Soggetti, televisione godimento nell'età del biocapitalismo
1. Soggetti, media e godimenti nell’età del biocapitalismo
di Pasquale Stanziale
Scene e scenari spettacolari-
Condannati al godimento
Elogio della retorica
La felicità è una gabbia mediale
Il totalitarismo dell’outlet
L’estasi del comsumAttore
1
5. Scene e scenari spettacolari-
Condannati al godimento
Elogio della retorica
La felicità è una gabbia mediale
Il totalitarismo dell’outlet
L’estasi del comsumAttore
OKA 2013
www.stanziale.it
www.slideshare.net/geseleh
5
6. «II biocapitalismo è la forma più avanzata di evoluzione del modello economico
capitalistico. Una forma che si caratterizza per il suo crescente intreccio con le vite
degli esseri umani. In precedenza, il capitalismo faceva principalmente ricorso alle
funzioni di trasformazione delle materie prime svolte dai macchinari e dai corpi dei
lavoratori. Il biocapitalismo invece produce valore estraendolo, oltre che dal corpo
operante come strumento materiale di lavoro, anche dal corpo inteso nella sua
globalità. Dunque agisce su tutte le componenti biologiche e sulle dimensioni mentali,
relazionali e affettive degli individui. Ne consegue che deve presentarsi agli esseri
umani in modo nuovo rispetto al passato, evidenziando un volto umano accattivante.»
(V. CODELUPPI 2008:7)
6
7. 1- Scene e scenari spettacolari
1.1
Una ricerca sul biocapitalismo non può iniziare senza chiamare in causa la Società dello
Spettacolo di G. Debord (G. Deebord 2002), un’analisi che rimane, a nostro avviso, una
riferimento imprescindibile per comprendere gli esiti strumentalistico-spettacolari del
biocapitalismo.
-La società dello spettacolo costituisce lo sfondo sul quale, ieri come oggi, prendono forma le
dinamiche e i processi relativi al desiderio, al consumo delle immagini, all’immaginario ed alla
fiction economy.
-Gran parte di quello che è successo sulla scena sociale, politica, comunicativa ed anche
urbanistica degli ultimi cinquant’anni era profeticamente presente nelle intuizioni di Debord e dei
suoi amici situazionisti come opportunamente ha sostenuto Agamben (1988.)
-Per Debord «Lo spettacolo è il momento in cui la merce è pervenuta all’occupazione totale della
vita sociale» (G. Debord 2002:58), compreso la merce-spettacolo umana.
-La società dello spettacolo, nella sua ideologia di fondo, si presenta come quell’Ordine
(l’Immaginario) in grado di generare consenso collettivo (S. Žižek 2004).
1.2
La società dello spettacolo (SdS) di Debord rappresenta inconfutabilmente un punto di non ritorno
nell’ambito di una teoria critica della società pure nell’assetto biocapitalistico, critica, nel senso
che sarà sempre della Sds che occorrerà tener conto per comprendere correttamente le strategie di
autoriproduzione e accumulazione capitalistiche.
Proposte di analisi come quelle contenute nei concetti di accesso rifkiniano, di new economy, di
alienazione biotecnologica, di economia finzionale, viste in una loro collocazione critica, non
possono non essere ricondotte alle concezioni di fondo della Sds, unitamente alle analisi di R.
Vaneigem e degli altri situazionisti ortodossi e non.
7
8. La Sds corrisponde, ad una fase storica di ristrutturazione del capitale - nella seconda metà del ‘900
- che consolida talune strategie di dominio nell’ambito produttivo e dà origine a nuove direttrici di
consumo relative al passaggio all’avere e al baudrillardiano simulare. Per Debord, inoltre, il
divenire immagine del capitale si realizza nella metamorfosi della merce in generale che tende a
perdere il suo valore d'uso acquistando valore a partire dall'immaginario sociale.
1.3
È possibile inoltre verificare come vi sia una corrispondenza tra elementi teorici debordiani ed
alcuni significativi ambiti analitici contemporanei. In particolare la distinzione debordiana tra
società in cui lo spettacolo si presenta concentrato, diffuso o integrato (Sds e Commentari del
1997) viene, per molti aspetti ad avere un riscontro con le fasi dello sviluppo del capitalismo
dei consumi esaminate da Lipovetsky (2007) ovvero:
1) la fase della nascita dei mercati di massa,
2) la fase del ciclo storico che inizia negli anni ’50 caratterizzata dalle società del consumo di
massa- e che richiama ampiamente lo spettacolare diffuso debordiano,
3) la fase infine che va oltre lo standing ed è caratterizzata dai consumi emotivi ed è pertinente alla
organizzazione economica post-fordista e al turbo-consumerismo, segnando il destino felice dell’
homo consumericus.
Questa fase è strettamente connessa, nell’ambito biocapitalistico, a quello che Codeluppi (2008)
chiama “processo di astrazione della società” in cui il capitale tende a smaterializzarsi nel credito
e nella finanza ed il lavoro stesso si trasforma nel quadro di una produzione industriale reticolare
propria del post-fordismo.
Questa ultima fase, infine, corrisponde, per moltissimi aspetti a quella dello spettacolo integrato
nel suo senso ultimo, quando la spettacolarità partecipa pienamente alle dinamiche proprie del
biocapitalismo, una spettacolarità che
«si è mescolata ad ogni realtà…. perché l’esperienza pratica del compimento sfrenato
della volontà della ragione mercantile mostra, rapidamente e senza eccezioni, che il
divenir-mondo della falsificazione era (è) anche un divenir-falsificazione del mondo»
(G. Debord 1997:194).
1.4
Le 72 tesi dei primi tre capitoli della Sds tracciano un percorso organico, partendo dal concetto di
separazione - che riprende in una prospettiva innovativa sia il concetto di alienazione (sulla linea
Hegel, Feuerbach, Marx) che il concetto di scissione (del Lukàcs della Teoria del romanzo) - per
giungere al concetto di falsa unità che informa di sé tutta la realtà spettacolare. La separazione che
si compie per Debord (con riferimento anche all’eccesso di metafisica lukàcsiano) sembra portare
a compimento quel processo di scissione tra il soggetto e se stesso originato dalla rottura dell’unità
presente nel mondo greco.
1.5
Debord tratta del dominio proprio di una società che è dello spettacolo i cui «all’affermazione
dell’apparire corrisponde una separazione dalla vita» (G. Debord 2002:64).
Lo spettacolo, quindi, si fa rapporto sociale e visualizza in modo totalizzante e pervasivo il suo
essere capitale ovvero biocapitale in cui i soggetti sono assunti come merce spettacolare di
consumo.
Sono presenti in questi assunti del primo capitolo rielaborazioni tratte dal giovane Marx, quando
scrive dell’alienazione nella società borghese, mentre il secondo capitolo riprende il concetto di
feticismo della merce sulla linea Marx-Lukàcs.
8
9. Debord afferma che il predominio dello spettacolo si attua attraverso l’occupazione della vita
sociale da parte della merce. A ciò corrisponde la vittoria del valore di scambio sul valore d’uso in
una società che sancisce la vittoria dell’economia autonoma.
Ma è nel rapporto tra economia e società che Debord individua una possibile forma di riscatto là
dove, infine, l’economia finirebbe col dipendere pur sempre dalla società e dalla lotta di classe.
Parafrasando Freud, Debord afferma che l’Io deve situarsi là dove c’era l’es economico e,
politicamente, che «il desiderio della coscienza e la coscienza del desiderio» costituiscono un
unico progetto mirante all’abolizione delle classi (G. Debord 2002:155).
1.6
È inevitabile, a questo punto, affrontare quell’importante nodo teorico riguardante il rapporto
indissolubile tra economia, spettacolo e immaginario: un ambito strategicamente significativo
dell’ambito del biocapitalismo. Nodo borromeo che si fa struttura divenendo un nucleo dialettico
in grado di articolare in modo evolutivo le intuizioni debordiane. Questa struttura traduce
fondamentalmente il significato e il significante della merce ovvero l’immagine-merce, il feticcio-
merce, il soggetto-merce, ovvero fascinazione, illusione, scambio, consumo. Ciò in una fase di
evoluzione strutturale dell’economia verso una evidente ed affermata sua autonomia che può
essere ben correlata alle marxiane due astrazioni/alienazioni (A. Jappe 1999) ovvero lo Stato e il
Denaro riguardanti il divenire membro di una comunità e l’accesso al mondo del lavoro.
L’ipostatizzazione di queste astrazioni/alienazioni si concreta nello spettacolo da intendersi come
ideologia materializzata (G. Debord 2002 cit.), ambito che vedremo in seguito in una prospettiva
diversa. Questi riferimenti che attualizzano, attraverso Debord, le istanze del giovane Marx
vengono riaffermate- come giustamente sottolinea Jappe - nel Capitale che individua
nell’astrazione la forma-merce dell’economia moderna.
1.7
Come nota, poi, M. Pezzella (1996:78) il potere economico richiama immediatamente un
immaginario inseparabile dal desiderio (come vedremo in seguito), un immaginario che va oltre il
valore d’uso realizzando il valore di scambio. Si tratta qui di individuare «l’economia nella sua
cultura» (W. Benjamin 1986:595 in Pezzella 1996:79) che mostra come economia e immaginario
siano termini legati da un indissolubile legame funzionale nell’ambito di quella economia
libidinale di cui parla Lyotard (1978).
Per quanto riguarda lo spettacolo esso non è una sovrastruttura - nel tradizionale linguaggio
marxista - e neanche una simulazione (J. Baudrillard 1979). Esso, nel contesto della Sds, è allo
stesso tempo: una figurazione dell'immaginario (la fantasy/fiction žižekiana), una tecnica di
produzione e un motore della circolazione del capitale ma anche lo sfruttamento, come vedremo,
del biocapitale.
1.8
Nel terzo capitolo della Sds Debord mostra come nella sua unità fittizia, lo spettacolo tenda a
mascherare le contraddizioni e le lacerazioni della società e dei poteri che la dominano. La
banalizzazione, la vedette specializzata nel vissuto apparente, le finte lotte spettacolari e,
aggiungiamo noi, le situazioni concentrazionario-spettacolari entro cui i soggetti sono chiamati
miticamente a mostrare tutti gli aspetti della loro soggettività spettacolarizzata: tutto ciò
rappresenta un artificiale che traduce nello spettacolare la falsificazione della vita sociale. Uno
spettacolare che si presenta sullo scenario globale come concentrato o diffuso a seconda della
miseria che smentisce o mantiene.
1.9
Per quanto riguarda le risposte invertite alle domande debordiane troviamo che queste sono fatte
proprie dal marketing di aziende (Negozi Hollister ecc. - M. D’Ambrosio 2008), la deriva
9
10. debordiana è sperimentata e istituzionalizzata da Facoltà di Architettura romane e torinesi ed è
presente in alcuni format TV nei quali vengono costruite situazioni emozionanti da attraversare.
Il gruppo Luther Blisset (oggi Wu Ming), anche, ha fatto la sua parte (P. Stanziale 1998) con le
relative denigrazioni e con critiche di cui qualcuna, a nostro avviso, fondata.
Che dire poi di quel gigantesco dètournement pervasivo che prende il nome di postmoderno,
figurazioni che assemblano stili precedenti secondo un progetto ludico, partecipando ad uno
spettacolo globale, ad un immenso “simulacro immaginifico” (F. Jameson 1994) tra
stereotipizzazioni e nostalgie.
1.9.1- La narrazione situazionista ebbe indubbiamente successo (G. Debord G.
Sanguinetti 1999 P. Virno 1999 P. Stanziale 2008) ma la sua spinta si infranse contro
la massiccia affermazione del dominio capitalista in espansione, vittoria e sconfitta
dunque- come affermato da molti- ma anche lo stabilizzarsi di un nucleo di teoria
critica di riferimento come tappa importante di un itinerario che, partito da lontano,
deve essere ripreso e organicamente integrato con nuovi e più incisivi strumenti di
analisi a fronte di scenari contemporanei stagliati sullo sfondo di reticoli schizoidi in
cui il soggetto biocapitalistico è frammentato, risucchiato tra forme di estetizzazione
di massa e mercificazioni edonistiche, tra godimenti autoritari, esaltazioni narcisistiche
ed esplosioni nichilistiche. Il tutto costituendo le nuove frontiere dello spettacolo che
tende in modo sempre più pressante a saturare quella totalità che R. Vaneigem (1994)
in Banalità di base (Tesi 24) intende come «la realtà oggettiva nel cui movimento la
soggettività può inserirsi sotto forma di realizzazione» e «là dove non vi è realizzazione
vi è lo spettacolo».
1.10
Il concetto di società dello spettacolo rappresenta quindi un riduttore di complessità contribuendo
ad un comprensione critica dell’universo socio-politico biocapitalistico attuale. Questo perché lo
spettacolo- come abbiamo già visto- ha assunto un valore strutturale con tutto ciò che ne deriva
sia per l’economia del soggetto che per l’ambito sociale e politico. Il passaggio dalla società post-
industriale alla società del dominio spettacolare ha avuto una duplice conseguenza: l’emergere di
una diversa strategia di potere basata su parametri, che sono andati a modificare vari ambiti tra
cui quelli biologici, politici e comunicativi, e il fatto che tutto questo è avvenuto nel cuore stesso
del sociale che il potere ha potuto ristrutturare secondo i sui nuovi indirizzi. Lo spettacolare
integrato debordiano è stato il risultato di questo stato di cose, riuscendo ad imporsi in modo
autonomo e articolato divenendo una funzione vitale costitutiva della volontà individuale.
1.11
Secondo J-L Nancy (2001), infine, la critica dell’attuale globalizzazione capitalistica, passa per la
critica del radicalismo filosofico situazionista alla società dello spettacolo, intesa (quest’ultima)
come il compimento della
«mercificazione generale dei feticci […] con la produzione e il consumo di beni
materiali e simbolici (tra cui, in primo luogo, l’ordinamento del diritto democratico)
che hanno tutti il carattere d’immagine, d’inganno o di sembiante» (J-L. Nancy
2001:98).
La società dello spettacolo è, in ultima analisi, quella
«che porta a compimento pieno l’alienazione, grazie ad un’appropriazione immaginaria
dell’appropriazione reale. Il segreto dell’inganno è questo: l’appropriazione reale non è
altro che una libera immaginazione creatrice di sé, indissolubilmente individuale e
collettiva ma la merce spettacolare, in tutte le sue forme, non è a sua volta altro che un
10
11. immaginario venduto al posto di questa immaginazione autentica» (J-L. Nancy
2001:121).
Nancy partendo da queste analisi ritiene che la critica situazionista sia inficiata dalla metafisica
dicotomia tra una verità dell’essere vs una fallace apparenza:
«il limite della critica situazionista consisterebbe nel non aver compreso appieno ciò che
rendeva manifesto, ossia la costitutiva dimensione simbolico-spettacolare del legame
sociale […] la questione [è quella] di capire se lo spettacolo non sia, in un modo o
nell’altro, una dimensione costitutiva della società: in altri termini, se ciò che chiamiamo
il legame sociale possa essere pensato al di fuori di un ordine simbolico e se quest’ultimo
possa a sua volta essere concepito al di fuori di un registro dell’immaginazione o della
figurazione, che sembrerebbe necessario, a questo punto, ripensare daccapo […] può
darsi che il fenomeno dello spettacolo generalizzato, con la dimensione, diciamo tele-
mondiale, che non soltanto lo accompagna, ma che gli è consustanziale, riveli tutt’altro,
se ci sforziamo di decifrarlo altrimenti» (J-L. Nancy 2001:132).
Ci sembra opportuno a questo punto considerare che:
-effettivamente è necessario ripensare il rapporto tra legame sociale e ordine simbolico;
-se in linea di principio vi possono essere fondamenti validi per una critica al situazionismo ciò non
toglie che lo spettacolismo biocapitalistico nelle società occidentali tende sempre più ad
estremizzarsi giungendo alla negazione ed allo sfruttamento spettacolare del soggetto attraverso
forme sempre più esasperate di espropriazione, come in certa spettacolarità mediale; in tale ambito
il con-essere e la com-parizione di cui parla Nancy nel suo Essere singolare plurale (2001)
divengono partecipi di una omologazione generalizzata che elude ogni autenticità;
-certamente l’ontologia della com-parizione è da considerarsi il primo e fondamentale passo di un
pensiero critico rinnovato ma bisogna fare ancora i conti con tutta una serie di modalità attraverso
cui la società dello spettacolo partecipa a forme evidenti di patologia nella dimensione dell’essere
sociale. E in questo ambito di valutazioni ci sembra pertinente citare Robert Kurz
«[Le idee di Debord] sono perfino più attuali che mai. Debord, nel suo tempo, tenne in
vista principalmente il mezzo spettacolare televisivo constatando uno sviluppo del
moderno feticismo giunto a un grado di accumulazione del capitale in cui esso diventa
immagine e sostituisce interamente il mondo sensoriale con una selezione delle
immagini. Ciò naturalmente non si riferisce solo alla semplice tecnologia mediale ma a
una nuova qualità della sussunzione reale al capitale (Marx), una sussunzione non solo
dei processi di produzione, ma della totalità della vita e della totalità dell'esperienza, a
una feticizzazione di tutte le relazioni fino all'intimità, come [sopra] ho già suggerito,
come soggezione di tutte le sfere della vita alla astrazione reale del valore e come
liberazione dell'individuo astratto. A ciò corrisponde una medializzazione del
quotidiano in cui i mezzi tecnici di comunicazione non si autonomizzano per sé, ma nel
loro carattere inscritto nella merce e, in un certo modo, duplicano il feticismo della
forma merce. Questo sviluppo si è drammaticamente intensificato con le nuove
tecnologie della comunicazione della terza rivoluzione industriale. Ora, non si tratta
appena di cruda tecnica, ma di una virtualizzazione generale del mondo della vita, come
si può vedere nell'onnipresenza del telemobile, SMS etc. e soprattutto di Internet. Ciò
va di pari passo con la virtualità del nuovo capitalismo finanziario, che si è staccato
dall'accumulazione reale del capitale, come fenomeno di crisi. Nel virtualismo del
pensiero postmoderno, tutto questo processo fu ideologizzato e parzialmente compreso
male come emancipazione. Ma non é altro se non un'espressione della crisi del
soggetto, nella quale si riproduce come fenomeno della coscienza il limite interno del
moderno sistema produttore di merci» (2006).
11
13. 2.1
Il concetto di godimento, in tempi recenti è venuto prepotentemente alla ribalta attraverso quel
potente apparato teorico che partendo da J. Lacan ha trovato in autori come S. Žižek una
maturazione in grado di far luce in modo sistematico su meccanismi, tendenze e cristallizzazioni
del biocapitalismo attuale. In particolare la teoria dei tre registri del soggetto e la teoria dei quattro
discorsi
2.2
Estrapoliano dal contesto delle teorie lacaniane (J. Lacan 1974 1982), relativamente
all’Immaginario, che:
-esso è la struttura dell’Io (Moi),
-la funzione immaginaria è subordinata alle determinazioni del Simbolico,
-l’Immaginario e il Simbolico si distinguono in funzione delle loro relazioni col Reale,
-la funzione immaginaria presiede all’investimento narcisistico dell’oggetto.
Per quanto riguarda il Simbolico (che Lacan mutua dall’antropologia strutturale di C. Lévi-
Strauss):
-esso è costituente per il soggetto,
-esso non copre e spiega tutto,
- esso annoda e snoda l’Immaginario col Reale (J. Lacan 1974).
E quindi il Reale è l’impossibile, esso sussiste al di fuori della simbolizzazione, è l’inconscio in
quanto indicibile. Il Reale è il luogo che accoglie ciò che è rifiutato dal Simbolico ed è connesso
col godimento (jouissance) (S. Žižek 2004)
2.3- È nel quadro che stiamo delineando che emerge il contributo importante offerto dalla
psicoanalisi lacaniana all’economia dell’immaginario con il concetto di godimento.
Questa jouissance riguarda ciò che va al di là del principio del piacere ed è connessa
con il Reale lacaniano.
Questo perché l’approccio psicoanalitico all’ideologia di dominio- nei suoi rapporti con
la cultura di massa- si presenta abbastanza esplicativo nella direzione di una visione
politica dell’immaginario contemporaneo connesso con l’universo spettacolare (M.
Senaldi 2008).
2.4
Le relazioni tra i registri (RSI) e l’economia si possono visualizzare, nello schema seguente.
Immaginario
Simbolico Reale
Godimento
13
14. L’economia risulta qui connessa con i tre registri di cui l’Ordine simbolico annoda e
snoda il Reale e l’Immaginario. Essa è partecipe, in vario modo, delle logiche di
occlusione, collusione, invasione e godimento che regolano i tre registri. In particolare
l’immaginario, come abbiamo visto, fornisce all’economia abbastanza materiale da
usare, ma anche il simbolico, con i suoi trend e con i suoi significanti rappresenta una
fonte di acquisizione per i processi di valorizzazione. In questa schematizzazione c’è
anche del godimento connesso con il Reale tenuto a bada dall’immaginario e dal
simbolico ma che è prodotto come plus.
Lo schema seguente invece (P. Stanziale 2006) integra lo schema precedente e cerca di definire il
sistema circolare di relazioni che legano il Capitale, l’industria culturale e il soggetto con
riferimento alla centralità strategica dell’immaginario (vedi anche punto 5.7).
Lo schema rivela anche una situazione strutturale che, ad un livello più profondo, richiama
alcuni fattori propri delle tendenze del biocapitalismo.
SIMBOLICO
Economia
IMMAGINARIO
REALE
[Godimento]
14
15. 2.4.1- Il concetto di godimento trova la sua centralità in Žižek (2001 2004) che lo
intende, con riferimento alla psicoanalisi lacaniana (Lust im Unlust), come oscuro
supplemento superegoico, come dato proprio dell’ideologia, riscontrabile come la
segreta oscenità presente nell’esercizio del potere- e delle relative forme di linguaggio,
nei risvolti della cultura di massa e, quindi, nell’ambito dello spettacolare
contemporaneo. Tenendo presente quanto scrive Žižek:
«quand’è che io incontro l’altro nel Reale del suo essere… solo quando
incontro l’altro nel suo momento di jouissance, cioè quando scopro in lui/lei
un piccolo dettaglio- un gesto compulsivo, una eccessiva espressione del
volto, un tic- che segnala l’intensità della realtà della sua jouissance
...l’incontro con il Reale è sempre traumatico, c’è qualcosa perfino di
minimamente osceno in esso» (S. Žižek 1999:32).
Seguendo la metodologia žižekiana, troviamo, ad esempio, come il potere
spettacolista televisivo si tradisca come godimento nel ghigno-sorriso involontario
che appare in alcuni momenti-clou spettacolari sul volto di una ideatrice-
conduttrice di format d’intrattenimento pomeridiani. Personaggio proprio della
videocrazia contemporanea, esperta nell’organizzare artificiali cortocircuiti
emozionali tra persone e nella spettacolarizzazione di continui outing di
adolescenti che saranno famosi. Questo emergere del godimento, nella teoria
lacaniana dei quattro discorsi (J. Lacan 1982 M. Recalcati 1995) è proprio del
discorso del maître in cui un significante-padrone (la presentatrice iscritta
nell’ordine simbolico come espressione del potere) agendo nell’alterità spettacolare
(espressione di un sapere), rimuove sia la produzione di godimento (objet petit a)-
che però affiora- che la sua verità di soggetto barrato (mancanza a essere).
Questa dinamica introduce la dimensione del godimento nella dimensione mediocratica
della società dello spettacolo ma anche apre, in Žižek, al rapporto tra cultura di massa
e Ordine Simbolico. Sullo sfondo della società dello spettacolo tale rapporto si
presenta nel quadro di una complessa processualità nella quale la cultura di massa
rappresenta l’immaginario del Simbolico che, nel suo farsi godimento, tradisce il
Reale del Simbolico mostrandone le oscenità di fondo (S. Žižek 1999). Il godimento
allora, come reale del Simbolico rivela l’altro lato di questo, le modalità di
mascheramento del suo vuoto costitutivo.
2.4.1.a- S. Žižek (1999) nota anche, riferendosi a Lacan (1983), come nell’epoca del
biocapitalismo si verifichi una inversione nella struttura superegoica freudiana per cui
se prima l’individuo era portato a reprimere il piacere e il godimento nel rispettare le
leggi del sociale, l’attuale soggetto post-storico è all’inverso condannato all’eccesso,
a dover godere. Il super-io non solo pone divieti ma costringe anche al godimento:
«Niente costringe qualcuno a godere, tranne il super-io. Il super-io è
l’imperativo del godimento -Godi!» (J. Lacan 1983:85).
2.4.2- A completamento di questa parte relativa al godimento non possiamo non
richiamarci alla lacaniana teoria dei quattro discorsi (J. Lacan 1982) accennando al
discorso della civiltà e del capitalista (J. Lacan 19878:40) tralasciando i discorsi
dell’isterico, dell’università e dell’analista.
La teoria dei quattro discorsi è un classico della psicoanalisi lacaniana. Premesso che il
discorso- sulla linea Althusser-Lacan- è una determinazione dell’ordine simbolico,
abbiamo con questa teoria l’inclusione del soggetto nella struttura. Si stabiliscono
quindi rapporti tra significante e godimento e tra simbolico e reale: tutto secondo i
15
16. principi di una topica, di una dinamica e di una economia in quanto c’e, come direbbe
Lacan, della produzione, di un più-di-godimento (collegabile ad un plusvalore) (M.
Recalcati 1995).
Premesso che nel matema lacaniano dei discorsi i posti sono:
e che
S1 = significante padrone,
S2 = il sapere,
S/ = soggetto barrato (mancanza-a-essere),
a = oggetto “piccolo a”, godimento,
--- = barra di rimozione.
abbiamo il matema del discorso della Civiltà (o del Padrone) e del Capitalista
in cui è rilevabile, nel primo matema, il freudiano disagio della civiltà: rimozione del
soggetto barrato (nel posto della verità) da parte di un (agente) significante padrone, con
il sapere nel posto dell’Altro e con la produzione di godimento (il marxiano plus-valore
può essere connesso, come accennato in precedenza, con il plus-godere) (S. Žižek 2004).
Nel secondo matema, troviamo una inversione per cui in azione è il soggetto barrato
(agente) che rimuove il suo essere significante-padrone (verità) nel rivolgersi ad un
sapere/Altro e producendo, anche in questo caso, plus-di-godimento (J. Lacan 1978 A.
Soueix 1995 M. Recalcati 1995 2010).
2.4.3- Quest’ultimo matema è particolarmente interessante dato che costituisce una
intersezione tra psicoanalisi, filosofia, economia e politica. Si osserva ulteriormente:
a) che il capitalista ha sembiante di padrone, è sganciato da un rimosso Significante-
causa, la parvenza determina la verità;
S/ S2
----- ------
S1 a
S1 S2
-------- -------
S/ a
Discorso del/la Padrone/Civiltà
Discorso del Capitalista
16
(/agente/direzione/parvenza) (/Altro/sign. padrone/sapere/)
------------------------------------ ------------------------------------
(/verità/soggetto ) (/produz./scarto/godimento/)
17. b) che l’unica verità è la propria, è il soggetto che detiene il potere;
c) che si tratta di una posizione tipica del capitalismo contemporaneo in cui non esiste
conflitto tra ideale e godimento;
d) che il circuito discorsivo è veloce e circolare secondo l’andamento delle frecce e
giocato sul godimento, ovvero si ha una circolarità del consumo senza limiti con una
soddisfazione illusoria;
e) che il soggetto si rivolge al sapere (scientifico) per produrre oggetti-gadget per
consumo e godimento. In tale ambito il biocapitalismo trova una sua dimensione
pregnante dato che, in date aree, il soggetto stesso tende ad essere totalmente
gadgettizzato in una spettacolarizzazione continua.
f) Lacan ritiene la macchina capitalistica veloce nel consumo fino alla consunzione (J.
Lacan 1978), ovvero consumando la macchina capitalistica si consuma e il suo
consumarsi comprende la sintomatologia contemporanea delle tossicodipendenze, delle
anoressie dello shopping compulsivo ecc..
3- Elogio della retorica
3.1- La pubblicità come comunicazione, con la sua funzione ideologica, è una delle forme
culturali particolarmente dominanti nel biocapitalismo.
Nota Baudrillard che
17
18. «la pubblicità e la propaganda acquistano tutto il loro vigore a partire dalla Rivoluzione
d'Ottobre e dalla crisi mondiale del '29. Entrambe sono linguaggi di massa, nati dalla
produzione di massa delle idee o delle merci, i cui registri, prima separati, tendono
progressivamente a ravvicinarsi»(J. Baudrillard 1994:101).
E che
«ciò che stiamo vivendo è l'assorbimento di tutti i modi virtuali d'espressione in quello
della pubblicità. Tutte le forme culturali originali, tutti i linguaggi specifici
sprofondano nel modo d'espressione della pubblicità, poiché esso è senza profondità,
istantaneo e istantaneamente dimenticato. Trionfo della forma superficiale, minimo
comun denominatore di ogni significazione, grado zero del senso, trionfo dell'entropia
su tutti i tropi possibili. Forma più debole di energia del segno. Questa forma
inarticolata, istantanea, senza passato, senza avvenire, senza metamorfosi possibile,
poiché è l'ultima e ha potere su tutte le altre. Tutte le forme attuali d'attività tendono
verso la pubblicità, e la maggior parte di esse vi si esaurisce. Non si tratta
necessariamente della pubblicità nominale, quella che si produce come tale - ma della
forma pubblicitaria, quella di un modo operativo semplificato, vagamente seduttivo,
vagamente consensuale (tutte le modalità vi sono mescolate, ma in un modo attenuato,
indebolito). Più generalmente, la forma pubblicitaria è quella dove tutti i contenuti
particolari si annullano nel momento stesso in cui possono trascriversi gli uni negli
altri, laddove la caratteristica degli enunciati "pesanti" e delle forme articolate del senso
(o dello stile) è di non potersi tradurre reciprocamente, così come le regole di un gioco»
(J. Baudrillard 1994:103).
3.2 - La pubblicità fornisce continuamente supporti alla metonimia del desiderio il quale è preda di
opportune e strumentali strategie estetico-spettacolari (R. Sassatelli 2004), tutto in una spirale
senza fine. La pubblicità traduce i beni in immagini, in simboli che, a loro volta richiamano la
merce con un continuo gioco di rimandi (W. Gibson 2005 e F. Carmagnola 2006). Questi beni
simbolici partecipano ad un universo sociale e retorico (A. Appadurai 1996) in cui il marxiano
rapporto tra struttura e sovrastruttura diviene fluido nel quadro di una economia culturale globale
basata su disgiunture relative a flussi culturali tra cui il mediorama relativo a
«’mondi immaginati’, cioè mondi multipli che sono costituiti dalle immaginazioni
storicamente situate di persone e gruppi sparsi intorno al globo… forme che
caratterizzano il capitale internazionale» (A. Appadurai 1996:109).
3.3- La pubblicità sembra anche operare attraverso una relazione triangolare connessa col
desiderio mimetico (vedi punto 2.3.d.a) di cui parla R. Girard (1999). Il triangolo riguarda il
soggetto desiderante, l’oggetto e il modello che si interpone, come mediatore-attrattore, tra il
soggetto e l’oggetto. In questo circuito la relazione fondante è quella tra il soggetto e il mediatore-
attrattore lasciando quasi in secondo piano l’oggetto.
3.4
Homo videns, homo consumericus, homo felix, homo sucker infine (S. Žižek 2002), sono
figurazioni biocapitalistiche che riguardano lo spossessamento, il desiderio, il consumo, la merce,
il godimento e, infine, l’utopia della felicità (G. Lipovetsky 2006). In quest’ultimo universo si
inserisce anche l’homo ludens, quello dell’espressività edonistica, il quarto uomo (P. Dell’Aquila
1995) quello che è stato post-materialista negli anni ’80 ed è il neo-materialista degli anni ’90:
quello dell’affermazione ultima dell’Io narcisista che è però diverso dall’Io narcisista post-
industriale. Tutte queste dinamiche rispecchiano le strategie di marketing ma sono
inequivocabilmente sempre riconducibili all’economia, allo spettacolo, al feticismo della merce
18
19. (nella sua evoluzione dal feticismo tradizionale delle merci al feticismo in cui la merce tende a
perdere la sua consistenza materiale assumendo la consistenza di entità virtuale - S. Žižek 2004),
4- La felicità è una gabbia mediale
19
20. 4.1
Per quanto riguarda i media come universo comunicativo nell’era del biocapitalismo vediamo che
il flusso delle immagini travolge ormai senza lasciare tempo alla riflessione, prescindendo
completamente da ciò che il soggetto può capire e pensare. In questa esperienza concreta di
sottomissione, che è permanente, si trova la radice psicologica dell’adesione generale a ciò che è
presente e che ci rimanda direttamente al flusso delle immagini televisive, al primato delle
immagini nella comunicazione globalizzata (A. Drinceanu 2005). Tale flusso produce «il
prevalere del visibile sull’intelligibile che porta ad un vedere senza capire» (G. Sartori 2000:21). È
il prevalere del consumo delle immagini rispetto alla conoscenza razionale, la televisione
stabilizza il potere dell’immagine rispetto alla comunicazione scritta e parlata e struttura spazi di
immaginario attraverso la ripetizione (vedi punto 6.6.c), producendo stereotipi, modelli di
comportamento, consenso (V. Codeluppi 2009). L’immaginario collettivo, però, come spazio in
cui comunicazione e desiderio si intersecano, tende ad impoverirsi nella misura in cui i flussi
mediali di immagini diventano eccessivi, la saturazione della visione non lascia immaginare più
nulla.
4.1.a- Nel mondo rovesciato dello spettacolare integrato biocapitalistico (G. Debord 1997) lo
spettacolo–merce oltre ad essere separazione è anche scissione all’interno del soggetto secondo
quanto aveva già scritto Debord e secondo la teoria lacaniana del soggetto. Questa scissione,
originata dal prevalere del vedere, come già accennato, a discapito delle altre forme sensoriali,
delega la propria soggettività alla forma-spettacolo in maniera irreversibile (R. Massari 2008),
abdica se stessa a vantaggio della proiezione dei propri sogni nello spettacolo inteso come
immaginario prodotto dal simbolico.
4.2.b- Su questo piano la televisione, attua quella che Sartori (2000:111) definisce una “mutazione
antropogenetica”, producendo l’homo “videns” che a differenza dell’homo sapiens è limitato nel
pensiero razionale, difetta di capacità di astrazione e di capacità simbolica, ha difficoltà, infine,
nel rappresentare attraverso il linguaggio. Si tratta del passaggio ad un “postpensiero a-logico”
senza capacità di connessioni, che ha immaginabili conseguenze negative e rischi per la
democrazia.
4.2.c- B. Stiegler e J. Derrida nel quadro della loro critica radicale alla telecrazia così scrivono:
«Solo davanti al mio televisore, posso sempre illudermi di comportarmi in maniera
individuale, ma la verità è un'altra: sto facendo la stessa, identica cosa delle centinaia di
migliaia di telespettatori che guardano lo stesso programma. Divenute oramai
planetarie, le attività industriali tendono a realizzare gigantesche economie di scala, e
quindi a controllare e omogeneizzare i comportamenti attraverso tecnologie
appropriate: di questo si fanno carico le industrie dei programmi, attraverso gli oggetti
temporali che acquistano e diffondono, finalizzati a captare il tempo delle coscienze -
cioè l'audience che vendono agli inserzionisti. […] Un oggetto temporale - una
melodia, un film, una trasmissione radiofonica - è costituito dal tempo del suo
svolgimento - quello che Edmund Husserl chiama un flusso. È un oggetto che passa.
20
21. Ed è costituito dal fatto stesso di scomparire man mano che compare, così come le
coscienze che unisce. Con il sorgere delle trasmissioni radio civili (1920) e più tardi dei
primi programmi televisivi (1947), le industrie dei programmi producono oggetti
temporali il cui trascorrere coincide con il trascorrere del tempo delle coscienze di cui
sono gli oggetti. Questa coincidenza consente alla coscienza di adottare il tempo dei
suddetti oggetti temporali. Le industrie culturali contemporanee possono quindi far
adottare alle masse degli spettatori il tempo del consumo del dentifricio, delle bevande
gassate, delle scarpe, delle automobili ecc. Ed è quasi esclusivamente in questo modo
che si finanzia l'industria culturale. […] Ora, una «coscienza» è essenzialmente la
coscienza di sé: quella di un singolo. Se posso dire io, è solo perché io mi do il mio
proprio tempo. In quanto enorme dispositivo di sincronizzazione, le industrie culturali,
e in particolare la televisione, sono macchine adibite alla liquidazione di quel sé di cui
Michel Foucault (1992), verso la fine della sua vita, studiava le tecniche. Quando
decine di milioni, se non centinaia di milioni di telespettatori guardano
simultaneamente lo stesso programma in diretta, quelle coscienze interiorizzano, in
tutto il mondo, gli stessi oggetti temporali. E se questo stesso comportamento di
consumo audiovisivo si ripete ogni giorno, alla stessa ora e con grande regolarità, è
perché tutto concorre a spingere a questo comportamento; e queste coscienze finiscono
per divenire quelle di una stessa persona - cioè di nessuno. L'incoscienza del gregge
libera un fondo pulsionale che non è più legato da un desiderio, poiché quest'ultimo
presuppone una singolarità» (B. Stiegler J. Derrida 1996:158).
4.2
Esito attuale della produzione di immaginario è la “spettacolarizzazione dell’interiorità” come scrive
U. Galimberti (2008) e come scrive V. Codeluppi (2008) a proposito dei processi di vetrinizzazione.
La televisione, con la spettacolarizzazione dell’interiorità, ha fatto crollare quel diaframma che
separava l’interiore dall’esteriore, l’intimo dalla sua spettacolarizzazione. Galimberti sottolinea il
fatto che la “pubblicizzazione dell’intimo” è pertinente alla “mostra delle merci”, al mostrare in cui i
soggetti esistono in quanto esibiscono la loro interiorità di là da ogni pudore. Nello spettacolo
televisivo prevale l’apparire, un apparire che nel suo spettacolarizzare sentimenti e sensazioni
contribuisce, tutto sommato, alla vittoria di un immaginario omologato in cui le soggettività sono
completamente soggiogate. Si assiste poi al fatto che, in certi format, persone in condizioni-limite
sono portate a spettacolarizzare non la loro normalità ma le loro “patologie” (U. Galimberti 2008
ma anche V. Codeluppi 2009). Si tratta della nuova frontiera della degradazione spettacolare che
pure ha un suo nutrito pubblico il quale vede rispecchiate in questi format le proprie vicissitudini
quotidiane anche le più banali.
4.3
Un ambito nel quale il biocapitalismo produce valore mettendo al lavoro gli individui con tutte
le loro componenti biologiche, mentali e relazionali è quello dei reality-show. In questi format
il genere umano si spettacolarizza almeno in due articolazioni. Da una parte format che vedono
personaggi dei vari ambiti spettacolari, in ribasso di notorietà, agire in situazioni estreme
attivando una osmosi giocata tra persona e personaggio. Questi vengono così riciclati
caricandosi di nuovo interesse da spendere poi in varie partecipazioni nei vari talk-show
successivi. Vi sono poi format in cui vi è gente comune usata nel quadro di sceneggiature
rigorose in cui viene opportunamente strumentalizzata la spontaneità specifica dei soggetti, la
loro immagine, la loro capacità relazionale. Questi format, dal costo contenuto e con materiale
(umano) praticamente inesauribile, sono format-specchio in cui viene delineata un’area
simbolica nella quale può collocarsi l’esistenza, costruendo conoscenze individuali e collettive
in rappresentazioni della realtà comprendenti ruoli e stili comportamentali.
21
22. 4.4
Il biocapitalismo mediale trova un proprio indirizzo produttivo in un campo in cui si mixano
esistenza e spettacolo nella dimensione del divertimento- o meglio dell’emotainement
(emozione e trattenimento)- ove spesso si dissolve la dignità personale dei partecipanti ai
format a vantaggio di una chiacchiera-spettacolo di consumo accettata pienamente da gran
parte dei telespettatori.
Studi appositi andrebbero fatti, quindi, in tale ambito evidenziando gli effetti culturali di
cinquant’anni di televisione commerciale in Italia, ovvero: verificare secondo quali modalità le
persone sono state influenzate da modelli culturali, relazionali e comportamentali tratti da
modelli mediali. In particola dalla televisione, un media che sembra offrire a tutti l’accesso
sulla strada del potere, della fama e della ricchezza.
4.5
Di fatto viene sfruttato il fatto che la televisione, come altri media, è produttrice di un tipo di
cultura in grado di produrre elementi simbolici in grado di coniugarsi con il vissuto individuale
in una ambito generale di significati e di percezione della realtà. Su tale piano il
biocapitalismo si muove verso una occupazione totale degli spazi relativi ai modelli
identificativi soggettivi riproducendosi senza soluzione di continuità. Ciò anche perché la
medialità televisiva viene a collocarsi all’incrocio tra il voyeurismo generalizzato imperante
ed il narcisismo proprio di una parte del pubblico che ormai tende a vivere come se fosse sotto
l’occhio continuo delle telecamere. Il tutto nella proliferazione di mitologie spettacolari di cui
il potere mediale ha continuamente bisogno per riprodursi.
22
24. Il biocapitalismo sembra lasciare al soggetto poche vie di scampo. Si tratta di un tentativo di
economicizzazione totale del soggetto come fonte del valore. L’essere umano diviene produttivo
attraverso il suo corpo, attraverso la sua mente, attraverso il consumo. Come scrive V. Codeluppi
(2008:37) questa tendenza si attua attraverso strategie comunicative e di consumo,
personalizzando i prodotti come “riconoscimento di identità” e non come fornitura di merci e/o di
servizi. È un nuovo livello di produzione di immaginario da parte del simbolico che tende a
risucchiare strumentalmente tempo, energie e idee delle persone per proporre un consumo
emotivo, affettivo, tonificante. Questo biocapitalismo, quindi, compendia gran parte dei processi e
delle dinamiche che abbiamo esaminato in precedenza portando alcuni di essi ad un più alto
livello di sofisticazione come ad esempio, il bio-branding, il product placement e la
vetrinizzazione.
«Si tratta di un'economia anti-libidica: soltanto ciò che è singolare, e in questo senso
eccezionale, può essere desiderabile. Io desidero solo ciò che mi appare eccezionale.
Non c'è desiderio per la banalità, bensì una coazione a ripetere che tende verso la
banalità: la psiche è costituita da Eros e Thanatos, due tendenze che vengono
incessantemente a patti tra loro.
L'industria culturale e il marketing cercano di sviluppare il desiderio di consumare, ma
di fatto rafforzano la pulsione di morte, nel loro sforzo per provocare e sfruttare il
fenomeno coattivo della ripetizione; e in tal modo contrastano la pulsione di vita. In
questo senso, dato che il desiderio è essenziale ai fini del consumo, questo processo è
autodistruttivo, o come direbbe Jacques Derrida, autoimmunitario.
Io non posso desiderare la singolarità di qualcosa, se non in quanto questa cosa è lo
specchio di quella singolarità che sono io: una singolarità di cui non sono ancora
consapevole, e che questa cosa mi rivela. Ma dal momento che il capitale punta a
ipermassificare i comportamenti, deve ipermassificare anche i desideri e rendere gli
individui gregari. A quel punto, l'eccezione è ciò che va combattuto, come già
Nietzsche aveva anticipato quando affermò che la democrazia industriale avrebbe
fatalmente generato una società gregaria. Siamo in presenza di una vera aporia
dell'economia politica industriale. Difatti, mettendo sotto controllo gli schermi di
proiezione del desiderio d'eccezione si induce il predominio della tendenza
thanatologica, o in altri termini, entropica. Thanatos vuol dire sottomettere l'ordine al
disordine. In quanto Nirvana, Thanatos tende ad appiattire tutto: è la tendenza alla
negazione di qualunque eccezione in quanto oggetto del desiderio» (B. Stiegler
2009:103).
5.2
Sembra realizzarsi, poi, anche il consolidamento di quella società del controllo come la intendono
G. Deleuze (1990) e M. Foucault (1978 1997), ovvero una società in cui si stabilizza un paradigma
di potere basato sulle macchine che colonizzano direttamente i cervelli (nei sistemi della
comunicazione, nelle reti informatiche ecc.) e i corpi (nei sistemi del Welfare, del monitoraggio
delle attività ecc.), dispositivi direttamente connessi con la biopolitica.
«Il concetto di dispositivo permette di comprendere come funziona una rete di pratiche
eterogenee e trasversali. Esso permette di analizzare l’insieme eterogeneo dei discorsi
(i pericoli, l’immigrazione, il nemico interno, l’integrazione…), delle istituzioni
(agenzie pubbliche, governi, organismi internazionali…), delle infrastrutture
architettoniche (aree di attesa degli aeroporti, circuiti Schengen di circolazione, progetti
di nuove città dotate di reti elettroniche di sicurezza e di video-sorveglianza integrate),
delle leggi (sull’immigrazione, sul lavoro nero, sulla riforma del codice penale, sul
terrorismo, sul crimine organizzato), delle misure amministrative (regolarizzazione dei
24
25. clandestini, accordi transfrontalieri per il respingimento…). La nozione di dispositivo
impedisce di vedere il campo come una configurazione di concatenamenti tecnici e
giuridici monolitici, consentendo invece di vedere una configurazione di
concatenamenti sociali mobili. Essa permette con ciò di distanziarsi dal fantasma della
tecnica in senso stretto del termine (satelliti di sorveglianza, informatica, elettronica di
spionaggio…), per ritrovare le tecnologie di addestramento del corpo all’obbedienza»
(M. Foucault 1997:79).
«La biopolitica governa corpi multipli, fissandoli su un supporto identitario stabile che
ne garantisca il controllo anche quando estremamente mobile. La proliferazione di
identità plurali, anche a livello somatico, nonché la scomparsa di una identità di genere
unica, anche attraverso la manipolazione e trasformazione di elementi identitari
(attraverso ad esempio la plastica facciale, l’abrasamento delle impronte digitali e in
genere ogni intervento sul corpo in senso postumano), rendono più difficile individuare
il confine di identità su cui esercitare la sorveglianza. La biometria cerca in qualche
modo di ovviare a questo ostacolo, iscrivendo, incrociando e marcando segmenti
diversi del corpo a sua volta con diversi confini codificati: sociali, giuridici, di genere,
etnici» (L. Amoore 2006).
«In questo modello di potere, lo stato non è più l’unico agente di controllo, ma gli
individui e le comunità stesse partecipano al loro autocontrollo, autoscrutinio ed
autodisciplina attraverso dispositivi di regolazione accettati in quanto tali, quali ad
esempio la misurazione del livello etilico, l’assistenza comunitaria, le tecniche di
contraccezione, le campagne di vaccinazione, le diete fai da te, l’esercizio ginnico ed
altre forme di tecnologie del sé (M. Foucault 1978). Queste ultime operano attraverso
la strumentalizzazione di differenti tipi di libertà, […] in quanto parte e frammento di
un processo di responsabilizzazione tramite cui gli individui si fanno carico della loro
condotta, delle loro competenze, del loro perfezionamento, della loro sicurezza e del
loro benessere» (B. Ajana 2005 cfr. anche N. Rose 1999:237).
25
26. 6- L’estasi del consumAttore
6.1
Il soggetto al lavoro nel biocapitalismo si presenta con varie figurazioni, Tra queste il
consumatore ha un posto centrale. Scriveva W. Benjamin nei Passages (ed. 2002:167):
26
27. È qui che dimora l’ultimo dinosauro d’Europa, il consumatore. Sulle pareti di queste
caverne la merce prolifera come una flora immemorabile, intrecciando come un tessuto
ulcerato, i rapporti più sregolati. Un universo di affinità misteriose […] Queste vetrine
sono un rebus.. (corsivo mio).
Dal punto di vista del marketing, quindi, oggi abbiamo che
«il consumatore che le aziende devono soddisfare oggi è un essere profondamente
evoluto, mutato e complesso, alla continua ricerca non di meri prodotti ma di prodotti
che arrechino esperienze, emozioni e coinvolgimento fattivo. La sua scelta di consumo
è fatta di una gestalt ipercomplessa, intrisa di quotidianità, valori, cultura. Inoltre, il
consumatore non è più tale solo nel momento della scelta, ma è profondamente legato,
linkato ed embedded in uno o più network di persone che hanno punti di interessi e
orientamenti in comune (ma che non sono esattamente coincidenti, altrimenti la teoria
dei giochi sarebbe troppo facile!) e li condividono in maniera più o meno virtuale. Si
passa dal vecchio consumatore individuale a quello collettivo. E non solo: il
consumatore dialoga, consiglia, partecipa alla produzione (prosumer) e diventa così
partner dell’azienda. Leggasi ConsumATTORE, un essere non facile da gestire e con il
quale relazionarsi. Sopratutto perché in altre fasi diventa ConsumAutore o
ConsumatoRe» (C. Sangiorgi 2010).
6.2
Il consumatore come produttore rappresenta per Codeluppi (2008) un terzo fattore del
biocapitalismo dopo il processo di astrazione della società e dopo la transizione dall’economia
materiale all’economia della conoscenza. Il consumatore viene sempre più coinvolto in attività
che si svolgevano in ambito imprenditoriale, acquisendo un ruolo strategico importante
nell’ambito dei processi di valorizzazione, divenendo, infine, per l’impresa, l’elemento di partenza
per l’attivazione dei processi produttivi (D. Cohen 2007 in V. Codeluppi 2008 e M. De Certeau
2001). Il consumatore quindi produce e valorizza.
Il consumatore come produttore acquista le caratterizzazioni che seguono.
.Il consumatore è colui che fa un lavoro di straforo (M. De Certeau 2001).
.Il consumatore è un prosumer in relazione al tempo libero (A. Toffler 1989).
.Il consumatore è attivo nel nuovo spazio della digitalizzazione delle merci.
.Il consumatore è artefice di promozione/miglioramento dei prodotti (B. Cova 2003)
.Il consumatore è attivo nel passaparola (V. Codeluppi 2008 cit.).
.Il consumatore è partecipe della produzione di immaginario collettivo (V. Codeluppi 2010)
.Il consumatore è attivo del quadro delle conquiste culturali (innovazione) (T. Frank 1997).
.Il consumatore è attivo nell’appropriazione di processi e nella limitazione del business (A Toffler
1987).
.Il consumatore diviene ciò che consuma strutturando così la propria identità (J. Baudrillard 1979).
Il consumatore, infine, come nota N. Barile (2004), è soggetto ad un double bind batesoniano: la
marca come una madre promette felicità ad una parte di soggetti targhettizzati ma blocca le
aspettative del consumatore operando una selezione attraverso il prezzo ed altri ostacoli. In tal
modo il consumatore è dipendente dalla cultura del consumo ma nello stesso tempo tenta di
liberarsi di essa (V. Codeluppi 2010).
6.3
Il biocapitalismo, infine, oltre alle forme di occupazione/espropriazione della soggettività cui
abbiamo accennato, comprende anche una deriva che tende a saturare ulteriormente spazi di
27
28. effettiva libertà, approdando ad una contraddizione che mette in pericolo i fondamenti della
società: il rapporto sbilanciato tra economia e cultura (J. Rifkin 2000 e V. Codeluppi 2008 ) per
cui l’economia tende a fagocitare sempre di più l’ambito culturale da cui essa deriva. Un universo
in cui vengono ad affermarsi sempre nuove servitù (A. Burgio 1994) – un ordine nel quale più i
servi si sentono padroni più affermano la loro condizione servile.
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34. Pasquale Stanziale è nato a Sessa Aurunca in provincia di Caserta, laureato
in Filosofia, docente di Storia e Filosofia nei Licei, collabora con Università
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35. ed Agenzie di Formazione ed è docente di Filosofia Teoretica presso
l’ISSR “S.Pietro” di Caserta. Ha al suo attivo un’ampia pubblicistica nel
campo delle Scienze Umane. Collabora con la rivista Civiltà aurunca per
la parte socioantropologica. Tra le sue pubblicazioni Omologazioni e
anomalie (Caserta 1999), ricerca divenuta un classico degli studi locali,
Mappe dell’alienazione (Roma 1995), saggio di filosofia politica, la
traduzione del best-seller la Società dello spettacolo di G. Debord
(Viterbo 2002). Ha curato anche Il Manuale di saper vivere ad uso delle
giovani generazioni di R. Vaneigem (Viterbo 2004) ed una antologia di
autori situazionisti (Viterbo 1998). Tra le pubblicazioni più recenti Cultura
e società nel Mezzogiorno (Caserta 2007), Materiali per une’conomia
politica dell’immaginario (Civiltà Aurunca n. 2 2008-2012 Latina), Scenari
tra economia e scienze umane (Quaderni Craet n. 11 Sec Univ. Napoli 3-
2009), Cyberanalysis, (Quaderni Craet n. 14 – Sec Univ. Napoli 6-2010).
Laclau & Mouffe: egemonie, socialismo, populismo, La Sinistra Rivista-
Mothly Review 5-2013).
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