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Gianni Davico

Come può il traduttore vivere del proprio lavoro, a.k.a.:
traduzioni a due centesimi, no grazie

Grazie Anna e Valeria per l’organizzazione di questa unconference: non le conosco
di persona ma trovo che la formula sostanzialmente nuova – almeno per l’Italia –
sia un buon viatico per il futuro.

Questo fatto – l’uso della tecnologia per semplificare la nostra vita lavorativa – mi
fa venire in mente quel che Renato ha detto questa mattina, ovvero che la
traduzione automatica, la machine translation è di fatto un alleato e non un nemico
del traduttore.

Non ho potuto seguire tutti gli interventi, ma un’idea della giornata me la sono
fatta. Così come ho un’idea abbastanza precisa di questo nostro mercato, che
cercherò ora di illustrare.

Ho scritto qualche appunto, ma sostanzialmente vedo questo breve intervento
come una chiacchierata a braccio. Questo anche perché ho preparato
quest’intervento in pochissimo tempo, seguendo la legge di Parkinson esposta da
Tim Ferriss, secondo la quale il lavoro si espande fino a riempire tutto il tempo
disponibile per il suo completamento: e quindi minor tempo non vuol dire minor
risultati, ma gli stessi risultati ottenuti in maniera più concentrata.

Quindi non sarò preciso come vorrei, ma sono comunque disponibile – molto
disponibile – per scambi di pareri alla fine del discorso.

Dal mio ingresso in questo settore – 1996, in maniera assolutamente casuale (un
Cigno nero – e vorrei invitare chi non abbia letto il libro di Nassim Taleb a farlo,
magari come lettura sotto l’ombrellone – potrebbe aprire più di un occhio) – ho
fatto tutti gli errori possibili e immaginabili, ma quel che ho capito subito è stato
che il marketing era la chiave di tutto.

Il marketing, ovvero il mercato; e per me il mercato è una visione molto limpida. È
uno dei miei primi ricordi a colori, una piazzetta della mia cittadina, le voci di chi
comprava e vendeva, i colori e i suoni di quel mattino, il profumo degli aranci, il
sole.

Il marketing, ovvero come rapportarsi come i clienti, i clienti potenziali, i
concorrenti, le associazioni, i colleghi e così via – qualcosa di molto semplice, a ben
vedere.

Ecco, il punto dolente dall’ottica del traduttore (e qui mi rivolgo soprattutto ai
giovani) – quello che mi ha indotto al titolo di questo intervento – è proprio la


                                                                                          1
considerazione che troppo spesso troppi traduttori dimenticano chi si trovano di
fronte, si dimenticano di se stessi e del valore che possono offrire al cliente,
dimenticano che vendere a poco non è conveniente, che è un atteggiamento che
non ha futuro.

È chiaro che la tentazione a vendere a poco, a concedere sconti, è forte, perché
magari ci si ritrova con tanto tempo, ottimi studi e nessun cliente “vero”: ma è un
percorso suicida.

Non dico che sia facile, però chiedo scusa a chi mi ascolta e cito qui la mia
esperienza. Vendetti le mie prime traduzioni a 14mila lire la cartella, ma in realtà
solo perché spinto da un amico: io volevo chiederne 7mila – o almeno a questo mi
spingeva il mio carattere umile, oltre che l’ignoranza – nel senso etimologico del
termine – verso qualunque meccanica e conoscenza del settore.

Ma presto mi fu chiaro come stavano le cose, che le aziende pretendevano ma
pagavano, che determinate lingue non le potevo pagare poco – semplicemente non
c’erano traduttori disposti a lavorare a determinate cifre. Cito l’esempio del
polacco: una traduttrice, che conobbi allora e con cui lavoro ancor oggi, che si
rifiutava (giustamente, dico ora; ma allora non lo sapevo) di lavorare alle cifre che
le avevo proposto.

Quindi da una parte potevo andare verso i prezzi bassi, ma mi è stato subito chiaro
che non era una strategia valida sul lungo periodo.

Insomma le cose erano – e sono – semplici. Anche perché – ricordo un’indagine
citata da Renato Beninatto qualche anno fa – il prezzo è solo il terzo o il quarto
fattore di decisione nel nostro settore – lo ha ricordato anche questa mattina –,
mentre fattori più critici sono il tempo, per esempio, il rispetto delle scadenze, il
fatto che si offra una determinata lingua e così via.

Ma di più: se i prezzi sono alti, di solito il tuo servizio è percepito come eccellente –
siamo umani, dopotutto. Non è bello da dire, ma spesso giudichiamo il vino
dall’etichetta. Questo, però, vale solo alla condizione che il servizio offerto sia
eccellente – altrimenti cade tutta la costruzione.

Tuttavia, un paio di settimane fa ho ricevuto una proposta di traduzioni a 2 – due –
centesimi, da una persona che ha due lauree. Mi ha colpito talmente tanto che ne
ho parlato nel mio blog. Io mi sento dispiaciuto per queste persone, che
sicuramente sono preparatissime da un punto di vista tecnico ma non si rendono
conto del danno che fanno a sé e ai colleghi.

Questo è un messaggio rivolto soprattutto a chi ha cominciato da poco, a chi
comincia, a chi sta per cominciare: non svendetevi, sarebbe il vostro suicidio
professionale. Un sistema può essere quello di lavorare in tandem con un
traduttore professionista, cui lasciare buona parte – o anche l’intero – dei propri



                                                                                        2
profitti iniziali, in cambio però di una revisione puntuale dei proprio lavori e di
suggerimenti di mercato. È la classica win-win situation.

E mi sembra che non ci sia soluzione a questo problema. Insomma, chi si svenderà
ci sarà sempre. Ma per vivere – bene – del proprio lavoro occorrono tra le altre cose,
almeno queste due caratteristiche:

1. prezzi adeguati: e prezzi adeguati dall’inizio;

2. servizio eccellente: e con servizio non intendo la “semplice” traduzione, ma tutta
l’assistenza di cui il cliente può avere bisogno: sia da una punto di vista
informatico, che di fatture e così via.

E il risultato sarà un rapporto da pari a pari e non come questo:




È un disegnino – elementare ma assolutamente esplicativo, come le immutabili
leggi del marketing – fatto da Renato Beninatto ad una presentazione alla
conferenza ATA 2007 a San Francisco, dove l’uomo più grande (e sorridente) è il
nostro cliente e l’omino piccolo (e triste) è ovviamente il traduttore.

Le cose sono semplici, non è il caso di farle molto complicate. Secondo me è più o
meno tutto qui. E con questo io ho finito e vi ringrazio – se ci sono domande od
osservazioni sono a vostra disposizione.

Gianni Davico



                                                                                      3

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Come può il traduttore vivere del proprio lavoro, a.k.a.: traduzioni a due centesimi, no grazie

  • 1. Gianni Davico Come può il traduttore vivere del proprio lavoro, a.k.a.: traduzioni a due centesimi, no grazie Grazie Anna e Valeria per l’organizzazione di questa unconference: non le conosco di persona ma trovo che la formula sostanzialmente nuova – almeno per l’Italia – sia un buon viatico per il futuro. Questo fatto – l’uso della tecnologia per semplificare la nostra vita lavorativa – mi fa venire in mente quel che Renato ha detto questa mattina, ovvero che la traduzione automatica, la machine translation è di fatto un alleato e non un nemico del traduttore. Non ho potuto seguire tutti gli interventi, ma un’idea della giornata me la sono fatta. Così come ho un’idea abbastanza precisa di questo nostro mercato, che cercherò ora di illustrare. Ho scritto qualche appunto, ma sostanzialmente vedo questo breve intervento come una chiacchierata a braccio. Questo anche perché ho preparato quest’intervento in pochissimo tempo, seguendo la legge di Parkinson esposta da Tim Ferriss, secondo la quale il lavoro si espande fino a riempire tutto il tempo disponibile per il suo completamento: e quindi minor tempo non vuol dire minor risultati, ma gli stessi risultati ottenuti in maniera più concentrata. Quindi non sarò preciso come vorrei, ma sono comunque disponibile – molto disponibile – per scambi di pareri alla fine del discorso. Dal mio ingresso in questo settore – 1996, in maniera assolutamente casuale (un Cigno nero – e vorrei invitare chi non abbia letto il libro di Nassim Taleb a farlo, magari come lettura sotto l’ombrellone – potrebbe aprire più di un occhio) – ho fatto tutti gli errori possibili e immaginabili, ma quel che ho capito subito è stato che il marketing era la chiave di tutto. Il marketing, ovvero il mercato; e per me il mercato è una visione molto limpida. È uno dei miei primi ricordi a colori, una piazzetta della mia cittadina, le voci di chi comprava e vendeva, i colori e i suoni di quel mattino, il profumo degli aranci, il sole. Il marketing, ovvero come rapportarsi come i clienti, i clienti potenziali, i concorrenti, le associazioni, i colleghi e così via – qualcosa di molto semplice, a ben vedere. Ecco, il punto dolente dall’ottica del traduttore (e qui mi rivolgo soprattutto ai giovani) – quello che mi ha indotto al titolo di questo intervento – è proprio la 1
  • 2. considerazione che troppo spesso troppi traduttori dimenticano chi si trovano di fronte, si dimenticano di se stessi e del valore che possono offrire al cliente, dimenticano che vendere a poco non è conveniente, che è un atteggiamento che non ha futuro. È chiaro che la tentazione a vendere a poco, a concedere sconti, è forte, perché magari ci si ritrova con tanto tempo, ottimi studi e nessun cliente “vero”: ma è un percorso suicida. Non dico che sia facile, però chiedo scusa a chi mi ascolta e cito qui la mia esperienza. Vendetti le mie prime traduzioni a 14mila lire la cartella, ma in realtà solo perché spinto da un amico: io volevo chiederne 7mila – o almeno a questo mi spingeva il mio carattere umile, oltre che l’ignoranza – nel senso etimologico del termine – verso qualunque meccanica e conoscenza del settore. Ma presto mi fu chiaro come stavano le cose, che le aziende pretendevano ma pagavano, che determinate lingue non le potevo pagare poco – semplicemente non c’erano traduttori disposti a lavorare a determinate cifre. Cito l’esempio del polacco: una traduttrice, che conobbi allora e con cui lavoro ancor oggi, che si rifiutava (giustamente, dico ora; ma allora non lo sapevo) di lavorare alle cifre che le avevo proposto. Quindi da una parte potevo andare verso i prezzi bassi, ma mi è stato subito chiaro che non era una strategia valida sul lungo periodo. Insomma le cose erano – e sono – semplici. Anche perché – ricordo un’indagine citata da Renato Beninatto qualche anno fa – il prezzo è solo il terzo o il quarto fattore di decisione nel nostro settore – lo ha ricordato anche questa mattina –, mentre fattori più critici sono il tempo, per esempio, il rispetto delle scadenze, il fatto che si offra una determinata lingua e così via. Ma di più: se i prezzi sono alti, di solito il tuo servizio è percepito come eccellente – siamo umani, dopotutto. Non è bello da dire, ma spesso giudichiamo il vino dall’etichetta. Questo, però, vale solo alla condizione che il servizio offerto sia eccellente – altrimenti cade tutta la costruzione. Tuttavia, un paio di settimane fa ho ricevuto una proposta di traduzioni a 2 – due – centesimi, da una persona che ha due lauree. Mi ha colpito talmente tanto che ne ho parlato nel mio blog. Io mi sento dispiaciuto per queste persone, che sicuramente sono preparatissime da un punto di vista tecnico ma non si rendono conto del danno che fanno a sé e ai colleghi. Questo è un messaggio rivolto soprattutto a chi ha cominciato da poco, a chi comincia, a chi sta per cominciare: non svendetevi, sarebbe il vostro suicidio professionale. Un sistema può essere quello di lavorare in tandem con un traduttore professionista, cui lasciare buona parte – o anche l’intero – dei propri 2
  • 3. profitti iniziali, in cambio però di una revisione puntuale dei proprio lavori e di suggerimenti di mercato. È la classica win-win situation. E mi sembra che non ci sia soluzione a questo problema. Insomma, chi si svenderà ci sarà sempre. Ma per vivere – bene – del proprio lavoro occorrono tra le altre cose, almeno queste due caratteristiche: 1. prezzi adeguati: e prezzi adeguati dall’inizio; 2. servizio eccellente: e con servizio non intendo la “semplice” traduzione, ma tutta l’assistenza di cui il cliente può avere bisogno: sia da una punto di vista informatico, che di fatture e così via. E il risultato sarà un rapporto da pari a pari e non come questo: È un disegnino – elementare ma assolutamente esplicativo, come le immutabili leggi del marketing – fatto da Renato Beninatto ad una presentazione alla conferenza ATA 2007 a San Francisco, dove l’uomo più grande (e sorridente) è il nostro cliente e l’omino piccolo (e triste) è ovviamente il traduttore. Le cose sono semplici, non è il caso di farle molto complicate. Secondo me è più o meno tutto qui. E con questo io ho finito e vi ringrazio – se ci sono domande od osservazioni sono a vostra disposizione. Gianni Davico 3