1. Brescia 2012
“La debolezza piena”“La debolezza piena”
evidenze e concezioni recenti in temaevidenze e concezioni recenti in tema
di autismo e di intersoggettivitàdi autismo e di intersoggettività
Francesco Barale, Marianna Boso e Stefania
Ucelli di Nemi
Università di Pavia
Laboratorio Autismo
Fondazione Genitori per l’Autismo, Cascina Rossago
2. “La Psicoanalisi non ha ragione di temere
gli attuali, formidabili progressi delle
neuroscienze. Anzi li attende con
curiosità ed impazienza, perché essi non
potranno che essere nuovi affinamenti e
porte di ingresso per le nostre concezioni,
necessariamente polifattoriali, di ogni
situazione psicopatologica”. (S. Lebovici)
3. …ma è veramente così?ma è veramente così?
…come sarebbe bello se le cose fossero
davvero così, come Lebovici
auspicava….
…purtroppo, nel caso dell’autismo (ma non
solo in esso) la faccenda è andata
diversamente
Ma, per capirci, è necessaria un po’ di
storia….
4. Kanner (1943) fu il primo clinico a
individuare e descrivere l’autismo. Le
sue descrizioni sono rimaste classiche ,
e tuttora valide.
Le descrizioni di Kanner furono seguite e
confermate da quelle di Asperger (1944)
5. La descrizione classica 1:La descrizione classica 1:
L’isolamento autistico (“L’isolamento autistico (“I can’t reachI can’t reach
my babymy baby !”, madre di Charles, caso 8°).!”, madre di Charles, caso 8°).
“Il disturbo fondamentale più evidente, patognomico, inIl disturbo fondamentale più evidente, patognomico, in
tutti questi bambini, è la loro incapacità a rapportarsitutti questi bambini, è la loro incapacità a rapportarsi
in modo usuale alla gente e alle situazioni sin daiin modo usuale alla gente e alle situazioni sin dai
primi momenti di vita…primi momenti di vita…
vi è fin dall’inizio un estremo isolamento autistico…vi è fin dall’inizio un estremo isolamento autistico…
hanno una buona relazione con gli oggetti…lahanno una buona relazione con gli oggetti…la
relazione con la gente è del tutto differente…unrelazione con la gente è del tutto differente…un
profondo isolamento domina tutto ilprofondo isolamento domina tutto il
comportamento…ma questo isolamento è moltocomportamento…ma questo isolamento è molto
peculiarepeculiare……
la cosa che più impressiona di Charles è la sua
inaccessibilità, il suo distacco. Cammina come
stesse nella sua ombra, vive in un mondo tutto suo,
dove non può essere raggiunto…” (Kanner 1943)
6. L’intuizione di KannerL’intuizione di Kanner
Sia Kanner che Asperger, da grandi clinici,Sia Kanner che Asperger, da grandi clinici,
intuirono che l’isolamento autistico, questaintuirono che l’isolamento autistico, questa
particolarissima evanescenza del sentimentoparticolarissima evanescenza del sentimento
di essere collegato all’altro, è, appunto, moltodi essere collegato all’altro, è, appunto, molto
“peculiare”: qualcosa che solo“peculiare”: qualcosa che solo
apparentemente e superficialmente è simileapparentemente e superficialmente è simile
ad unad un rifiutorifiuto del contatto umano; è qualcosadel contatto umano; è qualcosa
di “originario” (Kanner ripete il termine piùdi “originario” (Kanner ripete il termine più
volte), è unvolte), è un non riuscirenon riuscire ad essere sullaad essere sulla
stessa lunghezza d’onda degli altri, una sortastessa lunghezza d’onda degli altri, una sorta
di difficoltà di “sintonizzazione”.di difficoltà di “sintonizzazione”.
7. La descrizione classica 2:La descrizione classica 2:
il desiderio di ripetitivitàil desiderio di ripetitività
““Tutto il comportamento del bambino èTutto il comportamento del bambino è
monotonamente ripetitivo quanto le suemonotonamente ripetitivo quanto le sue
espressioni verbali…è governato da unespressioni verbali…è governato da un
desiderio ansiosamente ossessivo didesiderio ansiosamente ossessivo di
conservare la ripetitivitàconservare la ripetitività””
(Kanner 1943)(Kanner 1943)
La “sameness”La “sameness”
8. Ripetitività autistica, routines,Ripetitività autistica, routines,
ossessività.ossessività.
L’insistenza ossessiva per la ripetitività si puòL’insistenza ossessiva per la ripetitività si può
esprimere in modi molto diversi: come movimenti edesprimere in modi molto diversi: come movimenti ed
espressioni stereotipiche, ma anche, nei casi piùespressioni stereotipiche, ma anche, nei casi più
high functioninghigh functioning, come, come routinesroutines sempre piùsempre più
elaborate, spesso senza scopo apparente, o ancheelaborate, spesso senza scopo apparente, o anche
come concentrazione su un campo ristretto dicome concentrazione su un campo ristretto di
interessi, nel quale magari il ragazzo autisticointeressi, nel quale magari il ragazzo autistico highhigh
functioningfunctioning raggiunge risultati straordinari…raggiunge risultati straordinari…
9. La descrizione classica 3:La descrizione classica 3:
gli “isolotti di capacità”gli “isolotti di capacità”
““Il sorprendente vocabolario di questi bambini cheIl sorprendente vocabolario di questi bambini che
parlano, l’eccellente memoria per eventi accadutiparlano, l’eccellente memoria per eventi accaduti
anni prima, la fenomenale memoria meccanica per leanni prima, la fenomenale memoria meccanica per le
poesie ed i nomi, il preciso ricordo di figure epoesie ed i nomi, il preciso ricordo di figure e
sequenze complesse, sono l’indizio di una buonasequenze complesse, sono l’indizio di una buona
intelligenzaintelligenza”” Kanner 1943Kanner 1943) indussero Kanner ad
affermare che questi bambini avevano una buona
intelligenza .
10. L’ intuizione originaria di kannerL’ intuizione originaria di kanner
La geniale descrizione kanneriana individuava dunque treLa geniale descrizione kanneriana individuava dunque tre
caratteristiche nucleari o “fondamentali”: l’isolamento, lacaratteristiche nucleari o “fondamentali”: l’isolamento, la
ripetitività ossessiva, gli isolotti di capacità.ripetitività ossessiva, gli isolotti di capacità.
Tra queste, “il disturbo più evidente, patognomico, presente finTra queste, “il disturbo più evidente, patognomico, presente fin
dall’inizio, è il profondo isolamento…l’incapacità dei bambini adall’inizio, è il profondo isolamento…l’incapacità dei bambini a
rapportarsi in modo usuale al mondo interumano sin dai primirapportarsi in modo usuale al mondo interumano sin dai primi
momenti di vita…La conclusione della descrizione, ben nota, fu:momenti di vita…La conclusione della descrizione, ben nota, fu:
““dobbiamo assumere che questi bambini siano venuti aldobbiamo assumere che questi bambini siano venuti al
mondo con un’innata incapacità a formare il consuetomondo con un’innata incapacità a formare il consueto
contatto affettivo con le persone, fornitocontatto affettivo con le persone, fornito
biologicamente, proprio come altri bambini vengonobiologicamente, proprio come altri bambini vengono
al mondo con handicap fisici o intellettivi innatial mondo con handicap fisici o intellettivi innati””
(Kanner, Disturbi autistici del contatto affettivo, Nervous Child,(Kanner, Disturbi autistici del contatto affettivo, Nervous Child,
1943)1943)
11. Alcuni limiti delle descrizioni diAlcuni limiti delle descrizioni di
Kanner e AspergerKanner e Asperger
1) Ottimismo prognostico
2) La negazione di correlazioni con
condizioni mediche
12. La deriva psicogenetista ’50-’80La deriva psicogenetista ’50-’80
L’oscillazione psicopatologica ed eziopategenetica di
Kanner: l’isolamento da tratto essenziale diventa
fenomeno secondario, “chiusura” e “difesa”.
l’autismo viene assimilato alla “schizofrenia
infantile”….i “genitori frigorifero”
B. Bettelheim: dai “genitori frigorifero” alla “fortezza
vuota”…
Sotto l’influenza della psicoanalisi e di studiosi famosi
come Bettelheim abbiamo quello che può essere
chiamata la deriva psicogenetista
13. Il paradigma generaleIl paradigma generale
degli anni 50-80degli anni 50-80
Autismo come arresto dello sviluppo
psichico ad una fase a-oggettuale di
indifferenziazione e come guscio-
strategia difensivi rispetto:
1) ambienti inadeguati e/o ostili
2) angosce catastrofiche interne
14. Il paradigma generale dellaIl paradigma generale della
psicogenesi dell’autismopsicogenesi dell’autismo
L’idea dell’autismo come regressione-fissazione a una
presunta fisiologica fase autistica originaria è
implicita nel termine stesso “autismo”, coniato da E.
Bleuler per indicare uno dei fenomeni “fondamentali”
della schizofrenia.
I riferimenti espliciti entro cui la nozione bleuleriana di
autismo fin dall’inizio si colloca sono la Sexualtheorie
freudiana e l’ipotesi generale che gli stati
psicopatologici corrispondano a
regressioni/fissazioni a stadi primitivi dello sviluppo
(“autismo”= “autoerotismo”, cioè stadio pre-
oggettuale)
15. Il modo in cui venne concettualizzato
l’autismo è dunque profondamente
radicato in alcuni assunti di base della
metapsicologia psicoanalitica e della
cosiddetta “psichiatria psicoanalitica”.
16. Anni 50’-80’.Anni 50’-80’.
Aspetti del paradigma psicogenetistaAspetti del paradigma psicogenetista
Sul piano clinico il modello psicogenetista pose automaticamente
una continuità tra la questione dell’autismo e
1. fenomeni da deprivazione relazionale o depressione
(riferimento tipico: i fenomeni di istituzionalizzazione precoce,
Spitz 1943)
2. fenomeni di ritiro psicologico per accudimenti o stili interattivi
inadeguati (riferimento tipico: la “depressione materna”)
3. diverse condotte di evitamento relazionale da disturbo nella
regolazione del dialogo sensomotorio madre-bambino,
ampiamente descritte anche nel lattante e riprodotte anche
sperimentalmente (riferimento tipico: “still face” ecc.) …
17. L’idea centrale del paradigma
psicogenetista, in effetti psicoanalitico,
pone la genesi dell’autismo nella
inadeguatezza delle «cure materne», cioè
in una relazione madre/bambino primaria e
inadeguata, che avrebbe generato ritardo
e alterazioni nello sviluppo.
Ciò malgrado……
18. … i grandi clinici continuassero ad indicare che nell’ autismo
c’era qualcosa di diverso rispetto a qualsiasi fenomeno di
‘chiusura’, ritiro o depressione….
“…osservando i bambini psicotici, non si può fare a meno di
pensare che l’eziologia primaria della psicosi infantile,
l’incapacità del bambino psicotico di utilizzare le cure
materne, elemento catalizzatore dell’omeostasi, è innata,
costituzionale e probabilmente ereditaria….” (M. Mahler(M. Mahler
1968)1968)
… una ricca letteratura mostra come nessuna deprivazione o
distorsione relazionale, neppure la più estrema, produceva
di per sé autismo (A. Freud, S. Dann 1951;W. GoldfarbW. Goldfarb
1945; Curtiss 1977; D. Skuse 1984…)1945; Curtiss 1977; D. Skuse 1984…)
19. ““è stupefacente la capacità del bambino sano …diè stupefacente la capacità del bambino sano …di
recuperare…di raccogliere anche l’ultima stilla dellarecuperare…di raccogliere anche l’ultima stilla della
stimolazione umana…di integrare, per sopravvivere instimolazione umana…di integrare, per sopravvivere in
qualche modo, anche il più misero sostituto di curequalche modo, anche il più misero sostituto di cure
maternematerne…..…..
……esattamente all’opposto dei bambini autistici, iesattamente all’opposto dei bambini autistici, i
bambini deprivati si aggrappano con tenacia, intensitàbambini deprivati si aggrappano con tenacia, intensità
ed efficacia a qualunque misera goccia di apportoed efficacia a qualunque misera goccia di apporto...”...”
(M. Mahler, 1968)(M. Mahler, 1968)
20. Anni ’70 – ’80: la crisi del modelloAnni ’70 – ’80: la crisi del modello
dell’autismo psicogeno.dell’autismo psicogeno.
Gli studi empiriciGli studi empirici
Lo sviluppo di studi empirici rigorosi oltre a documentare
l’importanza della vulnerabilità genetica (“l’autismo è, tra
tutte le condizioni psichiatriche, quella in cui la genetica
svolge il ruolo più importante”, Rutter 2001) accerta che:
1. La prevalenza dell’autismo non è maggiore nei ceti
intellettuali e/o in particolari sistemi di allevamento
2. Non c’è un particolare stile relazionale genitoriale alla base
dell’autismo
3. Nella storia e nelle famiglie reali delle persone autistiche
non è documentabile qualche cosa di specifico e di
differente, sul piano psicologico, rispetto a tutti i possibili
gruppi controllo (normali o con altre patologie)
21. Anni ’70-’80 gli studi empiriciAnni ’70-’80 gli studi empirici
dimostrano chedimostrano che
4. La patologia autistica è spesso precocissima
5. Si esprime nello stesso modo sia nelle relazioni con i
genitori che in quelle con qualunque altro caregiver
In conclusione, a partire dagli anni ‘70 si fa sempre
più strada nella comunità scientifica la convinzione che,
come aveva intuito originariamente Kanner, l’autismo
non sia la conseguenza di di una deprivazione
psicologica o sociale o di disturbate relazioni ma sia
esso stesso un radicale, originario disturbo dei
fondamenti della relazionalità umana
22. La crisi “interna”La crisi “interna”
del paradigma psicogenetistadel paradigma psicogenetista
… sono i presupposti stessi della concezione
tradizionale a franare, con gli sviluppi della
psicologia evolutiva.
23. L’autismo non può più essere concepito come un
arresto o una regressione dello sviluppo a fasi
“autistiche”primitive, per insufficienze dell’ambiente
…perché appare sempre più chiaro, dagli sviluppi
della psicologia evolutiva, che nella crescita umana
non c’è alcuna fase autistica normale, non c’è
nessun “normale autismo del neonato” (Piaget).
24. Si fa strada con l’inizio degli anni 2000 l’idea di
un deficit delle basi neurologiche di quanto
viene denominato……
25. L’intersoggettività primariaL’intersoggettività primaria
Fin dall’inizio il neonato umano è dotato di evidenti
“discovery procedures”(Meltzoff 2001), attraverso cui
esplora attivamente l’ambiente interumano
circostante… manifesta molteplici segnali di una
“innata intersoggettività” (Trevarthen 2001), di una
particolare attenzione spontanea ed originaria per gli
interlocutori viventi, di immediata recettività ai loro
stati soggettivi, di una sorta di elementare e
spontanea propensione alla mappatura
“se/altro”….un abbozzo embrionale di interesse al
“senso umano” delle esperienze…
26. L’intersoggettività primariaL’intersoggettività primaria
Nell’intersoggettività primaria il bambino si impegna in
una fitta rete di scambi comunicativi….
scambi fin dall’inizio caratterizzati da un fenomeno
fondamentale: la “reciprocità”: “ciò che è percepito
non è solamente il comportamento dell’altro ma la
sua reciprocità al nostro…” (Neisser 1993)….
Numerosi studi dimostrano la particolare attenzione e
preferenza del neonato umano rispetto ai
comportamenti “congruent with me” e non solo
“contingent on me” (Meltzoff 1994)..
28. I segnali precoci della reciprocitàI segnali precoci della reciprocità
Vi sono molti segni di questa reciprocità:
1) le “posture anticipatorie” e il “dialogo tonico” di J. De
Ajuriaguerra (1964)
2) le interazioni ritmiche con i care givers (Trevarthen, 1973),
vere “protoconversazioni”
3) l’ interesse precocissimo per i volti e la mimica materna
(Stern, 1985)
4) i fenomeni di attunement, di sintonizzazione e
sincronizzazione affettiva (Brazelton 1974, Tronick 1979,
Beebe 1982, Stern, 1985, Beebe e Lachmann 1988,
Trevarthen 2001 ecc….) nell’interazione, nel gioco, nelle
protoconversazioni….che testimoniano l’attivo interesse per
le intenzioni e la precoce capacità di modulazione degli stati
affettivi
29. La “grammatica universale”La “grammatica universale”
dell’intersoggettività primaria….dell’intersoggettività primaria….
…una estesissima letteratura ha mostrato la ricchezza
di questa intersoggettività primaria, individuandone
anche le “regole universali”, descrivendone i ritmi, la
prosodia, la musicalità, la fenomenologia “normale” e
le sue “normali” perturbazioni … ma mostrando
anche come la regolazione del contatto e la
modulazione affettiva-interattiva che in essa si
produce costituiscano veri “involucri proto-narrativi”
del sé e del mondo, “schemi” pre-cognitivi, struttura
profonda e sfondo implicito di ogni competenza
relazionale e collaborativa successiva….
30. L’intersoggettività primariaL’intersoggettività primaria
L’evidenza nel neonato umano di questo “initial
psychosocial state”, biologicamente programmato,
carico di “purposeful intersubjectivity” (Trevarthen
2001)” si è fatta strada lentamente e faticosamente, tra
lo scetticismo generale: in psicoanalisi essa
confliggeva infatti sia con il modello pulsionale che con
l’idea di uno stato originario autistico; in psicologia
empirica, con il predominio di “una teoria
individualistica, costruttivistica e cognitiva”
(Trevarthen,2001).
31. L’imitazione primaria:L’imitazione primaria:
uno “starting point”?uno “starting point”?
La base innata delle competenze sociali è
documentata dai fenomeni di imitazione
primaria (Meltzoff 1977) . Presenti già a
poche ore dalla nascita, essi evidenziano la
capacità immediata di sperimentare e
“tradurre” la prospettiva corporea
dell’interlocutore nella propria: veri “schemi”,
o “preconcezioni”, della relazionalità. Non
dipendono dall’incontro con l’oggetto, ma
fondano la possibilità di quell’incontro.
32. Meltzoff, A. N. & Moore, M.K (1977).
Imitation of facial and manual gestures by human neonates.
Science, 198. 75-78
33. A .G . B illa rd - S H S P ro g ra m in C o g n itiv e P s y c h o lo g y - S p rin g 2 0 0 7 h t t p : / / la s a .e p fl.c h
L e a rn in g b y Im ita tio n
B io lo g ic a l
In s p ira tio n
G e s tu re R e c o g n itio n
Im ita tio n L e a rn in g
D e v e lo p m e n ta l S ta g e s o f Im ita tio n
• In n a te F a c ia l Im ita tio n (n e w b o rn s 3 m o n th s)
T o n g u e a n d lip s p ro tr u s io n , m o u th -o p e n in g , h e a d
m o v e m e n ts , c h e e k a n d b r o w m o tio n , e y e b lin k in g
• D e la y e d im ita tio n u p to 2 4 h o u rs
Im ita tio n is m e d ia te d b y a sto re d re p re s e n ta tio n
M e ltz o ff & M o o re , E a r ly D e v e lo p m e n t a n d P a re n tin g , 1 9 9 7
M e ltz o ff & M o o re , D e v e lo p m e n ta l P s y c h o lo g y , 1 9 8 9
34. Significato dirompente dei lavori diSignificato dirompente dei lavori di
Meltzoff….Meltzoff….
…I dati di Meltzoff e coll. contraddicono in modo così
radicale tante “idées reçues” che a lungo sono stati
messi in dubbio…salvo poi essere confermati da
numerosi altri laboratori…e dare origine a numerose
discussioni sulla natura di queste capacità imitative
evidentemente innate…sui meccanismi che la
sostengono, sul loro rapporto con il generale
fenomeno biologico della “mimicry”, largamente
diffuso in molte specie….anche inferiori….
35. Una delle cose più sorprendente degli esperimenti di
Meltzoff era che i neonati potevano imitare
movimenti del viso utilizzando parti corporee
(proprie) cui non avevano mai avuto accesso visivo.
Traducevano “immediatamente” un imput visivo in un
comportamento motorio simile. Meltzoff chiama
questo fenomeno “mapping attivo intermodale”.
Questa capacità sembra svolgere un ruolo basale
nello sviluppo dell’intelligenza sociale, costituendo un
primitivo spazio noi-centrico in cui la prospettiva
corporea dell’interlocutore è immediatamente
“tradotta” in quella propria…
36. .. Meltzoff dimostrò peraltro che questa “incredibile”
capacità era correlata ad altre precocissime
capacità di integrazione multimodale: neonati di 3
settimane sono in grado di identificare visivamente
ciucciotti che avevano precedentemente tenuto in
bocca senza poterli vedere…ciò che era stato
precedentemente esperito come differente dal punto
di vista tattile viene ora riconosciuto anche
visivamente differente..
37. A poco a poco, è sul fondamento di questa
“intersoggettività” (o meglio “intercorporeità”)
primaria che si organizza una “evidenza naturale”
del mondo interumano….
… in uno strato dell’intenzionalità fungente, in una una
“pre-comprensione” della socialità che è prima di
qualsiasi “social cognition” in senso stretto…ma
anche di qualsiasi fantasia, conscia o
inconscia….proiezione o introiezione…o
rappresentazione di “contenuti psichici”, “desideri”,
“intenzioni”….e anche di ogni chiara distinzione di
soggetto e oggetto…
38. Dall’intersoggetività primariaDall’intersoggetività primaria
all’intersoggettività secondariaall’intersoggettività secondaria
…siamo qui ancora, evidentemente, in una
dimensione di “weness” o del “essere-
con”(Stern 1985)….che certamente non è
“autistica”, ma comunque è di relativa
indifferenziazione e di confusione dei limiti tra
se e non-se, di “bi-dimensionalità psichica” (o
di “identificazione adesiva”)….
39. Dall’intersoggetività primariaDall’intersoggetività primaria
all’intersoggettività secondariaall’intersoggettività secondaria
il passaggio da questa intersoggettività affettiva molto
primitiva all’ intersoggettività secondaria è
complesso, implica l’ “invenzione dell’altro”, cioè
della differenza (e separatezza) tra sé e altro, una
progressiva costruzione del sentimento di “agentività
e della distinzione tra passività e attività, interno e
esterno, un transito dai fenomeni imitativi “a
specchio” (“indifferenti al chi”) ad una imitazione
“secondaria” e intenzionale ….con una
componente cognitiva e rappresentativa sempre
maggiore…
40. Dall’intersoggetività primariaDall’intersoggetività primaria
all’intersoggettività secondariaall’intersoggettività secondaria
…questo cammino di progressiva differenziazione (tra se e ciò
che è altro, tra interno ed esterno), riconoscimento e
rappresentabilità è ovviamente modulato e facilitato
dall’incontro con l’oggetto, dal tipo di “saturazione” delle
“preconcezioni”, (capacità di contenimento, di reverie, di
introduzione di una “terziarietà” ecc.) che esso consente….
Ma vi sono comunque sempre maggiori evidenze che,
nell’autismo, ciò che è alterato è proprio questa matrice
biologica originaria dell’intersoggettività….…e che è questa
alterazione dell’intersoggettività primaria ciò che rende
difficile il transito tra essa e l’intersoggettività secondaria
41. Dalla “fortezza vuota”Dalla “fortezza vuota”
alla “debolezza piena”alla “debolezza piena”
Questa alterazione si esprime nella
fenomenologia preclinica dell’autismo:
insufficienza nel contatto visivo, mimico, negli
scambi imitativi, nel dialogo tonico e
sensomotorio, nell’anticipazione
posturomotrice, nell’ attenzione e nella risposta
alla voce familiare….successivamente,
nell’attenzione condivisa, nel gesto
protodichiarativo (ma qui siamo già nell’area
dell’intersoggettività secondaria …)
42. Dalla “fortezza vuota”Dalla “fortezza vuota”
alla “debolezza piena”alla “debolezza piena”
Possiamo dunque pensare l’autismo come una particolare
forma di esistenza che si costruisce intorno ad alcune
difficoltà iniziali nella costituzione di una
“evidenza naturale del mondo” interumano…
Non è una “fortezza vuota”, secondo il concetto di Bettelheim
, che si è chiusa difensivamente, ma una “debolezza
piena”: un mondo sui generis (ma comunque un “mondo”)
costruito a partire da una debolezza interattiva originaria
43. Dalla “fortezza vuota”Dalla “fortezza vuota”
alla “debolezza piena”alla “debolezza piena”
…in assenza di una “evidenza naturale del
mondo interumano” e alla ricerca
comunque di organizzatori, l’esperienza
autistica si struttura fin dall’inizio intorno ad
alcuni “organizzatori” peculiari ed
idiosincrasici…
… di cui ritualismi, stereotipie, routine più o
meno elaborate sono solo alcuni aspetti …
44. Autismo: il “mistero delle coseAutismo: il “mistero delle cose”
“La realtà per una persona autistica è una massa
interattiva e confusa di eventi, persone, luoghi,
rumori e segnali. Niente sembra avere limiti netti,
ordine o significato. Gran parte della mia vita è stata
dedicata al tentativo di scoprire il disegno nascosto
di ogni cosa. La routine, scadenze predeterminate,
percorsi e rituali specifici aiutano ad introdurre un
ordine in una vita inesorabilmente caotica”
(T.Joliffe, cit. in Temple Grandin, Thinking in
Pictures 1995)
45. Questa descrizione è tipica: corrisponde, nelle sue linee generali, a tutte
le descrizioni “dall’ interno” dell’ esperienza autistica che ci sono
arrivate dalle poche persone HF in grado poi di fornircele.
Queste descrizioni non corrispondono affatto, purtroppo, a quella che F.
Tustin, in un passo molto poetico (1981), preconizzava ci avrebbe
potuto fornire, una volta uscito dal suo guscio, il “bambino
addormentato nella conchiglia”.
Ovviamente il “mito della conchiglia” (il principino addormentato nel suo
guscio difensivo, che mantiene comunque intatte, dentro di esso, tutte
le potenzialità evolutive e cognitive in attesa che si sviluppi una
maggiore fiducia nella interlocuzione umana e le angosce catastrofiche
si mitighino) ha implicazioni operative molto diverse….
46. …da quelle che derivano dal riconoscimento di un
inceppo o difficoltà originaria nei meccanismi basali
che consentono riconoscimento emotivo, imitazione,
anticipazione, reciprocità, interazione…e, a poco a
poco, attraverso una acquisizione progressiva di
capacità, di districarsi dal flusso immediato
dell’esperienza sensopercettiva e organizzare un
“apparato per pensare i pensieri”….
…si giocano qui una serie di questioni molto
importanti….modi radicalmente diversi di intendere non
solo l’autismo ma la sua cura….
47. La ricerca recente ha messo in luce importanza e basi della
difficoltà autistica ad organizzare dei “forward models”
dell’esperienza; di sviluppare cioè quella capacità
“anticipatoria” che rende possibile intenzionalità ed
interattività coerenti.
Fu M. Mahler (1968), che non sapeva nulla della
neurofisiologia delle “funzioni esecutive”, a descrivere
per prima questa caratteristica difficoltà: “una delle cose
che colpisce di più, osservando questi bambini, è che
sembra che essi non abbiano il futuro, non ne
possiedano modelli anticipatori, non riescano ad
immaginarsi cosa accadrà …”
48. La difficoltà nei “forward models” ostacola anche il
formarsi di quella che D. Marcelli (1986), citando la
Mahler senza saperlo, ha chiamato funzione di
“surséance”: la capacità di “rinviare”che introduce il
“tempo”, consente al neonato di uscire dal flusso
sensopercettivo immediato, stabilisce una prima
distanza “anticipatoria” tra esperienza
sensopercettiva e primo abbozzo di attività
rappresentativa; prima tappa di una funzione di
contenimento delle eccitazioni esterne ed interne…
49. Principali revisioni anni 70-90.Principali revisioni anni 70-90.
Aspetti nosograficiAspetti nosografici
Possiamo riassumere i cambiamenti avvenuti negli anni 70/90 secondo il seguente
schema
1. La disarticolazione del nesso “autismo-schizofrenia”: differenze di esordio,
evoluzione,sintomatologia, epidemiologia, fenomeni tipici, fattori di rischio,
distribuzione M/F, associazione con altre patologie,con il RM e l’epilessia,
genetica…
2. Dalla nozione di “psicosi” a quella di “disturbo generalizzato o dello sviluppo”
3. DSM III 1980: nozione di PDD. Criteri rutteriani (1975, 1978)
4. DSM III R 1987: accentuata la prospettiva evolutiva, scompare l’aggettivo
“infantile”. Scompare la nozione di “autismo residuo”,che alludeva all’ipotesi
illusoria di una “uscita” dall’autismo.
Criteri Wing-Gould (coorte di Camberwell; tre domini statisticamente
associati, con spettro esteso di variazioni)
De-psicopatologizzazione della descrizione kanneriana (e persino
rutteriana). Iperinclusività diagnostica e perdita di specificità.
5) DSM IV 1994: riorganizzazione criteriale, inclusione di altri quadri (d.di
Asperger)
50. Anni 80-2000: i 4 modelli principaliAnni 80-2000: i 4 modelli principali
Sulle rovine del modello psicogenetista,
infondato ma a suo modo coerente, nei
decenni 1980-2000 emergono alcuni
modelli di comprensione (ed aree di
ricerca) che cercano di dare una
spiegazione “unitaria” dell’autismo.
I principali sono quattro
51. MODELLO 1MODELLO 1
Le teorie della Teoria della menteLe teorie della Teoria della mente
A partire dalla metà degli anni ’80, A.Leslie, S. Baron-
Cohen, U.Frith, J.Perner e altri, utilizzando un
costrutto elaborato alla fine degli anni 70 in ambito
primatologico da Premack e Woodruff, ipotizzarono
all’origine dell’autismo un deficit specifico di “teoria
della mente” …
“ToM” indica la continua attività di attribuzione agli altri
di stati emotivo-mentali come credenze, desideri,
inganni, scopi; attribuzione indispensabile per
orientarsi nel mondo interumano, interagire e
intendere il comportamento altrui e modularsi su di
esso come governato da stati mentali ed intenzioni.
52. Modello 1: deficit di ToMM?Modello 1: deficit di ToMM?
Il termine “teoria” non allude ad una attività riflessiva
consapevole (gli aspetti “meta-rappresentativi sono
anzi molto tardivi nell’evoluzione delle capacità di
ToM) ma al fatto che si tratta di un’inferenza di stati
intenzionali non direttamente osservabili
ToMM è anzi ampiamente automatico. Esso è alla
base delle possibilità specie-specifiche di
orientamento sociale (“per la specie umana ToM è
analogo alla locazione dell’eco per i pipistrelli”, D.
Sperber 1993) e si sviluppa per attivazione
successiva di “moduli” e dominii cognitivi
predeterminati ed innati.
53. Tale attivazione segue sequenze universali (come la
grammatica generativa chomskyana), esattamente
uguali in tutte le culture (Avis e Harris 1991), che
corrispondono a sequenze maturative ed
organizzative del Sistema Nervoso.
Se le capacità compiute (meta-rappresentative) di ToM
(quelle che consentono di superare i test di “falsa
credenza”) si sviluppano solo intorno ai 4 anni, esse
presuppongono l’attivazione progressiva di “moduli
cognitivi” precedenti: EDD (eye direction detector)-ID
(intentionality detection)-SAM (shared attention
module)-ToMM compiuta
54. L’acquisizione di ToMM è dunque il risultato di un lungo
percorso evolutivo della specie, come la capacità di
deambulazione eretta o il linguaggio. Questa
considerazione “evoluzionistica” è un potente
argomento “anti-psicogenetista”: come per
linguaggio e deambulazione anche per attivare
ToMM dovrebbe bastare una minima
“esposizione”…(l’argomento chomskyano dell’
“insufficienza degli stimoli”).
Attraverso vari paradigmi sperimentali (in particolare i
test di “falsa credenza”) fu trovato che le persone
autistiche hanno difficoltà…..
55. a distinguere accidentale da intenzionale
a distinguere le proprietà degli oggetti fisici da quelle degli
oggetti mentali
a collegare “vedere” a “sapere”
a riconoscere cause complesse (mentali) di stati emozionali (“è
contento perché crede che…perché spera che…”), mentre
cause semplici (“è contento perché mangia il gelato”) sono
riconosciute
a distinguere la realtà dalla credenza sulla realtà
ad attribuire credenze e punti di vista agli altri
a fingere, utilizzare l’ironia, la menzogna, il linguaggio in senso
metaforico
a intendere le regole pragmatiche e conversazionali del
linguaggio (quando esso si è sviluppato)
56. L’ipotesi generale che ne deriva può essere così espressa:
L’autismo va inteso deficit specifico di ToMM, come una
sorta di “agnosia” degli stati intenzionali
(mindblindness), almeno di quelli complessi, che
toglierebbe al soggetto autistico la capacità di orientarsi
nell’universo delle relazioni sociali…… di acquisire
quelle abilità di “psicologia ingenua” che consentono di
interagire con le menti altrui (il che presuppone la
capacità di immaginare cosa gli altri pensino, vogliano,
desiderino, ecc.).
57. Nel modello cognitivista dell’autismo come deficit di ToM è
prevista peraltro la possibilità di diversi autismi, a
seconda del livello in cui si colloca l‘inceppo nella
sequenza evolutiva di attivazione dei diversi “moduli”
della catena evolutiva del “mindreading” : in molti
soggetti, pur sprovvisti di capacità meta-rappresentative,
può dunque permanere un nucleo anche importante di
“psicologia ingenua”.
58. Una tappa evolutiva importanteUna tappa evolutiva importante
di ToMM: SAMdi ToMM: SAM
Una tappa particolarmente importante è costituita dalla capacità di
condividere l’attenzione dell’adulto (SAM; Shared Attention Moduli)
tratta dalle
“capacità di joint attention, cioè di monitorare e dirigere l’attenzione
dell’interlocutore umano verso oggetti comuni, in genere pienamente
sviluppate attorno ai 14 mesi, sono tipicamente difettuali nell’autismo;
esse si manifestano attraverso una serie di comportamenti
(monitoraggio dello sguardo, gesto “proto-dichiarativo”, indicazioni per
richiamare l’interesse e l’attenzione) che sono i segnali dell’iniziale
costruzione di un mondo condiviso nonché dell’attiva ricerca e piacere
in questa condivisione. Essi sono tipicamente difettuali nell’autismo
(Sigman 1987)
In cui altrettanto tipicamente c’è dissociazione tra gestualità di richiesta e
gestualità per richiamare o condividere (che implica il monitoraggio di
stati mentali come attenzione, interesse ecc.) (Baron-Cohen 1995)
59. Limiti e debolezze della TToMMLimiti e debolezze della TToMM
La teoria della «Teoria della Mente» ha tuttavia ricevuto critiche e
obiezioni rispetto al suo proporsi come spiegazione esauriente
dell’autismo. In particolare si è obiettato che una
1.parte importante della sintomatologia autistica non è spiegata da
ToMM
2.aspetti nucleari dell’autismo sfuggono a ToM: “gli unici bambini che
sviluppano capacità metarappresentative e di comprensione sociale
senza fare ricorso a quella comprensione emozionale quasi automatica
di cui la maggior parte dei bambini dispone, sono proprio i bambini
autistici ad alto funzionamento” (Sigman 1995)
3.Le competenze sociali spontanee non dipendono dalla loro
“metarappresentazione”: apprendere capacità di ToM non annulla
l’autisticità
60. 4.Gli aspetti “socio-affettivi” sono, se non
trascurati, almeno ritenuti secondari da
ToM.
Dalla fine degli anni ’80, sia in USA (Fein
et al. 1986, Sigman et al. 1987) sia in
Europa si assiste alla ripresa di un “filone
affettivo” che cerca di riprendere e di
dare base empirica all’intuizione
kanneriana.
61. MODELLO 2MODELLO 2
Il legame affettivo originario: da Kanner aiIl legame affettivo originario: da Kanner ai
neuroni specchioneuroni specchio
Negli anni 80 infatti viene ripresa e sviluppata su basi
empiriche l’intuizione kanneriana dell’aspetto
“primario” della debolezza interattiva autistica.
L’autismo come alterazione originaria del legame
affettivo: “questi bambini sembrano venuti al mondo
privi di quella capacità innata di formare il normale
legame affettivo”.(Kanner 1943)
62. Vengono messi in luce (anni 80-90)alcuniVengono messi in luce (anni 80-90)alcuni
problemi riguardanti meccanismi basaliproblemi riguardanti meccanismi basali
della relazionalitàdella relazionalità
1. deficit nella decifrazione degli stimoli sociali, delle
espressioni mimiche, degli aspetti prosodici della
comunicazione (Hobson 1985,1989, 1993):
evidenze poi confermate dagli studi di
neuroimaging
2. deficit imitativo sia a livello di imitazione primaria,
che testimonia di una difficoltà originaria nel self-
others mapping (Ritvo 1953; Rogers e Pennington
1991; Gopnik e Meltzoff 2000), sia di ritardo e
difficoltà nello sviluppo di imitazione “secondaria”
di gesti, posture, pantomine (DeMyer 1972, Stone
et al 1997, Rogers 1996)
63. Abbiamo con il MODELLO 2 , che
riprendendo le intuizioni di kanner si trova
ad essere convalidato dalle scoperte dei
neuroni specchio
64. ““Broken Mirrors”?Broken Mirrors”?
Da Kanner ai neuroni specchioDa Kanner ai neuroni specchio
La neurofisiologia dei neuroni specchio ha
recentemente fornito un quadro esplicativo coerente
a questi dati: alla base delle difficoltà originarie di
imitazione, sintonizzazione intersoggettiva e
comprensione sociale vi sarebbe un
disfunzionamento nei sistemi “specchio”, attraverso i
quali viene attivata quella esperienza fondamentale
ed immediata di condivisione e reciprocità che è la
“simulazione incarnata” o “consonanza intenzionale”.
(Williams 2004; Ramachandran 2005; VillaLobos 2005; Penida
2005;Oberman 2005;Gallese 2006; Dapretto, Sigman e
Iacoboni 2006; Oberman e Ramachandran 2007)
65. Il sistema “mirror”Il sistema “mirror”
….Scoperti originariamente (Rizzolatti e
coll 1992) nella corteccia premotoria
ventrale del macaco (F5) i neuroni mirror
scaricano sia quando una scimmia compie
una azione finalizzata sia quando osserva
un’altra compierla….meccanismo basale di
“comprensione” delle azioni altrui….
66. Sistema mirror: pluralità di funzioniSistema mirror: pluralità di funzioni
Le zone corticali implicate nelle funzioni specchio sono riassumibili
nello schema seguente.
Due componenti principali nell’uomo:
a) corteccia premotoria ventrale e pars opercularis del giro frontale
inferiore (IFC) e parte caudale dell’ area di Broca, lobo
parietale inferiore (IPL); queste aree sono strettamente
connesse ai neuroni “audiovisivi” del solco temporale superiore
(STS), area non-mirror polisensoriale : il sistema nel suo
complesso è alla base della comprensione (pre-cognitiva) delle
azioni e delle intenzioni altrui, dell’imitazione ecc. Altre aree
mirror nella corteccia somatosensoriale (veder un altro essere
toccato/essere toccato…)
b) insula e giro cingolato anteriore (fortemente connessi al sistema
limbico): riconoscimento (consonanza) delle emozioni (es.
disgusto)
67. Da Kanner ai neuroni specchio. :Da Kanner ai neuroni specchio. :
la comprensione delle azionila comprensione delle azioni
Durante la osservazione di azioni, L’EEG della
corteccia motoria centrale nei soggetti non
autistici normalmente si desincronizza (con
comparsa del tipico ritmo “mu”, espressione
della attivazione del MNS). Ciò non accade
nei soggetti con autismo: il sistema mirror
non si attiva! (Oberman et al 2005;
Martineau et al. 2008)
68. ““When the social mirror breaks”:When the social mirror breaks”:
imitazione volontaria e involontariaimitazione volontaria e involontaria
McIntosh e coll (2006) hanno studiato l’imitazione
automatica (involontaria) e volontaria di espressioni
mimiche: adolescenti e adulti autistici ad alto
funzionamento sono in grado di imitare volontariamente
espressioni di gioia o collera, ma esposti senza
consegna ad immagini corrispondenti non attivano all’
EMG i muscoli facciali corrispondenti, come invece
fanno soggetti e a sviluppo normale (consonanza
“mirror” e imitazione spontanea)
69. Sistema mirror nell’autismo:Sistema mirror nell’autismo:
un dato morfostrutturaleun dato morfostrutturale
Hadjikhani e coll. (2006, Cerebral Cortex)
in uno studio neuroimaging di morfologia
strutturale hanno dimostrato nell’autismo
una significativa riduzione della corteccia
specificamente nelle aree che
costituiscono il MNS (IFC,IPL, STS) e in
alcune aree implicate in compiti di
produzione e riconoscimento di emozioni
70. Sistema mirror e autismo:Sistema mirror e autismo:
dati funzionalidati funzionali
Williams e coll (Neuropsychologia 2006) usando
tecniche di fRM e il paradigma per compiti imitativi
di movimenti proposto da Rizzolatti e Iacoboni
(Science 1999) hanno studiato compiti di imitazione
e/o esecuzione di azioni in adolescenti autistici HF:
c’è una specifica riduzione bilaterale dell’attivazione
dei lobi parietali (nelle aree mirror) durante compiti
imitativi, assieme ad una mancanza della “normale”
modulazione dell’attività dell’amigdala sinistra
(presente nei soggetti TD), sempre in compiti
imitativi.
71. MNS, autismo, riconoscimentoMNS, autismo, riconoscimento
di emozioni, imitazionedi emozioni, imitazione
In uno studio di fRM in compiti di osservazione e
imitazione di espressioni emotive Dapretto, Sigman,
Iacoboni et al (Nature Neuroscience 2006) hanno
dimostrato che in soggetti autistici HF il
riconoscimento mimico non avviene attraverso
l’attivazione del circuito mirror premotorio (che
rimane ipoattivo assieme ad amigdala, insula e COF)
ma tramite l’iperattivazione di aree visive”. La
disattivazione dei circuiti mirror è proporzionale al
grado di “autisticità” misurata con ADI e ADOs
72. ““Broken mirrors”: riconoscimentoBroken mirrors”: riconoscimento
delle emozioni, imitazionedelle emozioni, imitazione
…in sostanza, nei bambini TD le emozioni
e le espressioni sono immediatamente
riconosciute (per “consonanza “mirror”) e
i processi imitativi “poggiano” su questa
spontanea pre-comprensione. Nei
bambini autistici HF questa esperienza
“diretta” è deficitaria: il “mirroring”
immediato impossibile é sostituito da
strategie compensatorie “indirette”…
73. …….broken mirrors.broken mirrors
…broken bicycles ……broken bicycles …
…cosa può accadere nella mente di un
bambino in cui l’esperienza
dell’intersoggettività primaria invece che
darsi come “evidenza naturale”, tramite i
dispositivi di mirroring, diventa ardua
come l’apprendimento di una lingua
straniera?….qual è il destino di quei
frammenti di esperienza “non mirrored”?
….
74. Sistema mirror: pianificazione eSistema mirror: pianificazione e
riconoscimento dell’intenzione motoriariconoscimento dell’intenzione motoria
Nel lobo parietale inferiore (Fogassi et al. 2005, Science)
esiste una popolazione di neuroni mirror detti “action
constrained”, vale a dire che si attivano non
genericamente per una sequenza motoria ma per le sue
specifiche “finalità” (la stessa sequenza motoria, ad
esempio “afferrare un certo oggetto”, può avere diverse
finalità). In uscita (azione finalizzata eseguita), essi
improntano fin dall’inizio l’intera sequenza motoria
orientandola al suo fine; in entrata (azione finalizzata
osservata) entrano in risonanza “speculare” nel
riconoscimento delle stesse “finalità”.
75. Sistemi mirror, il “why” dell’azione, ilSistemi mirror, il “why” dell’azione, il
chaining intenzionale e autismochaining intenzionale e autismo
Questi neuroni mirror codificano non per il “what”
dell’azione ma per il “why”. Il riconoscimento del senso
dell’azione osservata è immediato, pre-cognitivo; essi
ne “rispecchiano” la organizzazione motoria interna.
Ma essi organizzano anche fin dall’inizio
coerentemente l’azione intenzionale eseguita …
I bambini a sviluppo tipico, come gli adulti normali,
pianificano le azioni globalmente: la comprensione
della finalità è “interna” alla stessa organizzazione
motoria (Johnson-Frey 2004)
76. Dai neuroni mirrorDai neuroni mirror
all’intenzione motoriaall’intenzione motoria
Rizzolatti e coll. (2007,2008), attraverso lo studio
della cinematica dell’azione intenzionale
dimostrano che i bambini autistici HF, pur
essendo in grado di capire “cognitivamente” (dall’
“esterno”) un compito e anche di compiere tutte
le singole azioni necessarie per eseguirlo, non
“traducono” e incarnano la loro intenzione
motoria in una sequenza coerente fin
dall’inizio….
77. Dai neuroni mirrorDai neuroni mirror
all’organizzazione intenzionaleall’organizzazione intenzionale
Essi programmano le azioni come sequenze di steps
indipendenti….la finalità dell’azione non partecipa
“dall’interno” alla sua organizzazione globale.
Questa frammentazione della concatenazione
intenzionale, pezzetto per pezzetto, riguarda non solo
l’organizzazione dell’azione quando è “eseguita”, ma
anche il riconoscimento della finalità dell’azione osservata
(Cattaneo et al 2007; Fabbri-Destro et al 2008).
E’, in fondo, il vecchio tema del nucleo “disprassico”
dell’autismo…..!
78. ““Cosa” e “Perché”.Cosa” e “Perché”.
Il chaining intenzionaleIl chaining intenzionale
In sostanza nei soggetti a sviluppo tipico il perché, l’ “intenzione”
sono “incarnati” fin dall’inizio nell’organizzazione motoria stessa
(sia in entrata che in uscita) … non si tratta di un assemblaggio
o di una “deduzione cognitiva”, ma di una consonanza
immediata…. che coinvolge l’intera esperienza del corpo:
esperienza del sé agente ed interagente in una “evidenza
naturale del mondo”
le persone autistiche invece hanno difficoltà a integrare il
“perché” (il “why”) delle azioni nel chaining motorio, ci riescono
(quando sono HF) “per via cognitiva”, per assemblaggio di step
successivi…: quel “perché” non si “incarna” fin dall’inizio nella
loro stessa organizzazione motoria rendendola coerente
all’intenzione fin dall’inizio
79. ““Cosa” e “Perché”:Cosa” e “Perché”:
il ruolo delil ruolo del ContestoContesto
Ma Boria et al. (in press) hanno recentemente dimostrato
che questa difficoltà non è un dato statico e assoluto: la
difficoltà a capire in modo immediato l’intenzione si riduce
o scompare se la sequenza motoria è fortemente
inserita in un contesto significativo.
Invece, in assenza di un contesto facilitante di forte
significatività, l’intenzione (il “perché”) è invece assegnato
in modo rigido e automatico solo alla natura immediata
dell’oggetto (il suo uso standard), indipendentemente dalla
forma e dall’organizzazione interna del gesto.
80. Ruolo del contestoRuolo del contesto
…dunque il deficit in questo fondamento
dei processi imitativi è sensibile al
contesto…..
Questo introduce ad un terzo MODELLO
81. MODELLO 3:MODELLO 3:
ilil deficit di funzioni esecutivedeficit di funzioni esecutive
(EF)(EF)
Il modello del deficit di funzioni esecutive
(EF) ipotizza che nell’autismo siano
compromesse alcune funzioni
neuropsicologiche generali, chiamate
“funzioni esecutive”, che sovraintendono alla
pianificazione, controllo, monitoraggio,
coordinamento ed esecuzione/comprensione
di azioni e di sequenze di azioni finalizzate
(sia in uscita che in entrata).
.
82. Il costrutto EF implica almeno
4 dimensioni neuropsicologiche fondamentali:
1) costruzione automatica di “modelli anticipatori” (forward
models) dell’esperienza e pianificazione dell’azione in
sequenze gerarchiche.
2) capacità di flessibilità cognitiva e continua modulazione
e feedback dall’esperienza (ruolo dei circuiti fronto-
cerebellari)
3) memoria di lavoro
4) capacità di inibire risposte automatiche
e perseverative
83. Tutti questi processi richiedono una integrità
funzionale dei lobi frontali, come dimostrato
storicamente dal grande lavoro di L. Bianchi
(1922) e poi di A. Luria (1966) e dei grandi
circuiti fronto-cerebello-talamo-corticali.
84. L’ipotesi di una disfunzione dei lobi frontali,
per spiegare alcune caratteristiche
fondamentali dell’autismo, fu avanzata da A.
Damasio (1978). Si intersecò poi con le
evidenze sul ruolo dei lobi frontali
nell’organizzare sequenze di comportamenti
orientati coerentemente a scopi (Duncan 1986,
Shallice 1988) e in generale nello sviluppo
neurocognitivo (Welsh e Pennington 1988).
85. Dal monitoraggio delle azioni alDal monitoraggio delle azioni al
monitoraggio delle intenzioni e del Sèmonitoraggio delle intenzioni e del Sè
Prima dell’esecuzione di una azione intenzionale, nella
corteccia prefrontale si organizzano “forward
models” dell’azione finalizzata, una “copia” dei quali
viene inviata alla zona somato-sensoriale
corrispondente: ogni azione intenzionale (sia in
entrata che in uscita) è così coerente con una
programmazione e una rappresentazione
anticipatoria ad un tempo dell’azione, del sé
corporeo proprio, di quello dell’interlocutore (nel caso
di uno scambio interpersonale) e delle conseguenze
(Jannerod 1993, 1994, 1999; Rizzolatti 1994, 1999;
Proust 2000)….
86. “Forward models”:Forward models”:
….una geniale anticipazione….….una geniale anticipazione….
“…una delle cose che colpisce di più,
osservando questi bambini, è che essi
sembrano non avere un futuro…non
possedere ‘modelli anticipatori’ (!!!!)
dell’esperienza….” (M. Mahler 1968)
La straordinaria importanza di questa
caratteristica……
87. Ef, coerenza intenzionale e cervellettoEf, coerenza intenzionale e cervelletto
Il cervelletto, a sua volta, è connesso a questo
circuito intenzione/esecuzione, in cui svolge un
ruolo cruciale di metronomo o “sincronizzatore”:
riceve imput sullo stato delle cose e manda
continui feed-back, mantenendo la coerenza di
intenzioni ed esecuzioni rispetto alle variazioni
impreviste,. Ha dunque una funzione cognitiva
importante, è centrale nel “timing”, nella fluidità e
nel coordinamento delle sequenze, nel
consolidamento di attitudini spontanee …
88. EF, sviluppo cerebrale e circuitiEF, sviluppo cerebrale e circuiti
fronto-cerebellarifronto-cerebellari.
Evidenze di un ritardo di maturazione (Zilbovicius 1995) della
corteccia frontale eo di disfunzione/dismaturazione dei circuiti
fronto-talamo-cerebellari (Minshew 1999, Casanova et al 2002,
Luna et al 2002, Carper e Courchesne 2002) sono state
correlate alla estesa compromissione delle EF nell’autismo
.
Lo stesso è avvenuto per le evidenze ripetute di alterazioni
cerebellari, con ipoplasia del verme e iperplasia della sostanza
bianca (Courchesne 1988,1994, 2001).
Ciò ha avvalorato l’ipotesi che il deficit di EF fosse la disfunzione
primaria nell’autismo (Ozonoff et al 1999 e 2004, Pennington et
al 1997, Russel 1998, Zalla 2003)
89. Sono fortemente coerenti con l’ipotesi molte
caratteristiche di base dell’autismo: rigidità,
perseverazioni e stereotipie, intolleranza ai
cambiamenti, difficoltà di programmazione o di
modifica degli schemi di risposta, monitoraggio
e rappresentazione di sequenze di azioni
finalizzate complesse, focalizzazione ristretta
….ma anche difficoltà di apprendimento
imitativo, di pianificazione e esecuzione di
movimenti imitativi, che comunque implicano
una working memory.
90. EF, disprassia e body awarenessEF, disprassia e body awareness
L’ipotesi del deficit nello sviluppo di EF si
connette all’antica ipotesi di una
originaria disprassia (DeMyer 1981), a
sua volta collegata al deficit imitativo e
alla precaria costruzione di body
awareness (esperienza coerente del sé
corporeo che governa gli scambi)
91. EF, intenzionalità, ToM, socialitàEF, intenzionalità, ToM, socialità
siamo nel cuore e nei fondamenti
dell’intenzionalità umana…
.dei processi che consentono sia di
riconoscere l’azione altrui sia di
modulare la propria come
“orientate ad uno scopo”
92. EF, intenzionalità, socialitàEF, intenzionalità, socialità
E’ stato ipotizzato (Russell 1996,1997) che una
disfunzione precoce nelle EF produca una difficoltà
implicita nello sviluppo del concetto di “agente
intenzionale” e di sé come agente intenzionale
immerso attivamente in scambi orientati a scopi e
riconoscibili.
Disfunzioni, lesioni o dismaturazioni dei circuiti fronto-
cerebellari fanno sì che l’azione umana sia
tendenzialmente percepita come “un flusso di atti
frammentari ed elementari”, non di insiemi strutturati
orientati ad uno scopo (Zalla 2003).
93. EF, intenzionalità, ToM, socialitàEF, intenzionalità, ToM, socialità
Le EF sarebbero quindi non solo un prerequisito delle
capacità di ToM ma anche del costituirsi stesso dell’
intersoggettività e della “relatedness”, oltre che del
sentimento di coerenza del sè.
Rogers e Pennington (1991,2006) con esplicito
riferimento al modello di sviluppo dell’intersoggettività
di Stern (1985) suggeriscono che la “dismetria
cognitiva e percettiva” da deficit di EF, assieme alle
difficoltà al “matching self/other” per compromissione
dei sistemi “mirror”, renda impossibile quella funzione
materna “regolatrice” che negli sviluppi tipici consente
invece il transito alla intersoggettività secondaria
94. “….osservando i bambini psicotici, non si può
fare a meno di pensare che l’eziologia
primaria della psicosi infantile, l’incapacità
del bambino psicotico di utilizzare (percepire)
l’agente delle cure materne che è l’elemento
catalizzatore dell’omeostasi, è innata,
costituzionale e probabilmente ereditaria….”
((Mahler, 1968)Mahler, 1968)
95. MODELLO 4 :MODELLO 4 :
Deficit di coerenza centraleDeficit di coerenza centrale
Kanner :la “incapacità ad afferrare gli insiemi
senza completa attenzione alle singole parti
costituenti”
Kanner: il “terrore del cambiamento”. Se
manca anche il minimo particolare la
situazione non è più la stessa….
…manca la capacità di completamento e
gestaltizzazione automatica…
96. B. Hemelin, N. O’Connor (1970) : il ricordo delle frasi non è
sostenuto dagli aspetti semantici.
Frith e Snowling (1983): in soggetti autistici è indebolita non la
comprensione di singole parole, e neppure l’individuazione delle
classi sintattiche delle singole parole, ma, significativamente, la
connessione semantica e la collocazione delle parole in insiemi
significativi.
Eskes e coll.(1990); Snowling e coll. (1988); Frith (1989);
Happè (1994,1997): diverse difficoltà di integrazione
multimodale descritte
De Gelder et al. 1991: difficoltà ad integrare diversi domini
(movimento delle labbra e suoni nella comprensione del
linguaggio).
97. La debolezza gestalticaLa debolezza gestaltica
La configurazione generale che risultava da questi
studi era quella di una esperienza percettiva
tendenzialmente frammentata, disorganizzata, non
deficitaria specificamente in nessun dominio
particolare, ma caratterizzata da una debole
coerenza “centrale”, da una difettosa tendenza
alla spontanea organizzazione in insiemi
significativi coerenti e dalla specifica propensione
invece per i dettagli e le forme astratte dal contesto.
98. Interesse del modello dellaInteresse del modello della
“coerenza centrale”“coerenza centrale”
Questo modello (U. Frith 1989; F. Happé 2000, 2007)
spiega meglio di altri sia alcune disabilità che abilità.
Tra le disabilità: le difficoltà di integrazione dei vari
dettagli o i furori per minimi cambiamenti (magari agli
altri impercettibili) anche di un minimo dettaglio (il
dettaglio “è” il tutto; una sua minima variazione
rompe la samenes).
Tra le abilità: quelle dei “savants”; o i “talenti speciali” o
comunque gli “isolotti di capacità” spesso
straordinaria: capacità di individuare dettagli, di
organizzare in modi non comuni i rapporti tra i
dettagli, di non rispondere posturalmente a falsi
movimenti indotti…l’orecchio musicale assoluto…
99. Coerenza centrale e connettivitàCoerenza centrale e connettività
Il modello del deficit di coerenza centrale, nato su
dati cognitivi e neuropsicologici, si adatta bene ai
recenti modelli di “disconnessionismo funzionale”
(Minshew 2000,2004), nati nell’ambito del
neuroimaging. Dati di fRM (Belmonte 2003, 2004,
Just 2004) hanno mostrato pattern di connettività
atipica in risposta a compiti percettivi e di cognizione
sociale: alta connettività settoriale, con
iperattivazione localizzata, in specifiche aree
percettive e bassa connettività estesa, con ridotta
attivazione dei circuiti integrativi.
100. Coerenza centrale e connettivitàCoerenza centrale e connettività
….tant’è che il modello del Deficit di Coerenza
Centrale si è candidato (Belmonte 2004) a
dare a sua volta “coerenza centrale” ai dati
sparsi della ricerca….
“Why the frontal cortex in autism might be
talking only to itself: local over-connectivity
but long distance disconnection”
(Courchesne e Pierce, Curr. Opin.
Neurob.15, 2005)
101. Critiche al modello dellaCritiche al modello della
coerenza centralecoerenza centrale
Ma molte questioni rimangono aperte:ad
esempio se il meccanismo sottostante
sia unico (un problema generale di
connettività e quindi di
integrazione/categorizzazione delle
informazioni provenienti dai diversi
domini sensoriali) oppure riguardi
specifici sottosistemi (Plaisted 2003,
Happè 2006)
102. Disconnettività, coerenza centrale,Disconnettività, coerenza centrale,
peculiarità percettivepeculiarità percettive
Uno dei temi della ricerca attuale è chiarire come dismaturazione
corticale e pattern aberranti di connettività siano in relazione
con le atipie percettive, da sempre segnalate nell’autismo.
Il tema della percezione e dell’attenzione nell’autismo è
particolarmente intricato e controverso (Barale e Ucelli 2006);
l’evidenza clinica che nell’autismo ci sia una organizzazione
percettivo-attentiva peculiare è molto antica (a partire dalla
segnalazione dei fenomeni di over o under arousal); ma
travagliata è la controversia su questa “atipia”, che certo non
può essere intesa in termini puramente deficitari, ma
probabilmente di complessa processazione trans-modale.
Senza addentrarci, i dati testimoniano di una singolare
“fenomenologia della percezione” autistica, che dà origine ad
una idiosincrasica esperienza del mondo.
103. L’organizzazione percettivaL’organizzazione percettiva
nell’autismo. Deficit di coerenzanell’autismo. Deficit di coerenza
centrale o “smantellamento”?centrale o “smantellamento”?
Il “deficit di coerenza centrale” evoca poi agli psicoanalisti il
concetto di “smantellamento” sensoriale descritto da D. Meltzer,
per evitare l’esperienza di invasione e sommersione
caotica…..Meltzer (1975) aveva indicato in questo particolare
assetto della psicosensorialità l’origine dell’autismo…una
psicosensorialità all’insegna della dissoluzione estetica nelle
sue componenti parziali…
Va ricordato come per Meltzer tale “smontaggio” peraltro non sia
“difensivo”, non si sviluppi per eccesso di sadismo, invidia,
persecutorientà (Meltzer insiste anzi sul carattere “mite”, dolce,
sensuale e sensibile di questi bambini…), né per identificazioni
proiettive o sulla spinta di una qualche “fantasia”…ma sia un
dato “originario”, il portato di “un bombardamento di dati
sensoriali su un equipaggiamento inadeguato..” …geniale….
104. L’organizzazione percettivaL’organizzazione percettiva
nell’autismo. Alcuni dati recenti….nell’autismo. Alcuni dati recenti….
La persistenza (Moller 2005) nell’autismo di pattern “co-modali”
atipici di trattamento dell’esperienza sensoriale e di interazioni
tra flussi sensoriali diversi, tipici del neonato e che nel TD poi si
risolvono nel corso della maturazione dei sistemi sensoriali.
L’importanza del solco temporale superiore (STS)
nell’integrazione multimodale: anomalie anatomiche del STS
nell’autismo (Boddaert 2004, Hadjikani 2006)
La non differenziazione di attivazione di circuiti tra voce umana
(Zilbovicious et al, 2004) e suoni non umani….e il ruolo STS
La non differenziazione tra animato e inanimato (Volkmar e Klin
1995), già segnalata da Kanner
L’ inversione delle attivazioni di FG e STI nel riconoscimento di
visi e oggetti (Schultz 2004).
105. I pattern difettosi di “lateralizzazione” delle
funzioni….disconnettività.
Il ruolo si sincronizzatore e metronomo dell’esperienza percettiva
del cervelletto
La difficoltà a discriminare gli aspetti del linguaggio veicolanti
aspetti emozionali (“sordità alla voce”, Zilbovicious 2000)
Viceversa, a testimonianza della contraddittorietà del campo,
l’estrema sensibilità agli stati e alle atmosfere emozionali
“semplici” (l’ “intonazione”, la “stimmung”) e il dato,
interessantissimo, che, contrariamente alla difficoltà di
riconoscimento delle espressioni mimiche, vi è spesso una
particolare abilità a collegare brani musicali ed emozioni
(Heaton 1999)……………..e così via…..
106. Il cervelletto e la reverie materna.….Il cervelletto e la reverie materna.….
Eppure, i vecchi miti sono duri a morire….!
B. Golse (2007) ha recentemente ri-descritto parte di questa
fenomenologia re-interpretandola come un fallimento nella
funzione di “direttore d’orchestra” svolta dalla madre nel
processo di organizzazione percettiva, con le sue interazioni
armoniose, la voce, il viso, che consente prima una
segmentazione dei diversi flussi sensoriali, secondo ritmi
compatibili, attraverso cui vengono individuate delle costanti del
mondo esterno, poi di integrazione e co-modalizzazione delle
sensazioni (funzione di contenimento, filtro, metabolica, di
bonifica..)…. verso una intersoggettività secondaria….
Ma davvero è ragionevole pensare alle atipie trovate nell’autismo
come a “conseguenze” di funzionamenti relazionali “fuori co-
modalizzazione”?
107. …….l’antica questione…..l’antica questione….
Se in linea generale possiamo riferirci al modello delle “serie
complementari”(Freud 1916-7) bisogna dire con chiarezza che
nel caso dell’autismo re-introdurre per questa via una qualche
“psicogenesi” è una grossolana forzatura rispetto all’imponente
mole dei dati empirici. Certo, possiamo sostenere (senza
obbligo di prova) la psicogenesi di tutto…anche delle alterazioni
anatomiche del cervelletto, delle atipie sinaptiche o dei patterns
di funzionamento atipici messi in evidenza a pochi giorni dalla
nascita in popolazioni di bambini “ a rischio”…..
Ma di queste forzature (squalificanti nella comunità scientifica che
si occupa di autismo) non c’è alcun bisogno, peraltro, per
riaffermare l’importanza degli aspetti relazionali nella cascata di
fenomeni che comunque si verifica a partire dalla disabilità
interattiva originaria e nelle esperienze che ne derivano.
108. ……ancora una considerazioneancora una considerazione
evoluzionistica….evoluzionistica….
E’ ovvio che l’incontro materno “modula”, indirizza…
consente non le pre-condizioni della reciprocità e
dell’interazione, ma la loro esperienza….ma qui
siamo di fronte all’alterazione di funzioni costitutive
della specie, frutto di una evoluzione di centinaia di
migliaia di anni; ciò indica chiaramente un problema
di altra natura: basta del resto una minima
esposizione al linguaggio o alla motricità perché i
bambini imparino a parlare e a camminare, attivando
i “pre-requisiti” innati, specie-specifici ed universali
dello sviluppo…(Kagan 1989, Pinker1991)
109. È necessario ed urgente, dunque, per lo sviluppo delle
conoscenze sull’autismo e per la psicoanalisi stessa,
(per la sua stessa credibilità) che la psicoanalisi si
liberi delle ultime scorie di “psicogenesi”,
incompatibili con i fatti e confusiogene (anche in una
prospettiva “poli-fattoriale”, che, per essere
ragionevole, non può essere genericamente
“ecumenica”, ma deve definire “pesi” diversi dei
diversi ordini di questioni). La psicogenesi
dell’autismo è una eredità ed estensione impropria
del vecchio paradigma dell’isteria. Essa, oltre che
insostenibile, è, come si diceva, del tutto inutile …
110. …..lo sviluppo autistico, infatti, anche se
profondamente alterato nei prerequisiti stessi della
socialità, è comunque quello di una mente (e prima
ancora di una esperienza del corpo) vivente e in
relazione (sui generis) con altre menti (e altre
esperienze del corpo). E anche le persone autistiche
hanno bisogno, comunque, di compagni di strada
vivi e intelligenti. Ne faranno fin dall’inizio un uso
almeno in parte atipico, i mondi che si
organizzeranno avranno aspetti singolari, porteranno
indelebile la traccia di una alterazione crudele…
111. …ma saranno comunque dei mondi; e i soggetti che li abiteranno
saranno portatori di una esperienza che si tratta, innanzitutto, di
cercare di intendere.
La psicodinamica dello sviluppo autistico, liberata dagli abbagli
etiologici, sarebbe effettivamente il segmento mancante delle
descrizioni contemporanee dell’autismo e della prospettazione
delle strategie abilitative …che non possono certo fondarsi solo
sul bilancio delle abilità e disabilità…
E non c’è dubbio che la Psicoanalisi potrebbe portare un
importante contributo sia, in generale, alle rappresentazioni
attuali dello sviluppo della cognizione sociale, che sono spesso
terribilmente astratte e schematiche e sembrano prescindere
dalla dinamica di quell’incontro tra menti che consente il transito
tra l’intersoggettività primaria e l’intersoggettività secondaria….
112. …sia, in particolare, alla comprensione dei mondi
autistici e quindi alla progettazione di contesti e
modalità di intervento ad essi adeguati…ma ciò
richiederebbe una autentica curiosità interdisciplinare
e, intanto, il coraggio di fare definitivamente piazza
pulita dei vecchi errori….che ancora alimentano una
diffusa concezione “difensiva” dell’autismo come
“chiusura”, come conchiglia che prima o poi potrà
riaprirsi, una volta ri-create (tramite psicoterapia) le
condizioni per una ripresa sufficiente di fiducia
nell’interlocuzione umana, liberando il suo contenuto
“incapsulato” intatto (il principino addormentato) …
113. Tutto ciò che negli ultimi decenni abbiamo appreso
sull’autismo (dati di ricerca, evidenze cliniche,
epidemiologie,descrizioni dall’interno dell’esperienza
autistica) indica l’urgenza di questa revisione.
Non è un astratto problema “etiologico”, irrilevante sul
piano pratico: quello stereotipo, che scredita la
psicoanalisi, comporta una distorsione “psicologista”
delle strategie di intervento; anche se i tempi stanno
cambiando anche in ambito dinamico, anche se
sempre meno dell’autismo vengono considerati i
supposti aspetti “difensivi”, anche se lo stile è
sempre meno interpretativo…….
114. …e sempre più gli interventi, anche dinamici, sono
impostati come tentativi di apertura di “nuova
esperienza”, tuttavia capita ancora spesso di leggere
di lunghe terapie condotte in stile interpretativo-
simbolico (magari di oggetti interni e fantasmi) con
bambini la cui capacità di organizzazione coerente
dell’esperienza più immediata, di orientamento
nell’interazione umana, di mappatura se/altro,
interno/esterno, di comprensione stessa del
linguaggio simbolico sono assai fragili, se non
assenti …
115. …mentre occorrerebbe intervenire non solo il più
precocemente, il più sistematicamente possibile, nei
mesi in cui l’assetto autistico non si è ancora
“fissato”, ma anche il più attivamente possibile sulle
precondizioni della relazionalità, cercando di attivare
interattività, intersoggettività, sentimento di
reciprocità, di orientamento nelle interazioni umane
perché la debolezza interattiva, imitativa e di iniziativa
autistica “genera” a cascata l’ esclusione da
esperienze imitative ed interattive normali e produce
difficoltà sempre maggiori negli scambi socio-
comunicativi.
116. …….”da capo”…...”da capo”…..
Ma a questo punto è necessario affrontare
sistematicamente il tema dell’evoluzione dell’autismo
nell’età adulta, per vedere se essa ci insegna
qualcos’altro di importante.
Occorre premettere alcuni dati epidemiologici
117. Alcuni dati generali su prevalenzaAlcuni dati generali su prevalenza
ed evoluzioneed evoluzione
Prevalenza del disturbo autistico nella popolazione
generale: 1,3/mille; di tutti gli PDDs: 3-5/mille (E.
Fombonne 2006; stime “di lavoro”)
“The available epidemiological evidence does not
strongly support the hypothesis that the incidence of
autism has increased…the recent upward trend in
prevalence cannot be attributed to an increased in
the incidence of the disorder….diagnostic
substitution, changes in policies for special education
an the increasing availability of services are
responsible for the higher prevalence figures”
(Fombonne 2006)
118. epidemiologiaepidemiologia
“The majority of surveys has ruled out social class as a
risk factor for autism…the hypothesis of an
association between immigrant status or race and
autism remains largely unsupported..” (ibidem)
Nella letteratura più recente in realtà trovate queste
cifre fin triplicate; più ancora che la prevalenza, è
l’incidenza ad aver subito un aumento vertiginoso;
ciò è in larga misura, come sottolinea Fombonne,
l’effetto “nebulosa” dell’allargamento diagnostico
degli ultimi anni, anche se si comincia a dubitare che
le cose stiano solo così e che non stiano incidendo
anche co-fattori ambientali….
119. La diagnosi di autismo ha una caratteristica
instabilità nei primi anni di vita e una altrettanto
caratteristica stabilità successiva
L’ instabilità nei primi anni di vita:
Sigman e Ruskin (1999): in una coorte di 56 bambini
diagnosticati il 17% “esce dalla diagnosi” entro i 10
anni.
120. Instabilità iniziale della diagnosiInstabilità iniziale della diagnosi
e “autismi transitori”e “autismi transitori”
L’ instabilità nei primi anni di vita:
Fein e coll (2005 e 2006) confermano il dato e parlano di “autismi
transitori”. Fein ha recentemente (2013) confermato che una
percentuale significativa di bambini diagnosticati “autistici” in
centri attendibili in età precoce dopo qiualche anno risulta “fuori
dall’autismo”
Sutera e coll (2009): più la diagnosi è precoce più essa è anche
instabile (e incerta) : circa il 20% (17 casi su 90) dei bambini
diagnosticati autistici a 2 anni esce dalla diagnosi a 4 anni.
A quali caratteristiche è correlabile “l’uscita dalla diagnosi”: i
bambini che “escono” dalla diagnosi in genere hanno più
elevato QI e abbozzi di capacità di iniziativa motoria, di
reciprocità, di imitazione…: sono le stesse caratteristiche
predicono una buona risposta agli EIBI (che sono efficaci in
presenza di questi pre-requisiti) !
121. Sviluppi fragili, instabilità,Sviluppi fragili, instabilità,
adattamenti omeostatici, regressioni,adattamenti omeostatici, regressioni,
plasticità….plasticità….
Muratori e Maestro (2006), nei casi con regressione (più frequenti di
quanto si ritenesse in passato), hanno descritto uno sviluppo “ a
denti di sega” delle competenze, prima della loro perdita, innescata
spesso da banali fatti di vita (malattie, separazioni…)
Gli studi sui “filmini famigliari”, girati prima di ogni sospetto
di diagnosi, confermano questa immagine; e mostrano
anche come lo stile “iperprotettivo” dei caregivers (in
quelle che venivano chiamate “psicosi simbiotiche” o
autismi “confusionali”), che tradizionalmente veniva inteso
come fattore etiopatogenetico, sia esso stesso
l’espressione di un adattamento omeostatico preriflessivo
alle difficoltà, percepite del futuro soggetto autistico
122. In sostanza: vi è un periodo di plasticità e instabilità
degli assetti neurobiologici durante il quale la fragilità
di base e la vulnerabilità all’autismo possono non
essersi ancora pienamente espresse.
Di qui, a maggior ragione, l’importanza (a prescindere
dalla diagnosi e dalla sua conferma, anzi
augurandosi che essa non venga confermata…) di
intervenire precocemente per sostenere i fattori
protettivi, le competenze interattive e l’
intersoggettività.
123. L’autismo dura tutta la vitaL’autismo dura tutta la vita
I bambini autistici, a condizione autistica stabilizzata,
diventano invece adulti autistici in più del 90% dei
casi :l’autismo è “almost always a lifelong
disabling condition” (F. Volkmar 2006)
Tuttavia, all’interno di questa “lifelong disabling
condition”, le evoluzioni e gli esiti sono i più diversi
Questa variabilità, espressione dell’eterogeneità
dell’autismo, spazia da una piccola percentuale di
esiti ottimi (o addirittura di uscita dall'autismo: pochi
punti, ma presente in tutti gli studi più estesi) ad una
maggioranza di esiti meno buoni o decisamente
cattivi.
124. L’evoluzione degli autismi in etàL’evoluzione degli autismi in età
adulta: aspetti generali daadulta: aspetti generali da
considerareconsiderare
L’ Eterogeneità degli autismi, di cui discuteremo in seguito,
comporta dunque una grande eterogeneità anche dei profili
evolutivi in età adulta.
L’evoluzione delle diverse forme e dei singoli casi di autismo
mantiene inoltre un margine di imprevedibilità. Banalmente: fare
pronostici su quale sarà il futuro di un bambino autistico è
azzardato come per qualunque altro bambino.
Molte cose infatti possono cambiare, in meglio o in peggio, nel
corso della vita, non sappiamo quanto per l’evoluzione
“naturale” del disturbo, o per le interazioni tra le difficoltà
originarie, la cascata di eventi di vario ordine che da esse
origina, i fattori protettivi o peggiorativi incontrati strada facendo:
le sintomatologie prevalenti, gli stili di relazione, le comorbidità,
le capacità di adattamento ed espressive…..
125. …..cognitivo (sia in meglio che in peggio: Sigman et al 1997,
Schopler e Mesibov 1983, Howlin et al. 2004).
All’interno di limiti importanti, da ricordare per evitare illusioni,
rimane a lungo anche dopo l’”età evolutiva” una variabilità
importante.
I deficit e gli aspetti nucleari stessi, malgrado le loro forti radici
neurofunzionali, non sono mai del tutto statici né del tutto
globali: hanno una espressione tipicamente “oscillatoria” e
sensibile al contesto, talvolta entro limiti ristretti, altre volte più
estesi.
Anni di lavoro abilitativo con adulti con autismo ci confermano che i
“giochi non sono mai fatti del tutto”. L’autismo non guarisce,
ma progressi possono essere ottenuti perfino in aree che
sembrano strettamente legate all’assetto deficitario originario
126. Nessuna persona con autismo è “tutta
autistica”: anche nei casi più gravi qualcosa
di importante può essere fatto, perfino in
quelle aree che sembrano l’espressione
diretta dei deficit nucleari; occorre dunque
creare le condizioni perché una tensione
abilitativa non si interrompa mai, anche
nell’età adulta
127. Marco 2006->2002->2006. Il gesto, il sè corporeo, il sè agente.
Funzioni esecutive, concatenazione intenzionale. Trasformazioni
128. Fattori predittivi dell’evoluzione.Fattori predittivi dell’evoluzione.
I predittori tradizionaliI predittori tradizionali
All’interno di questa variabilità, è possibile individuare fattori
predittivi?
I tradizionali “predittori” sono QI e presenza di linguaggio
“comunicativo” a 5 anni. Questi predittori sono confermati.
La prognosi dei soggetti con ritardo mentale importante è quasi
invariabilmente quella di una scarsa autonomia.
Quella del 25-30 % senza ritardo (percentuale che sta salendo
man mano che la diagnosi si allarga…) e’ la più varia: ma
anche tra loro meno di un quinto raggiunge una effettiva
autonomia sociale e solo un terzo ha un outcome complessivo
definibile “buono” (Howlin 2006). Sconfortante? No.
Significa intanto che “autismo” e “ritardo mentale”, anche se
spesso associati, sono costrutti diversi.
129. Nuovi fattori predittiviNuovi fattori predittivi
e loro implicazionie loro implicazioni
Nell’autismo c’è qualcosa di specifico: infatti la disabilità autistica
nei suoi aspetti nucleari (l’area dell’intersoggettività) permane
anche in assenza di ritardo mentale, in presenza di capacità
cognitive elevate e perfino di apprendimenti comportamentali più
adattativi
Evidenze emergenti indicano inoltre l’importanza predittiva di tracce
di competenze relazionali ed empatiche che sfuggono alla
misura grezza del QI e alla presenza "on off" del linguaggio
comunicativo a 5 anni (Sigman 1998; Koegel, 2000): abbozzi di
abilità imitative, di joint attention, di interesse alle emozioni
altrui, di flessibilità cognitiva e di interattività, di iniziativa motoria.
Sono le stesse caratteristiche che, in alcuni casi più fortunati,
consentono nei primi anni “l’uscita dalla diagnosi”.
Le tracce potenziali di queste capacità sono il “focus” degli
interventi cosiddetti “evolutivi”.
130. Queste evidenze segnalano infatti l’importanza non solo
di “insegnare comportamenti adattativi”, ma di
cercare di attivare e facilitare il più precocemente
possibile, in contesti il più possibile “naturalistici, i
comportamenti interattivi, contestualizzanti, di
pragmaticità condivisa e di sostenere ed attivare
quell’ importante “motore” dell’apprendimento sociale
che è l’imitazione.
Dunque: sollecitazione alla interazione “partecipata”
(anche da parte del terapeuta), alla reciprocità e alla
iniziativa, attivazione e modulazione della
comunicazione emotiva, attenzione agli affetti…..
131. Ciò va fatto molto attivamente; perché la debolezza
interattiva, imitativa e di iniziativa autistica “genera” l’
esclusione da esperienze interattive “normali”, che, a
“a cascata”, produce difficoltà sempre maggiori negli
scambi socio-comunicativi.
A fronte di ciò, diversi studi (Dawson et al. 1990,
Escalona et al. 2002) hanno da tempo mostrato ad
esempio che molti bambini autistici, pur avendo
difficoltà ad iniziare lo scambio imitativo, provano
invece piacere ad essere imitati e cercano di
proseguire l’esperienza aumentando il
comportamento imitativo
132. Un breve excursus su di un argomentoUn breve excursus su di un argomento
centrale: l’ imitazionecentrale: l’ imitazione
Sospendiamo per un poco il tema
dell’evoluzione dell’autismo (che
riuprenderemo tra breve) per fare una
parentesi su un argomento centrale nei
modelli attuali.
Essa ci consentirà alcune considerazioni
importanti successivamente
133. Importanza dell’ imitazione:Importanza dell’ imitazione:
un fenomeno “primario” ?un fenomeno “primario” ?
L’imitazione e il suo lungo sviluppo (dall’ “imitazione in eco” e dai
fenomeni di mimicry originari alle capacità più mature) è tema
controverso. Tuttavia per certo nell’autismo l’emergere di
capacità di imitazione di gesti e stati del corpo:
1.correla con lo sviluppo di capacità di interazione sociale e di
“mappatura degli schemi sé-altro” (Sigman et al 1984, Smith e
Bryson 1994, Nikopulos et al 2003; Rogers 2006)
2. è uno dei pochi predittori “forti” di sviluppo linguistico (Stone et al
1997, Wertet al 2003). La sovrapposizione di F5 e area di Broca:
“Language within our grasp”, Rizzolatti e Arbib, Trends
Neurosc., 1998)…
3. correla con una buona la risposta agli interventi psicoeducativi e
con la capacità di generalizzazione degli apprendimenti.
4. la assenza di quelle capacità correla con un outcome cattivo
134. Evoluzioni recenti nei modelli:Evoluzioni recenti nei modelli:
l’imitazionel’imitazione
Zwaigenbaum, Bryson, Szatmari e coll (2005) in uno
studio clinico su una estesa popolazione a rischio
(fratelli) hanno dimostrato che l’assenza di imitazione o
problemi nell’imitazione sono precocissimi e precedono
l’emergenza di chiara sintomatologia autistica!
Studi di MEG e RMf hanno evidenziato atipie di
funzionamento in compiti di imitazione (Nishitani et al
2004; Williams et al 2006; Dapretto et al 2006):
ipoattivazione dei circuiti “specchio” e iperattivazione di
altri circuiti. Le atipie sono proporzionali al livello di
autisticità
135. Complessità dell’imitazioneComplessità dell’imitazione
..ma l’imitazione non è un monolite.. Ha una sua
evoluzione… dai fenomeni di imitazione primaria e di
mimicry automatica, dai comportamenti “in eco” dell’
“intercorporeità originaria, verso l’imitazione
intenzionale (di gesti, posture, azioni, stili…), e l’
apprendimento imitativo volontario e cosciente….
Questa evoluzione richiede il transito tra
intersoggettività primaria e secondaria…processi di
interiorizzazione, di “stoccaggio” di esperienze, di
sviluppo di una “geometria (prima che di una “teoria”)
della mente, della differenza sé/altro,
interno/esterno…del sentimento di “agentività”….
136. Anzi, la maturazione psichica presuppone una capacità
sempre maggiore di inibizione dei meccanismi di
imitazione primaria, “in eco”, così come delle risposte
automatiche ai bisogni e agli stimoli ambientali.
Questa evoluzione è parallela, dal punto di vista
neuropsicologico, alla maturazione prefrontale (danni
prefrontali producono infatti una disinibizione e
riattivazione dei comportamenti imitativi primari).
L’immaturità prefrontale alla nascita (la
mielinizzazione prefrontale prosegue fino
all’adolescenza) consente un vantaggio evolutivo
attraverso un lungo “bagno” imitativo “basale”
137. Complessità dell’imitazione nell’autismo.Complessità dell’imitazione nell’autismo.
Deficit o atipia?Deficit o atipia?
Anticipando anche nel caso dell’imitazione una
considerazione di valore generale, anche la questione
dell’imitazione nell’autismo non può essere intesa in
termini puramente deficitari: non c’è una “assenza”, un
puro “deficit” di imitazione, ma un suo sviluppo
ritardato e “atipico”, con sequenze atipiche (ad es.il
rapporto dell’apprendimento imitativo con la joint
attention) e differenze nei vari aspetti dell’imitazione
(imitazione di azione su oggetti, di gesti o posture, oro-
faciale ecc.) (Charman 1994; Smith e Bryson 1994; Rogers
1999; Carpenter et al 2002;Williams 2004; Rogers 2006).
138. Complessità dell’imitazione e autismoComplessità dell’imitazione e autismo
Secondo la “direct matching hypothesis”(Iacoboni e
Rizzolatti, Science 1999) all’origine dell’atipia ci
sarebbe una difficoltà originaria nel “matching diretto”
per imperfetta “taratura” dei circuiti “mirror”: i percorsi
imitativi nell’autismo non sono sostenuti dalla
“evidenza naturale” del mirroring, base forte di una
esperienza del mondo condivisa. Prendono di
conseguenza vie più difficili, indirette: ( ad esempio la
sequenza invertita tra pointing, joint attention e
apprendimento imitativo).
Comunque sia, questi percorsi, sia pure stentatamente,
compaiono….possono essere facilitati…!!
139. Imitazione e autismo: questioni aperteImitazione e autismo: questioni aperte
Inoltre, anche per il “direct matching” non sembra
essere questione di “tutto o nulla”.
Infine: fino a che punto la proprietà “mirror” dei neuroni
mirror (che sono neuroni come gli altri) è uno
“starting point” e fino a che punto sono proprietà
acquisite, hebbianamente (“neurons that fire together
wire together”, D. Hebb), nell’esperienza del
“mirroring”?
In altri termini, i “broken mirrors” fino a che punto sono
tali fin dall’inizio e fino a che punto sono
conseguenza di una cascata di esperienze di
interattività deficitaria per altre cause?
140. Neuroni Mirror e mirroringNeuroni Mirror e mirroring
I neuroni mirror prefrontali e del lobo
parietale inferiore sono “indifferenti al
chi”. Importanza fondamentale del STS
per la distinzione se/altro.
Ma il circuito F5-PF-STS è stato ipotizzato
(Keysers e Perret 2004) come alla base,
attraverso il ruolo cruciale di STS,
dell’acquisizione di funzioni “mirror” di F5
e PF
141. Il visibile e l’invisibile.Il visibile e l’invisibile.
La capacità negativa e il STSLa capacità negativa e il STS
Evidenze di dismaturazione del STS
nell’autismo (Zilbovicious et al 2004)
Il STS non solo ha un ruolo cruciale nella
distinzione se/altro, nella comodalizzazione
sensoriale e nel perfezionamento della
funzione mirror dei sistemi mirror. La cosa di
straordinaria importanza è che una parte dei
neuroni audiovisivi STS scarica
specificamente “in assenza” dell’oggetto
visibile/udibile…..
142.
143. Centralità dei passaggi consentiti dalla
maturazione di queste strutture prima
nella costituzione dell’intersoggettività
primaria e poi nel passaggio tra
intersoggettività primaria e secondaria
(costanza dell’oggetto, accesso al
simbolico…)
144. L’enigma del “primum movens”……..L’enigma del “primum movens”……..
Le questioni sono tutt’altro che semplici: il MNS spiega bene i
fondamenti primari dell’imitazione (direct matching) e del lungo
“bagno imitativo” (da immaturità prefrontale) che consente ai
meccanismi basali di rispecchiamento e intersoggettività
primaria di sedimentarsi pienamente; ma questa “base sicura”
progressivamente è sostituita e integrata da meccanismi di
cognizione sociale e apprendimento imitativo più complessi,
che implicano lo sviluppo di competenze, articolazioni,
differenze, self regulation, EF, TOM.. a loro volta indicate come
deficitarie nell’autismo…in cui diversi dati indicano una
dismaturazione prefrontale e delle connessioni fronto-
cerebellari…ma a loro volta queste difficoltà rendono difficili
esperienze di mirroring…
145. …….ma torniamo al tema dell’evoluzione
dell’autismo nell’età adulta….
Cosa succede ai bambini autistici quando
diventano grandi (rimanendo, come nella
quasi totalità dei casi, autistici)?
C’è un rapporto evidenziabile tra tipi di
evoluzione e trattamenti?
146. Evoluzione dell’ Autismo edEvoluzione dell’ Autismo ed
interventi. Quale relazione?interventi. Quale relazione?
E' difficile stabilire un rapporto tra tipologie di trattamenti ed esiti
complessivi, sia a breve che a lungo termine
A breve termine ci sono prove di efficacia sia per alcuni trattamenti
intensivi comportamentale precoci (EIBI), sia per interventi
psicoeducativi, sia per interventi specifici e strutturati di impostazione
“evolutiva” (LG ISS 2012)
Non vi è invece alcuna chiara evidenza di una “gerarchia” di efficacia
complessiva tra i diversi trattamenti precoci (Howlin et al, 2009; LG
ISS 2012).
A lungo termine, poi, l’ outcome è ancor meno direttamente correlabile
alla tipologia del singolo trattamento, in particolare per i casi che vanno
molto bene. E’ tuttora più facile indicare i predittori di un outcome
povero (QI>70, grave compromissione del linguaggio, comorbidità
importanti, nessun intervento specifico) che quelli di un outcome
buono.
147. Evoluzione dell’ Autismo ed interventi.Evoluzione dell’ Autismo ed interventi.
Quale relazione?Quale relazione?
Cominciano tuttavia a comparire evidenze che interventi
abilitativi precoci e specifici (sia EIBI che evolutivi)
continuati coerentemente nel tempo, anche nell’età adulta,
possano sortire esiti lievemente migliori.
Ciò che fa la differenza non è il singolo trattamento, ma la
coerenza, specificità, sistematicità, durata nel tempo e
continuità del progetto in una atmosfera generale di sostegno.
Se ciò si realizza, vi sono lenti ma significativi spostamenti verso
l’alto nella scala di autonomia e capacità adattive (Howlin 2006)
In sostanza: se non vi è intervento (di alcun tipo) che di per sé
consenta di uscire dall’autismo, in presenza di contesti adatti
e di interventi specifici (cioè centrati sulle caratteristiche
dell’autismo) le persone autistiche possono continuare
anche oltre l’età evolutiva un loro percorso di crescita.
148. Un periodo molto delicato:Un periodo molto delicato:
l’adolescenza autistical’adolescenza autistica
La maggioranza di adolescenti autistici non presenta modificazioni
più drammatiche degli altri coetanei; in alcuni casi addirittura
migliora (Kanner e al 1972; Rutter e Bartak 1973; Wing e Wing
1980; Mesibov 1983; Park 1983). Ma in almeno il 30 % si ha un
importante peggioramento (Kobayashi et al 1992, Ballaban-Gil
et al 1996, Wing 2000), talvolta con comparsa di nuovi sintomi
(Seltzer et al 2003)
I cambiamenti adolescenziali impattano in un apparato mentale e
in un sentimento del sé fragili e indifferenziati. Nel caso dei
ragazzi autistici è impossibile poi l’accesso ai “mediatori sociali”
del processo adolescenziale; ma le “forme sociali” stesse del
“divenire adulti” sono loro inaccessibili. Sopravviene spesso una
dolorosa percezione della propria diversità. Depressione.
149. L’adolescenza autistica:L’adolescenza autistica:
un processo difficileun processo difficile
Diminuisce contemporaneamente la tolleranza sociale e anche nei
casi non infrequenti in cui i bizzarria e comportamenti
problematici tendono a “spegnersi” o a diminuire per intensità
e/o frequenza, essi sono comunque meno tollerati socialmente.
Il passaggio è poi spesso particolarmente difficile per i famigliari:
accettare che i giochi evolutivi sono in larga misura fatti…e non
sono andati come fino all’ultimo si era sperato…. Inoltre…
..di fronte si apre un terribile vuoto, conoscitivo, simbolico, di
contesti, servizi e dispositivi di intervento, di progetti possibili..…
una vera terra di nessuno, della quale la diffusa “sparizione”
delle diagnosi dai servizi per adulti è solo un pallido indicatore…
Compare (o si aggrava) l’incubo del “dopo di noi”. E questo futuro
impossibile da immaginare genera o rinforza embricazioni e
dinamiche intra-famigliari sempre più patogene…Eppure…..
150. …eppure…
…è dimostrato che se adeguati servizi, contesti e interventi
sono mantenuti anche l’età giovane-adulta sono possibili
miglioramenti in diverse aree sintomatologiche e competenze:
nella comunicazione verbale e non verbale, nell’uso appropriato
degli oggetti, nella tolleranza ai cambiamenti, nella
partecipazione ad attività collettive (Mesibov, Schopler et al.
1989); nella reciprocità sociale e comunicativa (Orsi, Ucelli,
Barale, in press); in tutti i dominii della ADI-R (Seltzer 2003); in
tutte le aree della Vineland (Orsi, Ucelli, Barale, 2008 e 2012).
I dati testimoniano di miglioramenti possibili non solo nei
comportamenti ma nella qualità di vita complessiva, perfino in
aree che costituiscono il “nucleo duro” dell’autismo: le
difficoltà nella reciprocità sociale e comunicativa, ritenute
altamente stabili (Beadle-Brown et al, 2002; Billstedt 2007)
151. …… e i risultati nefasti dellae i risultati nefasti della
“terra di nessuno”“terra di nessuno”
A fronte di queste evidenze….la maggioranza degli studi
testimonia viceversa che in assenza di contesti ed interventi
adeguati, il giovane adulto e l’adulto con autismo va incontro ad
una perdita delle competenze acquisite, talvolta a un
aggravamento dei sintomi, alla comparsa di importanti co-
morbidità, ad un peggioramento della qualità complessiva della
vita (sua e dei caregivers) (Engstrom 2003; Howlin 2004;
Billstedt et al., 2005 e 2007; Mugno et al., 2007)
Questo deterioramento complessivo è tipico non solo delle
collocazioni istituzionali, ma anche delle ancor più frequenti
“istituzionalizzazioni a domicilio” (ovunque non esista
progettualità specifica verso l’età adulta e continuità abilitativa).
Dunque: non bastano buoni interventi infantili per modificare
l’evoluzione!!!
152. In sostanza….i dati a disposizioneIn sostanza….i dati a disposizione
dimostrano che:dimostrano che:
L’autismo è un’ area in cui l’adeguatezza di interventi e contesti fa,
a lungo andare, davvero radicalmente la differenza
La continuità è fondamentale. E’ un errore pensare che il destino
delle persone autistiche in età adulta possa cambiare con
interventi limitati all’infanzia.
“On the whole, it would appear that the huge increase in
educational facilities for children with autism over the past 3
decades has not resulted in a signifiant general improuvement
s in outcome for adults” (Howlin et al. 2004)
E’ un errore pensare che dopo l’età evolutiva non ci sia più niente
da fare.
Non si guarisce dall’ autismo, ma si può fare molto per la qualità di
vita complessiva delle persone con autismo.
153. Autismo inAutismo in età adulta.età adulta.
Cosa è necessario?Cosa è necessario?
Il pessimismo dell’intelligenzaIl pessimismo dell’intelligenza
Avevamo visto che persino la disabilità sociale può essere
mitigata. Va però ribadito che essa in genere permane anche
nelle condizioni migliori, a prescindere dalle performance
cognitive, dalle abilità acquisite e anche dagli interventi.
E’ una illusione ritenere che “tantissimo” intervento precoce eviti, in
età adulta, la disabilità sociale. Non è così, purtroppo.
In sostanza: molti persone autistiche potranno fare importanti
progressi, ma pochissimi diventeranno effettivamente autonomi.
Quasi tutte le persone con autismo avranno bisogno, da adulte,
per esprimere la propria umanità, di contesti facilitanti ed
organizzati, a diversi livelli di protezione, a seconda del “loro”
autismo.
154. Implicazioni abilitative.Implicazioni abilitative.
Il “common ground”.Il “common ground”.
L' integrazione e l’abilitazione delle persone
autistiche deve fare i conti con difficoltà
connesse non solo ai deficit cognitivi..ma
proprio a questo nucleo profondo
dell’autismo, la disabilità comunicativa e
sociale,la fragile costruzione di un “sé agente
ed interagente in un contesto”..(Klin 2006)
Qui sono i fondamenti stessi della socialità ad
essere in questione
155. Abilitazione e riabilitazione per leAbilitazione e riabilitazione per le
persone autistichepersone autistiche
L’autismo è una condizione limite per le normali
strategie della riabilitazione psicosociale.
La generica immissione nella socialità di per sé
non è affatto utile, spesso è dannosa.
L’inclusione va governata tecnicamente e della
socialità vanno in continuazione facilitate e
costruite le condizioni. Ciò vale per i soggetti
low functioning; ma anche per quelli high
functioning!
156. Abilitazione e riabilitazione per leAbilitazione e riabilitazione per le
persone autistichepersone autistiche
Ciò che è “naturalmente evidente” per le
persone non autistiche (che non hanno
problemi di decifrazione delle intenzioni,
di coerenza centrale, di ToM, di EF)
deve essere “reso evidente” per le
persone autistiche. E non è mai
“evidente una volta per tutte”.
157. Implicazioni abilitative.Implicazioni abilitative.
Interventi e contestiInterventi e contesti
Si tratta allora di progettare non solo
"tecniche" (dai risultati spesso instabili o non
generalizzabili o non “spendibili” in situazioni
ecologiche) ma "contesti" di vita che tengano
conto delle caratteristiche dell'autismo (con i
tipici problemi comunicativi,di ToM, di EF, di
coerenza centrale) in cui anche quelle
tecniche possano trovar migliore efficacia.
158. Outcome, interventi, contestiOutcome, interventi, contesti
Il tema dei “buoni contesti per l’autismo” meriterebbe una
trattazione estesa. Si tratta, in generale, di contesti organizzati
in modo da sostenere costanza, coerenza, prevedibilità,
comprensibilità e significatività; caratteristiche fragili nelle
persone con autismo, per le quali deve essere “reso evidente” e
prevedibile ciò che è “naturalmente” tale per le persone non
autistiche (che non hanno problemi di “modelli
anticipatori”dell’esperienza, di coerenza centrale, di ToM, di EF,
di decifrazione di intenzioni, di comunicazione ecc.).
Ovviamente, i problemi sono diversi per persone HF o LF. Il lavoro
di “mediazione culturale” (tra contesto e persona con autismo)
necessario a una buona inclusione dei soggetti HF in ambiti di
vita e lavoro “normali” è ben diverso da quella “creazione” di
aree di mondo adatte all’espressione della loro umanità che è
spesso necessaria per le persone LF
159. Dall’intervento sui soggettiDall’intervento sui soggetti
all’organizzazione dei contestiall’organizzazione dei contesti
Il problema richiede impegno su due versanti: il soggetto con
autismo, che va sostenuto nelle sue capacità, e il contesto, sul
quale è necessario lavorare perché anche esso si adatti al
particolare modo di funzionare di queste persone.
Sul primo versante (il soggetto con autismo)….
nei soggetti HF il lavoro è rivolto soprattutto a facilitare e
sostenere la comprensione delle regole implicite della socialità,
l’attenzione agli stati mentali altrui e alla struttura pragmatica,
interattiva e comunicativo-affettiva del linguaggio e della
interazione ….nonchè al sostegno verso le conseguenze talvolta
di importante infelicità per la discrepanza tra capacità cognitive e
sociali-adattative (Siegel 1996, Klin 2004), tra ciò che hanno
“imparato” (anche sugli “schemi sociali”) e ciò che riescono a
spendere in contesti non preparati …