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Storia dell’arte

Anno accademico 2012/2013
   Biennio specialistico
L’opera al centro della Storia. Metodologia e filologia per la storia
                     dell’arte contemporanea

                 INTRODUZIONE
L’opera al centro della storia
• Se la Storia dell’arte è una materia che comprende ricerche
  di vari generi: visive, storiche tout court, sociologiche, etc,
  al centro della storia dell’arte ci sono gli artisti e le opere.
  Occorre quindi avere degli strumenti per ben comprendere
  le opere e conoscere gli artisti.
• L’opera è un oggetto creato o meglio realizzato da una
  persona o da un gruppo di persone : attraverso la storia
  dell’arte si capiscono le motivazioni che li hanno portati a
  realizzare quel prodotto in quel modo.
• Se, proprio per il concetto di Storia, che comprende il
  concetto di Tempo, è fondamentale conoscere l’epoca in cui
  l’opera è stata realizzata. Altresì importante è il luogo. Non
  tenerne conto vuol dire non voler entrare nelle ragioni che
  ne hanno permesso l’esistenza.
• Ricordarsi sempre che «l’arte genera arte».
Strumenti per capire l’arte

L’opera è al centro della storia dell’arte. Un certo numero
di conoscenze sono indispensabili per ben avvicinarsi.
Uomini e donne le hanno create; bisogna comprendere le
motivazioni che le hanno spinti ad agire. È il prodotto di
un’epoca e di un luogo: questo è sicuramente un fattore
decisivo. L’opera si iscrive generalmente in un movimento
o in una tendenza particolare, dai contorni confusi o dal
progetto ben definito. Non tenerne conto significa esporsi
a non penetrare le ragioni che hanno portato alla sua
esistenza.
Se questo vale soprattutto per l’arte del passato,
nell’epoca della globalizzazione non è un concetto
obsoleto, ma sempre valido, naturalmente mutatis
mutandis.
Storia e arte

Intanto, attaccarsi ad un approccio storico può
portare a mancare l’essenza di ciò che può
essere considerata l’essenza stessa dell’opera,
quella che ne fa un capolavoro: quella che la
distingue dalle opere banali, anche esse create
da uomini e donne nel loro tempo. E questo è
maggiormente evidente nell’arte
contemporanea dove a volte il limite tra banale
ed eccezionale è labile, a volte anche
volutamente e la banalità può divenire essa
stessa strumento e oggetto dell’arte.
Arte e linguaggio

L’opera visiva, come il testo letterario, come la musica, è
l’espressione di un linguaggio. Si serve di materia,
associa delle linee, dei colori, dei volumi, si serve degli
effetti della luce e delle ombre, come lo scrittore usa le
parole e la punteggiatura o il compositore si serve delle
note e del ritmo. Per l’artista, come per lo scrittore o il
compositore, l’opera deve essere finita : «sans rien en
elle qui pèse ou qui pose» (Paul Verlaine), nel senso che
tutto deve andare da sé e non sembrare il frutto di un
lavoro. L’opera tocca lo spettatore dopo generazioni e a
volte anche dopo qualche secolo o millennio.
È ancora valido questo concetto?
Forme dell’Intenzione


Svelare il lavoro della concezione artistica è il
compito della Storia dell’arte. Michael Baxandall
utilizza questa espressione come titolo di un suo
celebre libro, dove ricorda che l’esecuzione
dell’opera è per un artista il risultato della
risoluzione di diversi problemi e il risultato di una
serie di fattori che chiama “agenda” e “incarico”.
L’incarico non è solo la committenza…. E nel mondo
contemporaneo l’artista può essere committente di
se stesso.
Il piacere dell’arte

• L’opera si impone, il suo effetto persiste dopo che è stata creata; tocca gli
  spettatori e attraversa le generazioni e spesso secoli e millenni. Crea
  piacere, ha cioè un valore estetico.
• Visitando la chiesa di Santa Croce a Firenze, Stendhal descrive l’emozione
  provata, e che lo coglie talmente impreparato da metterlo in uno stato di
  malessere fisico. : «ero arrivato a quel punto d’emozione dove si
  incontrano le sensazioni celesti date dalle arti e dai sentimenti
  appassionati *…+ il battito del cuore aumentava, sentivo la vita svanire,
  camminavo con la paura di cadere ».
• Tre quarti di secolo più tardi, Paul Claudel descrive la sua conversione
  brutale in una chiesa parigina, all’ascolto di una musica : «ero in piedi,
  vicino al secondo pilastro, a destra, accanto alla sacrestia. I ragazzi del
  coro cantavano ciò che più tardi ho saputo essere il Magnificat. In un
  istante il mio cuore fu toccato e credetti ».
• Raffaele de Fusco intitola in questo modo un suo libro dove sostiene che
  si può definire arte solo quella produzione che provoca piacere e il
  piacere dell’arte è dato dalla conoscenza.
Making off
In queste condizioni ci possiamo se è necessario,
legittimo di rivelare le intenzioni dell’artista :
rivelare il lavoro di concetto che si fa nello studio,
nell’atelier, nella «cucina» della creazione? Nel
cinema oggi è di moda il making off: documentari e
film, che raccontano la fabbricazione del film. La
magia di ciò che è stato creato si trova a volte
privata in questo modo. Non è a caso che molti
scrittori o poeti distruggevano i loro appunti
manoscritti, o che alcuni artisti non facciano entrare
nessuno nell’atelier mentre stanno lavorando a
un’opera, fin quando questa non è arrivata a uno
stadio che li soddisfi.
Michelangelo, volta della
Cappella Sistina
Michelangelo
difendeva
gelosamente l’accesso
ai ponteggi della
sistina, impedendo
anche al papa stesso
di salire
Nicolas Poussin,
autoritratto
Poussin in un
autoritratto
conservato al Louvre,
si mostra davanti ai
suoi quadri finiti e
addirittura
incorniciati, o girati,
piuttosto che esibire la
realtà delle tele
incomplete.
Pablo Picasso, Les
demmoiselles d’Avignon
Picasso e Kahnweiler…
L’immediatezza dell’opera
Reciprocamente, si potrebbe pensare forse che l’opera possa parlare
essa stessa di se stessa.
Episodi come quelli che abbiamo raccontato da Stendhal o da Paul
Claudel, hanno il merito di ricordare allo storico e al visitatore che la
forza, la bellezza, l’efficacia di un’opera non possono risolversi con
delle formule. L’effetto prodotto dalle creazioni artistiche non si
esplicita sempre con le parole e non risulta unicamente dalla
conoscenza della storia o dei procedimenti, ma ognuno può ricevere
da esse un messaggio diverso.
L’arte barocca puntava in effetti a questo. Freud lo chiamava
Inquietante straniamento.
Hegel, nella Filosofia dello spirito afferma un legame tra pensiero e
linguaggio, voler pensare senza le parole è insensato: se chi prova
un’emozione davanti un’opera giudica che questo godimento non gli
basta, allora cercherà di capire.
Su questo puntano alcuni artisti contemporanei in qualche modo
«aggressivi» nei confronti del pubblico.
Strumenti per capire l’opera


Seguire metodicamente e filologicamente le
tappe della creazione artistica - la genesi
dell’opera – partire dai materiali, esaminare i
percorsi obbligati, entrare nei principi delle
scelte dei colori, delle composizioni, analizzare
ciò che porta l’artista a trattare un tema o un
altro, ad astenersi di abbordarne alcuni o a non
voler rappresentare figurazioni : questo è il
percorso che faremo insieme.
Le differenti arti
Tenere conto del materiale, dei mezzi, del formato, del luogo
per il quale un’opera è stata creata, cioè prendere in
considerazione l’oggetto che è quest’opera nella sua realtà
fenomenologica, è indispensabile per apprezzare ciò che in in
libro, su uno schermo di pc, o come proiezione sul muro di
un’aula, appare come un’immagine piatta, al di fuori di
qualsiasi contesto, fuori scala e con effetti di texture difficili da
comprendere pienamente.

Nel Rinascimento si parlava di arte a tutto tondo e di piatta
pittura. La prima espressione si applica alla scultura e a ciò che
ora si chiama «istallazione». La seconda indica quelle che per le
loro caratteristiche oggettive potremmo parlare di arti a due
dimensioni : disegno, incisione, pittura, cioè tutto ciò che è
eseguito su un supporto piatto.
Edgar Degas, Après le bain, 1898 c.a
Pastello su carta, 662 x 650 mm,
Parigi, musée d’Orsay
Joseph Mallord William
Turner, Paesaggio con fiume
e baia sullo sfondo, 1835,
olio su tela, 93 x 123 cm,
Parigi, musée du Louvre

La goouache e l’acquarello sono
pitture ad acqua. Si praticano su carta
o su carta di seta. Il tedesco Dürer a
dipinto i primi acquarelli occidentali,
intorno al 1500. Il procedimento è
stato particolarmente apprezzato dagli
artisti che lavoravano in esterno :
come Turner nel XIX secolo. Questo
tipo di pittura ha bisogno di una carta
abbastanza forte da poter assorbire il
contenuto di umidità del pigmento; la
gouache, che in effetti ha più
coprente, vicina alla miniatura, può
essere posata su una carta più fina.
Jan Van Eick, L’uomo con il
    turbante, 1433, olio su tela,
    26 x 19 cm, Londra, National
    Gallery
Per opere più grandi e comunque mobili,
gli artisti hanno dapprima dipinto su legno,
fino alla fine del Medioevo, o su una tela
tirata su un telaio, un supporto che appare
a Venezia verso il 1500.
 I pigmenti, di origine minerale o vegetale,
sono ridotti in polvere e legati, nel
Medioevo, con una miscela variabile di
acqua, colla, gomma, o emulsione d’uovo,
resine, essenze e olio. Nel XV secolo, nelle
Fiandre, si diffonde un’altra pratica la
pittura ad olio, il cui uso è – se non
inventato – sistematizzato da Jan Van Eyck.
Il nuovo legante conosce un successo
rapido in tutta Europa e cambia il modo di
dipingere. Permette di sovrapporre gli
strati di colore fini . I quadri ad olio sono
caratterizzato dall’aspetto brillante che non
ha la tempera.
Cave canem, mosaico romano
    da Pompei, Napoli, museo
    archeologico nazionale
L’italiano mosaico origina dal latino
musivum a sua volta dal greco mouseion,
cioè che è in rapporto con le muse, le
divinità protettrici delle arti, poiché questa
forma espressiva era utilizzata
probabilmente per decorare le grotte
dedicate alle muse.
I pezzi di pietra, scelti e piazzati in funzione
del loro colore, sono chiamati tasselli. Sono
di taglia variabile, grandi per fare gli sfondi,
piccoli per i dettagli di un motivo : si parla
in questo caso di opus sectile.
Se il mosaico è stato ampiamente utilizzato
dai romani, è soprattutto nel Medioevo
che conobbe maggiore sviluppo, in
particolare nell’arte bizantina ed è stato
utilizzato anche da altre civilizzazioni, come
quella precolombiana, dove c’era l’usanza
di ricoprire gli oggetti con questa tecnica.
Vetrata, primo quarto del
XIII secolo, Chartres,
cattedrale di Notre-Dame
Costruttore dell’abbazia di Saint-Denis,
l’abate Suger (1081-1115) è il padre dello
stile gotico in architettura e il grande
sostenitore dell’utilizzo delle vetrate, un
arte che giudicava fondamentale per
elevare il fedele dalla materia alla
trascendenza (il vetro, cioè della sabbia
purificata dal fuoco che si lascia penetrale
dalla luce che è immateriale).
Dopo Saint-Denis, la vetrata si è diffusa in
tutta l’Europa nel corso del XII e del XIII
secolo. Il primo trattato che ne descrive la
tecnica è il De diversis artibus del monaco
tedesco Teofilo, attivo nella prima metà
del XII secolo. In quest’epoca di inizio del
gotico, domina il blu; il verde, il giallo e il
rosso servono come colori di
accompagnamento. In epoca romanica le
vetrate, più rare, erano monocrome; a
partire dal Rinascimento il blu, che in
parte blocca la luce, occupa un posto
minimo.
La scultura, o le tre dimensioni

• La scultura, che lavora il volume, è la più
  usuale delle arti a tre dimensioni. È anche -
  grazie alla resistenza dei materiali che
  vengono utilizzati - l’arte le cui opere si son
  conservate meglio .
• Importante distinguere tra modellato e
  intagliato, scultura e tutto tondo e rilievo,
  definire il formato, conoscere i materiali.
• Oggi che cos’è la scultura? Scultura vs pittura/
  pittura vs scultura
Lorenzo Ghiberti, Vita di
Giuseppe: la scoperta della
coppa d’oro, 1425-52, bronzo
dorato, 80 x 79 cm
Firenze, battistero

.
Anonimo italiano,
Madonna, 1199,
legno, h, 184 cm
Berlino, Staatliche
Museen
.
• UNA SCULTURA
Anish Kapoor, Mirror
                         CONTEMPORANEA
.
Aggiungere e levare


• Due pratiche si distinguono e in parte si oppongono
  anche. Una consiste a partire dal nulla e procedere per
  accumulazione : è il modellato, che utilizza la terra,
  l’argilla e può portare ad opere da calchi o fuse per
  esempio in bronzo. L’altra mira a liberare la forma da
  un blocco : è la scultura per togliere, o di intaglio.
  Questi due metodi possono essere utilizzati dallo
  stesso scultore ma spesso gli artisti preferiscono una
  tecnica o l’altra. Nel Rinascimento Leonardo elabora
  dei modelli in terra che ingrandisce in seguito e dove
  pensa di tirare delle fusioni, mentre Michelangelo ama
  estrarre la forma dal marmo.
• Il concetto di Michelangelo viene ripreso da alcuni
  artisti del ‘900.
Tutto tondo e rilievo

• Una distinzione fondamentale oppone il tutto
  tondo al rilievo. Il tutto tondo è un’opera
  scolpita da tutti i lati : lo sguardo può girare
  intorno. Quando il tutto tondo rappresenta un
  corpo si può parlare di statua, altrimenti si
  impiega il termine più generico di scultura.
• Le statue monumentali sono state spesso
  collocate su dei piedistalli : la questione del
  piedistallo e la rinuncia ad esso è una
  faccenda moderna.
Michelangelo, Battaglia di
Centauri e Lapiti, 1492 ca.
marmo, 84 x 90,5 cm
Firenze, Casa Buonarroti

.
Leonardo, Statua equestre,
1516-1519,
Bronzo, h. 24,3 cm
Budapest, Szépmûvészeti
Múzeum
La dimensione delle opere e il
loro aspetto sono molto legati
alle caratteristiche dei
materiali : fondere una
scultura di grandi dimensioni
è una prodezza che
appassiona gli scultori italiani
da Andrea Pisano (XIV secolo)
a Leonardo. Innalzare un
cavallo di bronzo nel
dinamismo
dell’imbizzarrimento, su due
zampe e non su quattro, è
una sfida per molti scultori.
Il formato

Ma il formato delle opere dipende anche dalle
loro funzioni.
Le sculture (così come le pitture) per così dire
d’arredamento, di piccola taglia, si oppongono
alla scultura monumentale. Sono più
commerciali. Ma non tutti gli artisti hanno la
possibilità di lavorare su grandi dimensioni e non
tutti possono fare istallazioni pubbliche.
Louise Bourgeois, Knife
woman, 2002

Dal XX secolo, gli scultori ricorrono ad
altri materiali oltre a quelli
tradizionali: fibre diverse, cemento
leggero o gesso su armatura di ferro,
plastiche, resine, cartapesta (les
Nanas di Niki de Saint-Phalle per
esempio), etc. Anche delle materie
molli, come la gomma, o dei tessuti,
dei quali ha fatto un grande uso
l’americana Louise Bourgeois (per
esmpio in Single III). Le sculture sono
spesso composite o plurimateriche,
cioè formate di materiali diversi che
l’artista a associato. Quando risultano
da oggetti o frammenti di oggetti
combinati si parla di assemblaggi e
quando si utilizzano oggetti già
esistenti destinati ad altro uso si parla
di Ready made
Istallazioni, Performances, Land Art

• Nel XX secolo la scultura ha allargato i suoi
  confini. A partire dagli anni ‘60, gli artisti
  hanno incominciato a giocare con gli oggetti, i
  materiali, con gli assemblaggi, istallazioni e
  paesaggio. L’opera viene considerata ancora
  scultura, per la sua tridimensionalità; ma può
  inglobare nel suo meccanismo le arti a due
  dimensioni, ricorrendo volontariamente a
  proiezioni, sia di film che di video, sia,
  diapositive o immagini numeriche.
Christian Boltanski, Théatre
    d’ombres, 1984, istallazione
    all’institute of contemporary
    Art, Nagoya, 1990
Succede spesso che gli istallatori
si servono del suono, sotto forma
di registrazioni. Infine le
istallazioni includono qualche
volta lo spazio dove sono
collocate: per qualificare questa
interazione si parla di opera in
situ. Tale è il caso dell’istallazione
chiamata Théatre d’ombres del
francese Christian Boltanski, delle
silhouettes in cartone e in fil di
ferro sospese tramite cavi che un
ventilatore fa muovere mentre
delle luci producono l’effetto
delle ombre proiettate sui muri
circostanti.
Allan Kaprow, «18
Happenings in 6 Parts», 1959,
l’artista nella performance

L’americano Allan Kaprow ha
teorizzato questa interazione che,
assimilando l’opera propriamente
detta, assemblage composito e il
luogo dove è situato, modifica il
rapporto dello spettatore con ciò
che guarda. La relazione non è più
frontale, come nella pittura; e
nemmeno circoambulatoria, nel
senso che non si gira più intorno
ad essa come una scultura a tutto
tondo, ma è intrusiva e lo
spettatore è chiamato a muoversi
in mezzo agli elementi che
costituiscono l’istallazione
propriamente detta. La relazione
creata è vicina a quella che esiste
Walter De Maria, The
  Lighting Field, 1977
  New Messico

La Land Art, letteralmente arte del
paesaggio, che utilizza dalla fine
degli anni ‘60 la natura per creare
opere in scala spesso considerevole
e situate per definizione all’esterno,
modifica ugualmente il rapporto tra
lo spettatore e l’opera. Questa forma
di creazione è, di nuovo, plastico-
tridimensionale e deve molto
all’architettura dei giardini in
particolare. Ma lo spettatore è meno
spesso chiamato a entrare nel
dispositivo creato dall’artista: guarda
da lontano e ha una visione esteriore
dell’opera, ciò che riconduce
quest’arte alla tradizione della
scultura e della pittura di paesaggio.
Arti decorative … arti minori? … e il Design?

L’espressione «arti decorative» designa le forme d’arte
che non sono pittura o scultura o architettura. Si utilizza
anche il termine «arti minori» o suntuarie, tutte in fondo
con una sfumatura negativa. La distinzione tra arti
maggiori e minori è legata al concetto di artista tra il XV e
il XVIII secolo : in questo momento si è cercato di
dissociare il pittore, lo scultore o l’architetto dagli
artigiani, considerati come decoratori. Questa distinzione,
pertanto non ha senso fuori del mondo occidentale. La
tappezzeria, la ceramica, il vetro, i mobili, i tessuti, i vestiti
…. Tutto questo deriva dall’arte. Un vaso e un vestito
possono anche essere dei capolavori. Oggi il design ha
una sua autonomia.
Sonia Delaunay, Abito, 1925 c
Sonia Delaunay (1885 – 1979) di origine
russa e naturalizzata francese, ha messo il
vocabolario di base dell’Orfismo – colori
vivi e forme geometriche, che suo marito
Robert Delaunay utilizzava esclusivamente
per la pittura – al servizio della creazione di
oggetti di arredamento e di moda, tessuti e
abiti dalle differenti materie. Il colore,
"pelle di questo nostro mondo" come lei
stessa lo definì, è stato il centro
dell'esistenza di Sonia Delaunay, insieme al
legame con il pittore Robert Delaunay. I
due giovani si conoscono a Parigi nel 1907
dove Sonia, nata in uno sperduto villaggio
dell'Ucraina nel 1885 e adottata all'età di
cinque anni dal ricco zio materno Henry
Terk di San Pietroburgo - si trasferisce,
dopo aver studiato all'Accademia di Belle
arti di Karlsruhe. Nonostante la sua
educazione cosmopolita, i ricordi della sua
infanzia contadina, dove gli eventi della vita
erano scanditi da feste in abiti tradizionali
dai colori puri, resteranno sempre con lei.
Sonia e Robert si sposano nel 1910, l'anno
successivo nasce Charles.
Lubov Tchernicheva e Yurek
Shabelevsky, 1927
Abiti di
scena di Cleopatra realizzati
da Sonia Delaunay




.
Félix Del Marle, sedia,
tubo d’acciaio cromato e tela,
Parigi, Centre Georges
Pompidou, musée national
d’art moderne

La creazione di un mobile
“minimalista“ nelle forme e
nelle dimensioni, nonché per i
suoi materiali per così dire
poveri presi in prestito
dall’industria, è una
rivoluzione cominciata al
volgere del XX secolo.
Verso il 1930 si impone col
favore dei movimenti artistici
che difendono l’astrazione
geometrica e trae vantaggio
dalla crisi economica che
porta altrove dall’utilizzo delle
materie preziose.
Arte (?) meccanica

L’apparizione della fotografia, datata
tradizionalmente al 1839, e in seguito quella del
cinematografo (1895) marcano una rivoluzione
nel campo dell’arte. Prima l’opera risultava da un
lavoro manuale. Ormai e prima dell’altra
rivoluzione, che è quella dell’immagine digitale,
l’immagine può essere ottenuta attraverso un
procedimento automatico : l’impronta della luce
su una lastra sensibile.
Originale e multiplo

Questa particolarità essenziale si accompagna a un
secondo capovolgimento. Prima della fotografia,
l’opera d’arte era pressoché unica. L’incisione e, per
la scultura, la fusione o il calco, autorizzavano delle
riproduzioni, ma costose e in numero limitato.
All’epoca della fotografia, la tiratura permette una
duplicazione quasi infinita. La nozione di originale si
oscura e l’arte entra « nell’epoca della sua
riproducibilità tecnica », come l’espresse nel 1935 il
filosofo Walter Benjamin. Ne risulta una
moltiplicazione delle immagini che alla fine le
banalizza : in questo senso Benjamin parla della «
perdita dell’aura ».
Immagine in movimento e immagine virtuale



L’avvento del cinema introduce una terza
innovazione. All’immagine fissa e multipla succede
l’immagine in movimento e presto associata al
sonoro. Le frontiere delle arti esplosero. Nella
seconda metà del XX secolo intervengono altre
mutazioni. L’apparizione dei nuovi media
(televisione, video) e le invenzioni tecnologiche (il
numerico) aumentano in proporzioni straordinarie
la produzione delle immagini e ne accelerano la loro
circolazione. Trasformano inoltre lo statuto
dell’opera, sostituendo all’oggetto materiale che
era, una virtualità : un’immagine da schermo.
considerazioni


Le immagini meccaniche così prodotte non sono
necessariamente artistiche. Si possono creare delle
immagini fisse o mobili senza che siano dovute ad un
gesto artistico. Ma gli artisti, negli anni che hanno seguito
l’invenzione di queste nuove tecniche, se ne sono
appropriati. Ne hanno fatto, al posto dei modi di
rappresentazione tradizionali, o in parallelo con questi,
dei mezzi d’espressione legittimi e privilegiati. Il mercato
dell’arte ne tiene conto e l’acquisto di fotografie e di
video da parte di istituzioni e collezionisti è oggi divenuto
una pratica corrente, comportando un limite di tiratura
come per le incisioni o per le fusioni.
Jeff Wall, da “Invisible Man“, Prologo di Ralph
Ellison,1999-2000                                 Pipilotti Rist, Ever is over all, 1997
Ektachrome e cassa luminosa, 174 x 250,5 cm       Video
Basilea, Öffentliche Kunstsammlung,
Fondation Emmanuel Hoffman                        New York, The Museum of Modern Art
Architettura e urbanistica



L’architettura è l’arte di costruire ; l’urbanistica quello di
organizzare gli spazi della città (dal latino urbs). Le istanze
delle due arti sono dunque in primis di tipo funzionale ma non
pancano proponimenti estetici : creare un quadro di vita
armonioso per delle società che diventano, nel corso della
storia, sempre più sedentarie e urbane.
Architettura e urbanistica si differenziano dalle altre arti
perché il loro apprezzamento non è soltanto estetico, ma
deriva da una stima equilibrata che tiene conto si dell’apporto
estetico, ma anche della convenienza funzionale e della
solidità : un edificio deve essere sicuro e durevole.
Ma l’architettura può anche essere simbolica, nel passato
come nel presente
Museo ebraico di Berlino
Qualche considerazione sull’architettura
•   L’architettura ha in effetti una finalità pratica. Fornisce agli uomini un
    riparo dove vivere (casa) una protezione (fortificazione) o un luogo dove
    riunirsi con diverse funzioni, civili, politiche, religiose (comune, stazione,
    ospedale, scuola…), o un simbolo, una memoria (monumento). Nel primo
    secolo, Vitruvio evoca tre criteri : Venustas, Utilitas, Firmitas.
•   In architettura i limiti tecnici e dei materiali sono molto più sensibili che
    nelle altre arti.
•   L’architettura primitiva è fatta di materiali leggeri, soprattutto nel caso di
    popolazioni nomadi. Nei paesi particolarmente secchi si utilizzavano
    mattoni di argilla cruda mischiata ad acqua e paglia. La pietra è stata
    utilizzata da società ricche. Nelle società a tecnologia avanzata, mattoni e
    pietra sono sempre meno utilizzati. Dal 1830 si comincia ad utilizzare la
    ghisa e poco prima del 1900 il cemento armato; il vetro e il metallo son
    stati molto utilizzati dalla fine del XX secolo, ma già dall’architetto tedesco
    Mies Van der Rohe. Il legno, nel contesto ecologico, ha trovato nuova
    diffusione.
•   Le condizioni di realizzazione non sono legate solo ai materiali. La più o
    meno sofisticatezza delle macchine di cantiere e delle tecniche di
    costruzione giocano anche un ruolo decisivo.
La cittadella di Bam (Iran)
prima del terremoto del
2003. Fu iniziata nel X secolo


Nei paesi particolarmente
secchi si utilizzavano
mattoni di argilla cruda
mischiata ad acqua e
paglia (Mura di Gerico,
verso 8.000 a.C.). In
seguito il mattone (argilla
cotta) è stato usato fino ad
oggi. La pietra è stata
utilizzata da società ricche.
Castel del Monte, Andria
(BA), pianta


La pianta determina la forma
dell’edificio che dipende dalla
configurazione del terreno e
della funzione, oltre ad alcune
considerazioni eventualmente
simboliche per determinati
edifici.
Architetture simboliche



• La pianta di edifici pubblici, religiosi o commemorativi
  specialmente, è spesso marcata da un sistema di
  relazioni simboliche e culturali che la legano a un
  messaggio : di fede, a una figura carismatica e/o a una
  visione dell’universo. Citiamo ad esempio la cattedrale
  di Chartres la cupola del Pantheon a Roma, la grande
  moschea di Aleppo.
• Questo è un principio valido anche nel mondo
  contemporaneo. V.
  http://matrekspace.blogspot.fr/2012/04/to-do-
  2342012.html
Il peso della storia
• L’applicazione di nuove tecniche avviene
  facilmente nel caso di edifici di nuovo tipo; ma
  per i monumenti, la cui ragione di esistenza si
  iscrive nella continuità storica, forma e
  decorazione spesso sono debitrici del passato.
• Nell’800 l’architettura di ferro trionfa per i grandi
  magazzini, le stazioni, le esposizioni universali. In
  compenso le chiese sono costruite in pietra,
  materiale storico considerato nobile e dalle forme
  gotiche, bizantine o neoromaniche.
• La scelta di prendere a prestito dal passato le
  forme degli edifici sottintende un atteggiamento
  nostalgico e conservatore. All’inverso, alcune
  nuove società, desiderose di rompere con il
  passato, favoriscono le rotture radicali.
Urbanistica : la ricerca dell’ideale

• Mentre l’architettura concepisce gli edifici, l’urbanistica
  ne gestisce la globalità, li organizza e determina il piano
  della città, si occupa anche di questioni di viabilità, di
  trasporto e di confort degli abitanti.
• Idealmente l’urbanistica sogna una città da costruire
  senza alcuna costrizione a partire dal nulla. Il più delle
  volte l’urbanista è invece costretto ad intervenire sul
  già edificato, cercando di soddisfare le necessità
  dell’epoca in cui vive : Michelangelo, Haussmann, etc…
• Nel XX secolo, la concezione di un piano urbano
  razionale si fonda su due principi : la ripartizione delle
  funzioni e la fluidità del traffico.
• V. My Architect
Sec. XVI - XVII


William Penn, Pianta ideale della   Michelangelo, Piazza del
nuova Philadelphia, 1682            Campidoglio, 1537-1561
Sec. XIX e XX


                                    Lucio Costa e Oscar Niemeyer,
Place de l’Etoile a Parigi          Brasilia, 1957-1960
IL MONDO DECOSTRUITO


•   Nel novembre del 1988 a New York si apre la mostra dal titolo Deconstructivist
    Architecture. Tale esposizione ha come ispiratore Philip Johnson e come curatore
    il giovane Mark Wigley.
•   La mostra presenta sette importanti personalità: Eisenman, Zaha Hadid che non
    aveva realizzato nulla, Gehry, Coop Himmelb(l)au, un sodalizio tra Prix,
    Swiczinsky e Holzer attivi già alla fine degli anni sessanta, Bernard Tschumi,
    Daniel Libeskind e Rem Koolhaas.
•   Tra le molte componenti del successo vi è senz’altro l’invenzione del nome. La
    parola “decostruzione” è infatti piena di echi e di assonanze. Per inverarsi la
    decostruzione ha bisogno di un testo che abbia una riconosciuto valore
    convenzionale, usando un esempio architettonico, la casa in stile olandese a
    Santa Monica di Gerhy potrebbe essere assunta a prototipo convenzionale ,
    infatti il suo essere avvolta con i materiali di scarto dei back yard e investita di
    forze e forme derivate da tutt’altro mondo espressivo, conduce a un esito che
    modifica (decostruisce) il significato delle icone tradizionali. Naturalmente
    quest’interpretazione non ha nulla a che vedere con il “Costruttivismo”.
•   In realtà quello che veramente preme a Jonhson è che nell’ormai “Paese del
    business”, il rinnovamento delle forme sia necessario a mantenere in tensione
    l’architettura e consentirle di aver peso nella società.
Linee e Frecce. Il Lavoro di Daniel Libeskind

Libeskind è un architetto di nuovo
stampo. Vive dentro più culture più
storie più discipline. In lui il concetto
di Layer assume una forza
Drammatica. In questo contesto
nasce il suo capolavoro: L’ala nuova
del Museo ebraico di Berlino. il
museo si trasforma in un linea
spezzata e obliqua sul suolo che è
prima compressa e poi slanciata
verso l’infinito. Chi visita il museo
scende e poi sale, si immerge nelle
fratture, scopre vertiginosi spazi, si
incunea nelle viscere, si immerge e
riemerge. L’edificio rivela che
qualcosa di nuovo sta accadendo.
Con questa opera dopo molti anni,
l’architettura affronta il dramma.
Veronica Del Buono intervista LIbenskind


• V.D.B.: Molti progetti sui quali ha lavorato, come il Museo Ebraico di
  Berlino o Ground Zero a New York sono legati al ricordo di eventi
  passati.
Come esprime tradizione, memoria, culture differenti e altre
  delicati temi (come l’olocausto) attraverso l’architettura?
• D.L.: prima di tutto vorrei dire che l’architettura riguarda sempre la
  memoria, non esiste architettura senza memoria, l’architettura non è un
  esercizio formale di scultura, particolarmente in progetti che hanno a che
  fare con tragedie, con eventi che plasmeranno il nostro futuro.
Bisogna
  saper comunicare attraverso il linguaggio dell’architettura, che è il
  linguaggio della luce, il linguaggio dei materiali, delle proporzioni, il
  linguaggio dell’acustica. Per questo la storia deve essere presa in
  considerazione seriamente, la storia ci insegna ma emozionandoci e la
  memoria per un’opera di architettura, specialmente in edifici che hanno a
  che fare con essa, non è solo un questione secondaria ma un aspetto
  fondamentale perché senza memoria noi saremo completamente perduti.
..
• V.D.B.: Molti dei suoi edifici sono disegnati per la comunità. Oggi, nell’era della
  globalizzazione, lei crede nel valore simbolico ed educativo dell’architettura
  come arte sociale collettiva? Qual è secondo lei il ruolo di un architetto?
• D.L.: ci sono architetture sociali che non hanno a che fare con la sfera privata, ma
  portano invece responsabilità pubbliche e cercano di dialogare e dare forma e
  libertà ad aspirazioni sociali ovunque nel mondo. 
Gli aspetti culturali
  dell’architettura sono davvero fondamentali per quel sentimento di comunità,
  del sentirsi connessi con gli altri e non bisognerebbe parlare solo di un terreno
  comune da condividere, quanto di spazi pensati per dare libertà, per dare voce
  ad ognuno e certamente l’architettura in una città è il palco ideale per quella
  voce.
L’architettura nasce da un pensiero simbolico, perché il linguaggio è
  simbolico, è attraverso simboli che comprendiamo l’ambiente che ci circonda,
  attraverso metafore, ed in questo senso ritorniamo alla definizione di comunità
  perché l’architettura non può prescindere dalla comunità, è la creazione e la
  percezione di cosa è comune e non comune, l’architettura non conferma solo
  nostri desideri, l’architettura ci sfida attraverso le differenti forme di
  comportamento, io credo che questa è la connessione con la tradizione
  dell’architettura, la quale proprio perché è così tradizionale porta sempre
  qualcosa di nuovo in se stessa.
…
•   V.D.B.: Nel suo lavoro un ruolo importante è giocato dallo spazio. Ci può dire la sua
    idea o concetto di spazio sia nel design di esterni che di interni e in relazione con
    gli utenti finali dei suoi progetti?
•   D.L.: mi lasci dire che lo spazio non è solo una questione di cos’è dentro e cos’è
    fuori, lo spazio non è solo una percezione fisica, è qualcosa di sociale e culturale, è
    lo spazio dell’immaginazione, lo spazio del non conosciuto, lo spazio dell’invisibile,
    insomma lo spazio è qualcosa di più di quello che percepiamo attorno a noi e
    questo è certamente il mio fondamentale modo di vedere lo spazio quando mi
    approccio a spazi che creino emozioni.

•   V.D.B.: Nel suo processo creativo quali sono i metodi di ispirazione? Ci sono, a suo
    modo di vedere, momenti più o meno divertenti nella fase progettuale? quali?
•   D.L.: prima di tutto, qualsiasi architettura è sempre celebrazione, se l’architettura
    fosse solo frutto dell’utilizzo di attrezzature o della manipolazione di diversi
    strumenti sarebbe solo lavoro fisico, ma l’architettura è un’arte, un’arte civile, e
    deve essere un’arte inspirata dal tempo, dalle tradizioni, e proprio perché è ispirata
    dalle tradizione può aprire infinite nuove viste e nuovi orizzonti.
Penso che quello
    che sia davvero importante per l’architettura è che ci sono infiniti mondi di
    possibilità, mondi dove ci nuove finestre e nuove porte per accedere alla realtà.
Metafora costruita e nominata. Il museo Kiasma di Steven Holl
Anche nel Museo delle arti “
KIASMA” ad Helsinky, Steven Holl si
muove su un' idea metaforica, mettendo
in gioco il chiasma, inteso sia come figura
retorica nella quale si dispongono in
ordine inverso i membri corrispondenti di
una frase, sia il punto dove le fibre dei
due nervi ottici si incontrano nella cavità
cranica. Senza una volontà comunicativa
Holl non concepisce l’architettura. Qui
parte dall’esterno, dalle forze della città
per manipolare i volumi del suo museo e
da questa imposizione e inversione
rispetto alla funzione contenuta inventa
nuove dinamicità e spazialità. I flussi si
incrociano come nervi, concettuali e
fisici, e dal loro intreccio nasce
l’architettura.
Potsdamer Platz
Gli anni novanta del novecento vedono l’affermazione
ormai matura di una società “post-industriale”. Se della
città industriale il centro propulsore er ala grande
industria e la macchina, della seconda sono i luoghi del
settore terziario. A questo punto due grandi questioni
assumono rilevanza: La prima è quella delle aree
dismesse, la seconda ruota su una riconsiderazione dei
rapporti architettura-natura. Sono temi che
trovano, insieme ad altri, applicazione nel progetto di
Potsdamer Platz a Berlino. Renzo Piano in questo progetto
coinvolge nei singoli progetti altri progettisti (
Isozaki, Rogers; Kollhoff, Moneo, Lauber, Wohr).
La sfida è stata quella di ricostruire il cuore della Berlino
Renzo Piano, Auditorium di Roma
Renzo Piano, Porto di Genova
Il Centro Culturale Jean-Marie Tjibaou in Noumea, il progetto e le strategie
                              utilizzate da Renzo

il progetto di Renzo Piano per
il Centro Culturale Jean-Marie
Tjibaou è stato guidato da due
grandi idee: da un parte
evocare la capacità di
“costruire” con gli elementi
della natura e dall’altra
utilizzare, di fianco a materiali
tradizionali come il legno e la
pietra, anche materiali
“moderni” come il vetro,
alluminio, acciaio e strutture
leggere all’avanguardia.
•   Il Centro Culturale sorge su una penisola
    circondata dal mare, inserita nella
    vegetazione tropicale. È costituito da una
    serie di grandi conchiglie (dei padiglioni
    ogivali di altezza dai 9 ai 24 metri) distribuite
    asimmetricamente lungo un asse principale
    dove sono collocati i servizi di maggiore
    frequentazione del Centro: le esposizioni, la
    sala spettacoli, il ristorante. Una spina
    centrale collega i diversi gruppi di padiglioni
    organizzando la distribuzione dei percorsi e
    ospitando le strutture più pesanti. Lungo un
    asse minore, perpendicolare al primo, sono
    disposti i servizi dedicati allo studio, quali la
    biblioteca e gli spazi per i ricercatori. Il
    Centro più che un museo è quasi una
    “passeggiata” in parte all’aria aperta, in
    parte al chiuso.
•   Le modalità di realizzazione delle
    strutture coniche confermano la simbiosi
    tra la memoria della cultura kanak e
    l’utilizzo di tecniche moderne. Le pareti
    curve sono costituite da tre differenti
    diaframmi che permettono un’efficace
    illuminazione naturale: un sistema di
    tendaggi mobili, una parete lamellare in
    legno e un’ulteriore parete in bambù che
    filtrano la luce e i suoni della foresta
    tropicale, lasciando “cantare” la natura.
    Inoltre le grandi conchiglie che catturano
    il vento permettono di ottenere una
    ventilazione naturale degli ambienti, sia
    convogliando l’aria nella parte inferiore
    della costruzione, sia, attraverso un
    sistema a convezione, inviando
    all’esterno l’aria calda.
Jean Nouvel
 Emergono in questi prima
anni novanta due opere che
determinano nuovi
parametri del progettare. La
prima opera è a fondazione
Cartier a Parigi, completata
nel 1994 dall’architetto
francese Jean Nouvel. Il
largo uso del vetro e di
superfici trasparenti
potrebbero far assimilare
l’edificio a un’aggiornata
applicazione dei canoni del
funzionalismo mentre in
realtà ne costituisce il
superamento.
Jean Nouvel, L’Institut du monde arabe
de meuron herzog architects
Herzog e De Meuron che
progressivamente sviluppano un
interesse verso la ricerca dei molti strati
di significato che il tema della superficie
degli edifici può nascondere. L’opera
che rivela Herzog e De Meuron è la
cabina di manovre ferroviarie rivestita
di rame, realizzata a Basilea nel 1994.
Da un certo punto di vista è l’opposto
della trasparenza di Nouvel si presenta
infatti, come un volume scatolare ma le
cui tessiture vibrazioni, rivelano la
presenza del tema della pelle. Se la
trasparenza con Nouvel diventa
ipersoggettiva e illuminista, la pelle
degli edifici in Herzog e De Meuron si
trasforma da tema di pure superficialità
e decorazione in campo di riflessione.
In entrambi i casi, e anche se con mezzi
molto diversi, gli architetti parlano del
mondo contemporaneo. La luce non è
più trasparente rivelazione ma
portatrice di messaggi mutevoli.
LO SPAZIO SISTEMA IN FRANK GEHRY
Gehry concepisce gli spazi come una scena teatrale la quale è in continua trasformazione
poiché i volumi (personaggi) sembrano muoversi e ballare. L’edificio vive anche senza fruitori ;
quest’ultimi vengono invitati ed accompagnati attraverso spazi vivi, aperti e gioiosi. Gehry
sposta il suo interesse dalla bidimensionalità alla scultura e dalla linea retta alla parabola,
all’arco, introducendo il concetto di “traiettoria”. Le opere chiave di questi concetti sono il
Museo Guggenheim di Bilbao e la Concert Hall Disney a Los Angeles, costituite da un
intrecciarsi ed irradiarsi nello spazio di superfici e linee curve. I temi della plastica futurista
sono qui totalmente penetrati all’interno dell’architettura. Le parole chiave delle architetture di
gehry sono : traiettoria, allusività simbolica e urbanscape (Gehry dimostra che tramite una
concezione plastica, simbolica e urbana si possa rivalutare un’area di basso valore). Con Gehry
si assiste al passaggio dallo spazio organico (spazio conformato secondo la funzione che è
chiamato ad assolvere ) e SPAZIO SISTEMA ;la creazione di uno spazio non è più basata solo sul
suo funzionamento interno ma dipende da diverse considerazioni
( l’ ambiente circostante, lo spazio, l’espressività etc..) concepite come equazioni indipendenti
direttamente concatenate.
Santiago Calatrava


Lo stile di Calatrava combina una
concezione visuale dell'architettura
all'interazione con i principi
dell'ingegneria; i suoi lavori spesso sono
ispirati alle forme ed alle strutture che si
trovano in natura. Mentre per i grandi
architetti-ingegneri come Nervi o
Morandi il momento esperessivo ed
estetico delle strutture è il punto di
arrivo, Calatrava intraprende il discorso
inverso. Calcolo e conoscenza tecnica
sono necessità di approfondimento di
una vocazione che è tutta artistica. In un
caso la forma è la sublimazione più a alta
del calcolo, nell’altro il calcolo è lo
strumento per ottenere la forma.
Calatrava ancor prima di essere
costruttore è imfatti sculture e rinfresca
la complicità e l’interdipendenza che
scultura e architettura avevano nell’opera
di maestri come Michelangelo,
Borromini, e Bernini.
• « Entrando in uno
  spazio architettonico le
  persone dovrebbero
  provare una sensazione
  di armonia, come se
  stessero in un
  paesaggio naturale.
  Proprio qui risiede il
  mio personale concetto
  di lusso. »
• (Zaha Hadid)
Zaha Adid, Stazione della funicolare di Innsbruck, 2002
Anish Kapoor (Bombay, 1945)
Senza titolo (1997) Parco di Colonia
Cloud Gate, Chicago
urning the World Upside Down (1995)
Sky Mirror , Kensington Park, Londra
Anish Kapoor e il mercato (da Art Tribune)


Lui continua a registrare successi con le sue mostre in Italia e nel resto del
mondo, ultimo in ordine di tempo – non certo di prestigio, né di pecunia – il
Praemium Imperiale giapponese. Tanti i fattori che lo rendono una star del
momento: nato nell’esplosiva India, di origini multietniche con padre indiano
e madre irachena, piena padronanza dell’inglese, 56 anni, nel pieno della sua
maturità artistica.
E come vanno le cose, per Anish Kapoor (Bombay, 1954), a
livello di mercato? Figlio del successo dell’arte indiana e dell’entusiasmo verso
la scultura degli ultimi anni, continua a essere uno degli artisti più richiesti in
asta. Come più volte ricordato, l’indice dei prezzi dell’arte indiana si è
moltiplicato esponenzialmente nell’ultima decade e il successo della scultura
e dei multipli è stato confermato dai numerosi record del 2010, tra cui i
€66.4m per Alberto Giacometti, L’Homme qui marche I, e i €43.2m per una
testa di Amedeo Modigliani. Anche secondo Artprice la domanda per la
scultura contemporanea non è mai stata così elevata come in quest’ultimo
periodo, in cui i prezzi sono triplicati rispetto a dieci anni fa.
..
Nel 2006, le sue sculture in alabastro raggiunsero prezzi via via
maggiori, fino a toccare i $2m a novembre (contro la stima di $350-
450.000). L’anno successivo un’altra scultura venne battuta a $2.5m e a
luglio 2008 venne segnato il suo nuovo record a $3.4 m. Il successo
delle sue sculture funzionò da traino anche per i multipli: tra 2004 e
2008 i prezzi quadruplicarono. In galleria i suoi prezzi vanno dai
$300.000 al milione: a Basilea a giugno, alla Lisson Gallery è stata
venduta una scultura nera a muro per $780.000 mentre a Maastricht in
marzo una color magenta a $880.000.
Nel 2010, nella Top 10 dei
migliori risultati d’asta di arte contemporanea indiana, Kapoor occupa
ben 7 posizioni, con il collega Bharti Kher in cima alla classifica, Raqib
Shaw alla quinta posizione e Subodh Gupta in ottava. Kapoor è anche
il più anziano della Top 10, e le 7 opere in questione hanno tutte
superato il mezzo milione di dollari, di cui una il milione (la scultura
Alba ha raggiunto $1.2 m da Sotheby’s New York il 9 novembre 2010).
…
A livello internazionale, la Top 10 della scultura contemporanea vede tre indiani e due
cinesi alle prime posizioni. Tra gli indiani naturalmente c’è anche Kapoor, in seconda
posizione con un fatturato di €6.9 milioni, mentre in testa troviamo l’indiscusso Jeff
Koons con i suoi €11milioni. Le opere maggiormente quotate sono quelle create tra
2003-2005 e il territorio prediletto per le sue vendite è New York.
Anish Kapoor ha un
passato d’asta che va oltre i vent’anni e a parte la breve battuta d’arresto della fine del
2008, il mercato di Kapoor si conferma molto stabile vista la veloce ripresa delle sue
cifre. Le sculture più importanti che hanno cambiato proprietario più volte per cifre a
sei zeri hanno infatti mostrato una grande resistenza alla crisi. Se alla fine del 2008
troviamo il periodo peggiore per Kapoor (e non solo) con clamorosi invenduti, come
un alabastro stimato 2-3 milioni di dollari l’11 novembre e una sua installazione
monumentale in alluminio il 24 dello stesso mese, già il 5 febbraio 2009 a Londra
un’opera in acciaio del 1996 aveva polverizzato la stima massima totalizzando
€936.000.
forti segnali del mercato di Anish Kapoor sono accompagnati da grandiose mostre
organizzate in tutto il mondo. Come ad esempio Monumenta a Parigi fino al 23 giugno
scorso, in cui si trovò a riempire un vasto spazio di 13,500 mq al Grand Palais,
preceduto da artisti come Anselm Kiefer nel 2007, Richard Serra nel 2008 e Christian
Boltanski nel 2010.
E l’anno prossimo (2011), in occasione delle Olimpiadi di Londra,
realizzerà un’imponente scultura di 115 metri di altezza…

Martina Gambillara
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  • 1. Storia dell’arte Anno accademico 2012/2013 Biennio specialistico
  • 2. L’opera al centro della Storia. Metodologia e filologia per la storia dell’arte contemporanea INTRODUZIONE
  • 3.
  • 4.
  • 5. L’opera al centro della storia • Se la Storia dell’arte è una materia che comprende ricerche di vari generi: visive, storiche tout court, sociologiche, etc, al centro della storia dell’arte ci sono gli artisti e le opere. Occorre quindi avere degli strumenti per ben comprendere le opere e conoscere gli artisti. • L’opera è un oggetto creato o meglio realizzato da una persona o da un gruppo di persone : attraverso la storia dell’arte si capiscono le motivazioni che li hanno portati a realizzare quel prodotto in quel modo. • Se, proprio per il concetto di Storia, che comprende il concetto di Tempo, è fondamentale conoscere l’epoca in cui l’opera è stata realizzata. Altresì importante è il luogo. Non tenerne conto vuol dire non voler entrare nelle ragioni che ne hanno permesso l’esistenza. • Ricordarsi sempre che «l’arte genera arte».
  • 6. Strumenti per capire l’arte L’opera è al centro della storia dell’arte. Un certo numero di conoscenze sono indispensabili per ben avvicinarsi. Uomini e donne le hanno create; bisogna comprendere le motivazioni che le hanno spinti ad agire. È il prodotto di un’epoca e di un luogo: questo è sicuramente un fattore decisivo. L’opera si iscrive generalmente in un movimento o in una tendenza particolare, dai contorni confusi o dal progetto ben definito. Non tenerne conto significa esporsi a non penetrare le ragioni che hanno portato alla sua esistenza. Se questo vale soprattutto per l’arte del passato, nell’epoca della globalizzazione non è un concetto obsoleto, ma sempre valido, naturalmente mutatis mutandis.
  • 7. Storia e arte Intanto, attaccarsi ad un approccio storico può portare a mancare l’essenza di ciò che può essere considerata l’essenza stessa dell’opera, quella che ne fa un capolavoro: quella che la distingue dalle opere banali, anche esse create da uomini e donne nel loro tempo. E questo è maggiormente evidente nell’arte contemporanea dove a volte il limite tra banale ed eccezionale è labile, a volte anche volutamente e la banalità può divenire essa stessa strumento e oggetto dell’arte.
  • 8. Arte e linguaggio L’opera visiva, come il testo letterario, come la musica, è l’espressione di un linguaggio. Si serve di materia, associa delle linee, dei colori, dei volumi, si serve degli effetti della luce e delle ombre, come lo scrittore usa le parole e la punteggiatura o il compositore si serve delle note e del ritmo. Per l’artista, come per lo scrittore o il compositore, l’opera deve essere finita : «sans rien en elle qui pèse ou qui pose» (Paul Verlaine), nel senso che tutto deve andare da sé e non sembrare il frutto di un lavoro. L’opera tocca lo spettatore dopo generazioni e a volte anche dopo qualche secolo o millennio. È ancora valido questo concetto?
  • 9. Forme dell’Intenzione Svelare il lavoro della concezione artistica è il compito della Storia dell’arte. Michael Baxandall utilizza questa espressione come titolo di un suo celebre libro, dove ricorda che l’esecuzione dell’opera è per un artista il risultato della risoluzione di diversi problemi e il risultato di una serie di fattori che chiama “agenda” e “incarico”. L’incarico non è solo la committenza…. E nel mondo contemporaneo l’artista può essere committente di se stesso.
  • 10. Il piacere dell’arte • L’opera si impone, il suo effetto persiste dopo che è stata creata; tocca gli spettatori e attraversa le generazioni e spesso secoli e millenni. Crea piacere, ha cioè un valore estetico. • Visitando la chiesa di Santa Croce a Firenze, Stendhal descrive l’emozione provata, e che lo coglie talmente impreparato da metterlo in uno stato di malessere fisico. : «ero arrivato a quel punto d’emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti e dai sentimenti appassionati *…+ il battito del cuore aumentava, sentivo la vita svanire, camminavo con la paura di cadere ». • Tre quarti di secolo più tardi, Paul Claudel descrive la sua conversione brutale in una chiesa parigina, all’ascolto di una musica : «ero in piedi, vicino al secondo pilastro, a destra, accanto alla sacrestia. I ragazzi del coro cantavano ciò che più tardi ho saputo essere il Magnificat. In un istante il mio cuore fu toccato e credetti ». • Raffaele de Fusco intitola in questo modo un suo libro dove sostiene che si può definire arte solo quella produzione che provoca piacere e il piacere dell’arte è dato dalla conoscenza.
  • 11. Making off In queste condizioni ci possiamo se è necessario, legittimo di rivelare le intenzioni dell’artista : rivelare il lavoro di concetto che si fa nello studio, nell’atelier, nella «cucina» della creazione? Nel cinema oggi è di moda il making off: documentari e film, che raccontano la fabbricazione del film. La magia di ciò che è stato creato si trova a volte privata in questo modo. Non è a caso che molti scrittori o poeti distruggevano i loro appunti manoscritti, o che alcuni artisti non facciano entrare nessuno nell’atelier mentre stanno lavorando a un’opera, fin quando questa non è arrivata a uno stadio che li soddisfi.
  • 12. Michelangelo, volta della Cappella Sistina Michelangelo difendeva gelosamente l’accesso ai ponteggi della sistina, impedendo anche al papa stesso di salire
  • 13. Nicolas Poussin, autoritratto Poussin in un autoritratto conservato al Louvre, si mostra davanti ai suoi quadri finiti e addirittura incorniciati, o girati, piuttosto che esibire la realtà delle tele incomplete.
  • 14. Pablo Picasso, Les demmoiselles d’Avignon Picasso e Kahnweiler…
  • 15. L’immediatezza dell’opera Reciprocamente, si potrebbe pensare forse che l’opera possa parlare essa stessa di se stessa. Episodi come quelli che abbiamo raccontato da Stendhal o da Paul Claudel, hanno il merito di ricordare allo storico e al visitatore che la forza, la bellezza, l’efficacia di un’opera non possono risolversi con delle formule. L’effetto prodotto dalle creazioni artistiche non si esplicita sempre con le parole e non risulta unicamente dalla conoscenza della storia o dei procedimenti, ma ognuno può ricevere da esse un messaggio diverso. L’arte barocca puntava in effetti a questo. Freud lo chiamava Inquietante straniamento. Hegel, nella Filosofia dello spirito afferma un legame tra pensiero e linguaggio, voler pensare senza le parole è insensato: se chi prova un’emozione davanti un’opera giudica che questo godimento non gli basta, allora cercherà di capire. Su questo puntano alcuni artisti contemporanei in qualche modo «aggressivi» nei confronti del pubblico.
  • 16. Strumenti per capire l’opera Seguire metodicamente e filologicamente le tappe della creazione artistica - la genesi dell’opera – partire dai materiali, esaminare i percorsi obbligati, entrare nei principi delle scelte dei colori, delle composizioni, analizzare ciò che porta l’artista a trattare un tema o un altro, ad astenersi di abbordarne alcuni o a non voler rappresentare figurazioni : questo è il percorso che faremo insieme.
  • 17. Le differenti arti Tenere conto del materiale, dei mezzi, del formato, del luogo per il quale un’opera è stata creata, cioè prendere in considerazione l’oggetto che è quest’opera nella sua realtà fenomenologica, è indispensabile per apprezzare ciò che in in libro, su uno schermo di pc, o come proiezione sul muro di un’aula, appare come un’immagine piatta, al di fuori di qualsiasi contesto, fuori scala e con effetti di texture difficili da comprendere pienamente. Nel Rinascimento si parlava di arte a tutto tondo e di piatta pittura. La prima espressione si applica alla scultura e a ciò che ora si chiama «istallazione». La seconda indica quelle che per le loro caratteristiche oggettive potremmo parlare di arti a due dimensioni : disegno, incisione, pittura, cioè tutto ciò che è eseguito su un supporto piatto.
  • 18. Edgar Degas, Après le bain, 1898 c.a Pastello su carta, 662 x 650 mm, Parigi, musée d’Orsay
  • 19. Joseph Mallord William Turner, Paesaggio con fiume e baia sullo sfondo, 1835, olio su tela, 93 x 123 cm, Parigi, musée du Louvre La goouache e l’acquarello sono pitture ad acqua. Si praticano su carta o su carta di seta. Il tedesco Dürer a dipinto i primi acquarelli occidentali, intorno al 1500. Il procedimento è stato particolarmente apprezzato dagli artisti che lavoravano in esterno : come Turner nel XIX secolo. Questo tipo di pittura ha bisogno di una carta abbastanza forte da poter assorbire il contenuto di umidità del pigmento; la gouache, che in effetti ha più coprente, vicina alla miniatura, può essere posata su una carta più fina.
  • 20. Jan Van Eick, L’uomo con il turbante, 1433, olio su tela, 26 x 19 cm, Londra, National Gallery Per opere più grandi e comunque mobili, gli artisti hanno dapprima dipinto su legno, fino alla fine del Medioevo, o su una tela tirata su un telaio, un supporto che appare a Venezia verso il 1500. I pigmenti, di origine minerale o vegetale, sono ridotti in polvere e legati, nel Medioevo, con una miscela variabile di acqua, colla, gomma, o emulsione d’uovo, resine, essenze e olio. Nel XV secolo, nelle Fiandre, si diffonde un’altra pratica la pittura ad olio, il cui uso è – se non inventato – sistematizzato da Jan Van Eyck. Il nuovo legante conosce un successo rapido in tutta Europa e cambia il modo di dipingere. Permette di sovrapporre gli strati di colore fini . I quadri ad olio sono caratterizzato dall’aspetto brillante che non ha la tempera.
  • 21. Cave canem, mosaico romano da Pompei, Napoli, museo archeologico nazionale L’italiano mosaico origina dal latino musivum a sua volta dal greco mouseion, cioè che è in rapporto con le muse, le divinità protettrici delle arti, poiché questa forma espressiva era utilizzata probabilmente per decorare le grotte dedicate alle muse. I pezzi di pietra, scelti e piazzati in funzione del loro colore, sono chiamati tasselli. Sono di taglia variabile, grandi per fare gli sfondi, piccoli per i dettagli di un motivo : si parla in questo caso di opus sectile. Se il mosaico è stato ampiamente utilizzato dai romani, è soprattutto nel Medioevo che conobbe maggiore sviluppo, in particolare nell’arte bizantina ed è stato utilizzato anche da altre civilizzazioni, come quella precolombiana, dove c’era l’usanza di ricoprire gli oggetti con questa tecnica.
  • 22. Vetrata, primo quarto del XIII secolo, Chartres, cattedrale di Notre-Dame Costruttore dell’abbazia di Saint-Denis, l’abate Suger (1081-1115) è il padre dello stile gotico in architettura e il grande sostenitore dell’utilizzo delle vetrate, un arte che giudicava fondamentale per elevare il fedele dalla materia alla trascendenza (il vetro, cioè della sabbia purificata dal fuoco che si lascia penetrale dalla luce che è immateriale). Dopo Saint-Denis, la vetrata si è diffusa in tutta l’Europa nel corso del XII e del XIII secolo. Il primo trattato che ne descrive la tecnica è il De diversis artibus del monaco tedesco Teofilo, attivo nella prima metà del XII secolo. In quest’epoca di inizio del gotico, domina il blu; il verde, il giallo e il rosso servono come colori di accompagnamento. In epoca romanica le vetrate, più rare, erano monocrome; a partire dal Rinascimento il blu, che in parte blocca la luce, occupa un posto minimo.
  • 23. La scultura, o le tre dimensioni • La scultura, che lavora il volume, è la più usuale delle arti a tre dimensioni. È anche - grazie alla resistenza dei materiali che vengono utilizzati - l’arte le cui opere si son conservate meglio . • Importante distinguere tra modellato e intagliato, scultura e tutto tondo e rilievo, definire il formato, conoscere i materiali. • Oggi che cos’è la scultura? Scultura vs pittura/ pittura vs scultura
  • 24. Lorenzo Ghiberti, Vita di Giuseppe: la scoperta della coppa d’oro, 1425-52, bronzo dorato, 80 x 79 cm Firenze, battistero .
  • 25. Anonimo italiano, Madonna, 1199, legno, h, 184 cm Berlino, Staatliche Museen .
  • 26. • UNA SCULTURA Anish Kapoor, Mirror CONTEMPORANEA .
  • 27. Aggiungere e levare • Due pratiche si distinguono e in parte si oppongono anche. Una consiste a partire dal nulla e procedere per accumulazione : è il modellato, che utilizza la terra, l’argilla e può portare ad opere da calchi o fuse per esempio in bronzo. L’altra mira a liberare la forma da un blocco : è la scultura per togliere, o di intaglio. Questi due metodi possono essere utilizzati dallo stesso scultore ma spesso gli artisti preferiscono una tecnica o l’altra. Nel Rinascimento Leonardo elabora dei modelli in terra che ingrandisce in seguito e dove pensa di tirare delle fusioni, mentre Michelangelo ama estrarre la forma dal marmo. • Il concetto di Michelangelo viene ripreso da alcuni artisti del ‘900.
  • 28. Tutto tondo e rilievo • Una distinzione fondamentale oppone il tutto tondo al rilievo. Il tutto tondo è un’opera scolpita da tutti i lati : lo sguardo può girare intorno. Quando il tutto tondo rappresenta un corpo si può parlare di statua, altrimenti si impiega il termine più generico di scultura. • Le statue monumentali sono state spesso collocate su dei piedistalli : la questione del piedistallo e la rinuncia ad esso è una faccenda moderna.
  • 29. Michelangelo, Battaglia di Centauri e Lapiti, 1492 ca. marmo, 84 x 90,5 cm Firenze, Casa Buonarroti .
  • 30. Leonardo, Statua equestre, 1516-1519, Bronzo, h. 24,3 cm Budapest, Szépmûvészeti Múzeum La dimensione delle opere e il loro aspetto sono molto legati alle caratteristiche dei materiali : fondere una scultura di grandi dimensioni è una prodezza che appassiona gli scultori italiani da Andrea Pisano (XIV secolo) a Leonardo. Innalzare un cavallo di bronzo nel dinamismo dell’imbizzarrimento, su due zampe e non su quattro, è una sfida per molti scultori.
  • 31. Il formato Ma il formato delle opere dipende anche dalle loro funzioni. Le sculture (così come le pitture) per così dire d’arredamento, di piccola taglia, si oppongono alla scultura monumentale. Sono più commerciali. Ma non tutti gli artisti hanno la possibilità di lavorare su grandi dimensioni e non tutti possono fare istallazioni pubbliche.
  • 32. Louise Bourgeois, Knife woman, 2002 Dal XX secolo, gli scultori ricorrono ad altri materiali oltre a quelli tradizionali: fibre diverse, cemento leggero o gesso su armatura di ferro, plastiche, resine, cartapesta (les Nanas di Niki de Saint-Phalle per esempio), etc. Anche delle materie molli, come la gomma, o dei tessuti, dei quali ha fatto un grande uso l’americana Louise Bourgeois (per esmpio in Single III). Le sculture sono spesso composite o plurimateriche, cioè formate di materiali diversi che l’artista a associato. Quando risultano da oggetti o frammenti di oggetti combinati si parla di assemblaggi e quando si utilizzano oggetti già esistenti destinati ad altro uso si parla di Ready made
  • 33. Istallazioni, Performances, Land Art • Nel XX secolo la scultura ha allargato i suoi confini. A partire dagli anni ‘60, gli artisti hanno incominciato a giocare con gli oggetti, i materiali, con gli assemblaggi, istallazioni e paesaggio. L’opera viene considerata ancora scultura, per la sua tridimensionalità; ma può inglobare nel suo meccanismo le arti a due dimensioni, ricorrendo volontariamente a proiezioni, sia di film che di video, sia, diapositive o immagini numeriche.
  • 34. Christian Boltanski, Théatre d’ombres, 1984, istallazione all’institute of contemporary Art, Nagoya, 1990 Succede spesso che gli istallatori si servono del suono, sotto forma di registrazioni. Infine le istallazioni includono qualche volta lo spazio dove sono collocate: per qualificare questa interazione si parla di opera in situ. Tale è il caso dell’istallazione chiamata Théatre d’ombres del francese Christian Boltanski, delle silhouettes in cartone e in fil di ferro sospese tramite cavi che un ventilatore fa muovere mentre delle luci producono l’effetto delle ombre proiettate sui muri circostanti.
  • 35. Allan Kaprow, «18 Happenings in 6 Parts», 1959, l’artista nella performance L’americano Allan Kaprow ha teorizzato questa interazione che, assimilando l’opera propriamente detta, assemblage composito e il luogo dove è situato, modifica il rapporto dello spettatore con ciò che guarda. La relazione non è più frontale, come nella pittura; e nemmeno circoambulatoria, nel senso che non si gira più intorno ad essa come una scultura a tutto tondo, ma è intrusiva e lo spettatore è chiamato a muoversi in mezzo agli elementi che costituiscono l’istallazione propriamente detta. La relazione creata è vicina a quella che esiste
  • 36. Walter De Maria, The Lighting Field, 1977 New Messico La Land Art, letteralmente arte del paesaggio, che utilizza dalla fine degli anni ‘60 la natura per creare opere in scala spesso considerevole e situate per definizione all’esterno, modifica ugualmente il rapporto tra lo spettatore e l’opera. Questa forma di creazione è, di nuovo, plastico- tridimensionale e deve molto all’architettura dei giardini in particolare. Ma lo spettatore è meno spesso chiamato a entrare nel dispositivo creato dall’artista: guarda da lontano e ha una visione esteriore dell’opera, ciò che riconduce quest’arte alla tradizione della scultura e della pittura di paesaggio.
  • 37. Arti decorative … arti minori? … e il Design? L’espressione «arti decorative» designa le forme d’arte che non sono pittura o scultura o architettura. Si utilizza anche il termine «arti minori» o suntuarie, tutte in fondo con una sfumatura negativa. La distinzione tra arti maggiori e minori è legata al concetto di artista tra il XV e il XVIII secolo : in questo momento si è cercato di dissociare il pittore, lo scultore o l’architetto dagli artigiani, considerati come decoratori. Questa distinzione, pertanto non ha senso fuori del mondo occidentale. La tappezzeria, la ceramica, il vetro, i mobili, i tessuti, i vestiti …. Tutto questo deriva dall’arte. Un vaso e un vestito possono anche essere dei capolavori. Oggi il design ha una sua autonomia.
  • 38. Sonia Delaunay, Abito, 1925 c Sonia Delaunay (1885 – 1979) di origine russa e naturalizzata francese, ha messo il vocabolario di base dell’Orfismo – colori vivi e forme geometriche, che suo marito Robert Delaunay utilizzava esclusivamente per la pittura – al servizio della creazione di oggetti di arredamento e di moda, tessuti e abiti dalle differenti materie. Il colore, "pelle di questo nostro mondo" come lei stessa lo definì, è stato il centro dell'esistenza di Sonia Delaunay, insieme al legame con il pittore Robert Delaunay. I due giovani si conoscono a Parigi nel 1907 dove Sonia, nata in uno sperduto villaggio dell'Ucraina nel 1885 e adottata all'età di cinque anni dal ricco zio materno Henry Terk di San Pietroburgo - si trasferisce, dopo aver studiato all'Accademia di Belle arti di Karlsruhe. Nonostante la sua educazione cosmopolita, i ricordi della sua infanzia contadina, dove gli eventi della vita erano scanditi da feste in abiti tradizionali dai colori puri, resteranno sempre con lei. Sonia e Robert si sposano nel 1910, l'anno successivo nasce Charles.
  • 39. Lubov Tchernicheva e Yurek Shabelevsky, 1927
Abiti di scena di Cleopatra realizzati da Sonia Delaunay .
  • 40. Félix Del Marle, sedia, tubo d’acciaio cromato e tela, Parigi, Centre Georges Pompidou, musée national d’art moderne La creazione di un mobile “minimalista“ nelle forme e nelle dimensioni, nonché per i suoi materiali per così dire poveri presi in prestito dall’industria, è una rivoluzione cominciata al volgere del XX secolo. Verso il 1930 si impone col favore dei movimenti artistici che difendono l’astrazione geometrica e trae vantaggio dalla crisi economica che porta altrove dall’utilizzo delle materie preziose.
  • 41. Arte (?) meccanica L’apparizione della fotografia, datata tradizionalmente al 1839, e in seguito quella del cinematografo (1895) marcano una rivoluzione nel campo dell’arte. Prima l’opera risultava da un lavoro manuale. Ormai e prima dell’altra rivoluzione, che è quella dell’immagine digitale, l’immagine può essere ottenuta attraverso un procedimento automatico : l’impronta della luce su una lastra sensibile.
  • 42. Originale e multiplo Questa particolarità essenziale si accompagna a un secondo capovolgimento. Prima della fotografia, l’opera d’arte era pressoché unica. L’incisione e, per la scultura, la fusione o il calco, autorizzavano delle riproduzioni, ma costose e in numero limitato. All’epoca della fotografia, la tiratura permette una duplicazione quasi infinita. La nozione di originale si oscura e l’arte entra « nell’epoca della sua riproducibilità tecnica », come l’espresse nel 1935 il filosofo Walter Benjamin. Ne risulta una moltiplicazione delle immagini che alla fine le banalizza : in questo senso Benjamin parla della « perdita dell’aura ».
  • 43. Immagine in movimento e immagine virtuale L’avvento del cinema introduce una terza innovazione. All’immagine fissa e multipla succede l’immagine in movimento e presto associata al sonoro. Le frontiere delle arti esplosero. Nella seconda metà del XX secolo intervengono altre mutazioni. L’apparizione dei nuovi media (televisione, video) e le invenzioni tecnologiche (il numerico) aumentano in proporzioni straordinarie la produzione delle immagini e ne accelerano la loro circolazione. Trasformano inoltre lo statuto dell’opera, sostituendo all’oggetto materiale che era, una virtualità : un’immagine da schermo.
  • 44. considerazioni Le immagini meccaniche così prodotte non sono necessariamente artistiche. Si possono creare delle immagini fisse o mobili senza che siano dovute ad un gesto artistico. Ma gli artisti, negli anni che hanno seguito l’invenzione di queste nuove tecniche, se ne sono appropriati. Ne hanno fatto, al posto dei modi di rappresentazione tradizionali, o in parallelo con questi, dei mezzi d’espressione legittimi e privilegiati. Il mercato dell’arte ne tiene conto e l’acquisto di fotografie e di video da parte di istituzioni e collezionisti è oggi divenuto una pratica corrente, comportando un limite di tiratura come per le incisioni o per le fusioni.
  • 45. Jeff Wall, da “Invisible Man“, Prologo di Ralph Ellison,1999-2000 Pipilotti Rist, Ever is over all, 1997 Ektachrome e cassa luminosa, 174 x 250,5 cm Video Basilea, Öffentliche Kunstsammlung, Fondation Emmanuel Hoffman New York, The Museum of Modern Art
  • 46. Architettura e urbanistica L’architettura è l’arte di costruire ; l’urbanistica quello di organizzare gli spazi della città (dal latino urbs). Le istanze delle due arti sono dunque in primis di tipo funzionale ma non pancano proponimenti estetici : creare un quadro di vita armonioso per delle società che diventano, nel corso della storia, sempre più sedentarie e urbane. Architettura e urbanistica si differenziano dalle altre arti perché il loro apprezzamento non è soltanto estetico, ma deriva da una stima equilibrata che tiene conto si dell’apporto estetico, ma anche della convenienza funzionale e della solidità : un edificio deve essere sicuro e durevole. Ma l’architettura può anche essere simbolica, nel passato come nel presente
  • 47. Museo ebraico di Berlino
  • 48. Qualche considerazione sull’architettura • L’architettura ha in effetti una finalità pratica. Fornisce agli uomini un riparo dove vivere (casa) una protezione (fortificazione) o un luogo dove riunirsi con diverse funzioni, civili, politiche, religiose (comune, stazione, ospedale, scuola…), o un simbolo, una memoria (monumento). Nel primo secolo, Vitruvio evoca tre criteri : Venustas, Utilitas, Firmitas. • In architettura i limiti tecnici e dei materiali sono molto più sensibili che nelle altre arti. • L’architettura primitiva è fatta di materiali leggeri, soprattutto nel caso di popolazioni nomadi. Nei paesi particolarmente secchi si utilizzavano mattoni di argilla cruda mischiata ad acqua e paglia. La pietra è stata utilizzata da società ricche. Nelle società a tecnologia avanzata, mattoni e pietra sono sempre meno utilizzati. Dal 1830 si comincia ad utilizzare la ghisa e poco prima del 1900 il cemento armato; il vetro e il metallo son stati molto utilizzati dalla fine del XX secolo, ma già dall’architetto tedesco Mies Van der Rohe. Il legno, nel contesto ecologico, ha trovato nuova diffusione. • Le condizioni di realizzazione non sono legate solo ai materiali. La più o meno sofisticatezza delle macchine di cantiere e delle tecniche di costruzione giocano anche un ruolo decisivo.
  • 49. La cittadella di Bam (Iran) prima del terremoto del 2003. Fu iniziata nel X secolo Nei paesi particolarmente secchi si utilizzavano mattoni di argilla cruda mischiata ad acqua e paglia (Mura di Gerico, verso 8.000 a.C.). In seguito il mattone (argilla cotta) è stato usato fino ad oggi. La pietra è stata utilizzata da società ricche.
  • 50. Castel del Monte, Andria (BA), pianta La pianta determina la forma dell’edificio che dipende dalla configurazione del terreno e della funzione, oltre ad alcune considerazioni eventualmente simboliche per determinati edifici.
  • 51. Architetture simboliche • La pianta di edifici pubblici, religiosi o commemorativi specialmente, è spesso marcata da un sistema di relazioni simboliche e culturali che la legano a un messaggio : di fede, a una figura carismatica e/o a una visione dell’universo. Citiamo ad esempio la cattedrale di Chartres la cupola del Pantheon a Roma, la grande moschea di Aleppo. • Questo è un principio valido anche nel mondo contemporaneo. V. http://matrekspace.blogspot.fr/2012/04/to-do- 2342012.html
  • 52. Il peso della storia • L’applicazione di nuove tecniche avviene facilmente nel caso di edifici di nuovo tipo; ma per i monumenti, la cui ragione di esistenza si iscrive nella continuità storica, forma e decorazione spesso sono debitrici del passato. • Nell’800 l’architettura di ferro trionfa per i grandi magazzini, le stazioni, le esposizioni universali. In compenso le chiese sono costruite in pietra, materiale storico considerato nobile e dalle forme gotiche, bizantine o neoromaniche. • La scelta di prendere a prestito dal passato le forme degli edifici sottintende un atteggiamento nostalgico e conservatore. All’inverso, alcune nuove società, desiderose di rompere con il passato, favoriscono le rotture radicali.
  • 53. Urbanistica : la ricerca dell’ideale • Mentre l’architettura concepisce gli edifici, l’urbanistica ne gestisce la globalità, li organizza e determina il piano della città, si occupa anche di questioni di viabilità, di trasporto e di confort degli abitanti. • Idealmente l’urbanistica sogna una città da costruire senza alcuna costrizione a partire dal nulla. Il più delle volte l’urbanista è invece costretto ad intervenire sul già edificato, cercando di soddisfare le necessità dell’epoca in cui vive : Michelangelo, Haussmann, etc… • Nel XX secolo, la concezione di un piano urbano razionale si fonda su due principi : la ripartizione delle funzioni e la fluidità del traffico. • V. My Architect
  • 54. Sec. XVI - XVII William Penn, Pianta ideale della Michelangelo, Piazza del nuova Philadelphia, 1682 Campidoglio, 1537-1561
  • 55. Sec. XIX e XX Lucio Costa e Oscar Niemeyer, Place de l’Etoile a Parigi Brasilia, 1957-1960
  • 56. IL MONDO DECOSTRUITO • Nel novembre del 1988 a New York si apre la mostra dal titolo Deconstructivist Architecture. Tale esposizione ha come ispiratore Philip Johnson e come curatore il giovane Mark Wigley. • La mostra presenta sette importanti personalità: Eisenman, Zaha Hadid che non aveva realizzato nulla, Gehry, Coop Himmelb(l)au, un sodalizio tra Prix, Swiczinsky e Holzer attivi già alla fine degli anni sessanta, Bernard Tschumi, Daniel Libeskind e Rem Koolhaas. • Tra le molte componenti del successo vi è senz’altro l’invenzione del nome. La parola “decostruzione” è infatti piena di echi e di assonanze. Per inverarsi la decostruzione ha bisogno di un testo che abbia una riconosciuto valore convenzionale, usando un esempio architettonico, la casa in stile olandese a Santa Monica di Gerhy potrebbe essere assunta a prototipo convenzionale , infatti il suo essere avvolta con i materiali di scarto dei back yard e investita di forze e forme derivate da tutt’altro mondo espressivo, conduce a un esito che modifica (decostruisce) il significato delle icone tradizionali. Naturalmente quest’interpretazione non ha nulla a che vedere con il “Costruttivismo”. • In realtà quello che veramente preme a Jonhson è che nell’ormai “Paese del business”, il rinnovamento delle forme sia necessario a mantenere in tensione l’architettura e consentirle di aver peso nella società.
  • 57. Linee e Frecce. Il Lavoro di Daniel Libeskind Libeskind è un architetto di nuovo stampo. Vive dentro più culture più storie più discipline. In lui il concetto di Layer assume una forza Drammatica. In questo contesto nasce il suo capolavoro: L’ala nuova del Museo ebraico di Berlino. il museo si trasforma in un linea spezzata e obliqua sul suolo che è prima compressa e poi slanciata verso l’infinito. Chi visita il museo scende e poi sale, si immerge nelle fratture, scopre vertiginosi spazi, si incunea nelle viscere, si immerge e riemerge. L’edificio rivela che qualcosa di nuovo sta accadendo. Con questa opera dopo molti anni, l’architettura affronta il dramma.
  • 58. Veronica Del Buono intervista LIbenskind • V.D.B.: Molti progetti sui quali ha lavorato, come il Museo Ebraico di Berlino o Ground Zero a New York sono legati al ricordo di eventi passati.
Come esprime tradizione, memoria, culture differenti e altre delicati temi (come l’olocausto) attraverso l’architettura? • D.L.: prima di tutto vorrei dire che l’architettura riguarda sempre la memoria, non esiste architettura senza memoria, l’architettura non è un esercizio formale di scultura, particolarmente in progetti che hanno a che fare con tragedie, con eventi che plasmeranno il nostro futuro.
Bisogna saper comunicare attraverso il linguaggio dell’architettura, che è il linguaggio della luce, il linguaggio dei materiali, delle proporzioni, il linguaggio dell’acustica. Per questo la storia deve essere presa in considerazione seriamente, la storia ci insegna ma emozionandoci e la memoria per un’opera di architettura, specialmente in edifici che hanno a che fare con essa, non è solo un questione secondaria ma un aspetto fondamentale perché senza memoria noi saremo completamente perduti.
  • 59. .. • V.D.B.: Molti dei suoi edifici sono disegnati per la comunità. Oggi, nell’era della globalizzazione, lei crede nel valore simbolico ed educativo dell’architettura come arte sociale collettiva? Qual è secondo lei il ruolo di un architetto? • D.L.: ci sono architetture sociali che non hanno a che fare con la sfera privata, ma portano invece responsabilità pubbliche e cercano di dialogare e dare forma e libertà ad aspirazioni sociali ovunque nel mondo. 
Gli aspetti culturali dell’architettura sono davvero fondamentali per quel sentimento di comunità, del sentirsi connessi con gli altri e non bisognerebbe parlare solo di un terreno comune da condividere, quanto di spazi pensati per dare libertà, per dare voce ad ognuno e certamente l’architettura in una città è il palco ideale per quella voce.
L’architettura nasce da un pensiero simbolico, perché il linguaggio è simbolico, è attraverso simboli che comprendiamo l’ambiente che ci circonda, attraverso metafore, ed in questo senso ritorniamo alla definizione di comunità perché l’architettura non può prescindere dalla comunità, è la creazione e la percezione di cosa è comune e non comune, l’architettura non conferma solo nostri desideri, l’architettura ci sfida attraverso le differenti forme di comportamento, io credo che questa è la connessione con la tradizione dell’architettura, la quale proprio perché è così tradizionale porta sempre qualcosa di nuovo in se stessa.
  • 60. … • V.D.B.: Nel suo lavoro un ruolo importante è giocato dallo spazio. Ci può dire la sua idea o concetto di spazio sia nel design di esterni che di interni e in relazione con gli utenti finali dei suoi progetti? • D.L.: mi lasci dire che lo spazio non è solo una questione di cos’è dentro e cos’è fuori, lo spazio non è solo una percezione fisica, è qualcosa di sociale e culturale, è lo spazio dell’immaginazione, lo spazio del non conosciuto, lo spazio dell’invisibile, insomma lo spazio è qualcosa di più di quello che percepiamo attorno a noi e questo è certamente il mio fondamentale modo di vedere lo spazio quando mi approccio a spazi che creino emozioni. • V.D.B.: Nel suo processo creativo quali sono i metodi di ispirazione? Ci sono, a suo modo di vedere, momenti più o meno divertenti nella fase progettuale? quali? • D.L.: prima di tutto, qualsiasi architettura è sempre celebrazione, se l’architettura fosse solo frutto dell’utilizzo di attrezzature o della manipolazione di diversi strumenti sarebbe solo lavoro fisico, ma l’architettura è un’arte, un’arte civile, e deve essere un’arte inspirata dal tempo, dalle tradizioni, e proprio perché è ispirata dalle tradizione può aprire infinite nuove viste e nuovi orizzonti.
Penso che quello che sia davvero importante per l’architettura è che ci sono infiniti mondi di possibilità, mondi dove ci nuove finestre e nuove porte per accedere alla realtà.
  • 61. Metafora costruita e nominata. Il museo Kiasma di Steven Holl Anche nel Museo delle arti “ KIASMA” ad Helsinky, Steven Holl si muove su un' idea metaforica, mettendo in gioco il chiasma, inteso sia come figura retorica nella quale si dispongono in ordine inverso i membri corrispondenti di una frase, sia il punto dove le fibre dei due nervi ottici si incontrano nella cavità cranica. Senza una volontà comunicativa Holl non concepisce l’architettura. Qui parte dall’esterno, dalle forze della città per manipolare i volumi del suo museo e da questa imposizione e inversione rispetto alla funzione contenuta inventa nuove dinamicità e spazialità. I flussi si incrociano come nervi, concettuali e fisici, e dal loro intreccio nasce l’architettura.
  • 62.
  • 63. Potsdamer Platz Gli anni novanta del novecento vedono l’affermazione ormai matura di una società “post-industriale”. Se della città industriale il centro propulsore er ala grande industria e la macchina, della seconda sono i luoghi del settore terziario. A questo punto due grandi questioni assumono rilevanza: La prima è quella delle aree dismesse, la seconda ruota su una riconsiderazione dei rapporti architettura-natura. Sono temi che trovano, insieme ad altri, applicazione nel progetto di Potsdamer Platz a Berlino. Renzo Piano in questo progetto coinvolge nei singoli progetti altri progettisti ( Isozaki, Rogers; Kollhoff, Moneo, Lauber, Wohr). La sfida è stata quella di ricostruire il cuore della Berlino
  • 65. Renzo Piano, Porto di Genova
  • 66. Il Centro Culturale Jean-Marie Tjibaou in Noumea, il progetto e le strategie utilizzate da Renzo il progetto di Renzo Piano per il Centro Culturale Jean-Marie Tjibaou è stato guidato da due grandi idee: da un parte evocare la capacità di “costruire” con gli elementi della natura e dall’altra utilizzare, di fianco a materiali tradizionali come il legno e la pietra, anche materiali “moderni” come il vetro, alluminio, acciaio e strutture leggere all’avanguardia.
  • 67. Il Centro Culturale sorge su una penisola circondata dal mare, inserita nella vegetazione tropicale. È costituito da una serie di grandi conchiglie (dei padiglioni ogivali di altezza dai 9 ai 24 metri) distribuite asimmetricamente lungo un asse principale dove sono collocati i servizi di maggiore frequentazione del Centro: le esposizioni, la sala spettacoli, il ristorante. Una spina centrale collega i diversi gruppi di padiglioni organizzando la distribuzione dei percorsi e ospitando le strutture più pesanti. Lungo un asse minore, perpendicolare al primo, sono disposti i servizi dedicati allo studio, quali la biblioteca e gli spazi per i ricercatori. Il Centro più che un museo è quasi una “passeggiata” in parte all’aria aperta, in parte al chiuso.
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  • 72. Le modalità di realizzazione delle strutture coniche confermano la simbiosi tra la memoria della cultura kanak e l’utilizzo di tecniche moderne. Le pareti curve sono costituite da tre differenti diaframmi che permettono un’efficace illuminazione naturale: un sistema di tendaggi mobili, una parete lamellare in legno e un’ulteriore parete in bambù che filtrano la luce e i suoni della foresta tropicale, lasciando “cantare” la natura. Inoltre le grandi conchiglie che catturano il vento permettono di ottenere una ventilazione naturale degli ambienti, sia convogliando l’aria nella parte inferiore della costruzione, sia, attraverso un sistema a convezione, inviando all’esterno l’aria calda.
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  • 75. Jean Nouvel Emergono in questi prima anni novanta due opere che determinano nuovi parametri del progettare. La prima opera è a fondazione Cartier a Parigi, completata nel 1994 dall’architetto francese Jean Nouvel. Il largo uso del vetro e di superfici trasparenti potrebbero far assimilare l’edificio a un’aggiornata applicazione dei canoni del funzionalismo mentre in realtà ne costituisce il superamento.
  • 76. Jean Nouvel, L’Institut du monde arabe
  • 77. de meuron herzog architects Herzog e De Meuron che progressivamente sviluppano un interesse verso la ricerca dei molti strati di significato che il tema della superficie degli edifici può nascondere. L’opera che rivela Herzog e De Meuron è la cabina di manovre ferroviarie rivestita di rame, realizzata a Basilea nel 1994. Da un certo punto di vista è l’opposto della trasparenza di Nouvel si presenta infatti, come un volume scatolare ma le cui tessiture vibrazioni, rivelano la presenza del tema della pelle. Se la trasparenza con Nouvel diventa ipersoggettiva e illuminista, la pelle degli edifici in Herzog e De Meuron si trasforma da tema di pure superficialità e decorazione in campo di riflessione. In entrambi i casi, e anche se con mezzi molto diversi, gli architetti parlano del mondo contemporaneo. La luce non è più trasparente rivelazione ma portatrice di messaggi mutevoli.
  • 78. LO SPAZIO SISTEMA IN FRANK GEHRY
  • 79. Gehry concepisce gli spazi come una scena teatrale la quale è in continua trasformazione poiché i volumi (personaggi) sembrano muoversi e ballare. L’edificio vive anche senza fruitori ; quest’ultimi vengono invitati ed accompagnati attraverso spazi vivi, aperti e gioiosi. Gehry sposta il suo interesse dalla bidimensionalità alla scultura e dalla linea retta alla parabola, all’arco, introducendo il concetto di “traiettoria”. Le opere chiave di questi concetti sono il Museo Guggenheim di Bilbao e la Concert Hall Disney a Los Angeles, costituite da un intrecciarsi ed irradiarsi nello spazio di superfici e linee curve. I temi della plastica futurista sono qui totalmente penetrati all’interno dell’architettura. Le parole chiave delle architetture di gehry sono : traiettoria, allusività simbolica e urbanscape (Gehry dimostra che tramite una concezione plastica, simbolica e urbana si possa rivalutare un’area di basso valore). Con Gehry si assiste al passaggio dallo spazio organico (spazio conformato secondo la funzione che è chiamato ad assolvere ) e SPAZIO SISTEMA ;la creazione di uno spazio non è più basata solo sul suo funzionamento interno ma dipende da diverse considerazioni ( l’ ambiente circostante, lo spazio, l’espressività etc..) concepite come equazioni indipendenti direttamente concatenate.
  • 80. Santiago Calatrava Lo stile di Calatrava combina una concezione visuale dell'architettura all'interazione con i principi dell'ingegneria; i suoi lavori spesso sono ispirati alle forme ed alle strutture che si trovano in natura. Mentre per i grandi architetti-ingegneri come Nervi o Morandi il momento esperessivo ed estetico delle strutture è il punto di arrivo, Calatrava intraprende il discorso inverso. Calcolo e conoscenza tecnica sono necessità di approfondimento di una vocazione che è tutta artistica. In un caso la forma è la sublimazione più a alta del calcolo, nell’altro il calcolo è lo strumento per ottenere la forma. Calatrava ancor prima di essere costruttore è imfatti sculture e rinfresca la complicità e l’interdipendenza che scultura e architettura avevano nell’opera di maestri come Michelangelo, Borromini, e Bernini.
  • 81. • « Entrando in uno spazio architettonico le persone dovrebbero provare una sensazione di armonia, come se stessero in un paesaggio naturale. Proprio qui risiede il mio personale concetto di lusso. » • (Zaha Hadid)
  • 82. Zaha Adid, Stazione della funicolare di Innsbruck, 2002
  • 84. Senza titolo (1997) Parco di Colonia
  • 86. urning the World Upside Down (1995)
  • 87. Sky Mirror , Kensington Park, Londra
  • 88. Anish Kapoor e il mercato (da Art Tribune) Lui continua a registrare successi con le sue mostre in Italia e nel resto del mondo, ultimo in ordine di tempo – non certo di prestigio, né di pecunia – il Praemium Imperiale giapponese. Tanti i fattori che lo rendono una star del momento: nato nell’esplosiva India, di origini multietniche con padre indiano e madre irachena, piena padronanza dell’inglese, 56 anni, nel pieno della sua maturità artistica.
E come vanno le cose, per Anish Kapoor (Bombay, 1954), a livello di mercato? Figlio del successo dell’arte indiana e dell’entusiasmo verso la scultura degli ultimi anni, continua a essere uno degli artisti più richiesti in asta. Come più volte ricordato, l’indice dei prezzi dell’arte indiana si è moltiplicato esponenzialmente nell’ultima decade e il successo della scultura e dei multipli è stato confermato dai numerosi record del 2010, tra cui i €66.4m per Alberto Giacometti, L’Homme qui marche I, e i €43.2m per una testa di Amedeo Modigliani. Anche secondo Artprice la domanda per la scultura contemporanea non è mai stata così elevata come in quest’ultimo periodo, in cui i prezzi sono triplicati rispetto a dieci anni fa.
  • 89. .. Nel 2006, le sue sculture in alabastro raggiunsero prezzi via via maggiori, fino a toccare i $2m a novembre (contro la stima di $350- 450.000). L’anno successivo un’altra scultura venne battuta a $2.5m e a luglio 2008 venne segnato il suo nuovo record a $3.4 m. Il successo delle sue sculture funzionò da traino anche per i multipli: tra 2004 e 2008 i prezzi quadruplicarono. In galleria i suoi prezzi vanno dai $300.000 al milione: a Basilea a giugno, alla Lisson Gallery è stata venduta una scultura nera a muro per $780.000 mentre a Maastricht in marzo una color magenta a $880.000.
Nel 2010, nella Top 10 dei migliori risultati d’asta di arte contemporanea indiana, Kapoor occupa ben 7 posizioni, con il collega Bharti Kher in cima alla classifica, Raqib Shaw alla quinta posizione e Subodh Gupta in ottava. Kapoor è anche il più anziano della Top 10, e le 7 opere in questione hanno tutte superato il mezzo milione di dollari, di cui una il milione (la scultura Alba ha raggiunto $1.2 m da Sotheby’s New York il 9 novembre 2010).
  • 90. … A livello internazionale, la Top 10 della scultura contemporanea vede tre indiani e due cinesi alle prime posizioni. Tra gli indiani naturalmente c’è anche Kapoor, in seconda posizione con un fatturato di €6.9 milioni, mentre in testa troviamo l’indiscusso Jeff Koons con i suoi €11milioni. Le opere maggiormente quotate sono quelle create tra 2003-2005 e il territorio prediletto per le sue vendite è New York.
Anish Kapoor ha un passato d’asta che va oltre i vent’anni e a parte la breve battuta d’arresto della fine del 2008, il mercato di Kapoor si conferma molto stabile vista la veloce ripresa delle sue cifre. Le sculture più importanti che hanno cambiato proprietario più volte per cifre a sei zeri hanno infatti mostrato una grande resistenza alla crisi. Se alla fine del 2008 troviamo il periodo peggiore per Kapoor (e non solo) con clamorosi invenduti, come un alabastro stimato 2-3 milioni di dollari l’11 novembre e una sua installazione monumentale in alluminio il 24 dello stesso mese, già il 5 febbraio 2009 a Londra un’opera in acciaio del 1996 aveva polverizzato la stima massima totalizzando €936.000. forti segnali del mercato di Anish Kapoor sono accompagnati da grandiose mostre organizzate in tutto il mondo. Come ad esempio Monumenta a Parigi fino al 23 giugno scorso, in cui si trovò a riempire un vasto spazio di 13,500 mq al Grand Palais, preceduto da artisti come Anselm Kiefer nel 2007, Richard Serra nel 2008 e Christian Boltanski nel 2010.
E l’anno prossimo (2011), in occasione delle Olimpiadi di Londra, realizzerà un’imponente scultura di 115 metri di altezza… 
Martina Gambillara