1. N. 05187/2013REG.PROV.COLL.
N. 05869/2012 REG.RIC.
N. 05962/2012 REG.RIC.
N. 06984/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5869 del 2012, proposto da: Distefano Costruzioni Srl,
rappresentata e difesa dall'avv. Aldo Loiodice, con domicilio eletto presso Aldo Loiodice in Roma,
via Ombrone, 12 Pal. B;
contro
Pandiva Srl., rappresentata e difesa dagli avv. Francesco Paparella, Marco Palieri, con domicilio
eletto presso A. Placidi in Roma, via Cosseria, 2; Walter Divella, Bieka Di Santoiemma Vincenzo
& C. S.n.c., Vincenzo Santoiemma, Superette di Calderoni Luigi, Giga di Calderoni Luigi e De
Natale Gaetano;
nei confronti di
Comune di Gioia del Colle, Regione Puglia, Apulia Supermercati Srl., Coop. Estense; sul ricorso
numero di registro generale 5962 del 2012, proposto da: Apulia Supermercati Srl, incorporante
Societa' Tintoretto Srl, Coop. Estense, rappresentate e difese dall'avv. Paolo Nitti, con domicilio
eletto presso Marco Ravaioli in Roma, via Papiniano, 29;
contro
Pandiva Srl, rappresentata e difesa dagli avv. Marco Palieri, Francesco Paparella, con domicilio
eletto presso A. Placidi in Roma, via Cosseria, 2; Walter Divella, Bieka di Santoiemma Vincenzo &
C. S.n.c., Superette di Calderoli Luigi, Giga di Calderoni Luigi e De Natale Gaetano, Regione
Puglia, Vincenzo Santoiemma; Comune di Gioia del Colle, rappresentato e difeso dagli avv.
Eugenio Matarrese, Fulvio Mastroviti, con domicilio eletto presso Andrea Botti in Roma, via Monte
Santo, 25;
sul ricorso numero di registro generale 6984 del 2012, proposto da: Pandiva Srl, rappresentata e
difesa dagli avv. Francesco Paparella, Marco Palieri, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in
Roma, via Cosseria, 2;
contro
Comune di Gioia del Colle, rappresentato e difeso dagli avv. Fulvio Mastroviti, Eugenio Matarrese,
con domicilio eletto presso Andrea Botti in Roma, via Monte Santo, 25;
nei confronti di
Tintoretto Srl, Di Stefano Costruzioni Srl, Apulia Supermercati Srl; Coop Estense Sc, rappresentata
e difesa dall'avv. Paolo Nitti, con domicilio eletto presso Marco Ravaioli in Roma, via Papiniano,
2. 29; Regione Puglia, rappresentata e difesa dall'avv. Anna Bucci, con domicilio eletto presso
Regione Puglia Delegazione in Roma, via Barberini 6; Comando Provinciale Vigili del Fuoco di
Bari, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma,
via dei Portoghesi, 12;
per la revocazione
con tutti i ricorsi ( nel caso del ricorso della Pandiva per la revocazione parziale) della sentenza del
Consiglio Di Stato - Sez. IV n. 02578/2012, resa tra le parti, concernente permesso di costruire e
autorizzazione commerciale e risarcimento danni.
Visti i ricorsi in revocazione e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Pandiva Srl., Comune di Gioia del Colle, Coop Estense
Sc, Regione Puglia e dComando Provinciale Vigili del Fuoco di Bari;
Visto l'atto di costituzione in giudizio proposto dal ricorrente incidentale Soc Distefano Costruzioni
Srl, rappresentata e difeso dall'avv. Aldo Loiodice, con domicilio eletto presso Aldo Loiodice in
Roma, via Ombrone, 12 Pal. B;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 luglio 2013 il Cons. Nicola Russo e uditi per le parti gli
avvocati Sanino, per delega dell'Avv. Loiodice, Palieri, Mastroviti, Matarrese, Nitti, Bucci e
l'Avvocato dello Stato Elefante;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso iscritto al R.g. n. 2774 del 2004 la società Pandiva a r.l., unitamente ad altri operatori
commerciali locali, impugnavano avanti al TAR Bari l’autorizzazione edilizia n. 115 del 2004,
nonché l’autorizzazione commerciale n. 4 del 2004, per violazione degli artt. 22 e 23 delle NTA del
vigente PRG del Comune di Gioia del Colle e degli artt. 4 ed 11 del regolamento comunale relativo
l’insediamento delle attività commerciali.
Il Tar Puglia Bari con sentenza n. 125 del 20 gennaio 2005 dichiarava il ricorso inammissibile, per
difetto di legittimazione ad agire dei ricorrenti per non aver fornito prova della vicinitas e dello
svolgimento di analoga attività commerciale.
Detta sentenza veniva successivamente appellata per mancata sottoscrizione del Presidente del
Collegio giudicante.
Medio tempore il giudice di prime cure rimessa la causa sul ruolo si pronunciava con sentenza n.
2066 del 9 maggio 2005, dichiarandone nuovamente l’inammissibilità.
Avverso detta decisione, i ricorrenti proponevano nuovamente appello, spiegando altresì motivi
aggiunti.
Questo Consiglio di Stato, con sentenza n. 5742 del 2006, dichiarava nulla la prima sentenza per
omessa sottoscrizione della stessa da parte del Presidente del Collegio giudicante ed inesistente la
seconda, per intervenuta consumazione del potere/dovere di decisione, con conseguente rinvio della
causa al Tar Puglia, Bari, che con sentenza n. 2393 del 2007 ne dichiarava nuovamente
l’inammissibilità, rilevando la tardività del ricorso, tenuto conto che il primo atto lesivo era da
individuarsi nella concessione edilizia del 2002, essendo il successivo permesso di costruire in
variante, un atto conseguente privo di autonomia.
Con ricorso r.g. n. 110 del 2008 i ricorrenti proponevano appello, riproponendo, oltre alle censure
già spiegate, la questione della propria legittimazione ad agire, sostenendo che, comunque, già dalle
3. visure depositate con il ricorso poteva evincersi sia la vicinitas, che la categoria merceologica delle
attività commerciali svolte.
In ordine poi alla tardività, sostenevano che il permesso di costruire in variante aveva portato
profonde modifiche sostanziali e che l’originaria concessione edilizia era ormai priva di autonoma
realizzabilità, sicché l’interesse si allaccerebbe al nuovo provvedimento, tempestivamente
impugnato.
In pendenza di giudizio di appello, il Comune di Gioia del Colle, all’esito della conferenza di
servizi, autorizzava l’apertura di un “centro commerciale di interesse locale” con provvedimento n.
16 del 10 luglio 2009, così trasformando l’originaria autorizzazione del 2004, avente ad oggetto una
media struttura di vendita (M3 alimentare e non) dalla superficie di mq 2.499, in due medie strutture
M2, di cui una alimentare e non, di mq 1.500, e l’altra esclusivamente non alimentare di mq 999,
oltre ad ulteriori esercizi di vicinato per complessivi ulteriori mq 900.
Anche questa autorizzazione veniva impugnata dinanzi al Tar Puglia, sede di Bari, che con sentenza
n. 1133 del 2010 respingeva il ricorso.
Pure avverso la predetta sentenza gli interessati interponevano appello con ricorso rubricato al r.g.
n. 6285/2010.
Sugli appelli questa Sezione si pronunciava con sentenza n. 2578 del 2012, che così disponeva:
“previa loro riunione, li accoglie e per l’effetto, in riforma delle sentenze gravate, annulla il
permesso di costruire n. 115 del 2004 e le autorizzazioni edilizie conseguenti, annulla
l’autorizzazione commerciale n. 16 del 2009. Dichiara improcedibile il ricorso in relazione
all’autorizzazione commerciale n. 4 del 2004. Salvi gli ulteriori provvedimenti
dell’amministrazione”.
Tale decisione si basa, anzitutto, sulla circostanza di aver riconosciuto a tutti i ricorrenti la
legittimazione e l’interesse ad agire in ragione della loro qualità di operatori commerciali,
potenzialmente danneggiati dall’apertura di nuove strutture commerciali; nel merito, l’accoglimento
del ricorso si basa sulla incompatibilità dell’intervento con le destinazioni di zona F1 ed F2 e per
l’avvenuto superamento dell’indice di copertura a causa del computo a tal fine di un suolo non di
proprietà del costruttore, ma solo a questi promesso in vendita attraverso un preliminare, con
conseguente annullamento del permesso di costruire n. 115 del 2004 e, stante il rilievo
dell’incompatibilità urbanistica dell’intervento, anche dell’autorizzazione commerciale n. 16 del
2009.
La società Distefano Costruzioni s.r.l., con ricorso r.g. n. 5859 del 2012, la Coop Estense e la
Apulia Supermercati con ricorso iscritto al r.g. n. 5962 del 2012, hanno chiesto la revocazione della
prefata decisione, n. 2758 del 2012 ai sensi e per gli effetti dell’art. 395, nn. 1 e 6 c.p.c. e 106 c.p.a..
Anche la Pandiva s.r.l., con ricorso iscritto r.g. n. 6984 del 2012, ha chiesto la parziale revocazione
della medesima sentenza, limitatamente al capo relativo alla omessa pronuncia sulla domanda
risarcitoria “formulata con il ricorso r.g. 110/2008”, nella misura di euro 707.051,74, come indicata
nella CTP del 23.03.2007 a firma dell’ing. Mauro Mastrovito, ovvero quella ritenuta di giustizia,
anche previa CTU, ove occorra, oltre interessi e rivalutazione monetaria come per legge.
All’udienza del 2 luglio 2013, le cause, chiamate congiuntamente per la trattazione, sono state
trattenute in decisione.
DIRITTO
Preliminarmente, tenuto conto della connessione esistente tra i tre ricorsi e che trattasi della
impugnazione per revocazione della medesima sentenza, gli stessi possono essere riuniti per essere
decisi unitamente, ai sensi dell’art. 96, comma 1, c.p.a..
Quanto ai ricorsi nn. 5869 e 5962 del 2012.
4. La richiesta delle predette società si sostanzia in due censure, con cui, nella prima, si rileva la errata
percezione e travisamento degli atti e documenti processuali da parte del giudice in ordine ai tre
permessi di costruire rilasciati dal Comune di Gioia del Colle (artt. 395 n. 4 c.p.c. e 106 c.p.a.), e
nella seconda si sostiene che la revocanda decisione sia l’effetto del dolo dei ricorrenti in danno
delle altre parti processuali (artt. 395 n. 1 c.p.c. e 106 c.p.a.).
In particolare, con la prima censura la società Distefano ritiene che la sentenza sia incorsa
nell’errore di attribuire al permesso di costruire n. 115 del 2004 (il terzo) rilevanti variazioni
volumetriche e di superficie dell’immobile che erano semmai da attribuire al secondo permesso di
costruire n. 118 del 2002, non annullato perché non impugnato tempestivamente.
Quanto alla seconda censura essa si riferisce all’errore di aver riconosciuto l’interesse ad agire di
tutti i ricorrenti, indotto dal dolo dei ricorrenti, che avrebbero sottaciuto la circostanza di aver
cessato l’esercizio della propria attività commerciale ben prima dell’udienza di merito del 27 marzo
2012 dinanzi a questo Consiglio, ciò essendo provato documentalmente dal deposito delle visure. Si
sostiene che il complesso delle condotte dolosamente tenute dai ricorrenti al fine di nascondere o
alterare la verità dei fatti in ordine alla propria legittimazione è stato tale da falsare obiettivamente
l’esito del giudizio.
Quanto al ricorso iscritto al n. r.g. 6984 del 2012 la soc. Pandiva rimarca, anzitutto,
l’inammissibilità dei ricorsi avversari iscritti con r.g. n. 5869 del 2012 e 5962 del 2012,
evidenziando in particolare che le censure addotte dalle controparti non atterrebbero ad un punto
controverso, in quanto il giudice si sarebbe adeguatamente espresso, e che l’esame approfondito
della complessiva documentazione prodotta dalle controparti richiederebbe un vero e proprio terzo
grado di giudizio, non previsto e non consentito dalla legge.
La Pandiva prosegue sostenendo che nella sentenza n. 2578/2012 il giudice avrebbe, tuttavia,
omesso di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria da essa formulata; ed in considerazione di ciò
sostiene che tale omessa pronuncia su una domanda ritualmente formulata consentirebbe
l’impugnazione per revocazione.
Ciò con riferimento alla fase rescindente, mentre con riferimento alla fase rescissoria, per quanto
riguarda la “colpa” dell’Amministrazione, afferma che la prevalente e consolidata giurisprudenza,
pur escludendo ogni automatismo, ritiene che essa possa e debba presumersi in caso di riconosciuta
illegittimità dei provvedimenti annullati, salvo prova contraria fornita da chi vi abbia interesse.
Alle richieste avanzate dalla soc. Pandiva replicano la Regione Puglia ed il Comune di Gioia del
Colle, eccependone la inammissibilità: la Regione, in quanto nessuna richiesta di risarcimento è
stata mai rivolta nei propri confronti, per cui dichiara di non accettare il contraddittorio su tale
domanda; ed il Comune in quanto la domanda risarcitoria sarebbe preclusa dalla declaratoria di
improcedibilità della domanda di annullamento dell’autorizzazione commerciale n. 4/2004;
entrambe eccepiscono, comunque, l’inammissibilità per assoluta mancanza di allegazione di ogni
supporto probatorio.
I ricorsi per revocazione sono inammissibili.
Occorre premettere che, come di recente ribadito dall’Adunanza Plenaria (cfr. Cons. St., Ad. Plen.,
17 maggio 2010, n. 2 e 10 gennaio 2013, n. 1), la giurisprudenza del Consiglio di Stato e quella
della Corte di Cassazione hanno pressoché univocamente individuato le caratteristiche dell’errore di
fatto revocatorio, che, ai sensi rispettivamente dell’art. 81 n. 4 del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, ora
dell’art. 106 c.p.a., e dell’art. 395, comma 4, c.p.c., può consentire di rimettere in discussione il
contenuto di una sentenza; i limiti a questo tipo di ricorso sono stati evidenziati (nell’azione
giurisprudenziale di pertimetrazione di cui sopra) per evitare che il distorto utilizzo di tale rimedio
straordinario dia luogo ad un inammissibile ulteriore grado di giudizio di merito, non previsto e non
ammesso dall’ordinamento.
5. E’ stato più volte ribadito che l’errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione, ai sensi
delle citate disposizioni normative, deve essere caratterizzato: a) dal derivare da una pura e
semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la
quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto,
facendo cioè ritenere esistente un fatto documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto
documentalmente provato; b) dall’attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non
abbia espressamente motivato; c) dall’essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare,
necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa
(Cons. St., sez. III, 1° ottobre 2012, n. 5162; 24 maggio 2012, n. 3053; sez. IV, 24 gennaio 2011, n.
503, 23 settembre 2008, n. 4607; 16 settembre 2008, n. 4361; 20 luglio 2007, n. 4097; e meno
recentemente, 25 agosto 2003, n. 4814; 25 luglio 2003, n. 4246; 21 giugno 2001, n. 3327; 15 luglio
1999 n. 1243; C.G.A., 29 dicembre 2000 n. 530; sez. VI, 9 febbraio 2009, n, 708; 17 dicembre
2008, n. 6279; C.G.A., 29 dicembre 2000, n. 530; Cass. Civ., sez. I, 24 luglio 2012, n. 12962; 5
marzo 2012, n. 3379; sez. III, 27 gennaio 2012, n. 1197).
L’errore deve inoltre apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità
di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche (Cons. St., sez. VI 25 maggio 2012, n. 2781; 5
marzo 2012, n. 1235).
L’errore di fatto revocatorio si sostanzia, quindi, in una svista o abbaglio dei sensi, che abbia
provocato l’errata percezione del contenuto degli atti del giudizio (ritualmente acquisiti in causa),
determinando un contrasto tra due diverse proiezioni dello stesso oggetto, l’una emergente dalla
sentenza e l’altra risultante dagli atti e documenti della causa: esso pertanto non può (e non deve)
confondersi con quello che coinvolge l’attività valutativa del giudice, il peculiare rimedio previsto
dal legislatore costituendo lo strumento per eliminare l’ostacolo materiale che si frappone tra la
realtà del processo e la percezione che di essa ha avuto il giudicante, proprio a causa della svista o
abbaglio dei sensi (Cons. St., sez. III, 1° ottobre 2012, n. 5162; sez. VI, 2 febbraio 2012, n. 587; 1
dicembre 2010, n. 8385).
Pertanto, l’errore di fatto revocatorio è configurabile nell’attività preliminare del giudice di lettura e
percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza ed al significato letterale [senza
coinvolgere la successiva attività d’interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e
delle eccezioni ai fini della formazione del convincimento, così che rientrano nella nozione
dell’errore di fatto, di cui all’art. 395, n. 4), c.p.c., i casi in cui il giudice, per svista sulla percezione
delle risultanze materiali del processo, sia incorso in omissione di pronunzia o abbia esteso la
decisione a domande o ad eccezioni non rinvenibili negli atti del processo: Cons. St., sez. III, 24
maggio 2012, n. 3053],; esso errore, invece, non ricorre nell’ipotesi di erroneo, inesatto o
incompleto apprezzamento delle risultanze processuali, oppure di anomalia del procedimento logico
di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta
sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione
acquisita, tutte ipotesi queste che danno luogo, se mai, ad un errore di giudizio, non censurabile
mediante la revocazione (che altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore grado di giudizio, non
previsto dall’ordinamento: Cons. St., sez. III, 8 ottobre 2012, n. 5212; sez. V, 26 marzo 2012, n.
1725; sez. VI, 2 febbraio 2012, n. 587; 15 maggio 2012, n. 2781; 16 settembre 2011, n. 5162; Cass.
Civ., sez. I, 23 gennaio 2012, n. 836; sez. II, 31 marzo 2011, n. 7488).
L’istituto della revocazione, infatti, in quanto rimedio eccezionale, non può e non deve convertirsi,
lo si ripete, in un terzo grado di giudizio (Cons. St., sez. IV, 8 gennaio 2013, n. 41; id., 24 gennaio
2011, n. 503).
Ciò posto, nella fattispecie sottoposta all’esame, non si rinvengono affatto gli estremi dell’errore di
fatto revocatorio, secondo le caratteristiche delineate dal ricordato indirizzo giurisprudenziale.
E, infatti, le censure attengono proprio a punti controversi sui quali la decisione impugnata per
revocazione ha espressamente motivato, involgendo peraltro attività valutative del giudice circa le
6. risultanze processuali, con particolare riferimento alla portata sostanziale dei diversi provvedimenti
amministrativi oggetto di impugnazione, nonché alla ricostruzione, secondo i consueti canoni
ermeneutici, della legittimazione e dell’interesse ad agire dei ricorrenti.
I fatti oggetto degli asseriti errori, pertanto, costituiscono altrettanti punti controversi, sui quali la
sentenza impugnata per revocazione si è espressamente pronunciata, per cui il giudizio revocatorio
su tali fatti finirebbe per trasformarsi in un ulteriore - e non consentito - grado di giudizio.
Né può configurare errore revocatorio ammissibile la circostanza che il giudicante abbia dato una
lettura ed un’interpretazione degli atti e dei documenti di causa difforme da quella proposta da una
delle parti, dal momento che tale attività esegetica rientra nell’alveo proprio dell’esercizio del
potere giurisdizionale e, come tale, non è suscettibile di sindacato con il ricorso per revocazione
(cfr. Cons. St., sez. VI, 20 luglio 2011, n. 4305).
Quanto all’asserito dolo delle parti ricorrenti in danno delle altre (art. 395 n. 1 c.p.c.), costituisce ius
receptum che il dolo processuale revocatorio presuppone un’attività intenzionalmente fraudolenta,
che si concretizzi in artifici o raggiri soggettivamente diretti e oggettivamente idonei a paralizzare la
difesa avversaria e a impedire al giudice l’accertamento della verità, pregiudicando l’esito del
processo, a nulla rilevando la mera violazione dell’obbligo di lealtà e probità previsto dall’art. 88
c.p.c. ovvero il solo mendacio, le false allegazioni o le reticenze (cfr. Cons. St., sez. II, 11 luglio
2007, n. 2230); pertanto, non sono idonei a realizzare simile fattispecie, che richiede l’allegazione
di un’attività deliberatamente fraudolenta - il che nel caso di specie non è avvenuto -, la semplice
allegazione di fatti non veritieri favorevoli alla propria tesi, il silenzio su fatti decisivi della
controversia o la mancata produzione di documenti, tutte condotte, queste, che semmai possono
essere censurabili sotto il profilo della lealtà e correttezza processuale, ma non pregiudicano il
diritto di difesa della controparte, la quale resta pienamente libera di avvalersi dei mezzi offerti
dall’ordinamento al fine di pervenire all’accertamento della verità (cfr. Cons. St., sez. III, 31
maggio 2010, n. 3127; C.G.A., 29 giugno 2005, n. 401).
I primi due ricorsi per revocazione sono, pertanto, inammissibili.
Quanto al terzo ricorso per revocazione “parziale” - in quanto, a parti invertite, è la parte vittoriosa
in giudizio che deduce l’omessa pronuncia sulla domanda risarcitoria ritualmente formulata -, si
osserva quanto segue.
L’omissione di pronuncia su domande o eccezioni delle parti, invero, sebbene costituisca, di per sé,
violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato sancito dall’art. 112 c.p.c.,
o comunque difetto di motivazione, non elimina la rilevanza del processo causale che ha
determinato l’evento omissivo e non esclude che l’omissione di pronuncia possa essere fatta valere
non ex se, ma come risultato di un vizio della formazione del giudizio e, quindi, errore di fatto
revocatorio, atteso che nel caso di omessa pronuncia errore revocatorio e violazione del principio di
corrispondenza tra chiesto e pronunciato non sono in relazione di alternatività, ma il primo è
possibile fonte della seconda (cfr. Cons. St., sez. III, 24 maggio 2012, n. 3053; id., sez. VI, 20 luglio
2011, n. 4305; id., 29 gennaio 2008, n. 241).
L’omessa pronuncia su un vizio deve essere accertata con riferimento alla motivazione della
sentenza nel suo complesso, senza privilegiare gli aspetti formali, cosicché essa può ritenersi
sussistente soltanto nell’ipotesi in cui risulti non essere stato esaminato il punto controverso e non
quando, al contrario, la decisione sul motivo risulti implicitamente da un’affermazione decisoria di
segno contrario ed incompatibile (cfr. Cons. St., sez. IV, 17 dicembre 2012, n. 6455; id., sez. VI, 6
maggio 2008, n. 2009), oppure quando la pronuncia su di esso c’è stata, ma è stata resa con una
motivazione che non prendeva specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte a
sostegno del motivo di doglianza (cfr. Cons. St., sez. VI, 21 aprile 2009, n. 2414).
7. Tanto premesso, la ricorrente deduce che la sentenza impugnata, “ineccepibile per l’accoglimento
della domanda di annullamento…”, “ha tuttavia omesso di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria
formulata … con il ricorso R.G. n. 110/2008”.
In ordine a tale ricorso n. 110/2008, la sentenza impugnata, al punto 8, così recita: “L’accoglimento
dei sopradetti motivi è sufficiente a dare completa soddisfazione alla domanda degli appellanti, non
occorrendo l’analitica disamina delle altre censure di natura urbanistica, comunque non decisive,
avuto anche riguardo alla radice squisitamente commerciale dell’interesse che le anima”.
Quanto all’autorizzazione commerciale n. 4/2004, provvedimento causativo del preteso danno
concorrenziale oggetto della domanda risarcitoria (che si appunta sulle annualità dal 2003 al 2007:
cfr. ricorso per revocazione pagg. 4 e ss.), la sentenza della cui revocazione si tratta così statuisce al
punto 9: “In ordine ai residui motivi, relativi ai vizi propri dell’autorizzazione commerciale n.
4/2004, deve rilevarsi che a quest’ultima ha fatto seguito l’autorizzazione n. 16 del 10 luglio 2009,
con la quale il Comune di Gioia del Colle ha autorizzato l’apertura di un “Centro commerciale di
interesse locale” (insediamento previsto dall’art. 2 del reg. reg. 1/2004 e dall’art. 5 del
regolamento comunale approvato con deliberazione consiliare n. 18 del 2006) sulla base della
scissione dell’originaria media struttura di vendita (M3 alimentare e non) già assentita con l’aut.
4/2004 in due medie strutture (M2 – l’una alimentare e non, e l’altra sono non alimentare),
integrate da ulteriori esercizi di vicinato. Tale ultimo provvedimento costituisce l’oggetto del
giudizio n.6285/2010. Esso determina l’improcedibilità dei motivi aventi ad oggetto
l’autorizzazione commerciale sostituita, ed impone invece di concentrare lo scrutinio sulla più
recente controversia”.
La Sezione ha, dunque, dichiarato improcedibile la domanda di annullamento dell’autorizzazione
commerciale n. 4/2004, fonte dei danni lamentati dai ricorrenti, e, quanto alla successiva
autorizzazione n. 16 del 2009, oggetto del giudizio n. 6285 del 2010, ha così ritenuto nel capo 10:
“…l’accoglimento di una parte delle censure di carattere urbanistico, giusto quanto sopra
disposto, all’esito dell’odierno giudizio, richiamato in funzione preclusiva dal primo giudice, elide
in radice la questione problematica. L’appellante può cioè giovarsi del giudicato su tali questioni,
semplicemente evidenziandone le ricadute vizianti sull’autorizzazione commerciale da ultimo
rilasciata. Essa è illegittima in ragione dell’incompatibilità urbanistica delle strutture ove è
insediato il centro commerciale ed esercitata l’attività di vendita. Inutile, in quanto non decisivo,
l’esame delle ulteriori censure di natura commerciale pure riproposte dall’appellante”.
Appare evidente, dunque, ad avviso del Collegio, che dalla lettura integrale della sentenza qui
parzialmente impugnata per revocazione, si evince che essa:
1) ha ritenuto, in maniera espressa, come integralmente satisfattiva (“completa soddisfazione”) della
pretesa azionata dai ricorrenti la pronuncia di accoglimento di alcuni motivi, riguardanti gli aspetti
urbanistici, con declaratoria di assorbimento degli altri, ivi compresi quelli di natura squisitamente
commerciale;
2) ha ritenuto con ciò, dunque, come integralmente satisfattiva la pronuncia di accoglimento della
domanda di annullamento della (nuova) autorizzazione commerciale, evidentemente in tal modo
ritenendo di dover accogliere (solamente) la domanda di risarcimento del danno in forma specifica
(annullamento del provvedimento lesivo), in quanto ritenuta misura idonea a tutelare l’interesse
azionato in giudizio, e, pertanto, sia pur implicitamente, di dover rigettare quella di risarcimento del
danno per equivalente. E, invero, l’art. 34, comma 1 lett. c) del c.p.a., quanto al possibile contenuto
delle sentenze (di merito) di condanna, stabilisce che questa può avere riguardo “al pagamento di
una somma di denaro, anche a titolo di risarcimento del danno, all’adozione delle misure idonee a
tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio e dispone misure di risarcimento in
forma specifica ai sensi dell’art. 2058 del codice civile”.
8. Ad avviso del Collegio, dunque, quel tipo di omissione di motivazione, che ricorre quando - come
nella specie - domande ed eccezioni siano state volutamente disattese dall’organo giudicante,
fornendosi, però, un implicito ma chiaro ragionamento che giustifichi il mancato pronunciamento al
riguardo, si pone al di fuori dell’errore di fatto revocatorio.
Per le suesposte considerazioni, i tre ricorsi per revocazione, previamente riuniti, devono
essere dichiarati inammissibili.
Stante la reciproca soccombenza, sussistono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione
fra le parti delle spese, competenze ed onorari della presente fase.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sui
ricorsi per revocazione, come in epigrafe proposti e previamente riuniti, li dichiara inammissibili.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 luglio 2013 con l'intervento dei
magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Nicola Russo, Consigliere, Estensore
Fabio Taormina, Consigliere
Diego Sabatino, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
L'ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/10/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
IL PRESIDENTE