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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE
          FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE

                     CORSI SPECIALI
PER IL CONSEGUIMENTO DELL’ABILITAZIONE ALL’INSEGNAMENTO
   NELLA SCUOLA DELL’INFANZIA E NELLA SCUOLA PRIMARIA
                      Sede di Livorno
                      A.A. 2006-2007




    Fondamenti e didattica della lingua italiana


              Quale italiano insegnare?
       Appunti sulle varietà della lingua di oggi
Indice




Premessa                                                                 p. 3

1. I parametri della variazione linguistica                              p. 3

1.1 L’apprendimento linguistico del bambino tra diatopia e diamesia      p. 4

1.2 Lungo l’asse della diastratia: le varietà d’apprendimento            p. 5

1.3 Registri e sottocodici nelle varietà diafasiche                      p. 6

1.4 Le varietà come dimensioni ‘liquide’                                 p. 6

2. Focus sulla diamesia                                                  p. 7

2.1 Scrittura vs oralità                                                 p. 7

2.2 L’italiano parlato                                                   p. 8

3. Italiano standard, neo-standard e informale-trascurato                p. 13

Conclusione                                                              p. 15

BIBLIOGRAFIA PER L’ESAME & BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO           p. 16

ESERCIZI                                                                 p. 17

SOLUZIONI                                                                p. 19




                                               2
Premessa

Nel selezionare e organizzare i contenuti di questa unità didattica mi sono lasciata guidare dall’intento
di aiutare l’insegnante della scuola dell’infanzia e della scuola primaria a muoversi sul terreno
insidioso della variabilità linguistica, fornendo qualche strumento utile per giudicare con serenità
alcuni tratti ‘in movimento’ dell’italiano contemporaneo. È infatti grazie a un approccio consapevole
della molteplicità e del divenire del contesto comunicativo che la correzione dell’errore si può
trasformare in riflessione metalinguistica, talora per ‘espungere’ in maniera definitiva, talaltra per
‘accogliere’ contestualmente alla situazione. Le Dieci Tesi sull’educazione linguistica, pubblicate dal
GISCEL1 per la prima volta ormai più di trent’anni fa, conservano intatta la loro validità, specie
quando ci ricordano che

la vecchia pedagogia linguistica era imitativa, prescrittiva ed esclusiva. Diceva: «Devi dire sempre e solo così. Il resto è
errore». La nuova educazione linguistica (più ardua) dice: «Puoi dire così, e anche così e anche questo che pare errore o
stranezza può dirsi e si dice; e questo è il risultato che ottieni nel dire così o così». La vecchia didattica linguistica era
dittatoriale. Ma la nuova non è affatto anarchica: ha una regola fondamentale e una bussola; e la bussola è la funzionalità
comunicativa di un testo parlato o scritto e delle sue parti a seconda degli interlocutori reali cui effettivamente lo si vuole
destinare.


Come tentativo di fornire uno strumento d’orientamento, una bussola appunto, va dunque interpretato
questo mio primo intervento. Per fare tutto ciò contravverrò solo in apparenza all’assunto
fondamentale che anima i Corsi Speciali: nelle prossime pagine si parlerà poco di bambini e molto di
lingua. Ma è proprio sulla base di quel ‘molto di lingua’ che si potranno inserire, in seguito, le azioni
didattiche più specifiche per aiutare i piccini nel loro sviluppo linguistico o – come si capirà meglio
alla luce delle considerazioni che ci apprestiamo a compiere – plurilinguistico.

1. I parametri della variazione linguistica
La lingua italiana è un codice2 unico che ha tuttavia molteplici possibilità di realizzazione, ognuna
dipendente dai partecipanti allo scambio comunicativo e dalle loro scelte lessicali, morfo-sintattiche,
stilistiche e persino intonative. Pertanto, l’italiano standard simbolo di un’identità nazionale – quello
presentato dalle grammatiche e dai dizionari, insegnato nelle scuole e agli stranieri, utilizzato in tutti i
tipi testuali, anche i più astratti e complessi – rimane un sistema virtuale3 che si attualizza attraverso
varietà concrete dipendenti da cinque parametri di natura extralinguistica:

1 Il GISCEL (Gruppi di Intervento e Studio nel Campo dell’Educazione Linguistica) nasce nel 1973 per iniziativa di Tullio
De Mauro. È un “intellettuale collettivo” che raccoglie studiosi di linguistica e insegnanti di tutti gli ordini di scuola
interessati ai fenomeni linguistici e alle pratiche educative.
2 Un codice è un sistema di segni di cui ci serviamo per comunicare e per fare riferimento, tramite i segni stessi, a entità reali
o concettuali. Il valore di ogni segno è determinato dalle relazioni che esso ha con gli altri segni del sistema, piuttosto che
non dal suo essere costituito in un certo modo. I codici che si basano sul canale uditivo e su quello visivo, e che utilizzano
come segni insiemi strutturati di suoni ed elementi grafici, si chiamano codici verbali o lingue.
3 Si può descrivere una lingua standard come una lingua i) dotata di stabilità, garantita da istituzioni capaci di esprimere
una norma (grammatiche e dizionari); ii) caratterizzata da capacità di intellettualizzazione, ossia tradizionalmente dotata
di caratteristiche tali da permettere a chi la impiega di esprimere testi di alto contenuto culturale (letterario, filosofico,
religioso, scientifico, tecnico); iii) dotata di prestigio, garantito dal suo uso negli ambiti letterari, ufficiali, formali, oltre che
dalla formalizzazione grammaticale; iv) avente funzione unificatrice fra parlanti di varietà diverse (ad esempio fra i parlanti
di diverse varietà regionali di italiano, che grazie allo standard si sentono membri di una stessa comunità); v) avente
funzione separatrice ovvero di simbolo dell’identità nazionale in contrapposizione ad altri standard nazionali.

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1. Il parametro della         DIACRONIA    ovvero la trasformazione legata all’evoluzione della lingua nel
          tempo (l’italiano del Trecento, del Cinquecento, di fine Ottocento ecc.).
     2. Il parametro della DIATOPIA ovvero i mutamenti della lingua nello spazio geografico – l’italiano
          dei toscani, dei siciliani, dei piemontesi, dei romani ecc., di volta in volta diverso
          nell’intonazione e nella pronuncia ma anche nelle scelte lessicali e morfosintattiche.
     3. Il parametro della         DIASTRATIA    ovvero la variazione legata alle condizioni socio-economiche
          dell’utente, al grado d’istruzione scolastica, al tipo di attività lavorativa, alla consuetudine alla
          lettura e alla scrittura. In questo parametro possiamo iscrivere anche le variazioni legate al
          sesso e all’età.
     4. Il parametro della DIAFASIA ovvero la variazione che dipende dalla situazione comunicativa, dai
          partecipanti allo scambio linguistico, dall’argomento e dallo scopo del messaggio.
     5. Il parametro della           DIAMESIA    ovvero il mutamento della lingua secondo il mezzo fisico
          impiegato, il canale attraverso cui viene usata (l’aria, il foglio, lo schermo ecc.).
Escludendo il parametro della diacronia – senza dubbio affascinante ma d’interesse per la linguistica
storica più che per la didattica della lingua – possiamo compiere una serie di riflessioni rilevanti in
riferimento alle dimensioni diatopica, diastratica, diafasica e diamesica.

§ 1.1 L’apprendimento linguistico del bambino tra diatopia e diamesia
La prima riflessione su cui ci soffermiamo è che nella formazione della competenza linguistica del
bambino le determinazioni diatopiche sono le prime a essere acquisite.4 Ciò significa che le prime fasi
d’apprendimento dell’italiano sono caratterizzate da elementi, anzitutto prosodici e fonetici, locali. In
seguito, la lingua si determina, diastraticamente, in funzione dell’ambiente sociale in cui il bambino
4 In base al Modello Semiotico-Transazionale B-A-B, il Bambino riceve l’input linguistico dal contesto socio-culturale in cui
vive, elabora tale input nella misteriosa “scatola nera” che è la sua mente e produce un output che il feed-back dello stesso
ambiente concorre a confermare, modificare o correggere. La qualificazione “semiotica” del modello sottolinea il fatto che la
comunicazione è un’attività composita risultante dall’interazione-integrazione di più linguaggi (linguistico, cinesico,
prossemico, oggettuale ecc.). La qualificazione “transazionale” sottolinea il fatto che il linguaggio viene acquisito dal
Bambino soltanto grazie alle interazioni che egli ha con i suoi simili: con gli Adulti, in primo luogo la madre, ma anche con
altri bambini (BB) più grandi – e in questo caso la transazione diventa B-BB-B. Il Modello Semiotico-Transazionale integra
varie teorie:
      1. la teoria innatista-cognitivista di Chomsky, secondo cui esiste un meccanismo ereditato geneticamente e specifico
           dell’uomo chiamato LAD (Language Acquisition Device) che consente di acquisire naturalmente, nelle primissime
           fasi dello sviluppo, la lingua materna; tale meccanismo è in grado di decodificare ognuna delle migliaia di lingue
           parlate sul pianeta, di ricavarne la grammatica e di organizzare l’output desiderato.
      2. La teoria ambientalista di Skinner e Bloomfield, ove la mente del bambino è una tabula rasa che l’ambiente segna
           e riempie con i suoi stimoli; la molecola dell’apprendimento è infatti descrivibile con la formula S-R (Stimolo-
           Risposta) per la quale l’apprendimento ha luogo associando particolari risposte agli stimoli che vengono forniti al
           soggetto.
      3. La teoria costruttivistica di Bruner, il quale, sotto l’influenza delle teorie piagettiane, ha ipotizzato e convalidato
           sperimentalmente il ricorso a un Language Acquisition Support System (LASS) destinato ad attivare il LAD
           chomskiano. Il sistema di supporto consiste di tre elementi: a. il riconoscimento pregiudiziale del fatto che il
           bambino vuole comunicare (il che si manifesta nel sorriso, nell’ostensione della mano, in vocalizzazioni ecc.); b. la
           presenza di una madre (o di altri adulti) che decifra tali intenzioni e crea le condizioni di una comunicazione
           efficace; c. la creazione da parte della madre di formati della comunicazione, cioè di situazioni comunicative
           delimitate e ripetitive che conduco gradualmente il bambino dall’intenzione comunicativa alla comunicazione non
           verbale, e infine alla comunicazione verbale. Il piccolo ascolta la lingua parlata intorno a sé, si fa delle ipotesi sul
           suo funzionamento e si costruisce a poco a poco la sua lingua grazie al feed-back dell’ambiente che lo circonda.
           Allorché tale feed-back è positivo, la regola si consolida nella sua mente, anche quando si tratta di una difficile
           operazione di restrizione d’uso (ad es. un’eccezione). Cfr Giovanni Freddi, Glottodidattica, UTET, Torino 1994,
           cap. 7.


                                                              4
cresce (ambiente più o meno ricco di stimoli che favoriscano l’interpretazione della realtà). Numerose
ricerche hanno anche evidenziato il ruolo cruciale delle scelte linguistiche delle mamme, generalmente
inclini a impiegare con i loro piccoli il codice da esse ritenuto socialmente più prestigioso – il che
sarebbe stato concausa, negli anni, dell’inesorabile avanzamento dell’italiano, seppur con coloriture
regionali, a tutto svantaggio del dialetto. Successivamente si svilupperanno, in relazione
all’educazione linguistica che il bambino riceverà, gradi diversi di consapevolezza comunicativa, cioè
della capacità di variare i discorsi a seconda delle occasioni della vita sociale (variazione diafasica).
“Solo da ultima, eventualmente, si svilupperà una consapevolezza diamesica ovvero delle specifiche
caratteristiche e strategie della lingua scritta rispetto a quella parlata. Questo è molto interessante, ad
esempio, ai fini dell’insegnamento della scrittura, perché colloca tale insegnamento nell’ambito, e
quasi a coronamento, di processi di educazione linguistica che implicano lo sviluppo di capacità di
maturazione di elementi di autocoscienza attinenti alle dimensioni di variazione che vengono prima
della dimensione diamesica”5. Quella che qui è stata sintetizzata, semplificando, come successione di
fasi cronologiche, è in realtà un’implicazione di fasi logiche, che nel processo continuo di maturazione
delle abilità linguistiche si sviluppano l’una dall’altra quasi a spirale. Il fatto che il primo contatto
linguistico del bambino sia con l’italiano regionale – se non addirittura con un dialetto specifico (che
però è da considerare come un vero e proprio sistema linguistico altro, sviluppatosi autonomamente e
parallelamente all’italiano) – non deve preoccupare l’insegnante: l’italiano parlato è una varietà della
lingua relativamente recente, che ha cominciato a diffondersi nel territorio nazionale ben oltre il 1861,
anno d’unificazione dell’Italia, e che ancora oggi è fortemente marcata in diatopia, come testimoniano
le abitudini fonetiche, più o meno controllate, di tanti personaggi pubblici – si pensi agli ‘italiani’ dei
vari presidenti della Repubblica (due esempi tra tutti: quello ‘sardo’ di Cossiga e quello ‘toscano’ di
Ciampi). Le varietà regionali e i dialetti costituiscono una ricchezza da cui non si può, né si deve,
prescindere; l’importante è aiutare i bambini a gestire in misura sempre più consapevole lo scambio
linguistico, sviluppando e stimolando le capacità di passaggio dalle formulazioni più colloquiali e
immediate a quelle più meditate e formali6.

§ 1.2 Lungo l’asse della diastratia: le varietà d’apprendimento
Proseguendo con le nostre riflessioni e soffermandoci sul parametro della diastratia, risultano di
particolare interesse le varietà d’apprendimento, che si identificano con le interlingue, meccanismi
legati all’apprendimento di una lingua straniera o di una lingua seconda7. Più specificatamente,

5 Cito da Mirko Tavoni, “Caratteristiche dell’italiano contemporaneo e insegnamento della scrittura”, in F. Bruni e T. Raso (a
cura di), Manuale dell’italiano professionale. Teoria e didattica, Zanichelli, Bologna 2002, p. 140.
6 Alcune ricerche hanno evidenziato come i bambini che usano il dialetto in famiglia e l’italiano a scuola conseguano risultati
generalmente più brillanti sia dei compagni esclusivamente dialettofoni sia di quelli che parlano sempre italiano, a riprova
dell’importanza che il plurilinguismo riveste anche a livello cognitivo. Come valorizzare dunque, nell’insegnamento, la
lingua locale, specie in zone di forte dialettofonia e/o di disagio sociale? Impiegandola come punto di partenza nel percorso
verso la lingua nazionale, ad esempio avvalendosene per il racconto, anche drammatizzato, di fatti e aneddoti di vita locale o
per effettuare piccole ricerche volte al recupero delle tradizioni linguistiche attraverso interviste a parlanti anziani. In questo
modo, si favorirà nei discenti un’operazione di confronto tra codici, che condurrà, con grande gradualità, a un punto di arrivo
in cui l’italiano (anche nelle sue varietà più alte) diventerà diastraticamente neutro, ovvero accessibile a tutti, senza
distinzione di status.
7 Una lingua straniera è una lingua diversa dalla materna-nazionale che viene studiata mediante applicazione consapevole

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l’interlingua è un sistema linguistico provvisorio, personale e dinamico che l’apprendente si costruisce
per comprendere, manipolare e organizzare le forme linguistiche nuove tanto sul versante ricettivo
quanto sul versante produttivo. Essa è costruita con materiali e regole della madrelingua e con
elementi della lingua target. Si tratta di una varietà sempre più presente nella scuola italiana,
frequentata oggi da molti bambini le cui famiglie provengono da paesi esteri, e che costringe
istituzioni e docenti a confrontarsi con questa nuova realtà sociale ed educativa.

§ 1.3 Registri e sottocodici nelle varietà diafasiche
Le varietà diafasiche danno luogo ai registri, cioè varietà collocabili lungo un continuum che va dalla
formalità tipica di situazioni comunicative che si svolgono in ambienti pubblici all’informalità delle
situazioni più domestiche, attraverso una serie di gradazioni linguistiche e stilistiche che sfumano una
nell’altra. Ma non è solo il luogo a determinare la maggiore o minore accuratezza espressiva: a scuola
il docente potrà riservare i registri più alti durante la lezione, mentre potrà fra emergere registri anche
molto colloquiali durante le pause o i momenti di distensione. Si fanno rientrare nel parametro della
diafasia anche le varietà della lingua che definiamo sottocodici, correlati non al contesto comunicativo
ma all’argomento del messaggio – ad esempio i sottocodici tecnico-scientifici (lingua della
matematica, della medicina, dell’informatica ecc.) e quelli, meno specializzati, dello sport, della moda,
e così via. Per comprendere la distinzione tra registri e sottocodici è bene riflettere sul fatto che uno
stesso sottocodice può avvalersi di registri diversi: si pensi al famoso cardiologo che userà un registro
al massimo grado di formalità durante un convegno tra colleghi, e un registro più disteso e accattivante
in un articolo divulgativo su un quotidiano.

§ 1.4 Le varietà come dimensioni ‘liquide’
È bene meditare, infine, su un ultimo aspetto della varietà linguistica: diatopia, diastratia, diafasia,
diamesia, sono dimensioni ‘liquide’, che non si realizzano da sole bensì in ‘fusione’ con le altre, di
modo che può essere difficile individuare quale sia quella prevalente. Ad esempio, seguendo una
logica da scatole cinesi (si veda figura a pagina 7), i tratti marcati sulle dimensioni esterne sono
sempre marcati anche su quelle più interne: gli italiani regionali (variazione diatopica) sono marcati
diastraticamente perché hanno una connotazione socioculturale bassa; sono anche informali
(variazione diafasica) e caratteristici del parlato (variazione diamesica). Anche i tratti marcati sulle
dimensioni interne possono, talvolta, esserlo su quelle più esterne – si pensi ai sottocodici,
appartenenti alla dimensione diafasica ma anche a quella diastratica (perché di norma usati dai ceti più
alti).


nella scuola o in speciali corsi di lingue. In queste situazioni il solo input linguistico è quello assicurato dall’insegnante o dai
materiali audio e video, mentre la funzionalità comunicativa risulta ridotta a interazioni scolastiche circoscritte e artificiali.
Una lingua seconda (L2) è una lingua diversa da quella materna che viene appresa all’interno dell’ambiente in cui essa è
strumento d’interazione quotidiana e di vita. L’aggettivo numerale “seconda” ha qui un valore non cronologico ma socio-
psicolinguistico. Esempi possono essere quello degli immigrati che imparano l’italiano in Italia o quello degli studenti italiani
che vanno a imparare l’inglese in Inghilterra. In tali condizioni la nuova lingua, rilanciata dall’ambiente, dalla strada, dai
media, dagli amici e dai colleghi conosce un’elevata funzionalità comunicativa (cfr Giovanni Freddi, Glottodidattica, UTET,
Torino 1994, p. 3).

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DIATOPIA

                                                           DIASTRATIA

                                                             DIAFASIA

                                                            DIAMESIA




2. Focus sulla diamesia
Il parametro della diamesia determina due varietà fondamentali della lingua: l’italiano scritto, che si
avvale di un canale di trasmissione grafico e destinato alla lettura, e l’italiano parlato, che si avvale di
un canale di trasmissione fonico e destinato all’ascolto.

§ 2.1 Scrittura vs oralità
Ragionando in termini molto generali, prescindendo dunque dalla specificità di una particolare lingua
storico-naturale8, le principali caratteristiche della scrittura e dell’oralità – qui intesa nella sua
accezione più ‘libera’, cioè come parlato conversazionale – si possono sinteticamente presentare e
contrapporre come segue:

                        SCRITTURA                                                        ORALITÀ




8 Con l’aggettivo storico s’intende che le lingue si sviluppano e cambiano nel corso del tempo; l’aggettivo naturale, invece,
sottolinea il fatto che ogni singolo essere umano percepisce la lingua parlata entro la comunità in cui è cresciuto come una
realtà ovvia e preesistente alla propria nascita.

                                                           7
•    Apprendimento istituzionalizzato: per                    •    Acquisibilità spontanea e universale: in
         scrivere e leggere occorre un addestramento                   assenza di patologie tutti imparano a parlare,
         specifico, di solito scolastico, che insegni a                se immersi sin da piccoli (entro il ‘periodo
         pensare ‘in modo diverso’, ovvero a dare                      critico’ dei sette-otto anni d’età) in un
         impulso alle abilità cognitive del classificare,              ambiente linguistico.9
         dell’astrarre, del ricordare e del ragionare.
         Queste capacità (che in lingua inglese sono
         rese con il termine literacy) sono definite
         anche ‘pensare come un uomo occidentale’, in
         contrapposizione alle molte culture lontane dai
         paesi industrializzati che ancora oggi non
         possiedono la scrittura e la lettura.
    •    Persistenza: la comunicazione scritta è                  •    Caducità: la comunicazione orale è volatile,
         ‘differita’ e permanente. Si rivolge a                        basata sui ricordi a breve termine dei
         destinatari che possono essere lontani nel                    partecipanti allo scambio comunicativo, che
         tempo e nello spazio.                                         condividono lo stesso luogo e interagiscono
                                                                       nello stesso momento.
    •    Duttilità: lo scrivente può revisionare anche            •    Linearità: il parlato è irreversibile; ciò che è
         in misura massiccia la bozza del suo testo con                stato detto non può più essere cancellato e
         un labor limae di cui il destinatario del                     l’emittente non può che procedere per
         messaggio rimane spesso all’oscuro. A sua                     ‘cumulo’ progressivo d’informazioni; il
         volta, quest’ultimo può decidere, durante la                  fruitore può percepire il messaggio solo nello
         lettura, di tornare indietro e di rileggere una               stesso ordine nel quale esso viene realizzato.
         porzione di testo più o meno estesa; se vuole,
         può anche decidere di saltare certe parti o di
         leggerle in ordine non sequenziale.

    •    Economia esecutiva: lo scritto è formale,                •    Ridondanza esecutiva: il parlato dice molto
         compatto, ad alta densità informativa; esso                   più del necessario, nel tentativo di recuperare
         procede secondo logica a sviluppare un                        l’informazione soggetta a perdersi. Questo
         discorso ed evita le ripetizioni o i riempitivi.              fenomeno è legato anche alla ‘possibilità di
                                                                       retroazione’ (o feed-back): nel parlato
                                                                       dialogico chi parla può ripetere e modificare
                                                                       in modo più o meno radicale il proprio
                                                                       messaggio in base alle reazioni
                                                                       dell’interlocutore o a eventuali disturbi della
                                                                       comunicazione. Ciò dà luogo alla
                                                                       ‘frammentarietà’ o ‘intricatezza’ del parlato: il
                                                                       parlante può interrompersi, riprendere il già
                                                                       detto con nuove spiegazioni, talvolta anche
                                                                       contraddicendosi, senza seguire una
                                                                       particolare pianificazione. Tuttavia la densità
                                                                       semantica rimane bassa: si diluiscono le
                                                                       informazioni da trasmettere entro un cumulo
                                                                       di perifrasi, incisi, esitazioni, false partenze.
    •    Ridondanza sistemica: la sintassi è ipotattica           •    Economia sistemica: la sintassi è paratattica
         ovvero varia e complessa, con subordinazioni                  ovvero basata su frasi principali, coordinate o,
         che vanno oltre il primo grado. La semantica è                al massimo, subordinate di primo grado. Le
         ‘deliberata’: tutto deve essere spiegato                      scelte lessicali cadono su parole dal
         ricorrendo quasi esclusivamente alle risorse                  significato generico (ad. es. fare, dire, cosa
         interne al sistema linguistico-verbale.                       ecc.), adatte a molti oggetti del discorso e
                                                                       retoricamente non impegnative (le cosiddette
                                                                       parole ‘ombrello’). Le parole dette – ma anche




9 Difficile, se non impossibile, conseguire questo risultato una volta superata l’età critica, dopo la quale la facoltà di
linguaggio sembra atrofizzarsi, come testimoniano i pochi casi noti di “bambini selvaggi”.

                                                            8
quelle non dette – possono avvalersi di
                                                                          potentissimi mezzi espressivi, quali la mimica,
                                                                          la gestualità, la distanza che si interpone tra sé
                                                                          e gli interlocutori, il vestiario e gli oggetti che
                                                                          si indossano, l’intonazione e il ritmo
                                                                          dell’eloquio.
     •    Funzione transazionale: l’interesse di chi                 •    Funzione interazionale: l’interesse di chi
          scrive è prevalentemente rivolto allo scambio                   parla è in prevalenza volto a gestire i contatti
          di informazioni.                                                con l’interlocutore, senza necessariamente
                                                                          scambiare informazione.10
     •    Non fluidità: lo scritto si presta a una lettura           •    Fluidità: le parole sono accorpate in gruppi
          endofasica, mentale e veloce, in cui l’occhio                   tonali più o meno estesi, cioè si pronunciano
          ha bisogno di individuare gli stacchi tra le                    due/tre parole come se fossero una parola
          parole e quelli tra le frasi per mezzo di spazi                 sola. Anche i confini delle frasi non sono ben
          bianchi, apostrofi, segni interpuntivi, a capo                  scanditi.
          ecc.




§ 2.2 L’italiano parlato
In riferimento alla lingua che ci preme tratteggiare in questa sede, l’italiano, possiamo specificare
alcuni fenomeni correlati alla ridondanza esecutiva del parlato:
     •    allungamenti vocalici. Si prolunga il tempo di pronuncia dell’ultima vocale di una parola,
          spesso perché la produzione orale è simultanea alla pianificazione del discorso: “Per casa, fate
          l’esercizioooo… tre a paginaaaa… venticinque del vostro libro.”;
     •    zeppe sillabiche. Si tratta di prolungamenti che riguardano intere sillabe o addirittura parole,
          che risultano così ripetute: “Per casa, fate l’esercizioooo… l’esercizio tre.”;
     •    fatismi. Sono formule che hanno lo scopo di verificare il buon funzionamento della
          comunicazione: “Oggi, bambini, sarete più buoni… vero?”; “Abbiamo già letto insieme
          questa storia… no?”;
     •    riempitivi di silenzio (o pause piene). Intercalari che servono a ‘prendere tempo’ – ad es.
          mmh, cioè, come dire, praticamente. Lo scopo è quello di far capire all’interlocutore che non
          può intervenire perché il turno di parola non è ancora terminato;
     •    false partenze. Il discorso inizia con un enunciato, poi si interrompe brevemente per
          riprendere daccapo, con una nuova formulazione: “Il viaggio è st[ato]… abbiamo fatto una
          vacanza interessante.”;
     •    rotture di costruzione. Un enunciato prosegue in modo sintatticamente incongruente con
          l’andamento iniziale: “Chi ha studiato poco… è a lui che mi rivolgo.”
L’italiano parlato presenta inoltre una serie di atteggiamenti linguistici peculiari che coinvolgono
sintassi, morfologia e lessico; atteggiamenti che sono ormai penetrati anche nelle scritture di media
formalità. Di seguito si fornisce una lista molto parziale:
10 Si può esemplificare questa funzione con il caso in cui due sconosciuti si ritrovino da soli in un ascensore o alla fermata
dell’autobus e si sentano in dovere di rompere il silenzio con qualche frase di circostanza, negoziando un rapporto che vinca
l’imbarazzo senza per questo scambiarsi alcuna informazione. Naturalmente ciò non vuol dire che l’oralità sia priva di
funzione transazionale: un corso o una conferenza informativamente vuoti sarebbero un disastro. Anche la scrittura, sia pure
orientata prevalentemente sulla funzione transazionale, può servire a negoziare dei ruoli: si pensi ai messaggi d’auguri,
cartacei o elettronici; si tratta di testi scritti che non forniscono informazioni ma servono alla gestione dei rapporti.

                                                             9
•    Dislocazione a sinistra. “Il pane lo compro io”: la presupposizione che ci sia da comprare il
          pane è nota agli interlocutori ed è messa in evidenza attraverso l’anticipazione (il pane) e
          integrata sintatticamente al nuovo contenuto informativo (io compro) grazie al pronome
          anaforico11 lo. Vi sono alcuni casi particolari di dislocazione a sinistra:
          o     Topicalizzazione contrastiva. “Il pane compro [intendendo: e non il latte]”: se non c’è
                ripresa pronominale, l’elemento dislocato a sinistra (il pane) veicola un’informazione
                nuova ed è pronunciato con enfasi.
          o     Tema sospeso o nominativo assoluto. L’elemento dislocato a sinistra può essere
                sintatticamente esterno alla frase, privo di una preposizione che lo preceda e separato da
                una pausa, rappresentabile con una virgola: “La signora Bianchi, non ne voglio più
                sentire parlare!”, invece del più corretto “Della signora Bianchi non voglio più sentire
                parlare!”.
          o     Anacoluto. In questo caso, la frattura logico-sintattica – del tutto simile al fenomeno del
                tema sospeso e pressoché intercambiabile con esso – riguarda una porzione testuale più
                ampia, una vera e propria rottura di costruzione: “Il primo a consegnare il compito, gli
                permetto di uscire”.
     •    Dislocazione a destra. “Lo compro io, il pane”: a differenza di ciò che avviene con la
          dislocazione a sinistra, l’elemento noto (il pane) è posto in secondo piano, mentre l’elemento
          nuovo (io compro) è messo in evidenza e integrato sintatticamente con il vecchio grazie al
          pronome cataforico lo. Il fenomeno della dislocazione (a sinistra o a destra) risponde alle
          necessità di una sintassi ‘egocentrica’. Il concetto di egocentrismo nel linguaggio non ha
          sfumature morali: nella comunicazione c’è sempre un ‘io’ che tenta di dire qualcosa partendo
          dal suo ‘centro d’interesse’, ovvero anticipando gli argomenti che lo coinvolgono
          emotivamente.
     •    Frase scissa. “È Marco che disturba la lezione”: l’accentuazione enfatica converge
          sull’informazione nuova, veicolata attraverso il costrutto: verbo essere (è) + elemento
          focalizzato (Marco) + falsa relativa che esprime l’elemento noto (che disturba la lezione). A
          fuoco, oltre ai sostantivi, possono essere messi anche gli avverbi (“è così che devo fare?”), i
          sintagmi verbali (“è andare al cinema da solo che non sopporto”), la negazione (“non è che le
          piaccia tanto”).
     •    C’è presentativo. “C’è una persona che chiede di te”. L’informazione nuova è duplice: 1) c’è
          una persona; 2) la persona chiede di qualcuno. La scelta di questo costrutto può essere
          motivata dal desiderio di spezzare il contenuto informativo, per rendere più agevole sia la
          produzione sia la ricezione del messaggio.
     •    Che polivalente. Subordina in maniera generica, ad esempio: “Il giorno che ho dato l’esame
          stavo male” (valore temporale); “Rientra a casa presto, che ti aiuto a fare i compiti” (valore


11 Per i concetti di anafora e catafora si veda la dispensa sulla linguistica testuale.

                                                              10
consecutivo-finale) ecc. Oppure dà luogo a relative spesso non accettabili in una
          comunicazione più sorvegliata: “È un bambino che gli piace leggere”; “Il cinema che siamo
          andati ieri”. Rientrano nella categoria del che polivalente anche due fenomeni come
          l’introduzione di costruzioni enfatiche (“che bella che sei!”) e di avvio vivace
          dell’interrogazione (“che, vuoi uscire con questo freddo?”).
     •    Usi dell’imperfetto indicativo. Nell’oralità questo tempo ha esteso la sua area d’azione:
          conferisce al verbo una sfumatura “modale” (che può essere di possibilità, preghiera, dubbio
          ecc.); esprime eventi non ancora accaduti ma presupposti:
          o     Imperfetto fantastico: “Quella mattina avrei preferito dormire più a lungo ma poi perdevo
                l’autobus [che in realtà non è stato perso], così decisi di alzarmi di buon’ora”.
          o     Imperfetto ipotetico: “Se studiavi, superavi l’esame”.
          o     Imperfetto potenziale: “Sono preoccupata: Paola doveva rincasare un’ora fa”.
          o     Imperfetto ludico: “Facciamo che tu eri il ladro che si nascondeva e io il poliziotto che ti
                veniva a cercare”.
          o     Imperfetto di modestia o cortesia: “Scusi, volevo un caffè”. Si sceglie anche per
                esprimere deferenza: “Volevo esprimere solidarietà a quanto Le è accaduto, Signora”.
          o     Imperfetto epistemico: “La squadra giocava la prossima settimana ma oggi hanno deciso
                di annullare l’incontro”.
     •    Modalità per esprimere il futuro. Il futuro viene usato con frequenza sempre minore. Al suo
          posto l’oralità predilige:
          o     Presente pro futuro (per avvenimenti prossimi o assolutamente certi): “Domani vado a
                Milano”; “Nel 2061 si festeggia il secondo centenario dell’unità d’Italia”.
          o     Perifrasi che sottolineano l’aspetto dell’azione, in questo caso la sua imminenza:
                 stare per + infinito: “Sto per andarmene”;
                 stare + gerundio: “Sto andando in centro: devo portarti qualcosa?”;
                 andare/stare/venire + a + infinito: “Vado a chiamare mia madre”; “Sto ad ascoltare
                    quel che dice e poi decido se dargli retta”; “Vengo a concludere il mio discorso”.
          o    Passato prossimo pro futuro anteriore: “Ti chiamo, quando ho finito di studiare” in luogo
               di “Ti chiamerò, quando avrò finito di studiare”.
          È in espansione, tuttavia, l’uso del futuro per esprimere ipotesi e probabilità oppure un
    obbligo:
          o     Futuro epistemico: “Che ore sono?” – “Saranno le cinque.”
          o     Futuro deontico: “Le domande dovranno pervenire entro e non oltre il…”
     •    Uso dei modi. Il congiuntivo risulta indebolito e sostituito dall’indicativo nelle frasi
          soggettive (“A me pare che il lavoro è terminato”); nelle frasi oggettive (“penso che il tuo
          ragionamento è giusto”)12; nelle interrogative indirette (“si chiede che cosa intendeva Sergio”);

12 Nel caso delle frasi soggettive e oggettive, l’occorrenza significativa delle forme dell’indicativo in luogo del congiuntivo è
spesso dovuta al fatto che si riferisce a un evento che il parlante non sente come ipotetico, possibile, incerto o probabile (che

                                                             11
nelle ipotetiche (“Se leggevi le istruzioni, terminavi l’assemblaggio”). In generale, la seconda
          persona singolare del presente congiuntivo tende a essere sostituita con il presente indicativo,
          probabilmente per ovviare a problemi di comprensione: alcuni studiosi, infatti, ipotizzano che
          un’affermazione come “Voglio che vada via” venga più spontaneamente recepita come
          “Voglio che lui/lei vada via” piuttosto che come “Voglio che tu vada via”. Pertanto un
          parlante che produca l’enunciato “Voglio che vai via” sembrerebbe mosso da un’esigenza, più
          o meno inconscia, di chiarezza. Ma è bene rilevare che l’inclinazione all’indicativo non
          spadroneggia: concerne il parlato, le situazioni informali e le varietà diastratiche basse (in
          quelle medie e alte il congiuntivo è ancora ben attestato); inoltre è marcata diatopicamente
          (l’indicativo affiora nelle parlate del centro-sud della penisola). Nel parlato il condizionale è
          più vitale del congiuntivo ma, come già visto, tende a essere sostituito dall’imperfetto
          indicativo. In compenso si sta arricchendo di alcune funzioni particolari ormai pressoché
          standardizzate, specie quando si riportano notizie incerte o si usa il discorso indiretto (per
          evidenziare il fatto che chi parla sta solo riferendo la parola d’altri, senza necessariamente
          condividerla): ad esempio, “Secondo il telegiornale il governo starebbe trattando con i ribelli”.
          Oppure quando si vuole attenuare una richiesta (“Chiuderesti quella porta?”). L’infinito è in
          espansione per esprimere istruzioni (“Tenere lontano dalla portata dei bambini”), per
          focalizzare l’azione o l’evento espressi dal verbo (“Interessare mi interessa, ma le condizioni
          attuali di questa offerta sono troppo svantaggiose”), nel foreigner talk (la lingua parlata dai
          nativi con gli stranieri: “Se volere permesso, andare in questura”).
    •     Uso dei pronomi.
         o     Lui, lei, loro in funzione di soggetto hanno soppiantato egli, essa/ella, essi, anche in
               riferimento a cose – “Lui è sempre in ritardo”; “La mia casa anche lei, come me, avrebbe
               bisogno di un bel restauro!”–, con buona pace delle grammatiche, che invece continuano
               a sanzionare il te soggetto (“te che cosa ne pensi?”).
         o     Gli è ormai del tutto consueto per esprimere il dativo plurale (“Ho visto Paolo e Maria e
               gli ho detto di chiamare” piuttosto che “Ho visto Paolo e Maria e ho detto loro di
               chiamare”), ma è considerato substandard, e quindi da evitare in situazioni formali, se
               usato al posto di le (“Ho visto Maria e gli ho detto…”).
         o     Declino di loro come allocutivo di cortesia: “Che cosa desiderate bere?”, in luogo di
               “Che cosa desiderano bere?”.
         o     Dimostrativi utilizzati come pronomi personali, non di rado con sfumature negative
               rafforzate da qui o lì: “Quello è un poco di buono!”; “Questa è appena arrivata e già crede
               di poter fare i propri comodi!”; “Se ti metti quella giacca lì, ti rideranno dietro”.
         o     ‘Sto, ‘sta al posto di questo/questa: “ ‘Sta borsa non so dove metterla!”.


sono le modalità del congiuntivo) ma come reale (che è la modalità propria dell’indicativo). L’impiego dell’indicativo
permette, inoltre, di trattare la subordinata come se fosse una coordinata, secondo una tendenza generale alla semplificazione
morfo-sintattica che è tipica del parlato.

                                                            12
•    Risalita dei clitici13 con i verbi modali o in complessi verbali: “Lo devo fare” vs “devo farlo”;
          “La sto cercando di contattare” vs “Sto cercando di contattarla”.
     •    Concordanze a senso.
          o     Concordanza a senso di verbo plurale con soggetto collettivo + complemento di
                specificazione: “Una ventina di persone sono rimaste coinvolte nel grave incidente…”vs
                “Una ventina di persone è rimasta coinvolta…”.
          o     Concordanza del verbo con la persona del soggetto logico: “Tu sei una che ti prepari con
                scrupolo” vs “Tu sei una che si prepara con scrupolo”.
          o     Mancata concordanza del verbo con soggetti posposti che rappresentano il nuovo: “Non
                c’è problemi” vs “Non ci sono problemi”; “Ci vorrebbe delle soluzioni” vs “Ci
                vorrebbero delle soluzioni”.
     •    Lessico. Si riportano, tratti dal mare magnum delle varietà lessicali della lingua parlata, solo
          pochissimi esempi:
          o     Alta densità di verbi pronominali. “Non te la prendere!”; “Questo non c’entra”; “Per fare
                il tiramisù ci vuole il mascarpone”; “Non ci ho voglia” ecc.
          o     Dativo etico. Sovente i verbi pronominali vengono usati con valore d’intensificazione
                affettiva o di coinvolgimento di chi ascolta o legge: “Mi preparo una tazza di latte caldo”;
                “Stasera ci guardiamo un bel film”; “Che mi combini?”; “Entro nel bar e sai chi ti vedo?
                Franco” ecc.
          o     Diminutivo affettivo. “ Si tratta di un pensierino, un regalino piccolo, piccolo”; “Rimani
                ancora un attimino”; ecc.
          o     Superlativi assoluti enfatici. “Con mia sorella vado d’accordissimo” ecc.
          o     Espressioni lessicali di enfasi accrescitiva. “C’erano un sacco/casino di persone”; “Ho
                letto quelle pagine, ma non ci ho capito un tubo!” ecc.
          o     Raddoppiamenti. “Ha comprato una macchina nuova nuova”.
          o     Espressioni onomatopeiche. “Stavo scendendo le scale quando patapumfete, sono
                caduta”.
E inoltre espressioni come:
          o     Quello che è…, quelli che sono. “Illustriamo adesso quelli che sono i concetti
                fondamentali della sociolinguistica”.
          o     Mi sa al posto di “mi sembra”, “penso”: “Mi sa che tu faccia il furbetto!”
          o     Si vede che in luogo di “evidentemente”: “Non è venuto? Si vede che era stanco”.
          o     Per forza con significato di “obbligatoriamente”: “Devi farlo per forza”.
          o     Solo che con significato avversativo: “Hai ragione, solo che io non ci posso fare nulla”.




13 Un clitico è una particella priva di accento proprio, che si “appoggia” alla parola che la precede – ad es. farlo, contattarla
(in questo caso si parla di enclitico) – o che la segue – proclitico: l’ho dovuto fare.

                                                              13
3. Italiano standard, neo-standard e informale-trascurato
Negli ultimi decenni, l’italiano parlato, di cui si sono già elencati i tratti fondamentali, ha contribuito
ad affermare tendenze d’uso – in realtà per buona parte già rinvenibili in produzioni di autori di secoli
addietro – in parte accolte in parte ancora sanzionate dalle grammatiche (e in quest’ultimo caso da
etichettarsi come substandard, almeno per il momento). Secondo alcuni studiosi il sistema linguistico
sta ormai gravitando dall’italiano standard verso un italiano dell’uso medio (secondo la definizione di
Francesco Sabatini) o italiano neo-standard (secondo la definizione di Gaetano Berruto), che
trasferisce alcuni tratti del parlato anche alle scritture di media formalità. Le caratteristiche del neo-
standard coincidono pertanto con quelle illustrate in § 2.2, con l’aggiunta significativa di due fenomeni
che riguardano invece solamente la scrittura:


     •    Uso delle congiunzioni. E, ma, o, allora, comunque in posizione iniziale di frase: “Antonio
          Di Pietro parte al contrattacco: al termine di due giorni di voci, scoop, verbali e intercettazioni
          intorno alla sua vicenda processuale, l’ex pm prende l’iniziativa. E decide di denunciare i
          responsabili […]”.
     •    Uso della punteggiatura. Esiste una tendenza, specie nella prosa narrativa e giornalistica, a
          ‘triturare’ la sintassi, attraverso un impiego nuovo del punto, come nell’esempio che segue:
          “Libero. Dopo tre anni. Sono arrivato in fondo al corridoio. La guardia alza la testa dalla
          scrivania. Mi blocco. Ghiacciato.” Il risultato è una tensione tra sintassi e testualità che attiva a
          sua volta particolari effetti di senso, non rinvenibili quando il punto conferma una frattura
          testuale già imposta dalla sintassi.


Un confronto tra il testo 1, esempio di italiano standard, e il testo 2, un campione di italiano neo-
standard, può favorire una comprensione più intuitiva delle variazioni linguistiche:14

    1. Secondo lo statuto dell’Università di Pisa, che fu approvato da un’assemblea costituente di cui facevano parte
    tutte le componenti universitarie compresi gli studenti, il consiglio degli studenti è un organo di governo
    dell’università, che ha compiti di promozione e coordinamento della partecipazione studentesca alla gestione
    dell’ateneo. Dà pareri e avanza proposte su tutti i temi importanti della vita studentesca (ordinamenti e regolamenti
    didattici, diritto allo studio, servizi didattici, tutorato e orientamento, contribuzione), ha potere di proporre
    modifiche di statuto, delibera autonomamente sull’assegnazione dei fondi da attribuire alle attività (culturali,
    politiche, sociali, ricreative, etc.) autogestite dagli studenti.

    2. Oggi, cinematograficamente parlando, ha una passioncella per Wenders e i tedeschi ma la sua curiosità maggiore
    è ancora capire cosa diavolo ci fosse nella famosa scatoletta del cliente coreano di Bella di giorno. Viaggiare non è
    che le piaccia troppo: è stata a Praga, in America, in Germania, in Russia, ma tutto sommato preferisce Milano,
    Venezia e la Versilia d’estate. Sportiva non è: per mantenersi in forma invece che l’aerobica usa una bicicletta da
    corsa. Dall’analista c’è stata poche volte e solo in America. Ama vestirsi tanto quanto spogliarsi: e lo fa sempre con
    gusto. Fra i jeans preferisce i Lee, ha una passione irresistibile per scarpe e stivali, così come per giarrettiere, calze a
    rete e slip di seta. Ha un figlio di 15 anni, Mattia, e qualche problema come la maggior parte delle madri di oggi. È
    questa la biografia di Valentina Rosselli, 42 anni, milanese, nubile, il più reale dei personaggi di fantasia in
    circolazione sulle pagine dei fumetti. L’unico a invecchiare di pari passo con i suoi lettori.


Il testo 1 segue un filo espositivo rigoroso e si avvale di termini che appartengono alla sfera semantica

14 Gli esempi riportati sono tratti ancora da Mirko Tavoni, opera citata.

                                                               14
giuridico-amministrativa; l’ortografia, le forme grammaticali e la sintassi seguono la norma; i pronomi
relativi sono correttamente flessi (di cui facevano parte…) e si fa uso del passato remoto (che fu
approvato), più formale del passato prossimo. Il testo 2, invece, è un esempio di stile giornalistico
brillante, con la presentazione differita del personaggio di cui tratta (la celeberrima Valentina di
Crepax), al fine di creare una vaga suspense e attirare l’attenzione del lettore; per osmosi con il
linguaggio parlato, la sintassi è semplice, basata sulla coordinazione e sull’impiego di dislocazioni a
sinistra (sportiva non è…; dall’analista c’è stata poche volte…) e di frasi scisse (Viaggiare non è che
le piaccia troppo…).
Negli ultimi anni, tuttavia, alcuni narratori italiani hanno trasferito sulla carta un linguaggio che va
oltre il neostandard. Si tratta dell’italiano informale-trascurato, di cui il frammento 3 è un esempio
efficace:
     3. Quando facevo il cameriere una volta a Milano c’era questo gruppo di ragazzi che hanno visto due ragazze in
     fondo da sole. Arrivo io e faccio, non vi preoccupate. Sono andato lì ho detto scusate ragazze se vi disturbo, però è
     per una bella notizia. C’è un ragazzo che senza pretendere niente di particolare con molta onestà ditemi cosa volete
     e io ve lo porto. Così.
     Io qua sono venuto a Santo Domingo per mettermi d’accordo con uno che deve vendere delle cose per la casa. Sto
     costruendo la casa in Giamaica, sto qua da due settimane vedo un po’ il posto poi ritorno.
     Allora stavo dicendo io ero lì da quelle tipe e quelle fanno eh, ma chi?
     Io le faccio l’ultimo dietro a destra in fondo. Loro dicono chi, quello là con la cosa azzurra?
     No, le faccio, l’altro, quello con la cosa rossa a sinistra, guarda bene.
     Ah, sì, oh, dicono, bene bene bene.
     E prendono un caffè e un bicchiere d’acqua.
     E io le faccio va bene, d’accordo.
     Torno al tavolo dei tipi. Vedo, faccio, dico tutto a posto vado là con il caffè e il bicchiere d’acqua.
                                                                                         (da Aldo Nove, Puerto Plata Market)
Come unico commento, qui basti riflettere sul fatto che qualcuno ha etichettato gli scrittori come Aldo
Nove (peraltro impeccabile in altri contesti comunicativi) con la dicitura di “cannibale”: vi è dunque
un’intera generazione di scrittori che ha letteralmente cannibalizzato il linguaggio, traslando il vuoto
spirituale della contemporaneità nel vuoto espressivo, immerso in una dimensione tutta orale – si
vedano i frequentissimi deittici15 (qua, lì), le strutture con il c’è presentativo, il presente storico vivace
(tipico dei racconti in prima persona), le parole “ombrello” (fare, cosa, tipo, tipa) –, apparentemente
priva di pianificazione e di logica (ad esempio, l’inserto Io qua sono venuto a Santo Domigo… poi
ritorno è del tutto irrelato al racconto circostante, mimando un flusso del parlato non controllato,
indifeso dalle distrazioni). Si può accettare questo italiano? Certamente sì, se si è nell’ambito di testi
letterari, dallo scopo ‘ricreativo’, o se si sta parlando informalmente. No, se lo utilizziamo in scritture
e discorsi che hanno uno scopo ‘funzionale’ ovvero per lo studio, il lavoro, la vita civile, l’economia,
la politica e via dicendo.



Conclusione
È possibile, dunque, che certi fatti linguistici possano apparire corretti ad alcuni, inaccettabili ad altri.
Le ragioni delle discrepanze possono essere le più varie, ma certo la più importante e frequente è
l’articolazione delle lingue, e dell’italiano in particolare, in varietà (regionali, sociali, situazionali) e


15 Per il concetto di deittico si veda la dispensa sulla linguistica testuale.

                                                                15
sottovarietà. Una certa espressione potrà venire giudicata scorretta solo perché informale, o
semplicemente perché lontana dalle abitudini linguistiche di chi la sta prendendo in esame. È un bene
quindi che i bambini (e i ‘grandi’) arrivino a capire che esiste nella nostra lingua un nucleo comune
costituito da regole molto generali e accettate in tutte le situazioni e in tutti gli angoli della penisola,
cui si accompagna però la gamma delle variazioni: le une e le altre sono a pari titolo ‘lingua italiana’, e
sulle une e le altre si può, anzi si deve, esercitare la riflessione, in una prospettiva didattica moderna
che amplia il concetto di competenza linguistica in competenza comunicativa, radicandosi in una
grammatica psico-semiotica16 volta al recupero tanto del parlante quanto del contesto situazionale.




                                             BIBLIOGRAFIA PER L’ESAME
Relativamente alle caratteristiche dell’italiano contemporaneo, argomento della prima unità didattica,
è sufficiente studiare questa piccola dispensa (note incluse), i cui esercizi finali forniranno
coordinate utili per orientarsi nella preparazione all’esame.


                                           BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
                                                    (Per i più curiosi!)
Chi fosse interessato ad approfondire il tema delle varietà linguistiche – o a sciogliere i dubbi
inevitabilmente lasciati dalle pagine precedenti – può consultare alcune opere dall’impostazione
rigorosa e tuttavia agili da leggere anche per i non specialisti:
¡ ILARIA BONOMI, ANDREA MASINI, SILVIA MORGANA, MARIO PIOTTI, Elementi di linguistica italiana,
Carocci, Roma 2003, pp. 15-86.
¡ ALBERTO A. SOBRERO, ANNARITA MIGLIETTA, Introduzione alla linguistica italiana, Laterza, Roma-Bari
2006, pp. 57-78.
¡ MARIA G. LO DUCA, Lingua italiana ed educazione linguistica. Tra storia, ricerca e didattica,
Carocci, Roma 2003, pp. 57-140.
¡ CRISTINA LAVINIO, Comunicazione e linguaggi disciplinari. Per un’educazione linguistica trasversale,
Carocci, Roma 2004, pp. 73-91.

16 Per amor di sintesi, questi appunti sulle varietà dell’italiano si sono limitati a trattare di competenze linguistiche e
sociolinguistiche. Troppo spesso dimenticate, e a torto, specie nell’ambito dell’insegnamento della L1, sono la competenza
paralinguistica (ovvero il riconoscimento di elementi quali l’intonazione, la velocità dell’eloquio, le interruzioni e le riprese
del discorso e così via) e la competenza extralinguistica (che concerne il linguaggio dei gesti, l’utilizzazione degli spazi e
delle distanze, il significato degli oggetti, dell’abbigliamento dell’interlocutore, ecc.). Tutte insieme, queste competenze,
costituiscono quella grammatica psico-semiotica cui si fa cenno, e fungono da trampolino di lancio per la fantasia del docente
che voglia creare pratiche operative mirate allo sviluppo delle capacità metalinguistiche dei discenti.

                                                             16
Per una ricognizione intorno alla sola dimensione diamesica anche:
¡ CRISTINA LAVINIO, Teoria e didattica dei testi, La Nuova Italia, Firenze 1990, pp. 11-38.
¡ MARGHERITA ORSOLINI, CLOTILDE PONTECORVO, La costruzione del testo scritto nei bambini, La Nuova
Italia, Firenze 1991, pp. 13-26.


La prima versione delle Dieci Tesi sull’educazione linguistica (anno 1975) può essere utilmente
consultata e scaricata cliccando sul link a seguire:
http://www.societadilinguisticaitaliana.org/SLI_gen/dieci_tesi.htm
oppure può essere letta in:
¡ S. FERRERI, A. R. GUERRIERI, Educazione linguistica vent’anni dopo e oltre, La Nuova Italia, Firenze
1998, pp. 81-92.




                                                 ESERCIZI

1. Rispondi alle seguenti domande:
    a) Che cos’è l’italiano standard?
    b) Elenca e spiega a grandi linee i cinque parametri fondamentali di variazione linguistica.
    c) Definisci il concetto di registro, indicando anche il parametro extralinguistico cui esso è
         legato.
    d) Illustra il concetto di sottocodice.
    e) Un determinato sottocodice può avvalersi di registri diversi?
    f) Da quale parametro dipendono le varietà d’apprendimento?
    g) Qual è il parametro che influisce sulla formazione delle prime competenze linguistiche del
         bambino? E quello di cui, invece, il bambino prende coscienza per ultimo?
    h) Che cosa si intende per ridondanza esecutiva?
    i)   Perché si parla di duttilità in riferimento alla scrittura?
    j) Fai un esempio concreto della funzione interazionale.
    k) Sei in grado di riferire tutte le differenze principali tra oralità e scrittura?
    l)   Che cos’è un fatismo?
    m) Fai un esempio concreto di pausa piena.

                                                     17
n) Fai un esempio concreto di dislocazione a sinistra.
   o) In che senso il concetto di dislocazione è legato al concetto di egocentrismo del linguaggio?
   p) Descrivi i tratti caratteristici del parlato relativi all’uso dei tempi verbali.
   q) Qual è lo “stato di salute” del congiuntivo? Sapresti contrastare la tesi di chi asserisce che gli
        italiani gli preferiscano ormai l’indicativo?
   r) Descrivi i tratti caratteristici del parlato relativi al sistema pronominale.
   s) Che cos’è l’italiano neo-standard o italiano dell’uso medio?
   t) Elenca almeno tre fenomeni lessicali peculiari dell’italiano neo-standard.
   u) Il tratto gli per a lei è da considerare neostandard o substandard (cioè non accettabile)?
   v) Che cos’è un dativo etico?



2. Analizza nelle seguenti frasi i tratti dell’italiano neo-standard:
   a) Ho visto Marco e Paola e gli ho detto che questa settimana qui ho un esame.
   b) Quando li vai a trovare?
   c) Sono stanca stanca: mi faccio una bella doccia e poi vado a letto.
   d) Volevo un gelato al cioccolato.
   e) Lui è il classico tipo che non gli devi dire cosa fare.
   f) Vorrei conoscerli, i tuoi figli. Gianni e Luca mi parlano di loro in continuazione.
   g) Al supermercato, ci va Claudio.
   h) Il caffè lo preferisco con poco zucchero.
   i)   I Rossi sono ancora qui? Non partivano domani?
   j) Quando ho finito l’università, vado a cercare lavoro.
   k) Chi è che deve essere ancora esaminato?
   l)   Di fronte a simili situazioni c’è quello che se ne frega e c’è quello che lotta per cambiare le
        cose.
   m) Che fai stasera?
   n) C’ho fame!
   o) Se lo sapevo che ti interessava, ti avvisavo.
   p) Vent’anni fa questa villa è stata completamente ristrutturata, prima era un fienile.
   q) Non appena ho mangiato, vengo a prenderti.
   r) Bussano alla porta. Chi sarà?
   s) Sono appena arrivati un gruppo di turisti.



3. Il testo A, la trascrizione di un brano trasmesso, è stato adattato al canale scritto e
riformulato come testo B da una studentessa iscritta a un corso di laurea specialistica
della facoltà di Lettere e Filosofia di Pisa. Quali differenze noti tra i due testi? Aiutati
rileggendo i paragrafi 2.1 e 2.2.
        A

                                                   18
Spazi verdi // a Roma // ci sono // andrebbero gestiti // un po’ meglio // senz’altro // andrebbero gestiti un po’
       meglio // perché // eh // spazi verdi // per me ci sono // certo // ce ne sono pochi // perché // vengono // non sono
       utilizzati // non sono utilizzati // per un mot // per un motivo semplice // perché // per arrivare // allo spazio verde //
       lo spazio verde // resta sempre // dentro la città // e lo spazio verde uno // lo // lo immagina // leggermente // fuori //
       all’aria // dove non ci sono macchine // però // per arrivare // in quei posti // diciamo // un grosso parco // un grosso
       parco giochi // ma non ci sia da pagare // per entrare… che non ci sia da pagare // per entrare // è gestito // eh eh //
       gestito // il discorso è questo // però // per arrivarci // uno non deve prendere // la macchina propria // e andare lì //
       dovrebbe essere vicino // a un’uscita // della metropolitana // o a trovare // trovare // trovare sbocchi // dove fare //
       dove attrezzare // i cosi // dove però // ci deve essere // un controllo che // allora ritorniamo // al vecchio discorso //
       che il bambino // deve essere educato // da piccolo // non sporcare // non rompere // e allora // tante cose //
       andrebbero bene // il fatto // che in Italia // ho detto // è tutto un casino // perché // chi lavora // lavora // chi non
       lavora // sta meglio di quello // che lavora.
                                                             (L’opinione della gente: interviste per strada, Rai Tre, 12.05.02)

       B
       Nel corso della trasmissione di Rai Tre L’opinione della gente: interviste per strada, andata in onda il 12 maggio
       2002, l’argomento proposto è stato la gestione dei parchi pubblici a Roma.
            Secondo l’opinione di un cittadino interpellato, critico rispetto all’amministrazione dei parchi, l’Urbe è ricca
       di spazi verdi che sono però collocati all’interno della città, circondati dal traffico e dunque scarsamente fruibili.
       L’intervistato troverebbe auspicabile la creazione di aree verdi situate fuori città ma allo stesso tempo raggiungibili
       con facilità per mezzo della metropolitana; dovrebbero essere parchi ad ingresso gratuito, attrezzati per il
       divertimento dei bambini e muniti di un controllo.




SOLUZIONI esercizio 1
   Si rimanda alla lettura diretta delle sezioni teoriche.

SOLUZIONI esercizio 2

   a) Ho visto Marco e Paola e gli (dativo singolare maschile esteso al plurale, al posto della forma
       tonica “a loro”) ho detto che questa settimana qui (avverbio locativo rafforzativo di
       complemento di tempo) ho un esame.
   b) Quando li (risalita del clitico, sempre più frequente rispetto a “quando vai a trovarli?”) vai
       (uso del presente indicativo al posto del futuro: forma andare + a) a trovare?
   c) Sono stanca stanca (fenomeno lessicale di raddoppiamento): mi faccio (dativo etico: verbo
       pronominale con valore affettivo) una bella doccia e poi vado a letto (anche in questa frase il
       futuro è sostituito dal presente).
   d) Volevo (imperfetto di cortesia al posto del condizionale) un gelato al cioccolato.
   e) Lui (pronome personale soggetto al posto di “egli”) è il classico tipo che (“che polivalente”
       con ripresa pronominale in luogo di “a cui/al quale”) non gli devi dire cosa (pronome
       interrogativo al posto di “che cosa”) fare.
   f) Vorrei conoscerli, i tuoi figli (dislocazione a destra). Gianni e Luca mi parlano di loro in
       continuazione.

                                                            19
g) Al supermercato, ci (dislocazione a sinistra) va Claudio.
    h) Il caffè lo (dislocazione a sinistra) preferisco con poco zucchero.
    i)   I Rossi non hanno ancora iniziato a traslocare… Ma non lasciavano (imperfetto epistemico)
         l’appartamento fra due giorni?
    j) Quando ho finito (passato prossimo indicativo, impiegato sempre più spesso in luogo del
         futuro composto, che in questo caso sarebbe: “avrò finito”) l’università, vado (uso del
         presente indicativo al posto del futuro) a cercare lavoro.
    k) Chi è che deve essere ancora esaminato? (frase scissa: elemento focalizzato “chi” + è + falsa
         relativa che esprime l’elemento noto ovvero “c’è ancora qualcuno che deve essere
         esaminato”)
    l)   Di fronte a simili situazioni c’è quello che se ne frega (verbo pronominale) e c’è quello che
         lotta per cambiare le cose. (c’è presentativo)
    m) Che (in luogo di “che cosa”) fai stasera? C Insieme al cosa della frase 5, il che interrogativo
         è un tratto molto frequente del neo-standard.
    n) C’ho fame! (uso della particella pronominale ci con il verbo avere)
    o) Se lo (uso del pronome ‘neutro’ per anticipare una proposizione) sapevo (uso dell’indicativo
         al posto del congiuntivo nel periodo ipotetico) che ti interessava, ti avvisavo (uso
         dell’indicativo al posto del condizionale nel periodo ipotetico).
    p) Vent’anni fa questa villa è stata completamente ristrutturata (uso del passato prossimo al
         posto del passato remoto), prima era un fienile.
    q) Non appena ho mangiato vengo a prenderti (uso del passato prossimo al posto del futuro
         anteriore).
    r) Bussano alla porta. Chi sarà? (futuro con valore epistemico)
    s) Sono appena arrivati un gruppo di turisti (concordanza a senso)


SOLUZIONI esercizio 3
Il testo A è ricco di tratti tipici di un parlato dialogico e informale: ripetizioni (ad es. spazi verdi), false
partenze (ad es. perché // vengono // non sono utilizzati; …. dove fare // dove attrezzare…), parole
ombrello (dove attrezzare i cosi), riempitivi di silenzio (eh… diciamo), zeppe sillabiche (ad es. …
trovare // trovare // trovare sbocchi…, sicuramente pronunciato con un prolungamento di sillaba
finale, almeno nelle prime due occorrenze di trovare), assenza di pianificazione.

Il testo B si presenta scandito in due capoversi e regolarmente demarcato da segni interpuntivi come la
virgola, il punto e virgola, e il punto; lo scopo è quello di segmentare logicamente le unità informative
e segnalare il procedere argomentativo, in modo da agevolare una lettura endofasica. In attacco, il
nuovo testo recupera le coordinate spazio-temporali (essenziali per il lettore, che a differenza di un
interlocutore non condivide con l’emittente lo spazio e il tempo) e sintetizza l’argomento trattato non
solo eliminando tutti i fenomeni tipici del parlato, ma anche selezionando le unità informative

                                                     20
attraverso un non sempre immediato processo di interpretazione, rielaborazione e risequenziazione. Il
risultato è un testo compatto, ad alta densità informativa, che evita le ripetizioni e che si avvale di un
lessico specifico e colto (Urbe, fruibili, auspicabile, muniti di…).




                                                   21

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  • 1. UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE CORSI SPECIALI PER IL CONSEGUIMENTO DELL’ABILITAZIONE ALL’INSEGNAMENTO NELLA SCUOLA DELL’INFANZIA E NELLA SCUOLA PRIMARIA Sede di Livorno A.A. 2006-2007 Fondamenti e didattica della lingua italiana Quale italiano insegnare? Appunti sulle varietà della lingua di oggi
  • 2. Indice Premessa p. 3 1. I parametri della variazione linguistica p. 3 1.1 L’apprendimento linguistico del bambino tra diatopia e diamesia p. 4 1.2 Lungo l’asse della diastratia: le varietà d’apprendimento p. 5 1.3 Registri e sottocodici nelle varietà diafasiche p. 6 1.4 Le varietà come dimensioni ‘liquide’ p. 6 2. Focus sulla diamesia p. 7 2.1 Scrittura vs oralità p. 7 2.2 L’italiano parlato p. 8 3. Italiano standard, neo-standard e informale-trascurato p. 13 Conclusione p. 15 BIBLIOGRAFIA PER L’ESAME & BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO p. 16 ESERCIZI p. 17 SOLUZIONI p. 19 2
  • 3. Premessa Nel selezionare e organizzare i contenuti di questa unità didattica mi sono lasciata guidare dall’intento di aiutare l’insegnante della scuola dell’infanzia e della scuola primaria a muoversi sul terreno insidioso della variabilità linguistica, fornendo qualche strumento utile per giudicare con serenità alcuni tratti ‘in movimento’ dell’italiano contemporaneo. È infatti grazie a un approccio consapevole della molteplicità e del divenire del contesto comunicativo che la correzione dell’errore si può trasformare in riflessione metalinguistica, talora per ‘espungere’ in maniera definitiva, talaltra per ‘accogliere’ contestualmente alla situazione. Le Dieci Tesi sull’educazione linguistica, pubblicate dal GISCEL1 per la prima volta ormai più di trent’anni fa, conservano intatta la loro validità, specie quando ci ricordano che la vecchia pedagogia linguistica era imitativa, prescrittiva ed esclusiva. Diceva: «Devi dire sempre e solo così. Il resto è errore». La nuova educazione linguistica (più ardua) dice: «Puoi dire così, e anche così e anche questo che pare errore o stranezza può dirsi e si dice; e questo è il risultato che ottieni nel dire così o così». La vecchia didattica linguistica era dittatoriale. Ma la nuova non è affatto anarchica: ha una regola fondamentale e una bussola; e la bussola è la funzionalità comunicativa di un testo parlato o scritto e delle sue parti a seconda degli interlocutori reali cui effettivamente lo si vuole destinare. Come tentativo di fornire uno strumento d’orientamento, una bussola appunto, va dunque interpretato questo mio primo intervento. Per fare tutto ciò contravverrò solo in apparenza all’assunto fondamentale che anima i Corsi Speciali: nelle prossime pagine si parlerà poco di bambini e molto di lingua. Ma è proprio sulla base di quel ‘molto di lingua’ che si potranno inserire, in seguito, le azioni didattiche più specifiche per aiutare i piccini nel loro sviluppo linguistico o – come si capirà meglio alla luce delle considerazioni che ci apprestiamo a compiere – plurilinguistico. 1. I parametri della variazione linguistica La lingua italiana è un codice2 unico che ha tuttavia molteplici possibilità di realizzazione, ognuna dipendente dai partecipanti allo scambio comunicativo e dalle loro scelte lessicali, morfo-sintattiche, stilistiche e persino intonative. Pertanto, l’italiano standard simbolo di un’identità nazionale – quello presentato dalle grammatiche e dai dizionari, insegnato nelle scuole e agli stranieri, utilizzato in tutti i tipi testuali, anche i più astratti e complessi – rimane un sistema virtuale3 che si attualizza attraverso varietà concrete dipendenti da cinque parametri di natura extralinguistica: 1 Il GISCEL (Gruppi di Intervento e Studio nel Campo dell’Educazione Linguistica) nasce nel 1973 per iniziativa di Tullio De Mauro. È un “intellettuale collettivo” che raccoglie studiosi di linguistica e insegnanti di tutti gli ordini di scuola interessati ai fenomeni linguistici e alle pratiche educative. 2 Un codice è un sistema di segni di cui ci serviamo per comunicare e per fare riferimento, tramite i segni stessi, a entità reali o concettuali. Il valore di ogni segno è determinato dalle relazioni che esso ha con gli altri segni del sistema, piuttosto che non dal suo essere costituito in un certo modo. I codici che si basano sul canale uditivo e su quello visivo, e che utilizzano come segni insiemi strutturati di suoni ed elementi grafici, si chiamano codici verbali o lingue. 3 Si può descrivere una lingua standard come una lingua i) dotata di stabilità, garantita da istituzioni capaci di esprimere una norma (grammatiche e dizionari); ii) caratterizzata da capacità di intellettualizzazione, ossia tradizionalmente dotata di caratteristiche tali da permettere a chi la impiega di esprimere testi di alto contenuto culturale (letterario, filosofico, religioso, scientifico, tecnico); iii) dotata di prestigio, garantito dal suo uso negli ambiti letterari, ufficiali, formali, oltre che dalla formalizzazione grammaticale; iv) avente funzione unificatrice fra parlanti di varietà diverse (ad esempio fra i parlanti di diverse varietà regionali di italiano, che grazie allo standard si sentono membri di una stessa comunità); v) avente funzione separatrice ovvero di simbolo dell’identità nazionale in contrapposizione ad altri standard nazionali. 3
  • 4. 1. Il parametro della DIACRONIA ovvero la trasformazione legata all’evoluzione della lingua nel tempo (l’italiano del Trecento, del Cinquecento, di fine Ottocento ecc.). 2. Il parametro della DIATOPIA ovvero i mutamenti della lingua nello spazio geografico – l’italiano dei toscani, dei siciliani, dei piemontesi, dei romani ecc., di volta in volta diverso nell’intonazione e nella pronuncia ma anche nelle scelte lessicali e morfosintattiche. 3. Il parametro della DIASTRATIA ovvero la variazione legata alle condizioni socio-economiche dell’utente, al grado d’istruzione scolastica, al tipo di attività lavorativa, alla consuetudine alla lettura e alla scrittura. In questo parametro possiamo iscrivere anche le variazioni legate al sesso e all’età. 4. Il parametro della DIAFASIA ovvero la variazione che dipende dalla situazione comunicativa, dai partecipanti allo scambio linguistico, dall’argomento e dallo scopo del messaggio. 5. Il parametro della DIAMESIA ovvero il mutamento della lingua secondo il mezzo fisico impiegato, il canale attraverso cui viene usata (l’aria, il foglio, lo schermo ecc.). Escludendo il parametro della diacronia – senza dubbio affascinante ma d’interesse per la linguistica storica più che per la didattica della lingua – possiamo compiere una serie di riflessioni rilevanti in riferimento alle dimensioni diatopica, diastratica, diafasica e diamesica. § 1.1 L’apprendimento linguistico del bambino tra diatopia e diamesia La prima riflessione su cui ci soffermiamo è che nella formazione della competenza linguistica del bambino le determinazioni diatopiche sono le prime a essere acquisite.4 Ciò significa che le prime fasi d’apprendimento dell’italiano sono caratterizzate da elementi, anzitutto prosodici e fonetici, locali. In seguito, la lingua si determina, diastraticamente, in funzione dell’ambiente sociale in cui il bambino 4 In base al Modello Semiotico-Transazionale B-A-B, il Bambino riceve l’input linguistico dal contesto socio-culturale in cui vive, elabora tale input nella misteriosa “scatola nera” che è la sua mente e produce un output che il feed-back dello stesso ambiente concorre a confermare, modificare o correggere. La qualificazione “semiotica” del modello sottolinea il fatto che la comunicazione è un’attività composita risultante dall’interazione-integrazione di più linguaggi (linguistico, cinesico, prossemico, oggettuale ecc.). La qualificazione “transazionale” sottolinea il fatto che il linguaggio viene acquisito dal Bambino soltanto grazie alle interazioni che egli ha con i suoi simili: con gli Adulti, in primo luogo la madre, ma anche con altri bambini (BB) più grandi – e in questo caso la transazione diventa B-BB-B. Il Modello Semiotico-Transazionale integra varie teorie: 1. la teoria innatista-cognitivista di Chomsky, secondo cui esiste un meccanismo ereditato geneticamente e specifico dell’uomo chiamato LAD (Language Acquisition Device) che consente di acquisire naturalmente, nelle primissime fasi dello sviluppo, la lingua materna; tale meccanismo è in grado di decodificare ognuna delle migliaia di lingue parlate sul pianeta, di ricavarne la grammatica e di organizzare l’output desiderato. 2. La teoria ambientalista di Skinner e Bloomfield, ove la mente del bambino è una tabula rasa che l’ambiente segna e riempie con i suoi stimoli; la molecola dell’apprendimento è infatti descrivibile con la formula S-R (Stimolo- Risposta) per la quale l’apprendimento ha luogo associando particolari risposte agli stimoli che vengono forniti al soggetto. 3. La teoria costruttivistica di Bruner, il quale, sotto l’influenza delle teorie piagettiane, ha ipotizzato e convalidato sperimentalmente il ricorso a un Language Acquisition Support System (LASS) destinato ad attivare il LAD chomskiano. Il sistema di supporto consiste di tre elementi: a. il riconoscimento pregiudiziale del fatto che il bambino vuole comunicare (il che si manifesta nel sorriso, nell’ostensione della mano, in vocalizzazioni ecc.); b. la presenza di una madre (o di altri adulti) che decifra tali intenzioni e crea le condizioni di una comunicazione efficace; c. la creazione da parte della madre di formati della comunicazione, cioè di situazioni comunicative delimitate e ripetitive che conduco gradualmente il bambino dall’intenzione comunicativa alla comunicazione non verbale, e infine alla comunicazione verbale. Il piccolo ascolta la lingua parlata intorno a sé, si fa delle ipotesi sul suo funzionamento e si costruisce a poco a poco la sua lingua grazie al feed-back dell’ambiente che lo circonda. Allorché tale feed-back è positivo, la regola si consolida nella sua mente, anche quando si tratta di una difficile operazione di restrizione d’uso (ad es. un’eccezione). Cfr Giovanni Freddi, Glottodidattica, UTET, Torino 1994, cap. 7. 4
  • 5. cresce (ambiente più o meno ricco di stimoli che favoriscano l’interpretazione della realtà). Numerose ricerche hanno anche evidenziato il ruolo cruciale delle scelte linguistiche delle mamme, generalmente inclini a impiegare con i loro piccoli il codice da esse ritenuto socialmente più prestigioso – il che sarebbe stato concausa, negli anni, dell’inesorabile avanzamento dell’italiano, seppur con coloriture regionali, a tutto svantaggio del dialetto. Successivamente si svilupperanno, in relazione all’educazione linguistica che il bambino riceverà, gradi diversi di consapevolezza comunicativa, cioè della capacità di variare i discorsi a seconda delle occasioni della vita sociale (variazione diafasica). “Solo da ultima, eventualmente, si svilupperà una consapevolezza diamesica ovvero delle specifiche caratteristiche e strategie della lingua scritta rispetto a quella parlata. Questo è molto interessante, ad esempio, ai fini dell’insegnamento della scrittura, perché colloca tale insegnamento nell’ambito, e quasi a coronamento, di processi di educazione linguistica che implicano lo sviluppo di capacità di maturazione di elementi di autocoscienza attinenti alle dimensioni di variazione che vengono prima della dimensione diamesica”5. Quella che qui è stata sintetizzata, semplificando, come successione di fasi cronologiche, è in realtà un’implicazione di fasi logiche, che nel processo continuo di maturazione delle abilità linguistiche si sviluppano l’una dall’altra quasi a spirale. Il fatto che il primo contatto linguistico del bambino sia con l’italiano regionale – se non addirittura con un dialetto specifico (che però è da considerare come un vero e proprio sistema linguistico altro, sviluppatosi autonomamente e parallelamente all’italiano) – non deve preoccupare l’insegnante: l’italiano parlato è una varietà della lingua relativamente recente, che ha cominciato a diffondersi nel territorio nazionale ben oltre il 1861, anno d’unificazione dell’Italia, e che ancora oggi è fortemente marcata in diatopia, come testimoniano le abitudini fonetiche, più o meno controllate, di tanti personaggi pubblici – si pensi agli ‘italiani’ dei vari presidenti della Repubblica (due esempi tra tutti: quello ‘sardo’ di Cossiga e quello ‘toscano’ di Ciampi). Le varietà regionali e i dialetti costituiscono una ricchezza da cui non si può, né si deve, prescindere; l’importante è aiutare i bambini a gestire in misura sempre più consapevole lo scambio linguistico, sviluppando e stimolando le capacità di passaggio dalle formulazioni più colloquiali e immediate a quelle più meditate e formali6. § 1.2 Lungo l’asse della diastratia: le varietà d’apprendimento Proseguendo con le nostre riflessioni e soffermandoci sul parametro della diastratia, risultano di particolare interesse le varietà d’apprendimento, che si identificano con le interlingue, meccanismi legati all’apprendimento di una lingua straniera o di una lingua seconda7. Più specificatamente, 5 Cito da Mirko Tavoni, “Caratteristiche dell’italiano contemporaneo e insegnamento della scrittura”, in F. Bruni e T. Raso (a cura di), Manuale dell’italiano professionale. Teoria e didattica, Zanichelli, Bologna 2002, p. 140. 6 Alcune ricerche hanno evidenziato come i bambini che usano il dialetto in famiglia e l’italiano a scuola conseguano risultati generalmente più brillanti sia dei compagni esclusivamente dialettofoni sia di quelli che parlano sempre italiano, a riprova dell’importanza che il plurilinguismo riveste anche a livello cognitivo. Come valorizzare dunque, nell’insegnamento, la lingua locale, specie in zone di forte dialettofonia e/o di disagio sociale? Impiegandola come punto di partenza nel percorso verso la lingua nazionale, ad esempio avvalendosene per il racconto, anche drammatizzato, di fatti e aneddoti di vita locale o per effettuare piccole ricerche volte al recupero delle tradizioni linguistiche attraverso interviste a parlanti anziani. In questo modo, si favorirà nei discenti un’operazione di confronto tra codici, che condurrà, con grande gradualità, a un punto di arrivo in cui l’italiano (anche nelle sue varietà più alte) diventerà diastraticamente neutro, ovvero accessibile a tutti, senza distinzione di status. 7 Una lingua straniera è una lingua diversa dalla materna-nazionale che viene studiata mediante applicazione consapevole 5
  • 6. l’interlingua è un sistema linguistico provvisorio, personale e dinamico che l’apprendente si costruisce per comprendere, manipolare e organizzare le forme linguistiche nuove tanto sul versante ricettivo quanto sul versante produttivo. Essa è costruita con materiali e regole della madrelingua e con elementi della lingua target. Si tratta di una varietà sempre più presente nella scuola italiana, frequentata oggi da molti bambini le cui famiglie provengono da paesi esteri, e che costringe istituzioni e docenti a confrontarsi con questa nuova realtà sociale ed educativa. § 1.3 Registri e sottocodici nelle varietà diafasiche Le varietà diafasiche danno luogo ai registri, cioè varietà collocabili lungo un continuum che va dalla formalità tipica di situazioni comunicative che si svolgono in ambienti pubblici all’informalità delle situazioni più domestiche, attraverso una serie di gradazioni linguistiche e stilistiche che sfumano una nell’altra. Ma non è solo il luogo a determinare la maggiore o minore accuratezza espressiva: a scuola il docente potrà riservare i registri più alti durante la lezione, mentre potrà fra emergere registri anche molto colloquiali durante le pause o i momenti di distensione. Si fanno rientrare nel parametro della diafasia anche le varietà della lingua che definiamo sottocodici, correlati non al contesto comunicativo ma all’argomento del messaggio – ad esempio i sottocodici tecnico-scientifici (lingua della matematica, della medicina, dell’informatica ecc.) e quelli, meno specializzati, dello sport, della moda, e così via. Per comprendere la distinzione tra registri e sottocodici è bene riflettere sul fatto che uno stesso sottocodice può avvalersi di registri diversi: si pensi al famoso cardiologo che userà un registro al massimo grado di formalità durante un convegno tra colleghi, e un registro più disteso e accattivante in un articolo divulgativo su un quotidiano. § 1.4 Le varietà come dimensioni ‘liquide’ È bene meditare, infine, su un ultimo aspetto della varietà linguistica: diatopia, diastratia, diafasia, diamesia, sono dimensioni ‘liquide’, che non si realizzano da sole bensì in ‘fusione’ con le altre, di modo che può essere difficile individuare quale sia quella prevalente. Ad esempio, seguendo una logica da scatole cinesi (si veda figura a pagina 7), i tratti marcati sulle dimensioni esterne sono sempre marcati anche su quelle più interne: gli italiani regionali (variazione diatopica) sono marcati diastraticamente perché hanno una connotazione socioculturale bassa; sono anche informali (variazione diafasica) e caratteristici del parlato (variazione diamesica). Anche i tratti marcati sulle dimensioni interne possono, talvolta, esserlo su quelle più esterne – si pensi ai sottocodici, appartenenti alla dimensione diafasica ma anche a quella diastratica (perché di norma usati dai ceti più alti). nella scuola o in speciali corsi di lingue. In queste situazioni il solo input linguistico è quello assicurato dall’insegnante o dai materiali audio e video, mentre la funzionalità comunicativa risulta ridotta a interazioni scolastiche circoscritte e artificiali. Una lingua seconda (L2) è una lingua diversa da quella materna che viene appresa all’interno dell’ambiente in cui essa è strumento d’interazione quotidiana e di vita. L’aggettivo numerale “seconda” ha qui un valore non cronologico ma socio- psicolinguistico. Esempi possono essere quello degli immigrati che imparano l’italiano in Italia o quello degli studenti italiani che vanno a imparare l’inglese in Inghilterra. In tali condizioni la nuova lingua, rilanciata dall’ambiente, dalla strada, dai media, dagli amici e dai colleghi conosce un’elevata funzionalità comunicativa (cfr Giovanni Freddi, Glottodidattica, UTET, Torino 1994, p. 3). 6
  • 7. DIATOPIA DIASTRATIA DIAFASIA DIAMESIA 2. Focus sulla diamesia Il parametro della diamesia determina due varietà fondamentali della lingua: l’italiano scritto, che si avvale di un canale di trasmissione grafico e destinato alla lettura, e l’italiano parlato, che si avvale di un canale di trasmissione fonico e destinato all’ascolto. § 2.1 Scrittura vs oralità Ragionando in termini molto generali, prescindendo dunque dalla specificità di una particolare lingua storico-naturale8, le principali caratteristiche della scrittura e dell’oralità – qui intesa nella sua accezione più ‘libera’, cioè come parlato conversazionale – si possono sinteticamente presentare e contrapporre come segue: SCRITTURA ORALITÀ 8 Con l’aggettivo storico s’intende che le lingue si sviluppano e cambiano nel corso del tempo; l’aggettivo naturale, invece, sottolinea il fatto che ogni singolo essere umano percepisce la lingua parlata entro la comunità in cui è cresciuto come una realtà ovvia e preesistente alla propria nascita. 7
  • 8. Apprendimento istituzionalizzato: per • Acquisibilità spontanea e universale: in scrivere e leggere occorre un addestramento assenza di patologie tutti imparano a parlare, specifico, di solito scolastico, che insegni a se immersi sin da piccoli (entro il ‘periodo pensare ‘in modo diverso’, ovvero a dare critico’ dei sette-otto anni d’età) in un impulso alle abilità cognitive del classificare, ambiente linguistico.9 dell’astrarre, del ricordare e del ragionare. Queste capacità (che in lingua inglese sono rese con il termine literacy) sono definite anche ‘pensare come un uomo occidentale’, in contrapposizione alle molte culture lontane dai paesi industrializzati che ancora oggi non possiedono la scrittura e la lettura. • Persistenza: la comunicazione scritta è • Caducità: la comunicazione orale è volatile, ‘differita’ e permanente. Si rivolge a basata sui ricordi a breve termine dei destinatari che possono essere lontani nel partecipanti allo scambio comunicativo, che tempo e nello spazio. condividono lo stesso luogo e interagiscono nello stesso momento. • Duttilità: lo scrivente può revisionare anche • Linearità: il parlato è irreversibile; ciò che è in misura massiccia la bozza del suo testo con stato detto non può più essere cancellato e un labor limae di cui il destinatario del l’emittente non può che procedere per messaggio rimane spesso all’oscuro. A sua ‘cumulo’ progressivo d’informazioni; il volta, quest’ultimo può decidere, durante la fruitore può percepire il messaggio solo nello lettura, di tornare indietro e di rileggere una stesso ordine nel quale esso viene realizzato. porzione di testo più o meno estesa; se vuole, può anche decidere di saltare certe parti o di leggerle in ordine non sequenziale. • Economia esecutiva: lo scritto è formale, • Ridondanza esecutiva: il parlato dice molto compatto, ad alta densità informativa; esso più del necessario, nel tentativo di recuperare procede secondo logica a sviluppare un l’informazione soggetta a perdersi. Questo discorso ed evita le ripetizioni o i riempitivi. fenomeno è legato anche alla ‘possibilità di retroazione’ (o feed-back): nel parlato dialogico chi parla può ripetere e modificare in modo più o meno radicale il proprio messaggio in base alle reazioni dell’interlocutore o a eventuali disturbi della comunicazione. Ciò dà luogo alla ‘frammentarietà’ o ‘intricatezza’ del parlato: il parlante può interrompersi, riprendere il già detto con nuove spiegazioni, talvolta anche contraddicendosi, senza seguire una particolare pianificazione. Tuttavia la densità semantica rimane bassa: si diluiscono le informazioni da trasmettere entro un cumulo di perifrasi, incisi, esitazioni, false partenze. • Ridondanza sistemica: la sintassi è ipotattica • Economia sistemica: la sintassi è paratattica ovvero varia e complessa, con subordinazioni ovvero basata su frasi principali, coordinate o, che vanno oltre il primo grado. La semantica è al massimo, subordinate di primo grado. Le ‘deliberata’: tutto deve essere spiegato scelte lessicali cadono su parole dal ricorrendo quasi esclusivamente alle risorse significato generico (ad. es. fare, dire, cosa interne al sistema linguistico-verbale. ecc.), adatte a molti oggetti del discorso e retoricamente non impegnative (le cosiddette parole ‘ombrello’). Le parole dette – ma anche 9 Difficile, se non impossibile, conseguire questo risultato una volta superata l’età critica, dopo la quale la facoltà di linguaggio sembra atrofizzarsi, come testimoniano i pochi casi noti di “bambini selvaggi”. 8
  • 9. quelle non dette – possono avvalersi di potentissimi mezzi espressivi, quali la mimica, la gestualità, la distanza che si interpone tra sé e gli interlocutori, il vestiario e gli oggetti che si indossano, l’intonazione e il ritmo dell’eloquio. • Funzione transazionale: l’interesse di chi • Funzione interazionale: l’interesse di chi scrive è prevalentemente rivolto allo scambio parla è in prevalenza volto a gestire i contatti di informazioni. con l’interlocutore, senza necessariamente scambiare informazione.10 • Non fluidità: lo scritto si presta a una lettura • Fluidità: le parole sono accorpate in gruppi endofasica, mentale e veloce, in cui l’occhio tonali più o meno estesi, cioè si pronunciano ha bisogno di individuare gli stacchi tra le due/tre parole come se fossero una parola parole e quelli tra le frasi per mezzo di spazi sola. Anche i confini delle frasi non sono ben bianchi, apostrofi, segni interpuntivi, a capo scanditi. ecc. § 2.2 L’italiano parlato In riferimento alla lingua che ci preme tratteggiare in questa sede, l’italiano, possiamo specificare alcuni fenomeni correlati alla ridondanza esecutiva del parlato: • allungamenti vocalici. Si prolunga il tempo di pronuncia dell’ultima vocale di una parola, spesso perché la produzione orale è simultanea alla pianificazione del discorso: “Per casa, fate l’esercizioooo… tre a paginaaaa… venticinque del vostro libro.”; • zeppe sillabiche. Si tratta di prolungamenti che riguardano intere sillabe o addirittura parole, che risultano così ripetute: “Per casa, fate l’esercizioooo… l’esercizio tre.”; • fatismi. Sono formule che hanno lo scopo di verificare il buon funzionamento della comunicazione: “Oggi, bambini, sarete più buoni… vero?”; “Abbiamo già letto insieme questa storia… no?”; • riempitivi di silenzio (o pause piene). Intercalari che servono a ‘prendere tempo’ – ad es. mmh, cioè, come dire, praticamente. Lo scopo è quello di far capire all’interlocutore che non può intervenire perché il turno di parola non è ancora terminato; • false partenze. Il discorso inizia con un enunciato, poi si interrompe brevemente per riprendere daccapo, con una nuova formulazione: “Il viaggio è st[ato]… abbiamo fatto una vacanza interessante.”; • rotture di costruzione. Un enunciato prosegue in modo sintatticamente incongruente con l’andamento iniziale: “Chi ha studiato poco… è a lui che mi rivolgo.” L’italiano parlato presenta inoltre una serie di atteggiamenti linguistici peculiari che coinvolgono sintassi, morfologia e lessico; atteggiamenti che sono ormai penetrati anche nelle scritture di media formalità. Di seguito si fornisce una lista molto parziale: 10 Si può esemplificare questa funzione con il caso in cui due sconosciuti si ritrovino da soli in un ascensore o alla fermata dell’autobus e si sentano in dovere di rompere il silenzio con qualche frase di circostanza, negoziando un rapporto che vinca l’imbarazzo senza per questo scambiarsi alcuna informazione. Naturalmente ciò non vuol dire che l’oralità sia priva di funzione transazionale: un corso o una conferenza informativamente vuoti sarebbero un disastro. Anche la scrittura, sia pure orientata prevalentemente sulla funzione transazionale, può servire a negoziare dei ruoli: si pensi ai messaggi d’auguri, cartacei o elettronici; si tratta di testi scritti che non forniscono informazioni ma servono alla gestione dei rapporti. 9
  • 10. Dislocazione a sinistra. “Il pane lo compro io”: la presupposizione che ci sia da comprare il pane è nota agli interlocutori ed è messa in evidenza attraverso l’anticipazione (il pane) e integrata sintatticamente al nuovo contenuto informativo (io compro) grazie al pronome anaforico11 lo. Vi sono alcuni casi particolari di dislocazione a sinistra: o Topicalizzazione contrastiva. “Il pane compro [intendendo: e non il latte]”: se non c’è ripresa pronominale, l’elemento dislocato a sinistra (il pane) veicola un’informazione nuova ed è pronunciato con enfasi. o Tema sospeso o nominativo assoluto. L’elemento dislocato a sinistra può essere sintatticamente esterno alla frase, privo di una preposizione che lo preceda e separato da una pausa, rappresentabile con una virgola: “La signora Bianchi, non ne voglio più sentire parlare!”, invece del più corretto “Della signora Bianchi non voglio più sentire parlare!”. o Anacoluto. In questo caso, la frattura logico-sintattica – del tutto simile al fenomeno del tema sospeso e pressoché intercambiabile con esso – riguarda una porzione testuale più ampia, una vera e propria rottura di costruzione: “Il primo a consegnare il compito, gli permetto di uscire”. • Dislocazione a destra. “Lo compro io, il pane”: a differenza di ciò che avviene con la dislocazione a sinistra, l’elemento noto (il pane) è posto in secondo piano, mentre l’elemento nuovo (io compro) è messo in evidenza e integrato sintatticamente con il vecchio grazie al pronome cataforico lo. Il fenomeno della dislocazione (a sinistra o a destra) risponde alle necessità di una sintassi ‘egocentrica’. Il concetto di egocentrismo nel linguaggio non ha sfumature morali: nella comunicazione c’è sempre un ‘io’ che tenta di dire qualcosa partendo dal suo ‘centro d’interesse’, ovvero anticipando gli argomenti che lo coinvolgono emotivamente. • Frase scissa. “È Marco che disturba la lezione”: l’accentuazione enfatica converge sull’informazione nuova, veicolata attraverso il costrutto: verbo essere (è) + elemento focalizzato (Marco) + falsa relativa che esprime l’elemento noto (che disturba la lezione). A fuoco, oltre ai sostantivi, possono essere messi anche gli avverbi (“è così che devo fare?”), i sintagmi verbali (“è andare al cinema da solo che non sopporto”), la negazione (“non è che le piaccia tanto”). • C’è presentativo. “C’è una persona che chiede di te”. L’informazione nuova è duplice: 1) c’è una persona; 2) la persona chiede di qualcuno. La scelta di questo costrutto può essere motivata dal desiderio di spezzare il contenuto informativo, per rendere più agevole sia la produzione sia la ricezione del messaggio. • Che polivalente. Subordina in maniera generica, ad esempio: “Il giorno che ho dato l’esame stavo male” (valore temporale); “Rientra a casa presto, che ti aiuto a fare i compiti” (valore 11 Per i concetti di anafora e catafora si veda la dispensa sulla linguistica testuale. 10
  • 11. consecutivo-finale) ecc. Oppure dà luogo a relative spesso non accettabili in una comunicazione più sorvegliata: “È un bambino che gli piace leggere”; “Il cinema che siamo andati ieri”. Rientrano nella categoria del che polivalente anche due fenomeni come l’introduzione di costruzioni enfatiche (“che bella che sei!”) e di avvio vivace dell’interrogazione (“che, vuoi uscire con questo freddo?”). • Usi dell’imperfetto indicativo. Nell’oralità questo tempo ha esteso la sua area d’azione: conferisce al verbo una sfumatura “modale” (che può essere di possibilità, preghiera, dubbio ecc.); esprime eventi non ancora accaduti ma presupposti: o Imperfetto fantastico: “Quella mattina avrei preferito dormire più a lungo ma poi perdevo l’autobus [che in realtà non è stato perso], così decisi di alzarmi di buon’ora”. o Imperfetto ipotetico: “Se studiavi, superavi l’esame”. o Imperfetto potenziale: “Sono preoccupata: Paola doveva rincasare un’ora fa”. o Imperfetto ludico: “Facciamo che tu eri il ladro che si nascondeva e io il poliziotto che ti veniva a cercare”. o Imperfetto di modestia o cortesia: “Scusi, volevo un caffè”. Si sceglie anche per esprimere deferenza: “Volevo esprimere solidarietà a quanto Le è accaduto, Signora”. o Imperfetto epistemico: “La squadra giocava la prossima settimana ma oggi hanno deciso di annullare l’incontro”. • Modalità per esprimere il futuro. Il futuro viene usato con frequenza sempre minore. Al suo posto l’oralità predilige: o Presente pro futuro (per avvenimenti prossimi o assolutamente certi): “Domani vado a Milano”; “Nel 2061 si festeggia il secondo centenario dell’unità d’Italia”. o Perifrasi che sottolineano l’aspetto dell’azione, in questo caso la sua imminenza:  stare per + infinito: “Sto per andarmene”;  stare + gerundio: “Sto andando in centro: devo portarti qualcosa?”;  andare/stare/venire + a + infinito: “Vado a chiamare mia madre”; “Sto ad ascoltare quel che dice e poi decido se dargli retta”; “Vengo a concludere il mio discorso”. o Passato prossimo pro futuro anteriore: “Ti chiamo, quando ho finito di studiare” in luogo di “Ti chiamerò, quando avrò finito di studiare”. È in espansione, tuttavia, l’uso del futuro per esprimere ipotesi e probabilità oppure un obbligo: o Futuro epistemico: “Che ore sono?” – “Saranno le cinque.” o Futuro deontico: “Le domande dovranno pervenire entro e non oltre il…” • Uso dei modi. Il congiuntivo risulta indebolito e sostituito dall’indicativo nelle frasi soggettive (“A me pare che il lavoro è terminato”); nelle frasi oggettive (“penso che il tuo ragionamento è giusto”)12; nelle interrogative indirette (“si chiede che cosa intendeva Sergio”); 12 Nel caso delle frasi soggettive e oggettive, l’occorrenza significativa delle forme dell’indicativo in luogo del congiuntivo è spesso dovuta al fatto che si riferisce a un evento che il parlante non sente come ipotetico, possibile, incerto o probabile (che 11
  • 12. nelle ipotetiche (“Se leggevi le istruzioni, terminavi l’assemblaggio”). In generale, la seconda persona singolare del presente congiuntivo tende a essere sostituita con il presente indicativo, probabilmente per ovviare a problemi di comprensione: alcuni studiosi, infatti, ipotizzano che un’affermazione come “Voglio che vada via” venga più spontaneamente recepita come “Voglio che lui/lei vada via” piuttosto che come “Voglio che tu vada via”. Pertanto un parlante che produca l’enunciato “Voglio che vai via” sembrerebbe mosso da un’esigenza, più o meno inconscia, di chiarezza. Ma è bene rilevare che l’inclinazione all’indicativo non spadroneggia: concerne il parlato, le situazioni informali e le varietà diastratiche basse (in quelle medie e alte il congiuntivo è ancora ben attestato); inoltre è marcata diatopicamente (l’indicativo affiora nelle parlate del centro-sud della penisola). Nel parlato il condizionale è più vitale del congiuntivo ma, come già visto, tende a essere sostituito dall’imperfetto indicativo. In compenso si sta arricchendo di alcune funzioni particolari ormai pressoché standardizzate, specie quando si riportano notizie incerte o si usa il discorso indiretto (per evidenziare il fatto che chi parla sta solo riferendo la parola d’altri, senza necessariamente condividerla): ad esempio, “Secondo il telegiornale il governo starebbe trattando con i ribelli”. Oppure quando si vuole attenuare una richiesta (“Chiuderesti quella porta?”). L’infinito è in espansione per esprimere istruzioni (“Tenere lontano dalla portata dei bambini”), per focalizzare l’azione o l’evento espressi dal verbo (“Interessare mi interessa, ma le condizioni attuali di questa offerta sono troppo svantaggiose”), nel foreigner talk (la lingua parlata dai nativi con gli stranieri: “Se volere permesso, andare in questura”). • Uso dei pronomi. o Lui, lei, loro in funzione di soggetto hanno soppiantato egli, essa/ella, essi, anche in riferimento a cose – “Lui è sempre in ritardo”; “La mia casa anche lei, come me, avrebbe bisogno di un bel restauro!”–, con buona pace delle grammatiche, che invece continuano a sanzionare il te soggetto (“te che cosa ne pensi?”). o Gli è ormai del tutto consueto per esprimere il dativo plurale (“Ho visto Paolo e Maria e gli ho detto di chiamare” piuttosto che “Ho visto Paolo e Maria e ho detto loro di chiamare”), ma è considerato substandard, e quindi da evitare in situazioni formali, se usato al posto di le (“Ho visto Maria e gli ho detto…”). o Declino di loro come allocutivo di cortesia: “Che cosa desiderate bere?”, in luogo di “Che cosa desiderano bere?”. o Dimostrativi utilizzati come pronomi personali, non di rado con sfumature negative rafforzate da qui o lì: “Quello è un poco di buono!”; “Questa è appena arrivata e già crede di poter fare i propri comodi!”; “Se ti metti quella giacca lì, ti rideranno dietro”. o ‘Sto, ‘sta al posto di questo/questa: “ ‘Sta borsa non so dove metterla!”. sono le modalità del congiuntivo) ma come reale (che è la modalità propria dell’indicativo). L’impiego dell’indicativo permette, inoltre, di trattare la subordinata come se fosse una coordinata, secondo una tendenza generale alla semplificazione morfo-sintattica che è tipica del parlato. 12
  • 13. Risalita dei clitici13 con i verbi modali o in complessi verbali: “Lo devo fare” vs “devo farlo”; “La sto cercando di contattare” vs “Sto cercando di contattarla”. • Concordanze a senso. o Concordanza a senso di verbo plurale con soggetto collettivo + complemento di specificazione: “Una ventina di persone sono rimaste coinvolte nel grave incidente…”vs “Una ventina di persone è rimasta coinvolta…”. o Concordanza del verbo con la persona del soggetto logico: “Tu sei una che ti prepari con scrupolo” vs “Tu sei una che si prepara con scrupolo”. o Mancata concordanza del verbo con soggetti posposti che rappresentano il nuovo: “Non c’è problemi” vs “Non ci sono problemi”; “Ci vorrebbe delle soluzioni” vs “Ci vorrebbero delle soluzioni”. • Lessico. Si riportano, tratti dal mare magnum delle varietà lessicali della lingua parlata, solo pochissimi esempi: o Alta densità di verbi pronominali. “Non te la prendere!”; “Questo non c’entra”; “Per fare il tiramisù ci vuole il mascarpone”; “Non ci ho voglia” ecc. o Dativo etico. Sovente i verbi pronominali vengono usati con valore d’intensificazione affettiva o di coinvolgimento di chi ascolta o legge: “Mi preparo una tazza di latte caldo”; “Stasera ci guardiamo un bel film”; “Che mi combini?”; “Entro nel bar e sai chi ti vedo? Franco” ecc. o Diminutivo affettivo. “ Si tratta di un pensierino, un regalino piccolo, piccolo”; “Rimani ancora un attimino”; ecc. o Superlativi assoluti enfatici. “Con mia sorella vado d’accordissimo” ecc. o Espressioni lessicali di enfasi accrescitiva. “C’erano un sacco/casino di persone”; “Ho letto quelle pagine, ma non ci ho capito un tubo!” ecc. o Raddoppiamenti. “Ha comprato una macchina nuova nuova”. o Espressioni onomatopeiche. “Stavo scendendo le scale quando patapumfete, sono caduta”. E inoltre espressioni come: o Quello che è…, quelli che sono. “Illustriamo adesso quelli che sono i concetti fondamentali della sociolinguistica”. o Mi sa al posto di “mi sembra”, “penso”: “Mi sa che tu faccia il furbetto!” o Si vede che in luogo di “evidentemente”: “Non è venuto? Si vede che era stanco”. o Per forza con significato di “obbligatoriamente”: “Devi farlo per forza”. o Solo che con significato avversativo: “Hai ragione, solo che io non ci posso fare nulla”. 13 Un clitico è una particella priva di accento proprio, che si “appoggia” alla parola che la precede – ad es. farlo, contattarla (in questo caso si parla di enclitico) – o che la segue – proclitico: l’ho dovuto fare. 13
  • 14. 3. Italiano standard, neo-standard e informale-trascurato Negli ultimi decenni, l’italiano parlato, di cui si sono già elencati i tratti fondamentali, ha contribuito ad affermare tendenze d’uso – in realtà per buona parte già rinvenibili in produzioni di autori di secoli addietro – in parte accolte in parte ancora sanzionate dalle grammatiche (e in quest’ultimo caso da etichettarsi come substandard, almeno per il momento). Secondo alcuni studiosi il sistema linguistico sta ormai gravitando dall’italiano standard verso un italiano dell’uso medio (secondo la definizione di Francesco Sabatini) o italiano neo-standard (secondo la definizione di Gaetano Berruto), che trasferisce alcuni tratti del parlato anche alle scritture di media formalità. Le caratteristiche del neo- standard coincidono pertanto con quelle illustrate in § 2.2, con l’aggiunta significativa di due fenomeni che riguardano invece solamente la scrittura: • Uso delle congiunzioni. E, ma, o, allora, comunque in posizione iniziale di frase: “Antonio Di Pietro parte al contrattacco: al termine di due giorni di voci, scoop, verbali e intercettazioni intorno alla sua vicenda processuale, l’ex pm prende l’iniziativa. E decide di denunciare i responsabili […]”. • Uso della punteggiatura. Esiste una tendenza, specie nella prosa narrativa e giornalistica, a ‘triturare’ la sintassi, attraverso un impiego nuovo del punto, come nell’esempio che segue: “Libero. Dopo tre anni. Sono arrivato in fondo al corridoio. La guardia alza la testa dalla scrivania. Mi blocco. Ghiacciato.” Il risultato è una tensione tra sintassi e testualità che attiva a sua volta particolari effetti di senso, non rinvenibili quando il punto conferma una frattura testuale già imposta dalla sintassi. Un confronto tra il testo 1, esempio di italiano standard, e il testo 2, un campione di italiano neo- standard, può favorire una comprensione più intuitiva delle variazioni linguistiche:14 1. Secondo lo statuto dell’Università di Pisa, che fu approvato da un’assemblea costituente di cui facevano parte tutte le componenti universitarie compresi gli studenti, il consiglio degli studenti è un organo di governo dell’università, che ha compiti di promozione e coordinamento della partecipazione studentesca alla gestione dell’ateneo. Dà pareri e avanza proposte su tutti i temi importanti della vita studentesca (ordinamenti e regolamenti didattici, diritto allo studio, servizi didattici, tutorato e orientamento, contribuzione), ha potere di proporre modifiche di statuto, delibera autonomamente sull’assegnazione dei fondi da attribuire alle attività (culturali, politiche, sociali, ricreative, etc.) autogestite dagli studenti. 2. Oggi, cinematograficamente parlando, ha una passioncella per Wenders e i tedeschi ma la sua curiosità maggiore è ancora capire cosa diavolo ci fosse nella famosa scatoletta del cliente coreano di Bella di giorno. Viaggiare non è che le piaccia troppo: è stata a Praga, in America, in Germania, in Russia, ma tutto sommato preferisce Milano, Venezia e la Versilia d’estate. Sportiva non è: per mantenersi in forma invece che l’aerobica usa una bicicletta da corsa. Dall’analista c’è stata poche volte e solo in America. Ama vestirsi tanto quanto spogliarsi: e lo fa sempre con gusto. Fra i jeans preferisce i Lee, ha una passione irresistibile per scarpe e stivali, così come per giarrettiere, calze a rete e slip di seta. Ha un figlio di 15 anni, Mattia, e qualche problema come la maggior parte delle madri di oggi. È questa la biografia di Valentina Rosselli, 42 anni, milanese, nubile, il più reale dei personaggi di fantasia in circolazione sulle pagine dei fumetti. L’unico a invecchiare di pari passo con i suoi lettori. Il testo 1 segue un filo espositivo rigoroso e si avvale di termini che appartengono alla sfera semantica 14 Gli esempi riportati sono tratti ancora da Mirko Tavoni, opera citata. 14
  • 15. giuridico-amministrativa; l’ortografia, le forme grammaticali e la sintassi seguono la norma; i pronomi relativi sono correttamente flessi (di cui facevano parte…) e si fa uso del passato remoto (che fu approvato), più formale del passato prossimo. Il testo 2, invece, è un esempio di stile giornalistico brillante, con la presentazione differita del personaggio di cui tratta (la celeberrima Valentina di Crepax), al fine di creare una vaga suspense e attirare l’attenzione del lettore; per osmosi con il linguaggio parlato, la sintassi è semplice, basata sulla coordinazione e sull’impiego di dislocazioni a sinistra (sportiva non è…; dall’analista c’è stata poche volte…) e di frasi scisse (Viaggiare non è che le piaccia troppo…). Negli ultimi anni, tuttavia, alcuni narratori italiani hanno trasferito sulla carta un linguaggio che va oltre il neostandard. Si tratta dell’italiano informale-trascurato, di cui il frammento 3 è un esempio efficace: 3. Quando facevo il cameriere una volta a Milano c’era questo gruppo di ragazzi che hanno visto due ragazze in fondo da sole. Arrivo io e faccio, non vi preoccupate. Sono andato lì ho detto scusate ragazze se vi disturbo, però è per una bella notizia. C’è un ragazzo che senza pretendere niente di particolare con molta onestà ditemi cosa volete e io ve lo porto. Così. Io qua sono venuto a Santo Domingo per mettermi d’accordo con uno che deve vendere delle cose per la casa. Sto costruendo la casa in Giamaica, sto qua da due settimane vedo un po’ il posto poi ritorno. Allora stavo dicendo io ero lì da quelle tipe e quelle fanno eh, ma chi? Io le faccio l’ultimo dietro a destra in fondo. Loro dicono chi, quello là con la cosa azzurra? No, le faccio, l’altro, quello con la cosa rossa a sinistra, guarda bene. Ah, sì, oh, dicono, bene bene bene. E prendono un caffè e un bicchiere d’acqua. E io le faccio va bene, d’accordo. Torno al tavolo dei tipi. Vedo, faccio, dico tutto a posto vado là con il caffè e il bicchiere d’acqua. (da Aldo Nove, Puerto Plata Market) Come unico commento, qui basti riflettere sul fatto che qualcuno ha etichettato gli scrittori come Aldo Nove (peraltro impeccabile in altri contesti comunicativi) con la dicitura di “cannibale”: vi è dunque un’intera generazione di scrittori che ha letteralmente cannibalizzato il linguaggio, traslando il vuoto spirituale della contemporaneità nel vuoto espressivo, immerso in una dimensione tutta orale – si vedano i frequentissimi deittici15 (qua, lì), le strutture con il c’è presentativo, il presente storico vivace (tipico dei racconti in prima persona), le parole “ombrello” (fare, cosa, tipo, tipa) –, apparentemente priva di pianificazione e di logica (ad esempio, l’inserto Io qua sono venuto a Santo Domigo… poi ritorno è del tutto irrelato al racconto circostante, mimando un flusso del parlato non controllato, indifeso dalle distrazioni). Si può accettare questo italiano? Certamente sì, se si è nell’ambito di testi letterari, dallo scopo ‘ricreativo’, o se si sta parlando informalmente. No, se lo utilizziamo in scritture e discorsi che hanno uno scopo ‘funzionale’ ovvero per lo studio, il lavoro, la vita civile, l’economia, la politica e via dicendo. Conclusione È possibile, dunque, che certi fatti linguistici possano apparire corretti ad alcuni, inaccettabili ad altri. Le ragioni delle discrepanze possono essere le più varie, ma certo la più importante e frequente è l’articolazione delle lingue, e dell’italiano in particolare, in varietà (regionali, sociali, situazionali) e 15 Per il concetto di deittico si veda la dispensa sulla linguistica testuale. 15
  • 16. sottovarietà. Una certa espressione potrà venire giudicata scorretta solo perché informale, o semplicemente perché lontana dalle abitudini linguistiche di chi la sta prendendo in esame. È un bene quindi che i bambini (e i ‘grandi’) arrivino a capire che esiste nella nostra lingua un nucleo comune costituito da regole molto generali e accettate in tutte le situazioni e in tutti gli angoli della penisola, cui si accompagna però la gamma delle variazioni: le une e le altre sono a pari titolo ‘lingua italiana’, e sulle une e le altre si può, anzi si deve, esercitare la riflessione, in una prospettiva didattica moderna che amplia il concetto di competenza linguistica in competenza comunicativa, radicandosi in una grammatica psico-semiotica16 volta al recupero tanto del parlante quanto del contesto situazionale. BIBLIOGRAFIA PER L’ESAME Relativamente alle caratteristiche dell’italiano contemporaneo, argomento della prima unità didattica, è sufficiente studiare questa piccola dispensa (note incluse), i cui esercizi finali forniranno coordinate utili per orientarsi nella preparazione all’esame. BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO (Per i più curiosi!) Chi fosse interessato ad approfondire il tema delle varietà linguistiche – o a sciogliere i dubbi inevitabilmente lasciati dalle pagine precedenti – può consultare alcune opere dall’impostazione rigorosa e tuttavia agili da leggere anche per i non specialisti: ¡ ILARIA BONOMI, ANDREA MASINI, SILVIA MORGANA, MARIO PIOTTI, Elementi di linguistica italiana, Carocci, Roma 2003, pp. 15-86. ¡ ALBERTO A. SOBRERO, ANNARITA MIGLIETTA, Introduzione alla linguistica italiana, Laterza, Roma-Bari 2006, pp. 57-78. ¡ MARIA G. LO DUCA, Lingua italiana ed educazione linguistica. Tra storia, ricerca e didattica, Carocci, Roma 2003, pp. 57-140. ¡ CRISTINA LAVINIO, Comunicazione e linguaggi disciplinari. Per un’educazione linguistica trasversale, Carocci, Roma 2004, pp. 73-91. 16 Per amor di sintesi, questi appunti sulle varietà dell’italiano si sono limitati a trattare di competenze linguistiche e sociolinguistiche. Troppo spesso dimenticate, e a torto, specie nell’ambito dell’insegnamento della L1, sono la competenza paralinguistica (ovvero il riconoscimento di elementi quali l’intonazione, la velocità dell’eloquio, le interruzioni e le riprese del discorso e così via) e la competenza extralinguistica (che concerne il linguaggio dei gesti, l’utilizzazione degli spazi e delle distanze, il significato degli oggetti, dell’abbigliamento dell’interlocutore, ecc.). Tutte insieme, queste competenze, costituiscono quella grammatica psico-semiotica cui si fa cenno, e fungono da trampolino di lancio per la fantasia del docente che voglia creare pratiche operative mirate allo sviluppo delle capacità metalinguistiche dei discenti. 16
  • 17. Per una ricognizione intorno alla sola dimensione diamesica anche: ¡ CRISTINA LAVINIO, Teoria e didattica dei testi, La Nuova Italia, Firenze 1990, pp. 11-38. ¡ MARGHERITA ORSOLINI, CLOTILDE PONTECORVO, La costruzione del testo scritto nei bambini, La Nuova Italia, Firenze 1991, pp. 13-26. La prima versione delle Dieci Tesi sull’educazione linguistica (anno 1975) può essere utilmente consultata e scaricata cliccando sul link a seguire: http://www.societadilinguisticaitaliana.org/SLI_gen/dieci_tesi.htm oppure può essere letta in: ¡ S. FERRERI, A. R. GUERRIERI, Educazione linguistica vent’anni dopo e oltre, La Nuova Italia, Firenze 1998, pp. 81-92. ESERCIZI 1. Rispondi alle seguenti domande: a) Che cos’è l’italiano standard? b) Elenca e spiega a grandi linee i cinque parametri fondamentali di variazione linguistica. c) Definisci il concetto di registro, indicando anche il parametro extralinguistico cui esso è legato. d) Illustra il concetto di sottocodice. e) Un determinato sottocodice può avvalersi di registri diversi? f) Da quale parametro dipendono le varietà d’apprendimento? g) Qual è il parametro che influisce sulla formazione delle prime competenze linguistiche del bambino? E quello di cui, invece, il bambino prende coscienza per ultimo? h) Che cosa si intende per ridondanza esecutiva? i) Perché si parla di duttilità in riferimento alla scrittura? j) Fai un esempio concreto della funzione interazionale. k) Sei in grado di riferire tutte le differenze principali tra oralità e scrittura? l) Che cos’è un fatismo? m) Fai un esempio concreto di pausa piena. 17
  • 18. n) Fai un esempio concreto di dislocazione a sinistra. o) In che senso il concetto di dislocazione è legato al concetto di egocentrismo del linguaggio? p) Descrivi i tratti caratteristici del parlato relativi all’uso dei tempi verbali. q) Qual è lo “stato di salute” del congiuntivo? Sapresti contrastare la tesi di chi asserisce che gli italiani gli preferiscano ormai l’indicativo? r) Descrivi i tratti caratteristici del parlato relativi al sistema pronominale. s) Che cos’è l’italiano neo-standard o italiano dell’uso medio? t) Elenca almeno tre fenomeni lessicali peculiari dell’italiano neo-standard. u) Il tratto gli per a lei è da considerare neostandard o substandard (cioè non accettabile)? v) Che cos’è un dativo etico? 2. Analizza nelle seguenti frasi i tratti dell’italiano neo-standard: a) Ho visto Marco e Paola e gli ho detto che questa settimana qui ho un esame. b) Quando li vai a trovare? c) Sono stanca stanca: mi faccio una bella doccia e poi vado a letto. d) Volevo un gelato al cioccolato. e) Lui è il classico tipo che non gli devi dire cosa fare. f) Vorrei conoscerli, i tuoi figli. Gianni e Luca mi parlano di loro in continuazione. g) Al supermercato, ci va Claudio. h) Il caffè lo preferisco con poco zucchero. i) I Rossi sono ancora qui? Non partivano domani? j) Quando ho finito l’università, vado a cercare lavoro. k) Chi è che deve essere ancora esaminato? l) Di fronte a simili situazioni c’è quello che se ne frega e c’è quello che lotta per cambiare le cose. m) Che fai stasera? n) C’ho fame! o) Se lo sapevo che ti interessava, ti avvisavo. p) Vent’anni fa questa villa è stata completamente ristrutturata, prima era un fienile. q) Non appena ho mangiato, vengo a prenderti. r) Bussano alla porta. Chi sarà? s) Sono appena arrivati un gruppo di turisti. 3. Il testo A, la trascrizione di un brano trasmesso, è stato adattato al canale scritto e riformulato come testo B da una studentessa iscritta a un corso di laurea specialistica della facoltà di Lettere e Filosofia di Pisa. Quali differenze noti tra i due testi? Aiutati rileggendo i paragrafi 2.1 e 2.2. A 18
  • 19. Spazi verdi // a Roma // ci sono // andrebbero gestiti // un po’ meglio // senz’altro // andrebbero gestiti un po’ meglio // perché // eh // spazi verdi // per me ci sono // certo // ce ne sono pochi // perché // vengono // non sono utilizzati // non sono utilizzati // per un mot // per un motivo semplice // perché // per arrivare // allo spazio verde // lo spazio verde // resta sempre // dentro la città // e lo spazio verde uno // lo // lo immagina // leggermente // fuori // all’aria // dove non ci sono macchine // però // per arrivare // in quei posti // diciamo // un grosso parco // un grosso parco giochi // ma non ci sia da pagare // per entrare… che non ci sia da pagare // per entrare // è gestito // eh eh // gestito // il discorso è questo // però // per arrivarci // uno non deve prendere // la macchina propria // e andare lì // dovrebbe essere vicino // a un’uscita // della metropolitana // o a trovare // trovare // trovare sbocchi // dove fare // dove attrezzare // i cosi // dove però // ci deve essere // un controllo che // allora ritorniamo // al vecchio discorso // che il bambino // deve essere educato // da piccolo // non sporcare // non rompere // e allora // tante cose // andrebbero bene // il fatto // che in Italia // ho detto // è tutto un casino // perché // chi lavora // lavora // chi non lavora // sta meglio di quello // che lavora. (L’opinione della gente: interviste per strada, Rai Tre, 12.05.02) B Nel corso della trasmissione di Rai Tre L’opinione della gente: interviste per strada, andata in onda il 12 maggio 2002, l’argomento proposto è stato la gestione dei parchi pubblici a Roma. Secondo l’opinione di un cittadino interpellato, critico rispetto all’amministrazione dei parchi, l’Urbe è ricca di spazi verdi che sono però collocati all’interno della città, circondati dal traffico e dunque scarsamente fruibili. L’intervistato troverebbe auspicabile la creazione di aree verdi situate fuori città ma allo stesso tempo raggiungibili con facilità per mezzo della metropolitana; dovrebbero essere parchi ad ingresso gratuito, attrezzati per il divertimento dei bambini e muniti di un controllo. SOLUZIONI esercizio 1 Si rimanda alla lettura diretta delle sezioni teoriche. SOLUZIONI esercizio 2 a) Ho visto Marco e Paola e gli (dativo singolare maschile esteso al plurale, al posto della forma tonica “a loro”) ho detto che questa settimana qui (avverbio locativo rafforzativo di complemento di tempo) ho un esame. b) Quando li (risalita del clitico, sempre più frequente rispetto a “quando vai a trovarli?”) vai (uso del presente indicativo al posto del futuro: forma andare + a) a trovare? c) Sono stanca stanca (fenomeno lessicale di raddoppiamento): mi faccio (dativo etico: verbo pronominale con valore affettivo) una bella doccia e poi vado a letto (anche in questa frase il futuro è sostituito dal presente). d) Volevo (imperfetto di cortesia al posto del condizionale) un gelato al cioccolato. e) Lui (pronome personale soggetto al posto di “egli”) è il classico tipo che (“che polivalente” con ripresa pronominale in luogo di “a cui/al quale”) non gli devi dire cosa (pronome interrogativo al posto di “che cosa”) fare. f) Vorrei conoscerli, i tuoi figli (dislocazione a destra). Gianni e Luca mi parlano di loro in continuazione. 19
  • 20. g) Al supermercato, ci (dislocazione a sinistra) va Claudio. h) Il caffè lo (dislocazione a sinistra) preferisco con poco zucchero. i) I Rossi non hanno ancora iniziato a traslocare… Ma non lasciavano (imperfetto epistemico) l’appartamento fra due giorni? j) Quando ho finito (passato prossimo indicativo, impiegato sempre più spesso in luogo del futuro composto, che in questo caso sarebbe: “avrò finito”) l’università, vado (uso del presente indicativo al posto del futuro) a cercare lavoro. k) Chi è che deve essere ancora esaminato? (frase scissa: elemento focalizzato “chi” + è + falsa relativa che esprime l’elemento noto ovvero “c’è ancora qualcuno che deve essere esaminato”) l) Di fronte a simili situazioni c’è quello che se ne frega (verbo pronominale) e c’è quello che lotta per cambiare le cose. (c’è presentativo) m) Che (in luogo di “che cosa”) fai stasera? C Insieme al cosa della frase 5, il che interrogativo è un tratto molto frequente del neo-standard. n) C’ho fame! (uso della particella pronominale ci con il verbo avere) o) Se lo (uso del pronome ‘neutro’ per anticipare una proposizione) sapevo (uso dell’indicativo al posto del congiuntivo nel periodo ipotetico) che ti interessava, ti avvisavo (uso dell’indicativo al posto del condizionale nel periodo ipotetico). p) Vent’anni fa questa villa è stata completamente ristrutturata (uso del passato prossimo al posto del passato remoto), prima era un fienile. q) Non appena ho mangiato vengo a prenderti (uso del passato prossimo al posto del futuro anteriore). r) Bussano alla porta. Chi sarà? (futuro con valore epistemico) s) Sono appena arrivati un gruppo di turisti (concordanza a senso) SOLUZIONI esercizio 3 Il testo A è ricco di tratti tipici di un parlato dialogico e informale: ripetizioni (ad es. spazi verdi), false partenze (ad es. perché // vengono // non sono utilizzati; …. dove fare // dove attrezzare…), parole ombrello (dove attrezzare i cosi), riempitivi di silenzio (eh… diciamo), zeppe sillabiche (ad es. … trovare // trovare // trovare sbocchi…, sicuramente pronunciato con un prolungamento di sillaba finale, almeno nelle prime due occorrenze di trovare), assenza di pianificazione. Il testo B si presenta scandito in due capoversi e regolarmente demarcato da segni interpuntivi come la virgola, il punto e virgola, e il punto; lo scopo è quello di segmentare logicamente le unità informative e segnalare il procedere argomentativo, in modo da agevolare una lettura endofasica. In attacco, il nuovo testo recupera le coordinate spazio-temporali (essenziali per il lettore, che a differenza di un interlocutore non condivide con l’emittente lo spazio e il tempo) e sintetizza l’argomento trattato non solo eliminando tutti i fenomeni tipici del parlato, ma anche selezionando le unità informative 20
  • 21. attraverso un non sempre immediato processo di interpretazione, rielaborazione e risequenziazione. Il risultato è un testo compatto, ad alta densità informativa, che evita le ripetizioni e che si avvale di un lessico specifico e colto (Urbe, fruibili, auspicabile, muniti di…). 21