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Botanica
“He i , non verbis
medicorum, est pellere
morbos,
Herbis, non verbis, fiunt
Medicamina Vitae,
Herbis, non verbis, redeunt in
corpra vi e ”
“C le erbe, non con le parole
dei medici, si scacciano le
malattie,
con le erbe, non con le parole,
si fanno i medicamenti della
Vita,
con le erbe, non con le parole,
si riportano le forze nei i”
Gli Erbari figurati
Negli erbari figurati più antichi sono
classificate le piante dividendole in gruppi
in base al diverso portamento (alberi,
frutici, suffrutici, erbe) e distinguendo
quelle spontanee da quelle coltivate.
Questa modalità di studiare, descrivere e
raffigurare le piante, interpretando e mo-
dificando, se non addirittura copiando, le
conoscenze degli autori classici si
mantenne molto a lungo, fino a buona
parte del XVI secolo.
L’interesse ed il significato storico di
questi erbari manoscritti, spesso su papiro
o pergamena, è indiscutibilmente di
eccezionale pregio.
Occorre, tuttavia, precisare che una
descrizione botanica scientificamente
corretta richiede l’uso di una terminologia
tecnica specialistica che compare solo
molto tempo dopo, nel XVIII secolo. Fino
a quel momento le descrizioni risultano,
quidi, brevi e in gran parte fondate
sull’analogia, raramente a carattere
naturalistico, ma il più delle volte
filosofico, magico e permeate di
astrologia e occultismo.
È il caso, ad esempio, di molti erbari
ispirati alle teorie di Paracelso (1451-
1493) che nella sua Dottrina dei segni
sosteneva che tutte le erbe nascondessero
un segno occulto della loro utilità per
l’uomo; così le foglie a forma di cuore
avrebbero curato i disturbi cardiaci, la
linfa gialla avrebbe guarito l’itterizia,
ecc.
In quest’ottica, le diverse parti di una
pianta venivano raffigurate con gli
organi del corpo che erano in grado di
curare.
Accanto a queste opere, che
rappresentano per lo più un miscuglio di
superstizione e pseudomedicina, ne
compaiono altre di autori provvisti di
una certa preparazione scientifica e di
e di una spiccata individualità che basaro
no le loro descrizioni botaniche su osservazioni personali dirette e non sui dati tramandati dai
testi antichi.
Avviata verso la metà del XV secolo l’arte della stampa, compaiono, soprattutto in Germania, i
primi erbari stampati (detti erbari incunaboli).
Si tratta spesso di copie di manoscritti medioevali a loro volta derivati, attraverso fonti arabe o
persiane, da antiche
opere greche e ro-
mane.
Se da un lato le
descrizioni delle
piante, tranne poche
eccezioni, risultano
carenti ed impre-
cise, dall’altro le
illustrazioni vengo-
no progressivamen-
te migliorate attra-
verso riproduzioni
xilografiche di pre-
gevoli dipinti e di-
segni di artisti.
Gli Erbari a
impressione
Tra il XV e il XVI secolo, quando
le tecniche di stampa non si erano
ancora pienamente affermate,
venne avviata una nuova
metodologia per la realizzazione di
tavole botaniche, quella della
stampa con l’ausilio di una matrice
naturale, ovvero la pianta stessa.
Tale tecnica, dettagliatamente
descritta anche da Leonardo nel
suo Codice Atlantico (1510-1519),
prevedeva di cospargere con
nerofumo, prodotto da una candela
accesa sotto un coppo, un lato della
pianta che veniva, poi, pressata tra
due fogli, lasciando la propria
impronta. In alternativa, si poteva
impregnare il campione con una
sostanza colorante per poi
pressarlo su fogli di carta.
Questo metodo di realizzazione
degli erbari non ebbe grande
diffusione, sia per l’inaffidabilità
dell’impronta lasciata sulla carta,
sia per le difficoltà e gli
inconvenienti della stessa tecnica
al confronto con i tradizionali
metodi di stampa nel frattempo
ampiamente avviati.
L’uso degli erbari ad impressione
sarà completamente abbandonato
nel XVIII secolo.
L’uso di campioni essiccati per lo
studio e il riconoscimento delle
piante comincia all’inizio XVI
secolo.
Gli Erbari essiccati
Gli erbari essiccati più antichi costituiscono per
lo più collezioni a carattere personale,
rappresentando per gli stessi studiosi uno
strumento necessario all’analisi, al confronto e
al riconoscimento delle piante.
Si presentano sotto forma di fogli rilegati in
volumi, con i campioni direttamente incollati
sui fogli.
Anche l’etichettatura è inizialmente poco
dettagliata, riportando in genere unicamente il
nome comune della pianta o, solo nel caso di
erbari più dotti, l’insieme dei caratteri botanici
descrittivi ritenuti utili all’identificazione
(denominazione polinomia).
Con il passare del tempo si preferirà realizzare
erbari a fogli singoli, separati, in modo da
poterli incrementare ed ordinare liberamente.
Anche le annotazioni divengono nel tempo più
precise e dettagliate.
Verso la fine del XVIII secolo le etichette dei
campioni di erbario si arricchiscono di
informazioni sulle località e le date di raccolta,
con notizie anche di carattere ecologico,
secondo le modalità utilizzate ancora oggi.
Interessanti erbari sono presenti presso:
* la Biblioteca Casanatense di Roma, dove è
custodito quello di G. B. Triumfetti (1656-
1708) che comprende esclusivamente piante
della flora siciliana e sulla base delle quali il
Tornabene provvide a pubblicare nel 1887 la
Flora Sicula e tra il 1889 e il 1892 i quattro
volumi della Flora Aetnea;
* il Museo Botanico di Firenze, dove si
conserva il Pacco dell’erbario di P. A.
Micheli (1679-1737).
Una priorità italiana è quella della
creazione degli Erbari di piante
disseccate a scopo scientifico e che
citiamo per la loro importanza,
poiché ogni Orto ed Università ebbe
la sua raccolta:
* Erbario di Gherardo Cibo,
conservato nella Biblioteca Angelica
di Roma nel 1532;
* Erbario di Ulisse Aldrovrandi in
Bologna 1551;
* Erbario di Andrea Cisalpino in
Firenze del 1563;
* Erbario di Ferrante Imperato del
1592 in ben 80 volumi di cui uno
solo superstite custodito presso la
Biblioteca Nazionale di Napoli;
* Erbari vari esistenti presso il Museo
dell’ Accademia di Storia dell’Arte
Sanitaria in Roma.
Principali Erbari
Italiani
Le cere botaniche
A partire dalla seconda metà del
Settecento, abili artisti realizzavano
presso le officine di ceroplastica non
solo accuratissime cere anatomiche ma
anche splendide cere botaniche di
valore prevalentemente didattico
riprodotte con assoluta fedeltà rispetto
alla realtà.
Spesso risultava particolarmente utile
soprattutto riprodurre piante esotiche
che non era possibile facilmente vedere
“dal vero” in quanto specie botaniche
non presenti in specifiche aree
geografiche come, ad esempio, la
Calceolaria crenatiflora in Italia.
Le cere botaniche sono corredate di
vasi di porcellana che, soprattutto in
Toscana, furono prevalentemente
realizzati dalla manifattura Ginori di
Doccia.
Il nome della pianta, dipinto a mano,
si basa sulla classificazione linneana
costituita dai nomi latini di genere e
specie.
Le cere, eseguite in Italia inizialmente
sotto la guida di Felice Fontana, per
la bellezza dei modelli e l’accuratezza
nella definizione dei particolari
dimostrano, ancora una volta, lo
stretto rapporto fra scienza e arte.
Nel nostro Paese una importante
raccolta di cere è presente nel Museo
Botanico di Firenze che conserva
attualmente 181 esemplari
di piante a grandezza naturale tra cui
la Passiflora quadrangularis, la
Strelitzia reginae, la Passiflora
quadrangularis, la Justicia cristata, e
la Calceolaria crenatiflora, opere di
Francesco Calenzuoli.
Dell’Aloe
(Libro III, Cap. 23 del De Materia Medica di
Dioscoride tradotto dal Mattioli nel XVI secolo).
“Nasce abbondantissima in India, onde
si porta a noi condensato il suo succo.
Nasce parimente in Arabia, in Asia e in
alcuni luoghi marittimi e isole, come in
Andros; questo non è molto adatto per
estrarne il succo, ma è molto buona per
saldare le ferite, applicatavi sopra dopo
averne contuse le foglie fresche. é il vero
succo condensato di due specie: uno è
quello sabbioso, che pare essere il
fondaccio di quello sceltissimo; l’altro è
quello che è condensato e assomiglia al
fegato. Si deve scegliere quello
profumato, puro, senza sassi e senza
sabbia, splendente, rosseggiante, fragile,
che assomigli al fegato, che si fonda
agevolmente e che sia amarissimo. Va
scartato, al contrario quello nero e che
non si rompe facilmente. Si falsifica
l’Aloe con Gomma, ma si conosce la
frode al gusto, all’amarezza, al suo
grande odore e al fatto che non si stritola
quando si sfrega tra le dita, fino
all’ultimo granello. Alcuni lo falsificano
con l’Acacia”.

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  • 1. Botanica “He i , non verbis medicorum, est pellere morbos, Herbis, non verbis, fiunt Medicamina Vitae, Herbis, non verbis, redeunt in corpra vi e ” “C le erbe, non con le parole dei medici, si scacciano le malattie, con le erbe, non con le parole, si fanno i medicamenti della Vita, con le erbe, non con le parole, si riportano le forze nei i”
  • 2. Gli Erbari figurati Negli erbari figurati più antichi sono classificate le piante dividendole in gruppi in base al diverso portamento (alberi, frutici, suffrutici, erbe) e distinguendo quelle spontanee da quelle coltivate. Questa modalità di studiare, descrivere e raffigurare le piante, interpretando e mo- dificando, se non addirittura copiando, le conoscenze degli autori classici si mantenne molto a lungo, fino a buona parte del XVI secolo. L’interesse ed il significato storico di questi erbari manoscritti, spesso su papiro o pergamena, è indiscutibilmente di eccezionale pregio. Occorre, tuttavia, precisare che una descrizione botanica scientificamente corretta richiede l’uso di una terminologia tecnica specialistica che compare solo molto tempo dopo, nel XVIII secolo. Fino a quel momento le descrizioni risultano,
  • 3. quidi, brevi e in gran parte fondate sull’analogia, raramente a carattere naturalistico, ma il più delle volte filosofico, magico e permeate di astrologia e occultismo. È il caso, ad esempio, di molti erbari ispirati alle teorie di Paracelso (1451- 1493) che nella sua Dottrina dei segni sosteneva che tutte le erbe nascondessero un segno occulto della loro utilità per l’uomo; così le foglie a forma di cuore avrebbero curato i disturbi cardiaci, la linfa gialla avrebbe guarito l’itterizia, ecc. In quest’ottica, le diverse parti di una pianta venivano raffigurate con gli organi del corpo che erano in grado di curare. Accanto a queste opere, che rappresentano per lo più un miscuglio di superstizione e pseudomedicina, ne compaiono altre di autori provvisti di una certa preparazione scientifica e di e di una spiccata individualità che basaro
  • 4. no le loro descrizioni botaniche su osservazioni personali dirette e non sui dati tramandati dai testi antichi. Avviata verso la metà del XV secolo l’arte della stampa, compaiono, soprattutto in Germania, i primi erbari stampati (detti erbari incunaboli). Si tratta spesso di copie di manoscritti medioevali a loro volta derivati, attraverso fonti arabe o persiane, da antiche opere greche e ro- mane. Se da un lato le descrizioni delle piante, tranne poche eccezioni, risultano carenti ed impre- cise, dall’altro le illustrazioni vengo- no progressivamen- te migliorate attra- verso riproduzioni xilografiche di pre- gevoli dipinti e di- segni di artisti.
  • 5. Gli Erbari a impressione Tra il XV e il XVI secolo, quando le tecniche di stampa non si erano ancora pienamente affermate, venne avviata una nuova metodologia per la realizzazione di tavole botaniche, quella della stampa con l’ausilio di una matrice naturale, ovvero la pianta stessa. Tale tecnica, dettagliatamente descritta anche da Leonardo nel suo Codice Atlantico (1510-1519), prevedeva di cospargere con nerofumo, prodotto da una candela accesa sotto un coppo, un lato della pianta che veniva, poi, pressata tra due fogli, lasciando la propria impronta. In alternativa, si poteva impregnare il campione con una
  • 6. sostanza colorante per poi pressarlo su fogli di carta. Questo metodo di realizzazione degli erbari non ebbe grande diffusione, sia per l’inaffidabilità dell’impronta lasciata sulla carta, sia per le difficoltà e gli inconvenienti della stessa tecnica al confronto con i tradizionali metodi di stampa nel frattempo ampiamente avviati. L’uso degli erbari ad impressione sarà completamente abbandonato nel XVIII secolo. L’uso di campioni essiccati per lo studio e il riconoscimento delle piante comincia all’inizio XVI secolo.
  • 7. Gli Erbari essiccati Gli erbari essiccati più antichi costituiscono per lo più collezioni a carattere personale, rappresentando per gli stessi studiosi uno strumento necessario all’analisi, al confronto e al riconoscimento delle piante. Si presentano sotto forma di fogli rilegati in volumi, con i campioni direttamente incollati sui fogli. Anche l’etichettatura è inizialmente poco dettagliata, riportando in genere unicamente il nome comune della pianta o, solo nel caso di erbari più dotti, l’insieme dei caratteri botanici descrittivi ritenuti utili all’identificazione (denominazione polinomia). Con il passare del tempo si preferirà realizzare erbari a fogli singoli, separati, in modo da poterli incrementare ed ordinare liberamente. Anche le annotazioni divengono nel tempo più precise e dettagliate. Verso la fine del XVIII secolo le etichette dei campioni di erbario si arricchiscono di
  • 8. informazioni sulle località e le date di raccolta, con notizie anche di carattere ecologico, secondo le modalità utilizzate ancora oggi. Interessanti erbari sono presenti presso: * la Biblioteca Casanatense di Roma, dove è custodito quello di G. B. Triumfetti (1656- 1708) che comprende esclusivamente piante della flora siciliana e sulla base delle quali il Tornabene provvide a pubblicare nel 1887 la Flora Sicula e tra il 1889 e il 1892 i quattro volumi della Flora Aetnea; * il Museo Botanico di Firenze, dove si conserva il Pacco dell’erbario di P. A. Micheli (1679-1737).
  • 9. Una priorità italiana è quella della creazione degli Erbari di piante disseccate a scopo scientifico e che citiamo per la loro importanza, poiché ogni Orto ed Università ebbe la sua raccolta: * Erbario di Gherardo Cibo, conservato nella Biblioteca Angelica di Roma nel 1532; * Erbario di Ulisse Aldrovrandi in Bologna 1551; * Erbario di Andrea Cisalpino in Firenze del 1563; * Erbario di Ferrante Imperato del 1592 in ben 80 volumi di cui uno solo superstite custodito presso la Biblioteca Nazionale di Napoli; * Erbari vari esistenti presso il Museo dell’ Accademia di Storia dell’Arte Sanitaria in Roma. Principali Erbari Italiani
  • 10. Le cere botaniche A partire dalla seconda metà del Settecento, abili artisti realizzavano presso le officine di ceroplastica non solo accuratissime cere anatomiche ma anche splendide cere botaniche di valore prevalentemente didattico riprodotte con assoluta fedeltà rispetto alla realtà. Spesso risultava particolarmente utile soprattutto riprodurre piante esotiche che non era possibile facilmente vedere “dal vero” in quanto specie botaniche non presenti in specifiche aree geografiche come, ad esempio, la Calceolaria crenatiflora in Italia. Le cere botaniche sono corredate di vasi di porcellana che, soprattutto in Toscana, furono prevalentemente realizzati dalla manifattura Ginori di Doccia.
  • 11. Il nome della pianta, dipinto a mano, si basa sulla classificazione linneana costituita dai nomi latini di genere e specie. Le cere, eseguite in Italia inizialmente sotto la guida di Felice Fontana, per la bellezza dei modelli e l’accuratezza nella definizione dei particolari dimostrano, ancora una volta, lo stretto rapporto fra scienza e arte. Nel nostro Paese una importante raccolta di cere è presente nel Museo Botanico di Firenze che conserva attualmente 181 esemplari di piante a grandezza naturale tra cui la Passiflora quadrangularis, la Strelitzia reginae, la Passiflora quadrangularis, la Justicia cristata, e la Calceolaria crenatiflora, opere di Francesco Calenzuoli.
  • 12. Dell’Aloe (Libro III, Cap. 23 del De Materia Medica di Dioscoride tradotto dal Mattioli nel XVI secolo). “Nasce abbondantissima in India, onde si porta a noi condensato il suo succo. Nasce parimente in Arabia, in Asia e in alcuni luoghi marittimi e isole, come in Andros; questo non è molto adatto per estrarne il succo, ma è molto buona per saldare le ferite, applicatavi sopra dopo averne contuse le foglie fresche. é il vero succo condensato di due specie: uno è quello sabbioso, che pare essere il fondaccio di quello sceltissimo; l’altro è quello che è condensato e assomiglia al fegato. Si deve scegliere quello profumato, puro, senza sassi e senza sabbia, splendente, rosseggiante, fragile, che assomigli al fegato, che si fonda agevolmente e che sia amarissimo. Va scartato, al contrario quello nero e che non si rompe facilmente. Si falsifica l’Aloe con Gomma, ma si conosce la frode al gusto, all’amarezza, al suo grande odore e al fatto che non si stritola quando si sfrega tra le dita, fino all’ultimo granello. Alcuni lo falsificano con l’Acacia”.