in seguito ha trovato un lavoro migliore, alla fine però si è ammalato anche lui  di silicosi. Mio nonno è tornato in Italia dopo circa quattro anni, ha lavorato in cementificio Appiani a Treviso  e anche lui è morto per un tumore ai polmoni.  Anche la moglie del fratello di mio nonno si è ammalata di tubercolosi che aveva  contratto nella baraccopoli; per guarire è tornata in Italia e ha passato due anni in  sanatorio a Venezia.  La zia  Vanda  racconta…

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  • 1. Viaggio alla ricerca del lavoro: I migranti con o senza famiglia tra il XX e il XXI secolo. Il caso Marcinelle Classi IIB e IID coordinate dalle professoresse Stefania Canel e Innocenza Pappagallo
  • 2. Le Testimonianze “ Nous sommes une cinquantine. Nous fuyons les fumeès vers les quatres paumes…” Eravamo una cinquantina. Fuggivamo a quattro palmi. Queste parole furono scritte con il gesso su di una tavoletta di legno da una delle vittime, mentre cercava scampo
  • 3. Gino era un operaio, minatore funzionario del partito e uomo sposato, proveniente da Rimini. Il suo immenso sforzo in fabbrica e in miniera, il suo impegno, erano spinti dall’amore per i genitori che avevano gravi problemi economici. Lui lavorava duramente per mantenerli. Però fu un brutto periodo perchè si ubriacava, non andava al lavoro e non guadagnava una Lira da mandare alla famiglia.Questo problema fu superato facilmente con l’aiuto e l’ altruismo delle persone che gli stavano accanto. Gino nella sua carriera provò tante situazioni e tante emozioni. “… il mio lavoro da falegname non mi dava una paga sufficiente…” Questo è stato il motivo che lo spinse a cercare altro lavoro all’estero. Gino racconta anche che l’esperienza nella miniera fu stupenda soprattutto perché in quel luogo si avevano rapporti di profonda amicizia. Infine spiega che: “… nonostante tutto sono riuscito a capire qualche cosa della vita, perché nei momenti tristi e difficili ho trovato aiuto…” Gino
  • 4. Innocente Carlet, pensionato per invalidità dovuta alla silicosi contratta in miniera ci racconta la tragica vicenda del 1956 a Marcinelle. Nel secondo dopo guerra era stato designato per andare a lavorare in Belgio dopo essere stato dichiarato idoneo da quattro medici. Il lavoro nelle miniere era duro, gli alloggi erano scadenti le condizioni igieniche erano scarse e le miniere non offrivano la minima protezione dai gas del sottosuolo e dai vari incidenti. Le condizioni di lavoro nella miniera si scoprirono solo dopo il disastro di Marcinelle del ’56. Innocente
  • 5. Mario è nato nel 1924 e vissuto in una famiglia numerosa . Suo padre guadagnava poco lavorando un piccolo pezzo di terra. Un giorno, proprio suo padre, riuscì a procurargli un lavoro in miniera da 130 lire al mese. Mario, lavorando, riusciva a trovare forza, coraggio e fiducia in se stesso. Lavorava in continuazione per non patire la fame. Era forte e non si arrendeva, neanche quando ebbe una malattia che non aveva gravi conseguenze immediate, ma avrebbe potuto portare alla morte. Era un immigrato che cercava lavoro e sicurezza contro la povertà. Mario
  • 6. Il dramma fu orribile, anche perché spesso i minatori calabresi venivano ingaggiati e prelevati da villaggi interi e questo fece sì che molte donne rimasero “vedove” nell’Italia meridionale. Dopo Marcinelle, il resto degli immigrati italiani avvertì gli effetti di questo tragico incidente e successivamente la regolamentazione in materia di sicurezza sul lavoro venne resa più rigida. Il Presidente della Repubblica conferì la medaglia d’oro al merito civile alla memoria dei 136 connazionali scomparsi nel disastro di Marcinelle in Belgio. Davide
  • 7. Questa tragedia diventò il simbolo della sofferenza, fatica e del sangue versato sul lavoro dagli italiani nel mondo. Questi lavoratori nostri connazionali erano stati “affittati” dai governanti italiani alle autorità belghe, in cambio di sacchi di carbone, per supplire alla carenza di risorse energetiche. Il Governo italiano,visto che in quel periodo era molto forte la disoccupazione, aveva stipulato col governo belga dei contratti di lavoro con il vicolo di durata di almeno un anno. “ Il lavoro del minatore è un mestiere molto duro, rende gli uomini rudi e forti e li rende maturi prima del tempo. Non vi era giorno in cui non vi fossero degli infortuni sul lavoro e di tanto in tanto scappava anche qualche morto. Mirko
  • 8. Nonno Gerardo abruzzese nel secondo dopo guerra parte per il Belgio come minatore. Essendo l’ultimo arrivato, gli venne offerto il lavoro più pericoloso: costruire l’armatura delle gallerie. Lavorava molte ore al giorno, non gli erano concessi giorni di riposo neanche per malattia e spesso veniva discriminato dai belgi che gli impedivano l’accesso ai locali pubblici. Nonostante l’incidente del ’56, continuò a lavorare fino al ’79, quando riuscì a dare le dimissioni e tornare con tutta la sua famiglia. Nonno Gerardo
  • 9. La zia di mio padre ha lavorato a Liegi, in Belgio, per un anno come domestica in una casa privata e come addetta alle pulizie nei negozi, nel ’51. Mio nonno paterno e suo fratello hanno lavorato nelle miniere di carbone vicino a Liegi. Mio nonno riempiva i carrelli che portano in superficie il carbone. Suo fratello invece lavorava ai livelli inferiori della miniera come minatore. Aveva un contratto di cinque anni allo scadere dei quali poteva cercarsi un altro lavoro fuori dalla miniera. Anzi, aveva la precedenza su altri immigrati per un lavoro migliore. Appena arrivato nel ’47 il fratello di mio nonno ha dovuto abitare nelle baracche destinate ai minatori. Quando arrivò sua moglie dall’ Italia, rimase molto delusa a vedere le condizioni in cui era costretta a vivere, peggiori di quelle lasciate in Italia. Entrambi i fratelli, per ricongiungersi con le fidanzate, hanno dovuto sposarsi per procura, cioè a distanza. Arrivati in Belgio le mogli hanno lavorato come domestiche. La zia racconta che tutti gli italiani che ha conosciuto, che lavoravano in miniera morirono nel giro di pochi anni di silicosi. Il fratello di mio nonno è stato più fortunato, perché in seguito ha trovato un lavoro migliore, alla fine però si è ammalato anche lui di silicosi. Mio nonno è tornato in Italia dopo circa quattro anni, ha lavorato in cementificio Appiani a Treviso e anche lui è morto per un tumore ai polmoni. Anche la moglie del fratello di mio nonno si è ammalata di tubercolosi che aveva contratto nella baraccopoli; per guarire è tornata in Italia e ha passato due anni in sanatorio a Venezia. La zia Vanda racconta…