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Daniel Quinn
                       The Story of B
    Traduzione italiana non ufficiale di Dr. Jackal (nrt_ita@libero.it).
        Le altre opere di Daniel Quinn sono disponibili nel sito:
                 NuovaRivoluzioneTribale.uphero.com


                           Per Goody Cable
                    e ovviamente per Rennie, sempre


                                   Quando uno non vede ciò che non vede,
                                          non vede nemmeno che è cieco.
                                                             Paul Veyne.



                              Parte Uno

   Venerdì, 10 maggio.

   Un diario.

    Oggi sono sgattaiolato in uno spaccio e ho comprato un quaderno –
questo quaderno in cui sto scrivendo proprio ora. Chiaramente un
momento pregnante.
    Non ho mai tenuto (né sono mai stato tentato di tenere) un diario di
alcun tipo, e non sono nemmeno sicuro che continuerò a tenere questo, ma
ho pensato che avrei fatto meglio a provare. Trovo che sia una faccenda
bizzarra perché, nonostante in teoria io stia scrivendo solo per me stesso,
mi sento fortemente spinto a spiegare chi sono e che cosa sto facendo qui.
Mi fa sospettare che tutti coloro che tengono un diario stiano in realtà
scrivendo non per se stessi, ma per i posteri.
    Mi domando se ci sia un bambino nel mondo che non abbia, a qualche

                                     1
punto del proprio percorso di risveglio della coscienza, aggiunto nel
proprio indirizzo “Il mondo” e “L'Universo”. Avendolo già fatto (quasi tre
decadi fa), comincio questo diario scrivendo:
    Sono Jared Osborne, un prete, assistente pastore, parroco della Chiesa
di St. Edward, appartenente all'Ordine di St. Lawrence, Chiesa Cattolica
Romana. E, avendo scritto ciò, mi sento obbligato ad aggiungere: non sono
un granché come prete. (Wow, questa faccenda del diario è roba forte!
Queste sono parole che non ho mai osato nemmeno sussurrare, neanche a
me stesso!) Senza esaminare la logica di questo troppo approfonditamente,
posso dire che è proprio perché non sono un granché come prete che sento
il bisogno di cominciare questo diario a questo punto della mia vita.
    Questo è perfetto. È esattamente il punto da cui devo cominciare. Prima
che parli di qualunque altra cosa, devo mettere chiaro e tondo nero su
bianco chi sono e come sono arrivato qui, benché, grazie a Dio, non debba
andare indietro fino alla mia infanzia o cose del genere. Devo solo andare
indietro abbastanza da capire come sono finito coinvolto in una delle storie
più bizzarre dell'epoca moderna.

   Poster di reclutamento: perché sono un Laurenziano.

    Per lungo tempo, noi Laurenziani siamo stati definiti dalle nostre
differenze dai Gesuiti. Alcuni storici dicono che non siamo altrettanto
malvagi, altri sostengono che siamo ancora peggiori, e altri ancora dicono
che l'unica differenza tra noi e loro è che loro hanno un istinto migliore per
le pubbliche relazioni. Entrambi gli ordini vennero fondati più o meno
nello stesso periodo per combattere la Riforma, e quando quella battaglia
fu persa (o almeno finita), entrambi si ridefinirono come educatori d'élite.
E da dove vengono i piccoli Gesuiti e Laurenziani? Le reclute gesuite
vengono dalle scuole gesuite, e quelle laurenziane dalle scuole
laurenziane.
    Io sono arrivato ai Laurenziani dall'Università di St. Jerome, il cuore
intellettuale dell'ordine negli Stati Uniti. Questo potrebbe spiegare perché
sono diventato un Laurenziano, ma ovviamente non spiega perché sono
diventato un prete. Tutto ciò che posso dire al riguardo è che le
motivazioni che diedi a me stesso quando avevo vent'anni ora non mi
sembrano più tanto buone.
    La cosa importante da notare, qui, è che ero considerato una vera
promessa quando ancora dovevo laurearmi. Ci si aspettava che divenissi
                                      2
un altro gioiello nella corona... Ma, arrivato al dottorato, si era ormai
capito che ero tutto fumo e niente arrosto. Fui una grossa delusione per
tutti, soprattutto per me stesso, ovviamente. I miei superiori furono il più
gentili possibile al riguardo. Non sarei mai stato invitato a unirmi alla
facoltà della St. Jerome o a nessun'altra delle università dell'Ordine, ma si
offrirono di trovarmi un posto in una delle loro scuole preparatorie. O, se
non mi importava di venire umiliato fino a quel punto, di farmi lavorare in
una diocesi, nelle trincee parrocchiali. Scelsi quest'ultima opzione, il che è
come sono arrivato alla Chiesa di St. Edward.
    Ho detto di non essere un granché come prete. Immagino che sia come
se un cavallo da lavoro dicesse di non essere un granché come cavallo
perché ci si aspettava che diventasse un cavallo da corsa ma non ci è
riuscito. La cruda verità è che non c'è bisogno di essere un granché per
diventare un parroco. Questa osservazione non è poi cinica quanto sembra:
dopotutto il prete è solo un mediatore della Grazia, non una fonte. Certo,
devi avere un temperamento equilibrato, paziente e tollerante delle
debolezze umane (il che dice molto), ma nessuno si aspetta che tu sia un
San Paolo o un San Francesco, e un sacramento che ti viene impartito dalle
mani di un completo balordo è efficace proprio quanto uno che ti arriva
dalle mani di un modello di virtù. Per come stanno le cose oggi, sei
considerato un maledetto tesoro nazionale se non sei un pedofilo o un
alcolizzato.

   Padre Lulfre.

   Sei giorni fa, mi è arrivato un messaggio dalla segretaria del preside
che mi chiedeva se potessi essere così gentile da presentarmi il mercoledì
successivo (l'altroieri) nell'ufficio di Padre Bernard Lulfre alle tre del
pomeriggio. Be', ora, questo era interessante.
   Caro Diario, sono abbastanza sicuro che tu non sappia chi è questo
Bernard Lulfre, quindi devo illuminarti. In una parola, Pierre Teilhard de
Chardin era la superstar dei Gesuiti, e Bernard Lulfre è la nostra. Teilhard
de Chardin era un geologo e paleontologo, e Bernard Lulfre è un
archeologo e uno psichiatra. La differenza è che Teilhard de Chardin è
famoso in tutto il mondo, mentre Bernard Lulfre è conosciuto da circa
dieci persone (con nomi come Karl Popper, Marshall McLuhan, Roland
Barthes, Noam Chomsky e Jacques Derrida). Non importa. Per quelli che
respirano l'aria rarefatta della cima del mondo accademico, Bernard Lulfre
                                      3
è un peso massimo.
    Quando studiavo alla St. Jerome, avevo scritto una tesi proponendo
che, per quanto la credenza in una vita dopo la morte possa aver causato la
nascita della pratica di seppellire i morti con le proprie cose, è altrettanto
plausibile che questa pratica abbia causato la credenza in una vita dopo la
morte. L'istruttore passò la tesi a Bernard Lulfre, pensando che avrebbe
potuto venire pubblicata in una delle riviste a cui era associato. Non lo fu,
ma questo mi portò all'attenzione del grand'uomo, e per una stagione venni
presentato come una giovane promessa alle feste di facoltà. Quando
cominciai il noviziato, un anno dopo, alcuni pensarono che fossi una sorta
di protetto, un equivoco che io stupidamente non scoraggiai affatto. Padre
Lulfre potrebbe aver seguito i miei progressi negli anni che seguirono, ma
se è così l'ha fatto da grande distanza, e quando la mia carriera accademica
cominciò a vacillare, la sua distanza venne interpretata (con
immaginazione altrettanto grande) come una rinuncia.
    Nei cinque anni che hanno seguito la mia ordinazione, fino a quel
messaggio dal preside, non ho avuto alcuna notizia da Lulfre (né mi ero
aspettato di averne). Naturalmente ero curioso, ma non stavo esattamente
trattenendo il fiato. Non stava per chiedermi di andare al ballo con lui in
una carrozza. Probabilmente voleva chiedermi un piccolo favore di
qualche tipo. Forse qualcuno alla St. Jerome voleva sapere qualcosa di
qualcuno alla St. Edward, e ha detto: “Ehi, perché non chiediamo a Padre
Lulfre di contattare quel giovane Padre Osborne che lavora lì?”. Nessuno
avrebbe esitato a chiedermi di effettuare un po' di spionaggio per l'Ordine,
se fosse stato necessario. Abbiamo avuto il nostro servizio segreto privato
per secoli e lo consideriamo non meno valido dell'MI16 o della CIA.
(Siamo piuttosto orgogliosi dei nostri intrighi... In un modo molto
tranquillo, ovviamente. Durante le ultime decadi del regno di Elisabetta,
per esempio, il nostro “College Inglese” a Rheims infiltrò vari preti-spia in
Inghilterra per tenere vivo lo spirito di insurrezione tra i cattolici inglesi. Il
nostro colpo meglio riuscito risale al 1773, quando Papa Clemente XIV si
stava facendo degli scrupoli riguardo il distruggere i nostri vecchi amici
Gesuiti. Fu uno di noi a mostrargli come gestire la sua tenera coscienza e
svolgere il lavoro.) L'Ordine è la nostra madrepatria, dopotutto, e viene
dato per scontato che perfino in esilio non permetterei mai a qualche
meschina preoccupazione parrocchiale o diocesana di superare la mia
lealtà verso di esso. D'altro canto, se si fosse trattato di qualcosa di così
semplice, allora una telefonata sarebbe stata sufficiente. Più ragionavo
                                        4
sulla questione, più diventava intrigante.

   Nell'ufficio di Padre Lulfre.

    Nulla era cambiato nell'ufficio di Padre Lulfre rispetto a quando l'avevo
visitato l'ultima volta, dieci anni prima: era nello stesso angolo dello stesso
piano dello stesso edificio. Neanche Padre Lulfre era cambiato: ancora alto
un metro e ottanta, ampio come una porta, con una massiccia testa che
sembrava rozzamente intagliata nel legno e avrebbe potuto appartenere a
un camionista o a uno stivatore. Gli uomini come lui in qualche modo non
cambiano un granché fino ai settanta od ottant'anni, per poi appassire nel
giro di una notte.
    Sono stato attorno ad abbastanza uomini brillanti da sapere che sono
raramente brillanti di persona, e Padre Lulfre non fa eccezione. Mi salutò
con calore poco convincente, chiacchierò con fare imbarazzato del più e
del meno per un po', e sembrava deciso a girare intorno alla questione per
ore. Sfortunatamente, io non ero dell'umore adatto, e dopo cinque minuti
scese un silenzio micidiale tra noi.
    Con l'aria di uno che si prepara a un compito ingrato, disse: “Voglio che
tu sappia, Jared, che ci sono molti uomini nell'Ordine che sanno che sei in
grado di fare più di quello che ti è stato chiesto.”
    Be', caspita, avrei voluto dire, ma mi trattenni. Mormorai qualcosa su
quanto mi sentivo onorato, ma immagino di non essere riuscito a tenere del
tutto l'ironia fuori dalla mia voce.
    Padre Lulfre sospirò, evidentemente capendo che il compito sarebbe
stato più ingrato del previsto. Decisi di aiutarlo e gli dissi: “Se ha un
incarico diverso da propormi, Padre, non deve di certo essere timido. Ha
un uomo con le orecchie ben aperte qui.”
    “Grazie, Jared, lo apprezzo”, rispose, ma sembrava ancora riluttante a
continuare. Alla fine disse, in modo piuttosto rigido, come se si aspettasse
di non venire creduto: “Ti ricorderai dello speciale mandato del nostro
ordine.”
    Per un momento mi limitai a fissarlo senza espressione. Poi
naturalmente mi ricordai.
    Il mandato riguardo l'Anticristo.

   Il “Mandato Speciale”.


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Studiando la storia dei Laurenziani, ogni novizio impara che lo statuto
originale del nostro Ordine include un mandato speciale riguardo
l'Anticristo, spronandoci a essere costantemente vigili. Noi dobbiamo
sapere prima di chiunque altro se l'Anticristo è tra noi e, se possibile,
dobbiamo distruggerlo.
    Nell'epoca in cui il mandato fu scritto, naturalmente, veniva dato per
scontato che l'identità dell'Anticristo fosse una questione chiusa: si trattava
di Lutero e della sua compagnia infernale. Mentre questa conclusione
diveniva sempre meno sicura, i Laurenziani cominciarono a discutere tra
di loro riguardo le modalità con cui il mandato doveva essere svolto. Se
dovevamo essere vigili, per che cosa dovevamo esserlo? Per la metà del
diciassettesimo secolo, chiunque in Europa aveva sentito così tante
persone accusate di essere l'Anticristo da essere esasperato dall'intera
faccenda, e le speculazioni sulla sua identità divennero ciò che sono ancora
oggi: roba per fanatici religiosi... Eccetto che tra i Laurenziani, che
silenziosamente svilupparono una propria peculiare (e non sanzionata)
teologia dell'Anticristo.
    L'Anticristo ci è noto da una profezia di Giovanni, che scrisse nella sua
prima lettera: “Bambini, è l'ora finale. Vi è stato detto che l'Anticristo sta
arrivando, e ora non uno ma una moltitudine di Anticristi sono comparsi,
cosicché non c'è più dubbio che l'ora finale sia giunta.” Quando quest'ora
finale non arrivò durante la vita dei contemporanei di Giovanni, i cristiani
di ogni generazione successiva cercarono segni dell'Anticristo nella
propria epoca. All'inizio guardarono a persecutori della Chiesa,
principalmente Nerone, che ci si aspettava sarebbe tornato dai morti per
continuare la sua guerra contro Cristo. Quando la persecuzione romana
finì, l'Anticristo degenerò in una sorta di mostro da fiaba popolare, un
enorme uomo nero con occhi iniettati di sangue, zanne di ferro e orecchie
d'asino.
    Mentre il Medioevo terminava e sempre più persone divenivano sempre
più disgustate dalla corruzione della Chiesa, il papato stesso cominciò a
venire identificato con l'Anticristo. Alla fine, papi e riformisti passarono
un secolo etichettandosi a vicenda con questo titolo. Quando i Laurenziani,
con il loro mandato speciale, cominciarono a riconsiderare la faccenda nei
secoli che seguirono, tornarono indietro fino ai fondamenti e presero nota
del fatto che le profezie raramente sono predizioni letterali di eventi futuri.
Spesso non sono nemmeno riconosciute come profezie finché non si
verificano. Numerosi esempi di questo avvengono nel Nuovo Testamento,
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dove eventi nella vita di Gesù sono descritti come la realizzazione di
antiche profezie che non erano state necessariamente considerate profezie
da coloro che le avevano pronunciate.
    I teologi Laurenziani ragionarono in questo modo: se le profezie
riguardo Cristo hanno dovuto attendere di venire realizzate per essere
comprese, perché non potrebbe essere lo stesso con le profezie
sull'Anticristo? In altre parole, non possiamo sapere di cosa Giovanni
stesse parlando finché non si verificherà davvero, quindi l'Anticristo sarà
sicuramente differente da qualunque cosa immaginiamo che possa essere.
    Se qualcuno vi dice che Saddam Hussein è l'Anticristo (ed è stato in
effetti nominato per questo onore), avete assolutamente ragione a ridere.
L'Anticristo non sarà una sorta di Hitler o Stalin peggiorato, perché
sarebbe la stessa cosa portata a un livello più alto: sessanta milioni di morti
anziché sei milioni. Se decidete di essere vigili verso l'Anticristo e non
solo verso un cattivo ordinario, dovete attendervi qualcosa appartenente a
un ordine di pericolosità completamente diverso.
    E qui è dove le cose sono arrivate oggigiorno, alla fine del secondo
millennio. Ma non esattamente. Questa è solo la versione ufficiale, e
l'impressione che si riceve durante il noviziato tra i Laurenziani è che la
faccenda dell'Anticristo sia morta e sepolta, e che lo sia stata per quasi due
secoli.
    Quello che avevo appena saputo da Padre Lulfre era che
quest'impressione era falsa, incoraggiata come parte di una precisa politica
verso i novizi, principalmente per scoraggiare chiacchiere che avrebbero
potuto diventare una storia imbarazzante per la stampa sensazionalista. La
politica funziona. Tra i ranghi inferiori dell'Ordine, l'argomento
dell'Anticristo non viene quasi mai fuori. Ai livelli più alti, comunque,
viene ancora mantenuta una discreta sorveglianza. Molto raramente, forse
una volta ogni cinquant'anni, spunta un individuo preoccupante, e
qualcuno dell'Ordine viene mandato a dare un'occhiata.
    Qualcuno come me. Qualcuno esattamente come me.

   Il candidato.

   Il candidato era un certo Charles Atterley, un americano quarantenne,
una sorta di predicatore itinerante che aveva girato gli stati centrali europei
per un decennio, raccogliendo un seguito piuttosto ampio ma
disorganizzato che sembrava ignorare ogni differenza demografica.
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Includeva giovani, vecchi e chiunque nel mezzo, entrambi i sessi in
numero più o meno uguale, cristiani ed ebrei, chierici di una dozzina di
religioni diverse (inclusa la Chiesa Cattolica Romana), atei, umanisti,
rabbini, buddisti, ambientalisti radicali, capitalisti e socialisti, avvocati ed
anarchici, liberali e conservatori. Gli unici gruppi notevolmente
sottorappresentati erano gli skinheads, i fanatici religiosi e i marxisti
impenitenti.
    Il messaggio di Atterley sembrava difficile da riassumere ed era
tipicamente definito “sconvolgente” da chi ne rimaneva favorevolmente
impressionato, e “incomprensibile” da chi non lo era. Dissi a Padre Lulfre
che non capivo cosa lo rendesse pericoloso.
    “A renderlo pericoloso”, disse, “è il fatto che nessuno riesce a
catalogare lui o il suo prodotto. Non sta vendendo meditazione, o
satanismo, o venerazione di una dea, o guarigioni miracolose, o
spiritualismo, o Umbanda, o parlare in lingue sconosciute o qualunque
altra stupidaggine New Age. Apparentemente, non sta proprio vendendo
nulla, e questo è inquietante. Sai sempre dove un uomo vuole arrivare
quando sta accumulando milioni. Atterley non è un altro esempio di un
modello già familiare, come David Koresh, il Reverendo Moon, Madame
Blavatsky o Uri Geller. In effetti, il modo in cui si presenta e il suo stile di
vita ricordano più Gesù di Nazareth che chiunque altro, e anche questo è
inquietante.”
    “Capisco che sia inquietante”, dissi. “Ma non pericoloso.”
    “La gente sta ascoltando, Jared... Forse qualcosa di decisamente nuovo.
Questo lo rende pericoloso.”
    Questo lo capivo.
    Chiunque pensi che la Chiesa sia aperta a nuove idee, vive nel mondo
dei sogni.

   L'incarico.

    Atterley al momento si trovava a Salisburgo, disse Padre Lulfre. Io
avrei dovuto andare lì, ascoltare, osservare e fare rapporto. Quando chiesi
chi sarebbe stato il mio contatto europeo, mi venne risposto che non ce ne
sarebbe stato nessuno. Non avrei dovuto contattare nessuno dell'Ordine in
nessuna circostanza. Avrei viaggiato sotto mio nome, senza tenere segreto
il fatto che ero un prete ma neanche gridandolo ai quattro venti. Avrei
indossato vestiti civili, come se fossi stato in vacanza.
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“Perché non se ne occupa qualcuno in Europa di questa faccenda?”
chiesi.
    “Perché Atterley è americano.”
    “Ma si sta rivolgendo agli europei.”
    “Non essere sciocco, Jared. L'Europa è soltanto una prova. Per quanto
gli Stati Uniti abbiano perso parecchio del proprio smalto negli scorsi
decenni, sono comunque ancora loro a decidere cosa va di moda. Niente
prenderà davvero piede da nessuna parte finché non lo farà qui. Atterley lo
sa, se è brillante solo la metà di quanto la gente pensa che sia, e quando
sarà pronto per noi verrà qui, puoi esserne certo. E questo è il motivo per
cui andrai in Europa: vogliamo essere pronti per lui prima che lui sia
pronto per noi.”
    “Sembra che lei prenda questa faccenda molto sul serio.”
    Padre Lulfre scrollò le spalle. “Se non la prendessimo sul serio, tanto
varrebbe non occuparcene proprio.”
    Dopo aver discusso di alcune questioni pratiche, come agenzie di
viaggi e carte di credito, mi alzai per andarmene, ma in mente avevo una
pesante domanda che mi fece trascinare i piedi. Arrivato alla porta,
finalmente la lasciai uscire.
    “E che succede dopo? A me, intendo.”
    Ci rifletté per un minuto, poi mi chiese cosa io avrei voluto che
succedesse.
    “Non lo so”, dissi. “Se pensa che sia sprecato alla St. Edward, allora
qual è il piano? Stava pensando di rimandarmi indietro e sprecarmi un
altro po'?”
    “Hai ragione a farmi questa domanda”, disse, come se non lo sapessi
già, “Non c'è nessun piano del genere, ma credo che sia ovvio senza
bisogno di dirlo che questo segnerà l'inizio di qualcosa di nuovo per te.”
    “Preferirei sentirlo dire chiaramente lo stesso, Padre Lulfre.”
    “Lo hai già sentito da me, Jared. Non basta?”
    Non mi sarebbe dispiaciuto sentirlo dire anche da qualcun altro, ma lui
non si offrì di renderlo possibile e io non volli essere pedante al riguardo,
così gli dissi che certo, bastava.

   La fine dell'inizio.

   Tutto questo è avvenuto l'altroieri. Ieri e oggi li ho passati cancellando
appuntamenti, distribuendo i miei compiti alla parrocchia, sistemando
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questioni di viaggio e aggiornando questo diario. Ho qualcos'altro in mente
che dovrebbe andare qui (forse parecchio), ma non so esattamente di che si
tratta e non avrò il tempo di capirlo finché non sarò sull'aereo che mi farà
attraversare l'Atlantico.


   Martedì, 14 maggio.

   Salisburgo.

    Se foste una spia professionista in un libro di Len Deighton o John Le
Carré e veniste mandati a dare un'occhiata a un uomo a Salisburgo, molto
probabilmente lo trovereste a Salisburgo. La vita reale è meno affidabile.
Charles Atterley non è a Salisburgo. Da quello che ho potuto scoprire in
due giorni, non è mai stato qui e non ci si aspetta che arrivi. In effetti,
nessuno lo ha mai sentito nominare.
    Salisburgo, comunque, è molto graziosa e piena di fascino del vecchio
mondo, e i locali continuano a ripetermi: “Il suo amico probabilmente la
sta aspettando a Monaco.” Lo fanno suonare come se Monaco sia piena
zeppa di amici americani che sono stati dirottati lì per sbaglio da
Salisburgo, e uno di loro debba essere il mio.
    Tanto vale che vada a dare un'occhiata.


   Giovedì, 16 maggio.

   Monaco.

    Non ho trovato traccia di Atterley qui, e comincio a sentirmi piuttosto
stupido. Non sono venuto in Europa preparato a giocare al detective, e non
ho indizi né contatti da nessuna parte.
    Sono però riuscito a trovare una bibliotecaria amichevole con un
computer che ha dedicato una mezz'ora al problema, ma non puoi arrivare
molto lontano quando non hai nulla da cui partire. Che puoi fare dopo aver
controllato tutti i giornali in archivio fino a risalire al Putsch di Monaco?
Chiedi al concierge, immagino. Il concierge sa tutto. Ma che fai dopo che
il concierge ti restituisce un'occhiata vacua?
    Immagino che dovrei chiamare e conferire con Padre Lulfre, ma non è
                                     10
un'idea che mi piaccia.
    Fino a ora mi sono comportato in modo piuttosto compulsivo (anche se
forse non è la parola che sto cercando). Ho agito come se avessi potuto
trovare Charles Atterley tramite pura e semplice determinazione. Questa
tattica di sicuro non ha funzionato, e provarla mi ha fatto sentire inetto ed
ridicolo.
    Questi che seguono sono fatti: non mi è stata data una scadenza,
nessuna particolare urgenza connessa alla mia missione, e non ho idea di
cosa fare. Ergo (ergo!) tanto vale che mi rilassi e segua la corrente per un
po'.
    Adieu.

   Un invito.

    Uscii a farmi una passeggiata.
    Non sono, in realtà, un viaggiatore avventuroso. Come ho detto, uscii a
farmi una passeggiata nelle vicinanze del mio hotel e guardai le vetrine dei
negozi. Mi fermai qua e là per studiare un menu nella finestra di un
ristorante, come se sapessi cosa significassero quelle scritte. Così passò
un'ora, come un vagabondo spensierato. Tornai all'hotel e gironzolai
intorno alla reception nell'assurda speranza che qualcuno mi dicesse che
era arrivato un messaggio durante la mia assenza. Alla fine, scoraggiato,
mi diressi al bar, mi sedetti a un tavolo e ordinai una birra. Dopo alcuni
minuti, il barista mi portò una ciotola di noccioline salate e disse che il
gentiluomo al bancone si stava chiedendo se fossi americano e, in quel
caso, se mi avesse dato fastidio che si unisse a me.
    Il gentiluomo al bancone era un esile sessantenne con gli occhi vivaci,
europeo, a giudicare dal suo datato ma rispettabile completo. Mi chiesi
perché avrebbe voluto unirsi a me se fossi stato un americano ma,
presumibilmente, non in caso contrario, ma gli feci un cenno e un sorriso e
lui portò il suo bicchiere al mio tavolo, presentandosi con teutonica
formalità, e si sedette.
    Ero pronto per un po' di comprensione e di suggerimenti, e Herr
Reichmann non dovette strapparmi le unghie per farmi parlare della mia
ricerca di un individuo chiamato Charles Atterley (benché, ovviamente,
non una sillaba della parola Anticristo mi attraversò le labbra). Avevo già
inventato una fragile ma apparentemente efficace storia per spiegare
questo mio interesse: sono uno scrittore freelance che sta facendo ricerche
                                     11
su di un uomo che pare stia guidando un nuovo movimento religioso.
    “Una nuova religione?”, indagò Herr Reichmann con divertita
incredulità. “Sa, noi europei non siamo creduloni come voi americani, con
i vostri angeli e cristalli magici.”
    “Esatto”, replicai. “Ecco perché Atterley è così significativo.”
    Continuammo a chiacchierare educatamente del più e del meno per
qualche minuto, poi Reichmann tacque e fissò con aria pensierosa un
lontano angolo della stanza. “Posso metterla in contatto con qualcuno
molto più significativo di questo Atterley”, disse, “ed è possibile che un
membro della sua cerchia potrà consigliarla.”
    “Gliene sarei davvero molto grato”, gli dissi con sincerità.
    Scrisse un nome su un sottobicchiere e me lo passò dicendo: “Der Bau,
alle nove di stasera. Il concierge potrà darvi indicazioni.”
    Si alzò e cominciò ad allontanarsi, poi improvvisamente si voltò e fece
un inchino.
    “Si faccia disegnare una mappa”, disse.
    Alcuni minuti dopo porsi obbedientemente il sottobicchiere al
concierge e gli chiesi indicazioni e una mappa. Lui considerò la mappa non
necessaria, ma ne disegnò una controvoglia quando insistetti. Gli chiesi
cosa fosse un Bau.
    “Un Bau è un tunnel”, rispose. Poi, dopo averci riflettuto un attimo:
“No, mi sono sbagliato. Un Bau è come... Come un nascondiglio
sotterraneo.”
    “Una catacomba?”
    “No, il nascondiglio di un animale.”
    “Una tana?”
    “Ecco, sì. Una tana.”

   Nella tana.

    Non posso immaginare che un posto come Der Bau esista in nessuna
parte del Nuovo Mondo, benché possano esserci posti creati appositamente
per assomigliargli. Quando venne costruito, non lontano dal Karlstor, nel
1330, era la cantina del palazzo di un nobile. Il livello delle strade intorno
al palazzo salì gradualmente nei secoli seguenti, trasformando il piano
terra in una cantina e la cantina in un sotterraneo. Durante la Seconda
Guerra Mondiale, il sotterraneo ospitò le cose di valore di chiese e musei
vicini. In seguito il palazzo andò in rovina fino al 1958, quando fu raso al
                                      12
suolo e rimpiazzato da una struttura commerciale. Il sotterraneo venne
preservato come Der Bau, un locale di cabaret di tipo classico, ossia un
laboratorio alcolico di esperimenti artistici e intellettuali, piuttosto che un
luogo di intrattenimento popolare. Era accessibile dall'atrio del nuovo
edificio attraverso una serpeggiante scalinata che sembrava scendere nelle
viscere della Terra.
    All'entrata, una piacevole giovane donna cercò di persuadermi che ero
arrivato nel posto sbagliato e che mi sarei divertito molto di più da
qualunque altra parte a Monaco. Insistetti che sapevo dove mi trovavo ed
ero stato specificamente invitato all'evento di quella sera. Il nome
Reichmann la lasciò impassibile, ma quando vide che non mi sarei fatto
dissuadere mi accompagnò allegramente all'interno.
    La stanza era, naturalmente, scura come il fondo di un abisso, ma
fortunatamente senza i soliti tavoli bohémien con candelabri accesi. Il
soffitto, sorprendentemente alto cinque o sei metri, brulicava di luci al
momento quasi spente ma capaci di produrre l'illuminazione di un
mezzogiorno. Le dimensioni della stanza erano difficili da giudicare, dato
che i suoi confini scomparivano nella penombra, ma non doveva essere più
ampia di trenta metri quadrati.
    Un palco basso e rotondo girava lentamente al centro della stanza sotto
un padiglione fisso formato da schermi televisivi. Al centro del palco si
trovava un incrocio tra un pulpito e una tastiera di computer. Mi feci strada
verso il palco finché non trovai un posto libero a un tavolo non molto più
grande del mio blocco per gli appunti. Uno dei segreti del mio passato
successo come studente era l'abilità di ascoltare una lezione mentre la
scrivevo parola per parola in stenografia. Avevo perfezionato questo trucco
al punto da riuscire a eseguirlo al buio (come avrei dovuto fare stanotte) e
senza nemmeno doverci pensare. Dopo aver ultimato i preparativi,
comunque, mi chiesi se non stessi facendo una fatica inutile. Herr
Reichmann non aveva lasciato in alcun modo supporre che la lezione di
stanotte sarebbe stata in inglese. E, in effetti, perché avrebbe dovuto? Mi
guardai intorno per cercare qualcuno a cui chiederlo, ma decisi
rapidamente che preferivo non rivelare di essere tanto stupido da assistere
a un discorso in una lingua sconosciuta. Non conoscevo nemmeno il nome
dell'oratore, santo Dio.
    Questi pensieri irritanti si interruppero quando le luci sotto il padiglione
si intensificarono, segnalando l'arrivo dell'uomo in questione. L'arrivo di
un uomo e di una donna, per la precisione. Salirono sul palco e l'uomo
                                       13
prese posto dietro il pulpito e si dedicò alla tastiera. Mentre lavorava con
silenziosa concentrazione, ignorando il pubblico, mi ricordò un grande
uccello da preda, con il suo vestito nero, occhi penetranti e naso aquilino.
Mi ricordò anche un gargoyle, con i suoi ampi zigomi e la bocca larga, e
un gangster parigino che avevo incontrato una volta a una festa e che
citava Augustine e Schopenhauer e portava sul volto i segni di un passato
terribile. Pensai che sembrava essere all'inizio o a metà dei suoi
quarant'anni.
    La donna – alta, fisico atletico, sui trent'anni – prese posizione al lato
opposto del palco, rivolta verso il pubblico. Indossava jeans infilati dentro
stivali, una maglietta nera di seta e una giacca di cuoio fulvo che
rimandava al colore dei suoi capelli, legati in una coda di cavallo. Osservò
solennemente la folla. Mentre il palco girevole la portava lentamente sul
mio lato della stanza, vidi che aveva uno straordinario tatuaggio in mezzo
al viso – una farfalla rossa. A giudicare dalla sua carnagione e dalle sue
caratteristiche esotiche, qualcuno dei suoi genitori o nonni doveva averle
dato del sangue africano, asiatico o sudamericano.
    Improvvisamente lo schermo prese vita, mostrando le parole:

                              LA GRANDE AMNESIA

    L'uomo concesse al pubblico un momento per leggerle, poi cominciò a
parlare.1 Sentii gli occhi della donna su di me mentre anche lei cominciava
a parlare... Con il linguaggio dei segni.
    Quasi dalla prima parola che pronunciò, seppi che ero stato ingannato –
misteriosamente e gratuitamente. Quest'uomo non poteva essere altri che
Charles Atterley. Lo sapevo non per qualche motivo logico, anche se la
logica fece sicuramente la sua parte. Che fosse americano era fuor di
dubbio. Questo era sufficiente. Non era possibile che due diversi
predicatori americani stessero diffondendo idee rivoluzionarie in Europa
centrale nello stesso momento.
    Mi sembra strano adesso, dopo gli eventi, che questa rivelazione mi
irritasse tanto. Non riuscivo semplicemente a immaginare perché Herr
Reichmann si fosse preso il disturbo di ingannarmi. Mi sembrava del tutto
insensato, ed era stata quell'insensatezza a sconcertarmi. Fortunatamente, il
mio addestramento non mi tradì. Anche se il mio cervello era in stallo, le

1   Il testo di questo discorso può essere trovato a pagina 206.

                                            14
mie mani continuarono a lavorare. Le parole di Atterley comparvero sulla
pagina come per magia, come se fossero state scritte in inchiostro
simpatico e il movimento della mia penna le stesse rendendo visibili. Mi
accorsi che stavo guardando la mia mano quando si fermò
improvvisamente, perché Atterley si era fermato. Guardai in alto e vidi una
nuova frase sullo schermo:

                       IN VERITA' VI DICO...
                   ANCORA, E ANCORA, E ANCORA

     Per qualche motivo, questo riuscì a scuotermi dalla mia trance. Avevo
perso i primi quattro o cinque minuti del discorso di Atterley, ma
naturalmente non li avevo persi completamente. I minuti erano lì, come
una sorta di eco che potevo ascoltare all'indietro per ottenere il senso
generale del suo discorso.
     Atterley stava parlando di questioni importanti per la mia vita e ancora
di più per il mio lavoro... E non mi piaceva cosa stavo sentendo. Questo
non perché fossero cose non vere, ma per la ragione opposta: perché erano
vere e io non le avevo capite. Stava facendo acute osservazioni su
fenomeni a cui avevo assistito migliaia di volte ma su cui non avevo mai
pensato di riflettere. Avevo vissuto come un cavallo da corsa
all'ippodromo di Ascot: il cavallo non è per nulla impressionato se riceve
una visita da parte della Regina, ma questo non perché è un repubblicano,
ma perché è un idiota.
     Tutto ciò che Atterley stava dicendo era ovvio e allo stesso tempo del
tutto nuovo. Questo lo rendeva esasperante, perché ciò che è ovvio
dovrebbe essere vecchio, ben noto, noioso e scontato. Guardai le persone
intorno a me e vidi che erano rapite dalle parole di Atterley. Avrei voluto
prenderli a calci, agguantarli per i capelli, scuoterli e urlare: “Perché stai
ascoltando con tanta attenzione queste cose? Le conosci! Avresti potuto
capirle da solo!”
     Ma non l'avevano fatto... E non l'avevo fatto neanch'io.
     Il palco ruotò, portandomi davanti prima Atterley e poi la donna, che
parlava a gesti. In breve arrivai a odiare vederli andare e venire... Loro due
insieme erano molto peggio che ognuno di loro preso singolarmente.
     Odiai vederli andare e venire, ma odiai anche loro, per quello che
stavano facendo. Mi stavano dimostrando che ero esattamente come quel
cavallo all'ippodromo. Posso anche scuotere la testa e atteggiarmi a
                                      15
campione, ma quando si arriva al sodo non riesco nemmeno a distinguere
tra la Regina d'Inghilterra e uno stalliere.
    Avevano trovato un punto dolente in me che non sapevo nemmeno
esistesse, e li detestai per questo. Andarono avanti per altri quaranta minuti
circa. Ascoltai tutto e mi rifiutai di comprendere una singola parola,
nonostante la mia mano continuasse a mettere tutto per iscritto. Poi
improvvisamente lo schermo si oscurò, le luci sul palco si affievolirono e
Atterley e la sua amica scesero nell'oscurità.
    Uscii di lì come un ubriaco che si era appena ricordato dove aveva
nascosto una bottiglia. In effetti mi serviva proprio un goccio, ma non
volevo prenderlo al mio hotel, dove avrei potuto incappare nuovamente in
Herr Reichmann.
    Nessun problema. Monaco è una città molto grande, piena di alcool.


   Venerdì, 17 maggio.

   Conseguenze.

    Probabilmente ho rovinato tutto, anche se forse non in modo
irrevocabile. Sono venuto, ho visto e sono scappato. Ovviamente non
muoio dalla voglia di riferirlo a Padre Lulfre.
    E, altrettanto ovviamente, devo tornare sulle tracce di Atterley.

   Più tardi.

   Herr Reichmann non è registrato all'hotel, e il barista che ci aveva
presentato disse che non lo aveva mai visto prima. Non mi aspettavo
davvero che sarebbe stato semplice. Il concierge cercò informazioni su Der
Bau e scoprì che apre alle tre del pomeriggio, informazione che si
dimostrò falsa o superata. Aprì – riluttantemente, mi sembrò – intorno alle
cinque e mezzo. Lo staff di questo evento non conosceva abbastanza
inglese per essermi di aiuto, ma riuscirono a comunicarmi che mi
avrebbero mandato un tale di nome Harry se mi fossi seduto e avessi
aspettato per un'oretta.
   Mi sedetti e aspettai per un'oretta e, abbastanza sorprendentemente, mi
mandarono qualcuno di nome Harry, che si rivelò essere un inglese o forse
un tedesco che aveva studiato in Inghilterra. Gli dissi che stavo cercando
                                      16
Charles Atterley.
   “Il nome non mi è familiare, mi dispiace”, disse Harry.
   “L'uomo che ha parlato qui la notte scorsa”, precisai io.
   “Ah. È così che si chiama?”
   Lo guardai incredulo. “Non conosce il suo nome?”
   “Non conoscevo quel nome.”
   “Che intende dire?”
   Harry scrollò le spalle. “Il nome che conosco io potrebbe non essere
proprio un nome. È conosciuto come B.”
   “B? B come bambino?”
   “Esatto.”
   “Perché si fa chiamare così?”
   Harry mi fece il tipo di sorriso che si riserva a un bambino che fa
domande sugli elfi di Babbo Natale. Gli chiesi dove avrei potuto trovarlo.
   “Non ne ho proprio idea”, disse Harry.
   “Sa dove potrebbe parlare la prossima volta?”
   “No.”
   Riflettei per un momento. “Come ha fatto a prenotare qui a Der Bau?”
   Harry aggrottò la fronte come se stessi oltrepassando il confine tra
curiosità e arroganza. “Questo non è il Caesar Palace, amico mio. Gli
accordi vengono presi in ogni modo, solitamente molto informale. Non
facciamo vere e proprie prenotazioni o ingaggi.”
   “Ma dovete aver avuto un modo per contattarlo...”
   “Potremmo, e se mi puntasse una pistola alla testa potrei anche riuscire
a scoprirlo, ma altrimenti non credo che ci riuscirei”, scrollò di nuovo le
spalle. “Le cose stanno così. Questo non è un istituto di ricerca per persone
scomparse, e io ho altre cose da fare.”
   Gli dissi che capivo, lo ringraziai comunque e mi alzai per andarmene.
   “Torni più tardi”, disse Harry. “Si trovano sempre persone desiderose di
parlare se gli si offre da bere, e qualcuno nella folla potrebbe sapere più di
me su questo tizio.”
   Lo ringraziai nuovamente e tornai all'hotel.

   Stando seduto qui nella mia stanza – e camminando avanti e indietro e
guardando fuori dalla finestra – mi è improvvisamente venuto in mente
che quando gli eroi delle favole non sanno cosa fare, si limitano a sedersi e
piangere. Nelle stesse circostanze, un eroe moderno malmenerebbe
qualcuno o si ubriacherebbe, ma non si limiterebbe mai a starsene seduto a
                                      17
frignare.
    Ho letto abbastanza storie di detective da sapere che dovrei andare a
estrarre informazioni da qualcuno, ma da chi?
    Seduto qui fissando il mio blocco per gli appunti, alla fine mi sono
accorto che c'è una cosa che ho finora accuratamente evitato di fare:
leggere la lezione che ho scritto l'altra notte al Der Bau. Ammetto di avere
una forte riluttanza al riguardo.
    Fatto interessante: mi ricordo il titolo del discorso (La Grande
Amnesia), ma mi sono scordato cos'è questa Grande Amnesia. Non l'ho
davvero dimenticato, ovviamente, ho solo chiuso la mia memoria su
questo argomento, e questo significa che...

   Salvato dal telefono. Come si supponeva che avvenisse. Quando l'eroe
sta seduto a piangere perché non sa cosa fare, l'universo delle favole
manda degli aiutanti magici. Il mio non era stato di sicuro magico, ma
misterioso certamente. Credo di poter trascrivere tutto parola per parola.
   IO: “Pronto.”
   LUI: “Padre Osborne?”
   IO: “Sì. Chi è?”
   LUI: “Che accidenti crede di fare?”
   IO: “Cosa?”
   LUI: “Capisce cosa dovrebbe fare qui?”
   IO: “Ma chi è?”
   LUI: “Mi era stato fatto credere che avrei avuto a che fare con qualcuno
almeno marginalmente competente.”

   Era impossibile non cogliere il tono della conversazione, e io stavo
sicuramente avendo la peggio. Cercai di arrangiare una linea di difesa.

   IO: “Non so chi lei sia o chi l'abbia nominata mia baby-sitter, ma io so
chi sono. Sono un prete di campagna. Se si aspettava James Bond, o è stato
ingannato o si è ingannato da solo.”
   LUI: “Essere un prete di campagna significa essere in coma?”
   IO: “Mi dispiace di averla delusa.”

    Così dicendo gli attaccai in faccia, qualcosa che non credo di aver fatto
fin dalle scuole medie. Non esiste mossa migliore quando hai le spalle al
muro. Come previsto, richiamò immediatamente.
                                     18
“La ragazza è malata”, mi disse come se non fosse successo nulla. “La
ragazza sta morendo.”
   “Cosa?”, per un secondo pensai che mi stesse dando una parola
d'ordine di qualche tipo. Forse avrei dovuto rispondere con: “Ma le rondini
torneranno a Capistrano comunque.” Fortunatamente mi ripresi e dissi:
“Intende quella che stava parlando a gesti?”
   “Certo. Non l'ha vista in faccia?”
   “L'ho vista. Non avevo capito che fosse... Cos'è, Lupus? Il Lupus non è
mortale, vero?”
   “È scleroderma, o forse una malattia degenerativa mista. Sono tutte
nella stessa famiglia del Lupus. È una malattia autoimmune, degenerativa,
incurabile.”
   “Va bene. E che cosa dovrei fare con questa informazione?”
   “Radenau ha un centro di ricerca dedicato allo studio e al trattamento
delle malattie degenerative. Ecco cosa stanno facendo in Europa centrale.
Radenau è il centro del cerchio, novanta chilometri a sud di Amburgo.”
   “Quindi cosa sta dicendo? Quando non so cosa fare dovrei andare a
Radenau?”
   “Quando non sa cosa fare, si ricordi che Radenau è il centro del
cerchio.”
   “Qualcuno avrebbe anche potuto dirmelo dall'inizio.”
   Il mio interlocutore sospirò. Lo fece sembrare quasi umano. “Qualcuno
avrebbe potuto dirlo anche a me, ma nessuno l'ha fatto. L'ho scoperto da
solo.”
   Questo non mi fece piacere, ma riuscii a tenermelo per me. “Tutto
questo mi riporta alla mia domanda iniziale: chi diavolo è lei? E se ha il
compito di occuparsi di questa faccenda, che ci faccio io qui?”
   “Lei dovrebbe aprire la strada e io dovrei seguirla. Non dovrebbe
nemmeno sapere che sono qui.”
   “Perché non dovrei saperlo?”
   “Non lo so. Forse l'idea è di non mettere troppo alla prova le sue
capacità di dissimulazione. O forse l'idea è di spingerla a mostrare
un'ombra di iniziativa.”
   “Vaffanculo, Charlie”, dissi. Alcune persone rimangono sconcertate
quando sentono un prete parlare volgarmente come un ragazzino, ma
questa si limitò ad aspettare. “Ascolti”, gli dissi, “non sono un detective.
Lo ammetto. Un po' di aiuto non mi dispiacerebbe.”
   “Non da me. Esca di lì e faccia qualcosa.”
                                     19
Il telefono divenne muto.

   Lavoro da detective.

    Tirai fuori la mia mappa, e questo mi aiutò parecchio. Intorno a
Radenau c'erano cinquanta grandi città dove B avrebbe potuto parlare:
Norimberga, Dresda, Berlino, Kiel, Amburgo, Brema, Essen, Koln,
Francoforte, Heidelberg e Stuttgart. Per nominarne solo alcune. Sarebbe
stato facile trovarlo se si fosse trattato di Billy Graham, ma come diavolo
avrei potuto rintracciare un predicatore virtualmente sconosciuto chiamato
B?
    Non trovando aiuto nella geografia, passai un po' di tempo a chiedermi
chi fosse Charlie. Un civile, di sicuro. Come si fa spesso, mi immaginai
una figura da associare alla voce. Lo piazzai intorno ai trentacinque anni,
snello, di altezza e peso medi, un militare o paramilitare di qualche tipo,
con un volto da ratto e vestiti scadenti risalenti agli anni Cinquanta. Come
dovrebbe essere evidente da tutto ciò, Charlie non era riuscito a diventarmi
simpatico. Mi baloccai brevemente con l'idea di chiamare Padre Lulfre e
chiedergli come stavano le cose, ma non riuscii a trovare l'ombra di una
motivazione a sostegno delle mie lamentele.
    Se Charlie sapeva dov'era B, cosa ci aveva guadagnato dal dirmelo? Se
voleva farmi apparire incapace, perché chiamarmi e darmi indicazioni? Al
telefono aveva cercato di darmi a bere una spiegazione per questo
comportamento: aveva a che fare con uno scolaro pigro. Stavo facendo
male i miei compiti, e lui non era venuto per darmi le risposte giuste, ma
per farmi assaggiare il bastone. Ha senso se è davvero il tipo militare. Sta
trattando questa faccenda come un campo di addestramento reclute. Va
bene.
    Per quanto possa vedere, c'è solo una cosa in tutto ciò che mi ha detto
che è davvero rilevante: dovunque B e la ragazza vadano, alla fine
finiscono per tornare a Radenau. Devo assumere che questa sia la miglior
informazione in possesso di Charlie. Se avesse saputo con certezza che B
passerà le vacanze a Spitzbergen, per esempio, di sicuro non mi avrebbe
rifilato questa storia di Radenau. Se ho ragione, allora Charlie stesso si sta
dirigendo a Radenau. E questo, devo supporre, è ciò che ha voluto farmi
capire chiamandomi. Non è grandioso essere istruiti?



                                      20
Sabato, 18 maggio.

   Radenau.

    Partii dopo una tarda e lussuosa colazione, e arrivai ad Amburgo a metà
pomeriggio. La Germania è più piccola del Montana, e attraversarla da un
lato all'altro a bordo dell'intercity ad alta velocità la fa sembrare ancora più
piccola. Avendo un paio d'ore da far passare prima di prendere la
coincidenza per Radenau, visitai l'ufficio di informazioni turistiche nel
Hauptbahnhof e mi fu sinceramente consigliato di non perdere il
jungfernstieg, a cinque minuti a piedi, che mi avrebbe permesso di
ammirare il bellissimo lago artificiale della città da una parte e i suoi
negozi più eleganti dall'altra. Accettai il consiglio ed eccolo lì, perdiana,
esattamente come mi era stato descritto.
    Non molto di Radenau risale a prima degli anni Quaranta. Albert Speer,
l'architetto e tecnocrate-capo di Hitler, aveva in mente qualcosa per la città
durante le ultime fasi della guerra, ma di sicuro non un centro di belle arti.
Penso che avrebbe dovuto essere un posto dove le fabbriche si potessero
sentire a casa propria durante il Reich di Mille Anni. Ora è un complesso
industriale punteggiato di appartamenti indistinguibili da caserme. L'unica
cosa positiva che la mia guida turistica aveva da dire sul mio hotel era che
si trattava di un edificio moderno e scrupolosamente pulito, e in effetti era
entrambe le cose. Era anche in pieno centro, ossia nella parte più antica
della città. La vecchia Radenau non prova nemmeno a essere pittoresca.
    Avevo passato il mio tempo sul treno scrivendo una versione leggibile
de “La Grande Amnesia” da mandare a Padre Lulfre. Quando mi registrai
in hotel chiesi alla reception se avessero un fax, e mi fu risposto di sì con
un tono oltraggiato come se avessi chiesto se avessero acqua corrente. Fui
contento di avere un fax con cui placarli.
    Ho intenzione di farmi un bagno, una lunga, riflessiva cena (pensando a
meno cose possibili), e magari una passeggiata prima di andare a letto.
Niente di più. Niente lavoro fino a domani.

   Comincia una lunga notte.

   Come avevo detto che avrei potuto fare, uscii a fare una passeggiata
dopo cena. La notte era piacevole, le strade tranquille. Non sono un grande
esploratore. A circa tre isolati dall'hotel (in altre parole, ai limiti della mia
                                       21
avventurosità), udii un leggero chiasso provenire da un punto più avanti.
Se mi fossi trovato a Beirut mi sarei limitato a girare i tacchi e tornare in
hotel, ma dato che ero a Radenau lasciai che la mia curiosità mi guidasse a
una stradina vicina, dove un piccolo teatro stava venendo picchettato da
quaranta o cinquanta cittadini che sembravano piuttosto sorpresi di essere
coinvolti in una tale volgare manifestazione di maleducazione. Stavano
brulicando indisciplinatamente, mostrando rozzi cartelli a un pubblico
inesistente e cantando in maniera incerta degli slogan sul cui testo stavano
evidentemente ancora lavorando.
     Mi ci vollero circa tre secondi per capire che avevo trovato B, o almeno
il luogo del suo prossimo spettacolo. Una delle attività preferite dei
fabbricatori di cartelli era, a quanto pare, immaginare il significato del
nome “B”. Veniva infatti chiamato il Blasfemo, il Bastardo, il Boccalarga,
le Badaud, la Bete, le Bobard, le Boucher, le Bruit, die Beerdigung, der
Bettler, e die Blattern, insieme ad altri che non mi ricordo più. Altri ancora
lo identificavano con Belzebù, la Bestia, Belial e Barabba, e due o tre,
ignorando il problema dell'iniziale, lo definivano con sicurezza
l'Anticristo, il che, devo ammettere, mi sorprese basandomi su quello che
avevo visto fino a quel momento. Mi sorprese davvero.
     L'entrata del teatro era difesa da una guardia in uniforme che appariva
molto più feroce e molto più preoccupata di quanto mi sembrasse
necessario, date le circostanze. L'unica limitazione all'entrata sembrava
essere che i cartelli di protesta dovevano essere lasciati fuori. Osservando
il traffico all'ingresso, mi accorsi rapidamente che la procedura consisteva
nel picchettare per un po', poi entrare a disturbare l'oratore per qualche
minuto, poi tornare fuori e picchettare un altro po'. Mi feci strada
all'interno.
     Per prima cosa notai che la sala non era molto grande, contava trecento
o quattrocento posti al massimo. Poi notai il fatto, molto più importante,
che i disturbatori non si stavano impegnando granché. Forse è vero che i
tedeschi non sono a proprio agio nello sfidare l'autorità. Le prime venti file
ospitavano evidentemente i sostenitori di B, che avevano un'aria cupa e
nervosa, mentre nel resto della sala erano sparsi i suoi minacciosi (ma
perlopiù silenziosi) antagonisti. C'era un posto libero vicino al palco, e mi
ci diressi dopo aver afferrato una pila di volantini da usare come blocco
per gli appunti. Fui deluso dal vedere che, a eccezione di B, il palco era
vuoto.
     B incrociò il mio sguardo mentre mi sedevo, e un lampo di
                                      22
riconoscimento passò tra noi, o così mi parve.
    Era di profilo verso il pubblico, appoggiato al podio e chinato in avanti
in modo da avere le labbra a un millimetro dal microfono. Mi prendo la
briga di descrivere questi dettagli per cercare di ricreare l'impressione che
dava di essere del tutto indifferente a cose che avrebbero potuto zittire altri
oratori. Nonostante i disturbatori non fossero molto rumorosi, infatti, la
loro ostilità era palpabile. Le sue mani erano ferme e rilassate, e sembrava
interamente concentrato sui propri pensieri, che stava condividendo con il
pubblico intimamente e spontaneamente come in una conversazione
privata.
    Non sapevo da quanto stesse parlando, ma mentre ascoltavo cominciai
a riconoscere il terreno familiare della Grande Amnesia. Ma benché il
discorso fosse familiare, era meno dettagliato. In altre parole, questo era
solo un riassunto della lezione passata. Alla fine tacque e lasciò vagare
deliberatamente lo sguardo sulla folla.
    “Stanotte”, disse, “vorrei parlarvi della bollitura di una rana.”
    Tolsi il cappuccio alla penna e cominciai a trascrivere.2

     Un invito viene spedito.

   Fino a ora non avevo mai avuto ragione di rifletterci (o di notarlo), ma
entro in una sorta di trance quando trascrivo un discorso. Provo la
piacevole sensazione (ora che ci faccio caso) che le parole che escono
dalla penna siano le mie. Ho l'illusione che la mia mano anticipi ciò che le
mie orecchie sentono, mi sembra di conoscere le parole prima che vengano
pronunciate e che potrei trascrivere il discorso anche se l'oratore si
fermasse. Sperimento una strana sensazione di intimità con il relatore.
Posso non capire perfettamente cosa dice, ma mi sembra di avere una
profonda percezione del suo significato. Quando smette di parlare, posso
essere incapace di rispondere anche alla più semplice delle domande sul
suo discorso, ma questo non mi preoccupa perché so che è tutto al sicuro
nella mia trascrizione.
   Dato che in questa occasione B non stava usando schermi televisivi,
chiusi gli occhi, cosa che di solito mi aiuta a concentrarmi. Dopo una
mezz'ora, comunque, si riaprirono involontariamente. Guardai B, lui
guardò me e i nostri occhi si incontrarono brevemente, senza particolari

2   Il testo di questo discorso può essere trovato a pagina 224.

                                            23
segni di riconoscimento. Senza fare una pausa tra le parole, osservò tutta la
folla senza fare distinzioni (per quanto potei vedere) tra amici e nemici.
Poi, in un gesto che non aveva evidenti correlazioni con nulla di quanto
stesse dicendo, sollevò il suo indice sinistro in aria, lo tenne lì per un
attimo, poi lo puntò con decisione alla propria destra. Era senza dubbio un
segno di qualche tipo, ma non riuscii a notare nessuno che l'avesse colto o
che avesse reagito in qualunque modo. Considerai l'idea che il segnale
fosse stato visto solo da me perché era stato indirizzato a me.
    Continuò a parlare. Chiusi gli occhi per tagliare fuori il continuo
rumore della folla e continuai a trascrivere. Passarono i minuti.
Improvvisamente notai che la mia mano si era fermata e mi chiesi perché.
Aprendo gli occhi, vidi che B aveva finito. Tuttavia, il pubblico non
sembrò rendersene conto finché non ebbe raccolto i suoi fogli e non fu
sceso dal palco. A quel punto, i disturbatori esultarono come per
autocongratularsi per un lavoro ben fatto, e i sostenitori di B si affrettarono
ad applaudire. Uscendo, B fece a tutti un cenno indifferente e sparì dietro
le quinte.

   Pellegrinaggio.

    Per quando fui uscito, la protesta si era trasformata in una festa, con
abbracci, baci e bicchieri di carta pieni di vino per chiunque avesse
partecipato all'epica impresa. I sostenitori di B si dispersero nella notte
indisturbati eccetto che per sporadiche prese in giro. Mentre guardavo
dall'altra parte della strada, realizzai rapidamente che i disturbatori stavano
facendo ciò che stavo facendo anch'io: tenendo d'occhio il vicolo sul lato
del teatro, aspettando che B si facesse vedere. Dopo alcuni minuti,
un'automobile si accostò alla stradina – non una limousine, solo una
vecchia Mercedes Sedan. Un secondo dopo, una guardia attraversò la folla,
spinse i passeggeri nel sedile posteriore e fece la guardia mentre la Sedan
accelerava verso destra.
    Avendo perso la propria occasione per un'ultima manifestazione di
disprezzo, la folla perse rapidamente il proprio buon umore e cominciò a
disperdersi. Bottiglie vennero tappate, bicchieri raccolti, e naturalmente
tutti dovettero stringere la mano a tutti prima di andarsene. Mentre questo
avveniva, la guardia in uniforme riapparve all'ingresso del teatro per far
uscire uno degli ultimi spettatori e chiudere dietro di lui. Lo spettatore
ringraziò la guardia con un cenno del capo, alzò il colletto della giacca
                                      24
contro l'aria notturna e si avviò alla propria sinistra, tagliando la folla e
sparendo nell'oscurità. Sarebbe stato facilmente riconosciuto da chiunque
si fosse dato la briga di guardarlo. Aspettai finché non fu una cinquantina
di metri avanti a me, poi lo seguii.
    Ovviamente non avevo idea di dove mi stesse conducendo, ammesso
che mi stesse davvero conducendo da qualche parte. Un po' meno
ovviamente, non sapevo perché lo stessi seguendo, eccetto per il fatto che
credevo di essere stato invitato. All'inizio pensai che la Mercedes avrebbe
fatto il giro dell'isolato per raccoglierlo, ma mi sbagliavo. Poi pensai che
fosse diretto a una vicina taverna o bar, ma mi sbagliai di nuovo. Continuò
a camminare fino a lasciarsi il centro della città alle spalle.
    Cominciai ad avere delle esitazioni riguardo questa avventura. Se mi
avesse piantato in asso a quel punto, mi sarebbe stato molto difficile
tornare all'hotel. Gli autobus non circolavano più – almeno non qui – ed
era passata mezz'ora dall'ultima volta che avevo visto un taxi. Peggio
ancora, eravamo entrati in una zona che avrei definito industriale: non
c'erano case o appartamenti, né negozi, né bar, né minimarket aperti tutta
la notte con un telefono e magari dei commessi desiderosi di aiutare. Qui
c'erano solo fabbriche, magazzini e cantieri, che a quest'ora di notte
ospitavano solo guardie notturne e cani da guardia.
    Potreste ragionevolmente chiedermi perché non lo raggiunsi e non gli
chiesi dove stesse andando. Ci pensai su. Sarebbe stata la cosa ordinaria da
fare, o quella straordinaria? La cosa normale o quella strana?
    Pensarci su non mi aiutò, naturalmente. La cosa naturale da fare è
sempre quella non premeditata e non ragionata, quella istintiva. Questa
cosa in particolare era una di quelle che avrebbe dovuto essere fatta
immediatamente oppure mai più. Che senso avrebbe avuto seguirlo alla
cieca per un'ora per poi raggiungerlo e chiedergli dove mi stesse portando?
Era una situazione assurda, che io – essendo adulto, competente, ecc. –
avrei dovuto gestire molto meglio (anche se a tutt'oggi non so in che modo
avrei potuto farlo).
    Riemergendo dai miei pensieri deprimenti, vidi che B stava entrando in
un piccolo edificio privo di segni particolari poco più avanti. Sembrava un
capanno di qualche tipo, schiacciato tra un magazzino e un deposito
ferroviario. Mi affrettai, sperando che fosse la destinazione di B. Rimasi
sconcertato e divertito quando raggiunsi la porta e vidi un artisticamente
rozzo cartello lì accanto che diceva: “LITTLE BOHEMIA”.


                                     25
Sabato, 18 maggio.

   Little Bohemia!

    Quando aprii la porta ed entrai, mi sfuggì una risata. Little Bohemia era
una taverna, ma una taverna diversa da qualunque altra avessi mai visto, a
parte forse nei sogni o nell'immaginazione. Avrebbe potuto far parte del set
cinematografico per un film sulla vita di Amedeo Modigliani. Aveva
soffitti bassi, pieni di ragnatele e fumo, e sarebbe stata completamente buia
se non fosse stato per delle candele incastrate in alcune bottiglie di vino. I
muri erano fitti di disegni, caricature e dipinti, la maggior parte dei quali
così anneriti dal fumo da sembrare post-impressionisti. Incongruamente –
eppure in qualche modo perfettamente – un jukebox decorato con un
arcobaleno vicino alla porta stava suonando un vecchio disco di Piaf
graffiato che doveva essere, poteva solo essere – e infatti era – La vie en
Rose. Spendendo un milione di dollari, la Disney non avrebbe potuto
ricrearla più archetipica, anche se la polvere e le ragnatele sarebbero state
create con plastica antisettica e la canzone sarebbe stata cantata da un
clone di Piaf stessa, con indosso una perfetta riproduzione della sua
famosa vecchia maglia.
    La clientela, comunque, non interpretava il ruolo adatto, almeno non di
proposito. Non c'erano berretti, baschi o pullover da pescatori, e niente
pizzetti artistici. Queste persone, mormoranti ai loro tavoli o chinate sulle
loro scacchiere, avrebbero potuto essere qualunque cosa – poeti,
romanzieri, sceneggiatori, attori, artisti, modelli – ma chi poteva dirlo?
Oggigiorno, gli addetti alle pubbliche relazioni sembrano artisti, gli artisti
sembrano camionisti e i camionisti come campioni di calcio nel giorno
libero.
    B era seduto a un tavolo in fondo e capii che doveva essere un cliente
abituale, perché una cameriera lo stava già servendo dopo appena sessanta
secondi dal suo arrivo. Vedendo che ero entrato, mi invitò al tavolo con un
cenno alla sedia alla sua destra. Mentre mi avvicinavo, lo sentii dire alla
cameriera: “Theda, porta uno di questi anche per il mio amico, vuoi? Ha
camminato a lungo.” E poi a me: “È uno scotch al malto Lagavulin
vecchio di sedici anni e riporterebbe in vita i morti, se somministrato entro
un tempo ragionevole.”
    Mi sedetti e guardai, probabilmente in modo piuttosto vacuo, il suo
                                      26
volto da gargoyle.
    “Be', cosa gliene è parso della mia lezione?”, mi chiese.
    “Non so”, risposi. Poi aggiunsi: “Non sto facendo il vago, sto ancora
cercando di capirlo.”
    “Era a Der Bau.”
    “Infatti.”
    “Ma non a Stuttgart o prima?”
    “No.”
    “Ottimo. Per caso o destino, ha cominciato all'inizio del ciclo.”
    “È stato per caso”, gli dissi, e lui sorrise educatamente come se non
facesse una gran differenza.
    “Qual è il suo nome, a proposito?”
    Glielo dissi, e Theda scelse quel momento per arrivare con il mio drink,
un liquido scuro e ambrato in un bicchiere sovradimensionato. Bevvi un
sorso e battei le palpebre, sconcertato dalla sua pesante, ricca fumosità.
    “Fantastico, non è vero?”
    Annuii, improvvisamente sentendomi stranamente distaccato, come una
pagina strappata da un libro e inserita in un altro.
    “E 'B'?”, chiesi. “Perché si fa chiamare B?”
    Mi fece un sorriso storto. “Sa, non ne sono del tutto sicuro. Questo è un
nome che la folla ha scelto per me in risposta a una percezione profonda e
inconscia. Quando il nome mi è rimasto appiccicato, ho fatto qualche
ricerca al riguardo, per quello che era possibile su un argomento come
questo. Se in tempi antichi le fosse capitato di incontrare un uomo o una
donna marchiati con la lettera A, avrebbe saputo che la loro colpa era
stata...?”
    “Adulterio.”
    “Naturalmente. Non è stata un'invenzione di Hawtorne ne La Lettera
Scarlatta, sa. E se avesse incontrato qualcuno marchiato con la lettera B,
avrebbe saputo che il suo peccato era stato la blasfemia.”
    “Ed è questo il suo peccato?”
    “Oh, sì. Ma non posso credere che la folla abbia scelto questa lettera
per questo motivo – o almeno, non deliberatamente.”
    “Allora perché?”
    Scrollò le spalle. “Semplicemente, non lo so.”
    “Posso chiederle il suo vero nome?”
    “Preferirei che non lo facesse. Ormai non lo uso più, a parte per i
registri degli alberghi.”
                                     27
“Va bene. Perché mi ha segnalato di seguirla?”
    Sorrise in modo diverso, come per piacere autentico. “Conosce l'antico
romanzo cinese Viaggio in Occidente? È la storia di una birbante scimmia
di pietra nata per via di un incidente divino da un uovo di pietra sulla cima
di una montagna. Dopo aver vissuto una vita spensierata per molti anni,
improvvisamente diviene consapevole dell'esistenza di un'enorme mole di
cose da imparare di cui non aveva la minima idea, e comincia un viaggio
intorno al mondo per trovare un maestro. Alla fine arriva in un monastero
gestito da un famoso saggio, che gli lascia assistere alle lezioni insieme
agli altri novizi mentre svolge le faccende come una sorta di domestico.
Un giorno, dopo vari anni, il maestro chiese alla scimmia che tipo di
conoscenza stesse cercando. La scimmia allora chiese quali erano
disponibili, e poi li respinse uno dopo l'altro. Il maestro allora si infuriò, lo
colpì tre volte in testa con il suo bastone e se ne andò. Gli altri allievi
erano costernati, ma la scimmia no, perché conosceva il linguaggio dei
segnali segreti e aveva capito che il maestro gli aveva ordinato di andare
da lui alle tre di notte. Quando arrivò, il saggio si complimentò con la
scimmia per aver insistito per avere una saggezza che andasse oltre ciò che
altri avrebbero accettato, e gli fece una rivelazione così potente che la
scimmia raggiunse l'illuminazione sul posto.”

   Insegnamenti: pubblici e segreti.

   Diedi a B un minuto per continuare, e quando non lo fece gli chiesi se
fossi una scimmia che aveva scelto per un'istruzione speciale.
   “È possibile”, rispose, “ma non è questo il motivo per cui le ho
raccontato la storia.”
   “Continui.”
   “Perché il saggio aveva due tipi di insegnamenti, pubblici e segreti?”
   “Non lo so.”
   B abbassò il mento sul petto e mi diede uno sguardo ironico dal basso
verso l'alto.
   “Ci rifletta per un po'”, mi disse. “Stia al gioco.”
   “Perché il saggio aveva due tipi di insegnamenti? Direi perché non
sarebbe stato un granché come saggio altrimenti. Gli insegnamenti
pubblici sono quelli che tutti ascoltano perché sono quelli che possono
venire articolati. Gli insegnamenti segreti sono quelli che non possono
venire espressi perché non esistono.”
                                       28
B annuì pensierosamente. “Una risposta molto buona e molto moderna.
La risposta di un cinico.”
    “Non penso a me stesso come a un cinico.”
    “Ma è sicuro che non esistano insegnamenti segreti.”
    “Assolutamente sicuro.”
    “Gesù non aveva nessuna gemma speciale per i suoi discepoli.”
    “No.”
    “E nemmeno Gautama Budda o Maometto per i loro.”
    “No.”
    “Potrebbe avere ragione, naturalmente, ma questo manca
completamente il punto della mia storia.”
    “Va bene. Perché il saggio aveva due tipi di insegnamenti diversi?”
    “Uno era un gruppo di insegnamenti facili da comprendere, un altro
invece un gruppo di insegnamenti molto difficili. Il primo gruppo era
quello pubblico, naturalmente, il tipo a cui tutti i novizi erano esposti. Il
secondo era il tipo segreto, quello che solo studenti eccezionali possono
aspirare a comprendere – o accettare.”
    “In altre parole...?”
    “In altre parole: gli insegnamenti segreti non sono quelli che gli
insegnanti si tengono per loro, sono quelli che sono molto difficili da
impartire.”
    Scossi la testa. Dovevo proprio scuoterla. Non l'ho mai visto scritto
esplicitamente, ma è implicito in ogni testo che – a parte cose proibite e
probabilmente illusorie come stregoneria o negromanzia – non esistono
segreti rilevanti. Ci sono molte cose che non sappiamo e non sapremo mai,
naturalmente, ma tutto ciò che abbiamo bisogno di sapere è stato rivelato.
Se non fosse così, se Mosé, Budda, Gesù o Maometto avessero conservato
qualcosa solo per una ristretta élite, allora le rivelazioni sarebbero
incomplete e, quindi, inutili.
    “Non sono sicuro che questo risponda alla mia domanda originale”,
dissi. “Perché mi ha invitato qui?”
    “L'ho invitata qui per la stessa ragione per cui il saggio ha invitato la
scimmia. Spero di poterle impartire alcuni degli insegnamenti che non
posso esprimere dal podio.”
    “Non capisco. Perché non può impartirli dal podio?”
    La mia domanda sembrò sconfiggerlo. Sospirò, collassò su se stesso e
si guardò attorno in una sorta di pantomima di disperazione pedagogica.
    “Pensavo che sapesse che cosa sta succedendo qui.”
                                     29
“Mi dispiace. Pensavo di saperlo anch'io.”
    “Ogni volta che Gesù parlava a un gruppo, stava parlando a un migliaio
di anni di storia condivisa, visione condivisa e comprensione condivisa. Le
persone che lo ascoltavano erano ebrei, dopotutto. Non parlavano solo la
stessa lingua. I loro pensieri erano stati plasmati dalle stesse scritture, le
stesse leggende, la stessa visione del mondo. Non doveva insegnare loro
chi fosse Dio, chi fosse Abramo o chi fosse Mosé. Non doveva spiegare
loro concetti come profeta, diavolo, pentimento, battesimo, scrittura,
Sabbath, comandamento, paradiso, inferno o messia. Queste erano tutte
nozioni comunemente note nella loro cultura. Ogni volta che parlava loro,
sapeva con certezza assoluta che i suoi ascoltatori erano venuti preparati
per capire cosa aveva da dire.
    “Sì, lo capisco.”
    “Gesù non doveva gettare le fondamenta ogni volta che teneva un
discorso. Altri avevano fatto il lavoro per lui nel corso di centinaia di
generazioni, letteralmente dal tempo di Abramo. Ma io devo farlo, con
ogni singolo pubblico a cui mi rivolgo. Mi ha ascoltato a Monaco e qui a
Radenau, ma non ha ascoltato cos'ho da insegnare. Tutto ciò che ha
ascoltato finora erano le fondamenta, e sono lontane dall'essere complete.”
    “Ma prima o poi...”
    “Sì, prima o poi ci arrivo, e questo è il motivo per cui la gente mi
chiama Blasfemo, Bestia e Anticristo. Ma non arrivo mai alla fine di ciò
che ho da dire... Non in pubblico.”
    “Perché no?”
    “Perché non c'è continuità nei miei ascoltatori tra un pubblico e l'altro.
Questo significa che, in ogni pubblico, sempre meno persone sono state
con me fin dall'inizio e sempre più sono andate perse. Dopo cinque o sei
lezioni è inutile continuare. La fine è ancora lì, ma non ho speranza di
raggiungerla con questo pubblico, e perfino meno speranze di raggiungerla
con il prossimo. Devo tornare indietro e ricominciare da capo, il che è ciò
che ho fatto a Monaco.”
    Poi B annuì verso di me e disse: “E devo aspettare l'arrivo di qualcuno
come lei.”
    Provai una fitta di paura a quelle parole, la stessa sensazione che provo
quando immagino di cadere da un palazzo altissimo.

   Lo smascheramento.


                                      30
Sorseggiammo il nostro scotch resuscitante. Ascoltammo Piaf e altri
cantanti della sua epoca, tutti francesi e tedeschi. Inalammo grandi quantità
di fumo passivo. Dopo alcuni minuti, dissi: “Questo ancora non spiega
perché ha scelto me in particolare.”
    B aggrottò la fronte e si strofinò l'angolo dell'occhio destro, un gesto
che mi sarei presto abituato a vedergli fare.
    “Questo chiaramente la preoccupa”, disse infine, “e sto cercando di
capire perché.” Aprii la bocca per negarlo, ma lui mi fermò con un cenno
della testa. “Non è un bravo bugiardo, sa?”
    Lo fissai intontito.
    “Non abbastanza pratica, direi.”
    “Cosa le fa pensare che stia mentendo?”
    Scosse la testa di nuovo. “Non lo faccia, Jared, è davvero negato. O
mente con convinzione o dice la verità.”
    “Ha ragione”, confessai. “Non sono un bravo bugiardo e non faccio
abbastanza esercizio. Ma cosa l'ha fatta decidere che stavo mentendo?”
    “Le domande sempre dello stesso tipo, la sua insistenza che il mio
invito avesse bisogno di essere spiegato. Si sta ovviamente chiedendo
come è riuscito a ingannarmi.”
    Non ero sicuro che avesse ragione a questo riguardo, ma ero troppo
confuso da fumo e alcool per pensare chiaramente.
    Improvvisamente c'era una terza persona seduta al nostro tavolo. Mi
accorsi innanzitutto che si trattava di una persona, poi che era una donna,
poi che era una donna che avevo già visto. Era la donna di Der Bau, la
donna che aveva tradotto il discorso di B nel linguaggio dei segni, la donna
con la giacca di cuoio e la strana farfalla in mezzo al viso. La donna
(realizzai improvvisamente) che aveva esercitato una potente attrazione su
di me dal momento in cui l'avevo vista, con le sue ampie spalle atletiche, i
suoi vestiti da ranch e i capelli fulvi selvaggi.
    Stava parlando a B con le sue mani. E lui stava “ascoltando” con
attenzione. Improvvisamente un largo sorriso gli attraversò il volto. Mi
guardò e rise: “Un prete!”
    “Cosa?”, dissi io.
    “Lei è un prete?”
    Guardai la donna e lei mi restituì lo sguardo senza espressione, come se
fossi una lucertola o un pesce.
    B disse: “Ha trovato il suo breviario.”
    Lo fissai senza capire finché aggiunse: “Nella sua stanza, in hotel.”
                                     31
Anche allora mi ci volle un minuto per capire cos'era successo. Mi aveva
invitato per una passeggiata attraverso Radenau cosicché la sua assistente
avesse il tempo di trovare il mio hotel, scoprire quale fosse la mia stanza
ed entrare. Ero contento che non avesse trovato il mio diario: quello
viaggia con me.
    Non sapevo cosa dire. Mi sentivo profondamente stupido e
incompetente, come un ragazzino che avesse scelto Tiffany's per il suo
debutto da taccheggiatore.
    “È un assassino”, chiese B, “o solo una spia?”
    La donna rise. Non in maniera sarcastica, mi sembrò, ma con genuino
divertimento. Fui sorpreso quando parlò – che potesse parlare.
    “Non un assassino”, disse, guardandomi come se fossi un cocker
spaniel che qualcuno aveva appena scambiato per un pitbull.
    “No, sono sicuro che hai ragione”, disse B. “Non un assassino. Cosa,
allora?”
    Era quasi divertente. In quel preciso istante, Piaf cominciò a cantare
“Non, Je Ne Regrette Rien” – no, non rimpiango nulla! Non riuscii a
pensare a nulla da dire.
    I minuti successivi passarono come in un sogno. Theda venne pagata. B
e la donna si alzarono per andarsene e sembrarono sorpresi quando non
seguii il loro esempio.
    “Passerà la notte qui?”, chiese B.
    “No.”
    “Allora venga, le daremo un passaggio fino al suo hotel.”
    Sentendomi perfino più idiota di prima, viaggiai nel sedile posteriore
della Mercedes che avevo visto prima fuori dal teatro. La donna guidò.
    “Questa è Shirin, a proposito”, mi disse B.
    Annuii senza parlare.
    Quindici minuti dopo, accostammo fuori dall'hotel. Uscii dal sedile
posteriore e li ringraziai per il passaggio.
    Shirin mi riservò un cenno del capo e un sorriso di commiserazione, poi
guidò via.
    Mi trascinai cupamente nell'hotel.


   Sabato, 18 maggio.

   La notte avrebbe dovuto essere conclusa a quel punto...
                                    32
Ma non lo fu.
   Mentre superavo la reception, l'impiegato mi fermò per consegnarmi un
messaggio, ermeticamente sigillato in una busta. Qualcuno con più
esperienza avrebbe potuto ficcarsela in tasca e scordarsene, ma io non sono
abituato a ricevere messaggi in hotel. Lo aprii e lessi:

   Jared,
   Mi chiami immediatamente appena riceverà questo messaggio, giorno o
notte.
   Immediatamente.
                                                       Bernard Lufre.

    Lo appallottolai e lo infilai in tasca. Mentre riprendevo il mio viaggio
verso gli ascensori, l'impiegato disse: “Era molto insistente, signore.”
    Mi girai e vidi che era lo stesso che si era offeso per la mia domanda
sul fax. Forse era un cyborg, instancabile ed efficiente.
    “Molto insistente, eh?”
    “Molto insistente, signore.”
    “Vorrei una bottiglia di whiskey nella mia camera.”
    Una sottile ruga apparve sulla sua fronte.
    “Ho paura che il bar sia chiuso, signore.”
    “Non voglio un bar, voglio un po' di whiskey in camera mia. Mezzo
litro, o comunque lo imbottigliate qui.” Gli passai cento marchi e me ne
andai.

    Avrei chiamato Bernard Lulfre in queste condizioni? Non aveva alcun
senso, ma volevo farmi un drink, andare a dormire e svegliarmi senza
questo impegno a gravarmi sulla testa, quindi lo chiamai. Padre Lulfre
stesso rispose al telefono.
    “Jared!”, disse. “Dev'essere notte fonda lì.”
    “Lo è, sì.”
    “Che sta succedendo? Mi aggiorni.”
    “Ho assistito a due delle lezioni di B, e ho...”
    “Due lezioni di chi?”
    “B. Non si fa chiamare Atterley qui. È conosciuto come B.”
    “B come in bambino?”
    “B come blasfemo.”
                                     33
“Capisco. Ha assistito a due delle sue lezioni, e...”
    “E ho passato un'ora parlando con lui.”
    “Davvero? Come un ammiratore? Un seguace?”
    “Sì, è possibile”, replicai vago.
    “E che impressione ne ha avuto?”
    “È davvero brillante. Completamente sincero.”
    “Non di lui, di quello che sta insegnando.”
    Ero troppo stanco per pensarci. “Non saprei, sembra abbastanza
innocuo.”
    “Innocuo? Non può essere.”
    Scrollai le spalle attraverso seimila chilometri di cavi telefonici.
    “Lo ha registrato?”
    “Non è efficiente. A meno che non parlasse direttamente nel mio
microfono, avrei ottenuto solo rumore di folla.”
    “Ha almeno preso appunti?”
    “Meglio”, scattai. “l'ho trascritto parola per parola, in stenografia. Non
le è arrivato il mio fax?”
    “Non sono stato nel mio ufficio oggi. È tutto lì?”
    “Solo la prima lezione. Dovrò scrivere una versione leggibile della
seconda. Ci vorranno alcune ore.”
    “Non è qualche esotica stenografia personale, vero?”
    “No, solo normale scrittura veloce.”
    “Allora la mia segretaria può leggermela. Me la faxi.”
    Cominciai a obiettare che il blocco per gli appunti avrebbe dovuto
essere fotocopiato prima, dato che non potevo fotocopiarlo direttamente,
ma realizzai in fretta che mi stavo comportando in modo infantile.
Rassegnandomi all'inevitabile, scesi al piano di sotto e feci quello che
dovevo.
    Una bottiglia di Cutty Sark mi stava aspettando in camera quando
tornai.
    Cominciai a bere e a scrivere. Non so cosa stia succedendo, ma so che
questo diario si rivelerà inutile se non lo terrò aggiornato. Ho finito giusto
in tempo per chiudere le tende contro il sole che sta sorgendo. Spero di
ricordarmi di mettere fuori dalla porta il cartello “Disturben Verboten”
prima di crollare.

   Domande pericolose.


                                      34
Il fax in questo hotel fa orario continuato, ma il pranzo è servito solo
fino alle due, e io riuscii a malapena a sedermi al tavolo. Ora sono le due e
tre quarti. Immagino di starmi annotando il tempo per procrastinare. Non
voglio pensare, non voglio scrivere, così mi annoto scrupolosamente l'ora.
    Sono le 14:50 e mi chiedo cosa c'è di sbagliato in me.
    Sono le 14:52 e penso che la mia vita sta cadendo a pezzi.
    Cadendo a pezzi sotto quale forza? Non riesco a capirlo bene. O non
voglio farlo. Di sicuro per la maggior parte si tratta di B, ma non riesco a
capire perché. Sono estremamente riluttante a rileggere le sue lezioni. Il
suo messaggio è come un'ombra sulle mie spalle. Posso coglierlo con la
coda dell'occhio e mi preoccupa, perché non riesco a vederlo chiaramente.
So che potrei girarmi e vederlo meglio ma, come ho detto, sono riluttante a
farlo.
    Ho detto a Padre Lulfre che gli insegnamenti di B sono innocui. Cosa
intendevo? Penso che fosse qualcosa del genere: B è innocuo perché sta
solo mettendo in discussione i fondamenti stessi del Cristianesimo – per
non parlare del Giudaismo, dell'Islam e del Buddismo.
    Nessun pericolo in questo, vero?
    Nessun pericolo, Padre Lulfre, perché lei mi ha insegnato che nessuna
domanda è pericolosa, per noi. Noi abbiamo tutte le risposte, quindi
chiedete pure. Possiamo rispondere a tutto. Assolutamente tutto. Per noi, le
domande non sono un pericolo, sono un'opportunità.
    Non è così, Padre Lulfre?
    Quindi qual è il suo problema, Padre Lulfre?
    Al telefono le ho detto: “Gli insegnamenti di B sono innocui”, e lei mi
ha risposto: “Non può essere.”
    Cosa?
    Cosa significa, Padre Lulfre? Significa che alcune domande sono
pericolose, dopotutto?

   Il bravo soldato Jared.

   Il fatto che trovi qualcosa in tutto questo che mi disturba... Mi disturba.
Non dovrei essere disturbato da nulla di tutto ciò. Voglio dire, sono un
bravo soldato, no? Intelligente e acuto ma fondamentalmente un tipo di
persona semplice. Come si chiama il predicatore tormentato ne La Lettera
Scarlatta? Dimmesdale? Non sono un Arthur Dimmesdale, neanche
vagamente. Non sono tormentato da nulla. Volete che spii qualcuno che si
                                      35
dice potrebbe essere l'Anticristo? Sicuro, perché no? Dov'è il mio biglietto
aereo? Qual è il limite della mia carta di credito?
    Ehi, è per questo che le grandi menti dei Laurenziani hanno scelto me,
non è così? Volevano qualcuno intelligente, controllabile e leale – non
necessariamente con una grande fede, ma forse con un'immaginazione un
tantino debole.
    La cosa divertente, comunque (ed è davvero spassosa), è che, proprio
perché sono un così bravo soldato, semplice e lineare, io ascolto il tizio
che dovrei spiare. E, avendo ascoltato, dico: “Sì, capisco cosa sta dicendo.
Questo è qualcosa di nuovo. Questo è qualcosa davvero nuovo. Questo
tizio ha ragione. Ha più ragione di chiunque altro abbia mai sentito in vita
mia. Qual è il problema?”
    Poi il tizio mi prende in disparte e dice:
    Poi il tizio mi fa attraversare mezza città a piedi e dice:
    Poi il tizio mi offre dello scotch vecchio di sedici anni e dice:
    “Ci sono alcuni insegnamenti che solo studenti eccezionali possono
accettare. Spero di impartirne qualcuno a lei.”
    Forse le grandi menti dei Laurenziani avrebbero dovuto scegliersi un
soldato non così bravo... O magari molto migliore.
    Ovviamente, non so in che rapporti sono con B a questo punto.
Ripensandoci, mi accorgo che ero molto più sconvolto io dalla rivelazione
di Shirin di quanto lo fosse lui. La verità è che stavo solo proiettando.
Essendo stato scoperto, avevo dato per scontato che avrebbe reagito in
modo disgustato o deluso. Invece non era nessuna delle due. Era divertito.
    Va bene, non sono ancora sicuro del rapporto in cui sono con lui, ma
non credo di essere esattamente nel cestino della spazzatura. Non ne sono
uscito sembrando brillante, ma sono abbastanza sicuro di non essere
sembrato nemmeno feccia.


   Domenica, 19 maggio.

   Radenau: seconda notte.

   Quando arrivai al Schauspielhaus Wahnfried alle nove, credetti quasi di
essere venuto nella notte o nel posto sbagliato, perché i disturbatori erano
spariti. Forse questa seconda notte non era nel loro programma, oppure
pensavano che una notte in trincea fosse sufficiente. Forse c'era carenza di
                                     36
manifestanti da qualche altra parte. Ciononostante, la porta era presidiata
dalle vestigia del gruppo di protesta: una donna dall'aspetto infuriato che
distribuiva volantini dall'aspetto rabbioso. Ne presi uno, ma era in tedesco.
    La notte precedente le luci erano state accese come per un'evacuazione
di emergenza. Stanotte erano affievolite come per una lettura tranquilla. Il
palco era blandamente illuminato e vuoto, eccetto che per il podio
dell'oratore. C'erano forse cento persone nella sala. Non volendo essere
riconosciuto dal palco, scelsi un posto molto indietro. Era una folla
tranquilla, paziente, sottomessa. Un pubblico di estranei e per la maggior
parte, pensai, solitari.
    Dopo alcuni minuti, B salì sul palco, si mise dietro il podio e cominciò
a mettere in ordine dei fogli. Per un oratore professionista, questa è una
tecnica precisa. Dopo alcuni secondi il pubblico registrò la sua presenza e
fece silenzio. B cominciò, come immaginavo che avrebbe fatto, dall'inizio,
riassumendo non solo la precedente lezione ma anche quella che aveva
pronunciato a Monaco, continuando il processo che aveva descritto a Little
Bohemia. A ogni lezione, questo riassunto sarebbe diventato più
complesso e, proporzionalmente, meno efficace.
    Quando fu finalmente pronto per avventurarsi in territorio inesplorato,
tacque e si guardò intorno, raccogliendo l'attenzione di tutti i presenti, e io
tirai fuori la penna.3
    Credo che realizzai la mia vera situazione nei quaranta minuti
successivi, mentre scrivevo, ferocemente concentrato nell'ascoltare e nel
capire le parole (non puoi davvero ascoltare se non capisci le parole, si
trasforma tutto in un blaterare incomprensibile). Anime pie spesso
immaginano che essere un prete ti ponga automaticamente chilometri
davanti alle persone normali per quanto riguarda la saggezza. Ascoltando
B, mi resi conto di non essere un centimetro avanti a nessuno. Brancolo
nel buio. Sono appena all'inizio. Per tutto quello che conta, ho ancora
diciannove anni. A un certo punto, la mia mano esitò e mi dissi: “Non mi
serve scrivere tutto questo, mi basta ascoltare”, ma ero abbastanza
dubbioso da continuare. Ora sono contento di averlo fatto, naturalmente. In
quel momento mi sentivo come un uomo al timone di una nave che
affonda: privo di senso, visto che qualunque nave può trovare da sola la
strada per il fondo dell'oceano.
    Dopo mezz'ora invece mi sentii come un pugile all'ottavo o nono round

3   Il testo di questo discorso può essere trovato a pagina 241.

                                            37
– un pugile che stava perdendo. Ero stato colpito ovunque fosse permesso
colpirmi, ogni singolo centimetro quadrato. Le frasi mi arrivavano addosso
come pugni, e io le leggevo e incassavo come pugni. “Ah, sì, eccone un
altro ai reni. Mi ricordo uno come quello nel terzo round. Ed eccone uno al
bicipite... Questo non dovrebbe farmi male ma accidenti se lo fa! E ora uno
che pensavo mi arrivasse sulla spalla e invece mi ha colpito in pieno
sull'orecchio.”
    Quando finì, barcollai fuori con tutti gli altri e mi piazzai in mezzo alla
strada, assumendo che B avrebbe fatto la sua apparizione in pochi minuti.
Questo mi diede del tempo per pensare, ed ecco cosa pensai:
    Finora ho vissuto in una specie di capsula temporale, o forse in un'ala
speciale dell'ospedale che non è cambiata dagli anni Cinquanta. Era un'ala
in cui i miei genitori e i loro amici sarebbero stati felici. Non sono sicuro
di cosa intendo con questo, sto solo procedendo a tentoni. In quest'ala,
Glenn Miller è ancora di moda. Non una figura nostalgica, ma come era
quando i miei genitori andavano al college. In quest'ala, i ragazzini hanno
matrimoni in pompa magna e passano la luna di miele a cercare di capire
che significa essere sposati. In quest'ala, si usa il metodo del calendario e
si hanno figli quando fallisce. In quest'ala, non ci sono bambini che
nascono già dipendenti dal crack, non ci sono sette, non ci sono terroristi.
In quest'ala, se qualcuno avesse sintonizzato la radio su una stazione che
trasmetteva le parole di B, avrebbe sbagliato mentre cercava di
raggiungere un'altra stazione, una rilevante per la vita nell'ospedale.
    Non credo di aver avuto davvero questi pensieri precisi mentre me ne
stavo fuori dal teatro. Non sono sicuro che una singola idea coerente mi sia
passata per la testa, mi limitavo a stare lì in piedi sentendomi condannato.
A un certo punto, senza che me ne accorgessi, qualcuno accese le luci del
padiglione e dell'ingresso. Forse passarono dieci minuti. Finalmente tornai
in me e mi resi conto che la procedura della notte precedente non sarebbe
stata ripetuta. B era ancora dentro, e se avessi voluto parlargli avrei dovuto
andare a cercarlo lì. Sgattaiolai fino alla debolmente illuminata porta del
palco e la trovai preparata come il rifugio di un fumatore, una bustina di
fiammiferi a tenerla socchiusa. Entrai e lasciai che la porta si chiudesse
dietro di me.
    Molto, molto lontano si udivano delle voci. Non avevano nulla di
strano, non suonavano particolarmente tristi o felici, eccitate o calme.
Avrebbero potuto appartenere egualmente a delle persone che discutessero
dell'arredamento di una casa o della fine del mondo. Non c'era modo di
                                      38
dirlo, nonostante fossi rimasto lì ad ascoltare per un intero minuto mentre i
miei occhi cercavano di trovare uno spiraglio di luce attraverso cui vedere.
    Il palco ovviamente si sarebbe trovato più o meno davanti a me, oltre
corridoi, camerini, sale d'aspetto e, infine, le quinte sul palco stesso. Dato
che nessun angelo sarebbe venuto a guidarmi cominciai a procedere a
tentoni e, dopo un paio di minuti, fui ricompensato da una pallida luce alla
mia sinistra. Era una nuda lampadina pendente dal soffitto sopra il palco
vuoto che illuminava debolmente la sala deserta.

   Nel mondo sotterraneo.

    Il mormorio di voci era più distante che mai. Lo seguii dietro le quinte
fino alla ringhiera di una scala a chiocciola di ferro che scendeva
nell'oscurità. Non mi servivano gli occhi: i gradini erano regolari e la
ringhiera solida. Una volta avevo visto il progetto di un teatro che
mostrava un primo piano sotto il palco, poi un secondo, un terzo e un
quarto, e mi ricordo di essermi chiesto che cosa avrebbero potuto
conservare così in profondità. In breve il klink-klunk dei miei passi fu udito
di sotto, e il mormorio si fermò. Il quarto piano sotterraneo, dove le scale
finivano, era ampio e con un alto soffitto. Alla fine della stanza, sopra pile
di scatoloni, tavoli e scaffali, un centinaio di candele illuminava un'area
che somigliava a un soggiorno ricavato nel bel mezzo di un negozio di
antiquariato.
    B era seduto in una poltrona con i braccioli rivolta verso di me. Mi
salutò con la mano e mi chiamò. “Non si preoccupi, non ci sono ratti!”
    Improvvisamente, una dozzina di facce spuntarono dalle cianfrusaglie e
mi guardarono da dietro antichi mobili danneggiati, tappeti arrotolati,
manichini ammuffiti, esempi di tassidermia in putrefazione, enormi
guardaroba, pile di libri e riviste e attaccapanni pieni di costumi. B sembrò
percepire il mio imbarazzo e rese il mio avvicinamento meno difficile
spiegando l'assenza di ratti.
    “La direzione ha cura di approntare una rappresentazione del Re Lear
almeno una volta ogni due anni”, disse. Quando ebbe gli occhi di tutti
puntati addosso, proseguì: “'Topi, ratti e piccoli cervi sono stati il cibo di
Tom per sette lunghi anni.' Lear, Atto III, Scena 4”... Come se questo
spiegasse tutto.
    Gesticolò verso una poltrona alla sua destra, una meravigliosa vecchia
Biedermeier fauteuil con cuscini di velluto verde pallido e scolorito. Lui
                                      39
stesso occupava un'ancora più bella Regency bergère d'ebano dorato con
piedi scolpiti come artigli e braccioli modellati come teste di leone. Mi
sedetti e mi guardai intorno.
    C'era uno stravagante ottomano imbottito alla mia destra, e Shirin era
rannicchiata su metà di esso, vestita come sempre con jeans, stivali e una
maglietta di seta (stavolta verde scuro anziché nera). Mi stava guardando
con educato interesse, e non ero del tutto sicuro che mi avesse
riconosciuto. Il resto dell'ottomano era occupato da una ragazzina dall'aria
intensa in jeans e maglietta grigia.
    “Questo è Jared Osborne”, disse B agli altri, che (mi parve) annuirono
senza alcun segno di entusiasmo. “Lascerò che tutti si presentino più
tardi.” Si girò verso di me e disse: “Stavamo ancora discutendo della
domanda che è stata sollevata alla fine della lezione di stasera, riguardo il
bisogno di un programma. Come risponderebbe a questa domanda?”
    “Ho paura di non ricordarla.”
    “In sostanza, la domanda era: cosa dovremmo fare, ora che sappiamo
che i membri della nostra cultura stanno procedendo verso
l'autodistruzione?”
    “E mi sta chiedendo come risponderei?”
    “Dovrei premettere”, disse B agli altri, “che Jared Osborne è un prete
della Chiesa Cattolica Romana.”
    “Non sono qui in quella veste”, gli dissi.
    B scrollò le spalle. “Sarei portato a credere che un punto di vista
rimanga anche quando la veste ufficiale viene messa da parte.”
    “Sì, infatti, ma sono venuto qui per ascoltare, non per parlare, se
posso.”
    “Ma certo... Proprio prima che arrivasse, avevo detto qualcosa riguardo
il salvare il mondo, e Michael qui”, fece un cenno verso un uomo alto,
“aveva obiettato che il mondo non ha bisogno di essere salvato, ha solo
bisogno che lo lasciamo in pace. Stavo spiegando che non avevo usato la
parola 'mondo' in un senso biologico, ma piuttosto in senso
tradizionalmente biblico e letterario, che non si riferisce alla biosfera che
chiamiamo mondo, ma piuttosto alla 'sfera delle attività materiali umane'.
Questo è il mondo a cui si riferiva Wordsworth quando scrisse: 'Il mondo è
troppo per noi'. Questo è il mondo che Byron intendeva quando scrisse:
'Non ho amato il mondo, né il mondo ha amato me'. Questo è il mondo a
cui si riferiva Giovanni quando scrisse: 'Chiunque ami il mondo è estraneo
all'amore del Signore'. Non è d'accordo, Padre Osborne?”
                                     40
“Sì. Giovanni non si riferiva certo alla biosfera.”
    “Ciò che ho detto è: se il mondo verrà salvato, lo sarà da persone con
menti cambiate, persone con una nuova visione. Non verrà salvato da
persone con vecchie menti e nuovi programmi. Non verrà salvato da
persone con vecchie visioni e nuovi programmi.”
    Tutti nella stanza sembrarono guardarmi e aspettare la mia risposta.
Non riuscivo a immaginare perché, ma non c'era modo di sbagliarsi. Dissi:
“Non sono sicuro di capire la differenza tra un programma e una visione.”
    “Riciclare è un programma”, disse B. “Sostenere legislazioni
ambientaliste è un programma. Non serve avere una nuova visione del
mondo per praticare queste attività.”
    “Sta dicendo che programmi del genere sono una perdita di tempo?”
    “Niente affatto, per quanto tendano a dare alla gente un falso senso di
progresso e speranza. I programmi sono avviati per contrapporsi e/o
sconfiggere una visione.”
    “Mi dia un esempio di cosa intende per 'visione'.”
    “La visione della nostra cultura, per esempio, sostiene l'isolamento.
Sostiene una casa diversa per ogni famiglia. Sostiene serrature alle porte.
Sostiene vigorosamente rimanere isolati dietro le proprie porte e vedere il
mondo elettronicamente. Stando così le cose, nessun programma è
necessario per spingere le persone a starsene in casa a guardare la
televisione. Invece serve un programma per spingerli a spegnere la
televisione e uscire di casa. Per quello sì che hai bisogno di un
programma.”
    “Capisco... Credo.”
    “L'isolamento è sostenuto da una visione, quindi si prende cura di se
stesso. Ma gli edifici comunitari non lo sono, quindi devono essere
supportati da un programma. I programmi inevitabilmente si
contrappongono a una visione, e quindi devono essere imposti alle
persone... Devono essere 'venduti' alle persone. Per esempio, se vuoi che le
persone vivano semplicemente, riducano i consumi, riutilizzino e riciclino,
devi creare programmi che incoraggino tali comportamenti. Ma se vuoi
che consumino e sprechino molto, non hai bisogno di creare programmi di
incoraggiamento, perché questi comportamenti sono supportati dalla nostra
visione.”
    “Sì, capisco.”
    “La visione è un fiume. I programmi sono dei bastoncini conficcati nel
letto del fiume per cercare di impedirne il flusso. Quello che sto dicendo è
                                     41
che il mondo non verrà salvato da persone con dei programmi. Se verrà
salvato, lo sarà perché le persone che lo abitano avranno una nuova
visione.”
    “In altre parole, persone con una nuova visione avranno nuovi
programmi.”
    “No, non è questo che intendevo. Ripeto: a una visione non servono
programmi. Una visione è un fiume. La Rivoluzione Industriale era un
fiume. Non aveva bisogno di programmi che la facessero partire o che la
tenessero in movimento.”
    “Ma non è sempre stata un fiume.”
    “Esatto. Non lo era nel secondo secolo, o nell'ottavo, o nel tredicesimo.
Non c'era segno di quel fiume in quei secoli. Ma, uno dopo l'altro,
minuscole sorgenti comparvero e cominciarono a unirsi, decennio dopo
decennio. Nel quindicesimo secolo, era un filo d'acqua. Nel sedicesimo
divenne un rivolo. Nel diciassettesimo diventò un ruscello. Nel
diciottesimo, un torrente. Nel diciannovesimo, divenne un fiume. Nel
ventesimo, diventò un fiume in piena che travolse il mondo. E durante
tutto questo tempo, non un solo programma fu necessario per farla
progredire. È stata generata, sostenuta e ingigantita interamente da una
visione.”
    “Capisco.”
    “È un sintomo del nostro collasso culturale il fatto che sostenere la
nostra visione ora venga visto come un atto perverso, e ostacolarla venga
invece considerato nobile. Ad esempio, i bambini a scuola non vengono
mai incoraggiati a volere le ricompense materiali del successo. Il successo
dovrebbe essere fine a se stesso, non dovrebbe essere inseguito per
ottenere un qualche beneficio materiale. Gli uomini d'affari possono venire
proposti come modelli di comportamento per la loro 'creatività' e i loro
'contributi alla società', ma nessuno li proporrebbe mai come modelli di
comportamento perché hanno case lussuose, automobili esotiche e
servitori che si occupano di ogni loro bisogno. Nel mondo dei libri
scolastici dei nostri figli, una persona ammirevole non farebbe mai nulla
solo per soldi.”
    “Sì, immagino che sia vero.”
    “I membri della nostra cultura sono bravissimi morditori di proiettili.
Per coloro che hanno poca familiarità con questo modo di dire, 'mordere il
proiettile' in teoria dovrebbe aiutare a tollerare il dolore. Uno prima cerca
di evitare il dolore, ma se il dolore deve proprio essere sopportato, allora si
                                      42
deve 'mordere il proiettile'. Secondo la maggior parte di coloro che
pensano e scrivono riguardo il nostro futuro, è scontato che tutti noi
dovremo mordere il proiettile molto forte, se vorremo sopravvivere. A
nessuno di questi pensatori e scrittori viene da pensare che sarebbe tutto
molto meno doloroso se ricominciassimo da zero. Per come la vedono
loro, il nostro compito è di stringere i denti e aggrapparci fedelmente alla
visione che ci sta distruggendo. Per come la vedono, la nostra distruzione
continuerà a martellarci in testa indefinitamente con una mano mentre con
l'altra continuerà a darci aspirine per il dolore.”
     “È così facile cambiare una visione culturale?”, chiesi.
     “Il punto non è la facilità o la difficoltà. È l'essere pronti o l'essere
impreparati. Se i tempi non sono maturi per una nuova idea, nessun potere
sulla Terra potrà farle prendere piede. Ma se i tempi sono giusti, spazzerà il
mondo come un incendio indomabile. I Romani erano pronti ad ascoltare
cosa San Paolo aveva da dire loro. Se non lo fossero stati, egli sarebbe
scomparso senza lasciare traccia e il suo nome non sarebbe mai arrivato
fino a noi.”
     “Il Cristianesimo non si è diffuso esattamente come un incendio.”
     “Considerando il ritmo a cui era possibile diffondere nuove idee a
quell'epoca, senza presse da stampa, radio o televisioni, si è diffuso come
un incendio.”
     “Sì, immagino di sì.”
     “Il punto che vorrei chiarire è che non ho idea di cosa potrebbero fare
delle persone con menti cambiate. Paolo era nella stessa situazione mentre
viaggiava attraverso l'Impero cambiando menti durante il primo secolo.
Non avrebbe mai potuto prevedere lo sviluppo istituzionale del papato, o la
forma che le società cristiane avrebbero assunto durante il feudalesimo.
Invece, lo scrittore di fantascienza Jules Verne ha potuto prevedere in
modo incredibilmente preciso un secolo di innovazioni tecnologiche
perché nulla è cambiato tra la sua epoca e la nostra in termini di visione.
Se le persone che vivranno tra un secolo avranno una nuova visione,
faranno qualcosa di completamente imprevedibile per noi. In effetti, se le
cose non stessero così – se le loro azioni fossero per noi prevedibili –
allora questo significherebbe che la loro visione non sarebbe davvero
nuova, ma essenzialmente identica alla nostra.”
     “Mi sembra che lei comunque abbia un programma. Vuole cambiare
menti.”
     “Direbbe che San Paolo aveva un programma?”
                                      43
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Daniel Quinn - The Story of B (libro in italiano)

  • 1. Daniel Quinn The Story of B Traduzione italiana non ufficiale di Dr. Jackal (nrt_ita@libero.it). Le altre opere di Daniel Quinn sono disponibili nel sito: NuovaRivoluzioneTribale.uphero.com Per Goody Cable e ovviamente per Rennie, sempre Quando uno non vede ciò che non vede, non vede nemmeno che è cieco. Paul Veyne. Parte Uno Venerdì, 10 maggio. Un diario. Oggi sono sgattaiolato in uno spaccio e ho comprato un quaderno – questo quaderno in cui sto scrivendo proprio ora. Chiaramente un momento pregnante. Non ho mai tenuto (né sono mai stato tentato di tenere) un diario di alcun tipo, e non sono nemmeno sicuro che continuerò a tenere questo, ma ho pensato che avrei fatto meglio a provare. Trovo che sia una faccenda bizzarra perché, nonostante in teoria io stia scrivendo solo per me stesso, mi sento fortemente spinto a spiegare chi sono e che cosa sto facendo qui. Mi fa sospettare che tutti coloro che tengono un diario stiano in realtà scrivendo non per se stessi, ma per i posteri. Mi domando se ci sia un bambino nel mondo che non abbia, a qualche 1
  • 2. punto del proprio percorso di risveglio della coscienza, aggiunto nel proprio indirizzo “Il mondo” e “L'Universo”. Avendolo già fatto (quasi tre decadi fa), comincio questo diario scrivendo: Sono Jared Osborne, un prete, assistente pastore, parroco della Chiesa di St. Edward, appartenente all'Ordine di St. Lawrence, Chiesa Cattolica Romana. E, avendo scritto ciò, mi sento obbligato ad aggiungere: non sono un granché come prete. (Wow, questa faccenda del diario è roba forte! Queste sono parole che non ho mai osato nemmeno sussurrare, neanche a me stesso!) Senza esaminare la logica di questo troppo approfonditamente, posso dire che è proprio perché non sono un granché come prete che sento il bisogno di cominciare questo diario a questo punto della mia vita. Questo è perfetto. È esattamente il punto da cui devo cominciare. Prima che parli di qualunque altra cosa, devo mettere chiaro e tondo nero su bianco chi sono e come sono arrivato qui, benché, grazie a Dio, non debba andare indietro fino alla mia infanzia o cose del genere. Devo solo andare indietro abbastanza da capire come sono finito coinvolto in una delle storie più bizzarre dell'epoca moderna. Poster di reclutamento: perché sono un Laurenziano. Per lungo tempo, noi Laurenziani siamo stati definiti dalle nostre differenze dai Gesuiti. Alcuni storici dicono che non siamo altrettanto malvagi, altri sostengono che siamo ancora peggiori, e altri ancora dicono che l'unica differenza tra noi e loro è che loro hanno un istinto migliore per le pubbliche relazioni. Entrambi gli ordini vennero fondati più o meno nello stesso periodo per combattere la Riforma, e quando quella battaglia fu persa (o almeno finita), entrambi si ridefinirono come educatori d'élite. E da dove vengono i piccoli Gesuiti e Laurenziani? Le reclute gesuite vengono dalle scuole gesuite, e quelle laurenziane dalle scuole laurenziane. Io sono arrivato ai Laurenziani dall'Università di St. Jerome, il cuore intellettuale dell'ordine negli Stati Uniti. Questo potrebbe spiegare perché sono diventato un Laurenziano, ma ovviamente non spiega perché sono diventato un prete. Tutto ciò che posso dire al riguardo è che le motivazioni che diedi a me stesso quando avevo vent'anni ora non mi sembrano più tanto buone. La cosa importante da notare, qui, è che ero considerato una vera promessa quando ancora dovevo laurearmi. Ci si aspettava che divenissi 2
  • 3. un altro gioiello nella corona... Ma, arrivato al dottorato, si era ormai capito che ero tutto fumo e niente arrosto. Fui una grossa delusione per tutti, soprattutto per me stesso, ovviamente. I miei superiori furono il più gentili possibile al riguardo. Non sarei mai stato invitato a unirmi alla facoltà della St. Jerome o a nessun'altra delle università dell'Ordine, ma si offrirono di trovarmi un posto in una delle loro scuole preparatorie. O, se non mi importava di venire umiliato fino a quel punto, di farmi lavorare in una diocesi, nelle trincee parrocchiali. Scelsi quest'ultima opzione, il che è come sono arrivato alla Chiesa di St. Edward. Ho detto di non essere un granché come prete. Immagino che sia come se un cavallo da lavoro dicesse di non essere un granché come cavallo perché ci si aspettava che diventasse un cavallo da corsa ma non ci è riuscito. La cruda verità è che non c'è bisogno di essere un granché per diventare un parroco. Questa osservazione non è poi cinica quanto sembra: dopotutto il prete è solo un mediatore della Grazia, non una fonte. Certo, devi avere un temperamento equilibrato, paziente e tollerante delle debolezze umane (il che dice molto), ma nessuno si aspetta che tu sia un San Paolo o un San Francesco, e un sacramento che ti viene impartito dalle mani di un completo balordo è efficace proprio quanto uno che ti arriva dalle mani di un modello di virtù. Per come stanno le cose oggi, sei considerato un maledetto tesoro nazionale se non sei un pedofilo o un alcolizzato. Padre Lulfre. Sei giorni fa, mi è arrivato un messaggio dalla segretaria del preside che mi chiedeva se potessi essere così gentile da presentarmi il mercoledì successivo (l'altroieri) nell'ufficio di Padre Bernard Lulfre alle tre del pomeriggio. Be', ora, questo era interessante. Caro Diario, sono abbastanza sicuro che tu non sappia chi è questo Bernard Lulfre, quindi devo illuminarti. In una parola, Pierre Teilhard de Chardin era la superstar dei Gesuiti, e Bernard Lulfre è la nostra. Teilhard de Chardin era un geologo e paleontologo, e Bernard Lulfre è un archeologo e uno psichiatra. La differenza è che Teilhard de Chardin è famoso in tutto il mondo, mentre Bernard Lulfre è conosciuto da circa dieci persone (con nomi come Karl Popper, Marshall McLuhan, Roland Barthes, Noam Chomsky e Jacques Derrida). Non importa. Per quelli che respirano l'aria rarefatta della cima del mondo accademico, Bernard Lulfre 3
  • 4. è un peso massimo. Quando studiavo alla St. Jerome, avevo scritto una tesi proponendo che, per quanto la credenza in una vita dopo la morte possa aver causato la nascita della pratica di seppellire i morti con le proprie cose, è altrettanto plausibile che questa pratica abbia causato la credenza in una vita dopo la morte. L'istruttore passò la tesi a Bernard Lulfre, pensando che avrebbe potuto venire pubblicata in una delle riviste a cui era associato. Non lo fu, ma questo mi portò all'attenzione del grand'uomo, e per una stagione venni presentato come una giovane promessa alle feste di facoltà. Quando cominciai il noviziato, un anno dopo, alcuni pensarono che fossi una sorta di protetto, un equivoco che io stupidamente non scoraggiai affatto. Padre Lulfre potrebbe aver seguito i miei progressi negli anni che seguirono, ma se è così l'ha fatto da grande distanza, e quando la mia carriera accademica cominciò a vacillare, la sua distanza venne interpretata (con immaginazione altrettanto grande) come una rinuncia. Nei cinque anni che hanno seguito la mia ordinazione, fino a quel messaggio dal preside, non ho avuto alcuna notizia da Lulfre (né mi ero aspettato di averne). Naturalmente ero curioso, ma non stavo esattamente trattenendo il fiato. Non stava per chiedermi di andare al ballo con lui in una carrozza. Probabilmente voleva chiedermi un piccolo favore di qualche tipo. Forse qualcuno alla St. Jerome voleva sapere qualcosa di qualcuno alla St. Edward, e ha detto: “Ehi, perché non chiediamo a Padre Lulfre di contattare quel giovane Padre Osborne che lavora lì?”. Nessuno avrebbe esitato a chiedermi di effettuare un po' di spionaggio per l'Ordine, se fosse stato necessario. Abbiamo avuto il nostro servizio segreto privato per secoli e lo consideriamo non meno valido dell'MI16 o della CIA. (Siamo piuttosto orgogliosi dei nostri intrighi... In un modo molto tranquillo, ovviamente. Durante le ultime decadi del regno di Elisabetta, per esempio, il nostro “College Inglese” a Rheims infiltrò vari preti-spia in Inghilterra per tenere vivo lo spirito di insurrezione tra i cattolici inglesi. Il nostro colpo meglio riuscito risale al 1773, quando Papa Clemente XIV si stava facendo degli scrupoli riguardo il distruggere i nostri vecchi amici Gesuiti. Fu uno di noi a mostrargli come gestire la sua tenera coscienza e svolgere il lavoro.) L'Ordine è la nostra madrepatria, dopotutto, e viene dato per scontato che perfino in esilio non permetterei mai a qualche meschina preoccupazione parrocchiale o diocesana di superare la mia lealtà verso di esso. D'altro canto, se si fosse trattato di qualcosa di così semplice, allora una telefonata sarebbe stata sufficiente. Più ragionavo 4
  • 5. sulla questione, più diventava intrigante. Nell'ufficio di Padre Lulfre. Nulla era cambiato nell'ufficio di Padre Lulfre rispetto a quando l'avevo visitato l'ultima volta, dieci anni prima: era nello stesso angolo dello stesso piano dello stesso edificio. Neanche Padre Lulfre era cambiato: ancora alto un metro e ottanta, ampio come una porta, con una massiccia testa che sembrava rozzamente intagliata nel legno e avrebbe potuto appartenere a un camionista o a uno stivatore. Gli uomini come lui in qualche modo non cambiano un granché fino ai settanta od ottant'anni, per poi appassire nel giro di una notte. Sono stato attorno ad abbastanza uomini brillanti da sapere che sono raramente brillanti di persona, e Padre Lulfre non fa eccezione. Mi salutò con calore poco convincente, chiacchierò con fare imbarazzato del più e del meno per un po', e sembrava deciso a girare intorno alla questione per ore. Sfortunatamente, io non ero dell'umore adatto, e dopo cinque minuti scese un silenzio micidiale tra noi. Con l'aria di uno che si prepara a un compito ingrato, disse: “Voglio che tu sappia, Jared, che ci sono molti uomini nell'Ordine che sanno che sei in grado di fare più di quello che ti è stato chiesto.” Be', caspita, avrei voluto dire, ma mi trattenni. Mormorai qualcosa su quanto mi sentivo onorato, ma immagino di non essere riuscito a tenere del tutto l'ironia fuori dalla mia voce. Padre Lulfre sospirò, evidentemente capendo che il compito sarebbe stato più ingrato del previsto. Decisi di aiutarlo e gli dissi: “Se ha un incarico diverso da propormi, Padre, non deve di certo essere timido. Ha un uomo con le orecchie ben aperte qui.” “Grazie, Jared, lo apprezzo”, rispose, ma sembrava ancora riluttante a continuare. Alla fine disse, in modo piuttosto rigido, come se si aspettasse di non venire creduto: “Ti ricorderai dello speciale mandato del nostro ordine.” Per un momento mi limitai a fissarlo senza espressione. Poi naturalmente mi ricordai. Il mandato riguardo l'Anticristo. Il “Mandato Speciale”. 5
  • 6. Studiando la storia dei Laurenziani, ogni novizio impara che lo statuto originale del nostro Ordine include un mandato speciale riguardo l'Anticristo, spronandoci a essere costantemente vigili. Noi dobbiamo sapere prima di chiunque altro se l'Anticristo è tra noi e, se possibile, dobbiamo distruggerlo. Nell'epoca in cui il mandato fu scritto, naturalmente, veniva dato per scontato che l'identità dell'Anticristo fosse una questione chiusa: si trattava di Lutero e della sua compagnia infernale. Mentre questa conclusione diveniva sempre meno sicura, i Laurenziani cominciarono a discutere tra di loro riguardo le modalità con cui il mandato doveva essere svolto. Se dovevamo essere vigili, per che cosa dovevamo esserlo? Per la metà del diciassettesimo secolo, chiunque in Europa aveva sentito così tante persone accusate di essere l'Anticristo da essere esasperato dall'intera faccenda, e le speculazioni sulla sua identità divennero ciò che sono ancora oggi: roba per fanatici religiosi... Eccetto che tra i Laurenziani, che silenziosamente svilupparono una propria peculiare (e non sanzionata) teologia dell'Anticristo. L'Anticristo ci è noto da una profezia di Giovanni, che scrisse nella sua prima lettera: “Bambini, è l'ora finale. Vi è stato detto che l'Anticristo sta arrivando, e ora non uno ma una moltitudine di Anticristi sono comparsi, cosicché non c'è più dubbio che l'ora finale sia giunta.” Quando quest'ora finale non arrivò durante la vita dei contemporanei di Giovanni, i cristiani di ogni generazione successiva cercarono segni dell'Anticristo nella propria epoca. All'inizio guardarono a persecutori della Chiesa, principalmente Nerone, che ci si aspettava sarebbe tornato dai morti per continuare la sua guerra contro Cristo. Quando la persecuzione romana finì, l'Anticristo degenerò in una sorta di mostro da fiaba popolare, un enorme uomo nero con occhi iniettati di sangue, zanne di ferro e orecchie d'asino. Mentre il Medioevo terminava e sempre più persone divenivano sempre più disgustate dalla corruzione della Chiesa, il papato stesso cominciò a venire identificato con l'Anticristo. Alla fine, papi e riformisti passarono un secolo etichettandosi a vicenda con questo titolo. Quando i Laurenziani, con il loro mandato speciale, cominciarono a riconsiderare la faccenda nei secoli che seguirono, tornarono indietro fino ai fondamenti e presero nota del fatto che le profezie raramente sono predizioni letterali di eventi futuri. Spesso non sono nemmeno riconosciute come profezie finché non si verificano. Numerosi esempi di questo avvengono nel Nuovo Testamento, 6
  • 7. dove eventi nella vita di Gesù sono descritti come la realizzazione di antiche profezie che non erano state necessariamente considerate profezie da coloro che le avevano pronunciate. I teologi Laurenziani ragionarono in questo modo: se le profezie riguardo Cristo hanno dovuto attendere di venire realizzate per essere comprese, perché non potrebbe essere lo stesso con le profezie sull'Anticristo? In altre parole, non possiamo sapere di cosa Giovanni stesse parlando finché non si verificherà davvero, quindi l'Anticristo sarà sicuramente differente da qualunque cosa immaginiamo che possa essere. Se qualcuno vi dice che Saddam Hussein è l'Anticristo (ed è stato in effetti nominato per questo onore), avete assolutamente ragione a ridere. L'Anticristo non sarà una sorta di Hitler o Stalin peggiorato, perché sarebbe la stessa cosa portata a un livello più alto: sessanta milioni di morti anziché sei milioni. Se decidete di essere vigili verso l'Anticristo e non solo verso un cattivo ordinario, dovete attendervi qualcosa appartenente a un ordine di pericolosità completamente diverso. E qui è dove le cose sono arrivate oggigiorno, alla fine del secondo millennio. Ma non esattamente. Questa è solo la versione ufficiale, e l'impressione che si riceve durante il noviziato tra i Laurenziani è che la faccenda dell'Anticristo sia morta e sepolta, e che lo sia stata per quasi due secoli. Quello che avevo appena saputo da Padre Lulfre era che quest'impressione era falsa, incoraggiata come parte di una precisa politica verso i novizi, principalmente per scoraggiare chiacchiere che avrebbero potuto diventare una storia imbarazzante per la stampa sensazionalista. La politica funziona. Tra i ranghi inferiori dell'Ordine, l'argomento dell'Anticristo non viene quasi mai fuori. Ai livelli più alti, comunque, viene ancora mantenuta una discreta sorveglianza. Molto raramente, forse una volta ogni cinquant'anni, spunta un individuo preoccupante, e qualcuno dell'Ordine viene mandato a dare un'occhiata. Qualcuno come me. Qualcuno esattamente come me. Il candidato. Il candidato era un certo Charles Atterley, un americano quarantenne, una sorta di predicatore itinerante che aveva girato gli stati centrali europei per un decennio, raccogliendo un seguito piuttosto ampio ma disorganizzato che sembrava ignorare ogni differenza demografica. 7
  • 8. Includeva giovani, vecchi e chiunque nel mezzo, entrambi i sessi in numero più o meno uguale, cristiani ed ebrei, chierici di una dozzina di religioni diverse (inclusa la Chiesa Cattolica Romana), atei, umanisti, rabbini, buddisti, ambientalisti radicali, capitalisti e socialisti, avvocati ed anarchici, liberali e conservatori. Gli unici gruppi notevolmente sottorappresentati erano gli skinheads, i fanatici religiosi e i marxisti impenitenti. Il messaggio di Atterley sembrava difficile da riassumere ed era tipicamente definito “sconvolgente” da chi ne rimaneva favorevolmente impressionato, e “incomprensibile” da chi non lo era. Dissi a Padre Lulfre che non capivo cosa lo rendesse pericoloso. “A renderlo pericoloso”, disse, “è il fatto che nessuno riesce a catalogare lui o il suo prodotto. Non sta vendendo meditazione, o satanismo, o venerazione di una dea, o guarigioni miracolose, o spiritualismo, o Umbanda, o parlare in lingue sconosciute o qualunque altra stupidaggine New Age. Apparentemente, non sta proprio vendendo nulla, e questo è inquietante. Sai sempre dove un uomo vuole arrivare quando sta accumulando milioni. Atterley non è un altro esempio di un modello già familiare, come David Koresh, il Reverendo Moon, Madame Blavatsky o Uri Geller. In effetti, il modo in cui si presenta e il suo stile di vita ricordano più Gesù di Nazareth che chiunque altro, e anche questo è inquietante.” “Capisco che sia inquietante”, dissi. “Ma non pericoloso.” “La gente sta ascoltando, Jared... Forse qualcosa di decisamente nuovo. Questo lo rende pericoloso.” Questo lo capivo. Chiunque pensi che la Chiesa sia aperta a nuove idee, vive nel mondo dei sogni. L'incarico. Atterley al momento si trovava a Salisburgo, disse Padre Lulfre. Io avrei dovuto andare lì, ascoltare, osservare e fare rapporto. Quando chiesi chi sarebbe stato il mio contatto europeo, mi venne risposto che non ce ne sarebbe stato nessuno. Non avrei dovuto contattare nessuno dell'Ordine in nessuna circostanza. Avrei viaggiato sotto mio nome, senza tenere segreto il fatto che ero un prete ma neanche gridandolo ai quattro venti. Avrei indossato vestiti civili, come se fossi stato in vacanza. 8
  • 9. “Perché non se ne occupa qualcuno in Europa di questa faccenda?” chiesi. “Perché Atterley è americano.” “Ma si sta rivolgendo agli europei.” “Non essere sciocco, Jared. L'Europa è soltanto una prova. Per quanto gli Stati Uniti abbiano perso parecchio del proprio smalto negli scorsi decenni, sono comunque ancora loro a decidere cosa va di moda. Niente prenderà davvero piede da nessuna parte finché non lo farà qui. Atterley lo sa, se è brillante solo la metà di quanto la gente pensa che sia, e quando sarà pronto per noi verrà qui, puoi esserne certo. E questo è il motivo per cui andrai in Europa: vogliamo essere pronti per lui prima che lui sia pronto per noi.” “Sembra che lei prenda questa faccenda molto sul serio.” Padre Lulfre scrollò le spalle. “Se non la prendessimo sul serio, tanto varrebbe non occuparcene proprio.” Dopo aver discusso di alcune questioni pratiche, come agenzie di viaggi e carte di credito, mi alzai per andarmene, ma in mente avevo una pesante domanda che mi fece trascinare i piedi. Arrivato alla porta, finalmente la lasciai uscire. “E che succede dopo? A me, intendo.” Ci rifletté per un minuto, poi mi chiese cosa io avrei voluto che succedesse. “Non lo so”, dissi. “Se pensa che sia sprecato alla St. Edward, allora qual è il piano? Stava pensando di rimandarmi indietro e sprecarmi un altro po'?” “Hai ragione a farmi questa domanda”, disse, come se non lo sapessi già, “Non c'è nessun piano del genere, ma credo che sia ovvio senza bisogno di dirlo che questo segnerà l'inizio di qualcosa di nuovo per te.” “Preferirei sentirlo dire chiaramente lo stesso, Padre Lulfre.” “Lo hai già sentito da me, Jared. Non basta?” Non mi sarebbe dispiaciuto sentirlo dire anche da qualcun altro, ma lui non si offrì di renderlo possibile e io non volli essere pedante al riguardo, così gli dissi che certo, bastava. La fine dell'inizio. Tutto questo è avvenuto l'altroieri. Ieri e oggi li ho passati cancellando appuntamenti, distribuendo i miei compiti alla parrocchia, sistemando 9
  • 10. questioni di viaggio e aggiornando questo diario. Ho qualcos'altro in mente che dovrebbe andare qui (forse parecchio), ma non so esattamente di che si tratta e non avrò il tempo di capirlo finché non sarò sull'aereo che mi farà attraversare l'Atlantico. Martedì, 14 maggio. Salisburgo. Se foste una spia professionista in un libro di Len Deighton o John Le Carré e veniste mandati a dare un'occhiata a un uomo a Salisburgo, molto probabilmente lo trovereste a Salisburgo. La vita reale è meno affidabile. Charles Atterley non è a Salisburgo. Da quello che ho potuto scoprire in due giorni, non è mai stato qui e non ci si aspetta che arrivi. In effetti, nessuno lo ha mai sentito nominare. Salisburgo, comunque, è molto graziosa e piena di fascino del vecchio mondo, e i locali continuano a ripetermi: “Il suo amico probabilmente la sta aspettando a Monaco.” Lo fanno suonare come se Monaco sia piena zeppa di amici americani che sono stati dirottati lì per sbaglio da Salisburgo, e uno di loro debba essere il mio. Tanto vale che vada a dare un'occhiata. Giovedì, 16 maggio. Monaco. Non ho trovato traccia di Atterley qui, e comincio a sentirmi piuttosto stupido. Non sono venuto in Europa preparato a giocare al detective, e non ho indizi né contatti da nessuna parte. Sono però riuscito a trovare una bibliotecaria amichevole con un computer che ha dedicato una mezz'ora al problema, ma non puoi arrivare molto lontano quando non hai nulla da cui partire. Che puoi fare dopo aver controllato tutti i giornali in archivio fino a risalire al Putsch di Monaco? Chiedi al concierge, immagino. Il concierge sa tutto. Ma che fai dopo che il concierge ti restituisce un'occhiata vacua? Immagino che dovrei chiamare e conferire con Padre Lulfre, ma non è 10
  • 11. un'idea che mi piaccia. Fino a ora mi sono comportato in modo piuttosto compulsivo (anche se forse non è la parola che sto cercando). Ho agito come se avessi potuto trovare Charles Atterley tramite pura e semplice determinazione. Questa tattica di sicuro non ha funzionato, e provarla mi ha fatto sentire inetto ed ridicolo. Questi che seguono sono fatti: non mi è stata data una scadenza, nessuna particolare urgenza connessa alla mia missione, e non ho idea di cosa fare. Ergo (ergo!) tanto vale che mi rilassi e segua la corrente per un po'. Adieu. Un invito. Uscii a farmi una passeggiata. Non sono, in realtà, un viaggiatore avventuroso. Come ho detto, uscii a farmi una passeggiata nelle vicinanze del mio hotel e guardai le vetrine dei negozi. Mi fermai qua e là per studiare un menu nella finestra di un ristorante, come se sapessi cosa significassero quelle scritte. Così passò un'ora, come un vagabondo spensierato. Tornai all'hotel e gironzolai intorno alla reception nell'assurda speranza che qualcuno mi dicesse che era arrivato un messaggio durante la mia assenza. Alla fine, scoraggiato, mi diressi al bar, mi sedetti a un tavolo e ordinai una birra. Dopo alcuni minuti, il barista mi portò una ciotola di noccioline salate e disse che il gentiluomo al bancone si stava chiedendo se fossi americano e, in quel caso, se mi avesse dato fastidio che si unisse a me. Il gentiluomo al bancone era un esile sessantenne con gli occhi vivaci, europeo, a giudicare dal suo datato ma rispettabile completo. Mi chiesi perché avrebbe voluto unirsi a me se fossi stato un americano ma, presumibilmente, non in caso contrario, ma gli feci un cenno e un sorriso e lui portò il suo bicchiere al mio tavolo, presentandosi con teutonica formalità, e si sedette. Ero pronto per un po' di comprensione e di suggerimenti, e Herr Reichmann non dovette strapparmi le unghie per farmi parlare della mia ricerca di un individuo chiamato Charles Atterley (benché, ovviamente, non una sillaba della parola Anticristo mi attraversò le labbra). Avevo già inventato una fragile ma apparentemente efficace storia per spiegare questo mio interesse: sono uno scrittore freelance che sta facendo ricerche 11
  • 12. su di un uomo che pare stia guidando un nuovo movimento religioso. “Una nuova religione?”, indagò Herr Reichmann con divertita incredulità. “Sa, noi europei non siamo creduloni come voi americani, con i vostri angeli e cristalli magici.” “Esatto”, replicai. “Ecco perché Atterley è così significativo.” Continuammo a chiacchierare educatamente del più e del meno per qualche minuto, poi Reichmann tacque e fissò con aria pensierosa un lontano angolo della stanza. “Posso metterla in contatto con qualcuno molto più significativo di questo Atterley”, disse, “ed è possibile che un membro della sua cerchia potrà consigliarla.” “Gliene sarei davvero molto grato”, gli dissi con sincerità. Scrisse un nome su un sottobicchiere e me lo passò dicendo: “Der Bau, alle nove di stasera. Il concierge potrà darvi indicazioni.” Si alzò e cominciò ad allontanarsi, poi improvvisamente si voltò e fece un inchino. “Si faccia disegnare una mappa”, disse. Alcuni minuti dopo porsi obbedientemente il sottobicchiere al concierge e gli chiesi indicazioni e una mappa. Lui considerò la mappa non necessaria, ma ne disegnò una controvoglia quando insistetti. Gli chiesi cosa fosse un Bau. “Un Bau è un tunnel”, rispose. Poi, dopo averci riflettuto un attimo: “No, mi sono sbagliato. Un Bau è come... Come un nascondiglio sotterraneo.” “Una catacomba?” “No, il nascondiglio di un animale.” “Una tana?” “Ecco, sì. Una tana.” Nella tana. Non posso immaginare che un posto come Der Bau esista in nessuna parte del Nuovo Mondo, benché possano esserci posti creati appositamente per assomigliargli. Quando venne costruito, non lontano dal Karlstor, nel 1330, era la cantina del palazzo di un nobile. Il livello delle strade intorno al palazzo salì gradualmente nei secoli seguenti, trasformando il piano terra in una cantina e la cantina in un sotterraneo. Durante la Seconda Guerra Mondiale, il sotterraneo ospitò le cose di valore di chiese e musei vicini. In seguito il palazzo andò in rovina fino al 1958, quando fu raso al 12
  • 13. suolo e rimpiazzato da una struttura commerciale. Il sotterraneo venne preservato come Der Bau, un locale di cabaret di tipo classico, ossia un laboratorio alcolico di esperimenti artistici e intellettuali, piuttosto che un luogo di intrattenimento popolare. Era accessibile dall'atrio del nuovo edificio attraverso una serpeggiante scalinata che sembrava scendere nelle viscere della Terra. All'entrata, una piacevole giovane donna cercò di persuadermi che ero arrivato nel posto sbagliato e che mi sarei divertito molto di più da qualunque altra parte a Monaco. Insistetti che sapevo dove mi trovavo ed ero stato specificamente invitato all'evento di quella sera. Il nome Reichmann la lasciò impassibile, ma quando vide che non mi sarei fatto dissuadere mi accompagnò allegramente all'interno. La stanza era, naturalmente, scura come il fondo di un abisso, ma fortunatamente senza i soliti tavoli bohémien con candelabri accesi. Il soffitto, sorprendentemente alto cinque o sei metri, brulicava di luci al momento quasi spente ma capaci di produrre l'illuminazione di un mezzogiorno. Le dimensioni della stanza erano difficili da giudicare, dato che i suoi confini scomparivano nella penombra, ma non doveva essere più ampia di trenta metri quadrati. Un palco basso e rotondo girava lentamente al centro della stanza sotto un padiglione fisso formato da schermi televisivi. Al centro del palco si trovava un incrocio tra un pulpito e una tastiera di computer. Mi feci strada verso il palco finché non trovai un posto libero a un tavolo non molto più grande del mio blocco per gli appunti. Uno dei segreti del mio passato successo come studente era l'abilità di ascoltare una lezione mentre la scrivevo parola per parola in stenografia. Avevo perfezionato questo trucco al punto da riuscire a eseguirlo al buio (come avrei dovuto fare stanotte) e senza nemmeno doverci pensare. Dopo aver ultimato i preparativi, comunque, mi chiesi se non stessi facendo una fatica inutile. Herr Reichmann non aveva lasciato in alcun modo supporre che la lezione di stanotte sarebbe stata in inglese. E, in effetti, perché avrebbe dovuto? Mi guardai intorno per cercare qualcuno a cui chiederlo, ma decisi rapidamente che preferivo non rivelare di essere tanto stupido da assistere a un discorso in una lingua sconosciuta. Non conoscevo nemmeno il nome dell'oratore, santo Dio. Questi pensieri irritanti si interruppero quando le luci sotto il padiglione si intensificarono, segnalando l'arrivo dell'uomo in questione. L'arrivo di un uomo e di una donna, per la precisione. Salirono sul palco e l'uomo 13
  • 14. prese posto dietro il pulpito e si dedicò alla tastiera. Mentre lavorava con silenziosa concentrazione, ignorando il pubblico, mi ricordò un grande uccello da preda, con il suo vestito nero, occhi penetranti e naso aquilino. Mi ricordò anche un gargoyle, con i suoi ampi zigomi e la bocca larga, e un gangster parigino che avevo incontrato una volta a una festa e che citava Augustine e Schopenhauer e portava sul volto i segni di un passato terribile. Pensai che sembrava essere all'inizio o a metà dei suoi quarant'anni. La donna – alta, fisico atletico, sui trent'anni – prese posizione al lato opposto del palco, rivolta verso il pubblico. Indossava jeans infilati dentro stivali, una maglietta nera di seta e una giacca di cuoio fulvo che rimandava al colore dei suoi capelli, legati in una coda di cavallo. Osservò solennemente la folla. Mentre il palco girevole la portava lentamente sul mio lato della stanza, vidi che aveva uno straordinario tatuaggio in mezzo al viso – una farfalla rossa. A giudicare dalla sua carnagione e dalle sue caratteristiche esotiche, qualcuno dei suoi genitori o nonni doveva averle dato del sangue africano, asiatico o sudamericano. Improvvisamente lo schermo prese vita, mostrando le parole: LA GRANDE AMNESIA L'uomo concesse al pubblico un momento per leggerle, poi cominciò a parlare.1 Sentii gli occhi della donna su di me mentre anche lei cominciava a parlare... Con il linguaggio dei segni. Quasi dalla prima parola che pronunciò, seppi che ero stato ingannato – misteriosamente e gratuitamente. Quest'uomo non poteva essere altri che Charles Atterley. Lo sapevo non per qualche motivo logico, anche se la logica fece sicuramente la sua parte. Che fosse americano era fuor di dubbio. Questo era sufficiente. Non era possibile che due diversi predicatori americani stessero diffondendo idee rivoluzionarie in Europa centrale nello stesso momento. Mi sembra strano adesso, dopo gli eventi, che questa rivelazione mi irritasse tanto. Non riuscivo semplicemente a immaginare perché Herr Reichmann si fosse preso il disturbo di ingannarmi. Mi sembrava del tutto insensato, ed era stata quell'insensatezza a sconcertarmi. Fortunatamente, il mio addestramento non mi tradì. Anche se il mio cervello era in stallo, le 1 Il testo di questo discorso può essere trovato a pagina 206. 14
  • 15. mie mani continuarono a lavorare. Le parole di Atterley comparvero sulla pagina come per magia, come se fossero state scritte in inchiostro simpatico e il movimento della mia penna le stesse rendendo visibili. Mi accorsi che stavo guardando la mia mano quando si fermò improvvisamente, perché Atterley si era fermato. Guardai in alto e vidi una nuova frase sullo schermo: IN VERITA' VI DICO... ANCORA, E ANCORA, E ANCORA Per qualche motivo, questo riuscì a scuotermi dalla mia trance. Avevo perso i primi quattro o cinque minuti del discorso di Atterley, ma naturalmente non li avevo persi completamente. I minuti erano lì, come una sorta di eco che potevo ascoltare all'indietro per ottenere il senso generale del suo discorso. Atterley stava parlando di questioni importanti per la mia vita e ancora di più per il mio lavoro... E non mi piaceva cosa stavo sentendo. Questo non perché fossero cose non vere, ma per la ragione opposta: perché erano vere e io non le avevo capite. Stava facendo acute osservazioni su fenomeni a cui avevo assistito migliaia di volte ma su cui non avevo mai pensato di riflettere. Avevo vissuto come un cavallo da corsa all'ippodromo di Ascot: il cavallo non è per nulla impressionato se riceve una visita da parte della Regina, ma questo non perché è un repubblicano, ma perché è un idiota. Tutto ciò che Atterley stava dicendo era ovvio e allo stesso tempo del tutto nuovo. Questo lo rendeva esasperante, perché ciò che è ovvio dovrebbe essere vecchio, ben noto, noioso e scontato. Guardai le persone intorno a me e vidi che erano rapite dalle parole di Atterley. Avrei voluto prenderli a calci, agguantarli per i capelli, scuoterli e urlare: “Perché stai ascoltando con tanta attenzione queste cose? Le conosci! Avresti potuto capirle da solo!” Ma non l'avevano fatto... E non l'avevo fatto neanch'io. Il palco ruotò, portandomi davanti prima Atterley e poi la donna, che parlava a gesti. In breve arrivai a odiare vederli andare e venire... Loro due insieme erano molto peggio che ognuno di loro preso singolarmente. Odiai vederli andare e venire, ma odiai anche loro, per quello che stavano facendo. Mi stavano dimostrando che ero esattamente come quel cavallo all'ippodromo. Posso anche scuotere la testa e atteggiarmi a 15
  • 16. campione, ma quando si arriva al sodo non riesco nemmeno a distinguere tra la Regina d'Inghilterra e uno stalliere. Avevano trovato un punto dolente in me che non sapevo nemmeno esistesse, e li detestai per questo. Andarono avanti per altri quaranta minuti circa. Ascoltai tutto e mi rifiutai di comprendere una singola parola, nonostante la mia mano continuasse a mettere tutto per iscritto. Poi improvvisamente lo schermo si oscurò, le luci sul palco si affievolirono e Atterley e la sua amica scesero nell'oscurità. Uscii di lì come un ubriaco che si era appena ricordato dove aveva nascosto una bottiglia. In effetti mi serviva proprio un goccio, ma non volevo prenderlo al mio hotel, dove avrei potuto incappare nuovamente in Herr Reichmann. Nessun problema. Monaco è una città molto grande, piena di alcool. Venerdì, 17 maggio. Conseguenze. Probabilmente ho rovinato tutto, anche se forse non in modo irrevocabile. Sono venuto, ho visto e sono scappato. Ovviamente non muoio dalla voglia di riferirlo a Padre Lulfre. E, altrettanto ovviamente, devo tornare sulle tracce di Atterley. Più tardi. Herr Reichmann non è registrato all'hotel, e il barista che ci aveva presentato disse che non lo aveva mai visto prima. Non mi aspettavo davvero che sarebbe stato semplice. Il concierge cercò informazioni su Der Bau e scoprì che apre alle tre del pomeriggio, informazione che si dimostrò falsa o superata. Aprì – riluttantemente, mi sembrò – intorno alle cinque e mezzo. Lo staff di questo evento non conosceva abbastanza inglese per essermi di aiuto, ma riuscirono a comunicarmi che mi avrebbero mandato un tale di nome Harry se mi fossi seduto e avessi aspettato per un'oretta. Mi sedetti e aspettai per un'oretta e, abbastanza sorprendentemente, mi mandarono qualcuno di nome Harry, che si rivelò essere un inglese o forse un tedesco che aveva studiato in Inghilterra. Gli dissi che stavo cercando 16
  • 17. Charles Atterley. “Il nome non mi è familiare, mi dispiace”, disse Harry. “L'uomo che ha parlato qui la notte scorsa”, precisai io. “Ah. È così che si chiama?” Lo guardai incredulo. “Non conosce il suo nome?” “Non conoscevo quel nome.” “Che intende dire?” Harry scrollò le spalle. “Il nome che conosco io potrebbe non essere proprio un nome. È conosciuto come B.” “B? B come bambino?” “Esatto.” “Perché si fa chiamare così?” Harry mi fece il tipo di sorriso che si riserva a un bambino che fa domande sugli elfi di Babbo Natale. Gli chiesi dove avrei potuto trovarlo. “Non ne ho proprio idea”, disse Harry. “Sa dove potrebbe parlare la prossima volta?” “No.” Riflettei per un momento. “Come ha fatto a prenotare qui a Der Bau?” Harry aggrottò la fronte come se stessi oltrepassando il confine tra curiosità e arroganza. “Questo non è il Caesar Palace, amico mio. Gli accordi vengono presi in ogni modo, solitamente molto informale. Non facciamo vere e proprie prenotazioni o ingaggi.” “Ma dovete aver avuto un modo per contattarlo...” “Potremmo, e se mi puntasse una pistola alla testa potrei anche riuscire a scoprirlo, ma altrimenti non credo che ci riuscirei”, scrollò di nuovo le spalle. “Le cose stanno così. Questo non è un istituto di ricerca per persone scomparse, e io ho altre cose da fare.” Gli dissi che capivo, lo ringraziai comunque e mi alzai per andarmene. “Torni più tardi”, disse Harry. “Si trovano sempre persone desiderose di parlare se gli si offre da bere, e qualcuno nella folla potrebbe sapere più di me su questo tizio.” Lo ringraziai nuovamente e tornai all'hotel. Stando seduto qui nella mia stanza – e camminando avanti e indietro e guardando fuori dalla finestra – mi è improvvisamente venuto in mente che quando gli eroi delle favole non sanno cosa fare, si limitano a sedersi e piangere. Nelle stesse circostanze, un eroe moderno malmenerebbe qualcuno o si ubriacherebbe, ma non si limiterebbe mai a starsene seduto a 17
  • 18. frignare. Ho letto abbastanza storie di detective da sapere che dovrei andare a estrarre informazioni da qualcuno, ma da chi? Seduto qui fissando il mio blocco per gli appunti, alla fine mi sono accorto che c'è una cosa che ho finora accuratamente evitato di fare: leggere la lezione che ho scritto l'altra notte al Der Bau. Ammetto di avere una forte riluttanza al riguardo. Fatto interessante: mi ricordo il titolo del discorso (La Grande Amnesia), ma mi sono scordato cos'è questa Grande Amnesia. Non l'ho davvero dimenticato, ovviamente, ho solo chiuso la mia memoria su questo argomento, e questo significa che... Salvato dal telefono. Come si supponeva che avvenisse. Quando l'eroe sta seduto a piangere perché non sa cosa fare, l'universo delle favole manda degli aiutanti magici. Il mio non era stato di sicuro magico, ma misterioso certamente. Credo di poter trascrivere tutto parola per parola. IO: “Pronto.” LUI: “Padre Osborne?” IO: “Sì. Chi è?” LUI: “Che accidenti crede di fare?” IO: “Cosa?” LUI: “Capisce cosa dovrebbe fare qui?” IO: “Ma chi è?” LUI: “Mi era stato fatto credere che avrei avuto a che fare con qualcuno almeno marginalmente competente.” Era impossibile non cogliere il tono della conversazione, e io stavo sicuramente avendo la peggio. Cercai di arrangiare una linea di difesa. IO: “Non so chi lei sia o chi l'abbia nominata mia baby-sitter, ma io so chi sono. Sono un prete di campagna. Se si aspettava James Bond, o è stato ingannato o si è ingannato da solo.” LUI: “Essere un prete di campagna significa essere in coma?” IO: “Mi dispiace di averla delusa.” Così dicendo gli attaccai in faccia, qualcosa che non credo di aver fatto fin dalle scuole medie. Non esiste mossa migliore quando hai le spalle al muro. Come previsto, richiamò immediatamente. 18
  • 19. “La ragazza è malata”, mi disse come se non fosse successo nulla. “La ragazza sta morendo.” “Cosa?”, per un secondo pensai che mi stesse dando una parola d'ordine di qualche tipo. Forse avrei dovuto rispondere con: “Ma le rondini torneranno a Capistrano comunque.” Fortunatamente mi ripresi e dissi: “Intende quella che stava parlando a gesti?” “Certo. Non l'ha vista in faccia?” “L'ho vista. Non avevo capito che fosse... Cos'è, Lupus? Il Lupus non è mortale, vero?” “È scleroderma, o forse una malattia degenerativa mista. Sono tutte nella stessa famiglia del Lupus. È una malattia autoimmune, degenerativa, incurabile.” “Va bene. E che cosa dovrei fare con questa informazione?” “Radenau ha un centro di ricerca dedicato allo studio e al trattamento delle malattie degenerative. Ecco cosa stanno facendo in Europa centrale. Radenau è il centro del cerchio, novanta chilometri a sud di Amburgo.” “Quindi cosa sta dicendo? Quando non so cosa fare dovrei andare a Radenau?” “Quando non sa cosa fare, si ricordi che Radenau è il centro del cerchio.” “Qualcuno avrebbe anche potuto dirmelo dall'inizio.” Il mio interlocutore sospirò. Lo fece sembrare quasi umano. “Qualcuno avrebbe potuto dirlo anche a me, ma nessuno l'ha fatto. L'ho scoperto da solo.” Questo non mi fece piacere, ma riuscii a tenermelo per me. “Tutto questo mi riporta alla mia domanda iniziale: chi diavolo è lei? E se ha il compito di occuparsi di questa faccenda, che ci faccio io qui?” “Lei dovrebbe aprire la strada e io dovrei seguirla. Non dovrebbe nemmeno sapere che sono qui.” “Perché non dovrei saperlo?” “Non lo so. Forse l'idea è di non mettere troppo alla prova le sue capacità di dissimulazione. O forse l'idea è di spingerla a mostrare un'ombra di iniziativa.” “Vaffanculo, Charlie”, dissi. Alcune persone rimangono sconcertate quando sentono un prete parlare volgarmente come un ragazzino, ma questa si limitò ad aspettare. “Ascolti”, gli dissi, “non sono un detective. Lo ammetto. Un po' di aiuto non mi dispiacerebbe.” “Non da me. Esca di lì e faccia qualcosa.” 19
  • 20. Il telefono divenne muto. Lavoro da detective. Tirai fuori la mia mappa, e questo mi aiutò parecchio. Intorno a Radenau c'erano cinquanta grandi città dove B avrebbe potuto parlare: Norimberga, Dresda, Berlino, Kiel, Amburgo, Brema, Essen, Koln, Francoforte, Heidelberg e Stuttgart. Per nominarne solo alcune. Sarebbe stato facile trovarlo se si fosse trattato di Billy Graham, ma come diavolo avrei potuto rintracciare un predicatore virtualmente sconosciuto chiamato B? Non trovando aiuto nella geografia, passai un po' di tempo a chiedermi chi fosse Charlie. Un civile, di sicuro. Come si fa spesso, mi immaginai una figura da associare alla voce. Lo piazzai intorno ai trentacinque anni, snello, di altezza e peso medi, un militare o paramilitare di qualche tipo, con un volto da ratto e vestiti scadenti risalenti agli anni Cinquanta. Come dovrebbe essere evidente da tutto ciò, Charlie non era riuscito a diventarmi simpatico. Mi baloccai brevemente con l'idea di chiamare Padre Lulfre e chiedergli come stavano le cose, ma non riuscii a trovare l'ombra di una motivazione a sostegno delle mie lamentele. Se Charlie sapeva dov'era B, cosa ci aveva guadagnato dal dirmelo? Se voleva farmi apparire incapace, perché chiamarmi e darmi indicazioni? Al telefono aveva cercato di darmi a bere una spiegazione per questo comportamento: aveva a che fare con uno scolaro pigro. Stavo facendo male i miei compiti, e lui non era venuto per darmi le risposte giuste, ma per farmi assaggiare il bastone. Ha senso se è davvero il tipo militare. Sta trattando questa faccenda come un campo di addestramento reclute. Va bene. Per quanto possa vedere, c'è solo una cosa in tutto ciò che mi ha detto che è davvero rilevante: dovunque B e la ragazza vadano, alla fine finiscono per tornare a Radenau. Devo assumere che questa sia la miglior informazione in possesso di Charlie. Se avesse saputo con certezza che B passerà le vacanze a Spitzbergen, per esempio, di sicuro non mi avrebbe rifilato questa storia di Radenau. Se ho ragione, allora Charlie stesso si sta dirigendo a Radenau. E questo, devo supporre, è ciò che ha voluto farmi capire chiamandomi. Non è grandioso essere istruiti? 20
  • 21. Sabato, 18 maggio. Radenau. Partii dopo una tarda e lussuosa colazione, e arrivai ad Amburgo a metà pomeriggio. La Germania è più piccola del Montana, e attraversarla da un lato all'altro a bordo dell'intercity ad alta velocità la fa sembrare ancora più piccola. Avendo un paio d'ore da far passare prima di prendere la coincidenza per Radenau, visitai l'ufficio di informazioni turistiche nel Hauptbahnhof e mi fu sinceramente consigliato di non perdere il jungfernstieg, a cinque minuti a piedi, che mi avrebbe permesso di ammirare il bellissimo lago artificiale della città da una parte e i suoi negozi più eleganti dall'altra. Accettai il consiglio ed eccolo lì, perdiana, esattamente come mi era stato descritto. Non molto di Radenau risale a prima degli anni Quaranta. Albert Speer, l'architetto e tecnocrate-capo di Hitler, aveva in mente qualcosa per la città durante le ultime fasi della guerra, ma di sicuro non un centro di belle arti. Penso che avrebbe dovuto essere un posto dove le fabbriche si potessero sentire a casa propria durante il Reich di Mille Anni. Ora è un complesso industriale punteggiato di appartamenti indistinguibili da caserme. L'unica cosa positiva che la mia guida turistica aveva da dire sul mio hotel era che si trattava di un edificio moderno e scrupolosamente pulito, e in effetti era entrambe le cose. Era anche in pieno centro, ossia nella parte più antica della città. La vecchia Radenau non prova nemmeno a essere pittoresca. Avevo passato il mio tempo sul treno scrivendo una versione leggibile de “La Grande Amnesia” da mandare a Padre Lulfre. Quando mi registrai in hotel chiesi alla reception se avessero un fax, e mi fu risposto di sì con un tono oltraggiato come se avessi chiesto se avessero acqua corrente. Fui contento di avere un fax con cui placarli. Ho intenzione di farmi un bagno, una lunga, riflessiva cena (pensando a meno cose possibili), e magari una passeggiata prima di andare a letto. Niente di più. Niente lavoro fino a domani. Comincia una lunga notte. Come avevo detto che avrei potuto fare, uscii a fare una passeggiata dopo cena. La notte era piacevole, le strade tranquille. Non sono un grande esploratore. A circa tre isolati dall'hotel (in altre parole, ai limiti della mia 21
  • 22. avventurosità), udii un leggero chiasso provenire da un punto più avanti. Se mi fossi trovato a Beirut mi sarei limitato a girare i tacchi e tornare in hotel, ma dato che ero a Radenau lasciai che la mia curiosità mi guidasse a una stradina vicina, dove un piccolo teatro stava venendo picchettato da quaranta o cinquanta cittadini che sembravano piuttosto sorpresi di essere coinvolti in una tale volgare manifestazione di maleducazione. Stavano brulicando indisciplinatamente, mostrando rozzi cartelli a un pubblico inesistente e cantando in maniera incerta degli slogan sul cui testo stavano evidentemente ancora lavorando. Mi ci vollero circa tre secondi per capire che avevo trovato B, o almeno il luogo del suo prossimo spettacolo. Una delle attività preferite dei fabbricatori di cartelli era, a quanto pare, immaginare il significato del nome “B”. Veniva infatti chiamato il Blasfemo, il Bastardo, il Boccalarga, le Badaud, la Bete, le Bobard, le Boucher, le Bruit, die Beerdigung, der Bettler, e die Blattern, insieme ad altri che non mi ricordo più. Altri ancora lo identificavano con Belzebù, la Bestia, Belial e Barabba, e due o tre, ignorando il problema dell'iniziale, lo definivano con sicurezza l'Anticristo, il che, devo ammettere, mi sorprese basandomi su quello che avevo visto fino a quel momento. Mi sorprese davvero. L'entrata del teatro era difesa da una guardia in uniforme che appariva molto più feroce e molto più preoccupata di quanto mi sembrasse necessario, date le circostanze. L'unica limitazione all'entrata sembrava essere che i cartelli di protesta dovevano essere lasciati fuori. Osservando il traffico all'ingresso, mi accorsi rapidamente che la procedura consisteva nel picchettare per un po', poi entrare a disturbare l'oratore per qualche minuto, poi tornare fuori e picchettare un altro po'. Mi feci strada all'interno. Per prima cosa notai che la sala non era molto grande, contava trecento o quattrocento posti al massimo. Poi notai il fatto, molto più importante, che i disturbatori non si stavano impegnando granché. Forse è vero che i tedeschi non sono a proprio agio nello sfidare l'autorità. Le prime venti file ospitavano evidentemente i sostenitori di B, che avevano un'aria cupa e nervosa, mentre nel resto della sala erano sparsi i suoi minacciosi (ma perlopiù silenziosi) antagonisti. C'era un posto libero vicino al palco, e mi ci diressi dopo aver afferrato una pila di volantini da usare come blocco per gli appunti. Fui deluso dal vedere che, a eccezione di B, il palco era vuoto. B incrociò il mio sguardo mentre mi sedevo, e un lampo di 22
  • 23. riconoscimento passò tra noi, o così mi parve. Era di profilo verso il pubblico, appoggiato al podio e chinato in avanti in modo da avere le labbra a un millimetro dal microfono. Mi prendo la briga di descrivere questi dettagli per cercare di ricreare l'impressione che dava di essere del tutto indifferente a cose che avrebbero potuto zittire altri oratori. Nonostante i disturbatori non fossero molto rumorosi, infatti, la loro ostilità era palpabile. Le sue mani erano ferme e rilassate, e sembrava interamente concentrato sui propri pensieri, che stava condividendo con il pubblico intimamente e spontaneamente come in una conversazione privata. Non sapevo da quanto stesse parlando, ma mentre ascoltavo cominciai a riconoscere il terreno familiare della Grande Amnesia. Ma benché il discorso fosse familiare, era meno dettagliato. In altre parole, questo era solo un riassunto della lezione passata. Alla fine tacque e lasciò vagare deliberatamente lo sguardo sulla folla. “Stanotte”, disse, “vorrei parlarvi della bollitura di una rana.” Tolsi il cappuccio alla penna e cominciai a trascrivere.2 Un invito viene spedito. Fino a ora non avevo mai avuto ragione di rifletterci (o di notarlo), ma entro in una sorta di trance quando trascrivo un discorso. Provo la piacevole sensazione (ora che ci faccio caso) che le parole che escono dalla penna siano le mie. Ho l'illusione che la mia mano anticipi ciò che le mie orecchie sentono, mi sembra di conoscere le parole prima che vengano pronunciate e che potrei trascrivere il discorso anche se l'oratore si fermasse. Sperimento una strana sensazione di intimità con il relatore. Posso non capire perfettamente cosa dice, ma mi sembra di avere una profonda percezione del suo significato. Quando smette di parlare, posso essere incapace di rispondere anche alla più semplice delle domande sul suo discorso, ma questo non mi preoccupa perché so che è tutto al sicuro nella mia trascrizione. Dato che in questa occasione B non stava usando schermi televisivi, chiusi gli occhi, cosa che di solito mi aiuta a concentrarmi. Dopo una mezz'ora, comunque, si riaprirono involontariamente. Guardai B, lui guardò me e i nostri occhi si incontrarono brevemente, senza particolari 2 Il testo di questo discorso può essere trovato a pagina 224. 23
  • 24. segni di riconoscimento. Senza fare una pausa tra le parole, osservò tutta la folla senza fare distinzioni (per quanto potei vedere) tra amici e nemici. Poi, in un gesto che non aveva evidenti correlazioni con nulla di quanto stesse dicendo, sollevò il suo indice sinistro in aria, lo tenne lì per un attimo, poi lo puntò con decisione alla propria destra. Era senza dubbio un segno di qualche tipo, ma non riuscii a notare nessuno che l'avesse colto o che avesse reagito in qualunque modo. Considerai l'idea che il segnale fosse stato visto solo da me perché era stato indirizzato a me. Continuò a parlare. Chiusi gli occhi per tagliare fuori il continuo rumore della folla e continuai a trascrivere. Passarono i minuti. Improvvisamente notai che la mia mano si era fermata e mi chiesi perché. Aprendo gli occhi, vidi che B aveva finito. Tuttavia, il pubblico non sembrò rendersene conto finché non ebbe raccolto i suoi fogli e non fu sceso dal palco. A quel punto, i disturbatori esultarono come per autocongratularsi per un lavoro ben fatto, e i sostenitori di B si affrettarono ad applaudire. Uscendo, B fece a tutti un cenno indifferente e sparì dietro le quinte. Pellegrinaggio. Per quando fui uscito, la protesta si era trasformata in una festa, con abbracci, baci e bicchieri di carta pieni di vino per chiunque avesse partecipato all'epica impresa. I sostenitori di B si dispersero nella notte indisturbati eccetto che per sporadiche prese in giro. Mentre guardavo dall'altra parte della strada, realizzai rapidamente che i disturbatori stavano facendo ciò che stavo facendo anch'io: tenendo d'occhio il vicolo sul lato del teatro, aspettando che B si facesse vedere. Dopo alcuni minuti, un'automobile si accostò alla stradina – non una limousine, solo una vecchia Mercedes Sedan. Un secondo dopo, una guardia attraversò la folla, spinse i passeggeri nel sedile posteriore e fece la guardia mentre la Sedan accelerava verso destra. Avendo perso la propria occasione per un'ultima manifestazione di disprezzo, la folla perse rapidamente il proprio buon umore e cominciò a disperdersi. Bottiglie vennero tappate, bicchieri raccolti, e naturalmente tutti dovettero stringere la mano a tutti prima di andarsene. Mentre questo avveniva, la guardia in uniforme riapparve all'ingresso del teatro per far uscire uno degli ultimi spettatori e chiudere dietro di lui. Lo spettatore ringraziò la guardia con un cenno del capo, alzò il colletto della giacca 24
  • 25. contro l'aria notturna e si avviò alla propria sinistra, tagliando la folla e sparendo nell'oscurità. Sarebbe stato facilmente riconosciuto da chiunque si fosse dato la briga di guardarlo. Aspettai finché non fu una cinquantina di metri avanti a me, poi lo seguii. Ovviamente non avevo idea di dove mi stesse conducendo, ammesso che mi stesse davvero conducendo da qualche parte. Un po' meno ovviamente, non sapevo perché lo stessi seguendo, eccetto per il fatto che credevo di essere stato invitato. All'inizio pensai che la Mercedes avrebbe fatto il giro dell'isolato per raccoglierlo, ma mi sbagliavo. Poi pensai che fosse diretto a una vicina taverna o bar, ma mi sbagliai di nuovo. Continuò a camminare fino a lasciarsi il centro della città alle spalle. Cominciai ad avere delle esitazioni riguardo questa avventura. Se mi avesse piantato in asso a quel punto, mi sarebbe stato molto difficile tornare all'hotel. Gli autobus non circolavano più – almeno non qui – ed era passata mezz'ora dall'ultima volta che avevo visto un taxi. Peggio ancora, eravamo entrati in una zona che avrei definito industriale: non c'erano case o appartamenti, né negozi, né bar, né minimarket aperti tutta la notte con un telefono e magari dei commessi desiderosi di aiutare. Qui c'erano solo fabbriche, magazzini e cantieri, che a quest'ora di notte ospitavano solo guardie notturne e cani da guardia. Potreste ragionevolmente chiedermi perché non lo raggiunsi e non gli chiesi dove stesse andando. Ci pensai su. Sarebbe stata la cosa ordinaria da fare, o quella straordinaria? La cosa normale o quella strana? Pensarci su non mi aiutò, naturalmente. La cosa naturale da fare è sempre quella non premeditata e non ragionata, quella istintiva. Questa cosa in particolare era una di quelle che avrebbe dovuto essere fatta immediatamente oppure mai più. Che senso avrebbe avuto seguirlo alla cieca per un'ora per poi raggiungerlo e chiedergli dove mi stesse portando? Era una situazione assurda, che io – essendo adulto, competente, ecc. – avrei dovuto gestire molto meglio (anche se a tutt'oggi non so in che modo avrei potuto farlo). Riemergendo dai miei pensieri deprimenti, vidi che B stava entrando in un piccolo edificio privo di segni particolari poco più avanti. Sembrava un capanno di qualche tipo, schiacciato tra un magazzino e un deposito ferroviario. Mi affrettai, sperando che fosse la destinazione di B. Rimasi sconcertato e divertito quando raggiunsi la porta e vidi un artisticamente rozzo cartello lì accanto che diceva: “LITTLE BOHEMIA”. 25
  • 26. Sabato, 18 maggio. Little Bohemia! Quando aprii la porta ed entrai, mi sfuggì una risata. Little Bohemia era una taverna, ma una taverna diversa da qualunque altra avessi mai visto, a parte forse nei sogni o nell'immaginazione. Avrebbe potuto far parte del set cinematografico per un film sulla vita di Amedeo Modigliani. Aveva soffitti bassi, pieni di ragnatele e fumo, e sarebbe stata completamente buia se non fosse stato per delle candele incastrate in alcune bottiglie di vino. I muri erano fitti di disegni, caricature e dipinti, la maggior parte dei quali così anneriti dal fumo da sembrare post-impressionisti. Incongruamente – eppure in qualche modo perfettamente – un jukebox decorato con un arcobaleno vicino alla porta stava suonando un vecchio disco di Piaf graffiato che doveva essere, poteva solo essere – e infatti era – La vie en Rose. Spendendo un milione di dollari, la Disney non avrebbe potuto ricrearla più archetipica, anche se la polvere e le ragnatele sarebbero state create con plastica antisettica e la canzone sarebbe stata cantata da un clone di Piaf stessa, con indosso una perfetta riproduzione della sua famosa vecchia maglia. La clientela, comunque, non interpretava il ruolo adatto, almeno non di proposito. Non c'erano berretti, baschi o pullover da pescatori, e niente pizzetti artistici. Queste persone, mormoranti ai loro tavoli o chinate sulle loro scacchiere, avrebbero potuto essere qualunque cosa – poeti, romanzieri, sceneggiatori, attori, artisti, modelli – ma chi poteva dirlo? Oggigiorno, gli addetti alle pubbliche relazioni sembrano artisti, gli artisti sembrano camionisti e i camionisti come campioni di calcio nel giorno libero. B era seduto a un tavolo in fondo e capii che doveva essere un cliente abituale, perché una cameriera lo stava già servendo dopo appena sessanta secondi dal suo arrivo. Vedendo che ero entrato, mi invitò al tavolo con un cenno alla sedia alla sua destra. Mentre mi avvicinavo, lo sentii dire alla cameriera: “Theda, porta uno di questi anche per il mio amico, vuoi? Ha camminato a lungo.” E poi a me: “È uno scotch al malto Lagavulin vecchio di sedici anni e riporterebbe in vita i morti, se somministrato entro un tempo ragionevole.” Mi sedetti e guardai, probabilmente in modo piuttosto vacuo, il suo 26
  • 27. volto da gargoyle. “Be', cosa gliene è parso della mia lezione?”, mi chiese. “Non so”, risposi. Poi aggiunsi: “Non sto facendo il vago, sto ancora cercando di capirlo.” “Era a Der Bau.” “Infatti.” “Ma non a Stuttgart o prima?” “No.” “Ottimo. Per caso o destino, ha cominciato all'inizio del ciclo.” “È stato per caso”, gli dissi, e lui sorrise educatamente come se non facesse una gran differenza. “Qual è il suo nome, a proposito?” Glielo dissi, e Theda scelse quel momento per arrivare con il mio drink, un liquido scuro e ambrato in un bicchiere sovradimensionato. Bevvi un sorso e battei le palpebre, sconcertato dalla sua pesante, ricca fumosità. “Fantastico, non è vero?” Annuii, improvvisamente sentendomi stranamente distaccato, come una pagina strappata da un libro e inserita in un altro. “E 'B'?”, chiesi. “Perché si fa chiamare B?” Mi fece un sorriso storto. “Sa, non ne sono del tutto sicuro. Questo è un nome che la folla ha scelto per me in risposta a una percezione profonda e inconscia. Quando il nome mi è rimasto appiccicato, ho fatto qualche ricerca al riguardo, per quello che era possibile su un argomento come questo. Se in tempi antichi le fosse capitato di incontrare un uomo o una donna marchiati con la lettera A, avrebbe saputo che la loro colpa era stata...?” “Adulterio.” “Naturalmente. Non è stata un'invenzione di Hawtorne ne La Lettera Scarlatta, sa. E se avesse incontrato qualcuno marchiato con la lettera B, avrebbe saputo che il suo peccato era stato la blasfemia.” “Ed è questo il suo peccato?” “Oh, sì. Ma non posso credere che la folla abbia scelto questa lettera per questo motivo – o almeno, non deliberatamente.” “Allora perché?” Scrollò le spalle. “Semplicemente, non lo so.” “Posso chiederle il suo vero nome?” “Preferirei che non lo facesse. Ormai non lo uso più, a parte per i registri degli alberghi.” 27
  • 28. “Va bene. Perché mi ha segnalato di seguirla?” Sorrise in modo diverso, come per piacere autentico. “Conosce l'antico romanzo cinese Viaggio in Occidente? È la storia di una birbante scimmia di pietra nata per via di un incidente divino da un uovo di pietra sulla cima di una montagna. Dopo aver vissuto una vita spensierata per molti anni, improvvisamente diviene consapevole dell'esistenza di un'enorme mole di cose da imparare di cui non aveva la minima idea, e comincia un viaggio intorno al mondo per trovare un maestro. Alla fine arriva in un monastero gestito da un famoso saggio, che gli lascia assistere alle lezioni insieme agli altri novizi mentre svolge le faccende come una sorta di domestico. Un giorno, dopo vari anni, il maestro chiese alla scimmia che tipo di conoscenza stesse cercando. La scimmia allora chiese quali erano disponibili, e poi li respinse uno dopo l'altro. Il maestro allora si infuriò, lo colpì tre volte in testa con il suo bastone e se ne andò. Gli altri allievi erano costernati, ma la scimmia no, perché conosceva il linguaggio dei segnali segreti e aveva capito che il maestro gli aveva ordinato di andare da lui alle tre di notte. Quando arrivò, il saggio si complimentò con la scimmia per aver insistito per avere una saggezza che andasse oltre ciò che altri avrebbero accettato, e gli fece una rivelazione così potente che la scimmia raggiunse l'illuminazione sul posto.” Insegnamenti: pubblici e segreti. Diedi a B un minuto per continuare, e quando non lo fece gli chiesi se fossi una scimmia che aveva scelto per un'istruzione speciale. “È possibile”, rispose, “ma non è questo il motivo per cui le ho raccontato la storia.” “Continui.” “Perché il saggio aveva due tipi di insegnamenti, pubblici e segreti?” “Non lo so.” B abbassò il mento sul petto e mi diede uno sguardo ironico dal basso verso l'alto. “Ci rifletta per un po'”, mi disse. “Stia al gioco.” “Perché il saggio aveva due tipi di insegnamenti? Direi perché non sarebbe stato un granché come saggio altrimenti. Gli insegnamenti pubblici sono quelli che tutti ascoltano perché sono quelli che possono venire articolati. Gli insegnamenti segreti sono quelli che non possono venire espressi perché non esistono.” 28
  • 29. B annuì pensierosamente. “Una risposta molto buona e molto moderna. La risposta di un cinico.” “Non penso a me stesso come a un cinico.” “Ma è sicuro che non esistano insegnamenti segreti.” “Assolutamente sicuro.” “Gesù non aveva nessuna gemma speciale per i suoi discepoli.” “No.” “E nemmeno Gautama Budda o Maometto per i loro.” “No.” “Potrebbe avere ragione, naturalmente, ma questo manca completamente il punto della mia storia.” “Va bene. Perché il saggio aveva due tipi di insegnamenti diversi?” “Uno era un gruppo di insegnamenti facili da comprendere, un altro invece un gruppo di insegnamenti molto difficili. Il primo gruppo era quello pubblico, naturalmente, il tipo a cui tutti i novizi erano esposti. Il secondo era il tipo segreto, quello che solo studenti eccezionali possono aspirare a comprendere – o accettare.” “In altre parole...?” “In altre parole: gli insegnamenti segreti non sono quelli che gli insegnanti si tengono per loro, sono quelli che sono molto difficili da impartire.” Scossi la testa. Dovevo proprio scuoterla. Non l'ho mai visto scritto esplicitamente, ma è implicito in ogni testo che – a parte cose proibite e probabilmente illusorie come stregoneria o negromanzia – non esistono segreti rilevanti. Ci sono molte cose che non sappiamo e non sapremo mai, naturalmente, ma tutto ciò che abbiamo bisogno di sapere è stato rivelato. Se non fosse così, se Mosé, Budda, Gesù o Maometto avessero conservato qualcosa solo per una ristretta élite, allora le rivelazioni sarebbero incomplete e, quindi, inutili. “Non sono sicuro che questo risponda alla mia domanda originale”, dissi. “Perché mi ha invitato qui?” “L'ho invitata qui per la stessa ragione per cui il saggio ha invitato la scimmia. Spero di poterle impartire alcuni degli insegnamenti che non posso esprimere dal podio.” “Non capisco. Perché non può impartirli dal podio?” La mia domanda sembrò sconfiggerlo. Sospirò, collassò su se stesso e si guardò attorno in una sorta di pantomima di disperazione pedagogica. “Pensavo che sapesse che cosa sta succedendo qui.” 29
  • 30. “Mi dispiace. Pensavo di saperlo anch'io.” “Ogni volta che Gesù parlava a un gruppo, stava parlando a un migliaio di anni di storia condivisa, visione condivisa e comprensione condivisa. Le persone che lo ascoltavano erano ebrei, dopotutto. Non parlavano solo la stessa lingua. I loro pensieri erano stati plasmati dalle stesse scritture, le stesse leggende, la stessa visione del mondo. Non doveva insegnare loro chi fosse Dio, chi fosse Abramo o chi fosse Mosé. Non doveva spiegare loro concetti come profeta, diavolo, pentimento, battesimo, scrittura, Sabbath, comandamento, paradiso, inferno o messia. Queste erano tutte nozioni comunemente note nella loro cultura. Ogni volta che parlava loro, sapeva con certezza assoluta che i suoi ascoltatori erano venuti preparati per capire cosa aveva da dire. “Sì, lo capisco.” “Gesù non doveva gettare le fondamenta ogni volta che teneva un discorso. Altri avevano fatto il lavoro per lui nel corso di centinaia di generazioni, letteralmente dal tempo di Abramo. Ma io devo farlo, con ogni singolo pubblico a cui mi rivolgo. Mi ha ascoltato a Monaco e qui a Radenau, ma non ha ascoltato cos'ho da insegnare. Tutto ciò che ha ascoltato finora erano le fondamenta, e sono lontane dall'essere complete.” “Ma prima o poi...” “Sì, prima o poi ci arrivo, e questo è il motivo per cui la gente mi chiama Blasfemo, Bestia e Anticristo. Ma non arrivo mai alla fine di ciò che ho da dire... Non in pubblico.” “Perché no?” “Perché non c'è continuità nei miei ascoltatori tra un pubblico e l'altro. Questo significa che, in ogni pubblico, sempre meno persone sono state con me fin dall'inizio e sempre più sono andate perse. Dopo cinque o sei lezioni è inutile continuare. La fine è ancora lì, ma non ho speranza di raggiungerla con questo pubblico, e perfino meno speranze di raggiungerla con il prossimo. Devo tornare indietro e ricominciare da capo, il che è ciò che ho fatto a Monaco.” Poi B annuì verso di me e disse: “E devo aspettare l'arrivo di qualcuno come lei.” Provai una fitta di paura a quelle parole, la stessa sensazione che provo quando immagino di cadere da un palazzo altissimo. Lo smascheramento. 30
  • 31. Sorseggiammo il nostro scotch resuscitante. Ascoltammo Piaf e altri cantanti della sua epoca, tutti francesi e tedeschi. Inalammo grandi quantità di fumo passivo. Dopo alcuni minuti, dissi: “Questo ancora non spiega perché ha scelto me in particolare.” B aggrottò la fronte e si strofinò l'angolo dell'occhio destro, un gesto che mi sarei presto abituato a vedergli fare. “Questo chiaramente la preoccupa”, disse infine, “e sto cercando di capire perché.” Aprii la bocca per negarlo, ma lui mi fermò con un cenno della testa. “Non è un bravo bugiardo, sa?” Lo fissai intontito. “Non abbastanza pratica, direi.” “Cosa le fa pensare che stia mentendo?” Scosse la testa di nuovo. “Non lo faccia, Jared, è davvero negato. O mente con convinzione o dice la verità.” “Ha ragione”, confessai. “Non sono un bravo bugiardo e non faccio abbastanza esercizio. Ma cosa l'ha fatta decidere che stavo mentendo?” “Le domande sempre dello stesso tipo, la sua insistenza che il mio invito avesse bisogno di essere spiegato. Si sta ovviamente chiedendo come è riuscito a ingannarmi.” Non ero sicuro che avesse ragione a questo riguardo, ma ero troppo confuso da fumo e alcool per pensare chiaramente. Improvvisamente c'era una terza persona seduta al nostro tavolo. Mi accorsi innanzitutto che si trattava di una persona, poi che era una donna, poi che era una donna che avevo già visto. Era la donna di Der Bau, la donna che aveva tradotto il discorso di B nel linguaggio dei segni, la donna con la giacca di cuoio e la strana farfalla in mezzo al viso. La donna (realizzai improvvisamente) che aveva esercitato una potente attrazione su di me dal momento in cui l'avevo vista, con le sue ampie spalle atletiche, i suoi vestiti da ranch e i capelli fulvi selvaggi. Stava parlando a B con le sue mani. E lui stava “ascoltando” con attenzione. Improvvisamente un largo sorriso gli attraversò il volto. Mi guardò e rise: “Un prete!” “Cosa?”, dissi io. “Lei è un prete?” Guardai la donna e lei mi restituì lo sguardo senza espressione, come se fossi una lucertola o un pesce. B disse: “Ha trovato il suo breviario.” Lo fissai senza capire finché aggiunse: “Nella sua stanza, in hotel.” 31
  • 32. Anche allora mi ci volle un minuto per capire cos'era successo. Mi aveva invitato per una passeggiata attraverso Radenau cosicché la sua assistente avesse il tempo di trovare il mio hotel, scoprire quale fosse la mia stanza ed entrare. Ero contento che non avesse trovato il mio diario: quello viaggia con me. Non sapevo cosa dire. Mi sentivo profondamente stupido e incompetente, come un ragazzino che avesse scelto Tiffany's per il suo debutto da taccheggiatore. “È un assassino”, chiese B, “o solo una spia?” La donna rise. Non in maniera sarcastica, mi sembrò, ma con genuino divertimento. Fui sorpreso quando parlò – che potesse parlare. “Non un assassino”, disse, guardandomi come se fossi un cocker spaniel che qualcuno aveva appena scambiato per un pitbull. “No, sono sicuro che hai ragione”, disse B. “Non un assassino. Cosa, allora?” Era quasi divertente. In quel preciso istante, Piaf cominciò a cantare “Non, Je Ne Regrette Rien” – no, non rimpiango nulla! Non riuscii a pensare a nulla da dire. I minuti successivi passarono come in un sogno. Theda venne pagata. B e la donna si alzarono per andarsene e sembrarono sorpresi quando non seguii il loro esempio. “Passerà la notte qui?”, chiese B. “No.” “Allora venga, le daremo un passaggio fino al suo hotel.” Sentendomi perfino più idiota di prima, viaggiai nel sedile posteriore della Mercedes che avevo visto prima fuori dal teatro. La donna guidò. “Questa è Shirin, a proposito”, mi disse B. Annuii senza parlare. Quindici minuti dopo, accostammo fuori dall'hotel. Uscii dal sedile posteriore e li ringraziai per il passaggio. Shirin mi riservò un cenno del capo e un sorriso di commiserazione, poi guidò via. Mi trascinai cupamente nell'hotel. Sabato, 18 maggio. La notte avrebbe dovuto essere conclusa a quel punto... 32
  • 33. Ma non lo fu. Mentre superavo la reception, l'impiegato mi fermò per consegnarmi un messaggio, ermeticamente sigillato in una busta. Qualcuno con più esperienza avrebbe potuto ficcarsela in tasca e scordarsene, ma io non sono abituato a ricevere messaggi in hotel. Lo aprii e lessi: Jared, Mi chiami immediatamente appena riceverà questo messaggio, giorno o notte. Immediatamente. Bernard Lufre. Lo appallottolai e lo infilai in tasca. Mentre riprendevo il mio viaggio verso gli ascensori, l'impiegato disse: “Era molto insistente, signore.” Mi girai e vidi che era lo stesso che si era offeso per la mia domanda sul fax. Forse era un cyborg, instancabile ed efficiente. “Molto insistente, eh?” “Molto insistente, signore.” “Vorrei una bottiglia di whiskey nella mia camera.” Una sottile ruga apparve sulla sua fronte. “Ho paura che il bar sia chiuso, signore.” “Non voglio un bar, voglio un po' di whiskey in camera mia. Mezzo litro, o comunque lo imbottigliate qui.” Gli passai cento marchi e me ne andai. Avrei chiamato Bernard Lulfre in queste condizioni? Non aveva alcun senso, ma volevo farmi un drink, andare a dormire e svegliarmi senza questo impegno a gravarmi sulla testa, quindi lo chiamai. Padre Lulfre stesso rispose al telefono. “Jared!”, disse. “Dev'essere notte fonda lì.” “Lo è, sì.” “Che sta succedendo? Mi aggiorni.” “Ho assistito a due delle lezioni di B, e ho...” “Due lezioni di chi?” “B. Non si fa chiamare Atterley qui. È conosciuto come B.” “B come in bambino?” “B come blasfemo.” 33
  • 34. “Capisco. Ha assistito a due delle sue lezioni, e...” “E ho passato un'ora parlando con lui.” “Davvero? Come un ammiratore? Un seguace?” “Sì, è possibile”, replicai vago. “E che impressione ne ha avuto?” “È davvero brillante. Completamente sincero.” “Non di lui, di quello che sta insegnando.” Ero troppo stanco per pensarci. “Non saprei, sembra abbastanza innocuo.” “Innocuo? Non può essere.” Scrollai le spalle attraverso seimila chilometri di cavi telefonici. “Lo ha registrato?” “Non è efficiente. A meno che non parlasse direttamente nel mio microfono, avrei ottenuto solo rumore di folla.” “Ha almeno preso appunti?” “Meglio”, scattai. “l'ho trascritto parola per parola, in stenografia. Non le è arrivato il mio fax?” “Non sono stato nel mio ufficio oggi. È tutto lì?” “Solo la prima lezione. Dovrò scrivere una versione leggibile della seconda. Ci vorranno alcune ore.” “Non è qualche esotica stenografia personale, vero?” “No, solo normale scrittura veloce.” “Allora la mia segretaria può leggermela. Me la faxi.” Cominciai a obiettare che il blocco per gli appunti avrebbe dovuto essere fotocopiato prima, dato che non potevo fotocopiarlo direttamente, ma realizzai in fretta che mi stavo comportando in modo infantile. Rassegnandomi all'inevitabile, scesi al piano di sotto e feci quello che dovevo. Una bottiglia di Cutty Sark mi stava aspettando in camera quando tornai. Cominciai a bere e a scrivere. Non so cosa stia succedendo, ma so che questo diario si rivelerà inutile se non lo terrò aggiornato. Ho finito giusto in tempo per chiudere le tende contro il sole che sta sorgendo. Spero di ricordarmi di mettere fuori dalla porta il cartello “Disturben Verboten” prima di crollare. Domande pericolose. 34
  • 35. Il fax in questo hotel fa orario continuato, ma il pranzo è servito solo fino alle due, e io riuscii a malapena a sedermi al tavolo. Ora sono le due e tre quarti. Immagino di starmi annotando il tempo per procrastinare. Non voglio pensare, non voglio scrivere, così mi annoto scrupolosamente l'ora. Sono le 14:50 e mi chiedo cosa c'è di sbagliato in me. Sono le 14:52 e penso che la mia vita sta cadendo a pezzi. Cadendo a pezzi sotto quale forza? Non riesco a capirlo bene. O non voglio farlo. Di sicuro per la maggior parte si tratta di B, ma non riesco a capire perché. Sono estremamente riluttante a rileggere le sue lezioni. Il suo messaggio è come un'ombra sulle mie spalle. Posso coglierlo con la coda dell'occhio e mi preoccupa, perché non riesco a vederlo chiaramente. So che potrei girarmi e vederlo meglio ma, come ho detto, sono riluttante a farlo. Ho detto a Padre Lulfre che gli insegnamenti di B sono innocui. Cosa intendevo? Penso che fosse qualcosa del genere: B è innocuo perché sta solo mettendo in discussione i fondamenti stessi del Cristianesimo – per non parlare del Giudaismo, dell'Islam e del Buddismo. Nessun pericolo in questo, vero? Nessun pericolo, Padre Lulfre, perché lei mi ha insegnato che nessuna domanda è pericolosa, per noi. Noi abbiamo tutte le risposte, quindi chiedete pure. Possiamo rispondere a tutto. Assolutamente tutto. Per noi, le domande non sono un pericolo, sono un'opportunità. Non è così, Padre Lulfre? Quindi qual è il suo problema, Padre Lulfre? Al telefono le ho detto: “Gli insegnamenti di B sono innocui”, e lei mi ha risposto: “Non può essere.” Cosa? Cosa significa, Padre Lulfre? Significa che alcune domande sono pericolose, dopotutto? Il bravo soldato Jared. Il fatto che trovi qualcosa in tutto questo che mi disturba... Mi disturba. Non dovrei essere disturbato da nulla di tutto ciò. Voglio dire, sono un bravo soldato, no? Intelligente e acuto ma fondamentalmente un tipo di persona semplice. Come si chiama il predicatore tormentato ne La Lettera Scarlatta? Dimmesdale? Non sono un Arthur Dimmesdale, neanche vagamente. Non sono tormentato da nulla. Volete che spii qualcuno che si 35
  • 36. dice potrebbe essere l'Anticristo? Sicuro, perché no? Dov'è il mio biglietto aereo? Qual è il limite della mia carta di credito? Ehi, è per questo che le grandi menti dei Laurenziani hanno scelto me, non è così? Volevano qualcuno intelligente, controllabile e leale – non necessariamente con una grande fede, ma forse con un'immaginazione un tantino debole. La cosa divertente, comunque (ed è davvero spassosa), è che, proprio perché sono un così bravo soldato, semplice e lineare, io ascolto il tizio che dovrei spiare. E, avendo ascoltato, dico: “Sì, capisco cosa sta dicendo. Questo è qualcosa di nuovo. Questo è qualcosa davvero nuovo. Questo tizio ha ragione. Ha più ragione di chiunque altro abbia mai sentito in vita mia. Qual è il problema?” Poi il tizio mi prende in disparte e dice: Poi il tizio mi fa attraversare mezza città a piedi e dice: Poi il tizio mi offre dello scotch vecchio di sedici anni e dice: “Ci sono alcuni insegnamenti che solo studenti eccezionali possono accettare. Spero di impartirne qualcuno a lei.” Forse le grandi menti dei Laurenziani avrebbero dovuto scegliersi un soldato non così bravo... O magari molto migliore. Ovviamente, non so in che rapporti sono con B a questo punto. Ripensandoci, mi accorgo che ero molto più sconvolto io dalla rivelazione di Shirin di quanto lo fosse lui. La verità è che stavo solo proiettando. Essendo stato scoperto, avevo dato per scontato che avrebbe reagito in modo disgustato o deluso. Invece non era nessuna delle due. Era divertito. Va bene, non sono ancora sicuro del rapporto in cui sono con lui, ma non credo di essere esattamente nel cestino della spazzatura. Non ne sono uscito sembrando brillante, ma sono abbastanza sicuro di non essere sembrato nemmeno feccia. Domenica, 19 maggio. Radenau: seconda notte. Quando arrivai al Schauspielhaus Wahnfried alle nove, credetti quasi di essere venuto nella notte o nel posto sbagliato, perché i disturbatori erano spariti. Forse questa seconda notte non era nel loro programma, oppure pensavano che una notte in trincea fosse sufficiente. Forse c'era carenza di 36
  • 37. manifestanti da qualche altra parte. Ciononostante, la porta era presidiata dalle vestigia del gruppo di protesta: una donna dall'aspetto infuriato che distribuiva volantini dall'aspetto rabbioso. Ne presi uno, ma era in tedesco. La notte precedente le luci erano state accese come per un'evacuazione di emergenza. Stanotte erano affievolite come per una lettura tranquilla. Il palco era blandamente illuminato e vuoto, eccetto che per il podio dell'oratore. C'erano forse cento persone nella sala. Non volendo essere riconosciuto dal palco, scelsi un posto molto indietro. Era una folla tranquilla, paziente, sottomessa. Un pubblico di estranei e per la maggior parte, pensai, solitari. Dopo alcuni minuti, B salì sul palco, si mise dietro il podio e cominciò a mettere in ordine dei fogli. Per un oratore professionista, questa è una tecnica precisa. Dopo alcuni secondi il pubblico registrò la sua presenza e fece silenzio. B cominciò, come immaginavo che avrebbe fatto, dall'inizio, riassumendo non solo la precedente lezione ma anche quella che aveva pronunciato a Monaco, continuando il processo che aveva descritto a Little Bohemia. A ogni lezione, questo riassunto sarebbe diventato più complesso e, proporzionalmente, meno efficace. Quando fu finalmente pronto per avventurarsi in territorio inesplorato, tacque e si guardò intorno, raccogliendo l'attenzione di tutti i presenti, e io tirai fuori la penna.3 Credo che realizzai la mia vera situazione nei quaranta minuti successivi, mentre scrivevo, ferocemente concentrato nell'ascoltare e nel capire le parole (non puoi davvero ascoltare se non capisci le parole, si trasforma tutto in un blaterare incomprensibile). Anime pie spesso immaginano che essere un prete ti ponga automaticamente chilometri davanti alle persone normali per quanto riguarda la saggezza. Ascoltando B, mi resi conto di non essere un centimetro avanti a nessuno. Brancolo nel buio. Sono appena all'inizio. Per tutto quello che conta, ho ancora diciannove anni. A un certo punto, la mia mano esitò e mi dissi: “Non mi serve scrivere tutto questo, mi basta ascoltare”, ma ero abbastanza dubbioso da continuare. Ora sono contento di averlo fatto, naturalmente. In quel momento mi sentivo come un uomo al timone di una nave che affonda: privo di senso, visto che qualunque nave può trovare da sola la strada per il fondo dell'oceano. Dopo mezz'ora invece mi sentii come un pugile all'ottavo o nono round 3 Il testo di questo discorso può essere trovato a pagina 241. 37
  • 38. – un pugile che stava perdendo. Ero stato colpito ovunque fosse permesso colpirmi, ogni singolo centimetro quadrato. Le frasi mi arrivavano addosso come pugni, e io le leggevo e incassavo come pugni. “Ah, sì, eccone un altro ai reni. Mi ricordo uno come quello nel terzo round. Ed eccone uno al bicipite... Questo non dovrebbe farmi male ma accidenti se lo fa! E ora uno che pensavo mi arrivasse sulla spalla e invece mi ha colpito in pieno sull'orecchio.” Quando finì, barcollai fuori con tutti gli altri e mi piazzai in mezzo alla strada, assumendo che B avrebbe fatto la sua apparizione in pochi minuti. Questo mi diede del tempo per pensare, ed ecco cosa pensai: Finora ho vissuto in una specie di capsula temporale, o forse in un'ala speciale dell'ospedale che non è cambiata dagli anni Cinquanta. Era un'ala in cui i miei genitori e i loro amici sarebbero stati felici. Non sono sicuro di cosa intendo con questo, sto solo procedendo a tentoni. In quest'ala, Glenn Miller è ancora di moda. Non una figura nostalgica, ma come era quando i miei genitori andavano al college. In quest'ala, i ragazzini hanno matrimoni in pompa magna e passano la luna di miele a cercare di capire che significa essere sposati. In quest'ala, si usa il metodo del calendario e si hanno figli quando fallisce. In quest'ala, non ci sono bambini che nascono già dipendenti dal crack, non ci sono sette, non ci sono terroristi. In quest'ala, se qualcuno avesse sintonizzato la radio su una stazione che trasmetteva le parole di B, avrebbe sbagliato mentre cercava di raggiungere un'altra stazione, una rilevante per la vita nell'ospedale. Non credo di aver avuto davvero questi pensieri precisi mentre me ne stavo fuori dal teatro. Non sono sicuro che una singola idea coerente mi sia passata per la testa, mi limitavo a stare lì in piedi sentendomi condannato. A un certo punto, senza che me ne accorgessi, qualcuno accese le luci del padiglione e dell'ingresso. Forse passarono dieci minuti. Finalmente tornai in me e mi resi conto che la procedura della notte precedente non sarebbe stata ripetuta. B era ancora dentro, e se avessi voluto parlargli avrei dovuto andare a cercarlo lì. Sgattaiolai fino alla debolmente illuminata porta del palco e la trovai preparata come il rifugio di un fumatore, una bustina di fiammiferi a tenerla socchiusa. Entrai e lasciai che la porta si chiudesse dietro di me. Molto, molto lontano si udivano delle voci. Non avevano nulla di strano, non suonavano particolarmente tristi o felici, eccitate o calme. Avrebbero potuto appartenere egualmente a delle persone che discutessero dell'arredamento di una casa o della fine del mondo. Non c'era modo di 38
  • 39. dirlo, nonostante fossi rimasto lì ad ascoltare per un intero minuto mentre i miei occhi cercavano di trovare uno spiraglio di luce attraverso cui vedere. Il palco ovviamente si sarebbe trovato più o meno davanti a me, oltre corridoi, camerini, sale d'aspetto e, infine, le quinte sul palco stesso. Dato che nessun angelo sarebbe venuto a guidarmi cominciai a procedere a tentoni e, dopo un paio di minuti, fui ricompensato da una pallida luce alla mia sinistra. Era una nuda lampadina pendente dal soffitto sopra il palco vuoto che illuminava debolmente la sala deserta. Nel mondo sotterraneo. Il mormorio di voci era più distante che mai. Lo seguii dietro le quinte fino alla ringhiera di una scala a chiocciola di ferro che scendeva nell'oscurità. Non mi servivano gli occhi: i gradini erano regolari e la ringhiera solida. Una volta avevo visto il progetto di un teatro che mostrava un primo piano sotto il palco, poi un secondo, un terzo e un quarto, e mi ricordo di essermi chiesto che cosa avrebbero potuto conservare così in profondità. In breve il klink-klunk dei miei passi fu udito di sotto, e il mormorio si fermò. Il quarto piano sotterraneo, dove le scale finivano, era ampio e con un alto soffitto. Alla fine della stanza, sopra pile di scatoloni, tavoli e scaffali, un centinaio di candele illuminava un'area che somigliava a un soggiorno ricavato nel bel mezzo di un negozio di antiquariato. B era seduto in una poltrona con i braccioli rivolta verso di me. Mi salutò con la mano e mi chiamò. “Non si preoccupi, non ci sono ratti!” Improvvisamente, una dozzina di facce spuntarono dalle cianfrusaglie e mi guardarono da dietro antichi mobili danneggiati, tappeti arrotolati, manichini ammuffiti, esempi di tassidermia in putrefazione, enormi guardaroba, pile di libri e riviste e attaccapanni pieni di costumi. B sembrò percepire il mio imbarazzo e rese il mio avvicinamento meno difficile spiegando l'assenza di ratti. “La direzione ha cura di approntare una rappresentazione del Re Lear almeno una volta ogni due anni”, disse. Quando ebbe gli occhi di tutti puntati addosso, proseguì: “'Topi, ratti e piccoli cervi sono stati il cibo di Tom per sette lunghi anni.' Lear, Atto III, Scena 4”... Come se questo spiegasse tutto. Gesticolò verso una poltrona alla sua destra, una meravigliosa vecchia Biedermeier fauteuil con cuscini di velluto verde pallido e scolorito. Lui 39
  • 40. stesso occupava un'ancora più bella Regency bergère d'ebano dorato con piedi scolpiti come artigli e braccioli modellati come teste di leone. Mi sedetti e mi guardai intorno. C'era uno stravagante ottomano imbottito alla mia destra, e Shirin era rannicchiata su metà di esso, vestita come sempre con jeans, stivali e una maglietta di seta (stavolta verde scuro anziché nera). Mi stava guardando con educato interesse, e non ero del tutto sicuro che mi avesse riconosciuto. Il resto dell'ottomano era occupato da una ragazzina dall'aria intensa in jeans e maglietta grigia. “Questo è Jared Osborne”, disse B agli altri, che (mi parve) annuirono senza alcun segno di entusiasmo. “Lascerò che tutti si presentino più tardi.” Si girò verso di me e disse: “Stavamo ancora discutendo della domanda che è stata sollevata alla fine della lezione di stasera, riguardo il bisogno di un programma. Come risponderebbe a questa domanda?” “Ho paura di non ricordarla.” “In sostanza, la domanda era: cosa dovremmo fare, ora che sappiamo che i membri della nostra cultura stanno procedendo verso l'autodistruzione?” “E mi sta chiedendo come risponderei?” “Dovrei premettere”, disse B agli altri, “che Jared Osborne è un prete della Chiesa Cattolica Romana.” “Non sono qui in quella veste”, gli dissi. B scrollò le spalle. “Sarei portato a credere che un punto di vista rimanga anche quando la veste ufficiale viene messa da parte.” “Sì, infatti, ma sono venuto qui per ascoltare, non per parlare, se posso.” “Ma certo... Proprio prima che arrivasse, avevo detto qualcosa riguardo il salvare il mondo, e Michael qui”, fece un cenno verso un uomo alto, “aveva obiettato che il mondo non ha bisogno di essere salvato, ha solo bisogno che lo lasciamo in pace. Stavo spiegando che non avevo usato la parola 'mondo' in un senso biologico, ma piuttosto in senso tradizionalmente biblico e letterario, che non si riferisce alla biosfera che chiamiamo mondo, ma piuttosto alla 'sfera delle attività materiali umane'. Questo è il mondo a cui si riferiva Wordsworth quando scrisse: 'Il mondo è troppo per noi'. Questo è il mondo che Byron intendeva quando scrisse: 'Non ho amato il mondo, né il mondo ha amato me'. Questo è il mondo a cui si riferiva Giovanni quando scrisse: 'Chiunque ami il mondo è estraneo all'amore del Signore'. Non è d'accordo, Padre Osborne?” 40
  • 41. “Sì. Giovanni non si riferiva certo alla biosfera.” “Ciò che ho detto è: se il mondo verrà salvato, lo sarà da persone con menti cambiate, persone con una nuova visione. Non verrà salvato da persone con vecchie menti e nuovi programmi. Non verrà salvato da persone con vecchie visioni e nuovi programmi.” Tutti nella stanza sembrarono guardarmi e aspettare la mia risposta. Non riuscivo a immaginare perché, ma non c'era modo di sbagliarsi. Dissi: “Non sono sicuro di capire la differenza tra un programma e una visione.” “Riciclare è un programma”, disse B. “Sostenere legislazioni ambientaliste è un programma. Non serve avere una nuova visione del mondo per praticare queste attività.” “Sta dicendo che programmi del genere sono una perdita di tempo?” “Niente affatto, per quanto tendano a dare alla gente un falso senso di progresso e speranza. I programmi sono avviati per contrapporsi e/o sconfiggere una visione.” “Mi dia un esempio di cosa intende per 'visione'.” “La visione della nostra cultura, per esempio, sostiene l'isolamento. Sostiene una casa diversa per ogni famiglia. Sostiene serrature alle porte. Sostiene vigorosamente rimanere isolati dietro le proprie porte e vedere il mondo elettronicamente. Stando così le cose, nessun programma è necessario per spingere le persone a starsene in casa a guardare la televisione. Invece serve un programma per spingerli a spegnere la televisione e uscire di casa. Per quello sì che hai bisogno di un programma.” “Capisco... Credo.” “L'isolamento è sostenuto da una visione, quindi si prende cura di se stesso. Ma gli edifici comunitari non lo sono, quindi devono essere supportati da un programma. I programmi inevitabilmente si contrappongono a una visione, e quindi devono essere imposti alle persone... Devono essere 'venduti' alle persone. Per esempio, se vuoi che le persone vivano semplicemente, riducano i consumi, riutilizzino e riciclino, devi creare programmi che incoraggino tali comportamenti. Ma se vuoi che consumino e sprechino molto, non hai bisogno di creare programmi di incoraggiamento, perché questi comportamenti sono supportati dalla nostra visione.” “Sì, capisco.” “La visione è un fiume. I programmi sono dei bastoncini conficcati nel letto del fiume per cercare di impedirne il flusso. Quello che sto dicendo è 41
  • 42. che il mondo non verrà salvato da persone con dei programmi. Se verrà salvato, lo sarà perché le persone che lo abitano avranno una nuova visione.” “In altre parole, persone con una nuova visione avranno nuovi programmi.” “No, non è questo che intendevo. Ripeto: a una visione non servono programmi. Una visione è un fiume. La Rivoluzione Industriale era un fiume. Non aveva bisogno di programmi che la facessero partire o che la tenessero in movimento.” “Ma non è sempre stata un fiume.” “Esatto. Non lo era nel secondo secolo, o nell'ottavo, o nel tredicesimo. Non c'era segno di quel fiume in quei secoli. Ma, uno dopo l'altro, minuscole sorgenti comparvero e cominciarono a unirsi, decennio dopo decennio. Nel quindicesimo secolo, era un filo d'acqua. Nel sedicesimo divenne un rivolo. Nel diciassettesimo diventò un ruscello. Nel diciottesimo, un torrente. Nel diciannovesimo, divenne un fiume. Nel ventesimo, diventò un fiume in piena che travolse il mondo. E durante tutto questo tempo, non un solo programma fu necessario per farla progredire. È stata generata, sostenuta e ingigantita interamente da una visione.” “Capisco.” “È un sintomo del nostro collasso culturale il fatto che sostenere la nostra visione ora venga visto come un atto perverso, e ostacolarla venga invece considerato nobile. Ad esempio, i bambini a scuola non vengono mai incoraggiati a volere le ricompense materiali del successo. Il successo dovrebbe essere fine a se stesso, non dovrebbe essere inseguito per ottenere un qualche beneficio materiale. Gli uomini d'affari possono venire proposti come modelli di comportamento per la loro 'creatività' e i loro 'contributi alla società', ma nessuno li proporrebbe mai come modelli di comportamento perché hanno case lussuose, automobili esotiche e servitori che si occupano di ogni loro bisogno. Nel mondo dei libri scolastici dei nostri figli, una persona ammirevole non farebbe mai nulla solo per soldi.” “Sì, immagino che sia vero.” “I membri della nostra cultura sono bravissimi morditori di proiettili. Per coloro che hanno poca familiarità con questo modo di dire, 'mordere il proiettile' in teoria dovrebbe aiutare a tollerare il dolore. Uno prima cerca di evitare il dolore, ma se il dolore deve proprio essere sopportato, allora si 42
  • 43. deve 'mordere il proiettile'. Secondo la maggior parte di coloro che pensano e scrivono riguardo il nostro futuro, è scontato che tutti noi dovremo mordere il proiettile molto forte, se vorremo sopravvivere. A nessuno di questi pensatori e scrittori viene da pensare che sarebbe tutto molto meno doloroso se ricominciassimo da zero. Per come la vedono loro, il nostro compito è di stringere i denti e aggrapparci fedelmente alla visione che ci sta distruggendo. Per come la vedono, la nostra distruzione continuerà a martellarci in testa indefinitamente con una mano mentre con l'altra continuerà a darci aspirine per il dolore.” “È così facile cambiare una visione culturale?”, chiesi. “Il punto non è la facilità o la difficoltà. È l'essere pronti o l'essere impreparati. Se i tempi non sono maturi per una nuova idea, nessun potere sulla Terra potrà farle prendere piede. Ma se i tempi sono giusti, spazzerà il mondo come un incendio indomabile. I Romani erano pronti ad ascoltare cosa San Paolo aveva da dire loro. Se non lo fossero stati, egli sarebbe scomparso senza lasciare traccia e il suo nome non sarebbe mai arrivato fino a noi.” “Il Cristianesimo non si è diffuso esattamente come un incendio.” “Considerando il ritmo a cui era possibile diffondere nuove idee a quell'epoca, senza presse da stampa, radio o televisioni, si è diffuso come un incendio.” “Sì, immagino di sì.” “Il punto che vorrei chiarire è che non ho idea di cosa potrebbero fare delle persone con menti cambiate. Paolo era nella stessa situazione mentre viaggiava attraverso l'Impero cambiando menti durante il primo secolo. Non avrebbe mai potuto prevedere lo sviluppo istituzionale del papato, o la forma che le società cristiane avrebbero assunto durante il feudalesimo. Invece, lo scrittore di fantascienza Jules Verne ha potuto prevedere in modo incredibilmente preciso un secolo di innovazioni tecnologiche perché nulla è cambiato tra la sua epoca e la nostra in termini di visione. Se le persone che vivranno tra un secolo avranno una nuova visione, faranno qualcosa di completamente imprevedibile per noi. In effetti, se le cose non stessero così – se le loro azioni fossero per noi prevedibili – allora questo significherebbe che la loro visione non sarebbe davvero nuova, ma essenzialmente identica alla nostra.” “Mi sembra che lei comunque abbia un programma. Vuole cambiare menti.” “Direbbe che San Paolo aveva un programma?” 43