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Fausto Intilla

 Androidi




       Prima edizione: Gennaio 2010

          © 2010 by Fausto Intilla
  Pubblicazione privata, non commerciale.
Disponibile solo ed esclusivamente in formato
             elettronico (e-book).




        WWW.OLOSCIENCE.COM
Una nota importante:
Questo libro, è il frutto di una raccolta di testi (riportati
fedelmente nella loro forma originale), immagini e
informazioni tratte prevalentemente dal Web. Alla fine
di ogni paragrafo, sarà mia premura quindi, fornire ai
lettori tutti i link relativi alla sitografia specifica da cui
sono state tratte le informazioni.



Il contenuto:

Nel libro viene presentato il percorso evolutivo degli
automi artificiali, dall’antichità sino ai tempi moderni.
Verrà quindi descritto il loro progressivo sviluppo, dai
tempi in cui era possibile parlare solo di funzionalità
meccaniche di tali congegni artificiali, sino ai giorni
nostri, in cui la meccanica di questi automi (chiamati
sempre più comunemente androidi o ginoidi, poichè
sempre più spesso vengono costruiti con sembianze
umane) si fonde con il mondo della bioingegneria,
attraverso elementi costruttivi e costitutivi le cui basi
poggiano sui moderni concetti di neuro-robotica e
cibernetica.
Verranno inoltre esaminati i possibili risvolti di una
futura interazione tra esseri umani e automi artificiali,
quando questi ultimi saranno ormai così numerosi, da
rappresentare una vera e propria società parallela a
quella umana.
INDICE




Parte I

I primi automi della storia: dalle idee di Leonardo a
quelle di Jacques de Vaucanson.                       04

Qualche passo nella fantascienza: da Frankenstein di
Mary Shelley ai replicanti di Philip K. Dick.     23

Dalla robotica umanoide agli organismi cibernetici.38


Parte II

Bioingegneria e sistemi neuro-robotici.              83

Sviluppo e tecnologia dei moderni automi: dagli
androidi della Hanson Robotics a quelli del Prof.
Hiroshi Ishiguro.                                 109

Il futuro degli esseri umani: evoluzione e convivenza
con i robot.                                       126
I primi automi della storia: dalle idee di
 Leonardo a quelle di Jacques de Vaucanson.




            “Per inventare hai bisogno di una buona
        immaginazione e di una pila di cianfrusaglie”.
                                Thomas Alva Edison



L’automa cavaliere di Leonardo Da Vinci.

Gli automi ebbero una fase di grande sviluppo in
seguito alla riscoperta della cultura greca durante il
Rinascimento. Oltre ai progressi nella filosofia della
scienza e in discipline come astronomia, matematica e
geometria,     ci     furono     diversi  avanzamenti
tecnologici. La riscoperta degli scritti di scienziati
come Ctesibio ed Erone di Alessandria, così come
quelli di Filone di Bisanzio, fortunatamente conservati
a opera degli arabi e dei bizantini, ebbe sicuramente
influenza sugli studiosi rinascimentali.

È ormai entrato nell’immaginario comune che tra i
tantissimi progetti di Leonardo ci sia anche quello di
un “cavaliere meccanico”. La prima vera tecnologia
degli automi meccanici si può far risalire al medioevo,
quando si cominciano a costruire le prime figure
mobili che arricchivano i campanili e gli orologi delle
chiese.
Il primo progetto documentato di un androide è firmato
appunto da Leonardo da Vinci e risale al 1495 circa:
appunti riscoperti negli anni cinquanta nel codice
Atlantico1 e in piccoli taccuini tascabili databili intorno
al 1495-1497 mostrano disegni dettagliati per un
cavaliere meccanico in armatura, che era
apparentemente in grado di alzarsi in piedi, agitare le
braccia e muovere testa e mascella, emettendo suoni
dalla bocca grazie ad un sofisticato meccanismo di
percussioni collocato all'altezza del petto. L'automa
cavaliere di Leonardo era probabilmente previsto per
animare una delle feste alla corte sforzesca di Milano,
tuttavia non è dato sapere se fu realizzato o meno.

 Il primo a identificarlo nascosto tra i disegni vinciani è
stato Carlo Pedretti, nel 1957. Nel 1974, a firma di
Ladislao Reti, il cavaliere meccanico viene citato
nuovamente, nell’edizione da lui curata del Codice
Madrid. Per arrivare a un tentativo di ricostruzione,
bisogna attendere il 1996: Mark Rosheim pubblica
infatti un suo studio e poi collabora con l’Istituto e
Museo di Storia della Scienza di Firenze, che in una

1
  Il codice Atlantico è la più ampia raccolta di disegni e scritti di
Leonardo da Vinci, comprendente 1119 fogli raccolti in 12
volumi, ed è attualmente conservato alla Biblioteca Ambrosiana
di Milano. Il nome del codice è dovuto alla dimensione delle
pagine (64,5 x 43,5 cm), simile a quella delle pagine di un atlante.
I fogli sono assemblati senza un ordine preciso ed abbracciano un
lungo periodo degli studi leonardeschi, dal 1478 al 1519. Sono
presenti diversi argomenti: anatomia, astronomia, botanica,
chimica, geografia, matematica, meccanica, disegni di macchine,
studi sul volo degli uccelli e progetti d'architettura.
sua mostra dedicherà così una sezione al robot studiato
da Rosheim. Ma sarà solo nel 2002 che Rosheim
costruirà un modello fisico completo, per un
documentario della BBC. Da allora, in molte mostre e
musei di modelli vinciani si può trovare una copia di
un soldato con rotelle chiamato “il robot di Leonardo”.
Gli studi sull’argomento riferiscono che i manoscritti
del progetto del robot di Leonardo si trovano nel
Codice Atlantico, soprattutto sul foglio 579r. Ulteriori
ricerche individuano anche i fogli 1077r, 1021r e
1021v come possibile fonte dei meccanismi di questo
misterioso robot umanoide.




  Modello dell'automa cavaliere di Leonardo e (a fianco) i suoi
  meccanismi interni (esposizione Leonardo da Vinci. Mensch -
                 Erfinder - Genie, Berlino 2005)

L'automa di Leonardo, che era il frutto delle ricerche
dei precedenti studi di anatomia e cinetica registrati nel
Codice Huygens, rispettava nelle proporzioni il canone
delle proporzioni dell'Uomo vitruviano. È stato
ipotizzato (secondo voci raccolte da Vasari, Lomazzo e
Buonarroti) che Leonardo abbia anche lavorato ad un
automa a forma di leone, di cui però non esiste alcuna
testimonianza diretta.

Il primo “automa funzionante”

La fine del XVIII secolo e il XIX secolo vede fiorire la
moda degli automi meccanici, concepiti soprattutto
come sofisticati giocattoli, ma talvolta assai
perfezionati. Il primo automa funzionante conosciuto
venne creato nel 1738 da Jacques de Vaucanson2, che
fabbricò un automa che suonava il flauto, così come


2
  Jacques de Vaucanson (Grenoble, 1709 – Parigi, 1782) è stato
un inventore e meccanico francese. Inventore del primo telaio
automatico. Costruì il suo primo meccanismo automatico nel
1737. Nel 1751 inventò una ruota automatica per la dipanatura
che utilizzava la tessitura a spina di pesce. Più tardi creò il primo
telaio interamente automatico, di cui fu costruito un modello nel
1745. Tra i suoi congegni mise a punto elementi meccanici che
sono tuttora utilizzati per le macchine utensili. Vaucanson è
inoltre famoso per aver costruito alcuni automi, tra i quali un
piccolo flautista completamente automatizzato dotato di labbra
mobili, una lingua meccanica che fungeva da valvola per il flusso
dell'aria e dita mobili le cui punte in pelle aprivano e chiudevano i
registri del flauto. Ma la sua più grande opera fu un'anatra, un
automa di tale versatilità da non essere ancora stato superato.
L'anatra poteva bere acqua con il becco, mangiare semi di grano e
replicare il processo di digestione in una camera speciale, visibile
agli spettatori; ognuna delle sue ali conteneva quattrocento parti in
movimento, che potevano simulare alla perfezione tutte le
movenze di un'anatra vera. Voltaire fu cosi colpito da questi
automi da battezzare Vaucanson "il rivale di Prometeo". Nel 1746
fu ammesso all'Accademia delle Scienze.
un'anatra meccanica che, secondo le testimonianze,
mangiava e defecava.

Alla fine del Settecento ad un inventore ungherese, il
barone Wolfgang Von Kempelen, fu attribuita
l'ideazione di un automa in grado di giocare a scacchi,
Il Turco, poi rivelatosi (nel 1857) un elaborato
imbroglio. Tra il 1770 ed il 1773 due inventori, Pierre
e     Henri-Louis      Jaquet-Droz,    costruirono  tre
sorprendenti automi: uno scrivano, un disegnatore ed
un musicista (ancora funzionanti, si trovano nel Musèe
d'Art et d'Histoire di Neuchâtel in Svizzera).




   Le Canard digérateur (l'anatra digeritrice) di Jacques de
 Vaucanson, salutato nel 1739 come il primo automa capace di
                          digestione.
Automi nell’antichità

Gli automi nel mondo ellenistico erano concepiti come
giocattoli, idoli religiosi per impressionare i fedeli o
strumenti per dimostrare basilari principi scientifici,
come quelli costruiti da Ctesibio, Filone di Bisanzio
(III secolo a.C.) ed Erone di Alessandria (I secolo).
Quando gli scritti di Erone su idraulica, pneumatica e
meccanica, conservati a opera degli arabi e dei
bizantini, furono tradotti in latino nel Cinquecento e in
italiano, i lettori iniziarono a ricostruire le sue
macchine, tra cui sifoni, un idrante, un organo
idraulico, l'eolipila3 e, appunto, gli automi, sulla cui


3
   L'eolipila può essere considerato l'antenato della macchina a
vapore. Ideato nel I secolo dal matematico e scienziato greco
Erone il vecchio, è costituita da una sfera (probabilmente
metallica), che si mantiene in rotazione per effetto del vapore
contenuto al suo interno, che fuoriesce con forza da due tubi
sottili a forma di “L”. Una sfera cava di rame è collegata con due
tubicini ricurvi che si dipartono da due punti estremi della sfera
posti sullo stesso asse diametrale. I tubicini terminano con due
brevi tratti rettilinei paralleli tra loro, ma situati rispetto all'asse
diametrale, da parti opposte. Uno dei tubicini è saldato alla sfera,
l'altro può essere svitato per riempire d'acqua la sfera. Ambedue
terminano con un forellino. La sfera può ruotare attorno ad un
asse diametrale orizzontale per mezzo di due supporti sostenuti da
due colonne sagomate di legno, poste su una larga base di legno.
Riempita di acqua la sfera, la si riscalda con la fiamma. Quando il
liquido raggiunge una temperatura sufficientemente elevata, il
getto del vapore dagli orifizi pone in rotazione la sfera intorno
all'asse diametrale orizzontale. Il verso del moto è naturalmente
opposto a quello dei getti. La eolipila fu ideata da Erone di
Alessandria, celebre matematico ed ingegnere del I secolo d.C.
costruzione Erone aveva scritto uno dei suoi trattati di
maggior successo, Automata, in cui egli illustra teatrini
automatici dotati di moto autonomo, rettilineo o
circolare, per tutta la durata dello spettacolo.

Si conosce l'esistenza di complessi dispositivi
meccanici nella Grecia antica, benché l'unico
esemplare sopravvissuto sia la Macchina di Anticitera4.


4
   La macchina di Anticitera (greco moderno: O µηχανισµός των
Αντικυθήρων, O michanismós ton Andikithíron), nota anche come
meccanismo di Antikythera, è il più antico calcolatore
meccanico conosciuto, databile intorno al 150-100 a.C. Si tratta di
un sofisticato planetario, mosso da ruote dentate, che serviva per
calcolare il sorgere del sole, le fasi lunari, i movimenti dei cinque
pianeti allora conosciuti, gli equinozi, i mesi, i giorni della
settimana e - secondo un recente studio pubblicato su Nature - le
date dei giochi olimpici. Trae il nome dall'isola greca di Anticitera
(Cerigotto) presso cui è stata rinvenuta. È conservata presso il
Museo archeologico nazionale di Atene. Il meccanismo fu
ritrovato nel 1900 grazie alla segnalazione di un gruppo di
pescatori di spugne che, persa la rotta a causa di una tempesta,
erano stati costretti a rifugiarsi sull'isoletta rocciosa di Cerigotto.
Al largo dell'isola, alla profondità di circa 43 metri, scoprirono il
relitto di un'enorme nave affondata, risalente all'87 a.C. e adibita
al trasporto di statue in bronzo e marmo. Il 17 maggio 1902
l'archeologo Spyridon Stais, esaminando i reperti recuperati dal
relitto, notò che un blocco di pietra presentava un ingranaggio
inglobato all'interno. Con un più approfondito esame si scoprì che
quella che era sembrata inizialmente una pietra era in realtà un
meccanismo fortemente incrostato e corroso, di cui erano
sopravvissute tre parti principali e decine di frammenti minori. Si
trattava di un'intera serie di ruote dentate, ricoperte di iscrizioni,
facenti parte di un elaborato meccanismo ad orologeria. La
macchina era delle dimensioni di circa 30 cm per 15 cm, dello
spessore di un libro, costruita in bronzo e originariamente montata
in una cornice in legno. Era ricoperta da oltre 2.000 caratteri di
scrittura, dei quali circa il 95% è stato decifrato (il testo completo
dell'iscrizione non è ancora stato pubblicato). Il meccanismo è
attualmente conservato nella collezione di bronzi del Museo
archeologico nazionale di Atene, assieme alla sua ricostruzione.
Alcuni archeologi sostennero che il meccanismo era troppo
complesso per appartenere al relitto ed alcuni esperti dissero che i
resti del meccanismo potevano essere fatti risalire ad un planetario
o a un astrolabio. Le polemiche si susseguirono per lungo tempo
ma la questione rimase irrisolta. Solo nel 1951 i dubbi sul
misterioso meccanismo cominciarono ad essere svelati.
Quell'anno infatti il professor Derek de Solla Price cominciò a
studiare il congegno, esaminando minuziosamente ogni ruota ed
ogni pezzo e riuscendo, dopo circa vent'anni di ricerca, a
scoprirne il funzionamento originario. Il meccanismo risultò
essere un antichissimo calcolatore per il calendario solare e
lunare, le cui ruote dentate potevano riprodurre il rapporto di
254:19 necessario a ricostruire il moto della Luna in rapporto al
Sole (la Luna compie 254 rivoluzioni siderali ogni 19 anni solari).
L'estrema complessità del congegno era inoltre dovuta al fatto che
tale rapporto veniva riprodotto tramite l'utilizzo di una ventina di
ruote dentate e di un differenziale, un meccanismo che permetteva
di ottenere una rotazione di velocità pari alla somma o alla
differenza di due rotazioni date. Il suo scopo era quello di
mostrare, oltre ai mesi lunari siderali, anche le lunazioni, ottenute
dalla sottrazione del moto solare al moto lunare siderale. Sulla
base della sua ricerca, Price concluse che, contrariamente a quanto
si era creduto in precedenza, nella Grecia del II secolo a.C.
esisteva effettivamente una tradizione di altissima tecnologia. Il
meccanismo di Anticitera, nonostante non trovi pari sino alla
realizzazione dei primi calendari meccanici successivi al 1050,
rimane comunque perfettamente integrato nelle conoscenze del
periodo tardo ellenistico: vi sono rappresentati solo i cinque
pianeti visibili ad occhio nudo ed il materiale usato è un metallo
facilmente lavorabile. Ad Alessandria d'Egitto infatti durante
l'ellenismo operarono molti studiosi che si dedicarono anche ad
aspetti tecnologici realizzando macchine come quella a vapore di
Erone. A Siracusa inoltre già dal 213 a.C. Cicerone cita la
presenza di una macchina circolare costruita da Archimede con la
quale si rappresentavano i movimenti del Sole, dei pianeti e della
In origine si pensava provenisse da Rodi, dove sembra
esistesse una tradizione di ingegneria meccanica;
l'isola era rinomata per i suoi automi. Informazioni
ricavate da recenti esami del frammento indicano che
potrebbe essere proveniente dalle colonie di Corinto in
Sicilia, il che indicherebbe una connessione con
Archimede. Vi sono inoltre esempi dal mito: Dedalo
utilizzò l'argento vivo per installare una voce nelle sue
statue. Efesto creò automi per il suo laboratorio: Talo,
un uomo artificiale di bronzo e, secondo Esiodo, la
donna Pandora. Nell'antica Cina un curioso resoconto
sugli automi si trova nel testo del Libro del Vuoto
Perfetto5 (Liè Zĭ) scritto nel III secolo a.C.. In esso vi è
una descrizione di un più antico incontro tra re Mu del


Luna, nonché delle sue fasi e delle eclissi. Tuttavia l'unicità del
meccanismo di Anticitera risiede nel fatto che è l'unico congegno
progettato in quel periodo arrivato sino ai giorni nostri e non
rimasto nel limbo delle semplici "curiosità". Il meccanismo di
Anticitera è a volte citato tra i casi di OOPArt (Out of place
artifacts), i cosiddetti "manufatti fuori dal tempo", dai sostenitori
dell'archeologia misteriosa, i quali non vi riconoscono un artefatto
scientifico ellenistico.



5
  Il Liezi 列 , pinyin Liè Zĭ o Lieh Tzu è un testo taoista che era
              列
incluso nel catalogo della libreria imperiale con il nome di
                                       ?
Trattato del Vuoto Perfetto 冲 经 . L'autore del testo è Lie
                                    冲
Yukou, spesso chiamato lui stesso Lie Zi. L'opera completa la
famosa trilogia taoista insieme ai testi del più famoso Lao Zi,
fondatore della religione, e di Zhuang Zi. È generalmente
considerato il più pratico dei testi taoisti, se comparato alle
scritture filosofiche di Lao Zi e ai poemi narrativi di Zhuang Zi.
regno di Zhou (1023-957 a.C.) e un ingegnere
meccanico chiamato Yan Shi, un 'artefice'.

“Il re rimase stupito alla vista della figura. Camminava
rapidamente, muovendo su e giù la testa, e chiunque
avrebbe potuto scambiarlo per un essere umano vivo.
L'artefice ne toccò il mento e iniziò a cantare
perfettamente intonato. Toccò la sua mano e mimò delle
posizioni tenendo perfettamente il tempo... Verso la fine
della dimostrazione, l'automa ammiccò e fece delle
avance ad alcune signore lì presenti, il che fece infuriare
il re che avrebbe voluto Yen Shih [Yan Shi] giustiziato
sul posto ed egli, per la paura mortale, istantaneamente
ridusse in pezzi l'automa al fine di spiegarne il suo
funzionamento. E, in effetti, dimostrò che l'automa era
fatto con del cuoio, del legno, della colla e della lacca,
bianco, nero, rosso e blu. Esaminandolo più da vicino il
re vide che erano presenti tutti gli organi interni: un
fegato completo, una cistifellea, un cuore, dei polmoni,
una milza, dei reni, lo stomaco ed un intestino. Inoltre
vide che era fatto anche di muscoli, ossa, braccia con le
relative giunture, pelle, denti, capelli, ma tutto artificiale
... Poi il re fece la prova di togliergli il cuore e osservò
che la bocca non era più in grado di proferir parola. Gli
tolse il fegato e gli occhi non furono più in grado di
vedere; gli tolse infine i reni e le gambe non furono più in
grado di muoversi. Il re ne fu deliziato.”

Nell'VIII secolo l'alchimista islamico Giabir ibn
Hayyan (Geber) inseriva nel suo trattato Il libro delle
pietre delle ricette per costruire serpenti, scorpioni ed
esseri umani artificiali che fossero soggetti al controllo
del loro creatore. Nell'827 il califfo al-Mamun aveva
un albero d'argento e oro nel suo palazzo a Baghdad,
che aveva le caratteristiche di una macchina
automatica: c'erano uccelli di metallo che cantavano
automaticamente sui rami oscillanti di quest'albero
costruito da inventori e ingegneri islamici del tempo. Il
califfo abbaside al-Muktadir possedeva a sua volta un
albero dorato nel suo palazzo di Baghdad nel 915, con
uccelli che battevano le ali e cantavano. Nel IX secolo
i fratelli Banū Mūsā inventarono un flautista
automatico che sembra essere stato la prima macchina
programmabile, e che descrissero nel loro Libro dei
dispositivi ingegnosi.

Tra gli altri esempi notevoli di automi vi è la colomba
di Archita, mezionata da Aulo Gellio. Analoghi
resoconti cinesi di automi volanti si trovano negli
scritti del V secolo del filosofo moista Mozi e del suo
contemporaneo Lu Ban, che costruì uccelli artificiali in
legno (ma yuan) che potevano effettivamente volare,
secondo quanto riportato da Han Fei e in altri testi.

Automi dal XIII al XIX secolo

Ad Al-Jazari è attribuito il primo progetto documentato
di automa programmabile nel 1206, usato per una serie
di automi umanoidi. Il suo automa era una nave con
quattro musicisti che galleggiava su un lago per
intrattenere gli ospiti alle feste di corte. Il suo
meccanismo aveva una batteria di percussioni
programmabile con pistoncini (camme) che battevano
su piccole leve che operavano la percussione. Il
suonatore di tamburi poteva eseguire differenti ritmi e
differenti partiture se i pistoncini erano spostati.
Secondo Charles B. Fowler, gli automi erano una
"banda musicale di robot" i quali potevano eseguire
"più di cinquanta movimenti facciali e del corpo
durante ogni selezione musicale."

Al-Jazari inventò anche un automa per il lavaggio delle
mani utilizzando per la prima volta il meccanismo di
scarico utilizzato oggi per il vaso delle toilette. Si tratta
di un automa con sembianze femminili con un bacile
riempito d'acqua. Quando l'utilizzatore preme la leva,
l'acqua scorre e l'automa riempie nuovamente il bacile.
La sua "fontana del pavone" era un altro dispositivo
più sofisticato per il lavaggio delle mani fornito di
automi umanoidi come servi che offrono sapone e
asciugamani. Mark E. Rosheim la descrive così:

“Pulling a plug on the peacock's tail releases water out
of the beak; as the dirty water from the basin fills the
hollow base a float rises and actuates a linkage which
makes a servant figure appear from behind a door under
the peacock and offer soap. When more water is used, a
second float at a higher level trips and causes the
appearance of a second servant figure — with a towel!”

Al-Jazari in tal modo sembra sia stato il primo
inventore a mostrare un interesse nel creare macchina
di forma umana per scopi pratici come manipolare
l'ambiente per il comfort delle persone.

Villard de Honnecourt, nel suo taccuino degli anni
1230, mostra progetti per automi zoomorfi e un angelo
che rivolge perpetuamente il volto al sole.

Un'aquila in legno costruita da Regiomontano (1436-
1476) volò - come riferito da Hakewill - dalla città di
Konigsberg per incontrare l'imperatore, salutarlo e
tornare indietro. Regiomontano costruì inoltre una
mosca di ferro della quale egli stesso ebbe a dire che
ad una festa si fosse levata dalle sue mani, avesse
volato in cerchio e fosse ritornata a lui. Lo scrittore
cinese Xiao Xun scrisse che quando il fondatore della
dinastia Ming Hongwu (r. 1368–1398) stava
distruggendo il palazzo di Khanbaliq che apparteneva
alla precedente dinastia Yuan, vi furono trovati - tra i
molti altri dispositivi meccanici - degli automi
dell'aspetto di tigri.

Il Rinascimento testimonia un considerevole ritorno
d'interesse per gli automi. I trattati di Erone di
Alessandria vennero pubblicati e tradotti in latino e
italiano. Nel Settecento furono costruiti numerosi
automi per meccanismi ad orologeria, principalmente
dagli artigiani delle libere città imperiali dell'Europa
centrale. Questi dispositivi meravigliosi trovarono
ospitalità nei "gabinetti delle curiosità" o
Wunderkammer delle corti principesche europee. Per le
grotte dei giardini furono costruiti automi idraulici e
pneumatici, simili a quelli descritti da Erone.

In Cartesio si può riscontrare una nuova attitudine nei
confronti degli automi, quando egli suggerisce che i
corpi degli animali sono nient'altro che complesse
macchine: le ossa, i muscoli e gli organi potrebbero
essere rimpiazzati da pulegge, pistoni e camme.

In tal modo il meccanicismo divenne lo standard al
quale erano comparati la Natura e l'organismo. La
Francia settecentesca fu la patria di quegli ingegnosi
giocattoli meccanici che sarebbero divenuti dei
prototipi per i motori della rivoluzione industriale.
Così nel 1649, quando Luigi XIV era ancora un
bambino, un artigiano di nome Camus progettò per lui
un cocchio in miniatura, e cavalli completi di fanti e
una signora nella vettura; tutte queste figure
mostravano un movimento perfetto. Secondo P. Labat,
il generale de Gennes construì, nel 1688, oltre a
macchine per l'artiglieria e la navigazione, un pavone
che camminava e mangiava. il gesuita Athanasius
Kircher produsse diversi automi per mettere in scena
spettacoli, tra cui una statua che parlava .

Maillardet, un meccanico svizzero, costruì un automa
capace di disegnare quattro figure e scrivere tre poemi
(oggi conservato al museo scientifico del Franklin
Institute di Filadelfia). John Joseph Merlin, di origine
belga, creò il meccanismo dell'automa del Cigno
d'argento (ora al Bowes Museum). Secondo il filosofo
Michel Foucault, Federico II il Grande, re di Prussia
dal 1740 al 1786, era "ossessionato" dagli automi.
Secondo Manuel de Landa, "mise insieme le sue
armate così come un meccanismo ben oliato i cui
componenti erano guerrieri simili a robot."

Il Giappone adottò gli automi durante il periodo Edo
(1603 - 1867); erano noti come Karakuri ningyō
(かかか か 人 ?). Il famoso prestigiatore Jean Eugène
          人
Robert-Houdin (1805 - 1871) era conosciuto per aver
creato automi per i suoi spettacoli da palcoscenico. Il
periodo tra il 1860 e il 1910 è conosciuto come "l'età
d'oro degli automi". In quegli anni prosperavano a
Parigi numerose piccole imprese familiari di costruttori
di automi. Dalle loro officine esportarono in tutto il
mondo migliaia di automi meccanici e uccelli
meccanici che cantavano. Sono questi automi francesi
ad essere collezionati oggi e, sebbene oggi rari e
costosi, attraggono collezionisti da ogni parte del
mondo. I principali costruttori francesi furono Vichy,
Roullet & Decamps, Lambert, Phalibois, Renou e
Bontems.




             Una replica moderna dell’eolipila.
Macchina di Anticitera: Frammento principale del meccanismo




           Schema del meccanismo di Anticitera
Macchina di Anticitera: Ricostruzione del meccanismo, Museo
             archeologico nazionale di Atene.
Macchina di Anticitera: Vista laterale del modello ricostruttivo,
          Museo archeologico nazionale di Atene.
Sitografia specifica:

http://it.wikipedia.org/wiki/Androide
http://it.wikipedia.org/wiki/Automa_cavaliere
http://it.wikipedia.org/wiki/Automa_meccanico
http://it.wikipedia.org/wiki/Codice_Atlantico
http://it.wikipedia.org/wiki/Jacques_de_Vaucanson
http://it.wikipedia.org/wiki/Eolipila
http://it.wikipedia.org/wiki/Macchina_di_Anticitera
http://it.wikipedia.org/wiki/Libro_del_Vuoto_Perfetto
http://www.leonardo3.net
Qualche passo nella fantascienza: da
 Frankenstein di Mary Shelley ai replicanti di
               Philip K. Dick



    “La disumanità del computer sta nel fatto che, una
volta programmato e messo in funzione, si comporta in
                      maniera perfettamente onesta”.
                                        Isaac Asimov



Gli androidi nella letteratura

Una volta che la tecnologia avanzò al punto che la
gente intravedeva delle creature meccaniche come
qualcosa più che dei giocattoli, la risposta letteraria al
concetto di essere artificiale rifletté le paure che gli
esseri umani avrebbero potuto essere rimpiazzati dalle
loro stesse creazioni intelligenti. Nella letteratura il
primo classico riferito alla creazione di un essere
umano artificiale è in genere considerato il romanzo
Frankenstein (1818) di Mary Wollstonecraft Shelley,
che spesso è anche citato come la prima opera di
fantascienza. La creatura del dottor Frankenstein era
assemblata con parti di cadaveri, utilizzando per
infonderle la vita una strumentazione scientifica (non
si tratta dunque di un automa meccanico, ma piuttosto
di quello che molti anni dopo sarebbe stato definito un
cyborg).
Il racconto di E.T.A. Hoffmann L'uomo della sabbia
(1815) narra l'amore tra un uomo e una bambola
meccanica; nel romanzo breve La storia filosofica dei
secoli futuri (1860) Ippolito Nievo indicò l'invenzione
dei robot (da lui chiamati 'omuncoli', 'uomini di
seconda mano' o 'esseri ausiliari') come l'invenzione
più notevole della storia dell'umanità, e in Steam Man
of the Prairies (1865) Edward S.Ellis espresse la
fascinazione americana per l'industrializzazione.
Giunse un'ondata di storie su automi umanoidi, che
culminò nell' Uomo elettrico di Luis Senarens, nel
1885. Il primo ad utilizzare il termine androide in un
romanzo fu però il francese Mathias Villiers de l'Isle-
Adam (1838-1889) nella sua opera più celebre, Eva
futura (L'Ève future, 1886), nel quale il protagonista è
addirittura Thomas Edison, il quale inventa una donna
artificiale quasi perfetta.

Impossibile non citare il racconto dell'italiano Carlo
Collodi del 1883, Le avventure di Pinocchio, in cui un
bambino di legno prende vita. La storia, pur
utilizzando elementi fiabeschi piuttosto che
fantascientifici, contiene i temi fondamentali dei
successivi racconti sugli androidi. Un precursore del
moderno androide è da molti considerato il Golem, la
temibile creatura protagonista di una vecchia leggenda
del ghetto ebraico di Praga. In questo caso si tratta di
una statua d'argilla che prende vita grazie alla magia
cabalistica e non alla tecnologia scientifica. Una
versione più moderna del Golem6 lo vede però

6
  Il Golem (ebr.      ) è una figura immaginaria frutto della
mitologia ebraica e del folklore medievale. Il termine deriva
probabilmente dalla parola ebraica gelem che significa "materia
costruito come una specie di androide, nella novella di
U.D. Horn (Der Rabby von Prag, 1842) e nel libretto
di F. Hebbel per il dramma musicale di Arthur
Rubinstein Ein Steinwurf (1858): il Golem viene qui
rappresentato come un uomo-macchina di legno con un
meccanismo ad orologeria dentro la testa. La leggenda
del Golem viene infine ripresa e resa famosa dal
romanzo Il Golem (Der Golem) del 1915 dello scrittore
e occultista praghese Gustav Meyrink.

Nel dramma R.U.R. (Rossum's Universal Robots)
(1920) del ceco Karel Čapek appaiono uomini
artificiali organici, utilizzati come forza lavoro a basso
costo. L'opera è famosa per avere introdotto il termine
robot. La procedura di costruzione degli androidi di
Rossum comprende macchine per impastare e tini per
il trattamento di protoplasma chimico. Quando il
dramma di Čapek introdusse il concetto di una catena
di montaggio operata da robot che costruivano altri
robot, il tema prese delle sfumature politiche e
filosofiche, ulteriormente disseminate da film classici
come Metropolis (1927), il popolare Guerre Stellari
(1977), Blade Runner (1982) e Terminator (1984).

Tra il 1940 e il 1941 Isaac Asimov, con la
collaborazione dell'editore John W. Campbell, elabora


grezza", o "embrione". Esso fa la sua prima apparizione nella
Bibbia (Antico Testamento, Salmo 139:16) per indicare la "massa
ancora priva di forma", che gli Ebrei accomunano ad Adamo
prima che gli fosse infusa l'anima. In ebraico moderno golem
significa anche robot.
le tre leggi della robotica7, divenute un punto fermo
della narrativa sui robot. Nel 1976 Asimov scrive
L'uomo bicentenario, la storia di un robot che vuole
diventare umano a tal punto da fare ciò che differenzia


7
  Nella fantascienza, le Tre leggi della robotica sono un insieme
di leggi scritte da Isaac Asimov, noto scrittore di fantascienza, alle
quali obbediscono gran parte dei robot che compaiono nei suoi
racconti. Le tre leggi hanno subito qualche variazione passando da
traduzione a traduzione, ma anche se il succo rimane sempre lo
stesso è meglio esprimere prima le tre leggi nella versione
originale:

Inglese

    1.     A robot may not injure a human being or, through
           inaction, allow a human being to come to harm.
    2.     A robot must obey any orders given to it by human
           beings, except where such orders would conflict with the
           First Law.
    3.     A robot must protect its own existence as long as such
           protection does not conflict with the First or Second
           Law.

Italiana

    1.     Un robot non può recar danno a un essere umano né può
           permettere che, a causa del proprio mancato intervento,
           un essere umano riceva danno.
    2.     Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri
           umani, purché tali ordini non contravvengano alla
           Prima Legge.
    3.     Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché
           questa autodifesa non contrasti con la Prima e con la
           Seconda Legge.
gli esseri umani dai robot: morire. Pur avendo inserito
numerosissimi robot antropomorfi nella sua sterminata
produzione di racconti e romanzi, Asimov tuttavia non
usa in genere il termine androide, reso popolare solo
negli Anni cinquanta quando apparve in alcuni racconti
di Jack Williamson.

Uno degli autori di fantascienza che fanno maggior uso
degli androidi è stato Philip K. Dick il quale,
scarsamente interessato agli aspetti strettamente
tecnico-scientifici, li utilizzava soprattutto come
sostituti robotici degli uomini e dunque inquietanti
simboli, rispecchiamento/rovescio dell'essere umano,
definendoli spesso simulacri. Dal romanzo di Dick
Cacciatore di androidi è tratto il film Blade Runner,
che presenta un vivido ritratto di replicanti che
aspirano a quella vita umana loro ineluttabilmente
negata. Marvin l'androide paranoico è uno dei
personaggi principali della Guida galattica per gli
autostoppisti, serie di fantascienza umoristica di
Douglas Adams.

Cinema e televisione

Il primo film con un immaginario automa nel ruolo
principale fu The Master Mystery del 1920,
interpretato da Harry Houdini. Il secondo fu L'uomo
meccanico (1921), del comico francese André Deed, in
cui per la prima volta viene messo in scena uno scontro
tra un robot buono e uno cattivo.

Esempi famosi di androidi nella cinematografia e nelle
serie televisive:
•   Il robot femmina del film Metropolis (1927) per
       la regia di Fritz Lang.
   •   Il pistolero interpretato da Yul Brynner nel
       Mondo dei robot (Westworld, 1973), iniziatore
       della rivolta dei robot contro gli umani del
       parco dei divertimenti Westworld.
   •   Il simpatico androide protocollare C-3PO (D-
       3BO) di Guerre Stellari (1976).
   •   Roy Batty, condannato ad una breve esistenza e
       ribelle in Blade Runner (1982) di Ridley Scott,
       ispirato al romanzo Il cacciatore di androidi di
       Philip K. Dick.
   •   L'androide       assassino    protagonista    di
       Terminator (1984) e dei due seguiti, che però è
       più propriamente un cyborg.
   •   Il bambino artificiale in AI - Intelligenza
       Artificiale (2001) di Steven Spielberg.
   •   Il tenente comandante Data è un membro
       dell'equipaggio della nave stellare Enterprise
       nella serie televisiva Star Trek - The Nex
       Generation e in alcuni film derivati dalla serie
       stessa.
   •   L'androide Bishop in Alien di Ridley Scott,
       compare in diversi episodi della serie.

Dalle Tre Leggi di Asimov alla Legge Zero

Asimov attribuì le tre leggi a John W. Campbell, a
seguito di una conversazione fatta il 23 dicembre 1940.
Comunque, Campbell sostiene che Asimov aveva già
in testa le leggi, che avevano solamente bisogno di
essere formulate esplicitamente.
Anche se Asimov fissa una data di creazione delle
leggi, la loro comparsa nelle sue opere avvenne lungo
un periodo di tempo. Asimov scrisse due storie senza
menzionare esplicitamente le Tre Leggi ("Robbie" ed
"Essere razionale" detto anche "Secondo ragione");
Asimov assunse, comunque, che i robot avrebbero
avuto una certa salvaguardia inerente. "Bugiardo!", la
terza storia di robot di Asimov, menziona per la prima
volta la Prima Legge, ma non le altre. Le Tre Leggi
apparvero assieme esplicitamente in "Circolo Vizioso"
("Girotondo"). Quando queste ed altre storie vennero
raccolte assieme, nell'antologia Io, Robot, "Essere
razionale" venne aggiornata per comprendere le Tre
Leggi.

Le Tre Leggi vengono spesso usate nei romanzi di
fantascienza scritti da altri autori, ma la tradizione
vuole che solo Asimov le avrebbe potute citare
esplicitamente. Una trilogia ambientata nell'universo
immaginario di Asimov, venne scritta negli anni '90 da
Roger MacBride Allen (Il calibano di Asimov,
L'inferno di Asimov e L'utopia di Asimov). In questa
trilogia, viene introdotto un nuovo insieme di leggi, le
quali vennero concepite dall'autore durante una
discussione con lo stesso Asimov.

Alcuni appassionati di robotica sono giunti a credere
che le Tre Leggi abbiano una valenza simile alle leggi
della fisica; ovvero, una situazione che viola queste
leggi è “inerentemente” impossibile. Ciò non è
corretto, in quanto le Tre Leggi sono deliberatamente
codificate nel cervello positronico8 dei robot di
Asimov. Asimov infatti distingue la classe dei robot
che seguono le Tre Leggi, chiamandoli Asenion robots.
I robot delle storie di Asimov sono tutti Asenion
robots, e sono incapaci di violare consciamente le Tre



8
  Il cervello positronico è un dispositivo immaginario ideato per
le sue storie di fantascienza dallo scrittore Isaac Asimov come
componente fondamentale del cervello di un robot, il cui pensiero
consiste in un flusso fulmineo di positroni. Nella sua descrizione
il cervello positronico è composto di una lega di platino e iridio,
ed è realizzato dalla U.S. Robots and Mechanical Men
Corporation, l'unica azienda nel mondo capace di costruirne
esemplari funzionanti. Il loro software ha come capisaldi quelle
che Asimov chiamò le Tre leggi della robotica. Asimov scelse
l'aggettivo positronico perché nel 1928 il fisico Paul Dirac postulò
l'esistenza di questa strana particella, e nel 1938 il positrone fu
effettivamente osservato sperimentalmente. I primi racconti sui
robot positronici risalgono agli anni 1939-1940, perciò Asimov
scelse l'aggettivo "positronico" semplicemente perché trovava il
nome esotico e adatto ad un racconto di fantascienza, al posto del
più consono "cervello elettronico". In effetti i positroni, essendo
delle anti-particelle, non potrebbero esistere in un universo come
il nostro fatto di elettroni, poiché le due particelle opposte si
annichilirebbero in una frazione di secondo distruggendo la
materia. Nella visione di Asimov, l'annullamento delle due
particelle opposte - che per conseguenza produce energia -
avrebbe dovuto portare i lettori ad immaginare una sorta di
scintilla assimilabile a quella che nel pensiero umano si verifica
nei neuroni. Il concetto dominò le storie di Asimov sui robot, ma
fu ripreso da altri soggetti fantascientifici. In particolare,
l'androide Data di Star Trek - The Next Generation è dotato di un
cervello positronico. I romanzi della serie fantascientifica tedesca
Perry Rhodan sono incentrati su computer chiamati Positroniken.
Leggi, ma non c'è niente che impedisca ai robot di altri
racconti, o del mondo reale, di non rispettarle.

Ciò è straordinariamente opposto alla natura dei robot
di Asimov. Anche se inizialmente le leggi erano
semplicemente delle salvaguardie attentamente
ingegnerizzate, nelle storie successive Asimov dichiara
chiaramente che occorrerebbe un investimento
significativo nella ricerca per creare dei robot
intelligenti che siano privi di queste leggi, perché esse
sono una parte inalienabile della fondazione
matematica che sottende al funzionamento del cervello
positronico.

Nel mondo reale, non solo le leggi sono opzionali, ma
impossibili      da      implementare:      occorrerebbero
significativi progressi nel campo dell'intelligenza
artificiale per far si che i robot le possano comprendere
facilmente. Alcuni hanno fatto notare che, siccome i
militari sono la maggior fonte di finanziamento per la
ricerca robotica, è improbabile che tali leggi vengano
implementate. Altri hanno ribattuto che i militari
vorrebbero che delle forti salvaguardie venissero
inserite in ogni robot, se possibile, quindi leggi simili a
queste verrebbero applicate.

Le Tre Leggi sono talvolta viste come un ideale futuro
da coloro che lavorano nel campo dell'intelligenza
artificiale - una volta che un'intelligenza ha raggiunto
un livello in cui può comprendere queste leggi, allora è
veramente intelligente.
Nessuna delle storie scritte da Asimov facevano
complimenti alle Tre Leggi della robotica. Al
contrario, ne mostravano le falle e i malintesi, derivanti
da impulsi errati. Asimov una volta si meravigliò di
come riuscì ad estrarre così tante storie dalle poche
parole che componevano queste leggi. Per alcune
storie, l'unica soluzione fu quella di cambiare le leggi.

Le Tre Leggi vennero estese con una quarta legge, la
'Legge Zero', così chiamata per mantenere il fatto che
una legge con numero più basso soprassedesse a una
con numero maggiore. Venne enunciata da un
personaggio di Asimov, R. Daneel Olivaw (R. sta per
Robot), nel romanzo I Robot e l'Impero, anche se
venne precedentemente menzionata in Conflitto
evitabile da Susan Calvin. In I Robot e l'Impero,
Giskard fu il primo robot ad agire in base alla Legge
Zero, anche se ciò si rivelò distruttivo per il suo
cervello positronico, quando violò la Prima Legge.
Daneel, nel corso di molte migliaia di anni, fu in grado
di adattarsi e obbedire completamente alla Legge Zero
che recita:

       0. Un robot non può recare danno all'umanità,
       né può permettere che, a causa del proprio
       mancato intervento, l'umanità riceva danno.

Le altre 3 leggi vengono modificate di conseguenza:

   1. Un robot non può recar danno a un essere
      umano né può permettere che, a causa del
      proprio mancato intervento, un essere umano
riceva danno. Purché questo non contrasti con
      la Legge Zero
   2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti
      dagli esseri umani, purché tali ordini non
      contravvengano alla Legge Zero e alla Prima
      Legge.
   3. Un robot deve proteggere la propria esistenza,
      purché questa autodifesa non contrasti con la
      Legge Zero, la Prima Legge e la Seconda
      Legge.

La legge zero tuttavia risulta essere estremamente
complessa rispetto alla programmazione dei cervelli
positronici dei robot, poiché postula che sia possibile,
in qualche modo e qualche situazione, violare la prima
legge della robotica (Nessun robot può recar danno a
un essere umano) in funzione di un bene più ampio e
duraturo dell'intera umanità. In pratica, un robot
potrebbe uccidere un essere umano, in aperta
violazione alla prima legge, commettendo un danno
effettivo e certo, a fronte di un ipotetico e incerto bene
per l'umanità. La contraddizione è al centro del finale
del romanzo I robot e l'impero, poiché proprio il robot
R. Giskard Reventlov sceglierà di permettere che un
intero pianeta, la Terra, sia condannata ad una
lentissima agonia nucleare, insieme a tutti i suoi
abitanti, per spingere l'intera umanità ad abbandonare
il grembo del pianeta madre e colonizzare l'intero
universo. Il suo cervello positronico ne sarà
danneggiato irrimediabilmente.
In un racconto di Asimov (Il robot scomparso) diversi
robot NS-2 (Nestor robots) vennero creati con solo
parte della Prima Legge, con questa formulazione:

       1. Un robot non può recare danno a un essere
       umano.

Questo permetteva ai robot di lavorare a fianco degli
esseri umani anche quando questi erano sottoposti a
piccole dosi di radiazioni: non pericolose, ma
comunque "dannose" secondo la Prima Legge. La
formulazione originaria della Prima Legge obbligava
quindi i robot ad intervenire, ma essendo questi più
vulnerabili degli esseri umani alle radiazioni,
invariabilmente si danneggiavano. Nel tipico stile di
Asimov, questa modifica portò a vari problemi sulla
cui soluzione si basa la trama del racconto.

I "Solariani" infine, crearono dei robot con le normali
Tre Leggi, ma con un concetto distorto di "essere
umano". Similarmente ad un racconto breve in cui i
robot erano in grado di arrecare danno agli alieni, i
Solariani dissero ai robot che solo le persone che
parlavano solariano erano umani. In questo modo, i
loro robot non avevano alcun problema a recar danno a
esseri umani non Solariani (ed in effetti, avevano
ordini specifici a riguardo).

Nella trilogia di MacBride Allen, gli scienziati di
Inferno crearono robot dotati di un nuovo insieme di
leggi. Essi non erano più richiesti di servire gli umani,
erano programmati per cercare una loro ragion
d'essere, e, anche se comunque non potevano nuocere
agli umani, non avevano bisogno di prevenire i danni,
il che permette al capo delle nuove leggi robotiche,
Prospero, di progettare l'assassinio perfetto. Il
personaggio di Calibano, è l'unico robot ad essere
programmato senza alcuna legge.

Il problema dei robot che si considerano umani è stato
alluso molte volte. Robot antropomorfi resero il
problema più evidente. Esempi si possono trovare nel
romanzo I robot dell'alba e nei racconti brevi "La
prova" e "L'uomo bicentenario". Dopo un omicidio su
Solaria, in Il sole nudo, Elijah Baley sostenne che le
leggi erano state deliberatamente travisate, poiché i
robot potevano infrangerle tutte senza saperlo. Una
parodia delle Tre Leggi venne fatta per Susan Calvin
da Gerald Black:

   1. Dovrai proteggere i robot con tutta la tua forza
      e tutto il tuo cuore e tutta la tua anima.
   2. Dovrai considerare sacri gli interessi della US
      Robots and Mechanical Men Inc., a patto che
      ciò non interferisca con la Prima Legge.
   3. Dovrai dare una distratta attenzione agli esseri
      umani, a patto che ciò non interferisca con la
      Prima e la Seconda Legge.

Gaia, il pianeta intelligente dei romanzi della
Fondazione, adotta una legge simile alla Prima Legge
come sua filosofia:

       Gaia non può recare danno alla vita, né può
       permettere che, a causa del suo mancato
       intervento, la vita riceva danno.
Le leggi non sono considerate assolute dai robot più
avanzati. In molte storie, come "Circolo vizioso", il
potenziale e la gravità di tutte le azioni sono pesati e un
robot può infrangere le leggi il meno che può, piuttosto
che non fare niente. In un'altra storia, venivano
evidenziati i problemi della Prima Legge - ad esempio
un robot non poteva funzionare da chirurgo, perché
avrebbe causato danni a un umano; né poteva ideare
strategie per il football americano, in quanto queste
potevano causare infortuni ai giocatori.

Roger Clarke scrisse un paio di documenti analizzando
le complicazioni dell'implementazione di queste leggi,
se i sistemi fossero in qualche modo in grado di
impiegarle. Egli sostenne che. "Le leggi della robotica
di Asimov sono state uno strumento letterario di
successo. Forse ironicamente, o forse perché era
artisticamente appropriato, la somma delle storie di
Asimov confutano la tesi con cui iniziò: Non è
possibile limitare con certezza il comportamento dei
robot, inventando ed applicando un insieme di regole."

Un racconto breve parodistico di John Sladek,
intitolato "Broot Force" (e apparentemente scritto da
"I-Click As-I-Move") riguarda un gruppo di robot in
stile Asimov, le cui azioni sono limitate dalle "Tre
Leggi di Robish", che sono "coincidentalmente"
identiche alle leggi di Asimov. I robot nel racconto di
Sladek fanno in modo di trovare delle scappatoie alle
Tre Leggi, tipicamente con risultati sanguinari.
Alle "tre leggi della robotica" e ad altri romanzi di
Isaac Asimov si è ispirato il film del 2004 "Io, Robot"
(I, Robot), di Alex Proyas, con Will Smith.

Con l'evoluzione dei robot nei racconti, le scappatoie
escogitate per scavalcare le Tre Leggi divengono
sempre più raffinate. In uno degli ultimi racconti di
robot, Che tu te ne prenda cura, il Governo Mondiale
intende smantellare la U.S. Robots, per varie
motivazioni, alcune delle quali parzialmente legate ai
difetti delle Tre Leggi. Keith Harriman, direttore della
U.S. Robots, utilizza due robot (George Nono e
Decimo) per escogitare uno stratagemma di
salvataggio dell'azienda. Questa coppia di robot
estremamente sofisticati idea un piano a lunghissimo
termine, creando con i loro ragionamenti una
particolare modifica delle Tre Leggi.

Nella serie Robot City scritta da giovani esordienti del
mondo della fantascienza sotto le direttive di Isaac
Asimov vengono postulate le tre leggi dell'umanica.
Queste leggi, create da particolari Robot autoprodotti,
sono basate su dirette speculazioni delle loro
controparti robotiche.


Sitografia specifica:

http://it.wikipedia.org/wiki/Androide
http://it.wikipedia.org/wiki/Tre_leggi_della_robotica
http://it.wikipedia.org/wiki/Cervello_positronico
Dalla robotica umanoide agli organismi
                   cibernetici.



    "Non capivo perchè un replicante collezionasse foto.
                       Forse loro erano come Rachael:
                           avevano bisogno di ricordi".
             (Dal film "Blade Runner", di Ridley Scott)




Organismi cibernetici

Il termine cyborg o organismo cibernetico (anche
organismo bionico) indica un essere, anche umano, di
forma umanoide costituito da un insieme di organi
artificiali e organi biologici. Nasce dalla contrazione
dell'inglese cybernetic organism, per l'appunto
organismo cibernetico. Il termine è nato nell'ambito
della medicina e della bionica9, pur avendo avuto


9
   La bionica (conosciuta anche come biomimetica, biognosi o
ingegneria creativistica bionica) è l'applicazione di metodi e
sistemi biologici trovati in natura nello studio e nel design di
sistemi ingegneristici e della moderna tecnologia. Nella bionica
sono inclusi altresì alcuni sviluppi della neurofisiologia e
dell'elettrofisiologia. Alcune applicazioni sono nell'acquisizione di
informazione mediante organi di senso artificiale e della
circolazione dei segnali nelle reti nervose. La parola "bionico" fu
coniata da Jack E. Steele nel 1958, probabilmente originandola
dal lemma greco "βίον" (pronunciato "bion"), che significa "unità
maggior successo nell'immaginario fantascientifico. Il
termine cyborg fu reso popolare da Manfred E. Clynes
e Nathan S. Kline nel 1960 in riferimento alla loro idea
di un essere umano potenziato per sopravvivere in
ambienti extraterrestri inospitali. Essi ritenevano che
un'intima relazione tra essere umano e macchina fosse
la chiave per varcare la nuova frontiera
dell'esplorazione spaziale in un prossimo futuro.

Il confine tra essere umano e cyborg è sempre più
sfumato, basti pensare ai progressi delle tecnologie
applicate alle protesi e agli organi artificiali: una
persona dotata di un pace-maker potrebbe infatti già
corrispondere alla definizione di cyborg. A seconda
della loro origine, è tuttavia possibile distinguere i
cyborg in due categorie:

    1. Esseri umani potenziati. Può trattarsi di un
       essere umano che ha subito consistenti
       modificazioni artificiali ed innesti. Esempio: il
       protagonista del film RoboCop è un poliziotto
       che, ucciso in servizio, viene fatto resuscitare
       trasformato in cyborg.
    2. androidi, cioè robot umanoidi, provvisti di
       apporti biologici, spesso allo scopo di
       aumentare la loro somiglianza con l'essere
       umano. È il caso del cyborg assassino

di vita", e il suffisso -ic, che significa "come", "simile a" o "nella
maniera di", da cui quindi "come la vita". Diversi dizionari,
comunque, spiegano anche che la parola è formata dai termini
"biologia" e "elettronica".
protagonista del film Terminator (1984) e dei
       suoi seguiti.

La teorica del femminismo Donna Haraway sostiene
che la tendenza naturale degli esseri umani è quella di
ricostruirsi attraverso la tecnologia allo scopo di
distinguersi dalle altre forme biologiche del pianeta: un
progetto che parte dalle prime forme di manipolazione
del corpo umano e continua oggi con l'utilizzo di
protesi tecnologiche e lo sviluppo dell'ingegneria
genetica. Il desiderio di migliorare ciò che ha
determinato la natura, secondo la Haraway, sarebbe
alle origini stesse della cultura umana.

Kevin Warwick, l’uomo cyborg

Kevin Warwick, nacque a Coventry, una città di circa
trecentomila abitanti situata nel West Midlands del
Regno Unito, il nove febbraio del 1954. Lasciò la
scuola all’età di sedici anni, per andare a lavorare
presso la British Telecom. Riprese in seguito gli studi,
ottenendo un primo diploma alla Aston University
all’età di ventidue anni, per poi conseguire qualche
anno dopo, un dottorato all’Imperial College di
Londra. Nel corso degli anni, ebbe la fortuna di
lavorare presso le Università più rinomate del Regno
Unito (quali Oxford, Newcastle e Warwick), ricevendo
infine una cattedra all’Università di Reading, all’età di
trentatre anni. Attualmente K.Warwick riveste la carica
di professore di cibernetica proprio all’Università di
Reading, dove dispone appunto di una cattedra, da
circa vent’anni. Le sue ricerche spaziano tra
l’intelligenza artificiale (AI), la robotica e l’ingegneria
biomedica. Egli è anche il direttore del Centro KTP10
dell’Università di Reading. Il Prof. Warwick, ha
effettuato una serie di esperimenti “pionieristici” nel
campo della cibernetica, basati essenzialmente su un
impianto neurochirurgico (1998, Progetto Cyborg 1.0)
di uno speciale micro-processore (nei nervi mediani
del suo braccio sinistro), allo scopo di collegare il suo
sistema nervoso direttamente ad un computer (e
valutare così le possibili applicazioni di tale tecnologia
nel campo della ricerca sui nuovi sistemi da offrire ai
disabili). Egli è stato il primo ricercatore-scienziato ad
utilizzare una sorta di super sensore ultrasonico
immesso in un corpo umano (2002, Progetto Cyborg
2.0), onde stabilire una comunicazione puramente
elettronica tra i sistemi nervosi di due esseri umani (la
seconda persona quindi che in tali esperimenti ha
giocato un ruolo importante, poiché anche su di essa si
è dovuto impiantare un micro-processore – in questo
caso “ricevente” – è stata sua moglie Irena).
Nel 2002, alla Radcliffe Infirmary di Oxford il
Prof.Warwick dà l’avvio al Progetto Cyborg 2.0. Poco
più di due ore d’intervento e per circa due settimane,
grazie a un centinaio di micro-elettrodi innestati nelle
terminazioni nervose del braccio, egli sperimenta
sensazioni artificiali, fa viaggiare il suo sistema
nervoso in Internet, comunica telegraficamente con la
moglie e manovra un robot a migliaia di chilometri di
distanza.


10
    Tale istituto collega l’Università di Reading con le piccole-
medie imprese, ricevendo ogni anno un contributo finanziario per
la ricerca scientifica, di circa due milioni di sterline.
Con queste parole, lo stesso Warwick (durante
un’intervista), spiega in parole povere ad un giornalista
della rivista italiana “L’Espresso”, i risultati più
eclatanti del progetto Cyborg 2.0:”(...)Effettivamente
in Cyborg 2.0 abbiamo avuto la possibilità di
raccogliere un quantitativo notevole di dati. Molti di
quelli relativi al sistema nervoso li stiamo ancora
analizzando a causa della loro complessità. I successi
dell’esperimento però sono stati molteplici e
assolutamente sorprendenti.
Le faccio qualche esempio: a proposito del
comportamento extrasensoriale, durante Cyborg 2.0,
ero capace di muovermi bendato usando gli
ultrasuoni, esattamente come fa normalmente un
pipistrello di notte11. Ho inoltre guidato una sedia a
rotelle direttamente con i segnali nervosi emessi dal
mio cervello (e le anticipo che la prossima volta
potrebbe trattarsi di una vera automobile!).
 Mentre fisicamente mi trovavo a New York, il mio
sistema nervoso viveva invece in Internet. I miei
segnali nervosi venivano inviati in rete e viaggiavano
fi no in Gran Bretagna dove riuscivano a muovere una
mano robotizzata. Dopodiché tornavano indietro a
New York e potevo sentire sulle dita della mia mano

11
    Warwick, volendo confutare la tesi secondo cui il cervello
umano non può captare gli ultrasuoni, ha indossato, bendato, una
cuffia dotata di due antenne; la prima emetteva ultrasuoni che
rimbalzavano sugli oggetti vicini, venivano catturati dalla seconda
e trasmessi ai suoi elettrodi che li inviavano al suo sistema
nervoso sotto forma di impulsi. Ogni volta che Warwick si
avvicinava, ad esempio, ad un tavolo, il suo cervello avvertiva una
piccola scarica. Di fatto è un po’ come avere un senso in più
rispetto a tutti gli altri esseri umani, un sesto senso!
con quanta forza la mano artificiale si era mossa
nell’altro continente.
Il mio sistema nervoso, esteso attraverso Internet,
aveva percorso di fatto 5.000 chilometri di distanza.
Anche mia moglie Irena ha degli elettrodi inseriti nel
suo sistema nervoso.
 Insieme comunicavamo telegraficamente dal sistema
nervoso dell’uno a quello dell’altra e viceversa.
Rispetto al controllo delle macchine direttamente con
il cervello, resta da sperimentare ancora un po’, ma
sono convinto che questo tipo di impianti ci porterà ad
utilizzarlo nel prossimo futuro(...)”.

I confini fra umano e artificiale sono destinati a
confondersi sempre di più: applicare a organismi
biologici delle componenti robotiche non appare più un
traguardo così lontano. I vantaggi delle strutture
biologiche, ossia le loro capacità di autoriparazione e
la loro flessibilità, andrebbero infatti ad intrecciarsi
con i vantaggi delle macchine, adattabili a condizioni
estreme e altamente differenziabili nella scelta dei
materiali e delle caratteristiche costruttive. Le ricerche
di Warwick cercano applicazione nello sviluppo di
nuove tecnologie a favore delle persone disabili, ma
mirano anche a rendere possibile un radicale
cambiamento di ciò che oggi concepiamo come essere
umano. In scenari futuribili potremmo essere in grado
di collegare in un grande network le nostre
intelligenze, non solo fra loro, ma anche con altre
intelligenze artificiali. Le nostre capacità di calcolo
potrebbero essere moltiplicate e le nostre emozioni
essere trasmesse intatte attraverso la rete fino a
raggiungere persone lontane centinaia di chilometri.
Tutte le informazioni presenti nel nostro cervello
potrebbero essere trasferibili in supporti informatici, o
addirittura in un altro cervello, mettendo radicalmente
in crisi il nostro concetto di individuo.

La cosa ancora più sorprendente è però provare a
immaginare quali incredibili macchine potrebbero
nascere da questa pletora di studi, ancora in odore di
fantascienza, nel momento in cui si riuscisse a
utilizzare molecole di Dna per costruire dei super
computers, facendo cioè in modo che i codici della vita
incontrino quelli della materia. A quel punto, reputano
gli esperti, le macchine avranno raggiunto una tale
complessità che sarà per loro possibile replicare i 100
miliardi di neuroni e i triliardi di sinapsi che
costituiscono il cervello umano.
E da questi complessi labirinti di interconnessioni
potrebbero un giorno affiorare i primi veri sistemi
d’intelligenza “non umana”. In molti laboratori del
mondo gli scienziati hanno già iniziato a sperimentare
l’uso di “vere” reti neurali animali per creare computer
organici, oltrepassando la linea di confine tra materia
animata e materia inanimata. Uno dei pionieri di
questo nuovo filone della ricerca è senza dubbio
William L. Ditto, un giovane fisico del Georgia
Institute of Technology, che è stato capace, in via
sperimentale, di combinare i normali circuiti di silicio
con neuroni di sanguisuga, cioè con cellule nervose
viventi. Ditto e i suoi colleghi
sono partiti dall’idea che un elaboratore “biologico”,
ossia in grado di sfruttare reti neurali organiche,
dovrebbe presumibilmente fornire risposte corrette
anche basandosi su informazioni parziali (cosa che
invece non avviene nei computer attuali, che hanno
bisogno di programmazione e immissione di dati per
elaborare qualsiasi risposta).
I neuroni di sanguisuga hanno dimostrato proprio
questa superiore funzionalità: facendo rimbalzare i dati
fra loro (un po’ con lo stesso principio con cui opera
un computer quantistico), sono in grado di eseguire
attività “simili al pensiero umano”. Stanno dunque
nascendo entità capaci di fondere la nostra intelligenza
organica, basata su cromosomi e neuroni, con quella
inorganica subatomica.
Questi futuri computers combineranno il livello umano
d’intelligenza con la velocità, l’accuratezza e la
capacità di condivisione dell’informazione dei
computers quantistici. In altre parole, con queste
macchine l’uomo sta ponendo le basi per il
superamento della sua stessa specie.
Nel suo libro “The Age of Spiritual Machines”,
Raymond Kurzweil ha dato una splendida sintesi della
mente e della macchina. In una serie di argute,
ingegnose e profonde meditazioni, ha esplorato il
momento di metamorfosi quando le macchine
raggiungeranno e sorpasseranno le capacità del
cervello umano. “The Age of Spiritual Machines” non
è una mera lista di presagi ma un disegno profetico per
il futuro. Kurzweil ci guida attraverso l’inesorabile
avanzamento che sarà il risultato del superamento delle
capacità della memoria e delle abilità computazionali
del cervello umano. Secondo Kurzweil, le macchine
compieranno tutto questo entro il 2020. Cominceremo
ad avere relazioni con personalità automatizzate e le
utilizzeremo come insegnanti, compagni ed amanti.
Fra 10 anni, l’informazione sarà alimentata
direttamente dal nostro cervello attraverso dirette vie
neurali. La distinzione tra noi e i computer sarà sfocata
a tal punto che le macchine pretenderanno di essere
coscienti. Inoltre il 21° secolo di Kurzweil, promette
di essere un’età in cui l’unione della sensibilità umana
e dell’intelligenza artificiale fondamentalmente
modificata, migliorerà la nostra vita.

Gli studi e gli esperimenti di Warwick puntano a
infrangere le barriere imposte dai limiti biologici della
natura umana, attraverso upgrade tecnologici che
porteranno l’uomo in una nuova fase sulla strada
dell’evoluzione della specie. Suo centro di ricerca
d’elezione è il MadLab, il laboratorio del Dipartimento
di Cibernetica nel quale lavorano i suoi più stretti
collaboratori e dove si svolgono gli esperimenti più
importanti legati agli impianti sottocutanei e alla
bioingegneria di cui il professore è lo stesso
protagonista (www.madlab.rdg.ac.uk). All’European
Futurist Conference di Lucerna, in Svizzera, Kevin
Warwick ha affermato che nel futuro non avremo più
passaporto o le chiavi della macchina, ogni persona
avrà un impianto simile al suo che collegato al sistema
nervoso potrà sostituire numerose attività dell’uomo,
oltre a far sì che egli possa essere sempre identificato,
ovunque e in qualsiasi momento.

Dopo anni di ricerca su se stesso, in questo momento
Warwick vuole allargare la sua ricerca, sperimentando
lo scambio, il networking, e la comunicazione
attraverso impianti collegati al cervello. Alla moglie ad
esempio aveva anche regalato una collana che cambia
colore e intensità a seconda del suo umore. Kevin
Warwick è la dimostrazione vivente di come gli
impianti di microchips non siano più solo una
caratteristica del genere fantascientifico, ma che ormai,
che lo vogliamo oppure no, appartengono alla realtà
odierna.




             Kevin Warwick con la moglie Irina



La mano biomeccatronica: il progetto LifeHand.

Con il progetto LifeHand, i ricercatori dell'Università
Campus Bio-Medico di Roma e della Scuola Superiore
Sant'Anna di Pisa sono riusciti a collegare, con
elettrodi neurali inseriti nei nervi mediano e ulnare di
un paziente amputato della mano sinistra, una protesi
biomeccatronica a cinque dita, indipendenti con il suo
cervello. In un mese di sperimentazione,il paziente
sottoposto a questa operazione, è riuscito a muovere
con i soli impulsi cerebrali la mano artificiale,
compiendo tutti e tre i movimenti prefissati dal
programma di ricerca: opposizione pollice-indice,
pugno, movimento del mignolo.
Un’analisi dei dati registrati in tempo reale durante la
sperimentazione, è servita ad assicurare che i
movimenti della protesi sono avvenuti per puri impulsi
cerebrali e hanno corrisposto alle reali intenzioni del
paziente in più del 95 per cento dei casi.

LifeHand si è proposto l’impianto di elettrodi a strato
sottile       (thin-film        Longitudinally-implanted
IntraFascicular Electrodes – tf-LIFE) in un paziente
volontario con amputazione di arto superiore. In
particolare, il protocollo sperimentale prevedeva la
possibilità di utilizzare i tf-LIFE come interfacce
neurali per il controllo bi-direzionale (dal cervello alla
mano e viceversa) della protesi cibernetica di mano.
Gli elettrodi sono stati progettati per consentire al
soggetto amputato, da una parte, di ricevere
informazioni sensoriali da speciali sensori posti nella
mano cibernetica, attraverso una stimolazione elettrica
e, dall’altra, di inviare comandi specifici per il
controllo dei movimenti della protesi. In questa prima
fase del progetto gli elettrodi sono stati rimossi dopo
circa un mese di addestramento del paziente.

I ricercatori della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa
(SSSUP) hanno progettato e realizzato i prototipi di
mano biomeccatronica, sviluppando, insieme con i
Laboratori di Bioingegneria dell’Università Campus
Bio-Medico di Roma, gli algoritmi di comunicazione
tra protesi e sistema nervoso del paziente. L’Università
Campus Bio-Medico di Roma ha rivestito il ruolo di
responsabile della sperimentazione clinica dei tf-LIFE
sull’uomo, sia per quanto riguarda gli aspetti medici
che per il supporto tecnologico.

Nell’ambito di LifeHand è stato realizzato per la prima
volta l’impianto su due nervi diversi del braccio
(mediano e ulnare) di quattro elettrodi tf-LIFE di
nuova generazione, dotati di otto canali di
registrazione/stimolazione ciascuno. Le 32 vie di
comunicazione differenti tra paziente e protesi
biomeccatronica disponibili attraverso gli elettrodi tf-
LIFE hanno aumentato fortemente l’efficacia
dell’invio e della ricezione di informazioni tra cervello
e mano. Gli elettrodi, inoltre, dopo l’intervento
chirurgico d’impianto sono stati collegati a una protesi
di mano sensorizzata, comandabile dal soggetto per vie
neurali, anziché meccaniche e muscolari, e capace al
contempo di restituire al soggetto informazioni
sensoriali. È prevista in futuro una nuova effettuazione
dell’esperimento con altri soggetti volontari, al fine di
confermare l’efficacia dei tf-LIFE come interfacce
neurali. Saranno nel frattempo ottimizzati la meccanica
della protesi, l’elettronica e i software necessari per
l’analisi dei segnali neurali registrati. Si procederà
inoltre alla miniaturizzazione dei componenti della
mano biomimetica.

Le interfacce neurali sono dei dispositivi capaci di far
comunicare il nostro sistema nervoso centrale (cervello
o midollo spinale) o periferico (nervi periferici) con
dispositivi elettronici in grado di attuare compiti o
azioni complesse, di norma compiute, a livello
fisiologico, dal nostro sistema muscolo-osteo-
articolare.
Nel caso del progetto LifeHand, queste interfacce sono
state utilizzate per muovere la protesi di mano
cibernetica. In particolare, gli elettrodi tf-LIFE sono
stati scelti come mezzo attraverso il quale il cervello e
i nervi periferici del paziente hanno potuto inviare e
ricevere informazioni alla e dalla protesi di mano,
senza utilizzare nessun muscolo né alcun organo di
senso.

Dopo un primo periodo di addestramento, il paziente è
riuscito a controllare fino a tre differenti tipi di prese
da parte della mano robotica, con una percentuale di
successo da parte dell’interfaccia neurale nel
riconoscimento del comando inviato dal cervello
superiore all’85%.
La possibilità di effettuare i tre tipi di presa,
interfacciandosi tramite gli elettrodi tf-LIFE con una
mano robotica a cinque dita, può mettere una persona
in condizioni di svolgere la quasi totalità delle attività
della vita quotidiana e lavorativa. Queste prestazioni
sono state possibili anche grazie a un complesso
sistema di acquisizione ed elaborazione dei segnali
neurali, sviluppato dai Bioingegneri della Scuola
Superiore Sant’Anna di Pisa e dell’Università Campus
Bio-Medico di Roma.
Dopo quasi un mese di allenamento fianco a fianco con
il paziente, il sistema si è dimostrato in grado di
estrarre da tutti i segnali nervosi che il cervello inviava
tramite le interfacce tf-LIFE solo quelli effettivamente
utili a codificare l’intento di compiere una specifica
presa. Come previsto, gli elettrodi tf-LIFE sono inoltre
stati utilizzati nelle prime settimane dell’esperimento
per veicolare stimoli ai nervi del moncherino e il
paziente ha avvertito e tradotto questi stimoli in
sensazioni tattili naturali, provenienti dalla regione di
arto persa anni prima.

I canali percettivi hanno però inaspettatamente smesso
di funzionare dopo due settimane, probabilmente a
causa di fenomeni di reazione locale all’interno del
nervo in corrispondenza della zona di inserzione
dell’elettrodo. Tali fenomeni sono attualmente oggetto
di ulteriori studi, per capire come possano essere
mitigati e controllati in modo da non influenzare il
funzionamento dell’interfaccia.
Per la prima volta, inoltre, i ricercatori italiani hanno
valutato le modificazioni intervenute a livello della
corteccia cerebrale – i cosiddetti fenomeni di
neuroplasticità – in conseguenza dell’impianto e
dell’utilizzo delle interfacce neurali tf-LIFE da parte
del paziente.
In particolare, la stimolazione magnetica transcranica
(TMS)        ha     dimostrato      una      significativa
riorganizzazione delle aree motorie relative ai muscoli
del moncherino, che si è associata clinicamente a una
riduzione significativa del dolore da arto fantasma –
una patologia che affligge oltre il 65% degli amputati
che continuano ad avvertire dolore dall’arto mancante.
Gli esperimenti condotti hanno così fornito dati
oggettivi fondamentali per confermare una delle
ipotesi finora avanzate, e cioè che la patologia del
dolore da arto fantasma sia direttamente causata da una
“riorganizzazione corticale aberrante”, ovvero sia
dovuta all’invasione delle aree motorie del cervello
originariamente correlate all’arto amputato da parte di
aree contigue.
Anche se i tempi non sono maturi per un’ampia
diffusione clinica di questo sistema di controllo di
protesi di mano, le evidenze fornite dalla
sperimentazione nella sua fase applicativa su uomo
rappresentano una tappa importante verso il
raggiungimento        dell’obiettivo    finale:   mettere
direttamente in comunicazione il cervello e le sue
diramazioni nervose con macchine artificiali. Nel caso
specifico, i risultati ottenuti con il progetto LifeHand
aprono interessanti prospettive sull’uso delle interfacce
neurali periferiche quale soluzione alternativa ad altre.
Una di queste è il trapianto di mano da cadavere, che
ha dato risultati finora molto controversi a livello di
recupero funzionale e ha costretto il paziente a
fortissime terapie antirigetto. Un’altra è rappresentata
dalle interfacce direttamente impiantate nella corteccia
cerebrale, già attualmente in fase di sperimentazione su
uomo.

Lo studio italiano sembra rendere decisamente più
indicato l’impiego di interfacce periferiche, almeno per
il controllo di protesi di arto, in quanto tali dispositivi
possono garantire al momento migliori prestazioni con
un più basso livello di invasività e una minore
complessità dei segnali fisiologici da interpretare.
I problemi tecnologici e medici da risolvere sono
tuttavia ancora molti. È per esempio in fase di
realizzazione una versione integrata, miniaturizzata e
impiantabile di tutti i dispositivi elettronici necessari
sia per acquisire i segnali neurali in uscita dal cervello
(efferenti) e tradurli in comandi per la protesi, sia per
generare segnali in ingresso al cervello (afferenti)
ottenuti a partire dai sensori artificiali a contatto con
l’ambiente. I ricercatori di LifeHand sono già al lavoro
in vari nuovi progetti nazionali ed europei focalizzati
su questo e sui molti altri fronti di ricerca medica e
bioingegneristica, con l’obiettivo di non vanificare le
aspettative di molti pazienti che non trovano
attualmente una risposta adeguata per recuperare la
piena autonomia dopo la perdita di un arto.

Prima dell’esperimento di LifeHand, gli studi che
hanno preso in esame l’impianto di elettrodi intra-
neurali sono stati due, uno americano e uno cinese.
Tra il 2004 e il 2005 ricercatori americani, guidati dal
Prof. Ken Horch (University of Utah), hanno
impiantato elettrodi LIFE di generazione precedente
nei nervi del braccio prossimali all’amputazione di un
gruppo di otto pazienti con amputazione cronica.
Hanno dimostrato in due casi la possibilità di aprire e
chiudere “con il pensiero” una protesi “a pinza” e di
generare, tramite stimolazione elettrica artificiale,
percezioni sensoriali di diversa natura, quali tatto,
pressione, movimento, localizzate a livello delle dita
dell’arto mancante.
Gli stessi ricercatori hanno registrato un’attività
neurale efferente, evidenziando come i soggetti,
modulando volontariamente quest’attività, fossero in
grado di direzionare un cursore verso un punto ‘target’,
rappresentato sullo schermo di un computer. I due
elettrodi usati nello Utah garantivano tuttavia in totale
solo 4 canali indipendenti di comunicazione, mentre
l’esperimento svolto in Italia ha potuto utilizzare 4
elettrodi più potenti, arrivando ad avere fino a 32
canali contemporaneamente attivi per scambiare una
mole maggiore d’informazioni tra i nervi periferici e la
mano robotica. La mano robotica utilizzata in Italia per
LifeHand è inoltre dotata di cinque dita, tutte
controllabili in modo indipendente. La protesi
impiegata dai ricercatori della University of Utah era
invece una protesi a due dita.

Per quanto riguarda lo studio cinese, gli autori di
quest’ultimo, pubblicato nel 2007 e compiuto presso lo
Zhong Shan Hospital della Fudan University
(Shanghai, Cina), hanno realizzato un impianto acuto
intraoperatorio di sei elettrodi intrafascicolari di
diversa fattura in un singolo soggetto, registrando
l’attività neurale efferente e dimostrando che il
soggetto era in grado di modulare l’attività registrata
dagli elettrodi posizionati a livello del nervo radiale,
“comandando l’estensione di un dito della protesi di
mano collegata tramite gli stessi elettrodi”.
Anche in questo caso, le novità di LifeHand sono
significative. Il paziente operato presso il Policlinico
Universitario Campus Bio-Medico ha condotto una
sperimentazione durata quasi un mese, anziché in sede
esclusivamente intra-operatoria. È il periodo più lungo
mai raggiunto per la sperimentazione di tali tecnologie
nel sistema nervoso periferico umano.

L’idea di realizzare protesi di arto collegabili all’uomo
mediante speciali interfacce neurali nasce negli anni
’90. La sperimentazione effettuata con il
progetto LifeHand costituisce l’atto conclusivo di uno
specifico percorso iniziato nel 2003, nell’ambito del
programma di ricerca NEUROBOTICS.
La replica della mano umana è una sfida notevole dal
punto di vista ingegneristico. Una mano naturale,
infatti, è mossa da oltre 30 muscoli, ha oltre 10mila
sensori ed è in grado di eseguire compiti di presa,
manipolazione,      esplorazione     e comunicazione
estremamente complessi.
Il gruppo di ingegneri degli Arts Lab della Scuola
Superiore Sant’Anna di Pisa, guidati dal Prof. Paolo
Dario e dalla Prof.ssa Maria Chiara Carrozza, hanno
raccolto la sfida cercando di sviluppare una mano
biomeccatronica in risposta a un bisogno definito:
quello di favorire il reintegro sociale e lavorativo dei
soggetti che hanno subito l’amputazione dell’arto.
Nel caso specifico, il ruolo della Scuola Superiore
Sant’Anna di Pisa è stato quello di progettare e
costruire, nel tempo, vari prototipi di mano
biomeccatronica, di realizzare gli algoritmi di
classificazione dei segnali neurali, di definire i segnali
di stimolazione, di co-progettare le interfacce neurali:
tutte le componenti che permettono l’azione volontaria
della mano e la percezione della stessa.

La mano biomeccatronica utilizzata per il protocollo
sperimentale di LifeHand è stata ribattezzata
CyberHand. CyberHand dispone di cinque dita
antropomorfe dotate di sensori propriocettivi ed
esterocettivi. Ogni dito è mosso da un singolo motore,
che permette la flessione e l’estensione delle tre
falangi. Un motore aggiuntivo (per un totale di 6
motori nella mano) è utilizzato per il movimento di
opposizione del pollice, fondamentale per effettuare
prese di oggetti. I motori e i sensori sono controllati da
schede elettroniche che regolano il funzionamento
secondo un’architettura gerarchica, il cui livello
superiore è direttamente controllabile dal PC che
classifica i segnali neurali.

Per la costruzione del prototipo CyberHand sono stati
utilizzati materiali molto diversi, a seconda delle
esigenze richieste per il suo funzionamento. Le dita
sono state realizzate in alluminio, leggero e resistente.
I meccanismi di attuazione sono in acciaio. Per il
palmo e le coperture è stata usata la fibra di carbonio.
La parte elettronica di CyberHand è costituita da
materiali standard, utilizzati di norma per la
realizzazione di schede elettroniche. CyberHand pesa
circa due chili e ha dimensioni comparabili con quelle
della mano di un uomo adulto. Il sistema di attuazione
ed elettronico è collocato su una struttura a torre da
laboratorio (non ottimizzato per applicazioni
protesiche) delle dimensioni di un avambraccio.
Le sue caratteristiche peculiari sono:

1. Sottoattuazione: un motore agisce sulla
contemporanea flessione di tre giunti. Questo
semplifica il controllo e permette una presa avvolgente
sull’oggetto;
2. Meccanismo di attuazione irreversibile: grazie a
questo, una volta preso l’oggetto, è possibile spegnere
il motore senza che il dito si riapra. È un meccanismo
fondamentale della protesi, perché permette di
risparmiare energia delle batterie;
3. Cinque dita indipendenti e movimento di
opposizione del pollice;
4. Attuazione a guaine: simile al meccanismo dei freni
della bicicletta, permette di situare i motori lontano
dalla mano, senza particolari difficoltà di trasferimento
del moto.

CyberHand è capace di compiere prese di forza
(bottiglie, oggetti di forma parallelepipeda che stanno
nel palmo), prese laterali (chiave, carta di credito),
prese di precisione (palline, piccoli oggetti). Il
prototipo è anche in grado di fare gesti. Nell’ambito di
LifeHand, la connessione fra le interfacce neurali e la
mano è stata realizzata attraverso un collegamento
transcutaneo (con fili che fuoriuscivano dalla cute del
braccio del paziente).
Nel prossimo futuro, tuttavia, verrà utilizzato un
sistema telemetrico (wireless) tra interno ed esterno del
corpo umano. Il gruppo di lavoro degli Arts Lab della
Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, coordinato
dall’Ing. Silvestro Micera, si è occupato dello sviluppo
degli algoritmi per l’estrazione dei comandi motori e
per la stimolazione delle fibre sensoriali, al fine di
realizzare il collegamento bi-direzionale fra le
interfacce (impiantate) e la mano (esterna), parti
essenziali di una protesi “cibernetica”.

I prossimi passi di LifeHand riguarderanno la
ripetizione dell’esperimento in altri soggetti volontari,
al fine di valutarne la ripetibilità e di testare l’efficacia
dei tf-LIFE come interfacce neurali. Sono inoltre
previsti l’evoluzione e il miglioramento dell’elettronica
e dei software necessari per l’analisi dei segnali
registrati, così come la miniaturizzazione dei sistemi
impiantabili, della meccanica, della sensoristica e dei
sistemi di controllo della protesi biomeccatronica.
Essendo LifeHand un progetto non ancora concluso,
l’eventuale beneficio per il candidato potrà essere
valutato soltanto a medio-lungo termine. In caso di
riuscita delle successive fasi sperimentali, comunque,
al soggetto sarà garantito di poter usufruire per primo e
gratuitamente dell’ultima versione di protesi di mano
cibernetica, nel momento in cui sarà disponibile per un
utilizzo clinico.
Contemporaneamente, un programma di ricerca
finalizzato alla realizzazione di protesi bioniche
controllate dal paziente a livello neurale è in corso
negli Stati Uniti d'America, presso la DARPA,
l’Agenzia per Progetti di Ricerca Avanzati del
Dipartimento della Difesa americano.




  La mano bionica a cinque dita indipendenti, realizzata dalla
                 Scuola Sant'Anna di Pisa.
La mano bionica a cinque dita indipendenti, realizzata dalla
      Scuola Sant'Anna di Pisa: senza rivestimento.




La mano bionica a cinque dita indipendenti, realizzata dalla
   Scuola Sant'Anna di Pisa: con rivestimento in lattice.
Il braccio bionico del RIC

Al Rehabilitation Institute of Chicago (RIC), è stato di
recente realizzato un braccio bionico a neuro-controllo,
che permette al paziente di muovere il dispositivo
come un braccio vero, semplicemente PENSANDO. Il
braccio permette ai pazienti movimenti più naturali, un
ampio raggio di motilità e il recupero delle funzioni
perse. Utilizzando le conoscenze chiave ricavate dal
primo impianto di un braccio bionico, eseguito nel
Tennessee su Jesse Sullivan, il Dr. Kuiken e il suo
team hanno compiuto significativi avanzamenti
nell'area della risposta sensoriale, cosicché il paziente
può attualmente 'sentire' e capire quindi se sta toccando
oggetti caldi oppure freddi. Questo braccio bionico è
stato denominato RIC (dal nome dell’Istituto in cui è
stato sviluppato).
Per fornire il RIC del movimento neuro-controllato, i
nervi nella spalla del braccio amputato vengono
'reindirizzati' e connessi con i muscoli sani del torace:
questa operazione è chiamata "reinnervazione mirata
del muscolo" e permette di dirigere i segnali nervosi
direttamente al braccio bionico, come se si trattasse del
braccio naturale.Le attuali braccia artificiali hanno solo
3 motori: Il Braccio bionico RIC include un sistema a
6 motori, sviluppato in collaborazione con i laboratori
di ricerca di tutto il mondo: utilizza diverse parti della
protesi simultaneamente, con l'obiettivo di ricreare i
movimenti naturali del braccio.

Claudia Mitchell, 26 anni, ex marine, è la prima donna
al mondo ad avere un braccio bionico, nuovo gioiello
della tecnologia delle protesi americana, frutto di
vent'anni di ricerche: lo muove con il pensiero. Claudia
perse il braccio sinistro, amputatole all'altezza della
spalla, due anni fa, in seguito a una caduta in moto. La
Mitchell ha mostrato le funzionalità della protesi
durante una conferenza stampa a Washington, "dando
il cinque" a Jesse Sullivan, il primo uomo in assoluto
ad aver ricevuto un braccio bionico.




                    Claudia Mitchell



L’occhio bionico

Un occhio bionico è un apparato costituito da una
telecamera e da una retina elettronica, progettato per
sostituire le funzionalità dell'occhio umano.La
telecamera può essere montata sugli occhiali e
trasmette senza fili (per mezzo di onde radio) le sue
immagini ad un impianto che simula la funzionalità
della retina, collocata sul fondo del bulbo oculare.
Questa tecnologia, sviluppata nei primi anni del XXI
secolo riesce a interpretare e produrre immagini
composte da un numero variabile tra 16 e 60 pixel in
toni di grigio, ma rappresenta un primo passo verso la
realizzazione di impianti di prestazioni maggiori
(attualmente si punta al migliaio di pixel). Sono stati
ottenuti dei risultati interessanti, ad esempio in
Inghilterra: i malati di una specifica malattia oculare
genetica, la retinite pigmentosa (il nervo ottico12 deve
essere integro), hanno recuperato parzialmente la vista
con una bassa risoluzione. Uno di essi è riuscito a
leggere alcune parole brevi sullo schermo mentre un
altro è riuscito a distinguere grandi quadrati bianchi da
grandi riquadri neri. L'occhio bionico rappresenta il
primo esempio di interfaccia funzionale tra un apparato
elettronico e il cervello.

Nel 2006 è cominciata in California la sperimentazione
su esseri umani, che mira a realizzare un sistema per


12
    Il nervo ottico è il secondo di 12 paia di nervi cranici, ma è
considerato come parte del sistema nervoso centrale; infatti, le
fibre sono ricoperte dalla mielina prodotta dagli oligodendrociti, e
il nervo ottico è avvolto nelle meningi (dura madre, aracnoide, pia
madre). Tecnicamente, assieme al nervo olfattivo, non sono nervi
ma una continuazione del sistema nervoso centrale. Il nervo ottico
- lungo circa cinque centimetri - lascia l'orbita attraverso il canale
ottico, raggiungendo il chiasma ottico, in cui si assiste ad una
parziale decussazione (incrocio) delle fibre nervose: infatti quelle
provenienti dalle emiretine nasali si incrociano e proseguono nel
tratto ottico controlaterale. La maggior parte degli assoni del
nervo ottico termina nel corpo genicolato laterale, da dove le
informazioni visive vengono trasmesse alla corteccia visiva.
restituire la vista ai disabili visivi. L'azienda
californiana Second Sight Medical Products ha
presentato alla American Association for the
Advancement of Science di San Francisco, un progetto
per la realizzazione di retine artificiali. Un primo
prototipo, denominato Argus IRetinal Prosthesis
System a 16 pixel è stato testato tra il 2002 e il 2004 su
sei pazienti, di cui uno solo ha creato problemi al
volontario che lo ospitava e ha dovuto essere rimosso.

È in corso di test la versione Argus II (60 pixel). Il
dispositivo,primo nel suo genere, consiste in una
videocamera montata su un paio di occhiali. Questo è
collegato ad una retina artificiale che trasmette, in
modalità wireless , le immagini catturate dalla
videocamera lungo il nervo ottico al cervello.
Quest’ultimo     può    ricostruire   le    immagini
rappresentandole sotto forma di zone di luce e di
ombra.




1: La fotocamera posta sugli occhiali cattura le immagini e
invia le informazioni al processore;
2: il processore converte le immagini in segnale elettronico;
3: il segnale elettronico quindi è trasmesso, in modalità
wireless, alla retina artificiale;
4: i dati vengono inviati, attraverso un cavo molto piccolo
legato alla retina, al nervo ottico;
5: il nervo ottico trasmette tutti i dati al cervello.

Le operazioni sono state condotte come parte di uno
studio clinico internazionale che ha già dimostrato la
propria efficacia nel ripristino della visione
rudimentale nei pazienti che sono diventati ciechi a
causa di condizioni comuni quali la degenerazione
maculare legata all’età o la retinite pigmentosa. Circa
1,5 milioni di persone in tutto il mondo sono affette da
retinite pigmentosa e, ad una persona su dieci con età
superiore ai 55 anni, viene diagnosticata la
degenerazione maculare legata all’età. In entrambe le
malattie degenerative, le anormalità delle cellule della
retina (fotorecettori) portano ad una perdita della vista
graduale e progressiva.
Un caso straordinario è quello di una paziente
americana a cui è stato impiantato il dispositivo. Era
completamente cieca da più di dieci anni a causa di
una forma ereditaria di retinite pigmentosa. Con l’aiuto
della telecamera montata su un paio di occhiali da sole,
può ora avere una vaga immagine del mondo fatto di
luci ed ombre. Ricercatori americani sperano di
sviluppare una macchina fotografica delle dimensioni
di un pisello che potrebbe essere impiantata all’interno
del bulbo oculare, sostituendo i tessuti naturali con la
tecnologia artificiale.
Anche se l’intervento non garantisce il recupero della
vista, ma solo la possibilità di creare un meccanismo di
trasmissione delle informazioni visive al cervello, si
tratta di un approccio sicuramente rivoluzionario
soprattutto per i risultati che permette di conseguire.

Le lenti bioniche per la “realtà aumentata”

Alcuni ricercatori americani sono riusciti di recente a
sviluppare delle lenti a contatto bioniche con circuiti
elettronici e LED, in grado di generare immagini
virtuali. Come nei film di fantascienza, in perfetto stile
Minority Report o Terminator, un domani nemmeno
troppo lontano potremo controllare la casella di posta
elettronica o guardare le foto delle vacanze senza
l’ausilio di computer o telefonino, oppure visualizzare
le indicazioni del navigatore Gps senza la necessità di
rivolgere lo sguardo al display del dispositivo e senza
che altri si accorgano di quel che sta accadendo davanti
ai nostri occhi. Il tutto sarà possibile grazie alla
cosiddetta augmented reality (letteralmente «realtà
aumentata») – ovvero l’insieme delle tecnologie che
potenziano il nostro rapporto con la realtà – e al suo
utilizzo nella produzione di una nuova generazione di
lenti a contatto, come quelle allo studio presso i
laboratori della University of Washington.
Il prototipo di lente messo a punto dal professor Babak
A. Parviz e dal suo team di studenti incorporano led e
microcomponenti come antenne miniaturizzate,
biosensori e circuiti semitrasparenti in grado di
generare immagini virtuali nel campo visivo di chi le
indossa. A completamento della tecnologia, un piccolo
apparecchio portatile, separato, per la trasmissione
delle informazioni ai circuiti. Come spiega Parviz, al di
là del semplice arricchimento visivo, le lenti in
questione si prestano a diversi utilizzi nel campo
medicale. Uno di questi, per esempio, potrebbe essere
il monitoraggio della glicemia nei diabetici, possibile
grazie a un particolare sensore incorporato nella lente
in grado di rilevare la concentrazione della molecola
del glucosio. Si tratta ancora di esperimenti, e i
prototipi di Parviz sono stati testati con successo e
senza effetti collaterali solo sui conigli, e per 20 minuti
al massimo.




                  Fonte: Spectrum.ieee.org




L’orecchio bionico sottocutaneo

Si chiama "Carina", e potrebbe essere il primo
orecchio bionico al mondo in grado di ridare l'udito ad
almeno alcuni sordi e nel contempo rendere un ricordo
del passato la necessità di indossare apparati esterni. Al
contrario di molti apparecchi acustici, infatti, Carina
viene installato a diretto contatto con gli organi
deputati all'ascolto, fissato sul cranio con bulloni di
titanio e richiede una manutenzione minima in
confronto agli impianti tradizionali. Carina, è un
apparecchio acustico di nuova generazione,
miniaturizzato e hi-tech, formato da diverse parti
interconnesse l'una all'altra impiantate nella testa del
paziente nel corso di una operazione chirurgica.

Il primo pezzo è il microfono, che viene posizionato
dietro l'orecchio esterno. Per compensare la minore
sensibilità alle onde sonore dovuta alla sua
installazione dietro la pelle - dove essa si riduce di un
fattore 10 - la superficie del ricevitore è stata
aumentata di dieci volte rispetto a quella di un comune
auricolare esterno, arrivando in sostanza alla grandezza
di un'unghia.

Subito dopo viene l'unità di elaborazione dei segnali
sonori, il vero e proprio cuore del dispositivo che ne
occupa la stragrande maggioranza ed è alimentata da
una batteria ricaricabile agli ioni di litio. Per caricare
l'accumulatore viene usato il terzo componente
dell'orecchio bionico, una spirale induttiva che
converte le onde radio di un apposito trasmettitore
esterno in energia. Per un giorno di funzionamento
continuo occorre applicare tale trasmettitore per una o
due ore, tempo che può essere impiegato liberamente
dal paziente come più preferisce.

Il quarto e ultimo componente è poi un pistone
vibrante da installare nell'orecchio medio, fissandolo
con quattro bulloni di titanio alle ossa del cranio. Il
pistone è il principale responsabile della generazione
delle vibrazioni sonore da inviare al processore
centrale e quindi al cervello, si sostituisce al timpano e
stimola molto più efficacemente i tre fragili ossicini
preposti alla propagazione del suono nell'orecchio
interno come un vero e proprio amplificatore.
Un'installazione complessa, che richiede un gran
lavoro di chirurgia e che va ripetuta ogni 5-10 anni,
intervallo di tempo stimato per la durata totale della
batteria dell'aggeggio: ogni volta va sostituito quasi
tutto l'apparato, essendo i vari componenti
intimamente connessi l'uno all'altro, con l'eccezione
del pistone nell'orecchio medio. Ogni successiva
installazione dovrebbe quindi essere più semplice: si
toglie il vecchio orecchio bionico e si mette quello
nuovo, sostengono i ricercatori.

Che sia dunque sopraggiunta la fine per gli
ingombranti auricolari che le persone con difetti
all'udito sono condannate a portare come segno ben
visibile dei loro difetti? Parrebbe di si, almeno per chi
se lo può permettere visto che negli USA l'orecchio
bionico non è coperto dall'assicurazione medica
esattamente come un apparecchio di alto livello, ma
costa esattamente il quadruplo - circa 20mila dollari.

I risultati dell'impianto sono inoltre ancora al vaglio
della Food and Drug Administration, che ne sta
studiando la sicurezza e l'efficacia sui pazienti: il test
ha superato la fase uno (quella sulla sicurezza) con
risultati ambigui, i 20 soggetti impiegati hanno avuto
difficoltà maggiori ad ascoltare i suoni deboli con il
Carina piuttosto che con un dispositivo tradizionale,
ma le impressioni soggettive di tutti sull'impianto sono
state migliori dei risultati stessi.
Veronika Koch, venticinquenne tedesca studente di
medicina, è invece la rappresentazione del successo
completo dell'impianto: la ragazza parla di "esperienza
meravigliosa" in relazione alla sensazione di sentire di
nuovo in maniera naturale per mezzo del Carina
quando esso è stato attivato la prima volta, di
controindicazioni praticamente inesistenti visto che
"non devi pensarci affatto" e in sostanza di una qualità
della vita nettamente migliorata dopo l'operazione. È
insomma ancora presto per poter definire in pieno
l'efficacia della nuova soluzione contro la sordità,
occorre aspettare la fine dei test della FDA e l'ulteriore
raffinamento della tecnologia alla base del Carina.

Il piede bionico

È stata recentemente sviluppata una nuova protesi del
piede dal costo contenuto e dalle prestazioni superiori
per persone attive, vittime di mine. Dal design
innovativo e con forte rendimento (da un punto di vista
energetico); con caratteristiche di robustezza e di
flessibilità elevate, grazie ad un elastomero
termoplastico poliestere che fornisce stabilità, efficacia
e comfort.

La protesi è stata sviluppata all'interno del programma
di soccorso in favore delle vittime di mine del
Canadian Centre for Mine Action Technology, da parte
dell'azienda Niagara Prosthetic & Orthotics
International Ltd. (Ontario, Canada), con l'assistenza
dei partner del settore Hippo Design (Montebello,
Québec), Précicad (Québec City, Québec), DuPont
(USA e Canada) e un team di ingegneri della Queen’s
University (Kingston, Ontario).

La protesi è stata specificamente progettata per persone
dalla vita attiva e per coloro che camminano su terreni
accidentati. Una caratteristica chiave del design è la
chiglia, una parte unica, a forma di S, che agisce da
molla per accumulare e rilasciare energia durante la
marcia. “Il principio della redditività energetica
incorporato nel design delle protesi consente
all'utilizzatore di camminare in modo più naturale
rispetto a protesi dal design convenzionale” - spiega
Rob Gabourie, fondatore di Niagara Prosthetic &
Orthotics Corporation e inventore della protesi – “I
pazienti percepiscono e apprezzano le prestazioni
offerte da questa apparecchiatura, che diminuisce lo
sforzo muscolare richiesto per camminare”.

La combinazione di un basso livello di fatica sotto
flessione e di un'alta resistenza alle sollecitazioni
fornita dal materiale con cui è stata realizzata questa
protesi , è stata un elemento fondamentale per la
realizzazione di questo concetto – e Rob Gabourie è
addirittura convinto che il suo design non
funzionerebbe con nessun altro materiale. Mentre altre
resine, inclusi i poliossimetileni e le poliammidi, non
hanno superato i due milioni di carichi ciclici e hanno
subito deformazioni o, in alcuni casi, cedimenti
strutturali, questa ha nettamente superato questo limite
durante i severi collaudi effettuati alla Queen’s
University, come richiesto dagli standard ISO 10328.
“Di particolare interesse è la capacità di questo
materiale di accumulare e rilasciare energia” - ha
dichiarato Dan Curran-Blaney, referente per lo
sviluppo delle applicazioni presso DuPont Canada –
“Esso soddisfa le specifiche del design imitando il
movimento naturale dell'articolazione della caviglia.
Oltre a questo requisito fondamentale, il materiale
deve poter sopportare cicli severi di carico, come
avviene durante un uso normale. Sua caratteristica
esclusiva è la capacità di riacquistare la forma
originale anche durante cicli continui sotto carico,
qualità che accresce le sue proprietà elastiche”.

Un'ulteriore motivo per la sua eccellente prestazione in
una applicazione talmente esigente viene fornita dal
comportamento del materiale durante la lavorazione,
come ha spiegato Helga Plishka, referente tecnico
presso DuPont Canada: “La geometria del design
attuale richiede pareti particolarmente spesse. Questo
materiale cola facilmente negli stampi e produce parti
molto compatte, pertanto la presenza di vuoti, molto
diffusi nelle parti stampate con POM o poliammide,
viene eliminata”. Per prevederne il funzionamento e la
durata, la protesi del piede è stata sottoposta a collaudi
in laboratorio, clinici e sul campo, inclusi test di
prestazione con mutilati sia in Canada che in San
Salvador. La protesi è disponibile in diverse misure,
con un rivestimento cosmetico opzionale. Progettata
per adulti che conducono una vita attiva e fino a 80
chili di peso, la protesi può essere facilmente
personalizzata dal protesista locale a seconda del peso
dell'utilizzatore, i livelli di attività e le preferenze
personali.
Il “Niagara Foot” dell’azienda Niagara Prosthetic & Orthotics
                        International Ltd.




Il Polmone artificiale

BioLung è un polmone artificiale che rimpiazza le
normali funzioni di un polmone durante gravi infortuni
o in attesa di un trapianto, e in futuro magari come
'pacemaker respiratorio'.Gli ingegneri della MC3
hanno disegnato e brevettato tutto il sistema in
collaborazione con diversi Istituti Accademici in
America: è attualmente in fase di test per essere
approvato dalle autorità sanitarie USA. In caso
positivo, BioLung sarà commercializzato da un'azienda
tedesca, la Novalung.




                 Il polmone artificiale BioLung
Un disegno schematico del funzionamento di
                  BioLung, nel corpo umano.




Il cuore artificiale

Il cuore artificiale sta lentamente uscendo dalla fase
sperimentale. Nel giro di pochi anni diventerà una
valida alternativa al trapianto tradizionale. Per adesso è
usato nei casi disperati, con risultati incoraggianti. Il
forte sviluppo delle tecnologie applicate al campo
medico sta cercando di superare le barriere
terapeutiche in vari campi, tra cui quello della
cardiologia.
Ultimamente, ad esempio, ha portato alla progettazione
e realizzazione di sistemi definiti cuori artificiali
definitivi per il trattamento di soggetti affetti da gravi
cardiopatie. Ad esempio, il sistema LionHeart, Left
Ventricular Assist System (sistema di assistenza del
ventricolo sinistro, LVAS), è il frutto di sette anni di
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Androidi: L'Era dei Replicanti è iniziata! (e-book) - WWW.OLOSCIENCE.COM

  • 1. Fausto Intilla Androidi Prima edizione: Gennaio 2010 © 2010 by Fausto Intilla Pubblicazione privata, non commerciale. Disponibile solo ed esclusivamente in formato elettronico (e-book). WWW.OLOSCIENCE.COM
  • 2. Una nota importante: Questo libro, è il frutto di una raccolta di testi (riportati fedelmente nella loro forma originale), immagini e informazioni tratte prevalentemente dal Web. Alla fine di ogni paragrafo, sarà mia premura quindi, fornire ai lettori tutti i link relativi alla sitografia specifica da cui sono state tratte le informazioni. Il contenuto: Nel libro viene presentato il percorso evolutivo degli automi artificiali, dall’antichità sino ai tempi moderni. Verrà quindi descritto il loro progressivo sviluppo, dai tempi in cui era possibile parlare solo di funzionalità meccaniche di tali congegni artificiali, sino ai giorni nostri, in cui la meccanica di questi automi (chiamati sempre più comunemente androidi o ginoidi, poichè sempre più spesso vengono costruiti con sembianze umane) si fonde con il mondo della bioingegneria, attraverso elementi costruttivi e costitutivi le cui basi poggiano sui moderni concetti di neuro-robotica e cibernetica. Verranno inoltre esaminati i possibili risvolti di una futura interazione tra esseri umani e automi artificiali, quando questi ultimi saranno ormai così numerosi, da rappresentare una vera e propria società parallela a quella umana.
  • 3. INDICE Parte I I primi automi della storia: dalle idee di Leonardo a quelle di Jacques de Vaucanson. 04 Qualche passo nella fantascienza: da Frankenstein di Mary Shelley ai replicanti di Philip K. Dick. 23 Dalla robotica umanoide agli organismi cibernetici.38 Parte II Bioingegneria e sistemi neuro-robotici. 83 Sviluppo e tecnologia dei moderni automi: dagli androidi della Hanson Robotics a quelli del Prof. Hiroshi Ishiguro. 109 Il futuro degli esseri umani: evoluzione e convivenza con i robot. 126
  • 4. I primi automi della storia: dalle idee di Leonardo a quelle di Jacques de Vaucanson. “Per inventare hai bisogno di una buona immaginazione e di una pila di cianfrusaglie”. Thomas Alva Edison L’automa cavaliere di Leonardo Da Vinci. Gli automi ebbero una fase di grande sviluppo in seguito alla riscoperta della cultura greca durante il Rinascimento. Oltre ai progressi nella filosofia della scienza e in discipline come astronomia, matematica e geometria, ci furono diversi avanzamenti tecnologici. La riscoperta degli scritti di scienziati come Ctesibio ed Erone di Alessandria, così come quelli di Filone di Bisanzio, fortunatamente conservati a opera degli arabi e dei bizantini, ebbe sicuramente influenza sugli studiosi rinascimentali. È ormai entrato nell’immaginario comune che tra i tantissimi progetti di Leonardo ci sia anche quello di un “cavaliere meccanico”. La prima vera tecnologia degli automi meccanici si può far risalire al medioevo, quando si cominciano a costruire le prime figure mobili che arricchivano i campanili e gli orologi delle chiese.
  • 5. Il primo progetto documentato di un androide è firmato appunto da Leonardo da Vinci e risale al 1495 circa: appunti riscoperti negli anni cinquanta nel codice Atlantico1 e in piccoli taccuini tascabili databili intorno al 1495-1497 mostrano disegni dettagliati per un cavaliere meccanico in armatura, che era apparentemente in grado di alzarsi in piedi, agitare le braccia e muovere testa e mascella, emettendo suoni dalla bocca grazie ad un sofisticato meccanismo di percussioni collocato all'altezza del petto. L'automa cavaliere di Leonardo era probabilmente previsto per animare una delle feste alla corte sforzesca di Milano, tuttavia non è dato sapere se fu realizzato o meno. Il primo a identificarlo nascosto tra i disegni vinciani è stato Carlo Pedretti, nel 1957. Nel 1974, a firma di Ladislao Reti, il cavaliere meccanico viene citato nuovamente, nell’edizione da lui curata del Codice Madrid. Per arrivare a un tentativo di ricostruzione, bisogna attendere il 1996: Mark Rosheim pubblica infatti un suo studio e poi collabora con l’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze, che in una 1 Il codice Atlantico è la più ampia raccolta di disegni e scritti di Leonardo da Vinci, comprendente 1119 fogli raccolti in 12 volumi, ed è attualmente conservato alla Biblioteca Ambrosiana di Milano. Il nome del codice è dovuto alla dimensione delle pagine (64,5 x 43,5 cm), simile a quella delle pagine di un atlante. I fogli sono assemblati senza un ordine preciso ed abbracciano un lungo periodo degli studi leonardeschi, dal 1478 al 1519. Sono presenti diversi argomenti: anatomia, astronomia, botanica, chimica, geografia, matematica, meccanica, disegni di macchine, studi sul volo degli uccelli e progetti d'architettura.
  • 6. sua mostra dedicherà così una sezione al robot studiato da Rosheim. Ma sarà solo nel 2002 che Rosheim costruirà un modello fisico completo, per un documentario della BBC. Da allora, in molte mostre e musei di modelli vinciani si può trovare una copia di un soldato con rotelle chiamato “il robot di Leonardo”. Gli studi sull’argomento riferiscono che i manoscritti del progetto del robot di Leonardo si trovano nel Codice Atlantico, soprattutto sul foglio 579r. Ulteriori ricerche individuano anche i fogli 1077r, 1021r e 1021v come possibile fonte dei meccanismi di questo misterioso robot umanoide. Modello dell'automa cavaliere di Leonardo e (a fianco) i suoi meccanismi interni (esposizione Leonardo da Vinci. Mensch - Erfinder - Genie, Berlino 2005) L'automa di Leonardo, che era il frutto delle ricerche dei precedenti studi di anatomia e cinetica registrati nel Codice Huygens, rispettava nelle proporzioni il canone delle proporzioni dell'Uomo vitruviano. È stato
  • 7. ipotizzato (secondo voci raccolte da Vasari, Lomazzo e Buonarroti) che Leonardo abbia anche lavorato ad un automa a forma di leone, di cui però non esiste alcuna testimonianza diretta. Il primo “automa funzionante” La fine del XVIII secolo e il XIX secolo vede fiorire la moda degli automi meccanici, concepiti soprattutto come sofisticati giocattoli, ma talvolta assai perfezionati. Il primo automa funzionante conosciuto venne creato nel 1738 da Jacques de Vaucanson2, che fabbricò un automa che suonava il flauto, così come 2 Jacques de Vaucanson (Grenoble, 1709 – Parigi, 1782) è stato un inventore e meccanico francese. Inventore del primo telaio automatico. Costruì il suo primo meccanismo automatico nel 1737. Nel 1751 inventò una ruota automatica per la dipanatura che utilizzava la tessitura a spina di pesce. Più tardi creò il primo telaio interamente automatico, di cui fu costruito un modello nel 1745. Tra i suoi congegni mise a punto elementi meccanici che sono tuttora utilizzati per le macchine utensili. Vaucanson è inoltre famoso per aver costruito alcuni automi, tra i quali un piccolo flautista completamente automatizzato dotato di labbra mobili, una lingua meccanica che fungeva da valvola per il flusso dell'aria e dita mobili le cui punte in pelle aprivano e chiudevano i registri del flauto. Ma la sua più grande opera fu un'anatra, un automa di tale versatilità da non essere ancora stato superato. L'anatra poteva bere acqua con il becco, mangiare semi di grano e replicare il processo di digestione in una camera speciale, visibile agli spettatori; ognuna delle sue ali conteneva quattrocento parti in movimento, che potevano simulare alla perfezione tutte le movenze di un'anatra vera. Voltaire fu cosi colpito da questi automi da battezzare Vaucanson "il rivale di Prometeo". Nel 1746 fu ammesso all'Accademia delle Scienze.
  • 8. un'anatra meccanica che, secondo le testimonianze, mangiava e defecava. Alla fine del Settecento ad un inventore ungherese, il barone Wolfgang Von Kempelen, fu attribuita l'ideazione di un automa in grado di giocare a scacchi, Il Turco, poi rivelatosi (nel 1857) un elaborato imbroglio. Tra il 1770 ed il 1773 due inventori, Pierre e Henri-Louis Jaquet-Droz, costruirono tre sorprendenti automi: uno scrivano, un disegnatore ed un musicista (ancora funzionanti, si trovano nel Musèe d'Art et d'Histoire di Neuchâtel in Svizzera). Le Canard digérateur (l'anatra digeritrice) di Jacques de Vaucanson, salutato nel 1739 come il primo automa capace di digestione.
  • 9. Automi nell’antichità Gli automi nel mondo ellenistico erano concepiti come giocattoli, idoli religiosi per impressionare i fedeli o strumenti per dimostrare basilari principi scientifici, come quelli costruiti da Ctesibio, Filone di Bisanzio (III secolo a.C.) ed Erone di Alessandria (I secolo). Quando gli scritti di Erone su idraulica, pneumatica e meccanica, conservati a opera degli arabi e dei bizantini, furono tradotti in latino nel Cinquecento e in italiano, i lettori iniziarono a ricostruire le sue macchine, tra cui sifoni, un idrante, un organo idraulico, l'eolipila3 e, appunto, gli automi, sulla cui 3 L'eolipila può essere considerato l'antenato della macchina a vapore. Ideato nel I secolo dal matematico e scienziato greco Erone il vecchio, è costituita da una sfera (probabilmente metallica), che si mantiene in rotazione per effetto del vapore contenuto al suo interno, che fuoriesce con forza da due tubi sottili a forma di “L”. Una sfera cava di rame è collegata con due tubicini ricurvi che si dipartono da due punti estremi della sfera posti sullo stesso asse diametrale. I tubicini terminano con due brevi tratti rettilinei paralleli tra loro, ma situati rispetto all'asse diametrale, da parti opposte. Uno dei tubicini è saldato alla sfera, l'altro può essere svitato per riempire d'acqua la sfera. Ambedue terminano con un forellino. La sfera può ruotare attorno ad un asse diametrale orizzontale per mezzo di due supporti sostenuti da due colonne sagomate di legno, poste su una larga base di legno. Riempita di acqua la sfera, la si riscalda con la fiamma. Quando il liquido raggiunge una temperatura sufficientemente elevata, il getto del vapore dagli orifizi pone in rotazione la sfera intorno all'asse diametrale orizzontale. Il verso del moto è naturalmente opposto a quello dei getti. La eolipila fu ideata da Erone di Alessandria, celebre matematico ed ingegnere del I secolo d.C.
  • 10. costruzione Erone aveva scritto uno dei suoi trattati di maggior successo, Automata, in cui egli illustra teatrini automatici dotati di moto autonomo, rettilineo o circolare, per tutta la durata dello spettacolo. Si conosce l'esistenza di complessi dispositivi meccanici nella Grecia antica, benché l'unico esemplare sopravvissuto sia la Macchina di Anticitera4. 4 La macchina di Anticitera (greco moderno: O µηχανισµός των Αντικυθήρων, O michanismós ton Andikithíron), nota anche come meccanismo di Antikythera, è il più antico calcolatore meccanico conosciuto, databile intorno al 150-100 a.C. Si tratta di un sofisticato planetario, mosso da ruote dentate, che serviva per calcolare il sorgere del sole, le fasi lunari, i movimenti dei cinque pianeti allora conosciuti, gli equinozi, i mesi, i giorni della settimana e - secondo un recente studio pubblicato su Nature - le date dei giochi olimpici. Trae il nome dall'isola greca di Anticitera (Cerigotto) presso cui è stata rinvenuta. È conservata presso il Museo archeologico nazionale di Atene. Il meccanismo fu ritrovato nel 1900 grazie alla segnalazione di un gruppo di pescatori di spugne che, persa la rotta a causa di una tempesta, erano stati costretti a rifugiarsi sull'isoletta rocciosa di Cerigotto. Al largo dell'isola, alla profondità di circa 43 metri, scoprirono il relitto di un'enorme nave affondata, risalente all'87 a.C. e adibita al trasporto di statue in bronzo e marmo. Il 17 maggio 1902 l'archeologo Spyridon Stais, esaminando i reperti recuperati dal relitto, notò che un blocco di pietra presentava un ingranaggio inglobato all'interno. Con un più approfondito esame si scoprì che quella che era sembrata inizialmente una pietra era in realtà un meccanismo fortemente incrostato e corroso, di cui erano sopravvissute tre parti principali e decine di frammenti minori. Si trattava di un'intera serie di ruote dentate, ricoperte di iscrizioni, facenti parte di un elaborato meccanismo ad orologeria. La macchina era delle dimensioni di circa 30 cm per 15 cm, dello spessore di un libro, costruita in bronzo e originariamente montata in una cornice in legno. Era ricoperta da oltre 2.000 caratteri di
  • 11. scrittura, dei quali circa il 95% è stato decifrato (il testo completo dell'iscrizione non è ancora stato pubblicato). Il meccanismo è attualmente conservato nella collezione di bronzi del Museo archeologico nazionale di Atene, assieme alla sua ricostruzione. Alcuni archeologi sostennero che il meccanismo era troppo complesso per appartenere al relitto ed alcuni esperti dissero che i resti del meccanismo potevano essere fatti risalire ad un planetario o a un astrolabio. Le polemiche si susseguirono per lungo tempo ma la questione rimase irrisolta. Solo nel 1951 i dubbi sul misterioso meccanismo cominciarono ad essere svelati. Quell'anno infatti il professor Derek de Solla Price cominciò a studiare il congegno, esaminando minuziosamente ogni ruota ed ogni pezzo e riuscendo, dopo circa vent'anni di ricerca, a scoprirne il funzionamento originario. Il meccanismo risultò essere un antichissimo calcolatore per il calendario solare e lunare, le cui ruote dentate potevano riprodurre il rapporto di 254:19 necessario a ricostruire il moto della Luna in rapporto al Sole (la Luna compie 254 rivoluzioni siderali ogni 19 anni solari). L'estrema complessità del congegno era inoltre dovuta al fatto che tale rapporto veniva riprodotto tramite l'utilizzo di una ventina di ruote dentate e di un differenziale, un meccanismo che permetteva di ottenere una rotazione di velocità pari alla somma o alla differenza di due rotazioni date. Il suo scopo era quello di mostrare, oltre ai mesi lunari siderali, anche le lunazioni, ottenute dalla sottrazione del moto solare al moto lunare siderale. Sulla base della sua ricerca, Price concluse che, contrariamente a quanto si era creduto in precedenza, nella Grecia del II secolo a.C. esisteva effettivamente una tradizione di altissima tecnologia. Il meccanismo di Anticitera, nonostante non trovi pari sino alla realizzazione dei primi calendari meccanici successivi al 1050, rimane comunque perfettamente integrato nelle conoscenze del periodo tardo ellenistico: vi sono rappresentati solo i cinque pianeti visibili ad occhio nudo ed il materiale usato è un metallo facilmente lavorabile. Ad Alessandria d'Egitto infatti durante l'ellenismo operarono molti studiosi che si dedicarono anche ad aspetti tecnologici realizzando macchine come quella a vapore di Erone. A Siracusa inoltre già dal 213 a.C. Cicerone cita la presenza di una macchina circolare costruita da Archimede con la quale si rappresentavano i movimenti del Sole, dei pianeti e della
  • 12. In origine si pensava provenisse da Rodi, dove sembra esistesse una tradizione di ingegneria meccanica; l'isola era rinomata per i suoi automi. Informazioni ricavate da recenti esami del frammento indicano che potrebbe essere proveniente dalle colonie di Corinto in Sicilia, il che indicherebbe una connessione con Archimede. Vi sono inoltre esempi dal mito: Dedalo utilizzò l'argento vivo per installare una voce nelle sue statue. Efesto creò automi per il suo laboratorio: Talo, un uomo artificiale di bronzo e, secondo Esiodo, la donna Pandora. Nell'antica Cina un curioso resoconto sugli automi si trova nel testo del Libro del Vuoto Perfetto5 (Liè Zĭ) scritto nel III secolo a.C.. In esso vi è una descrizione di un più antico incontro tra re Mu del Luna, nonché delle sue fasi e delle eclissi. Tuttavia l'unicità del meccanismo di Anticitera risiede nel fatto che è l'unico congegno progettato in quel periodo arrivato sino ai giorni nostri e non rimasto nel limbo delle semplici "curiosità". Il meccanismo di Anticitera è a volte citato tra i casi di OOPArt (Out of place artifacts), i cosiddetti "manufatti fuori dal tempo", dai sostenitori dell'archeologia misteriosa, i quali non vi riconoscono un artefatto scientifico ellenistico. 5 Il Liezi 列 , pinyin Liè Zĭ o Lieh Tzu è un testo taoista che era 列 incluso nel catalogo della libreria imperiale con il nome di ? Trattato del Vuoto Perfetto 冲 经 . L'autore del testo è Lie 冲 Yukou, spesso chiamato lui stesso Lie Zi. L'opera completa la famosa trilogia taoista insieme ai testi del più famoso Lao Zi, fondatore della religione, e di Zhuang Zi. È generalmente considerato il più pratico dei testi taoisti, se comparato alle scritture filosofiche di Lao Zi e ai poemi narrativi di Zhuang Zi.
  • 13. regno di Zhou (1023-957 a.C.) e un ingegnere meccanico chiamato Yan Shi, un 'artefice'. “Il re rimase stupito alla vista della figura. Camminava rapidamente, muovendo su e giù la testa, e chiunque avrebbe potuto scambiarlo per un essere umano vivo. L'artefice ne toccò il mento e iniziò a cantare perfettamente intonato. Toccò la sua mano e mimò delle posizioni tenendo perfettamente il tempo... Verso la fine della dimostrazione, l'automa ammiccò e fece delle avance ad alcune signore lì presenti, il che fece infuriare il re che avrebbe voluto Yen Shih [Yan Shi] giustiziato sul posto ed egli, per la paura mortale, istantaneamente ridusse in pezzi l'automa al fine di spiegarne il suo funzionamento. E, in effetti, dimostrò che l'automa era fatto con del cuoio, del legno, della colla e della lacca, bianco, nero, rosso e blu. Esaminandolo più da vicino il re vide che erano presenti tutti gli organi interni: un fegato completo, una cistifellea, un cuore, dei polmoni, una milza, dei reni, lo stomaco ed un intestino. Inoltre vide che era fatto anche di muscoli, ossa, braccia con le relative giunture, pelle, denti, capelli, ma tutto artificiale ... Poi il re fece la prova di togliergli il cuore e osservò che la bocca non era più in grado di proferir parola. Gli tolse il fegato e gli occhi non furono più in grado di vedere; gli tolse infine i reni e le gambe non furono più in grado di muoversi. Il re ne fu deliziato.” Nell'VIII secolo l'alchimista islamico Giabir ibn Hayyan (Geber) inseriva nel suo trattato Il libro delle pietre delle ricette per costruire serpenti, scorpioni ed esseri umani artificiali che fossero soggetti al controllo del loro creatore. Nell'827 il califfo al-Mamun aveva un albero d'argento e oro nel suo palazzo a Baghdad,
  • 14. che aveva le caratteristiche di una macchina automatica: c'erano uccelli di metallo che cantavano automaticamente sui rami oscillanti di quest'albero costruito da inventori e ingegneri islamici del tempo. Il califfo abbaside al-Muktadir possedeva a sua volta un albero dorato nel suo palazzo di Baghdad nel 915, con uccelli che battevano le ali e cantavano. Nel IX secolo i fratelli Banū Mūsā inventarono un flautista automatico che sembra essere stato la prima macchina programmabile, e che descrissero nel loro Libro dei dispositivi ingegnosi. Tra gli altri esempi notevoli di automi vi è la colomba di Archita, mezionata da Aulo Gellio. Analoghi resoconti cinesi di automi volanti si trovano negli scritti del V secolo del filosofo moista Mozi e del suo contemporaneo Lu Ban, che costruì uccelli artificiali in legno (ma yuan) che potevano effettivamente volare, secondo quanto riportato da Han Fei e in altri testi. Automi dal XIII al XIX secolo Ad Al-Jazari è attribuito il primo progetto documentato di automa programmabile nel 1206, usato per una serie di automi umanoidi. Il suo automa era una nave con quattro musicisti che galleggiava su un lago per intrattenere gli ospiti alle feste di corte. Il suo meccanismo aveva una batteria di percussioni programmabile con pistoncini (camme) che battevano su piccole leve che operavano la percussione. Il suonatore di tamburi poteva eseguire differenti ritmi e differenti partiture se i pistoncini erano spostati. Secondo Charles B. Fowler, gli automi erano una
  • 15. "banda musicale di robot" i quali potevano eseguire "più di cinquanta movimenti facciali e del corpo durante ogni selezione musicale." Al-Jazari inventò anche un automa per il lavaggio delle mani utilizzando per la prima volta il meccanismo di scarico utilizzato oggi per il vaso delle toilette. Si tratta di un automa con sembianze femminili con un bacile riempito d'acqua. Quando l'utilizzatore preme la leva, l'acqua scorre e l'automa riempie nuovamente il bacile. La sua "fontana del pavone" era un altro dispositivo più sofisticato per il lavaggio delle mani fornito di automi umanoidi come servi che offrono sapone e asciugamani. Mark E. Rosheim la descrive così: “Pulling a plug on the peacock's tail releases water out of the beak; as the dirty water from the basin fills the hollow base a float rises and actuates a linkage which makes a servant figure appear from behind a door under the peacock and offer soap. When more water is used, a second float at a higher level trips and causes the appearance of a second servant figure — with a towel!” Al-Jazari in tal modo sembra sia stato il primo inventore a mostrare un interesse nel creare macchina di forma umana per scopi pratici come manipolare l'ambiente per il comfort delle persone. Villard de Honnecourt, nel suo taccuino degli anni 1230, mostra progetti per automi zoomorfi e un angelo che rivolge perpetuamente il volto al sole. Un'aquila in legno costruita da Regiomontano (1436- 1476) volò - come riferito da Hakewill - dalla città di
  • 16. Konigsberg per incontrare l'imperatore, salutarlo e tornare indietro. Regiomontano costruì inoltre una mosca di ferro della quale egli stesso ebbe a dire che ad una festa si fosse levata dalle sue mani, avesse volato in cerchio e fosse ritornata a lui. Lo scrittore cinese Xiao Xun scrisse che quando il fondatore della dinastia Ming Hongwu (r. 1368–1398) stava distruggendo il palazzo di Khanbaliq che apparteneva alla precedente dinastia Yuan, vi furono trovati - tra i molti altri dispositivi meccanici - degli automi dell'aspetto di tigri. Il Rinascimento testimonia un considerevole ritorno d'interesse per gli automi. I trattati di Erone di Alessandria vennero pubblicati e tradotti in latino e italiano. Nel Settecento furono costruiti numerosi automi per meccanismi ad orologeria, principalmente dagli artigiani delle libere città imperiali dell'Europa centrale. Questi dispositivi meravigliosi trovarono ospitalità nei "gabinetti delle curiosità" o Wunderkammer delle corti principesche europee. Per le grotte dei giardini furono costruiti automi idraulici e pneumatici, simili a quelli descritti da Erone. In Cartesio si può riscontrare una nuova attitudine nei confronti degli automi, quando egli suggerisce che i corpi degli animali sono nient'altro che complesse macchine: le ossa, i muscoli e gli organi potrebbero essere rimpiazzati da pulegge, pistoni e camme. In tal modo il meccanicismo divenne lo standard al quale erano comparati la Natura e l'organismo. La Francia settecentesca fu la patria di quegli ingegnosi
  • 17. giocattoli meccanici che sarebbero divenuti dei prototipi per i motori della rivoluzione industriale. Così nel 1649, quando Luigi XIV era ancora un bambino, un artigiano di nome Camus progettò per lui un cocchio in miniatura, e cavalli completi di fanti e una signora nella vettura; tutte queste figure mostravano un movimento perfetto. Secondo P. Labat, il generale de Gennes construì, nel 1688, oltre a macchine per l'artiglieria e la navigazione, un pavone che camminava e mangiava. il gesuita Athanasius Kircher produsse diversi automi per mettere in scena spettacoli, tra cui una statua che parlava . Maillardet, un meccanico svizzero, costruì un automa capace di disegnare quattro figure e scrivere tre poemi (oggi conservato al museo scientifico del Franklin Institute di Filadelfia). John Joseph Merlin, di origine belga, creò il meccanismo dell'automa del Cigno d'argento (ora al Bowes Museum). Secondo il filosofo Michel Foucault, Federico II il Grande, re di Prussia dal 1740 al 1786, era "ossessionato" dagli automi. Secondo Manuel de Landa, "mise insieme le sue armate così come un meccanismo ben oliato i cui componenti erano guerrieri simili a robot." Il Giappone adottò gli automi durante il periodo Edo (1603 - 1867); erano noti come Karakuri ningyō (かかか か 人 ?). Il famoso prestigiatore Jean Eugène 人 Robert-Houdin (1805 - 1871) era conosciuto per aver creato automi per i suoi spettacoli da palcoscenico. Il periodo tra il 1860 e il 1910 è conosciuto come "l'età d'oro degli automi". In quegli anni prosperavano a Parigi numerose piccole imprese familiari di costruttori
  • 18. di automi. Dalle loro officine esportarono in tutto il mondo migliaia di automi meccanici e uccelli meccanici che cantavano. Sono questi automi francesi ad essere collezionati oggi e, sebbene oggi rari e costosi, attraggono collezionisti da ogni parte del mondo. I principali costruttori francesi furono Vichy, Roullet & Decamps, Lambert, Phalibois, Renou e Bontems. Una replica moderna dell’eolipila.
  • 19. Macchina di Anticitera: Frammento principale del meccanismo Schema del meccanismo di Anticitera
  • 20. Macchina di Anticitera: Ricostruzione del meccanismo, Museo archeologico nazionale di Atene.
  • 21. Macchina di Anticitera: Vista laterale del modello ricostruttivo, Museo archeologico nazionale di Atene.
  • 23. Qualche passo nella fantascienza: da Frankenstein di Mary Shelley ai replicanti di Philip K. Dick “La disumanità del computer sta nel fatto che, una volta programmato e messo in funzione, si comporta in maniera perfettamente onesta”. Isaac Asimov Gli androidi nella letteratura Una volta che la tecnologia avanzò al punto che la gente intravedeva delle creature meccaniche come qualcosa più che dei giocattoli, la risposta letteraria al concetto di essere artificiale rifletté le paure che gli esseri umani avrebbero potuto essere rimpiazzati dalle loro stesse creazioni intelligenti. Nella letteratura il primo classico riferito alla creazione di un essere umano artificiale è in genere considerato il romanzo Frankenstein (1818) di Mary Wollstonecraft Shelley, che spesso è anche citato come la prima opera di fantascienza. La creatura del dottor Frankenstein era assemblata con parti di cadaveri, utilizzando per infonderle la vita una strumentazione scientifica (non si tratta dunque di un automa meccanico, ma piuttosto di quello che molti anni dopo sarebbe stato definito un cyborg).
  • 24. Il racconto di E.T.A. Hoffmann L'uomo della sabbia (1815) narra l'amore tra un uomo e una bambola meccanica; nel romanzo breve La storia filosofica dei secoli futuri (1860) Ippolito Nievo indicò l'invenzione dei robot (da lui chiamati 'omuncoli', 'uomini di seconda mano' o 'esseri ausiliari') come l'invenzione più notevole della storia dell'umanità, e in Steam Man of the Prairies (1865) Edward S.Ellis espresse la fascinazione americana per l'industrializzazione. Giunse un'ondata di storie su automi umanoidi, che culminò nell' Uomo elettrico di Luis Senarens, nel 1885. Il primo ad utilizzare il termine androide in un romanzo fu però il francese Mathias Villiers de l'Isle- Adam (1838-1889) nella sua opera più celebre, Eva futura (L'Ève future, 1886), nel quale il protagonista è addirittura Thomas Edison, il quale inventa una donna artificiale quasi perfetta. Impossibile non citare il racconto dell'italiano Carlo Collodi del 1883, Le avventure di Pinocchio, in cui un bambino di legno prende vita. La storia, pur utilizzando elementi fiabeschi piuttosto che fantascientifici, contiene i temi fondamentali dei successivi racconti sugli androidi. Un precursore del moderno androide è da molti considerato il Golem, la temibile creatura protagonista di una vecchia leggenda del ghetto ebraico di Praga. In questo caso si tratta di una statua d'argilla che prende vita grazie alla magia cabalistica e non alla tecnologia scientifica. Una versione più moderna del Golem6 lo vede però 6 Il Golem (ebr. ) è una figura immaginaria frutto della mitologia ebraica e del folklore medievale. Il termine deriva probabilmente dalla parola ebraica gelem che significa "materia
  • 25. costruito come una specie di androide, nella novella di U.D. Horn (Der Rabby von Prag, 1842) e nel libretto di F. Hebbel per il dramma musicale di Arthur Rubinstein Ein Steinwurf (1858): il Golem viene qui rappresentato come un uomo-macchina di legno con un meccanismo ad orologeria dentro la testa. La leggenda del Golem viene infine ripresa e resa famosa dal romanzo Il Golem (Der Golem) del 1915 dello scrittore e occultista praghese Gustav Meyrink. Nel dramma R.U.R. (Rossum's Universal Robots) (1920) del ceco Karel Čapek appaiono uomini artificiali organici, utilizzati come forza lavoro a basso costo. L'opera è famosa per avere introdotto il termine robot. La procedura di costruzione degli androidi di Rossum comprende macchine per impastare e tini per il trattamento di protoplasma chimico. Quando il dramma di Čapek introdusse il concetto di una catena di montaggio operata da robot che costruivano altri robot, il tema prese delle sfumature politiche e filosofiche, ulteriormente disseminate da film classici come Metropolis (1927), il popolare Guerre Stellari (1977), Blade Runner (1982) e Terminator (1984). Tra il 1940 e il 1941 Isaac Asimov, con la collaborazione dell'editore John W. Campbell, elabora grezza", o "embrione". Esso fa la sua prima apparizione nella Bibbia (Antico Testamento, Salmo 139:16) per indicare la "massa ancora priva di forma", che gli Ebrei accomunano ad Adamo prima che gli fosse infusa l'anima. In ebraico moderno golem significa anche robot.
  • 26. le tre leggi della robotica7, divenute un punto fermo della narrativa sui robot. Nel 1976 Asimov scrive L'uomo bicentenario, la storia di un robot che vuole diventare umano a tal punto da fare ciò che differenzia 7 Nella fantascienza, le Tre leggi della robotica sono un insieme di leggi scritte da Isaac Asimov, noto scrittore di fantascienza, alle quali obbediscono gran parte dei robot che compaiono nei suoi racconti. Le tre leggi hanno subito qualche variazione passando da traduzione a traduzione, ma anche se il succo rimane sempre lo stesso è meglio esprimere prima le tre leggi nella versione originale: Inglese 1. A robot may not injure a human being or, through inaction, allow a human being to come to harm. 2. A robot must obey any orders given to it by human beings, except where such orders would conflict with the First Law. 3. A robot must protect its own existence as long as such protection does not conflict with the First or Second Law. Italiana 1. Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno. 2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge. 3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima e con la Seconda Legge.
  • 27. gli esseri umani dai robot: morire. Pur avendo inserito numerosissimi robot antropomorfi nella sua sterminata produzione di racconti e romanzi, Asimov tuttavia non usa in genere il termine androide, reso popolare solo negli Anni cinquanta quando apparve in alcuni racconti di Jack Williamson. Uno degli autori di fantascienza che fanno maggior uso degli androidi è stato Philip K. Dick il quale, scarsamente interessato agli aspetti strettamente tecnico-scientifici, li utilizzava soprattutto come sostituti robotici degli uomini e dunque inquietanti simboli, rispecchiamento/rovescio dell'essere umano, definendoli spesso simulacri. Dal romanzo di Dick Cacciatore di androidi è tratto il film Blade Runner, che presenta un vivido ritratto di replicanti che aspirano a quella vita umana loro ineluttabilmente negata. Marvin l'androide paranoico è uno dei personaggi principali della Guida galattica per gli autostoppisti, serie di fantascienza umoristica di Douglas Adams. Cinema e televisione Il primo film con un immaginario automa nel ruolo principale fu The Master Mystery del 1920, interpretato da Harry Houdini. Il secondo fu L'uomo meccanico (1921), del comico francese André Deed, in cui per la prima volta viene messo in scena uno scontro tra un robot buono e uno cattivo. Esempi famosi di androidi nella cinematografia e nelle serie televisive:
  • 28. Il robot femmina del film Metropolis (1927) per la regia di Fritz Lang. • Il pistolero interpretato da Yul Brynner nel Mondo dei robot (Westworld, 1973), iniziatore della rivolta dei robot contro gli umani del parco dei divertimenti Westworld. • Il simpatico androide protocollare C-3PO (D- 3BO) di Guerre Stellari (1976). • Roy Batty, condannato ad una breve esistenza e ribelle in Blade Runner (1982) di Ridley Scott, ispirato al romanzo Il cacciatore di androidi di Philip K. Dick. • L'androide assassino protagonista di Terminator (1984) e dei due seguiti, che però è più propriamente un cyborg. • Il bambino artificiale in AI - Intelligenza Artificiale (2001) di Steven Spielberg. • Il tenente comandante Data è un membro dell'equipaggio della nave stellare Enterprise nella serie televisiva Star Trek - The Nex Generation e in alcuni film derivati dalla serie stessa. • L'androide Bishop in Alien di Ridley Scott, compare in diversi episodi della serie. Dalle Tre Leggi di Asimov alla Legge Zero Asimov attribuì le tre leggi a John W. Campbell, a seguito di una conversazione fatta il 23 dicembre 1940. Comunque, Campbell sostiene che Asimov aveva già in testa le leggi, che avevano solamente bisogno di essere formulate esplicitamente.
  • 29. Anche se Asimov fissa una data di creazione delle leggi, la loro comparsa nelle sue opere avvenne lungo un periodo di tempo. Asimov scrisse due storie senza menzionare esplicitamente le Tre Leggi ("Robbie" ed "Essere razionale" detto anche "Secondo ragione"); Asimov assunse, comunque, che i robot avrebbero avuto una certa salvaguardia inerente. "Bugiardo!", la terza storia di robot di Asimov, menziona per la prima volta la Prima Legge, ma non le altre. Le Tre Leggi apparvero assieme esplicitamente in "Circolo Vizioso" ("Girotondo"). Quando queste ed altre storie vennero raccolte assieme, nell'antologia Io, Robot, "Essere razionale" venne aggiornata per comprendere le Tre Leggi. Le Tre Leggi vengono spesso usate nei romanzi di fantascienza scritti da altri autori, ma la tradizione vuole che solo Asimov le avrebbe potute citare esplicitamente. Una trilogia ambientata nell'universo immaginario di Asimov, venne scritta negli anni '90 da Roger MacBride Allen (Il calibano di Asimov, L'inferno di Asimov e L'utopia di Asimov). In questa trilogia, viene introdotto un nuovo insieme di leggi, le quali vennero concepite dall'autore durante una discussione con lo stesso Asimov. Alcuni appassionati di robotica sono giunti a credere che le Tre Leggi abbiano una valenza simile alle leggi della fisica; ovvero, una situazione che viola queste leggi è “inerentemente” impossibile. Ciò non è corretto, in quanto le Tre Leggi sono deliberatamente
  • 30. codificate nel cervello positronico8 dei robot di Asimov. Asimov infatti distingue la classe dei robot che seguono le Tre Leggi, chiamandoli Asenion robots. I robot delle storie di Asimov sono tutti Asenion robots, e sono incapaci di violare consciamente le Tre 8 Il cervello positronico è un dispositivo immaginario ideato per le sue storie di fantascienza dallo scrittore Isaac Asimov come componente fondamentale del cervello di un robot, il cui pensiero consiste in un flusso fulmineo di positroni. Nella sua descrizione il cervello positronico è composto di una lega di platino e iridio, ed è realizzato dalla U.S. Robots and Mechanical Men Corporation, l'unica azienda nel mondo capace di costruirne esemplari funzionanti. Il loro software ha come capisaldi quelle che Asimov chiamò le Tre leggi della robotica. Asimov scelse l'aggettivo positronico perché nel 1928 il fisico Paul Dirac postulò l'esistenza di questa strana particella, e nel 1938 il positrone fu effettivamente osservato sperimentalmente. I primi racconti sui robot positronici risalgono agli anni 1939-1940, perciò Asimov scelse l'aggettivo "positronico" semplicemente perché trovava il nome esotico e adatto ad un racconto di fantascienza, al posto del più consono "cervello elettronico". In effetti i positroni, essendo delle anti-particelle, non potrebbero esistere in un universo come il nostro fatto di elettroni, poiché le due particelle opposte si annichilirebbero in una frazione di secondo distruggendo la materia. Nella visione di Asimov, l'annullamento delle due particelle opposte - che per conseguenza produce energia - avrebbe dovuto portare i lettori ad immaginare una sorta di scintilla assimilabile a quella che nel pensiero umano si verifica nei neuroni. Il concetto dominò le storie di Asimov sui robot, ma fu ripreso da altri soggetti fantascientifici. In particolare, l'androide Data di Star Trek - The Next Generation è dotato di un cervello positronico. I romanzi della serie fantascientifica tedesca Perry Rhodan sono incentrati su computer chiamati Positroniken.
  • 31. Leggi, ma non c'è niente che impedisca ai robot di altri racconti, o del mondo reale, di non rispettarle. Ciò è straordinariamente opposto alla natura dei robot di Asimov. Anche se inizialmente le leggi erano semplicemente delle salvaguardie attentamente ingegnerizzate, nelle storie successive Asimov dichiara chiaramente che occorrerebbe un investimento significativo nella ricerca per creare dei robot intelligenti che siano privi di queste leggi, perché esse sono una parte inalienabile della fondazione matematica che sottende al funzionamento del cervello positronico. Nel mondo reale, non solo le leggi sono opzionali, ma impossibili da implementare: occorrerebbero significativi progressi nel campo dell'intelligenza artificiale per far si che i robot le possano comprendere facilmente. Alcuni hanno fatto notare che, siccome i militari sono la maggior fonte di finanziamento per la ricerca robotica, è improbabile che tali leggi vengano implementate. Altri hanno ribattuto che i militari vorrebbero che delle forti salvaguardie venissero inserite in ogni robot, se possibile, quindi leggi simili a queste verrebbero applicate. Le Tre Leggi sono talvolta viste come un ideale futuro da coloro che lavorano nel campo dell'intelligenza artificiale - una volta che un'intelligenza ha raggiunto un livello in cui può comprendere queste leggi, allora è veramente intelligente.
  • 32. Nessuna delle storie scritte da Asimov facevano complimenti alle Tre Leggi della robotica. Al contrario, ne mostravano le falle e i malintesi, derivanti da impulsi errati. Asimov una volta si meravigliò di come riuscì ad estrarre così tante storie dalle poche parole che componevano queste leggi. Per alcune storie, l'unica soluzione fu quella di cambiare le leggi. Le Tre Leggi vennero estese con una quarta legge, la 'Legge Zero', così chiamata per mantenere il fatto che una legge con numero più basso soprassedesse a una con numero maggiore. Venne enunciata da un personaggio di Asimov, R. Daneel Olivaw (R. sta per Robot), nel romanzo I Robot e l'Impero, anche se venne precedentemente menzionata in Conflitto evitabile da Susan Calvin. In I Robot e l'Impero, Giskard fu il primo robot ad agire in base alla Legge Zero, anche se ciò si rivelò distruttivo per il suo cervello positronico, quando violò la Prima Legge. Daneel, nel corso di molte migliaia di anni, fu in grado di adattarsi e obbedire completamente alla Legge Zero che recita: 0. Un robot non può recare danno all'umanità, né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, l'umanità riceva danno. Le altre 3 leggi vengono modificate di conseguenza: 1. Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano
  • 33. riceva danno. Purché questo non contrasti con la Legge Zero 2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Legge Zero e alla Prima Legge. 3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Legge Zero, la Prima Legge e la Seconda Legge. La legge zero tuttavia risulta essere estremamente complessa rispetto alla programmazione dei cervelli positronici dei robot, poiché postula che sia possibile, in qualche modo e qualche situazione, violare la prima legge della robotica (Nessun robot può recar danno a un essere umano) in funzione di un bene più ampio e duraturo dell'intera umanità. In pratica, un robot potrebbe uccidere un essere umano, in aperta violazione alla prima legge, commettendo un danno effettivo e certo, a fronte di un ipotetico e incerto bene per l'umanità. La contraddizione è al centro del finale del romanzo I robot e l'impero, poiché proprio il robot R. Giskard Reventlov sceglierà di permettere che un intero pianeta, la Terra, sia condannata ad una lentissima agonia nucleare, insieme a tutti i suoi abitanti, per spingere l'intera umanità ad abbandonare il grembo del pianeta madre e colonizzare l'intero universo. Il suo cervello positronico ne sarà danneggiato irrimediabilmente.
  • 34. In un racconto di Asimov (Il robot scomparso) diversi robot NS-2 (Nestor robots) vennero creati con solo parte della Prima Legge, con questa formulazione: 1. Un robot non può recare danno a un essere umano. Questo permetteva ai robot di lavorare a fianco degli esseri umani anche quando questi erano sottoposti a piccole dosi di radiazioni: non pericolose, ma comunque "dannose" secondo la Prima Legge. La formulazione originaria della Prima Legge obbligava quindi i robot ad intervenire, ma essendo questi più vulnerabili degli esseri umani alle radiazioni, invariabilmente si danneggiavano. Nel tipico stile di Asimov, questa modifica portò a vari problemi sulla cui soluzione si basa la trama del racconto. I "Solariani" infine, crearono dei robot con le normali Tre Leggi, ma con un concetto distorto di "essere umano". Similarmente ad un racconto breve in cui i robot erano in grado di arrecare danno agli alieni, i Solariani dissero ai robot che solo le persone che parlavano solariano erano umani. In questo modo, i loro robot non avevano alcun problema a recar danno a esseri umani non Solariani (ed in effetti, avevano ordini specifici a riguardo). Nella trilogia di MacBride Allen, gli scienziati di Inferno crearono robot dotati di un nuovo insieme di leggi. Essi non erano più richiesti di servire gli umani, erano programmati per cercare una loro ragion d'essere, e, anche se comunque non potevano nuocere
  • 35. agli umani, non avevano bisogno di prevenire i danni, il che permette al capo delle nuove leggi robotiche, Prospero, di progettare l'assassinio perfetto. Il personaggio di Calibano, è l'unico robot ad essere programmato senza alcuna legge. Il problema dei robot che si considerano umani è stato alluso molte volte. Robot antropomorfi resero il problema più evidente. Esempi si possono trovare nel romanzo I robot dell'alba e nei racconti brevi "La prova" e "L'uomo bicentenario". Dopo un omicidio su Solaria, in Il sole nudo, Elijah Baley sostenne che le leggi erano state deliberatamente travisate, poiché i robot potevano infrangerle tutte senza saperlo. Una parodia delle Tre Leggi venne fatta per Susan Calvin da Gerald Black: 1. Dovrai proteggere i robot con tutta la tua forza e tutto il tuo cuore e tutta la tua anima. 2. Dovrai considerare sacri gli interessi della US Robots and Mechanical Men Inc., a patto che ciò non interferisca con la Prima Legge. 3. Dovrai dare una distratta attenzione agli esseri umani, a patto che ciò non interferisca con la Prima e la Seconda Legge. Gaia, il pianeta intelligente dei romanzi della Fondazione, adotta una legge simile alla Prima Legge come sua filosofia: Gaia non può recare danno alla vita, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, la vita riceva danno.
  • 36. Le leggi non sono considerate assolute dai robot più avanzati. In molte storie, come "Circolo vizioso", il potenziale e la gravità di tutte le azioni sono pesati e un robot può infrangere le leggi il meno che può, piuttosto che non fare niente. In un'altra storia, venivano evidenziati i problemi della Prima Legge - ad esempio un robot non poteva funzionare da chirurgo, perché avrebbe causato danni a un umano; né poteva ideare strategie per il football americano, in quanto queste potevano causare infortuni ai giocatori. Roger Clarke scrisse un paio di documenti analizzando le complicazioni dell'implementazione di queste leggi, se i sistemi fossero in qualche modo in grado di impiegarle. Egli sostenne che. "Le leggi della robotica di Asimov sono state uno strumento letterario di successo. Forse ironicamente, o forse perché era artisticamente appropriato, la somma delle storie di Asimov confutano la tesi con cui iniziò: Non è possibile limitare con certezza il comportamento dei robot, inventando ed applicando un insieme di regole." Un racconto breve parodistico di John Sladek, intitolato "Broot Force" (e apparentemente scritto da "I-Click As-I-Move") riguarda un gruppo di robot in stile Asimov, le cui azioni sono limitate dalle "Tre Leggi di Robish", che sono "coincidentalmente" identiche alle leggi di Asimov. I robot nel racconto di Sladek fanno in modo di trovare delle scappatoie alle Tre Leggi, tipicamente con risultati sanguinari.
  • 37. Alle "tre leggi della robotica" e ad altri romanzi di Isaac Asimov si è ispirato il film del 2004 "Io, Robot" (I, Robot), di Alex Proyas, con Will Smith. Con l'evoluzione dei robot nei racconti, le scappatoie escogitate per scavalcare le Tre Leggi divengono sempre più raffinate. In uno degli ultimi racconti di robot, Che tu te ne prenda cura, il Governo Mondiale intende smantellare la U.S. Robots, per varie motivazioni, alcune delle quali parzialmente legate ai difetti delle Tre Leggi. Keith Harriman, direttore della U.S. Robots, utilizza due robot (George Nono e Decimo) per escogitare uno stratagemma di salvataggio dell'azienda. Questa coppia di robot estremamente sofisticati idea un piano a lunghissimo termine, creando con i loro ragionamenti una particolare modifica delle Tre Leggi. Nella serie Robot City scritta da giovani esordienti del mondo della fantascienza sotto le direttive di Isaac Asimov vengono postulate le tre leggi dell'umanica. Queste leggi, create da particolari Robot autoprodotti, sono basate su dirette speculazioni delle loro controparti robotiche. Sitografia specifica: http://it.wikipedia.org/wiki/Androide http://it.wikipedia.org/wiki/Tre_leggi_della_robotica http://it.wikipedia.org/wiki/Cervello_positronico
  • 38. Dalla robotica umanoide agli organismi cibernetici. "Non capivo perchè un replicante collezionasse foto. Forse loro erano come Rachael: avevano bisogno di ricordi". (Dal film "Blade Runner", di Ridley Scott) Organismi cibernetici Il termine cyborg o organismo cibernetico (anche organismo bionico) indica un essere, anche umano, di forma umanoide costituito da un insieme di organi artificiali e organi biologici. Nasce dalla contrazione dell'inglese cybernetic organism, per l'appunto organismo cibernetico. Il termine è nato nell'ambito della medicina e della bionica9, pur avendo avuto 9 La bionica (conosciuta anche come biomimetica, biognosi o ingegneria creativistica bionica) è l'applicazione di metodi e sistemi biologici trovati in natura nello studio e nel design di sistemi ingegneristici e della moderna tecnologia. Nella bionica sono inclusi altresì alcuni sviluppi della neurofisiologia e dell'elettrofisiologia. Alcune applicazioni sono nell'acquisizione di informazione mediante organi di senso artificiale e della circolazione dei segnali nelle reti nervose. La parola "bionico" fu coniata da Jack E. Steele nel 1958, probabilmente originandola dal lemma greco "βίον" (pronunciato "bion"), che significa "unità
  • 39. maggior successo nell'immaginario fantascientifico. Il termine cyborg fu reso popolare da Manfred E. Clynes e Nathan S. Kline nel 1960 in riferimento alla loro idea di un essere umano potenziato per sopravvivere in ambienti extraterrestri inospitali. Essi ritenevano che un'intima relazione tra essere umano e macchina fosse la chiave per varcare la nuova frontiera dell'esplorazione spaziale in un prossimo futuro. Il confine tra essere umano e cyborg è sempre più sfumato, basti pensare ai progressi delle tecnologie applicate alle protesi e agli organi artificiali: una persona dotata di un pace-maker potrebbe infatti già corrispondere alla definizione di cyborg. A seconda della loro origine, è tuttavia possibile distinguere i cyborg in due categorie: 1. Esseri umani potenziati. Può trattarsi di un essere umano che ha subito consistenti modificazioni artificiali ed innesti. Esempio: il protagonista del film RoboCop è un poliziotto che, ucciso in servizio, viene fatto resuscitare trasformato in cyborg. 2. androidi, cioè robot umanoidi, provvisti di apporti biologici, spesso allo scopo di aumentare la loro somiglianza con l'essere umano. È il caso del cyborg assassino di vita", e il suffisso -ic, che significa "come", "simile a" o "nella maniera di", da cui quindi "come la vita". Diversi dizionari, comunque, spiegano anche che la parola è formata dai termini "biologia" e "elettronica".
  • 40. protagonista del film Terminator (1984) e dei suoi seguiti. La teorica del femminismo Donna Haraway sostiene che la tendenza naturale degli esseri umani è quella di ricostruirsi attraverso la tecnologia allo scopo di distinguersi dalle altre forme biologiche del pianeta: un progetto che parte dalle prime forme di manipolazione del corpo umano e continua oggi con l'utilizzo di protesi tecnologiche e lo sviluppo dell'ingegneria genetica. Il desiderio di migliorare ciò che ha determinato la natura, secondo la Haraway, sarebbe alle origini stesse della cultura umana. Kevin Warwick, l’uomo cyborg Kevin Warwick, nacque a Coventry, una città di circa trecentomila abitanti situata nel West Midlands del Regno Unito, il nove febbraio del 1954. Lasciò la scuola all’età di sedici anni, per andare a lavorare presso la British Telecom. Riprese in seguito gli studi, ottenendo un primo diploma alla Aston University all’età di ventidue anni, per poi conseguire qualche anno dopo, un dottorato all’Imperial College di Londra. Nel corso degli anni, ebbe la fortuna di lavorare presso le Università più rinomate del Regno Unito (quali Oxford, Newcastle e Warwick), ricevendo infine una cattedra all’Università di Reading, all’età di trentatre anni. Attualmente K.Warwick riveste la carica di professore di cibernetica proprio all’Università di Reading, dove dispone appunto di una cattedra, da circa vent’anni. Le sue ricerche spaziano tra l’intelligenza artificiale (AI), la robotica e l’ingegneria
  • 41. biomedica. Egli è anche il direttore del Centro KTP10 dell’Università di Reading. Il Prof. Warwick, ha effettuato una serie di esperimenti “pionieristici” nel campo della cibernetica, basati essenzialmente su un impianto neurochirurgico (1998, Progetto Cyborg 1.0) di uno speciale micro-processore (nei nervi mediani del suo braccio sinistro), allo scopo di collegare il suo sistema nervoso direttamente ad un computer (e valutare così le possibili applicazioni di tale tecnologia nel campo della ricerca sui nuovi sistemi da offrire ai disabili). Egli è stato il primo ricercatore-scienziato ad utilizzare una sorta di super sensore ultrasonico immesso in un corpo umano (2002, Progetto Cyborg 2.0), onde stabilire una comunicazione puramente elettronica tra i sistemi nervosi di due esseri umani (la seconda persona quindi che in tali esperimenti ha giocato un ruolo importante, poiché anche su di essa si è dovuto impiantare un micro-processore – in questo caso “ricevente” – è stata sua moglie Irena). Nel 2002, alla Radcliffe Infirmary di Oxford il Prof.Warwick dà l’avvio al Progetto Cyborg 2.0. Poco più di due ore d’intervento e per circa due settimane, grazie a un centinaio di micro-elettrodi innestati nelle terminazioni nervose del braccio, egli sperimenta sensazioni artificiali, fa viaggiare il suo sistema nervoso in Internet, comunica telegraficamente con la moglie e manovra un robot a migliaia di chilometri di distanza. 10 Tale istituto collega l’Università di Reading con le piccole- medie imprese, ricevendo ogni anno un contributo finanziario per la ricerca scientifica, di circa due milioni di sterline.
  • 42. Con queste parole, lo stesso Warwick (durante un’intervista), spiega in parole povere ad un giornalista della rivista italiana “L’Espresso”, i risultati più eclatanti del progetto Cyborg 2.0:”(...)Effettivamente in Cyborg 2.0 abbiamo avuto la possibilità di raccogliere un quantitativo notevole di dati. Molti di quelli relativi al sistema nervoso li stiamo ancora analizzando a causa della loro complessità. I successi dell’esperimento però sono stati molteplici e assolutamente sorprendenti. Le faccio qualche esempio: a proposito del comportamento extrasensoriale, durante Cyborg 2.0, ero capace di muovermi bendato usando gli ultrasuoni, esattamente come fa normalmente un pipistrello di notte11. Ho inoltre guidato una sedia a rotelle direttamente con i segnali nervosi emessi dal mio cervello (e le anticipo che la prossima volta potrebbe trattarsi di una vera automobile!). Mentre fisicamente mi trovavo a New York, il mio sistema nervoso viveva invece in Internet. I miei segnali nervosi venivano inviati in rete e viaggiavano fi no in Gran Bretagna dove riuscivano a muovere una mano robotizzata. Dopodiché tornavano indietro a New York e potevo sentire sulle dita della mia mano 11 Warwick, volendo confutare la tesi secondo cui il cervello umano non può captare gli ultrasuoni, ha indossato, bendato, una cuffia dotata di due antenne; la prima emetteva ultrasuoni che rimbalzavano sugli oggetti vicini, venivano catturati dalla seconda e trasmessi ai suoi elettrodi che li inviavano al suo sistema nervoso sotto forma di impulsi. Ogni volta che Warwick si avvicinava, ad esempio, ad un tavolo, il suo cervello avvertiva una piccola scarica. Di fatto è un po’ come avere un senso in più rispetto a tutti gli altri esseri umani, un sesto senso!
  • 43. con quanta forza la mano artificiale si era mossa nell’altro continente. Il mio sistema nervoso, esteso attraverso Internet, aveva percorso di fatto 5.000 chilometri di distanza. Anche mia moglie Irena ha degli elettrodi inseriti nel suo sistema nervoso. Insieme comunicavamo telegraficamente dal sistema nervoso dell’uno a quello dell’altra e viceversa. Rispetto al controllo delle macchine direttamente con il cervello, resta da sperimentare ancora un po’, ma sono convinto che questo tipo di impianti ci porterà ad utilizzarlo nel prossimo futuro(...)”. I confini fra umano e artificiale sono destinati a confondersi sempre di più: applicare a organismi biologici delle componenti robotiche non appare più un traguardo così lontano. I vantaggi delle strutture biologiche, ossia le loro capacità di autoriparazione e la loro flessibilità, andrebbero infatti ad intrecciarsi con i vantaggi delle macchine, adattabili a condizioni estreme e altamente differenziabili nella scelta dei materiali e delle caratteristiche costruttive. Le ricerche di Warwick cercano applicazione nello sviluppo di nuove tecnologie a favore delle persone disabili, ma mirano anche a rendere possibile un radicale cambiamento di ciò che oggi concepiamo come essere umano. In scenari futuribili potremmo essere in grado di collegare in un grande network le nostre intelligenze, non solo fra loro, ma anche con altre intelligenze artificiali. Le nostre capacità di calcolo potrebbero essere moltiplicate e le nostre emozioni essere trasmesse intatte attraverso la rete fino a raggiungere persone lontane centinaia di chilometri.
  • 44. Tutte le informazioni presenti nel nostro cervello potrebbero essere trasferibili in supporti informatici, o addirittura in un altro cervello, mettendo radicalmente in crisi il nostro concetto di individuo. La cosa ancora più sorprendente è però provare a immaginare quali incredibili macchine potrebbero nascere da questa pletora di studi, ancora in odore di fantascienza, nel momento in cui si riuscisse a utilizzare molecole di Dna per costruire dei super computers, facendo cioè in modo che i codici della vita incontrino quelli della materia. A quel punto, reputano gli esperti, le macchine avranno raggiunto una tale complessità che sarà per loro possibile replicare i 100 miliardi di neuroni e i triliardi di sinapsi che costituiscono il cervello umano. E da questi complessi labirinti di interconnessioni potrebbero un giorno affiorare i primi veri sistemi d’intelligenza “non umana”. In molti laboratori del mondo gli scienziati hanno già iniziato a sperimentare l’uso di “vere” reti neurali animali per creare computer organici, oltrepassando la linea di confine tra materia animata e materia inanimata. Uno dei pionieri di questo nuovo filone della ricerca è senza dubbio William L. Ditto, un giovane fisico del Georgia Institute of Technology, che è stato capace, in via sperimentale, di combinare i normali circuiti di silicio con neuroni di sanguisuga, cioè con cellule nervose viventi. Ditto e i suoi colleghi sono partiti dall’idea che un elaboratore “biologico”, ossia in grado di sfruttare reti neurali organiche, dovrebbe presumibilmente fornire risposte corrette anche basandosi su informazioni parziali (cosa che
  • 45. invece non avviene nei computer attuali, che hanno bisogno di programmazione e immissione di dati per elaborare qualsiasi risposta). I neuroni di sanguisuga hanno dimostrato proprio questa superiore funzionalità: facendo rimbalzare i dati fra loro (un po’ con lo stesso principio con cui opera un computer quantistico), sono in grado di eseguire attività “simili al pensiero umano”. Stanno dunque nascendo entità capaci di fondere la nostra intelligenza organica, basata su cromosomi e neuroni, con quella inorganica subatomica. Questi futuri computers combineranno il livello umano d’intelligenza con la velocità, l’accuratezza e la capacità di condivisione dell’informazione dei computers quantistici. In altre parole, con queste macchine l’uomo sta ponendo le basi per il superamento della sua stessa specie. Nel suo libro “The Age of Spiritual Machines”, Raymond Kurzweil ha dato una splendida sintesi della mente e della macchina. In una serie di argute, ingegnose e profonde meditazioni, ha esplorato il momento di metamorfosi quando le macchine raggiungeranno e sorpasseranno le capacità del cervello umano. “The Age of Spiritual Machines” non è una mera lista di presagi ma un disegno profetico per il futuro. Kurzweil ci guida attraverso l’inesorabile avanzamento che sarà il risultato del superamento delle capacità della memoria e delle abilità computazionali del cervello umano. Secondo Kurzweil, le macchine compieranno tutto questo entro il 2020. Cominceremo ad avere relazioni con personalità automatizzate e le utilizzeremo come insegnanti, compagni ed amanti. Fra 10 anni, l’informazione sarà alimentata
  • 46. direttamente dal nostro cervello attraverso dirette vie neurali. La distinzione tra noi e i computer sarà sfocata a tal punto che le macchine pretenderanno di essere coscienti. Inoltre il 21° secolo di Kurzweil, promette di essere un’età in cui l’unione della sensibilità umana e dell’intelligenza artificiale fondamentalmente modificata, migliorerà la nostra vita. Gli studi e gli esperimenti di Warwick puntano a infrangere le barriere imposte dai limiti biologici della natura umana, attraverso upgrade tecnologici che porteranno l’uomo in una nuova fase sulla strada dell’evoluzione della specie. Suo centro di ricerca d’elezione è il MadLab, il laboratorio del Dipartimento di Cibernetica nel quale lavorano i suoi più stretti collaboratori e dove si svolgono gli esperimenti più importanti legati agli impianti sottocutanei e alla bioingegneria di cui il professore è lo stesso protagonista (www.madlab.rdg.ac.uk). All’European Futurist Conference di Lucerna, in Svizzera, Kevin Warwick ha affermato che nel futuro non avremo più passaporto o le chiavi della macchina, ogni persona avrà un impianto simile al suo che collegato al sistema nervoso potrà sostituire numerose attività dell’uomo, oltre a far sì che egli possa essere sempre identificato, ovunque e in qualsiasi momento. Dopo anni di ricerca su se stesso, in questo momento Warwick vuole allargare la sua ricerca, sperimentando lo scambio, il networking, e la comunicazione attraverso impianti collegati al cervello. Alla moglie ad esempio aveva anche regalato una collana che cambia colore e intensità a seconda del suo umore. Kevin
  • 47. Warwick è la dimostrazione vivente di come gli impianti di microchips non siano più solo una caratteristica del genere fantascientifico, ma che ormai, che lo vogliamo oppure no, appartengono alla realtà odierna. Kevin Warwick con la moglie Irina La mano biomeccatronica: il progetto LifeHand. Con il progetto LifeHand, i ricercatori dell'Università Campus Bio-Medico di Roma e della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa sono riusciti a collegare, con elettrodi neurali inseriti nei nervi mediano e ulnare di un paziente amputato della mano sinistra, una protesi biomeccatronica a cinque dita, indipendenti con il suo cervello. In un mese di sperimentazione,il paziente
  • 48. sottoposto a questa operazione, è riuscito a muovere con i soli impulsi cerebrali la mano artificiale, compiendo tutti e tre i movimenti prefissati dal programma di ricerca: opposizione pollice-indice, pugno, movimento del mignolo. Un’analisi dei dati registrati in tempo reale durante la sperimentazione, è servita ad assicurare che i movimenti della protesi sono avvenuti per puri impulsi cerebrali e hanno corrisposto alle reali intenzioni del paziente in più del 95 per cento dei casi. LifeHand si è proposto l’impianto di elettrodi a strato sottile (thin-film Longitudinally-implanted IntraFascicular Electrodes – tf-LIFE) in un paziente volontario con amputazione di arto superiore. In particolare, il protocollo sperimentale prevedeva la possibilità di utilizzare i tf-LIFE come interfacce neurali per il controllo bi-direzionale (dal cervello alla mano e viceversa) della protesi cibernetica di mano. Gli elettrodi sono stati progettati per consentire al soggetto amputato, da una parte, di ricevere informazioni sensoriali da speciali sensori posti nella mano cibernetica, attraverso una stimolazione elettrica e, dall’altra, di inviare comandi specifici per il controllo dei movimenti della protesi. In questa prima fase del progetto gli elettrodi sono stati rimossi dopo circa un mese di addestramento del paziente. I ricercatori della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa (SSSUP) hanno progettato e realizzato i prototipi di mano biomeccatronica, sviluppando, insieme con i Laboratori di Bioingegneria dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, gli algoritmi di comunicazione
  • 49. tra protesi e sistema nervoso del paziente. L’Università Campus Bio-Medico di Roma ha rivestito il ruolo di responsabile della sperimentazione clinica dei tf-LIFE sull’uomo, sia per quanto riguarda gli aspetti medici che per il supporto tecnologico. Nell’ambito di LifeHand è stato realizzato per la prima volta l’impianto su due nervi diversi del braccio (mediano e ulnare) di quattro elettrodi tf-LIFE di nuova generazione, dotati di otto canali di registrazione/stimolazione ciascuno. Le 32 vie di comunicazione differenti tra paziente e protesi biomeccatronica disponibili attraverso gli elettrodi tf- LIFE hanno aumentato fortemente l’efficacia dell’invio e della ricezione di informazioni tra cervello e mano. Gli elettrodi, inoltre, dopo l’intervento chirurgico d’impianto sono stati collegati a una protesi di mano sensorizzata, comandabile dal soggetto per vie neurali, anziché meccaniche e muscolari, e capace al contempo di restituire al soggetto informazioni sensoriali. È prevista in futuro una nuova effettuazione dell’esperimento con altri soggetti volontari, al fine di confermare l’efficacia dei tf-LIFE come interfacce neurali. Saranno nel frattempo ottimizzati la meccanica della protesi, l’elettronica e i software necessari per l’analisi dei segnali neurali registrati. Si procederà inoltre alla miniaturizzazione dei componenti della mano biomimetica. Le interfacce neurali sono dei dispositivi capaci di far comunicare il nostro sistema nervoso centrale (cervello o midollo spinale) o periferico (nervi periferici) con dispositivi elettronici in grado di attuare compiti o
  • 50. azioni complesse, di norma compiute, a livello fisiologico, dal nostro sistema muscolo-osteo- articolare. Nel caso del progetto LifeHand, queste interfacce sono state utilizzate per muovere la protesi di mano cibernetica. In particolare, gli elettrodi tf-LIFE sono stati scelti come mezzo attraverso il quale il cervello e i nervi periferici del paziente hanno potuto inviare e ricevere informazioni alla e dalla protesi di mano, senza utilizzare nessun muscolo né alcun organo di senso. Dopo un primo periodo di addestramento, il paziente è riuscito a controllare fino a tre differenti tipi di prese da parte della mano robotica, con una percentuale di successo da parte dell’interfaccia neurale nel riconoscimento del comando inviato dal cervello superiore all’85%. La possibilità di effettuare i tre tipi di presa, interfacciandosi tramite gli elettrodi tf-LIFE con una mano robotica a cinque dita, può mettere una persona in condizioni di svolgere la quasi totalità delle attività della vita quotidiana e lavorativa. Queste prestazioni sono state possibili anche grazie a un complesso sistema di acquisizione ed elaborazione dei segnali neurali, sviluppato dai Bioingegneri della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e dell’Università Campus Bio-Medico di Roma. Dopo quasi un mese di allenamento fianco a fianco con il paziente, il sistema si è dimostrato in grado di estrarre da tutti i segnali nervosi che il cervello inviava tramite le interfacce tf-LIFE solo quelli effettivamente utili a codificare l’intento di compiere una specifica
  • 51. presa. Come previsto, gli elettrodi tf-LIFE sono inoltre stati utilizzati nelle prime settimane dell’esperimento per veicolare stimoli ai nervi del moncherino e il paziente ha avvertito e tradotto questi stimoli in sensazioni tattili naturali, provenienti dalla regione di arto persa anni prima. I canali percettivi hanno però inaspettatamente smesso di funzionare dopo due settimane, probabilmente a causa di fenomeni di reazione locale all’interno del nervo in corrispondenza della zona di inserzione dell’elettrodo. Tali fenomeni sono attualmente oggetto di ulteriori studi, per capire come possano essere mitigati e controllati in modo da non influenzare il funzionamento dell’interfaccia. Per la prima volta, inoltre, i ricercatori italiani hanno valutato le modificazioni intervenute a livello della corteccia cerebrale – i cosiddetti fenomeni di neuroplasticità – in conseguenza dell’impianto e dell’utilizzo delle interfacce neurali tf-LIFE da parte del paziente. In particolare, la stimolazione magnetica transcranica (TMS) ha dimostrato una significativa riorganizzazione delle aree motorie relative ai muscoli del moncherino, che si è associata clinicamente a una riduzione significativa del dolore da arto fantasma – una patologia che affligge oltre il 65% degli amputati che continuano ad avvertire dolore dall’arto mancante. Gli esperimenti condotti hanno così fornito dati oggettivi fondamentali per confermare una delle ipotesi finora avanzate, e cioè che la patologia del dolore da arto fantasma sia direttamente causata da una “riorganizzazione corticale aberrante”, ovvero sia
  • 52. dovuta all’invasione delle aree motorie del cervello originariamente correlate all’arto amputato da parte di aree contigue. Anche se i tempi non sono maturi per un’ampia diffusione clinica di questo sistema di controllo di protesi di mano, le evidenze fornite dalla sperimentazione nella sua fase applicativa su uomo rappresentano una tappa importante verso il raggiungimento dell’obiettivo finale: mettere direttamente in comunicazione il cervello e le sue diramazioni nervose con macchine artificiali. Nel caso specifico, i risultati ottenuti con il progetto LifeHand aprono interessanti prospettive sull’uso delle interfacce neurali periferiche quale soluzione alternativa ad altre. Una di queste è il trapianto di mano da cadavere, che ha dato risultati finora molto controversi a livello di recupero funzionale e ha costretto il paziente a fortissime terapie antirigetto. Un’altra è rappresentata dalle interfacce direttamente impiantate nella corteccia cerebrale, già attualmente in fase di sperimentazione su uomo. Lo studio italiano sembra rendere decisamente più indicato l’impiego di interfacce periferiche, almeno per il controllo di protesi di arto, in quanto tali dispositivi possono garantire al momento migliori prestazioni con un più basso livello di invasività e una minore complessità dei segnali fisiologici da interpretare. I problemi tecnologici e medici da risolvere sono tuttavia ancora molti. È per esempio in fase di realizzazione una versione integrata, miniaturizzata e impiantabile di tutti i dispositivi elettronici necessari sia per acquisire i segnali neurali in uscita dal cervello
  • 53. (efferenti) e tradurli in comandi per la protesi, sia per generare segnali in ingresso al cervello (afferenti) ottenuti a partire dai sensori artificiali a contatto con l’ambiente. I ricercatori di LifeHand sono già al lavoro in vari nuovi progetti nazionali ed europei focalizzati su questo e sui molti altri fronti di ricerca medica e bioingegneristica, con l’obiettivo di non vanificare le aspettative di molti pazienti che non trovano attualmente una risposta adeguata per recuperare la piena autonomia dopo la perdita di un arto. Prima dell’esperimento di LifeHand, gli studi che hanno preso in esame l’impianto di elettrodi intra- neurali sono stati due, uno americano e uno cinese. Tra il 2004 e il 2005 ricercatori americani, guidati dal Prof. Ken Horch (University of Utah), hanno impiantato elettrodi LIFE di generazione precedente nei nervi del braccio prossimali all’amputazione di un gruppo di otto pazienti con amputazione cronica. Hanno dimostrato in due casi la possibilità di aprire e chiudere “con il pensiero” una protesi “a pinza” e di generare, tramite stimolazione elettrica artificiale, percezioni sensoriali di diversa natura, quali tatto, pressione, movimento, localizzate a livello delle dita dell’arto mancante. Gli stessi ricercatori hanno registrato un’attività neurale efferente, evidenziando come i soggetti, modulando volontariamente quest’attività, fossero in grado di direzionare un cursore verso un punto ‘target’, rappresentato sullo schermo di un computer. I due elettrodi usati nello Utah garantivano tuttavia in totale solo 4 canali indipendenti di comunicazione, mentre l’esperimento svolto in Italia ha potuto utilizzare 4
  • 54. elettrodi più potenti, arrivando ad avere fino a 32 canali contemporaneamente attivi per scambiare una mole maggiore d’informazioni tra i nervi periferici e la mano robotica. La mano robotica utilizzata in Italia per LifeHand è inoltre dotata di cinque dita, tutte controllabili in modo indipendente. La protesi impiegata dai ricercatori della University of Utah era invece una protesi a due dita. Per quanto riguarda lo studio cinese, gli autori di quest’ultimo, pubblicato nel 2007 e compiuto presso lo Zhong Shan Hospital della Fudan University (Shanghai, Cina), hanno realizzato un impianto acuto intraoperatorio di sei elettrodi intrafascicolari di diversa fattura in un singolo soggetto, registrando l’attività neurale efferente e dimostrando che il soggetto era in grado di modulare l’attività registrata dagli elettrodi posizionati a livello del nervo radiale, “comandando l’estensione di un dito della protesi di mano collegata tramite gli stessi elettrodi”. Anche in questo caso, le novità di LifeHand sono significative. Il paziente operato presso il Policlinico Universitario Campus Bio-Medico ha condotto una sperimentazione durata quasi un mese, anziché in sede esclusivamente intra-operatoria. È il periodo più lungo mai raggiunto per la sperimentazione di tali tecnologie nel sistema nervoso periferico umano. L’idea di realizzare protesi di arto collegabili all’uomo mediante speciali interfacce neurali nasce negli anni ’90. La sperimentazione effettuata con il progetto LifeHand costituisce l’atto conclusivo di uno
  • 55. specifico percorso iniziato nel 2003, nell’ambito del programma di ricerca NEUROBOTICS. La replica della mano umana è una sfida notevole dal punto di vista ingegneristico. Una mano naturale, infatti, è mossa da oltre 30 muscoli, ha oltre 10mila sensori ed è in grado di eseguire compiti di presa, manipolazione, esplorazione e comunicazione estremamente complessi. Il gruppo di ingegneri degli Arts Lab della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, guidati dal Prof. Paolo Dario e dalla Prof.ssa Maria Chiara Carrozza, hanno raccolto la sfida cercando di sviluppare una mano biomeccatronica in risposta a un bisogno definito: quello di favorire il reintegro sociale e lavorativo dei soggetti che hanno subito l’amputazione dell’arto. Nel caso specifico, il ruolo della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa è stato quello di progettare e costruire, nel tempo, vari prototipi di mano biomeccatronica, di realizzare gli algoritmi di classificazione dei segnali neurali, di definire i segnali di stimolazione, di co-progettare le interfacce neurali: tutte le componenti che permettono l’azione volontaria della mano e la percezione della stessa. La mano biomeccatronica utilizzata per il protocollo sperimentale di LifeHand è stata ribattezzata CyberHand. CyberHand dispone di cinque dita antropomorfe dotate di sensori propriocettivi ed esterocettivi. Ogni dito è mosso da un singolo motore, che permette la flessione e l’estensione delle tre falangi. Un motore aggiuntivo (per un totale di 6 motori nella mano) è utilizzato per il movimento di opposizione del pollice, fondamentale per effettuare
  • 56. prese di oggetti. I motori e i sensori sono controllati da schede elettroniche che regolano il funzionamento secondo un’architettura gerarchica, il cui livello superiore è direttamente controllabile dal PC che classifica i segnali neurali. Per la costruzione del prototipo CyberHand sono stati utilizzati materiali molto diversi, a seconda delle esigenze richieste per il suo funzionamento. Le dita sono state realizzate in alluminio, leggero e resistente. I meccanismi di attuazione sono in acciaio. Per il palmo e le coperture è stata usata la fibra di carbonio. La parte elettronica di CyberHand è costituita da materiali standard, utilizzati di norma per la realizzazione di schede elettroniche. CyberHand pesa circa due chili e ha dimensioni comparabili con quelle della mano di un uomo adulto. Il sistema di attuazione ed elettronico è collocato su una struttura a torre da laboratorio (non ottimizzato per applicazioni protesiche) delle dimensioni di un avambraccio. Le sue caratteristiche peculiari sono: 1. Sottoattuazione: un motore agisce sulla contemporanea flessione di tre giunti. Questo semplifica il controllo e permette una presa avvolgente sull’oggetto; 2. Meccanismo di attuazione irreversibile: grazie a questo, una volta preso l’oggetto, è possibile spegnere il motore senza che il dito si riapra. È un meccanismo fondamentale della protesi, perché permette di risparmiare energia delle batterie; 3. Cinque dita indipendenti e movimento di opposizione del pollice;
  • 57. 4. Attuazione a guaine: simile al meccanismo dei freni della bicicletta, permette di situare i motori lontano dalla mano, senza particolari difficoltà di trasferimento del moto. CyberHand è capace di compiere prese di forza (bottiglie, oggetti di forma parallelepipeda che stanno nel palmo), prese laterali (chiave, carta di credito), prese di precisione (palline, piccoli oggetti). Il prototipo è anche in grado di fare gesti. Nell’ambito di LifeHand, la connessione fra le interfacce neurali e la mano è stata realizzata attraverso un collegamento transcutaneo (con fili che fuoriuscivano dalla cute del braccio del paziente). Nel prossimo futuro, tuttavia, verrà utilizzato un sistema telemetrico (wireless) tra interno ed esterno del corpo umano. Il gruppo di lavoro degli Arts Lab della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, coordinato dall’Ing. Silvestro Micera, si è occupato dello sviluppo degli algoritmi per l’estrazione dei comandi motori e per la stimolazione delle fibre sensoriali, al fine di realizzare il collegamento bi-direzionale fra le interfacce (impiantate) e la mano (esterna), parti essenziali di una protesi “cibernetica”. I prossimi passi di LifeHand riguarderanno la ripetizione dell’esperimento in altri soggetti volontari, al fine di valutarne la ripetibilità e di testare l’efficacia dei tf-LIFE come interfacce neurali. Sono inoltre previsti l’evoluzione e il miglioramento dell’elettronica e dei software necessari per l’analisi dei segnali registrati, così come la miniaturizzazione dei sistemi
  • 58. impiantabili, della meccanica, della sensoristica e dei sistemi di controllo della protesi biomeccatronica. Essendo LifeHand un progetto non ancora concluso, l’eventuale beneficio per il candidato potrà essere valutato soltanto a medio-lungo termine. In caso di riuscita delle successive fasi sperimentali, comunque, al soggetto sarà garantito di poter usufruire per primo e gratuitamente dell’ultima versione di protesi di mano cibernetica, nel momento in cui sarà disponibile per un utilizzo clinico. Contemporaneamente, un programma di ricerca finalizzato alla realizzazione di protesi bioniche controllate dal paziente a livello neurale è in corso negli Stati Uniti d'America, presso la DARPA, l’Agenzia per Progetti di Ricerca Avanzati del Dipartimento della Difesa americano. La mano bionica a cinque dita indipendenti, realizzata dalla Scuola Sant'Anna di Pisa.
  • 59. La mano bionica a cinque dita indipendenti, realizzata dalla Scuola Sant'Anna di Pisa: senza rivestimento. La mano bionica a cinque dita indipendenti, realizzata dalla Scuola Sant'Anna di Pisa: con rivestimento in lattice.
  • 60. Il braccio bionico del RIC Al Rehabilitation Institute of Chicago (RIC), è stato di recente realizzato un braccio bionico a neuro-controllo, che permette al paziente di muovere il dispositivo come un braccio vero, semplicemente PENSANDO. Il braccio permette ai pazienti movimenti più naturali, un ampio raggio di motilità e il recupero delle funzioni perse. Utilizzando le conoscenze chiave ricavate dal primo impianto di un braccio bionico, eseguito nel Tennessee su Jesse Sullivan, il Dr. Kuiken e il suo team hanno compiuto significativi avanzamenti nell'area della risposta sensoriale, cosicché il paziente può attualmente 'sentire' e capire quindi se sta toccando oggetti caldi oppure freddi. Questo braccio bionico è stato denominato RIC (dal nome dell’Istituto in cui è stato sviluppato). Per fornire il RIC del movimento neuro-controllato, i nervi nella spalla del braccio amputato vengono 'reindirizzati' e connessi con i muscoli sani del torace: questa operazione è chiamata "reinnervazione mirata del muscolo" e permette di dirigere i segnali nervosi direttamente al braccio bionico, come se si trattasse del braccio naturale.Le attuali braccia artificiali hanno solo 3 motori: Il Braccio bionico RIC include un sistema a 6 motori, sviluppato in collaborazione con i laboratori di ricerca di tutto il mondo: utilizza diverse parti della protesi simultaneamente, con l'obiettivo di ricreare i movimenti naturali del braccio. Claudia Mitchell, 26 anni, ex marine, è la prima donna al mondo ad avere un braccio bionico, nuovo gioiello della tecnologia delle protesi americana, frutto di
  • 61. vent'anni di ricerche: lo muove con il pensiero. Claudia perse il braccio sinistro, amputatole all'altezza della spalla, due anni fa, in seguito a una caduta in moto. La Mitchell ha mostrato le funzionalità della protesi durante una conferenza stampa a Washington, "dando il cinque" a Jesse Sullivan, il primo uomo in assoluto ad aver ricevuto un braccio bionico. Claudia Mitchell L’occhio bionico Un occhio bionico è un apparato costituito da una telecamera e da una retina elettronica, progettato per sostituire le funzionalità dell'occhio umano.La telecamera può essere montata sugli occhiali e trasmette senza fili (per mezzo di onde radio) le sue immagini ad un impianto che simula la funzionalità della retina, collocata sul fondo del bulbo oculare.
  • 62. Questa tecnologia, sviluppata nei primi anni del XXI secolo riesce a interpretare e produrre immagini composte da un numero variabile tra 16 e 60 pixel in toni di grigio, ma rappresenta un primo passo verso la realizzazione di impianti di prestazioni maggiori (attualmente si punta al migliaio di pixel). Sono stati ottenuti dei risultati interessanti, ad esempio in Inghilterra: i malati di una specifica malattia oculare genetica, la retinite pigmentosa (il nervo ottico12 deve essere integro), hanno recuperato parzialmente la vista con una bassa risoluzione. Uno di essi è riuscito a leggere alcune parole brevi sullo schermo mentre un altro è riuscito a distinguere grandi quadrati bianchi da grandi riquadri neri. L'occhio bionico rappresenta il primo esempio di interfaccia funzionale tra un apparato elettronico e il cervello. Nel 2006 è cominciata in California la sperimentazione su esseri umani, che mira a realizzare un sistema per 12 Il nervo ottico è il secondo di 12 paia di nervi cranici, ma è considerato come parte del sistema nervoso centrale; infatti, le fibre sono ricoperte dalla mielina prodotta dagli oligodendrociti, e il nervo ottico è avvolto nelle meningi (dura madre, aracnoide, pia madre). Tecnicamente, assieme al nervo olfattivo, non sono nervi ma una continuazione del sistema nervoso centrale. Il nervo ottico - lungo circa cinque centimetri - lascia l'orbita attraverso il canale ottico, raggiungendo il chiasma ottico, in cui si assiste ad una parziale decussazione (incrocio) delle fibre nervose: infatti quelle provenienti dalle emiretine nasali si incrociano e proseguono nel tratto ottico controlaterale. La maggior parte degli assoni del nervo ottico termina nel corpo genicolato laterale, da dove le informazioni visive vengono trasmesse alla corteccia visiva.
  • 63. restituire la vista ai disabili visivi. L'azienda californiana Second Sight Medical Products ha presentato alla American Association for the Advancement of Science di San Francisco, un progetto per la realizzazione di retine artificiali. Un primo prototipo, denominato Argus IRetinal Prosthesis System a 16 pixel è stato testato tra il 2002 e il 2004 su sei pazienti, di cui uno solo ha creato problemi al volontario che lo ospitava e ha dovuto essere rimosso. È in corso di test la versione Argus II (60 pixel). Il dispositivo,primo nel suo genere, consiste in una videocamera montata su un paio di occhiali. Questo è collegato ad una retina artificiale che trasmette, in modalità wireless , le immagini catturate dalla videocamera lungo il nervo ottico al cervello. Quest’ultimo può ricostruire le immagini rappresentandole sotto forma di zone di luce e di ombra. 1: La fotocamera posta sugli occhiali cattura le immagini e invia le informazioni al processore; 2: il processore converte le immagini in segnale elettronico;
  • 64. 3: il segnale elettronico quindi è trasmesso, in modalità wireless, alla retina artificiale; 4: i dati vengono inviati, attraverso un cavo molto piccolo legato alla retina, al nervo ottico; 5: il nervo ottico trasmette tutti i dati al cervello. Le operazioni sono state condotte come parte di uno studio clinico internazionale che ha già dimostrato la propria efficacia nel ripristino della visione rudimentale nei pazienti che sono diventati ciechi a causa di condizioni comuni quali la degenerazione maculare legata all’età o la retinite pigmentosa. Circa 1,5 milioni di persone in tutto il mondo sono affette da retinite pigmentosa e, ad una persona su dieci con età superiore ai 55 anni, viene diagnosticata la degenerazione maculare legata all’età. In entrambe le malattie degenerative, le anormalità delle cellule della retina (fotorecettori) portano ad una perdita della vista graduale e progressiva. Un caso straordinario è quello di una paziente americana a cui è stato impiantato il dispositivo. Era completamente cieca da più di dieci anni a causa di una forma ereditaria di retinite pigmentosa. Con l’aiuto della telecamera montata su un paio di occhiali da sole, può ora avere una vaga immagine del mondo fatto di luci ed ombre. Ricercatori americani sperano di sviluppare una macchina fotografica delle dimensioni di un pisello che potrebbe essere impiantata all’interno del bulbo oculare, sostituendo i tessuti naturali con la tecnologia artificiale. Anche se l’intervento non garantisce il recupero della vista, ma solo la possibilità di creare un meccanismo di trasmissione delle informazioni visive al cervello, si
  • 65. tratta di un approccio sicuramente rivoluzionario soprattutto per i risultati che permette di conseguire. Le lenti bioniche per la “realtà aumentata” Alcuni ricercatori americani sono riusciti di recente a sviluppare delle lenti a contatto bioniche con circuiti elettronici e LED, in grado di generare immagini virtuali. Come nei film di fantascienza, in perfetto stile Minority Report o Terminator, un domani nemmeno troppo lontano potremo controllare la casella di posta elettronica o guardare le foto delle vacanze senza l’ausilio di computer o telefonino, oppure visualizzare le indicazioni del navigatore Gps senza la necessità di rivolgere lo sguardo al display del dispositivo e senza che altri si accorgano di quel che sta accadendo davanti ai nostri occhi. Il tutto sarà possibile grazie alla cosiddetta augmented reality (letteralmente «realtà aumentata») – ovvero l’insieme delle tecnologie che potenziano il nostro rapporto con la realtà – e al suo utilizzo nella produzione di una nuova generazione di lenti a contatto, come quelle allo studio presso i laboratori della University of Washington. Il prototipo di lente messo a punto dal professor Babak A. Parviz e dal suo team di studenti incorporano led e microcomponenti come antenne miniaturizzate, biosensori e circuiti semitrasparenti in grado di generare immagini virtuali nel campo visivo di chi le indossa. A completamento della tecnologia, un piccolo apparecchio portatile, separato, per la trasmissione delle informazioni ai circuiti. Come spiega Parviz, al di là del semplice arricchimento visivo, le lenti in questione si prestano a diversi utilizzi nel campo
  • 66. medicale. Uno di questi, per esempio, potrebbe essere il monitoraggio della glicemia nei diabetici, possibile grazie a un particolare sensore incorporato nella lente in grado di rilevare la concentrazione della molecola del glucosio. Si tratta ancora di esperimenti, e i prototipi di Parviz sono stati testati con successo e senza effetti collaterali solo sui conigli, e per 20 minuti al massimo. Fonte: Spectrum.ieee.org L’orecchio bionico sottocutaneo Si chiama "Carina", e potrebbe essere il primo orecchio bionico al mondo in grado di ridare l'udito ad almeno alcuni sordi e nel contempo rendere un ricordo del passato la necessità di indossare apparati esterni. Al contrario di molti apparecchi acustici, infatti, Carina viene installato a diretto contatto con gli organi deputati all'ascolto, fissato sul cranio con bulloni di
  • 67. titanio e richiede una manutenzione minima in confronto agli impianti tradizionali. Carina, è un apparecchio acustico di nuova generazione, miniaturizzato e hi-tech, formato da diverse parti interconnesse l'una all'altra impiantate nella testa del paziente nel corso di una operazione chirurgica. Il primo pezzo è il microfono, che viene posizionato dietro l'orecchio esterno. Per compensare la minore sensibilità alle onde sonore dovuta alla sua installazione dietro la pelle - dove essa si riduce di un fattore 10 - la superficie del ricevitore è stata aumentata di dieci volte rispetto a quella di un comune auricolare esterno, arrivando in sostanza alla grandezza di un'unghia. Subito dopo viene l'unità di elaborazione dei segnali sonori, il vero e proprio cuore del dispositivo che ne occupa la stragrande maggioranza ed è alimentata da una batteria ricaricabile agli ioni di litio. Per caricare l'accumulatore viene usato il terzo componente dell'orecchio bionico, una spirale induttiva che converte le onde radio di un apposito trasmettitore esterno in energia. Per un giorno di funzionamento continuo occorre applicare tale trasmettitore per una o due ore, tempo che può essere impiegato liberamente dal paziente come più preferisce. Il quarto e ultimo componente è poi un pistone vibrante da installare nell'orecchio medio, fissandolo con quattro bulloni di titanio alle ossa del cranio. Il pistone è il principale responsabile della generazione delle vibrazioni sonore da inviare al processore
  • 68. centrale e quindi al cervello, si sostituisce al timpano e stimola molto più efficacemente i tre fragili ossicini preposti alla propagazione del suono nell'orecchio interno come un vero e proprio amplificatore. Un'installazione complessa, che richiede un gran lavoro di chirurgia e che va ripetuta ogni 5-10 anni, intervallo di tempo stimato per la durata totale della batteria dell'aggeggio: ogni volta va sostituito quasi tutto l'apparato, essendo i vari componenti intimamente connessi l'uno all'altro, con l'eccezione del pistone nell'orecchio medio. Ogni successiva installazione dovrebbe quindi essere più semplice: si toglie il vecchio orecchio bionico e si mette quello nuovo, sostengono i ricercatori. Che sia dunque sopraggiunta la fine per gli ingombranti auricolari che le persone con difetti all'udito sono condannate a portare come segno ben visibile dei loro difetti? Parrebbe di si, almeno per chi se lo può permettere visto che negli USA l'orecchio bionico non è coperto dall'assicurazione medica esattamente come un apparecchio di alto livello, ma costa esattamente il quadruplo - circa 20mila dollari. I risultati dell'impianto sono inoltre ancora al vaglio della Food and Drug Administration, che ne sta studiando la sicurezza e l'efficacia sui pazienti: il test ha superato la fase uno (quella sulla sicurezza) con risultati ambigui, i 20 soggetti impiegati hanno avuto difficoltà maggiori ad ascoltare i suoni deboli con il Carina piuttosto che con un dispositivo tradizionale, ma le impressioni soggettive di tutti sull'impianto sono state migliori dei risultati stessi.
  • 69. Veronika Koch, venticinquenne tedesca studente di medicina, è invece la rappresentazione del successo completo dell'impianto: la ragazza parla di "esperienza meravigliosa" in relazione alla sensazione di sentire di nuovo in maniera naturale per mezzo del Carina quando esso è stato attivato la prima volta, di controindicazioni praticamente inesistenti visto che "non devi pensarci affatto" e in sostanza di una qualità della vita nettamente migliorata dopo l'operazione. È insomma ancora presto per poter definire in pieno l'efficacia della nuova soluzione contro la sordità, occorre aspettare la fine dei test della FDA e l'ulteriore raffinamento della tecnologia alla base del Carina. Il piede bionico È stata recentemente sviluppata una nuova protesi del piede dal costo contenuto e dalle prestazioni superiori per persone attive, vittime di mine. Dal design innovativo e con forte rendimento (da un punto di vista energetico); con caratteristiche di robustezza e di flessibilità elevate, grazie ad un elastomero termoplastico poliestere che fornisce stabilità, efficacia e comfort. La protesi è stata sviluppata all'interno del programma di soccorso in favore delle vittime di mine del Canadian Centre for Mine Action Technology, da parte dell'azienda Niagara Prosthetic & Orthotics International Ltd. (Ontario, Canada), con l'assistenza dei partner del settore Hippo Design (Montebello, Québec), Précicad (Québec City, Québec), DuPont
  • 70. (USA e Canada) e un team di ingegneri della Queen’s University (Kingston, Ontario). La protesi è stata specificamente progettata per persone dalla vita attiva e per coloro che camminano su terreni accidentati. Una caratteristica chiave del design è la chiglia, una parte unica, a forma di S, che agisce da molla per accumulare e rilasciare energia durante la marcia. “Il principio della redditività energetica incorporato nel design delle protesi consente all'utilizzatore di camminare in modo più naturale rispetto a protesi dal design convenzionale” - spiega Rob Gabourie, fondatore di Niagara Prosthetic & Orthotics Corporation e inventore della protesi – “I pazienti percepiscono e apprezzano le prestazioni offerte da questa apparecchiatura, che diminuisce lo sforzo muscolare richiesto per camminare”. La combinazione di un basso livello di fatica sotto flessione e di un'alta resistenza alle sollecitazioni fornita dal materiale con cui è stata realizzata questa protesi , è stata un elemento fondamentale per la realizzazione di questo concetto – e Rob Gabourie è addirittura convinto che il suo design non funzionerebbe con nessun altro materiale. Mentre altre resine, inclusi i poliossimetileni e le poliammidi, non hanno superato i due milioni di carichi ciclici e hanno subito deformazioni o, in alcuni casi, cedimenti strutturali, questa ha nettamente superato questo limite durante i severi collaudi effettuati alla Queen’s University, come richiesto dagli standard ISO 10328.
  • 71. “Di particolare interesse è la capacità di questo materiale di accumulare e rilasciare energia” - ha dichiarato Dan Curran-Blaney, referente per lo sviluppo delle applicazioni presso DuPont Canada – “Esso soddisfa le specifiche del design imitando il movimento naturale dell'articolazione della caviglia. Oltre a questo requisito fondamentale, il materiale deve poter sopportare cicli severi di carico, come avviene durante un uso normale. Sua caratteristica esclusiva è la capacità di riacquistare la forma originale anche durante cicli continui sotto carico, qualità che accresce le sue proprietà elastiche”. Un'ulteriore motivo per la sua eccellente prestazione in una applicazione talmente esigente viene fornita dal comportamento del materiale durante la lavorazione, come ha spiegato Helga Plishka, referente tecnico presso DuPont Canada: “La geometria del design attuale richiede pareti particolarmente spesse. Questo materiale cola facilmente negli stampi e produce parti molto compatte, pertanto la presenza di vuoti, molto diffusi nelle parti stampate con POM o poliammide, viene eliminata”. Per prevederne il funzionamento e la durata, la protesi del piede è stata sottoposta a collaudi in laboratorio, clinici e sul campo, inclusi test di prestazione con mutilati sia in Canada che in San Salvador. La protesi è disponibile in diverse misure, con un rivestimento cosmetico opzionale. Progettata per adulti che conducono una vita attiva e fino a 80 chili di peso, la protesi può essere facilmente personalizzata dal protesista locale a seconda del peso dell'utilizzatore, i livelli di attività e le preferenze personali.
  • 72. Il “Niagara Foot” dell’azienda Niagara Prosthetic & Orthotics International Ltd. Il Polmone artificiale BioLung è un polmone artificiale che rimpiazza le normali funzioni di un polmone durante gravi infortuni o in attesa di un trapianto, e in futuro magari come 'pacemaker respiratorio'.Gli ingegneri della MC3 hanno disegnato e brevettato tutto il sistema in collaborazione con diversi Istituti Accademici in America: è attualmente in fase di test per essere approvato dalle autorità sanitarie USA. In caso positivo, BioLung sarà commercializzato da un'azienda tedesca, la Novalung. Il polmone artificiale BioLung
  • 73. Un disegno schematico del funzionamento di BioLung, nel corpo umano. Il cuore artificiale Il cuore artificiale sta lentamente uscendo dalla fase sperimentale. Nel giro di pochi anni diventerà una valida alternativa al trapianto tradizionale. Per adesso è usato nei casi disperati, con risultati incoraggianti. Il forte sviluppo delle tecnologie applicate al campo medico sta cercando di superare le barriere terapeutiche in vari campi, tra cui quello della cardiologia. Ultimamente, ad esempio, ha portato alla progettazione e realizzazione di sistemi definiti cuori artificiali definitivi per il trattamento di soggetti affetti da gravi cardiopatie. Ad esempio, il sistema LionHeart, Left Ventricular Assist System (sistema di assistenza del ventricolo sinistro, LVAS), è il frutto di sette anni di