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Giuseppe Garibaldi e la spedizione dei Mille
Biografia di Giuseppe Garibaldi
Giuseppe Garibaldi nasce a Nizza il 4 luglio 1807. Carattere irrequieto e
desideroso di avventura, già da giovanissimo si imbarca come marinaio per
intraprendere la vita sul mare.
Nel 1832, appena venticinquenne è capitano di un mercantile e nello stesso
periodo inizia ad avvicinarsi ai movimenti patriottici europei ed italiani (come,
ad esempio quello mazziniano della "Giovine Italia"), e ad abbracciarne gli
ideali di libertà ed indipendenza.
Nel 1836 sbarca a Rio de Janeiro e da qui inizia il periodo, che durerà fino al
1848, in cui si impegnerà in varie imprese di guerra in America Latina.
Combatte in Brasile e in Uruguay ed accumula una grande esperienza nelle
tattiche della guerriglia basate sul movimento e sulle azioni a sorpresa. Questa
esperienza avrà un grande valore per la formazione di Giuseppe Garibaldi sia
come condottiero di uomini sia come tattico imprevedibile.
Nel 1848 torna in Italia dove sono scoppiati i moti di indipendenza, che
vedranno le celebri Cinque Giornate di Milano. Nel 1849 partecipa alla difesa
della Repubblica Romana insieme a Mazzini, Pisacane, Mameli e Manara, ed è
l'anima delle forze repubblicane durante i combattimenti contro i francesi
alleati di Papa Pio IX. Purtroppo i repubblicani devono cedere alla
preponderanza delle forze nemiche e Garibaldi il 2 Luglio 1849 deve
abbandonare Roma.
Di qui, passando per vie pericolosissime lungo le quali perde molti compagni
fedeli, tra i quali l'adorata moglie Anita, riesce a raggiungere il territorio del
Regno di Sardegna.
Inizia quindi un periodo di vagabondaggio per il mondo, per lo più via mare,
che lo porta infine nel 1857 a Caprera.
Garibaldi tuttavia non abbandona gli ideali unitari e nel 1858-1859 si incontra
con Cavour e Vittorio Emanuele, che lo autorizzano a costituire un corpo di
volontari, corpo che fu denominato "Cacciatori delle Alpi" e al cui comando fu
posto lo stesso Garibaldi.
Partecipa alla Seconda Guerra di Indipendenza cogliendo vari successi ma
l'armistizio di Villafranca interrompe le sue operazioni e dei suoi Cacciatori.
Nel 1860 Giuseppe Garibaldi è promotore e capo della spedizione dei Mille;
salpa da Quarto(GE) il 6 maggio 1860 e sbarca a Marsala cinque giorni dopo.
Da Marsala inizia la sua marcia trionfale; batte i Borboni a Calatafimi, giunge a
Milazzo, prende Palermo, Messina, Siracusa e libera completamente la Sicilia.
I1 19 agosto sbarca in Calabria e, muovendosi molto rapidamente, getta lo
scompiglio nelle file borboniche, conquista Reggio, Cosenza, Salerno; il 7
settembre entra a Napoli, abbandonata dal re Francesco I ed infine sconfigge
definitivamente i borbonici sul Volturno.
I1 26 ottobre Garibaldi si incontra a Vairano con Vittorio Emanuele e depone
nelle sue mani i territori conquistati: si ritira quindi nuovamente a Caprera,
sempre pronto per combattere per gli ideali nazionali.
Nel 1862 si mette alla testa di una spedizione di volontari al fine di liberare
Roma dal governo papalino, ma l'impresa è osteggiata dai Piemontesi dai quali
viene fermato il 29 agosto 1862 ad Aspromonte.
Imprigionato e poi liberato ripara nuovamente su Caprera, pur rimanendo in
contatto con i movimenti patriottici che agiscono in Europa.
Nel 1866 partecipa alla Terza Guerra di Indipendenza al comando di Reparti
Volontari. Opera nel Trentino e qui coglie la vittoria di Bezzecca (21 luglio
1866) ma, nonostante la situazione favorevole in cui si era posto nei confronti
degli austriaci, Garibaldi deve sgomberare il territorio Trentino dietro ordine dei
Piemontesi, al cui dispaccio risponde con quel "Obbedisco", rimasto famoso.
Nel 1867 è nuovamente a capo di una spedizione che mira alla liberazione di
Roma, ma il tentativo fallisce con la sconfitta delle forze garibaldine a Mentana
per mano dei Franco-Pontifici.
Nel 1871 partecipa alla sua ultima impresa bellica combattendo per i francesi
nella guerra Franco-Prussiana dove, sebbene riesca a cogliere alcuni successi,
nulla può per evitare la sconfitta finale della Francia.
Torna infine a Caprera, dove passerà gli ultimi anni e dove si spegnerà il 2
giugno 1882.
La spedizione dei Mille e l'unità d'Italia
In Italia nella primavera del 1860 la situazione politica era molto fluida e lo
stesso Cavour cominciava a pensare alla possibilità di un’unificazione della
penisola. Le difficoltà erano tuttavia ancora notevoli perché la Francia non
avrebbe accettato un attacco piemontese contro lo Stato Pontificio e il Regno
Borbonico, quest’ultimo difeso sul piano diplomatico anche dalla Russia;
l’Austria, dal canto suo, avrebbe potuto approfittare di ogni passo falso per
reinserirsi nel gioco politico italiano.
Ma il problema più grave consisteva nel fatto che l’armistizio di Villafranca e la
cessione alla Francia di Nizza e della Savoia avevano screditato la politica
sabauda presso l’opinione italiana, per cui nella primavera del ’60 sembrava
più facile una iniziativa democratico - repubblicana, che trovava il suo centro
nel "partito d’azione" il quale aveva il vantaggio di poter agire al di fuori di ogni
impedimento diplomatico e contava sull’enorme popolarità di Garibaldi.
Il "partito d'azione" non era un gruppo omogeneo di persone che avevano le
stesse finalità e idealità politiche; era un organismo di agitazione e propaganda
cui facevano capo sia i repubblicani mazziniani sia i democratici decisi
all’azione come Pisacane e Garibaldi.
A dare l’avvio a una ripresa rivoluzionaria furono gli eventi siciliani quando,
contro il giovane e inesperto sovrano Francesco II, nell’aprile del ’60 esplose
l’ennesima rivolta a Palermo. Il partito d’azione convinse Garibaldi ad agire
direttamente in Sicilia, anche perché Vittorio Emanuele,

era disposto ad

aiutare i volontari, contro il parere di Cavour il quale, come primo ministro,
non poteva compromettersi specialmente agli occhi di Napoleone. Dal canto
suo il Mazzini esortava tutti ad agire concordemente al fine di realizzare l’unità
della penisola.
Garibaldi ai primi di maggio del ’60 passava all’azione con i suoi Mille volontari.
Partiti da Genova, dopo una breve tappa nel porticciolo di Talamone, dove una
piccola colonna lasciò Garibaldi per marciare direttamente su Roma, la
spedizione raggiunse per mare la Sicilia occidentale e l’11 maggio sbarcò a
Marsala. Garibaldi, assunta la dittatura in nome di Vittorio Emanuele, marciò
verso l’interno con i suoi Mille, che rivestivano l’ormai leggendaria camicia
rossa, rinforzati da "picciotti" cioè dai giovani contadini e braccianti che
speravano in una riforma agraria che una volta per tutte eliminasse tanti
soprusi ed ingiustizie.
In seguito l’entusiasmo dei contadini che miravano a impossessarsi delle terre
demaniali, promesse dallo stesso Garibaldi, fu deluso perché Garibaldi e i
politici della sinistra garibaldina e mazziniana volevano il successo militare
della spedizione. Tra la fine di giugno e di luglio il generale, per il successo
della spedizione, cominciò a stringere rapporti con i grandi proprietari terrieri, i
quali, perché non cambiasse niente per loro, erano disposti ad assumere
atteggiamenti liberali e favorevoli a Casa Savoia. I contadini cominciarono a
guardare con diffidenza alla politica di Garibaldi, soprattutto dopo che i
garibaldini repressero i moti rurali, anche quando i contadini, in perfetta
legalità, richiedevano la divisione dei terreni demaniali a suo tempo promessi
dal "generale".
Battuti i borbonici nella difficile battaglia di Calatafimi, il 15 maggio Garibaldi
occupava Palermo e nel luglio batteva ancora le truppe regie a Milazzo, mentre
il sovrano di Napoli tentava disperatamente di fermarlo, concedendo una
tardiva Costituzione e affidando il governo a Liborio Romano. Una speranza
vana e una fiducia mal riposta: il Romano, d’accordo con Cavour cercò di
provocare in Napoli un moto di moderati monarchici, allo scopo di precedere
Garibaldi alla liberazione del napoletano. Intanto Garibaldi, superato lo stretto
di Messina, risaliva liberamente la Calabria mentre l’esercito borbonico si
disfaceva e il 7 settembre entrava in Napoli; Francesco II si rifugiava allora a
Gaeta, protetta ancora da una parte

del suo esercito, nonostante

il

"tradimento" di buona parte dell'ufficialità.
Praticamente l’Italia meridionale era libera, nonostante attorno a Gaeta si
raccogliessero ancora forti contingenti di truppe borboniche e le piazzeforti di
Civitella del Tronto e di Messina non si fossero arrese. Era il momento di
prendere decisioni definitive, che avrebbero pesato sul destino di tutta la
penisola.
Mazzini che aveva raggiunto Garibaldi a Napoli premeva perché si evitasse il
solito plebiscito a favore della monarchia sabauda e insisteva sul progetto di
una "Assemblea Costituente" che decidesse del nuovo assetto da dare all’Italia,
anche se egli avvertiva chiaramente che ormai il principio monarchico aveva
avuto partita vinta. Garibaldi dal canto suo, pensava di risalire con le truppe
verso Nord per raggiungere Roma e di lì proclamare l’Unità d’Italia.
Il Cavour, infine, si rendeva perfettamente conto della gravità della situazione;
egli era consapevole che tra le file garibaldine i democratici ed i repubblicani
erano molto forti e decisi a realizzare riforme sociali molto ardite, come
l’assegnazione di terre ai combattenti meridionali e lo scorporo del latifondo
anche a danno degli ordini religiosi. Temeva anche, a ragione, che l'invasione
garibaldina del Lazio, oltre a suscitare in tutta la penisola un’ondata di
entusiasmo democratico e anticlericale, avrebbe indotto l’imperatore francese a
intervenire con le armi. Ancora una volta fu abilissimo a trasformare in
vantaggio la propria debolezza: ancora una volta seppe agire abilmente su
Napoleone. Prospettatogli lo spettro della formazione di una repubblica
mazziniana e anticlericale nell’Italia centro meridionale, lo stesso imperatore
sollecitò il Cavour a fare intervenire l’esercito regolare piemontese, che, al
comando dei generali Fanti e Cialdini, penetrò nelle Marche e batté l’esercito
papale, che tentava di sbarrargli il passaggio il 18 settembre 1860 a
Castelfidardo. Nel frattempo, con la battaglia del Volturno, Garibaldi stroncava
un estremo tentativo di riscossa dei borbonici, che erano costretti a
rinchiudersi a Gaeta. L'incontro del 26 ottobre, a Teano, tra Garibaldi e Vittorio
Emanuele poneva fine alla spedizione di Garibaldi e di fatto assicurava alla
dinastia sabauda il Regno delle due Sicilie.
Le truppe garibaldine, non furono incorporate nell’esercito regolare, come era
stato richiesto, e il re si rifiutò perfino di passarle in rivista. In conseguenza di
questo atteggiamento, Garibaldi, deluso e sdegnato, si ritirò a Caprera.
Il 17 marzo il nuovo Parlamento italiano riunito a Torino poteva ratificare
l’avvenuta unificazione, attribuendo a Vittorio Emanuele II il titolo di "re
d’Italia"; il 26 marzo il Parlamento approvava un voto solenne che auspicava
Roma capitale d’Italia. Il processo risorgimentale e unitario era praticamente
compiuto, anche se il Lazio e le Venezie rimanevano escluse.

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  • 1. Giuseppe Garibaldi e la spedizione dei Mille Biografia di Giuseppe Garibaldi Giuseppe Garibaldi nasce a Nizza il 4 luglio 1807. Carattere irrequieto e desideroso di avventura, già da giovanissimo si imbarca come marinaio per intraprendere la vita sul mare. Nel 1832, appena venticinquenne è capitano di un mercantile e nello stesso periodo inizia ad avvicinarsi ai movimenti patriottici europei ed italiani (come, ad esempio quello mazziniano della "Giovine Italia"), e ad abbracciarne gli ideali di libertà ed indipendenza. Nel 1836 sbarca a Rio de Janeiro e da qui inizia il periodo, che durerà fino al 1848, in cui si impegnerà in varie imprese di guerra in America Latina. Combatte in Brasile e in Uruguay ed accumula una grande esperienza nelle tattiche della guerriglia basate sul movimento e sulle azioni a sorpresa. Questa esperienza avrà un grande valore per la formazione di Giuseppe Garibaldi sia come condottiero di uomini sia come tattico imprevedibile. Nel 1848 torna in Italia dove sono scoppiati i moti di indipendenza, che vedranno le celebri Cinque Giornate di Milano. Nel 1849 partecipa alla difesa della Repubblica Romana insieme a Mazzini, Pisacane, Mameli e Manara, ed è l'anima delle forze repubblicane durante i combattimenti contro i francesi alleati di Papa Pio IX. Purtroppo i repubblicani devono cedere alla preponderanza delle forze nemiche e Garibaldi il 2 Luglio 1849 deve abbandonare Roma. Di qui, passando per vie pericolosissime lungo le quali perde molti compagni fedeli, tra i quali l'adorata moglie Anita, riesce a raggiungere il territorio del Regno di Sardegna. Inizia quindi un periodo di vagabondaggio per il mondo, per lo più via mare, che lo porta infine nel 1857 a Caprera. Garibaldi tuttavia non abbandona gli ideali unitari e nel 1858-1859 si incontra con Cavour e Vittorio Emanuele, che lo autorizzano a costituire un corpo di volontari, corpo che fu denominato "Cacciatori delle Alpi" e al cui comando fu posto lo stesso Garibaldi.
  • 2. Partecipa alla Seconda Guerra di Indipendenza cogliendo vari successi ma l'armistizio di Villafranca interrompe le sue operazioni e dei suoi Cacciatori. Nel 1860 Giuseppe Garibaldi è promotore e capo della spedizione dei Mille; salpa da Quarto(GE) il 6 maggio 1860 e sbarca a Marsala cinque giorni dopo. Da Marsala inizia la sua marcia trionfale; batte i Borboni a Calatafimi, giunge a Milazzo, prende Palermo, Messina, Siracusa e libera completamente la Sicilia. I1 19 agosto sbarca in Calabria e, muovendosi molto rapidamente, getta lo scompiglio nelle file borboniche, conquista Reggio, Cosenza, Salerno; il 7 settembre entra a Napoli, abbandonata dal re Francesco I ed infine sconfigge definitivamente i borbonici sul Volturno. I1 26 ottobre Garibaldi si incontra a Vairano con Vittorio Emanuele e depone nelle sue mani i territori conquistati: si ritira quindi nuovamente a Caprera, sempre pronto per combattere per gli ideali nazionali. Nel 1862 si mette alla testa di una spedizione di volontari al fine di liberare Roma dal governo papalino, ma l'impresa è osteggiata dai Piemontesi dai quali viene fermato il 29 agosto 1862 ad Aspromonte. Imprigionato e poi liberato ripara nuovamente su Caprera, pur rimanendo in contatto con i movimenti patriottici che agiscono in Europa. Nel 1866 partecipa alla Terza Guerra di Indipendenza al comando di Reparti Volontari. Opera nel Trentino e qui coglie la vittoria di Bezzecca (21 luglio 1866) ma, nonostante la situazione favorevole in cui si era posto nei confronti degli austriaci, Garibaldi deve sgomberare il territorio Trentino dietro ordine dei Piemontesi, al cui dispaccio risponde con quel "Obbedisco", rimasto famoso. Nel 1867 è nuovamente a capo di una spedizione che mira alla liberazione di Roma, ma il tentativo fallisce con la sconfitta delle forze garibaldine a Mentana per mano dei Franco-Pontifici. Nel 1871 partecipa alla sua ultima impresa bellica combattendo per i francesi nella guerra Franco-Prussiana dove, sebbene riesca a cogliere alcuni successi, nulla può per evitare la sconfitta finale della Francia. Torna infine a Caprera, dove passerà gli ultimi anni e dove si spegnerà il 2 giugno 1882.
  • 3. La spedizione dei Mille e l'unità d'Italia In Italia nella primavera del 1860 la situazione politica era molto fluida e lo stesso Cavour cominciava a pensare alla possibilità di un’unificazione della penisola. Le difficoltà erano tuttavia ancora notevoli perché la Francia non avrebbe accettato un attacco piemontese contro lo Stato Pontificio e il Regno Borbonico, quest’ultimo difeso sul piano diplomatico anche dalla Russia; l’Austria, dal canto suo, avrebbe potuto approfittare di ogni passo falso per reinserirsi nel gioco politico italiano. Ma il problema più grave consisteva nel fatto che l’armistizio di Villafranca e la cessione alla Francia di Nizza e della Savoia avevano screditato la politica sabauda presso l’opinione italiana, per cui nella primavera del ’60 sembrava più facile una iniziativa democratico - repubblicana, che trovava il suo centro nel "partito d’azione" il quale aveva il vantaggio di poter agire al di fuori di ogni impedimento diplomatico e contava sull’enorme popolarità di Garibaldi. Il "partito d'azione" non era un gruppo omogeneo di persone che avevano le stesse finalità e idealità politiche; era un organismo di agitazione e propaganda cui facevano capo sia i repubblicani mazziniani sia i democratici decisi all’azione come Pisacane e Garibaldi. A dare l’avvio a una ripresa rivoluzionaria furono gli eventi siciliani quando, contro il giovane e inesperto sovrano Francesco II, nell’aprile del ’60 esplose l’ennesima rivolta a Palermo. Il partito d’azione convinse Garibaldi ad agire direttamente in Sicilia, anche perché Vittorio Emanuele, era disposto ad aiutare i volontari, contro il parere di Cavour il quale, come primo ministro, non poteva compromettersi specialmente agli occhi di Napoleone. Dal canto suo il Mazzini esortava tutti ad agire concordemente al fine di realizzare l’unità della penisola. Garibaldi ai primi di maggio del ’60 passava all’azione con i suoi Mille volontari. Partiti da Genova, dopo una breve tappa nel porticciolo di Talamone, dove una piccola colonna lasciò Garibaldi per marciare direttamente su Roma, la
  • 4. spedizione raggiunse per mare la Sicilia occidentale e l’11 maggio sbarcò a Marsala. Garibaldi, assunta la dittatura in nome di Vittorio Emanuele, marciò verso l’interno con i suoi Mille, che rivestivano l’ormai leggendaria camicia rossa, rinforzati da "picciotti" cioè dai giovani contadini e braccianti che speravano in una riforma agraria che una volta per tutte eliminasse tanti soprusi ed ingiustizie. In seguito l’entusiasmo dei contadini che miravano a impossessarsi delle terre demaniali, promesse dallo stesso Garibaldi, fu deluso perché Garibaldi e i politici della sinistra garibaldina e mazziniana volevano il successo militare della spedizione. Tra la fine di giugno e di luglio il generale, per il successo della spedizione, cominciò a stringere rapporti con i grandi proprietari terrieri, i quali, perché non cambiasse niente per loro, erano disposti ad assumere atteggiamenti liberali e favorevoli a Casa Savoia. I contadini cominciarono a guardare con diffidenza alla politica di Garibaldi, soprattutto dopo che i garibaldini repressero i moti rurali, anche quando i contadini, in perfetta legalità, richiedevano la divisione dei terreni demaniali a suo tempo promessi dal "generale". Battuti i borbonici nella difficile battaglia di Calatafimi, il 15 maggio Garibaldi occupava Palermo e nel luglio batteva ancora le truppe regie a Milazzo, mentre il sovrano di Napoli tentava disperatamente di fermarlo, concedendo una tardiva Costituzione e affidando il governo a Liborio Romano. Una speranza vana e una fiducia mal riposta: il Romano, d’accordo con Cavour cercò di provocare in Napoli un moto di moderati monarchici, allo scopo di precedere Garibaldi alla liberazione del napoletano. Intanto Garibaldi, superato lo stretto di Messina, risaliva liberamente la Calabria mentre l’esercito borbonico si disfaceva e il 7 settembre entrava in Napoli; Francesco II si rifugiava allora a Gaeta, protetta ancora da una parte del suo esercito, nonostante il "tradimento" di buona parte dell'ufficialità. Praticamente l’Italia meridionale era libera, nonostante attorno a Gaeta si raccogliessero ancora forti contingenti di truppe borboniche e le piazzeforti di Civitella del Tronto e di Messina non si fossero arrese. Era il momento di
  • 5. prendere decisioni definitive, che avrebbero pesato sul destino di tutta la penisola. Mazzini che aveva raggiunto Garibaldi a Napoli premeva perché si evitasse il solito plebiscito a favore della monarchia sabauda e insisteva sul progetto di una "Assemblea Costituente" che decidesse del nuovo assetto da dare all’Italia, anche se egli avvertiva chiaramente che ormai il principio monarchico aveva avuto partita vinta. Garibaldi dal canto suo, pensava di risalire con le truppe verso Nord per raggiungere Roma e di lì proclamare l’Unità d’Italia. Il Cavour, infine, si rendeva perfettamente conto della gravità della situazione; egli era consapevole che tra le file garibaldine i democratici ed i repubblicani erano molto forti e decisi a realizzare riforme sociali molto ardite, come l’assegnazione di terre ai combattenti meridionali e lo scorporo del latifondo anche a danno degli ordini religiosi. Temeva anche, a ragione, che l'invasione garibaldina del Lazio, oltre a suscitare in tutta la penisola un’ondata di entusiasmo democratico e anticlericale, avrebbe indotto l’imperatore francese a intervenire con le armi. Ancora una volta fu abilissimo a trasformare in vantaggio la propria debolezza: ancora una volta seppe agire abilmente su Napoleone. Prospettatogli lo spettro della formazione di una repubblica mazziniana e anticlericale nell’Italia centro meridionale, lo stesso imperatore sollecitò il Cavour a fare intervenire l’esercito regolare piemontese, che, al comando dei generali Fanti e Cialdini, penetrò nelle Marche e batté l’esercito papale, che tentava di sbarrargli il passaggio il 18 settembre 1860 a Castelfidardo. Nel frattempo, con la battaglia del Volturno, Garibaldi stroncava un estremo tentativo di riscossa dei borbonici, che erano costretti a rinchiudersi a Gaeta. L'incontro del 26 ottobre, a Teano, tra Garibaldi e Vittorio Emanuele poneva fine alla spedizione di Garibaldi e di fatto assicurava alla dinastia sabauda il Regno delle due Sicilie. Le truppe garibaldine, non furono incorporate nell’esercito regolare, come era stato richiesto, e il re si rifiutò perfino di passarle in rivista. In conseguenza di questo atteggiamento, Garibaldi, deluso e sdegnato, si ritirò a Caprera.
  • 6. Il 17 marzo il nuovo Parlamento italiano riunito a Torino poteva ratificare l’avvenuta unificazione, attribuendo a Vittorio Emanuele II il titolo di "re d’Italia"; il 26 marzo il Parlamento approvava un voto solenne che auspicava Roma capitale d’Italia. Il processo risorgimentale e unitario era praticamente compiuto, anche se il Lazio e le Venezie rimanevano escluse.