Qualcuno sostiene
che “con la cultura
non si mangia”, ma
questo sembra essere
vero solo per la
dieta italica. Soprattutto
quando si parla
di musei, e in quel campo l’abisso
fra i caterpillar internazionali (diventati
vere S.p.A, società per azioni con
super fatturati e indotto a tanti zeri) e
i carrozzoni di casa nostra è sempre
più evidente.
La gestione dei musei: un modello di analisi - Stefania Coni Luca Moreschini
MUSEI S.P.A. di Giovanni N. Ciullo per D Supplemente del sabato di Repubblica
1. D 43
NEWS
MUSEI
S.P.A.
In Italia sono
un flop,
all’estero sono
un business:
nei paesi dove
il marketing
dimostra che
con la cultura
si mangia
di Giovanni N. Ciullo
La Piramide del Louvre,
a Parigi:è questo il museo
più visitato al mondo.
FotodiG.Larin/GS/Contrasto
2. FotodiMauroGalligani/Contrasto-M.Gonzalez/Laif/Contrasto-M.Peterson/Redux/Contrasto
15 GIUGNO 2013 D 45D 44
NEWS
Q
ualcuno sostiene
che “con la cultura
non si mangia”, ma
questo sembra esse-
re vero solo per la
dieta italica. Soprat-
tutto quando si par-
la di musei, e in quel campo l’abisso
fra i caterpillar internazionali (diven-
tati vere S.p.A, società per azioni con
super fatturati e indotto a tanti zeri) e
i carrozzoni di casa nostra è sempre
più evidente. Gli ultimi dati non la-
sciano dubbi: fra i primi 20 musei al
mondo, per numero di biglietti emes-
si, non c’è neanche un italiano (i Mu-
sei Vaticani, settimi in classifica, ap-
partengonoallasedepapale).Bisogna
arrivare così al 23° posto per trovare
gli Uffizi di Firenze, staccati dai primi
della classe. Che sono, neanche a dir-
lo,i soliti noti.Nella top-5 ecco la Na-
tional Gallery (quinta), la Tate Mo-
dern (quarta) e il British Museum
(terzo) tutti a Londra, il Met di New
York (secondo) e Sua Maestà il capo-
classifica: il Louvre di Parigi, che con
quasi 10 milioni di visitatori all’anno
(per capirci: 38 volte più della Pina-
coteca di Brera, a Milano) genera da
solo un volume d’affari superiore a
tutti i musei italiani messi insieme.
Merchandising, gadget, sponsor,
bookshop, ristoranti stellati,
eventi,sfilate,e-commerce:il con-
toeconomicodichihaimparatoasta-
re sul mercato continua ad arricchirsi
di nuove voci. Il MoMa, al di là delle
Demoiselles d’Avignon di Picasso, gra-
zie alla diversificazione ha oggi un fat-
turato da far invidia a una multinazio-
nale.Il Guggenheim di Bilbao nei pri-
mi sette anni di vita ha avuto ritorni
economici 18 volte superiori all’inve-
stimento iniziale. Il nuovo Louvre di
Lens, in una zona depressa della pro-
vincia francese, prevede ricavi 7 volte
il costo sostenuto per la sua costruzio-
ne già nei primi 12 mesi di attività. Il
Victoria &Albert Museum di Londra
ha appena dato una dimostrazione di
cosa significhi applicare il marketing a
un museo: la monografica David Bo-
wie is è stata sui giornali di mezzo
mondo per mesi, attirando sponsor-
ship record.Mentre si affacciano le ti-
gri dell’arte Brics: fra i primi 20 super
musei al mondo ecco il National Pala-
ce di Taipei, il National Museum di
Seul, il Centro Cultural Banco do
Brasil di Rio de Janeiro e lo Shanghai
Museum. E ad Abu Dhabi, nel 2016,
chi aprirà una super-sede in terra ara-
ba? Il solito Louvre.
Tutto cominciò dal genio cinico di
Tom Krens: definito in un libro
sul tema (Museums Inc., di Paul
Werner) una “Miranda da Il Dia-
volo investe al Guggenenheim”.
Direttore per molti anni del famoso
museo newyorchese, fu il primo ad
applicare una formula semplice e al
passo con i tempi:«L’arte è una merce
e va trattata come tutte le altre».Cioè,
a scopo di lucro.Sdoganò così il bino-
mio arte-business, trattò un Basquiat
come un Big Mac, aprì filiali (come
ogni multinazionale che si rispetti) in
giro per il mondo (Bilbao,Venezia,
Berlino, ecc.) e diventò ufficialmente
il primo “amministratore delegato
della cultura”. «È negli Stati Uniti,
con bookshop e caffetterie, che le co-
se hanno iniziato a cambiare», confer-
ma Luigi Guiotto, docente di Marke-
ting territoriale e dei musei presso socio-
logia a Milano Bicocca. «Ancora oggi
sembra strano applicare il marketing
ai musei, invece è la cosa più giusta e
logica. Bisogna capovolgere la pro-
spettiva: non considerare più la cen-
tralità delle collezioni, ma partire dal-
Si è laureata in scienze politiche, poi ha fatto
un master a Bruxelles. E visto che il francese nel
frattempo l’aveva imparato, si è iscritta all’École
nationale d’administration di Parigi. Infine la
bergamasca Claudia Ferrazzi ad appena 34 anni è
diventata vice-amministratore generale del Louvre,
la maggior istituzione culturale in un contesto
nazionale molto speciale (nei primi dieci musei più
visitati al mondo Parigi ne piazza altri due, il Museé
d’Orsay e il Centre Pompidou). Ecco dunque che si
spiegano formalità, rigore, e persino un certa austerità.
Così, se interpellata, la dottoressa Ferrazzi preferisce
non parlare di se stessa e di come l’ambiente in cui si
è trovata le ha permesso di raggiungere velocemente
un ruolo che se fosse rimasta in patria molto
probabilmente non avrebbe mai avuto. Parla invece
volentieri del Louvre da record, del fatto che qui ogni
giorno passano almeno 40 nazionalità diverse, e di
come il giovedì, quando il museo è aperto fino alle
dieci di sera, a venirci siano soprattutto giovani,
che spesso si danno appuntamento davanti a una
certa opera come preambolo a una nottata parigina.
Parla del tempo che viene dedicato alla produzione
delle mostre, che non partono mai dal calcolo di
quanti biglietti si potranno staccare, ma da una seria
ricerca su un argomento rilevante rispetto alla storia
dell’arte. E di come, al pari di ogni museo del Vecchio
Continente, anche il Louvre ha dovuto affrontare una
significativa riduzione del finanziamento pubblico. Ma
dice anche che questa riduzione è avvenuta secondo
un piano triennale concordato con il ministero, non
all’improvviso. E quando le chiediamo cosa vuol
dire essere mamma in carriera a Parigi, risponde che
lo Stato francese incoraggia le donne a lavorare,
aiutandole. Ma quando serve davvero, senza strane
forme di assistenzialismo. Stefano Pirovano
Da sinistra: l’Hermitage di
San Pietroburgo (15° museo
più visitato al mondo);
il British Museum di Londra
(terzo); la terrazza del Met,
Metropolitan Museum of Art
di New York (secondo).
le esigenze del pubblico che non vuo-
le più un museo venerabile e minac-
cioso, pronto a schiacciarti con la sua
cultura.Da tempio,scuola e deposito,
il museo S.p.A deve diventare sempre
più simile a Facebook o Twitter: un
luogo di aggregazione e di entertain-
ment, come i social network. I siti in-
ternet in effetti sono oggi la prima
cartina di tornasole per capire chi ha
colto il cambiamento».
Il neoministro dei Beni Culturali,
Massimo Bray, ne è convinto: i
musei sono uno degli asset più
importanti per l’azienda Italia.
L’idea è di affidare ai privati quelli che
lo Stato non valorizza, prolungare gli
orari di apertura, migliorare l’aspetto
divulgativo («Spesso le brochure sono
solo in italiano»,ha lamentato il Mini-
stro), utilizzare il web in un piano di
collaborazione con l’Agenzia Italia
per il digitale.
«Non possiamo vivere di rendita»,
continua Guiotto. «Anche i nostri
musei devo andare a cercarsi i “clien-
ti”, diventando visitor oriented. Pub-
blico contro privato? Parlerei piutto-
sto dei finanziamenti: escludendo i
contributi statali c’è quello diretto
(biglietti e servizi) e quello indiretto
(soci e sponsor). Su questi due fronti
bisogna lavorare».
Stando al Country Brand Index il no-
stro è ancora oggi il Paese più ambito
dai turisti stranieri, ma ormai da de-
cenni non è il più visitato,superato da
Francia, Spagna, Usa, Cina. Così an-
che i musei spesso sono vuoti. Tre
confronti dicono tutto: 1) Roma ha
32 musei,contro gli 11 di Londra,ma
appena un sesto dei suoi visitatori; 2)
su 36 milioni di ingressi nei musei ita-
liani,20 milioni sono gratis;3) i diret-
tori di istituzioni come Uffizi o Galle-
ria Borghese guadagnano quattro
volte meno di un commesso della Ca-
mera. La Musei S.p.A. è lontana.
LA SIGNORA DEL LOUVRE
Non più
cattedrali
inviolabili
i musei
cambiano
per attirare
il nuovo
pubblico