Al lettore verrà presentato in prima istanza un quadro generale su quello che è l’e-learning, ovvero il mondo in continua evoluzione della formazione mediante la tecnologia. Siamo passati dalla fine degli anni ’80, in cui i materiali erano distribuiti su floppy disc e CD-ROM, ai giorni nostri in cui gli utenti vivono delle vere e proprie realtà virtuali rese possibili dai Serious Game, appren- dimento partecipato da un’esperienza in prima persona.
Una volta introdotto il concetto della formazione a distanza (FaD), sarà preso in esame il processo di standardizzazione. Ci interessava capire quali passaggi un “oggetto” dovesse affrontare prima di venir considerato Standard. In queste ricerche ci siamo accorti che per quanto riguarda proprio la FaD, non si può parlare di Standard, per- ché non ce ne sono! Come verrà spiegato nel capitolo relativo, esiste uno Standard per quasi tutto: che si parli di filettatura di viti, di codice per scrivere una pagina web o delle dimensioni di una sedia non im- porta, uno standard c’è.
La seconda guerra mondiale per licei e scuole medie
LEARNING OBJECT MODELLO DI RIFERIMENTO SCORM E AUTHORING APPLICATIONS
1. Università degli Studi di Firenze
FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE FISICHE E NATURALI
CORSO DI LAUREA IN INFORMATICA
LEARNING OBJECT
MODELLO DI RIFERIMENTO
SCORM
E
AUTHORING APPLICATIONS
RELATORE: CANDIDATO:
PROF.SSA M. CECILIA VERRI MICHELE SQUILLANTINI
ANNO ACCADEMICO 2008-2009
FIRENZE, LUGLIO 2009
2. INDICE
Indice i
Elenco delle figure v
Introduzione viii
1 e-Learning 1
1.1 L’evoluzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2
1.1.1 Verso sistemi di quarta generazione? . . . . . . . . . 5
1.1.2 La recente evoluzione architetturale dei sistemi
e-learning . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
1.2 Componenti di un sistema e-learning . . . . . . . . . . . . . 9
1.3 Dagli Slide-Show ai Serious Game . . . . . . . . . . . . . . 12
1.3.1 Cosa sono i serious interactive games . . . . . . . . 13
1.3.2 Come cambia il training multimediale in azienda . 14
2 Standard 17
2.1 Processo di creazione degli Standard . . . . . . . . . . . . . 20
2.2 Enti coinvolti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
i
3. Indice ii
2.2.1 ISO (International Organization for Standardization) 25
2.2.2 CEN (Comité Européen de Normalisation) . . . . . 26
2.2.3 IEEE (Institute of Electrical and Electronics Engi-
neers) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
2.2.4 ADL (Advanced Distributed Learning) . . . . . . . . 27
2.2.5 IMS (Instructional Management Systems Global
Learning Consortium) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28
2.2.6 ARIADNE (Alliance for Remote Instructional Au-
thoring and Distribution Networks for Europe) . . 29
2.2.7 AICC (Aviation Industry CBT Committee) . . . . . 29
2.3 Enti e SCORM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
3 Reference model SCORM 31
3.1 Componenti di un sistema per la Formazione a Distanza 32
3.1.1 I materiali didattici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
3.1.2 La piattaforma di formazione . . . . . . . . . . . . . 36
3.1.3 Le interazioni tra materiali didattici e piattaforma . 37
3.1.4 La struttura: il modello di aggregazione dei con-
tenuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40
3.2 Il packaging . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42
3.3 Il colloquio con la piattaforma . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
3.3.1 La visualizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45
3.3.2 L’interazione con l’LMS: i gradi di libertà, naviga-
zione e sequenziamento . . . . . . . . . . . . . . . . . 45
3.3.3 L’interazione con l’LMS: durante l’apprendimento . 46
3.4 Il bookshelf SCORM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48
9. INTRODUZIONE
Il tutto è maggiore della somma delle parti.
Aristotele
Metafisica
S
E questa tesi dovesse venir pubblicata su un portale, come TesiOn-
Line, avrebbe le seguenti parole chiave: E-LEARNING, STANDARD,
LEARNING OBJECT, TECNOLOGIE DIDATTICHE.
In fondo, queste parole, indicano anche i capitoli che compongono
l’elaborato, il cui intento è quello di far luce sul mondo dei Learning
Object, sugli Standard che li governano e analizzare alcuni applicativi
capaci di generare oggetti didattici. Quanto questi oggetti generati sia-
no conformi agli standard, sarà argomento di discussione dell’ultima
parte.
Andando per ordine, al lettore verrà presentato in prima istanza
un quadro generale su quello che è l’e-learning, ovvero il mondo in
continua evoluzione della formazione mediante la tecnologia. Siamo
passati dalla fine degli anni ’80, in cui i materiali erano distribuiti su
floppy disc e CD-ROM, ai giorni nostri in cui gli utenti vivono delle
viii
10. Introduzione ix
vere e proprie realtà virtuali rese possibili dai Serious Game, appren-
dimento partecipato da un’esperienza in prima persona.
Una volta introdotto il concetto della formazione a distanza (FaD),
sarà preso in esame il processo di standardizzazione. Ci interessava
capire quali passaggi un “oggetto” dovesse affrontare prima di venir
considerato Standard. In queste ricerche ci siamo accorti che per
quanto riguarda proprio la FaD, non si può parlare di Standard, per-
ché non ce ne sono! Come verrà spiegato nel capitolo relativo, esiste
uno Standard per quasi tutto: che si parli di filettatura di viti, di codice
per scrivere una pagina web o delle dimensioni di una sedia non im-
porta, uno standard c’è.
Possiamo sopperire a tale mancanza grazie ad un modello di ri-
ferimento chiamato SCORM dell’ente ADL (Advanced Distributed
Learning). L’Apprendimento Distribuito Avanzato nasce da un’iniziati-
va congiunta del Dipartimento della Difesa Statunitense e dell’Ufficio
per le Politiche Scientifiche e Tecnologiche della Casa Bianca. ADL,
più che a creare nuove specifiche, mira a integrare gli standard prodot-
ti dalle altre organizzazioni per dar vita ad un modello di riferimento,
per gli elementi condivisibili di software didattico (SCORM è l’acro-
nimo di Shareable Courseware/Content Object Reference Model). Il
modello comprende attualmente tre elementi principali: i Metadati,
l’ambiente di run time e la struttura del corso.
11. Introduzione x
Avendo chiaro il contesto (l’e-learning) e il modello da seguire (lo
SCORM), non ci resta che parlare di quei soggetti additati da alcuni
come il Futuro della formazione. Stiamo parlando dei LEARNING OB-
JECTS (LO).
Oggetti dalla difficile definizione, vengono trattati col punto interro-
gativo nel capitolo, proprio perché ad oggi non ci sono dichiarazioni
univoche accettate dalla comunità scientifica internazionale. Ecco quin-
di l’IEEE che li descrive come “Qualsiasi entità digitale o non digitale,
che può essere usata, riusata e alla quale fare riferimento durante l’ap-
prendimento supportato dalla tecnologia” [3] (praticamente, qualsiasi
cosa è contenuta in questa denominazione).
®
Secondo Macromedia un LO è “un’unità di contenuto completa dal
punto di vista didattico, centrata su un obiettivo di apprendimento e
che si propone di insegnare un concetto ben focalizzato.” [4].
Conclusa la trattazione degli oggetti di apprendimento dal punto di
vista teorico, siamo passati a vedere come sia possibile crearli median-
te due applicativi, EXE e LCDS. Entrambi chiamati “Authoring Applica-
tion” si differenziano per il tipo di licenza col quale sono rilasciati. Il
primo è un progetto Open Source dell’Università di Auckland, mentre
®
il secondo è un learning tool gratuito di casa Microsoft , distribuito
dietro licenza propria EULA. Al fine di giudicare i due tool in questione,
è stato creato, con ognuno, un Learning Object contenente gli argo-
menti di questa Tesi. La parte finale è formata proprio dalla valutazione
derivante da questo confronto.
12. CAPITOLO
1
E-LEARNING
Studiare senza riflettere è vano; riflettere
senza studiare è pericoloso.
Confucio
U
NA definizione condivisa nella comunità scientifica è quella propo-
sta dall’osservatorio ANEE (Associazione Nazionale dell’Editoria
Elettronica):
“L’e-learning è una metodologia d’insegnamento e apprendi-
mento che coinvolge sia il prodotto che il processo formativo.
Per prodotto formativo s’intende ogni tipologia di materiale o
contenuto messo a disposizione in formato digitale attraverso sup-
porti informatici o di rete.
Per processo formativo s’intende invece la gestione dell’intero iter
1
13. 1.1. L’evoluzione 2
didattico che coinvolge gli aspetti di erogazione, fruizione, intera-
zione, valutazione. In questa dimensione il vero valore aggiunto
dell’e-learning emerge nei servizi di assistenza e tutorship, nelle
modalità di interazione sincrona e asincrona, di condivisione e
collaborazione a livello di community. Peculiarità dell’e-learning
è l’alta flessibilità garantita al discente dalla reperibilità sempre e
ovunque dei contenuti formativi, che gli permettono l’autogestio-
ne e l’autodeterminazione del proprio apprendimento; resta tut-
tavia di primaria importanza la scansione del processo formativo,
secondo un’agenda che responsabilizzi formando e formatore al
fine del raggiungimento degli obiettivi didattici prefissati.”
Secondo l’Osservatorio ANEE si sta realizzando una vera e propria
rivoluzione che cambierà il nostro modo di apprendere e di lavorare.
[5]
1.1 L’evoluzione
La composizione dei sistemi formativi, fondati sulla tecnologia (detti
anche TBL, Technology Based Learning o TEL, Technology Enhan-
ced Learning), si è vista al centro di un’evoluzione incessante che oggi
è arrivata ad una fase in cui si tende a focalizzare l’attenzione su due
concetti molto importanti quali il RIUSO e l’EFFICIENZA nei processi di
gestione dei contenuti.
Ripercorrendo gli ultimi venti anni, ecco come si è evoluto nel tempo
il settore:
14. 1.1. L’evoluzione 3
1985 - 1995: SISTEMI DI PRIMA GENERAZIONE
Sono caratterizzati da un forte utilizzo di applicativi e componenti off-
line, genericamente identificati come CBT, Computer Based Training.
Contenuti didattici ed applicazioni software sono distribuite agli studen-
ti su supporti, quali floppy e CD-ROM, con esigenze e caratteristiche
di interoperabilità molto limitate.
1995 - 2000: SISTEMI DI SECONDA GENERAZIONE
L’avvento di Internet in questi anni, ha fatto sì che le soluzioni CBT
di prima generazione si spostassero rapidamente su piattaforme onli-
ne, e passassero quindi ad essere chiamate WBT, ovvero Web Based
Training. E’ facile capire come i contenuti diventino adesso più con-
divisibili, distribuiti e gestibili grazie alle tecnologie web. L’altra faccia
della medaglia è rappresentata dal fatto che tali sistemi risultino chiusi
dal punto di vista architetturale e che l’interoperabilità di dati e con-
tenuti sia particolarmente bassa. Tutto questo permette all’utente una
navigazione ipertestuale con scarsa personalizzazione dei vari percorsi
formativi.
FINE ANNI ’90 - OGGI: SISTEMI DI TERZA GENERAZIONE
I sistemi di questi anni seguono il generale andamento dell’intero set-
tore dell’Information and Communication Technology (ICT). La ten-
denza di cui stiamo parlando mira a progettare e realizzare sistemi
informativi complessi con un approccio modulare che sia basato su
componenti.
15. 1.1. L’evoluzione 4
La terza generazione dei sistemi e-learning ci propone degli ambienti
in cui l’interoperabilità, di contenuti e servizi, diventa la protagonista
tecnica per eccellenza. Quando tale “protagonista” è presente sulla
scena, si possono scegliere quei prodotti che ci danno una migliore ri-
sposta per la singola funzione (o contenuto) che si vuole incorporare,
andando così a valorizzare le specifiche caratteristiche. Successiva-
mente si potranno sostituire quelle parti che, magari nel tempo, non
verranno più utilizzate.
La recente evoluzione architetturale dei sistemi e-learning, inol-
tre, è avvenuta essenzialmente a seguito di tre fenomeni principali
(approfonditi di seguito nel paragrafo 1.1.2):
1. l’elevata produzione di learning object;
2. l’affermazione di tecnologie informatiche per lo scambio di dati
tra sistemi e per l’interoperabilità tra i servizi delle applicazioni
software sul web;
3. la definizione di specifiche e standard di interoperabilità per il
settore e-learning, riconosciuti e condivisi su scala internazionale.
Se ne deduce che non ha più senso associare un sistema e-learning con
una singola piattaforma omnicomprensiva. Un sistema del genere va
ormai pensato come la somma di più componenti (e sottocomponenti)
software interoperabili, ottimizzato per gestire in maniera razionale le
varie attività che un processo formativo (in e-learning) comporta [6].
16. 1.1. L’evoluzione 5
1.1.1 Verso sistemi di quarta generazione?
Il trend tecnologico dei sistemi e-learning, negli ultimi anni, appare
caratterizzato da:
• progressiva separazione tra la gestione dei contenuti e la gestione
dei corsi;
• integrazione con nuovi media e nuove tecnologie connesse al
web;
• potenziamento degli strumenti di apprendimento cooperativo/collaborativo
e di interazione tra docenti/tutor e allievi;
• integrazione di tecnologie e servizi per dispositivi mobili, il mobi-
le learning (per fare un esempio, vedremo nel capitolo 5 che
“eXe” fornisce la possibilità di esportare il corso creato sotto
®
forma di nota da poter caricare in un iPod ). [7]
Per quanto riguarda la prima tendenza, ovvero la maggiore separazio-
ne tra (sottosistemi per) la gestione dei contenuti e (sottosistemi per) la
gestione dei corsi, è possibile riscontrare una certa convinzione degli
operatori del settore circa il fatto che ormai sia opportuno prestare
più attenzione alla produzione di contenuti digitali di qualità e alla loro
appropriata gestione. Si moltiplicano le iniziative per la creazione di
repository di contenuti riutilizzabili, mentre alle piattaforme tecnologi-
che sono richieste una maggiore flessibilità e la possibilità di separare
l’erogazione dei corsi dalla gestione dei repository da cui sono attinti i
contenuti degli stessi corsi.
17. 1.1. L’evoluzione 6
Il secondo andamento è legato alle innumerevoli nuove tecnologie con-
nesse alla Rete che si stanno diffondendo sempre più rapidamente. Ne
fanno parte blog, wikies, podcast, istant messaging, feed RSS ecc. . .
L’utilizzo di tali tecnologie ha indirizzato l’evoluzione dell’e-learning
verso l’obiettivo di realizzare funzionalità integrative per le piattaforme
in grado di supportare particolari modalità e processi di apprendimen-
to in rete, spesso di tipo collaborativo (cooperative learning).
Ed è proprio il cooperative learning che fa da collegamento fra i due
diversi andamenti sopra citati. La terza tendenza è rivolta al potenzia-
mento e al raffinamento degli strumenti di cooperazione tra allievi e
di interazione con docenti e tutor. La maggior parte degli operatori
del settore è ormai convinta dell’importanza di non considerare l’e-
learning come semplice “distribuzione di materiale a distanza” o come
“strumenti di auto-formazione”: si avverte sempre più forte l’esigenza
di avvalersi di strumenti avanzati di tutoraggio e di lavoro coopera-
tivo (sincroni e asincroni), al fine di migliorare i servizi offerti agli
utenti, per poi recuperare il contatto sociale emulando circostanze e
dinamiche tipiche della formazione tradizionale.
Infine, l’ultima e più recente che si sta facendo avanti a gran voce, visto
il moltiplicarsi dei canali e delle modalità per l’accesso ai servizi della
Rete da parte degli utenti. Questi ultimi, infatti, possono ormai accede-
re a contenuti e servizi in rete in qualunque momento e in ogni luogo,
grazie a dispositivi portatili di elettronica di consumo (quali notebook,
smartphones, tv-fonini, lettori portatili, ecc. . . ) e alle Reti wireless (qua-
li Wi-Fi, UMTS, ecc.) che contribuiscono a creare opportunità di ap-
18. 1.1. L’evoluzione 7
Figura 1.1: Gli strumenti del web 2.0
prendimento per utenti mobili, dando luogo al paradigma del mobile
learning o m-learning. L’apertura dei sistemi di e-learning verso tali
tecnologie punta a supportare l’apprendimento senza limiti di spazio e
tempo. [6]
1.1.2 La recente evoluzione architetturale dei sistemi
e-learning
Come accennato nel paragrafo precedente, la recente evoluzione ar-
chitetturale dei sistemi e-learning è avvenuta in conseguenza all’ele-
vata produzione di learning object; all’affermazione di tecnologie per
lo scambio di dati tra sistemi e per l’interoperabilità tra i servizi delle
applicazioni software sul web; alla definizione di specifiche e standard
di interoperabilità riconosciuti e condivisi su scala internazionale. [8]
19. 1.1. L’evoluzione 8
Di seguito si introducono i tre fenomeni citati.
I LEARNING OBJECT
Traducendo letteralmente, un learning object è un oggetto (un con-
tenuto) didattico autoconsistente. Con quest’ultima parola indichiamo
un documento digitale, o un insieme di documenti, su uno specifico
argomento il cui contenuto formativo costituisce un modulo di appren-
dimento significativo dal punto di vista didattico.
A tali oggetti verrà dedicato ampio spazio nel capitolo 4.
TECNOLOGIE PER LO SCAMBIO DI DATI TRA SISTEMI E PER L’INTERO-
PERABILITÀ TRA I SERVIZI DELLE APPLICAZIONI SOFTWARE SUL WEB
Due tecnologie di rilievo nell’evoluzione dei sistemi e-learning (come
per altre applicazioni web) sono l’XML e i Web Services. Esse sempli-
ficano lo scambio di dati tra sistemi diversi fra loro e l’interoperabilità
tra i servizi offerti dalle applicazioni software basate sul web. In parti-
colare, l’XML (acronimo di eXtensible Markup Language) è un meta-
linguaggio di markup, ovvero un linguaggio marcatore che definisce
un meccanismo sintattico che consente di estendere o controllare il
significato di altri linguaggi marcatori [9]. La tecnologia dei Web Ser-
vices, invece, permette di aprire i servizi e-learning alle interazioni
dinamiche con altri sistemi. Queste due tecnologie, insieme, consen-
tono un’elevata riutilizzabilità dei dati, dei contenuti e delle componenti
di servizio dei sistemi di e-learning.
20. 1.2. Componenti di un sistema e-learning 9
SPECIFICHE E STANDARD DI INTEROPERABILITÀ PER IL SETTORE E-
LEARNING, RICONOSCIUTI SU SCALA INTERNAZIONALE
Gli anni ’90 hanno visto la comparsa di gruppi (denominati specifi-
cation bodies) impegnati nella definizione di specifiche condivisibili
(su scala internazionale) di interoperabilità per il settore e-learning tra
produttori di sistemi e contenuti. Sulla base dell’attività svolta da ta-
li organismi, gli enti di standardizzazione lavorano con l’obiettivo di
redigere le informazioni di dettaglio sugli standard che i fornitori di
soluzioni tecnologiche, servizi e contenuti dovrebbero proporre nelle
loro offerte. La tendenza fino ai primi anni 2000 è stata quella di co-
struire specifiche e poi standard per ognuna delle componenti e dei
servizi presenti in un sistema di e-learning. Oggi il processo di stan-
dardizzazione lo possiamo vedere come incentrato nel riunire i diversi
standard in materia, all’interno di modelli di riferimento. (si veda in
proposito il capitolo 2, relativo proprio agli Standard).
1.2 Componenti di un sistema e-learning
I componenti di un sistema di e-learning possono essere descritti, in
modo semplificato, come sotto-moduli che collaborano fra di loro:
LEARNING CONTENT MANAGEMENT SYSTEM (LCMS)
E’ il modulo dedicato al processo di creazione, gestione e archiviazione
dei contenuti didattici. Ne consente “l’assemblaggio” e la condivisione
tramite archivi digitali (Digital Repository). Eventualmente integra si-
21. 1.2. Componenti di un sistema e-learning 10
stemi di authoring per la produzione dei LO e per il loro aggiorna-
mento.
LEARNING MANAGEMENT SYSTEM (LMS)
E’ il modulo dedicato all’erogazione dei corsi e al tracciamento delle
attività di formazione, nonché alla gestione delle attività amministrati-
ve (come ad esempio l’iscrizione degli studenti, la gestione delle classi,
ecc.). Tale modulo può integrare sistemi di testing.
CLASSE VIRTUALE (VIRTUAL CLASSROOM – VC)
E’ il modulo che consente l’organizzazione di eventi dal vivo nei qua-
li, ad esempio, il docente comunica in tempo reale in video, in audio
e scambiando dati con i discenti collegati al sistema. Il modulo con-
sente anche la registrazione degli eventi e delle interazioni, al fine di
riproporla in modalità asincrona. Integra strumenti per porre in co-
municazione e cooperazione sia allievi e docenti che allievi tra loro.
Possono essere di tipo sincrono (lavagna virtuale, condivisione di ap-
plicazioni e documenti, chat, ecc.) e asincrono (email, forum, faq, ecc.).
SISTEMA DI GESTIONE DELLE COMPETENZE
E’ il modulo che supporta la rilevazione delle competenze, l’identifica-
zione dei fabbisogni formativi e la proposta dei relativi percorsi didattici
(può essere incluso nei sistemi LCMS o LMS sopra elencati).
22. 1.2. Componenti di un sistema e-learning 11
SISTEMA AUTORE
E’ l’insieme dei moduli per la produzione dei contenuti nei formati di-
gitali adeguati per l’erogazione telematica.
SISTEMA DI GESTIONE DEI DIRITTI DIGITALI (DIGITAL RIGHTS MANA-
GEMENT SYSTEMS – DRMS)
E’ il sistema che ha l’obiettivo di impedire la copia e la diffusione non
autorizzata di materiale in formato digitale.
[6]
Questi componenti possono essere presenti in parte, o completamen-
te, nel sistema di e-learning sulla base delle necessità di progetto. La
struttura scomponibile e l’esistenza di standard di interoperabilità am-
piamente condivisi consente la costruzione di un sistema completo
anche utilizzando componenti provenienti da diversi produttori. In
effetti, dal punto di vista tecnologico, negli ultimi anni, molte organiz-
zazioni hanno visto evolversi le installazioni in piattaforme software di
terza generazione. Intorno ad un nucleo asincrono, capace di erogare
contenuti e di supportare i processi di iscrizione e registrazione degli
utenti, autenticazione e tracciamento delle attività (LMS), sono presenti
ormai anche:
• sottosistemi VC in grado di offrire all’allievo l’interfaccia di una
classe virtuale, supportando processi quali l’apprendimento col-
laborativo e il tutoraggio;
• sottosistemi autore, in grado di offrire funzionalità avanzate per
la produzione dei contenuti nei formati digitali desiderati;
23. 1.3. Dagli Slide-Show ai Serious Game 12
• sottosistemi LCMS, in grado di supportare i processi di archivia-
zione, catalogazione e gestione dei contenuti;
• sottosistemi di interfaccia verso i sistemi di gestione delle risorse
umane (Human Resources Management Systems, HRMS), di par-
ticolare rilievo nelle applicazioni industriali dell’e-learning, cioè
in contesti di tipo aziendale, ove particolare attenzione è prestata
alla gestione informatizzata delle competenze (skill) del persona-
le specializzato e alla corrispondenza fra tali competenze e gli
obiettivi formativi dei materiali didattici.
I più moderni sistemi di e-learning sono, dunque, piattaforme ormai
complesse, sviluppate in diversi componenti, in grado di supportare sia
i processi di creazione e gestione dei contenuti, che quelli di erogazione
attraverso la gestione di classi. Le installazioni più rilevanti e avanzate
prevedono anche l’uso di un sottosistema DRM, sebbene la gestione
dei diritti di proprietà, relativi ai contenuti, sia una problematica in
gran parte ancora aperta.
1.3 Dagli Slide-Show ai Serious Game
I primi oggetti didattici realizzati con la tecnologia HTML non erano
diversi dalle pagine di un libro: poche e semplici immagini, nessuna
navigazione, assimilazione passiva dei contenuti.
La seconda generazione di LO è costituita da slide multimediali ricche
di immagini, in qualche caso contenenti video e audio. Permettono la
navigazione all’interno del testo, ma la motivazione del fruitore rimane
24. 1.3. Dagli Slide-Show ai Serious Game 13
bassa.
L’ultima frontiera del training multimediale è costituita dai serious ga-
mes, giochi didattici multimediali con altissima attività dell’ambiente di
apprendimento; oltre a sviluppare competenze e conoscenze tecniche,
influiscono sulla sfera comportamentale.
1.3.1 Cosa sono i serious interactive games
I serious interactive games sono simulazioni virtuali interattive che
grazie alla modalità accattivante di un gioco introducono finalità serie,
come educazione, formazione, business, marketing, o comunicazione.
I primi giochi didattici sono stati creati negli Stati Uniti, nell’ambito del-
le simulazioni militari negli anni ’80, anche se l’idea di utilizzare il gioco
per scopi diversi da quelli ludici è molto più antica. I serious games
riproducono situazioni reali nelle quali occorre raggiungere obiettivi
specifici impiegando conoscenze, attuando strategie e sperimentando
dinamiche relazionali in un ambiente protetto.
Esistono diversi generi di giochi didattici: advergaming (settore del
marketing), edutainment (educazione & divertimento), simulazioni,
giochi persuasivi ed altro. Il loro grande successo è dovuto all’appli-
cazione di tecnologie molto sofisticate, mantenendo bassi i costi della
fruizione e alla desiderabilità sociale del gioco come strumento educa-
tivo.
25. 1.3. Dagli Slide-Show ai Serious Game 14
Figura 1.2: Evoluzione degli oggetti didattici in contesti aziendali
1.3.2 Come cambia il training multimediale in
azienda
I primi software di authoring per la creazione di oggetti didattici han-
no permesso di realizzare oggetti didattici paragonabili a Slide Show,
così come contenuti multimediali in cui la dimensione cognitiva fosse
supportata da un’armonizzazione degli elementi grafici e contenutisti-
ci.
In questi ultimi anni, si è assistito ad un passaggio da uno stadio ini-
ziale in cui la tecnologia era sfruttata per un puro trasferimento delle
informazioni e contenuti, riducendo in molti casi l’oggetto didattico ad
una mera trasposizione digitale di materiale didattico cartaceo, ad una
concezione di apprendimento incentrata su un’esperienza virtuale.
I serious game riproducono ambienti simulati e scenari realistici per-
mettendo di esercitarsi in situazioni troppo rischiose, costose o sempli-
cemente impossibili da sperimentare nel mondo reale ripetendo l’in-
26. 1.3. Dagli Slide-Show ai Serious Game 15
terazione quante volte si vuole anche con variabili ambientali diverse.
Inoltre offrono una scelta di strategie e approcci, che possono essere
facilmente corretti.
L’esperienza virtuale garantisce una comprensione profonda di scena-
ri, concetti, processi e ambienti aumentando notevolmente la capacità
di assimilazione. Conoscenze e competenze sviluppate si trasformano
in un vissuto profondo, che può essere applicato immediatamente sul
posto di lavoro.
I serious interactive games sono in grado di mantenere alta la motiva-
zione e la concentrazione dei fruitori. Buona parte della formazione
aziendale è imposta e genera rifiuto, i giochi didattici invece, grazie al
coinvolgimento cognitivo ed emotivo, catturano l’attenzione. Il fattore
determinante non è una veste grafica sofisticata, ma una riproduzione
realistica dei problemi.
Uno dei maggiori problemi dell’e-learning è l’alto tasso di abbandono;
i rimedi più frequentemente adottati sono il blended learning (l’alter-
nanza tra aula fisica e virtuale) e l’introduzione di spazi virtuali di inte-
razione, che riproducono in maniera flessibile l’interazione di gruppo.
Nel caso dei serious games il tasso di completamento dei corsi rag-
giunge anche il 90%, con alti gradi di soddisfazione e ottimi risultati
per quanto riguarda la ritenzione dei contenuti e la capacità di appli-
care le conoscenze nelle situazioni reali.
I limiti tecnologici nell’applicazione dei serious interactive games sono
27. 1.3. Dagli Slide-Show ai Serious Game 16
relativi in particolare al “peso” dell’oggetto didattico. Dovendo simula-
re ambienti complessi con molti movimenti dei personaggi e dei locali
in cui è ambientato, si rischia di creare oggetti pesanti diversi MB con
i classici problemi di intasamento della rete e di lentezza della frui-
zione con connessioni lente. Una “parcellizzazione” delle componenti
multimediali con il caricamento solo degli elementi utilizzati e un cor-
retto “buffering” del contenuto riduce sensibilmente il problema. Pur
essendosi ridotti sensibilmente, i tempi di produzione di simulazioni
multimediali rimangono più lunghi rispetto allo sviluppo di LO Multi-
mediali realizzati con strumenti di rapid learning. Il vantaggio nei LO
di nuova generazione sta nell’efficacia didattica e nella riutilizzabilità di
alcuni elementi quali avatar, ambienti ecc. . . [10]
28. CAPITOLO
2
STANDARD
Per definire un nuovo standard, non serve
qualcosa che sia soltanto un po’ diverso;
serve qualcosa che sia davvero innovativo e
che catturi l’immaginazione della gente. E il
Macintosh, tra tutte le macchine che abbia
mai visto, è l’unica che raggiunge questo
obiettivo.
Bill Gates
Conferenza Macintosh, 1984
L
A parola “standard” è utilizzata oggi in modo molto estensivo, ri-
spetto alle definizioni ufficiali. Sotto questo termine sono spesso
rappresentati semplici linee-guida, specifiche, raccomandazioni, certi-
17
29. Standard 18
ficazioni emesse da enti pubblici, consorzi, gruppi di lavoro o anche
aziende private. Un importante criterio di classificazione degli stan-
dard vede infatti la distinzione tra:
STANDARD “DE JURE”
Ovvero “di diritto” o anche “norme formali” o semplicemente “nor-
me”. Tale dicitura viene usata per indicare quegli standard emessi
dagli organismi autorizzati. Essi godono dell’approvazione dei gover-
ni nazionali e sono adottati universalmente. Durante la nostra vita
quotidiana non ci rendiamo praticamente conto della loro esistenza da
quanto operano a “basso livello”. Come dicevamo nell’introduzione, gli
esempi sono infiniti: dai sistemi di misura, alla marcatura dei prodotti
con codici a barre, alle dimensioni delle viti o dei materiali da costru-
zione. In senso stretto, soltanto questo tipo di specifiche potrebbero
essere chiamate “standard”.
C’è anche da dire che essendo norme non prescrittive, in alcuni casi
alcuni vengono ignorati dalle dure leggi di mercato che fanno propen-
dere verso altre soluzioni più semplici ed economiche.
Un esempio è dato dal sistema OSI (Open System Interconnection)
dell’ISO (International Organization for Standardization) per il colle-
gamento in rete di più computer: uno standard che esiste da decenni
ma che non è stato utilizzato a causa del TCP/IP, un protocollo che
potremmo definire come una delle pietra fondanti di Internet, senza
che questo sia un vero standard di diritto.
[11]
30. Standard 19
STANDARD “DE FACTO”
Di “fatto”, o anche “standard di mercato”. Sono standard che emergono
“spontaneamente” anche se dietro questa naturalezza vi è il mercato
con le sue leggi a dettare l’andamento delle cose. Come dicevamo
poco fa, spesso gli standard sono frutto della “lotta sul mercato” do-
ve solitamente vince chi ha una forza di diffusione maggiore, chi è
più potente. La realtà del mercato ci mostra anche come a volte non
siano i prodotti migliori tecnicamente a vincere la battaglia: il sistema
VHS per le videocassette si è imposto nonostante il suo rivale Betamax
®
fosse superiore; la stessa cosa è accaduta per i sistemi Microsoft ,
®
in origine (e non solo) tecnicamente inferiori ad Apple ma enorme-
mente più diffusi.
Tra gli standard di fatto si possono distinguere due categorie:
1. STANDARD PROPRIETARI.
Con questo aggettivo si indicano quelle specifiche che sono state
definite da un singolo fornitore, ad uso sostanzialmente interno,
senza alcuna ricerca di consenso. In alcuni casi esse sono state
anche brevettate e perciò possono essere usate solo su licenza del
legittimo proprietario; la loro diffusione è quindi rigorosamente
controllata. Ad esse mancano tutte le caratteristiche fondamentali
delle norme, in particolare quella di essere pubbliche e definite
in modo democratico e, ovviamente, ad esse non ci si potrebbe
riferire con i termini “norme” o “standard”. Tuttavia, soprattutto
nel settore informatico, alcuni di questi standard proprietari sono
estremamente diffusi, basti pensare al formato di file PDF.
31. 2.1. Processo di creazione degli Standard 20
2. STANDARD APERTI (OPEN).
Sono all’opposto degli standard proprietari. Al contrario di questi,
sono creati in modo autonomo da gruppi di persone interessate
a creare specifiche di riferimento svincolate dai produttori, non
coperte da brevetti ma disponibili liberamente e gratuitamente.
Un esempio di questo tipo di norme è costituito dal consorzio
W3C che si occupa degli standard per il World Wide Web. Ampio
risalto al concetto di “open”, verrà dato più avanti nel paragrafo
5.1.
[11]
2.1 Processo di creazione degli Standard
Per riassumere quanto schematizzato in precedenza sui vari tipi di
standard si può dire che in generale le norme ISO indicano il livello
più alto della standardizzazione internazionale in qualsiasi campo. Esi-
stono norme per i filetti delle viti, per la larghezza delle prese della
corrente, per quella dei binari dei treni; ma ad oggi non esiste una
norma ISO per la formazione a distanza; esistono invece alcune linee
guida che hanno una più o meno vasta applicazione. Prima di ana-
lizzare nel dettaglio quali siano è bene ricordare la modalità con cui
queste norme vengono emanate.
Gli standard vengono creati per essere utilizzati: si parte dalla neces-
sità di una standardizzazione per arrivare alla norma di riferimento.
Si possono distinguere quattro fasi nella costruzione degli standard:
32. 2.1. Processo di creazione degli Standard 21
1. I primi passi vengono mossi in funzione dei bisogni degli utenti e
degli studi condotti dai settori di ricerca e sviluppo di riferimen-
to: ognuno crea i propri “standard” proprietari, semplici norme
che consentono di unificare le procedure all’interno di un ambito
ristretto.
2. La necessità di condividere con altre realtà le stesse procedure
(per consentire l’interoperabilità dei prodotti) fa sì che si creino
consorzi o gruppi di aziende, su base privata o pubblica, che ela-
borino alcune “norme comuni” che solitamente riguardano parti
specifiche del sistema da normare; tra le iniziative prese a que-
sto livello possiamo ricordare ARIADNE, IMS e AICC (enti o
associazioni i cui scopi saranno esposti in seguito).
3. Le indicazioni degli enti sopra citati, specifiche per alcuni aspetti
del processo, vengono armonizzate e raccolte ad un livello su-
periore in una cornice unica. E’ il caso di Advanced Distribu-
ted Learning, iniziativa promossa dal Ministero della Difesa sta-
tunitense, che ha raccolto in un context framework le norme
presenti per dare un aspetto normativo globale sul processo di
formazione a distanza, raccogliendo gli standard proposti nell’i-
niziativa SCORM (Sharable Content Object Reusable Module),
che risulta oggi la più seguita iniziativa globale di normazione
sulla formazione a distanza come vedremo nel relativo capitolo
3.
4. A questo punto le norme vengono proposte agli enti ufficiali
33. 2.1. Processo di creazione degli Standard 22
Figura 2.1: Il processo di costruzione degli Standard
(IEEE,CEN) fino a diventare norme accolte da ISO.
Il processo descritto è stato semplificato in figura 2.1; in realtà i
rapporti tra i vari soggetti non sono nettamente separati da un pun-
to all’altro, esistono collaborazioni a molti livelli. Oggi non esiste una
norma ISO di riferimento per la formazione a distanza (FAD o FaD),
quindi l’iter normativo non si è ancora concluso; tuttavia l’ampia ado-
zione delle specifiche individuate da SCORM pone queste indicazioni
come standard de facto (o industry standard) per la maggior parte dei
sistemi di formazione a distanza.
Occorre ricordare che solo le norme indicate da enti certificatori uf-
ficiali (ISO, CEN, DIN) sono standard de jure; il processo che porta a
34. 2.1. Processo di creazione degli Standard 23
Figura 2.2: Attori e dipendenze nel mondo e-learning degli Standard
questi standard è spesso lungo a causa degli indispensabili passaggi a
cui è soggetta la norma.
Nella figura 2.2 viene rappresentato l’insieme degli enti che in qual-
che modo hanno concorso alla definizione degli standard sulla forma-
zione a distanza. Diamo prima uno sguardo d’insieme; tutto lo schema
tende, attraverso la freccia diagonale, verso ISO, standard non ancora
raggiunto.
Volendo cercare un punto d’inizio lo si può individuare nel Dublin Co-
re, primo metodo di definizione dei materiali editoriali di qualsiasi tipo.
Pochi anni dopo l’introduzione del world wide web (1994) il numero di
pagine presenti (circa 500mila) sembra enorme, viene quindi promos-
35. 2.1. Processo di creazione degli Standard 24
so, a Dublin in Ohio un sistema di metadati nel tentativo di dare una
catalogazione semantica alle pagine web, le specifiche definite verran-
no chiamate Dublin Core (DCMI, Dublin Core Metadata Initiative). Il
sistema prevede di indicizzare risorse ovunque localizzate nella rete,
identificando come risorsa “qualsiasi cosa che abbia un’identità”, senza
alcun tipo di restrizione, non prevede l’applicazione alle sole risorse
web, ma può indicizzare qualsiasi tipo di oggetto. [12].
Sopra la freccia (ancora in 2.2 sono posti gli enti nordamericani, men-
tre sotto la freccia quelli europei. Ciascun gruppo ha contribuito alla
realizzazione del reference model secondo le proprie caratteristiche.
In particolare, tutto ciò che è a base nordamericana è caratterizzato
da un approccio fortemente concreto, funzionale, orientato al massi-
mo dell’efficienza; ciò che è di origine europea è più orientato alla
definizione precisa e formale, alla rigorosa definizione dell’oggetto, al
significato esatto. L’unione degli sforzi dell’una e dell’altra parte ha
portato ad un modello complesso che coniuga i punti di forza di en-
trambe le tipologie di attori.
Segue una descrizione degli enti che si occupano di standardizzazione
dei materiali didattici. Si inizia con gli enti più grandi, di cui posso-
no essere membri solo le nazioni, per giungere a quelli che agisco-
no su scala meno ampia, di cui tipicamente fanno parte produttori di
piattaforme e materiali didattici.
36. 2.2. Enti coinvolti 25
2.2 Enti coinvolti
2.2.1 ISO (International Organization for
Standardization)
La ricerca di standard da parte dell’ISO è finaliz-
zata a promuovere il commercio e lo scambio di
beni prodotti.
Membri dell’ISO sono le nazioni attraverso i loro comitati normatori.
Lavorano alle norme i technical commitee, ad ognuno dei quali posso-
no o meno partecipare le diverse nazioni. Non è obbligatorio aderire
alle norme ISO; tuttavia gli Stati possono legiferare in modo da rende-
re obbligatorie queste norme. Il 10 novembre del 1999 è stato creato
un joint committee ISO/IEC che nel sottocomitato 36 si occupa delle
norme per i learning standard. Fanno parte di questo sottocomitato
Australia (SAI), Canada (SCC), Cecoslovacchia (CSNI), Corea (KATS)
, Norvegia (NSF), Svizzera (SNV), Ucraina (DSSU); il segretariato è af-
fidato agli USA.
All’ISO possono partecipare nazioni (oggi 161), non aziende o singole
persone.
ISO accoglie le proposte dai comitati IEEE e CEN [13].
37. 2.2. Enti coinvolti 26
Figura 2.3: Struttura CEN
2.2.2 CEN (Comité Européen de Normalisation)
CEN è il comitato normatore europeo legato
ad ISO dal protocollo di Vienna. La sezione
che si occupa di standard didattici è CEN/ISSS
(Information Society Standardization System).
Fanno parte del CEN i comitati formatori delle singole nazioni; il CEN
emana gli European Standard (EN) e i documenti di armonizzazione;
i primi sono le norme per gli stati membri della comunità europea, i
secondi semplici raccomandazioni.
CEN/ISSS è costituito da technical commitee e da workshop. [14].
38. 2.2. Enti coinvolti 27
2.2.3 IEEE (Institute of Electrical and Electronics
Engineers)
Questo ente, con sede negli Stati Uniti, è costituito
da Technical Societies/Councils e da Standards
Committees & Working Groups.
Tra questi ultimi, si occupa di e-learning il Learning Technology Stan-
dards Committee (LTSC).
Per quanto si dirà in seguito, ha grande importanza il lavoro fatto
dall’IEEE sui Learning Object Metadata (LOM). Quest’impegno è alla
base dei sistemi di descrizione dei materiali didattici; la versione 1.3 di
SCORM incorpora un modello di dialogo (runtime) con la piattaforma
scritto da IEEE. [15]
2.2.4 ADL (Advanced Distributed Learning)
ADLnet è un progetto del Ministero della Difesa
degli Stati Uniti e dell’Ufficio Scientifico della
Casa Bianca. Una delle sue attività è la cura e
l’emanazione del reference model SCORM.
Lo scopo primario di ADLnet è promuovere l’uso delle tecnologie di-
dattiche in modo che le industrie possano creare prodotti interscam-
biabili e commercializzabili. Collabora con IMS e AICC ed è promo-
tore del modello di riferimento SCORM che propone un insieme di
standard prodotti da terze parti e tra loro correlati. [16]
39. 2.2. Enti coinvolti 28
Figura 2.4: Obiettivi di ADL
2.2.5 IMS (Instructional Management Systems
Global Learning Consortium)
Anch’esso nord americano, è un experts group
che nasce da Educause, associazione no profit di
scuole e università “promoting the intelligent use
of information technology”.
®
E’ costituito dalle grandi case di sviluppo software, quali Microsoft ,
® ® ®
Autodesk , Cisco , Sun , ecc. . . e collabora con: ADL, IEEE, DC,
AICC, ARIADNE, CEN, W3C.
Ha tra i propri obiettivi rendere interoperabili le tecnologie per la
formazione e supportare l’adozione delle specifiche IMS in prodotti e
servizi. [17].
40. 2.3. Enti e SCORM 29
2.2.6 ARIADNE (Alliance for Remote Instructional
Authoring and Distribution Networks for
Europe)
E’ un progetto finanziato dall’Unione Europea;
è stato attivo negli anni 1996-2000. Insieme a
IMS ha prodotto le specifiche LOM presentate e
approvate da IEEE. [18].
2.2.7 AICC (Aviation Industry CBT Committee)
E’ un gruppo internazionale di industrie aero-
nautiche che fin dal 1993 ha prodotto standard
sulla modalità di realizzazione dei courseware.
Oggi dà un importante contributo nel modello SCORM soprattutto
per quanto riguarda il run-time, cioè lo scambio di dati tra materiale
didattico e piattaforma nel momento in cui avviene la fruizione. E’ da
segnalare come la prima delle istituzioni che ha tentato di “regolare”
il funzionamento dell’e-learning. [19].
2.3 Enti e SCORM
ADLnet raccoglie e organizza il modello di riferimento SCORM, che a
sua volta scompone il processo di formazione in diverse parti, ognuna
delle quali viene fatta oggetto di specifiche normative prelevate da enti
o consorzi quali IMS, IEEE, AICC che sono i veri emanatori delle nor-
41. 2.3. Enti e SCORM 30
me di riferimento. Quando SCORM recepisce le norme, le contestua-
lizza indicandone limiti e caratteristiche di applicazione. Per esempio:
IEEE è l’organo che ufficialmente emana il Learning Object Metadata
(LOM v 1.0) che è il riferimento per quanto riguarda i metadati. Nelle
specifiche IEEE il modello può essere applicato per qualsiasi tipo di
oggetto e nessuno dei campi da compilare è obbligatorio. Per quanto
riguarda ADLnet con SCORM, l’applicazione delle norme è relativa ad
oggetti digitali, e a seconda del tipo vengono indicati i campi ritenuti
obbligatori.
42. CAPITOLO
3
REFERENCE MODEL SCORM
Abbiamo visto che la programmazione è
un’arte, perché richiede conoscenza,
applicazione, abilità e ingegno, ma soprattutto
per la bellezza degli oggetti che produce.
Donald E. Knuth
S
CORM non è uno standard: è un reference model. Questo signi-
fica che non emana specifiche normative, ma individua per ogni
aspetto tecnico della formazione a distanza quali norme, erogate dai
diversi enti, devono essere prese in considerazione.
Ciò consente alcune prime considerazioni: l’adozione di questo model-
lo non va ad incidere sulla qualità didattica della formazione a distanza,
ma sulla modalità tecnica della sua erogazione. In questo capitolo sta-
31
43. 3.1. Componenti di un sistema per la Formazione a Distanza 32
biliremo a quali sezioni del reference model debbano conformarsi i
componenti di un sistema di formazione a distanza.
Per far questo la spiegazione deve procedere attraverso i seguenti
passi:
• Definire ed isolare i diversi componenti di un sistema di FaD.
• Abbinare ad ogni parte il riferimento SCORM relativo.
• Evidenziare la regola (e l’ente che la emana) nell’ambito del re-
ference model di SCORM.
Il semplice definire “standard” un sistema di FaD non è sufficiente
per conoscerne il comportamento e l’applicabilità a diversi materiali
o contesti formativi; sapere che un sistema è definito standard secondo
SCORM1.3 - LMS–RTE2 - SCO–RTE1 - MD-XML1+Extensions - ADLCP-
PIF1
potrebbe avere poco senso se non vengono indagati e capiti i significati
delle sigle.
3.1 Componenti di un sistema per la
Formazione a Distanza
Aderire a SCORM vuol dire aderire ad un reference model, ovvero
ad un insieme di norme che globalmente definiscono l’intero processo
formativo in rete. Per poter capire dove applicare le norme, è neces-
sario fare un’analisi del funzionamento del sistema tecnologico; solo
44. 3.1. Componenti di un sistema per la Formazione a Distanza 33
in questo modo è possibile evidenziare i punti sui quali è possibile de-
finire una normativa. Un sistema di formazione a distanza viene retto
da quattro “pilastri” fondamentali:
1. i materiali didattici o courseware
2. la piattaforma tecnologica di erogazione dei corsi
3. le risorse umane che a vario livello contribuiscono al funziona-
mento del sistema
4. il sistema organizzativo che permette agli utenti la fruizione dei
corsi.
Gli standard qui in discussione riguardano i primi due punti, cioè si
riferiscono alla parte tecnologico/implementativa del processo; i punti
3 e 4, che sono sicuramente i punti chiave per l’ottimale funzionamento
del processo formativo, non rientrano in questa trattazione perché non
interessate dagli standard.
3.1.1 I materiali didattici
Il modello SCORM non risolve tutti i problemi relativi alla massima
interoperabilità nell’e-learning, ma si propone come un processo ca-
pace di migliorare in maniera progressiva la situazione attuale verso
l’obiettivo prefissato, ovvero diventare standard ufficiale.
I materiali didattici secondo SCORM devono rispettare quattro requi-
siti fondamentali:
45. 3.1. Componenti di un sistema per la Formazione a Distanza 34
1. Riusabilità: I contenuti devono essere indipendenti per poter es-
sere riusati al fine di soddisfare diversi allievi e contesti didattici.
2. Interoperabilità: I contenuti devono poter funzionare in diversi
ambienti tecnologici, sia hardware che software. In particolare si
rende quanto mai necessario averli indipendenti dalla piattaforma
LMS erogante.
3. Durevolezza: I materiali devono durare nel tempo, devono cioè
essere compatibili, senza modifiche, con le successive versioni
dei sistemi software nonché delle piattaforme su cui si trovano.
4. Accessibilità: Quando un contenuto si rende necessario, questo
deve essere facilmente identificabile e localizzabile.
Le informazioni che si vogliono trasmettere agli utenti sono contenute,
in diversi formati, in quei materiali didattici o courseware costituiti da
documenti, come ad esempio testi, tracce audio e video. Si possono
considerare come il “libro” intorno al quale ruota la formazione a di-
stanza. In essi sono presenti le nozioni da apprendere.
Possono presentarsi in varia forma, ma in ogni caso sono all’interno di
un “contenitore” HTML, ovvero assumono le sembianze di una pagina
web o di più pagine tra loro collegate.
All’interno di queste pagine web sono presenti i testi, le immagini, i
video che costituiscono la materia della formazione, “annegati” dentro
le pagine ci sono i comandi che consentono l’interazione SCORM con
la piattaforma.
Ad esempio, nel caso di materiali animati sviluppati con Macromedia
46. 3.1. Componenti di un sistema per la Formazione a Distanza 35
Flash, all’interno del contenitore HTML è presente un file SWF (quello
generato da Flash) che contiene il materiale didattico e le eventuali
chiamate verso la piattaforma.
Utilizzando lo stesso procedimento qualsiasi materiale didattico può di-
ventare un materiale SCORM: semplicemente fornendogli l’involucro
HTML che fa le chiamate necessarie; anche se, in questo modo, non
vengono sfruttate le potenzialità del reference model.
Esempio: sono presenti materiali non SCORM in forma di file di Word
o Excel, già preparati, e li si vuole fare diventare oggetti SCORM. Ab-
bandonando qualsiasi concetto di granularità dei contenuti, l’intero file
può essere inserito come oggetto da scaricare mettendo il link su una
pagina web; questa pagina web conterrà l’involucro SCORM che ren-
derà il materiale adattabile alle piattaforme.
E’ un meccanismo barbaro per creare materiali didattici; non sfrutta
alcuno dei vantaggi di SCORM, se non la possibilità di caricare velo-
cemente i materiali su una piattaforma; dovrebbe essere usato solo in
casi di estrema necessità.
I materiali creati da zero o portati a SCORM possiedono capacità di
colloquio con la piattaforma che consentono personalizzazioni, sche-
mi di apprendimento variegati, salti condizionali, salvataggio di dati tra
una sessione e l’altra di formazione, comunicazione con il contesto del-
la piattaforma, e tante altre possibilità che arricchiscono il potenziale
didattico, la riusabilità dell’oggetto e l’economicità dello sviluppo.
47. 3.1. Componenti di un sistema per la Formazione a Distanza 36
Figura 3.1: Il collante fra le varie parti coinvolte
3.1.2 La piattaforma di formazione
La piattaforma di formazione è la base intorno alla quale ruotano tutti
i processi formativi; costituita da un sito web (vedi 3.1) è il collante
fra l’utente e i materiali didattici, fra i tutor o altre persone (esperti,
gestori, etc) coinvolti nel processo formativo e i dati prelevati dai pre-
cedenti utilizzi o ricavati dalle azioni degli altri attori coinvolti. Questo
collante agisce come strumento di comunicazione, smistando le infor-
mazioni generate verso i loro destinatari. Per definire le modalità di
comunicazione che ha una piattaforma possiamo distinguerle a secon-
da dell’origine e del destinatario delle informazioni da comunicare.
Esistono sottosistemi finalizzati alla comunicazione tra persone: in que-
sto caso sia il mittente che il ricevente del processo comunicativo sono
rappresentati da attori umani del processo formativo. L’informazione
48. 3.1. Componenti di un sistema per la Formazione a Distanza 37
è generata durante la partecipazione al corso e ne caratterizza il fun-
zionamento. Possiamo citare: posta, forum, chat, aule virtuali, video e
audio conferenze, ecc. . .
In altri sottosistemi l’informazione può essere generata, non diretta-
mente dall’azione di una persona, ma dall’avvio di un meccanismo:
per esempio una bacheca intesa nel senso di raccolta di files utili, un
sistema di monitoraggio che consenta al tutor di vedere i progressi
degli utenti, una linkografia che porti i corsisti verso siti di approfon-
dimento.
I materiali didattici vanno intesi in questa seconda accezione: sono og-
getti statici che portano informazioni didattiche verso gli utenti.
E’ proprio su questo tipo di materiali che si possono applicare i criteri
del reference model SCORM; per questo una piattaforma LMS può
avere alcuni sottosistemi per nulla interessati dal reference model che
entra in gioco solo quando si parla di materiali didattici precedente-
mente preparati; aderire a SCORM, per un LMS, significa avere una
parte del proprio sistema in grado di importare materiali secondo le
specifiche: non si applica cioè all’intera piattaforma. [20].
3.1.3 Le interazioni tra materiali didattici e
piattaforma
Di seguito parleremo di materiali didattici sotto forma digitale e di piat-
taforme che usano internet come forma di comunicazione.
Distinguiamo due diversi aspetti dei materiali didattici: il primo riguar-
49. 3.1. Componenti di un sistema per la Formazione a Distanza 38
Figura 3.2: Interazione fra contenuti e LMS
dante il contenuto ed il secondo il processo di fruizione.
Per quanto riguarda il primo punto, oggi gli standard non intervengo-
no sul contenuto dei materiali didattici ma unicamente sulle modalità
con cui i contenuti vengono creati ed il rapporto che hanno con l’LMS.
E’ cioè possibile costruire un corso perfettamente standard con con-
tenuti pessimi dal punto di vista didattico, in quanto la qualità didattica
dei contenuti non viene messa in discussione dagli standard.
Ciò che viene regolato riguarda “come” il materiale didattico venga
strutturato, ovvero la modalità di costruzione ed i meccanismi di col-
loquio con la piattaforma.
Per quanto riguarda il secondo punto, il processo di fruizione devono
essere presenti:
50. 3.1. Componenti di un sistema per la Formazione a Distanza 39
• una modalità di trasmissione del corso all’utente, che sia in grado
di visualizzarne i contenuti.
• una modalità di comunicazione tra la piattaforma ed il contenuto
che consenta l’interazione tra i due, ad esempio il tracciamento
delle operazioni svolte dall’utente.
L’insieme delle operazioni viene svolto all’interno di un ambiente di
funzionamento (run-time environment) detto “oggetto di standardizza-
zione”.
Dal momento in cui l’utente entra in un sistema di formazione e comin-
cia a fruire di un corso, devono avvenire operazioni di tracciamento
delle azioni svolte; alcune sono classiche e da tutti utilizzate (esem-
pio: quanto tempo è passato dall’inizio alla fine della fruizione), altre
possono essere impostate dall’autore del materiale, che inserisce nello
stesso modalità di comunicazione e tracciamento verso la piattaforma.
In questa prima, semplificata, fase di suddivisione abbiamo distinto
l’oggetto di standardizzazione in tre semplici elementi:
1. la strutturazione del materiale didattico
2. la visualizzazione del materiale didattico
3. il colloquio tra piattaforma e materiale didattico
Dopo il prossimo, ulteriore, approfondimento potremo allargare il ra-
gionamento fino ad avere maggiore chiarezza sull’intero panorama
dell’azione di standardizzazione.
51. 3.1. Componenti di un sistema per la Formazione a Distanza 40
Figura 3.3: Suddivisione dell’oggetto di standardizzazione
3.1.4 La struttura: il modello di aggregazione dei
contenuti
Per quanto riguarda la composizione del materiale didattico, ogni cor-
so deve essere diviso in sezioni più piccole; potrebbe esser usato l’e-
sempio di suddividere un libro in capitoli.
Ogni oggetto elementare dal punto di vista didattico, deve essere per
quanto possibile autonomo dal resto del corso ed autoconsistente: ciò
fa sì che lo stesso oggetto possa essere riutilizzato in contesti diver-
si. Il reference model SCORM chiama questi oggetti SCO (Sharable
Content Object), altri enti danno definizioni leggermente diverse (RLO
reusable learning object, RIO reusable information object, etc), ma
il concetto è sempre quello della scomposizione dell’intero corso in
mattoncini elementari.
52. 3.1. Componenti di un sistema per la Formazione a Distanza 41
Sta in questo concetto la grandezza (per alcuni) o il difetto (per altri)
del modello SCORM.
Chi lo difende fa leva sull’elevata riusabilità, condivisione, flessibilità
di un sistema ad oggetti componibili; chi fa parte del partito dei con-
trari fa notare invece il limite nella definizione di singolo oggetto, la
difficoltà nell’accostare oggetti diversi, la trasparenza didattica richie-
sta che comporta un’oggettiva limitazione delle capacità didattiche.
Segnaliamo un interessantissimo dibattito in materia, fra un sostenito-
re (anche se con moderazione), Antonio Fini (collaboratore del Labora-
torio di Tecnologie dell’Educazione presso l’Università di Firenze)[21]
e uno che dice “No Grazie all’utilizzo di SCORM”, Gianni Marconato
(figura esperta nel mondo dell’apprendimento) [22].
Oltre alla divisione del corso in SCO, c’è la possibilità di suddivide-
re ulteriormente i componenti in capitoli e quindi in paragrafi, come
unità non autonome, ma comunque riutilizzabili in contesti diversi. A
partire dalla versione 1.3 viene saltato il passaggio di questa ulteriore
suddivisione, si passa direttamente agli Assets, le unità elementari.
I livelli di definizione degli oggetti diventano così tre, diversi dal punto
di vista funzionale:
1. il livello più alto è il corso, o content aggregation, che è costituito
dall’aggregazione di più SCO.
2. il livello inferiore è lo SCO, assimilabile al learning objects, co-
stituito da una unità di apprendimento autonoma, che può essere
associata ad altri SCO per costituire il corso. E’ in grado di collo-
53. 3.2. Il packaging 42
quiare con l’LMS, possiede le chiamate necessarie (vedi 3.3) per
inizializzare e terminare il processo di fruizione.
3. il livello elementare è costituito dall’Asset, un’immagine, un gra-
fico, un testo o qualsiasi oggetto che non parli con la piattafor-
ma ma che possa comunque essere riutilizzato in più SCO; per
esempio un grafico con il diagramma di Mollier per gli stati fi-
sici dell’acqua può essere utilizzato come asset sia in un corso di
termodinamica che in un corso di meccanica dei fluidi.
Un corso segue un filo conduttore (content aggregation) che lega, ag-
grega tutti i contenuti utilizzati e li presenta come un’unità all’utente. La
modalità tecnica di raccoglimento di tutti i dati (files) che costituiscono
un corso ha importanza fondamentale in termini di riutilizzabilità: è
per questo che anche questa modalità è oggetto di standardizzazione,
sia per unire in un unico contenitore i files sia per recuperare e ag-
gregare i contenuti all’interno del contenitore. Questa aggregazione è
costituita da un indice che tiene traccia di tutti i componenti del cor-
so; a partire da una radice individua tutti gli SCO che fanno parte del
corso, e per ogni SCO individua i singoli assets.
3.2 Il packaging
Il riutilizzo dei materiali didattici comporta che sia ben definita la mo-
dalità con la quale i file viaggiano da una piattaforma all’altra.
Per questo deve essere individuata con precisione la modalità con la
quale “impacchettare” i materiali didattici così che possano facilmente
54. 3.3. Il colloquio con la piattaforma 43
Figura 3.4: Lo schema proposto da IMS [1]
transitare tra sistemi diversi: da una piattaforma LMS all’altra oppu-
re da un sistema di authoring verso una piattaforma. In figura 3.4
l’approccio di IMS, e in figura 3.5 quello di ADL/SCORM.
3.3 Il colloquio con la piattaforma
Quanto detto finora riguarda il materiale didattico nella sua versione
statica, ovvero non ancora fruita dall’utente.
Perché un utente possa beneficiare di questo materiale occorrono
ancora due passaggi:
• il materiale deve essere visualizzabile dall’utente presso la propria
postazione di lavoro;
55. 3.3. Il colloquio con la piattaforma 44
Figura 3.5: Lo schema proposto da SCORM [1]
• il materiale deve essere attivo, cioè interagire con l’LMS. Questo
per diversi motivi: per esempio il tracciamento (o tracking), che
consente di sapere a che punto è arrivata la fruizione così da pro-
porre all’utente la giusta pagina, o per registrare i risultati di un
test, o ancora per proporre all’allievo il giusto SCO. Perché esista
questa interattività deve esistere un meccanismo di colloquio tra
materiale e piattaforma.
L’interazione è di due tipi: dapprima l’utente all’interno di un corso
può avere alcuni gradi di libertà nel decidere quale parte del materiale
didattico affrontare e quindi, una volta effettuata la decisione, ci deve
essere una interazione che indichi, durante l’apprendimento, ciò che
avviene.
56. 3.3. Il colloquio con la piattaforma 45
3.3.1 La visualizzazione
Sembra un aspetto scontato ma non lo è: il materiale deve essere
visualizzato dall’utente, in modo che possa apprendere le nozioni pre-
senti. SCORM si riferisce solo a materiali digitali; si tratta quindi della
visualizzazione di files. Il particolare meccanismo di funzionamento
inoltre richiede che la visualizzazione della parte principale del ma-
teriale avvenga all’interno di un browser internet. Il materiale deve
quindi essere realizzato sottoforma di pagine HTML.
Ciò non significa che il materiale debba essere soltanto costituito da
pagine web: esse devono essere la traccia ma, similmente a quanto av-
viene per i siti, possono essere forniti i materiali disponibili attraverso
download di diverso tipo (presentazioni multimediali, video, animazio-
ni, disegni vettoriali ecc. . . ). Perché possa funzionare il meccanismo di
scambio dati, il materiale deve essere visualizzato in una sotto-finestra
dipendente da quella principale. Ciò significa che deve essere visua-
lizzato in un frame o in una finestra pop-up.
Per chi sviluppa materiale, la didattica è un importante punto da tenere
in considerazione durante il progetto dell’architettura grafica.
3.3.2 L’interazione con l’LMS: i gradi di libertà,
navigazione e sequenziamento
Come abbiamo già visto un corso può essere costituito da diversi SCO.
La modalità con la quale l’utente accede agli SCO può essere diversa:
potrebbe avere un indice con tutti quelli presenti nel corso e decide-
57. 3.3. Il colloquio con la piattaforma 46
re quale fruire in base alle proprie personali nozioni, oppure essere
obbligato a seguire il primo e, solo al termine di quello, passare al
secondo e così via. Oppure potrebbero esserci test vincolanti che non
permettono di passare alla lezione successiva se non si è superato il
test. O ancora, si dovrebbe poter accedere in fase di ripasso a tutti gli
SCO mentre in fase di studio solo in modo sequenziale. Gli esempi
presentati spiegano cosa sia il sequenziamento. Il progettista del ma-
teriale didattico è in grado di prevedere il tipo di sequenziamento e far
si che l’LMS, qualsiasi LMS, si comporti esattamente come l’autore ha
previsto.
All’interno di un singolo SCO, inoltre, l’utente può passare da una pa-
gina all’altra in modo libero o imponendo un tipo di scorrimento tra
le pagine prefissato, a scadenze temporali o logiche. Anche in questo
caso, il progettista del materiale può imporre un tipo di navigazione al-
l’interno dello SCO; sarà l’LMS a fornire i meccanismi di navigazione
tra le pagine.
3.3.3 L’interazione con l’LMS: durante
l’apprendimento
Fin quando il materiale è all’interno di una banca dati e non viene
utilizzato da alcun utente non c’è alcuna interazione con l’LMS, se non
quella di riportare al massimo il titolo dell’oggetto didattico. Da quando
un utente comincia a richiederne la fruizione comincia un rapporto di
scambio dati tra materiale e piattaforma che può essere povero di dati
oppure molto intenso.
58. 3.3. Il colloquio con la piattaforma 47
Figura 3.6: Meccanismo di interazione con l’LMS prima della fruizione
Chiariamo prima il meccanismo:
1. L’utente apre il sito in cui è presente l’LMS; può procedere a
visitare molte parti che non richiedono che venga effettuato un
login. In questa fase, tipicamente, non può fruire di altri corsi se
non quelli aperti all’utente ospite, che qui non vengono presi in
considerazione
2. L’utente effettua un login. Da questo momento è riconosciuto
come uno degli iscritti all’LMS, che presenta un elenco di corsi
fruibili. Il materiale non è ancora stato interessato, non effettua
alcuna comunicazione.
3. L’utente sceglie di affrontare un corso tra quelli che ha a disposi-
zione. A questo punto comincia l’interazione del materiale didat-
59. 3.4. Il bookshelf SCORM 48
tico con la piattaforma, che al minimo consiste in una chiamata
che indica alla piattaforma che il materiale x sta per essere frui-
to dall’utente y e da una chiamata che indica che l’utente y ha
terminato la fruizione del materiale x; tra queste due chiamate
possono essere inserite (dagli autori dei materiali didattici) molte
altre chiamate.
Durante questi colloqui che avvengono tra materiale e piattaforma de-
vono essere stabilite due modalità, come in qualsiasi processo di co-
municazione: “come” comunicarsi i dati e “quali” dati possono essere
comunicati.
Un esempio: se il progettista dei materiali didattici ritiene di voler inse-
rire, in alto a destra, il nome dell’utente che sta utilizzando il materiale,
non può naturalmente scriverlo nel momento in cui viene creato il
materiale didattico.
Tuttavia il creatore del materiale può prevedere una chiamata alla piat-
taforma richiedendo il nome dell’utente per poi andarlo a scrivere in
alto a destra. Ogni volta che un utente utilizzerà quel materiale la piat-
taforma fornirà il nome dell’utente che in quel momento sta utilizzando
il materiale.
3.4 Il bookshelf SCORM
Con l’ausilio della figura 3.7, possiamo vedere SCORM come uno scaf-
fale (bookshelf) in cui sono inseriti diversi volumi (book). Si passa dal
book Overview, pensato per fornire un quadro d’insieme sull’iniziati-
60. 3.4. Il bookshelf SCORM 49
Figura 3.7: il bookshelf SCORM
va, agli altri Content Aggregation Model, Run Time Environment e
Sequencing and Navigation, decisamente più tecnici.
In questo ipotetico scaffale esistono molti libri di colore diverso,
ognuno abbinabile ad una delle parti definite in precedenza:
1. Overview è una panoramica di sistema valida a livello generale.
2. Il Content Aggregation Model descrive nel dettaglio come strut-
turare sia logicamente che fisicamente i contenuti del materiale
didattico. Ne fanno parte:
a) Metadata affronta la modalità con la quale scrivere i de-
scrittori; si basa su un modello di IEEE, il Learning Object
Metadata (per un approfondimento sull’argomento riman-
61. 3.4. Il bookshelf SCORM 50
diamo al paragrafo 4.3), ed indica nel dettaglio la modalità
di scrittura dei metadati compreso il binding, cioè il modo
di scrivere in un unico file i metadati.
b) Content Structure indica la modalità con cui strutturare i
dati in corsi / sco / assets, prevedendo tutte le possibilità di
insiemi e sottoinsiemi di corsi / oggetti. Le specifiche sono
state sviluppate da AICC.
c) Content Packaging indica le modalità con cui “impacchet-
tare” fisicamente l’insieme di files che costituiscono il corso
in modo che siano scambiabili tra LMS, e tra LMS e sistemi
di authoring.
d) Sequencing Information descrive quelle parti di sequenzia-
mento che sono impostabili a livello di corso prima che
ne avvenga la fruizione, ovvero le modalità con cui l’uten-
te si può muovere all’interno del contenuto, se liberamen-
te oppure guidato da un flusso di apprendimento. Si dice
che una particolare esperienza di apprendimento può essere
sequenziale, non-sequenziale, diretta dall’utente o adattativa.
3. Sequencing and navigation è la parte più “nuova” del reference
model. Si basa sulle specifiche IMS Simple Sequencing Specifi-
cation, volte a definire una modalità efficace di navigazione tra
gli SCO. “Simple” non si riferisce alla semplicità con la quale
viene dichiarata tale sequenza, ma va inteso come un indicatore
del fatto che le Simple Sequencing possono realizzare percorsi
62. 3.4. Il bookshelf SCORM 51
di navigazione semplificata, limitata ad alcune tipologie di base.
Vengono gestiti soltanto i comportamenti degli studenti, non te-
nendo conto di tutte le possibili interazioni con i docenti, tutor o
qualsiasi altra figura. Per introdurre un minimo di adattabilità,
il progettista deve costruire quello che in gergo viene chiama-
to activity tree: quest’albero si forma facendo interagire, con i
percorsi prestabiliti, le informazioni che arrivano alla piattafor-
ma dalla fruizione dell’utente in quel momento. Vengono così
generati particolari eventi che contribuiranno alla modifica del
percorso.
4. Run Time Environment è la parte dedicata alle interazioni nel
momento della fruizione tra materiale e piattaforma: quindi av-
vio, comunicazione e tracciamento dei contenuti. L’RTE stabili-
sce un insieme di funzioni (e un modello) che gli sviluppatori
dovranno implementare per arrivare ad avere una piattaforma
SCORM-compatibile.
E’ questo componente che rende possibile la riutilizzabilità e l’in-
teroperabilità fra piattaforme che risultano differenti fra loro. E’
questo che standardizza il “come” devono comunicare le parti
in causa, sia dal lato della piattaforma LMS che da quello dei
contenuti. Nella (rudimentale) figura 3.8 si può vedere come co-
munichino piattaforma e LO.
Viene suddiviso in due parti:
a) la parte API indica la modalità con la quale possono essere
63. 3.4. Il bookshelf SCORM 52
Figura 3.8: La comunicazione fra piattaforma e LO.
eseguite le chiamate, definendo nel dettaglio il modello di
funzionamento, che fa uso di Javascript;
b) la parte Data Model descrive le singole chiamate, possibili
risposte e comportamento dell’LMS.
[23]
64. 3.4. Il bookshelf SCORM 53
3.4.1 Come si presenta un corso SCORM
Senza entrare tanto nello specifico, il grafico 3.9 può fornire comun-
que una visione d’insieme.
Figura 3.9: Un corso SCORM
Un package, cioè un file zippato con estensione PIF, avrà nella root
un file di nome imsmanifest.xml (manifest file) e, raccolti o meno in
cartelle, tutti i materiali che costituiscono il corso(physical files).
All’interno del manifest file saranno presenti diverse sezioni: meta-
data per le descrizioni, organizations per definire come è struttura-
to il corso, resources per descrivere i file utilizzati; eventualmente
sub-manifests per suddividere i corsi in sotto-corsi.
65. 3.5. Riassumendo 54
3.5 Riassumendo
L’iniziativa americana ADLnet ha prodotto SCORM, che è un’insieme
di regole che definiscono le modalità di funzionamento e le interazioni
dei componenti di un sistema di formazione a distanza; in particolare
vengono definiti i modelli con i quali costruire i materiali didattici e
le piattaforme di formazione a distanza, con lo scopo di ottenere la
massima indipendenza e interoperabilità tra gli uni e gli altri.
Il materiale didattico SCORM, ovvero il corso, è costituito da learning
objects aggregati a diverso livello; tanto il corso quanto i LO possono
essere descritti attraverso metadati, che sono descrittori come titolo,
autore, versione, ecc. . . All’interno del materiale didattico è possibile
descrivere sia le regole con le quali deve essere erogato (quale LO
prima, quale dopo) sia i dati scambiati con la piattaforma (LMS) di
erogazione.
Dal punto di vista del supporto, il materiale didattico si presenta come
un unico file compresso che ha all’interno:
• un descrittore del corso in formato XML dal nome imsmanife-
st.xml in posizione di root che contiene informazioni sulle risor-
se presenti, sulla loro organizzazione, e la descrizione di corso e
risorse;
• l’insieme dei files che costituiscono il corso.
La piattaforma di erogazione (LMS) SCORM è in grado di importare
ed erogare materiali SCORM, garantendone il funzionamento che è
stato impostato dall’autore del materiale didattico.
66. 3.5. Riassumendo 55
Attraverso meccanismi di comunicazione standard dialoga con il ma-
teriale didattico e immagazzina i dati di fruizione degli utenti.
67. CAPITOLO
4
LEARNING OBJECTS?
Lo studio e, in generale, la ricerca della verità
e della bellezza sono una sfera di attività nella
quale ci è consentito di rimanere bambini per
tutta la vita.
Albert Einstein
Q
UESTO capitolo è finalizzato a capire cos’è un learning object.
Volendo partire proprio dal titolo, il punto interrogativo ci dà
un’idea dell’incertezza che vi è sulla definizione; non è così scontato
trovare persone che siano d’accordo su cosa sia un LO. Vista la prece-
dente trattazione del modello SCORM, in questa parte prenderemo in
considerazione il significato del LO solo in relazione a quel modello,
ovvero come oggetto tecnico e non come un qualcosa fatto di conte-
56
68. 4.1. L’organizzazione in Learning Objects 57
nuti.
Sul confondere questi due piani verte la maggior parte delle discussio-
ni, mescolando la definizione tecnica con quella didattica. Il continuo
nascere di definizioni, continuamente diverse fra loro (moduli, unità
didattiche o di apprendimento, lezioni ecc. . . ), non ha fatto altro che
incrementare la confusione sull’argomento.
4.1 L’organizzazione in Learning Objects
Il criterio sul quale si fondano tutti gli standard, sia per le piattaforme
che per i contenuti è quello dei LO, traducibile in italiano in molti mo-
di diversi, ognuno imperfetto per qualche ragione; diciamo che unità
didattica potrebbe essere un buon compromesso se non ci portasse
a fraintenderlo con molti altri progetti che ne fanno uso.
Un LO è un’unità autonoma sulla quale si basa il percorso di ap-
prendimento; combinando in maniera opportuna più LO si ottiene un
corso.
®
Nella figura 4.1 possiamo apprezzare l’approccio di Autodesk
(una delle più grandi società di software del mondo, attiva soprattutto
nel settore della progettazione basata su pc (CAD) e nella creazione,
gestione e distribuzione di media digitali): in questo caso l’implemen-
tazione parte da Raw Content, semplici contenuti di base senza au-
tonomia didattica (SCORM li chiama Assets, come abbiamo visto nel
paragrafo 3.1.4 che possono o meno avere descrittori metadata), riu-
nibili in RIO, a loro volta raggruppabili in RLO, (per i significati di RIO
69. 4.1. L’organizzazione in Learning Objects 58
Figura 4.1: L’implementazione di Autodesk
e RLO rimandiamo al paragrafo 3.1.4). Così come i Learning Objects,
RIO e RLO hanno autonomia didattica ed un set obbligatorio di meta-
data di descrizione.
A livello superiore ci sono due sovrainsiemi: la lezione ed il corso. [24]
E’ opportuno chiarire che, non avendo uno standard unico in materia,
non abbiamo neanche una definizione univoca di Learning Object; so-
prattutto c’è da dire che non esiste una chiara norma su come debba
essere fatto un LO, mentre sono chiare le indicazioni su:
1. come descrivere il metadata del LO
2. come distribuire metadata e LO in files
3. l’interazione tra LO e LMS
La divisione del contenuto didattico di un corso in “oggetti” riutilizzabili
è alla base di molti sistemi di standardizzazione dei materiali didattici
70. 4.1. L’organizzazione in Learning Objects 59
per la formazione in rete. Tuttavia, non per tutti i sistemi l’oggetto
risultante dalla scomposizione del corso è definito allo stesso modo.
Anche un libro, organizzato in capitoli e paragrafi, potrebbe essere
un esempio semplice e immediato di divisione di un corso (libro) in
learning object (capitoli) a loro volta costituiti da assets (paragrafi).
Termini come LO, RLO, SCO, a volte vengono utilizzati in modo inter-
cambiabile; approfondendo il significato che viene attribuito ai termini
si possono evidenziare le differenze. Da queste differenze nascono
pregi e difetti delle diverse “concezioni” dell’oggetto elementare.
In particolare nei confronti dell’oggetto SCO, definito da ADL nel fra-
mework SCORM, le caratteristiche e le critiche che ne derivano sono
relative a:
• Definizione poco chiara della grandezza dello SCO, definita in
termini di obiettivi didattici.
• Indipendenza dagli altri oggetti e dal corso stesso; se da una par-
te ne migliora la riutilizzabilità, dall’altra implica la costruzione
di oggetti “blindati” che non comunicano con l’esterno; “esclu-
de quindi ogni persona, cosa, o idea esistita da quando è nato
l’universo che può essere referenziata dal percorso formativo”;
• Neutralità pedagogica: per alcuni è un pregio, consentendone un
facile riuso, per altri è un aspetto negativo, non permettendo un
particolare approccio pedagogico.
La posizione della comunità pedagogica italiana è riassunta nell’artico-
lo di Massimo Faggioli, “Scorm, lo, lms, sco: ma come parli?” [25]; da
71. 4.1. L’organizzazione in Learning Objects 60
quanto si legge non mancano i dubbi e le perplessità in materia.
Di seguito alcune definizioni dell’ “oggetto elementare”:
IEEE: Any entity, digital or non-digital, which can be used, re-used
or referenced during technology-supported learning (IEEE Learning
Technology Standards Committee). [15]
Merrill: knowledge object, componet of instruction. [26]
ARIADNE: pedagogical document. [18]
MERLOT: on line learning materials. [27]
Apple: Learning Interchange “resources”. [28]
SCORM: One activity of the process of creating and delivering lear-
ning experiences involves the creation, discovery and gathering to-
gether, or aggregation, of simple assets into more complex learning
resources and then organizing the resources into a predefined sequen-
ce of delivery. [23]
In contrapposizione con quanto precedentemente affermato riguardo
la posizione di alcuni pedagoghi del portale Indire, ci sentiamo in do-
vere di aprire una piccola parentesi per segnalare una community
di Apple-user, chiamata Apple learning interchange, lanciatissima sul
mondo dell’e-learning 2.0, rivolta cioè a tutti quegli strumenti innova-
tivi che saranno il web di domani. In questo spazio viene dato modo
agli utenti di condividere i propri materiali, i propri dubbi ecc. . . , in
chiave e-learning e non solo. [28]
72. 4.2. Come usare i Learning Objects 61
4.2 Come usare i Learning Objects
Possiamo servirci di LO seguendo due diverse modalità:
• La prima, la più semplice delle due, prevede che gli oggetti siano
resi disponibili su pagine Web così come sono, per la ricerca ci si
affida a strumenti che andranno a esaminare i metadati. Niente
di più complesso di come lavora un normale motore di ricerca.
L’oggetto che soddisferà tale ricerca potrà essere usato diretta-
mente, oppure scaricato e modificato per poi essere inserito ma-
gari in un altro contesto.
Tale tipologia composta da sistemi di archiviazione, ricerca e
diffusione dei LO è definita repository.
• La seconda stabilisce una maggiore integrazione tra il momento
della creazione e quello dell’erogazione, che viene attuata attra-
verso sistemi software specializzati per la gestione del processo
di apprendimento a distanza (le piattaforme integrate).
Per fare maggior chiarezza nel lettore potremmo distinguere le due
modalità riportandole, con una metafora, rispettivamente alle bibliote-
che e alle istituzioni formative.
Andando per ordine, nel primo caso le persone entrano in bibliote-
ca, scelgono i libri e li leggono, attuando così un modello di auto-
apprendimento, privo per così dire di certificazioni ufficiali.
Nel secondo invece siamo guidati da sistemi organizzati, in grado di
offrire veri e propri percorsi di apprendimento. In tali tragitti vengo-
73. 4.2. Come usare i Learning Objects 62
no associate alla didattica attività di valutazione e certificazione degli
obiettivi raggiunti.
4.2.1 I repository
Un repository è paragonabile ad un magazzino, un deposito di LO.
Informaticamente parlando, sappiamo che sinonimo di deposito è da-
tabase. In questo database vengono memorizzati i LO completi (com-
posti quindi di contenuto e metadati) oppure soltanto i loro metadati.
Quest’ultimo caso è il più frequente, in questo modo il repository si
comporta come una sorta di motore di ricerca specializzato che non
farà altro che restituire gli indirizzi ipertestuali delle risorse cercate.
Una sorta di DNS, con la sola differenza che agli indirizzi non saranno
associati indirizzi IP ma semplici descrizioni, i metadati appunto.
Il numero di questi “depositi” dedicati ai LO è in costante aumento.
Tra i più attivi possiamo citare sicuramente il mondo accademico sta-
tunitense e canadese che stanno implementando continuamente nuove
iniziative per la catalogazione di risorse didattiche.
Per completezza eccone elencati i principali a livello internazionale:
• MERLOT (Multimedia Educational Resource for Learning and
Online Teaching);
• CAREO (Campus Alberta Repository of Educational Objects);
• Edutella;
• iLumina;
74. 4.2. Come usare i Learning Objects 63
• The Learning Matrix.
4.2.2 Le piattaforme Integrate
A differenza dei repository, le piattaforme integrate sono sistemi soft-
ware complessi, creati appositamente per la gestione della formazione
in rete. Esse si propongono come strumento fondamentale per quanto
riguarda il modello di formazione a distanza basato su LO.
Le funzionalità che una piattaforma dovrebbe avere si possono riassu-
mere in 4 punti:
1. ACCESSO, IDENTIFICAZIONE E GESTIONE DEI PROFILI UTENTE.
Gli utenti accedono in maniera univoca alla piattaforma grazie
al loro profilo che, in base al livello di autorizzazione cui è as-
sociato (studente, docente, amministratore), gli consentirà di fare
più o meno operazioni all’interno dell’ambiente. Stiamo parlan-
do di iscrizioni ai corsi, creazione di lezioni o manutenzione del
database.
2. EROGAZIONE DEI CONTENUTI DIDATTICI.
Queste funzionalità caratterizzano i Learning Management Sy-
stem, consentendo un’opportuna, quanto efficace, presentazione
del materiale didattico. In tal modo si rende possibile una co-
municazione bidirezionale fra l’utente e la piattaforma affinchè si
“tracci” (opera di tracciamento o tracking) il lavoro svolto per
fini statistici o di valutazione dello studente.
75. 4.3. I Metadati 64
3. GESTIONE DEI CONTENUTI.
Queste sono invece tipiche dei Learning Content Management
System. Consentono l’inserimento di fasi importanti come quelle
di Progettazione e Produzione dei materiali mediante particolari
tool di sviluppo.
4. GESTIONE DELLE ATTIVITÀ.
Con la parola “gestione” s’intende l’interazione che docenti e al-
lievi possono avere mediante attività sincrone, come chat o aule
virtuali o attività asincrone, come e-mail o forum.
La rete ne è piena di queste piattaforme e, come per i repository,
elenchiamo i nomi delle principali (commerciali):
• Blackboard: http://www.blackboard.com
• First Class: http://www.firstclass.com
..e di quelle open source:
• Moodle: http://moodle.org/
• Claroline: http://www.claroline.net
• DOCEBO: http://www.docebo.org/doceboCms/
4.3 I Metadati
Più di una volta, nelle pagine precedenti, si è parlato di Metadati: intro-
dotti come descrittori di dati, in questo breve paragrafo ci sentiamo in
76. 4.3. I Metadati 65
dovere di spendere qualche parola in più su di loro vista l’importanza
che rivestono proprio nel mondo dei LO.
Nati con l’affermarsi del World Wide Web, visto come immensa
biblioteca multimediale, cercano di essere il catalogo di questa sconfi-
nata mole di dati.
Con i comuni motori di ricerca è possibile trovare informazioni per
le parole che sono nel titolo o contenute nella risorsa, difficilmente
potremmo chiedere (e ricevere la corretta risposta) di vedere la sce-
na in cui recita un determinato attore. Magari sarebbe possibile solo
interrogando particolari banche dati specializzate nel settore, ma non
certo con i comuni motori di ricerca. A complicare la vita delle ricer-
che ci si è messa l’evoluzione del web che è passato da pagine statiche
a contenuti dinamici, prodotti da CMS (Content Management System)
al momento della richiesta dell’utente, ottenuti da vari database posti
magari su più server.
E’ facile immaginare come si perda gran parte del materiale disponi-
bile in Rete senza motori di ricerca adeguati. Per cercare di risolvere
tale problema si è fatto ricorso all’utilizzo dei metadati: in pratica ven-
gono associate delle etichette (un insieme di informazioni aggiuntive)
ad ogni oggetto che deve essere reperito, dando così modo all’uten-
te di descrivere, nel vero senso della parola, ciò che si desidera trovare.
Quanto detto finora affronta l’argomento Metadati in maniera mol-
to generale, con esempi rivolti al Web e non direttamente al mondo
77. 4.3. I Metadati 66
dell’e-learning. La domanda che ci poniamo adesso è la seguente:
“Quali particolarità esistono per il settore dei LO?”. Diciamo subito
che la situazione è leggermente più complessa rispetto a quella vista
per il Web. Qui ci troviamo a rispondere a delle domande tutt’altro
che banali; ad esempio, occorre mettere l’utilizzatore nelle condizioni
di saper valutare la reale possibilità di inserire quel materiale nel suo
contesto. Un catalogo di una biblioteca non è, di solito, in grado di
dire se un libro può essere utilizzato come materiale didattico da una
certa classe scolastica, ma conterrà piuttosto informazioni “oggettive”:
autore, casa editrice ecc. . . . C’è da valutare anche a chi sono diretti i
LO, se ai docenti, ai progettisti di materiali didattici o agli allievi.
Insomma i metadati devono rispondere a tutti questi quesiti, ne va del-
la loro efficacia.
Se dal punto di vista pedagogico, come abbiamo visto, non man-
cano gli interrogativi, si è cercato almeno di standardizzare i metodi
d’implementazione. Ci ha pensato nel 2002 l’IEEE, emettendo la speci-
fica 1484.12.1, denominata Standards for Learning Object Metadata
conosciuta ai più con la sigla LOM. Per correttezza storica, va detto
che è stata la Dublin Core Metadata Initiative (DCMI) la prima ad
occuparsi di metadati, intesi come descrizione di qualsiasi risorsa pre-
sente sul Web.
Esaminando i due approcci, ci accorgiamo che il DCMI si è proposta
con un atteggiamento “minimalista”, pochi descrittori di facile inter-
pretazione adatti ad una vasta gamma di risorse. Il LOM invece ci
78. 4.3. I Metadati 67
propone una soluzione “strutturalista”, andando a descrivere in manie-
ra dettagliata il maggior numero di caratteristiche possibile. [1]
4.3.1 Il DCMES
Il Dublin Core Metadata Element Set (DCMES), nella versione 1.1
risalente al 1999, prevede un insieme di 15 elementi (titolo, creatore,
soggetto, descrizione, editore, autore di contributo subordinato, data,
tipo, formato, identificatore, fonte, lingua, relazione, copertura), cia-
scuno definito tramite l’insieme di 10 attributi (nome, identificatore,
versione, registrazione di autorità, lingua, definizione, obbligatorierà,
tipo di dato, occorrenza massima, commento). Tutti i 15 elementi sono
opzionali e possono essere codificati sia in HTML che in XML.
Ad un primo sguardo ci accorgiamo che mancano elementi descrittivi
a carattere pedagogico, questo ci porta ad esculderlo dai possibili stan-
dard efficaci per i LO. E’ utilizzabile comunque per la catalogazione di
risorse generiche e non soltanto presenti sul Web. C’è da riconoscergli
il merito di aver, per primo, sollevato il problema di dover descrivere
le risorse presenti nella Rete. Se oggi abbiamo ARIADNE, IMS, IEEE
ecc. . . , lo dobbiamo solo e unicamente al Dublin Core. Va anche detto
che con i suoi 15 elementi (contro gli 80 del LOM), continua ad essere
un bel punto di partenza per molte iniziative di creazione di sistemi di
metadati più complessi. [1]