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Intervento al convegno “La città acchiappa cervelli. Come fermare l’esodo
giovanile” organizzato da Città di Partenope, 4 luglio 2013.
Il talento spesso resta in panchina. Capita che anche i più qualificati, gli intraprendenti, gli
innovatori restino in attesa di una risposta ad un colloquio, degli esiti di un concorso, di un
feedback all’invio di un curriculum, che aspettino il contesto in grado di valorizzarne per
davvero le capacità, oppure semplicemente l’opportunità di giocarsi il futuro in prima
persona.
La Campania è una terra che produce giovani meritevoli, le tradizioni storiche e culturali
che determinano un terreno fertile durante fase educativa, vengono meno quando la
persona è pronta per inserirsi nel mondo degli adulti. E quindi si resta imbrigliati in
contesti in cui si confonde il lavoro con il volontariato; aziende in cui la qualifica diventa
“jolly” perché la moltitudine e la varietà di mansioni che vengono affidate servirebbero a
tenere impegnate tre persone con profili professionali diversi dal tuo; organizzazioni in
cui ti offrono posizioni per le quali sono necessarie cinque anni di esperienza, un master e
la conoscenza di tre lingue e ti retribuiscono poco di più di uno stage; contesti in cui si ha
bisogno di gente che esegue e si guarda con diffidenza la gente che pensa; ambienti in cui
sopravvive un retaggio culturale che vorrebbe le donne impegnate solo nella famiglia e
impone un soffitto di cristallo difficile da sfondare per chi vuol far carriera e poco
supporto sociale; contesti in cui non si premia la conoscenza ma le conoscenze, i posti
ambiti non si conquistano ma si ereditano grazie al potere delle famiglie, delle amicizie;
situazioni in cui chi ottiene qualcosa ha l’ansia costante di dover combattere contro il
furbo di turno.
Sono partita per andare a lavorare in un ambiente internazionale per imparare a
muovermi in ambienti culturali diversi, a cogliere le sfumature delle persone, dei luoghi,
del mio lavoro e quello che ho incontrato è che all’estero non conta l’anagrafe: puoi
ottenere posizioni di responsabilità a qualsiasi età, se vali, anche a 25 anni; la
“raccomandazione” all’estero è trasparente: chi segnala ci mette la faccia e si gioca la
reputazione. In Italia è nascosta, premia i mediocri, i “figli-nipoti-cugini di” e i cooptati;
all’estero esiste in molti casi un welfare state che sostiene i giovani anche solo per
sovvenzionare l’affitto di una casa; il ricambio generazionale non è una chimera: in
politica, in azienda, nell’università o negli altri settori della società civile, le generazioni si
cedono il passo, per far progredire la società.
Lavorare nelle risorse umane mi ha insegnato che bisogna credere nella capacità di
cambiare le persone, nel loro sviluppo e bisogna dedicarsi con persistenza e dedizione per
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Sono tornata con l’ambizione di poter applicare questa filosofia al territorio al quale
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che vogliano ispirare i giovani donando una visione di lungo termine; che sappiano
trasferir loro che fare dei sacrifici per ciò che si desidera è un valore inestimabile, un
valore che in questa Napoli che arranca può salvare dall’apatia e restituire un concreto
ottimismo; che insegnino che la curiosità deve esser un motore che non si inceppa mai e la
collaborazione ne è il naturale olio; che si impegnino a render Napoli una calamita per i
progetti moderni ed innovatori; che siano testimonial di un’etica del lavoro in cui il
merito è criterio discriminante in modo da marginalizzare i mediocri, e limitarne la
presenza nei posti di potere.
Queste non sono ingenuità, l’alternativa è il perpetuarsi di una città, una regione, un paese
col freno a mano tirato, in cui la classe dirigente, che si autoriproduce da decenni, ha
fallito consegnandoci la situazione attuale. Quello che si deve chiedere con forza è che si
lasci ai giovani la possibilità di non rivedere al ribasso le proprie ambizioni, non
mortificare i propri talenti, ancorarsi alla banalità e agli alibi o rassegnarsi al primo posto
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Il futuro non è dei giovani, il loro tempo è il presente, e noi tutti abbiamo l’obbligo morale
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Grazie al Manifesto degli Espatriati di Sergio Nava a cui mi sono ispirata

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  • 2. all’estero esiste in molti casi un welfare state che sostiene i giovani anche solo per sovvenzionare l’affitto di una casa; il ricambio generazionale non è una chimera: in politica, in azienda, nell’università o negli altri settori della società civile, le generazioni si cedono il passo, per far progredire la società. Lavorare nelle risorse umane mi ha insegnato che bisogna credere nella capacità di cambiare le persone, nel loro sviluppo e bisogna dedicarsi con persistenza e dedizione per poterne vedere i risultati. Sono tornata con l’ambizione di poter applicare questa filosofia al territorio al quale appartengo. E allora per togliere quei talenti dalla panchina c’è bisogno di bravi allenatori, che siano un’istituzione, un genitore, un professore, un capo, un amico con più esperienza. Persone che vogliano ispirare i giovani donando una visione di lungo termine; che sappiano trasferir loro che fare dei sacrifici per ciò che si desidera è un valore inestimabile, un valore che in questa Napoli che arranca può salvare dall’apatia e restituire un concreto ottimismo; che insegnino che la curiosità deve esser un motore che non si inceppa mai e la collaborazione ne è il naturale olio; che si impegnino a render Napoli una calamita per i progetti moderni ed innovatori; che siano testimonial di un’etica del lavoro in cui il merito è criterio discriminante in modo da marginalizzare i mediocri, e limitarne la presenza nei posti di potere. Queste non sono ingenuità, l’alternativa è il perpetuarsi di una città, una regione, un paese col freno a mano tirato, in cui la classe dirigente, che si autoriproduce da decenni, ha fallito consegnandoci la situazione attuale. Quello che si deve chiedere con forza è che si lasci ai giovani la possibilità di non rivedere al ribasso le proprie ambizioni, non mortificare i propri talenti, ancorarsi alla banalità e agli alibi o rassegnarsi al primo posto che capita perché c’è la crisi. Il futuro non è dei giovani, il loro tempo è il presente, e noi tutti abbiamo l’obbligo morale di non lasciarglielo sprecare. Grazie al Manifesto degli Espatriati di Sergio Nava a cui mi sono ispirata