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Caro Professore
!
,
innanzitutto, mi scuso del ritardo con cui rispondo alla Sua lettera
inviatami via e-mail. La prego di considerare che alla base dello stesso, si
sono posti sia gli inderogabili impegni derivanti dalla partecipazione alla
Commissione, che la preparazione delle mie dimissioni dalla carica di
Commissario OCSE. Alle questioni di carattere strettamente generale
sollevate dalla summenzionata lettera, ho giá avuto modo di rispondere
precedentemente ad alcuni colleghi, che mi hanno interpellato in modo
analogo. Mi accingo ora a farlo con una lettera aperta, indirizzata all’intera
comunità dei costituzionalisti italiani, con le stesse modalità con cui Lei ha
espresso le Sue preoccupate osservazioni. Ritengo che in questo modo
potrò rispondere anche alle questioni che mi sono state poste, tramite e-
mail, da parte di altri costituzionalisti.
É chiaro che in questo scritto non formulerò alcun parere che
riguardi la posizione di singoli candidati, ma farò invece riferimento, da
una parte, a questioni che sono, o dovrebbero essere, di dominio pubblico,
una volta conclusi i lavori della prima fascia e formalizzato il verbale
avente carattere pubblico; dall’altra, a impostazioni di tipo generale o a
temi relativi alla mia posizione personale nel processo di abilitazione.
In primo luogo, avverto che questa lettera non sarà in nessun modo
una critica nei confronti dei miei colleghi della Commissione, con i quali
ho condiviso un intenso e difficile lavoro. Qualunque sia il giudizio che i
colleghi italiani abbiano dei risultati del procedimento in questione, li prego
di non dimenticare le difficili condizioni in cui abbiamo lavorato, con una
pressione molto forte dettata dalla limitazioni in termini di tempo, che
risultano acuite dalla realizzazione di un meccanismo completamente
nuovo che rende difficile tutto per l’assenza di esperienze precedenti che
possano fungere come punto di riferimento.
Non voglio entrare nei dettagli specifici che sono già stati indicati al
Ministero nelle mie dimissioni. Dimissioni che avevo preannunciato nella
data del 16 giugno alla luce dell’iter che stava prendendo forma all’interno
della Commissione e di alcune decisioni che si stavano cercando di
adottare, nonostante tali dimissioni siano state rese effettive solo a
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!
!Questo testo è una traduzione approssimativa della versione autentica in castigliano.!
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conclusione del processo di valutazione della prima fascia, al fine di non
pregiudicare gli interessi dei candidati. Ma già prima, il 10 giugno, misi
immediatamente al corrente il Ministero dei fatti accaduti, che riferisco poi
nella mia lettera di dimissioni.
Indipendentemente dai provvedimenti che possa adottare il Ministero
in relazione ai fatti che riferisco nel mio scritto di dimissioni non credo che
nessuno di questi pregiudichi la validità delle decisioni relative
all’abilitazione dei candidati della prima fascia, fermo restando il diritto dei
candidati non abilitati per motivi formali (relativi alla configurazione ed
estensione delle loro monografie) di richiedere una nuova valutazione delle
loro candidature.
Come si può dedurre chiaramente dalla mia dichiarazione, riportata
nel verbale dell’ultima riunione, all’interno della Commissione sono stati
formati due collegi. Il primo, composto da tutti i commissari, compreso il
Commissario OCSE, che ha funzionato normalmente nelle riunioni (sia
quelle in cui tutti i partecipanti erano fisicamente presenti, che in quella
telematica). Dall’altra parte, nei periodi a cavallo delle sedute, periodo nel
quale in realtà nessun collegio dovrebbe funzionare, si è formato un altro
collegio, le cui caratteristiche non conosco, così come non conosco i
procedimenti di adozione di iniziative o decisioni che il Presidente ha
trasmesso dopo al Commissario OCSE.
Ovviamente il Commissario OCSE non ha dato il suo consenso alle
decisioni alla cui deliberazione collegiale non aveva partecipato -che
considerava d’altronde irregolari in termini di contenuti- e ha ritenuto
sempre cattiva questa pratica amministrativa e continua a considerarla
incompatibile con l’ordinamento giuridico. Rendo pubbliche queste
dichiarazioni per sottolineare il motivo che mi impediva di continuare a far
parte di una commissione in cui il processo decisionale stava prendendo
forma al di fuori delle regole essenziali che regolano la formazione della
volontà di ogni organo amministrativo collegiale.
Le mie dichiarazioni verbalizzate durante l’ultima riunione
rispecchiano questa incompatibilità formale, diventata poi sostanziale
poiché si pretendeva di adottare iniziative al di fuori delle riunioni del
collegio, le quali avevano, peraltro, un contenuto molto discutibile. In due
occasioni (maggio e giugno), il Presidente della Commissione -in
! $!
rappresentanza del collegio più stretto nel quale il Commissario OCSE non
era presente- ha cercato di modificare i criteri di valutazione adottati
precedentemente nel mese di aprile (affermando, del resto, che essi non
erano stati stabiliti previamente: ma si può cambiare qualcosa che non
esiste?) e in entrambe le due occasioni mi sono rifiutato di accettare queste
decisioni. La mia opposizione non è servita, perchè ad ogni modo i suddetti
criteri sono stati comunque modificati, violando, a mio modesto parere, il
principio fondamentale di uguaglianza e la stabilità del meccanismo di
valutazione.
La gravità di questi fatti deve essere messa in rilievo. Basti pensare
che lo stesso testo non potrebbe essere considerato una monografia nel
mese di aprile ed, invece, potrebbe essere considerato tale nel mese di
maggio per poi, di nuovo, non essere considerato una monografia nel mese
di giugno. Questo suppone anche che lo stesso candidato, d’accordo con la
modifica di questo criterio, non potrebbe riunire le condizioni formali nel
mese di aprile, per poi riunirle a maggio e non riunirle di nuovo a giugno.
In queste condizioni, la mia presenza nella Commissione non aveva
più alcun senso poichè, come ho manifestato nel verbale dell’ultima
riunione, da quel momento non avrei più saputo quale criterio applicare alle
valutazioni che rimanevano in attesa di giudizio. Stiamo parlando del
prerequisito fondamentale stabilito dalla Commissione della necessità della
pubblicazione di una monografia per i candidati di seconda fascia e di due
per i candidati di prima fascia. E che criterio si sarebbe quindi dovuto
applicare? quello di aprile? o quello di maggio? o forse quello di giugno?
Considero, inoltre, che lo stesso problema si dovrebbe sottoporre anche agli
altri commissari, dal momento che il lavoro della Commissione è ormai
entrato in una zona di incertezza e di insicurezza giuridica, risultato
inevitabile dal cambiamento dei criteri di valutazione a metà processo.
Per quanto riguarda le altre attività del nostro lavoro, come membro
di un collegio, sono responsabile, come il resto dei membri, delle decisioni
che abbiamo adottato insieme e ai cui dibattiti ho partecipato. Non mi
ritengo responsabile però di tutto ciò che non è stato accordato
collegialmente, come è successo con la possibile limitazione ai candidati
che partivano da una posizione di ricercatore di poter optare direttamente
per l’abilitazione di prima fascia. Una decisione del genere non sarebbe
stata conforme alla normativa vigente, oltre ad essere in contrasto con i
! %!
criteri da noi approvati in precedenza, basati sul merito e non su questioni
incidentali attinenti alla precedente posizione accademica dei candidati.
Sono responsabile solidalmente, tuttavia, di determinati criteri
stabiliti dalla Commissione, come, ad esempio, quello relativo
all’interpretazione del prerequisito delle due monografie. È il caso
dell’esigenza che queste due monografie siano pubblicate nel periodo di
riferimento (e non durante tutta la vita accademica del candidato) o della
necessità che queste due monografie avessero una lunghezza minima per
essere considerate come tali. In base alla mia esperienza personale, il
risultato della combinazione di questi due requisiti è stato molto negativo,
dato l’elevato numero di giudizi individuali negativi da me espressi,
giustificati da motivi formali. Senza questi limiti formali, la maggioranza
dei miei giudizi sul totale sarebbero, forse, stati positivi. Su uno di essi in
particolare avevo manifestato i miei dubbi (quello sulla lunghezza della
monografia), ma l’ho applicato lealmente nonostante questi dubbi.
Ho applicato questi criteri perchè se posso rispettare -anche se non
condividere- un criterio generale restrittivo nel processo di valutazione, la
cosa che non posso nè condividere nè rispettare è invece la violazione di
tale criterio generale che lede il principio di uguaglianza e mette a
repentaglio la stabilità del processo di valutazione.
In relazione alla e-mail da Lei inviatami e alla quale con la presente
rispondo, sottoscrivo pienamente dalla prima all’ultima parola quello che
Lei dice. Questo non vuol dire che non abbia applicato criteri più rigorosi
ad alcune questioni, in base a ciò che mi hanno detto o che mi è sembrato
di capire, forse in modo sbagliato, quali fossero i confini della disciplina
del Diritto Costituzionale in Italia ai fini del processo di abilitazione. Se
non sono questi, chiedo scusa a coloro che hanno ricevuto da parte mia un
giudizio negativo. In ogni caso, la mia posizione generale è molto
semplice: considero incompatibile con qualsiasi ambizione scientifica
l’imposizione di limiti rigidi a discipline particolari, e, naturalmente, io non
li ammetterei mai tra il Diritto Costituzionale, il Diritto Pubblico (il quale
include una grande parte del Diritto amministrativo), il Diritto pubblico
comparato e il Diritto europeo.
Per quel che riguarda il Diritto Europeo mi sembra poco fattibile
imporre tali limiti, per motivi facilmente comprensibili: io sono anche
! &!
professore di Diritto costituzionale europeo; penso che non ho bisogno di
dire altro. Devo avvertire però che il non consentire l’abilitazione a persone
con un percorso di ricerca in Diritto Europeo non solo comporta un danno
considerevole ai candidati, ma anche alla disciplina del Diritto
costituzionale in Italia. Dobbiamo solo pensare da un punto di vista
puramente pratico alle procedure selettive nell’ambito dei progetti europei
nelle quali la circostanza di non avere la qualifica di “full professor”
potrebbe rappresentare un serio ostacolo per i candidati italiani che si
troverebbero in condizione di disparità rispetto ai loro colleghi di altri
paesi.
Caro Professore, mi permetterà di concludere questa lettera con un
messaggio ai candidati. La mia più grande soddisfazione di questi mesi è
stata la scoperta di splendidi lavori scientifici e di eccellenti
costituzionalisti (abilitati o meno da questa procedura così peculiare),
corroborando in questo modo l’impressione che ho sempre avuto della
dottrina italiana. Ribadisco e rafforzo il giudizio del cui ero già convinto: i
giovani costituzionalisti italiani sono degni allievi dei loro maestri.
L’eredità del patrimonio costituzionale italiano che ha contribuito in modo
determinante alla formazione di una cultura costituzionale europea e
universale, è in buone mani.
Francisco Balaguer Callejón

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  • 1. ! "! Caro Professore ! , innanzitutto, mi scuso del ritardo con cui rispondo alla Sua lettera inviatami via e-mail. La prego di considerare che alla base dello stesso, si sono posti sia gli inderogabili impegni derivanti dalla partecipazione alla Commissione, che la preparazione delle mie dimissioni dalla carica di Commissario OCSE. Alle questioni di carattere strettamente generale sollevate dalla summenzionata lettera, ho giá avuto modo di rispondere precedentemente ad alcuni colleghi, che mi hanno interpellato in modo analogo. Mi accingo ora a farlo con una lettera aperta, indirizzata all’intera comunità dei costituzionalisti italiani, con le stesse modalità con cui Lei ha espresso le Sue preoccupate osservazioni. Ritengo che in questo modo potrò rispondere anche alle questioni che mi sono state poste, tramite e- mail, da parte di altri costituzionalisti. É chiaro che in questo scritto non formulerò alcun parere che riguardi la posizione di singoli candidati, ma farò invece riferimento, da una parte, a questioni che sono, o dovrebbero essere, di dominio pubblico, una volta conclusi i lavori della prima fascia e formalizzato il verbale avente carattere pubblico; dall’altra, a impostazioni di tipo generale o a temi relativi alla mia posizione personale nel processo di abilitazione. In primo luogo, avverto che questa lettera non sarà in nessun modo una critica nei confronti dei miei colleghi della Commissione, con i quali ho condiviso un intenso e difficile lavoro. Qualunque sia il giudizio che i colleghi italiani abbiano dei risultati del procedimento in questione, li prego di non dimenticare le difficili condizioni in cui abbiamo lavorato, con una pressione molto forte dettata dalla limitazioni in termini di tempo, che risultano acuite dalla realizzazione di un meccanismo completamente nuovo che rende difficile tutto per l’assenza di esperienze precedenti che possano fungere come punto di riferimento. Non voglio entrare nei dettagli specifici che sono già stati indicati al Ministero nelle mie dimissioni. Dimissioni che avevo preannunciato nella data del 16 giugno alla luce dell’iter che stava prendendo forma all’interno della Commissione e di alcune decisioni che si stavano cercando di adottare, nonostante tali dimissioni siano state rese effettive solo a !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! ! !Questo testo è una traduzione approssimativa della versione autentica in castigliano.!
  • 2. ! #! conclusione del processo di valutazione della prima fascia, al fine di non pregiudicare gli interessi dei candidati. Ma già prima, il 10 giugno, misi immediatamente al corrente il Ministero dei fatti accaduti, che riferisco poi nella mia lettera di dimissioni. Indipendentemente dai provvedimenti che possa adottare il Ministero in relazione ai fatti che riferisco nel mio scritto di dimissioni non credo che nessuno di questi pregiudichi la validità delle decisioni relative all’abilitazione dei candidati della prima fascia, fermo restando il diritto dei candidati non abilitati per motivi formali (relativi alla configurazione ed estensione delle loro monografie) di richiedere una nuova valutazione delle loro candidature. Come si può dedurre chiaramente dalla mia dichiarazione, riportata nel verbale dell’ultima riunione, all’interno della Commissione sono stati formati due collegi. Il primo, composto da tutti i commissari, compreso il Commissario OCSE, che ha funzionato normalmente nelle riunioni (sia quelle in cui tutti i partecipanti erano fisicamente presenti, che in quella telematica). Dall’altra parte, nei periodi a cavallo delle sedute, periodo nel quale in realtà nessun collegio dovrebbe funzionare, si è formato un altro collegio, le cui caratteristiche non conosco, così come non conosco i procedimenti di adozione di iniziative o decisioni che il Presidente ha trasmesso dopo al Commissario OCSE. Ovviamente il Commissario OCSE non ha dato il suo consenso alle decisioni alla cui deliberazione collegiale non aveva partecipato -che considerava d’altronde irregolari in termini di contenuti- e ha ritenuto sempre cattiva questa pratica amministrativa e continua a considerarla incompatibile con l’ordinamento giuridico. Rendo pubbliche queste dichiarazioni per sottolineare il motivo che mi impediva di continuare a far parte di una commissione in cui il processo decisionale stava prendendo forma al di fuori delle regole essenziali che regolano la formazione della volontà di ogni organo amministrativo collegiale. Le mie dichiarazioni verbalizzate durante l’ultima riunione rispecchiano questa incompatibilità formale, diventata poi sostanziale poiché si pretendeva di adottare iniziative al di fuori delle riunioni del collegio, le quali avevano, peraltro, un contenuto molto discutibile. In due occasioni (maggio e giugno), il Presidente della Commissione -in
  • 3. ! $! rappresentanza del collegio più stretto nel quale il Commissario OCSE non era presente- ha cercato di modificare i criteri di valutazione adottati precedentemente nel mese di aprile (affermando, del resto, che essi non erano stati stabiliti previamente: ma si può cambiare qualcosa che non esiste?) e in entrambe le due occasioni mi sono rifiutato di accettare queste decisioni. La mia opposizione non è servita, perchè ad ogni modo i suddetti criteri sono stati comunque modificati, violando, a mio modesto parere, il principio fondamentale di uguaglianza e la stabilità del meccanismo di valutazione. La gravità di questi fatti deve essere messa in rilievo. Basti pensare che lo stesso testo non potrebbe essere considerato una monografia nel mese di aprile ed, invece, potrebbe essere considerato tale nel mese di maggio per poi, di nuovo, non essere considerato una monografia nel mese di giugno. Questo suppone anche che lo stesso candidato, d’accordo con la modifica di questo criterio, non potrebbe riunire le condizioni formali nel mese di aprile, per poi riunirle a maggio e non riunirle di nuovo a giugno. In queste condizioni, la mia presenza nella Commissione non aveva più alcun senso poichè, come ho manifestato nel verbale dell’ultima riunione, da quel momento non avrei più saputo quale criterio applicare alle valutazioni che rimanevano in attesa di giudizio. Stiamo parlando del prerequisito fondamentale stabilito dalla Commissione della necessità della pubblicazione di una monografia per i candidati di seconda fascia e di due per i candidati di prima fascia. E che criterio si sarebbe quindi dovuto applicare? quello di aprile? o quello di maggio? o forse quello di giugno? Considero, inoltre, che lo stesso problema si dovrebbe sottoporre anche agli altri commissari, dal momento che il lavoro della Commissione è ormai entrato in una zona di incertezza e di insicurezza giuridica, risultato inevitabile dal cambiamento dei criteri di valutazione a metà processo. Per quanto riguarda le altre attività del nostro lavoro, come membro di un collegio, sono responsabile, come il resto dei membri, delle decisioni che abbiamo adottato insieme e ai cui dibattiti ho partecipato. Non mi ritengo responsabile però di tutto ciò che non è stato accordato collegialmente, come è successo con la possibile limitazione ai candidati che partivano da una posizione di ricercatore di poter optare direttamente per l’abilitazione di prima fascia. Una decisione del genere non sarebbe stata conforme alla normativa vigente, oltre ad essere in contrasto con i
  • 4. ! %! criteri da noi approvati in precedenza, basati sul merito e non su questioni incidentali attinenti alla precedente posizione accademica dei candidati. Sono responsabile solidalmente, tuttavia, di determinati criteri stabiliti dalla Commissione, come, ad esempio, quello relativo all’interpretazione del prerequisito delle due monografie. È il caso dell’esigenza che queste due monografie siano pubblicate nel periodo di riferimento (e non durante tutta la vita accademica del candidato) o della necessità che queste due monografie avessero una lunghezza minima per essere considerate come tali. In base alla mia esperienza personale, il risultato della combinazione di questi due requisiti è stato molto negativo, dato l’elevato numero di giudizi individuali negativi da me espressi, giustificati da motivi formali. Senza questi limiti formali, la maggioranza dei miei giudizi sul totale sarebbero, forse, stati positivi. Su uno di essi in particolare avevo manifestato i miei dubbi (quello sulla lunghezza della monografia), ma l’ho applicato lealmente nonostante questi dubbi. Ho applicato questi criteri perchè se posso rispettare -anche se non condividere- un criterio generale restrittivo nel processo di valutazione, la cosa che non posso nè condividere nè rispettare è invece la violazione di tale criterio generale che lede il principio di uguaglianza e mette a repentaglio la stabilità del processo di valutazione. In relazione alla e-mail da Lei inviatami e alla quale con la presente rispondo, sottoscrivo pienamente dalla prima all’ultima parola quello che Lei dice. Questo non vuol dire che non abbia applicato criteri più rigorosi ad alcune questioni, in base a ciò che mi hanno detto o che mi è sembrato di capire, forse in modo sbagliato, quali fossero i confini della disciplina del Diritto Costituzionale in Italia ai fini del processo di abilitazione. Se non sono questi, chiedo scusa a coloro che hanno ricevuto da parte mia un giudizio negativo. In ogni caso, la mia posizione generale è molto semplice: considero incompatibile con qualsiasi ambizione scientifica l’imposizione di limiti rigidi a discipline particolari, e, naturalmente, io non li ammetterei mai tra il Diritto Costituzionale, il Diritto Pubblico (il quale include una grande parte del Diritto amministrativo), il Diritto pubblico comparato e il Diritto europeo. Per quel che riguarda il Diritto Europeo mi sembra poco fattibile imporre tali limiti, per motivi facilmente comprensibili: io sono anche
  • 5. ! &! professore di Diritto costituzionale europeo; penso che non ho bisogno di dire altro. Devo avvertire però che il non consentire l’abilitazione a persone con un percorso di ricerca in Diritto Europeo non solo comporta un danno considerevole ai candidati, ma anche alla disciplina del Diritto costituzionale in Italia. Dobbiamo solo pensare da un punto di vista puramente pratico alle procedure selettive nell’ambito dei progetti europei nelle quali la circostanza di non avere la qualifica di “full professor” potrebbe rappresentare un serio ostacolo per i candidati italiani che si troverebbero in condizione di disparità rispetto ai loro colleghi di altri paesi. Caro Professore, mi permetterà di concludere questa lettera con un messaggio ai candidati. La mia più grande soddisfazione di questi mesi è stata la scoperta di splendidi lavori scientifici e di eccellenti costituzionalisti (abilitati o meno da questa procedura così peculiare), corroborando in questo modo l’impressione che ho sempre avuto della dottrina italiana. Ribadisco e rafforzo il giudizio del cui ero già convinto: i giovani costituzionalisti italiani sono degni allievi dei loro maestri. L’eredità del patrimonio costituzionale italiano che ha contribuito in modo determinante alla formazione di una cultura costituzionale europea e universale, è in buone mani. Francisco Balaguer Callejón