tentativi di ricostruzione dell'anima tra passato e futuro
1. Avvertenza:
questa versione del lavoro è una riduzione del prodotto originale
utilizzato per una lezione - spettacolo, in quanto è priva di
animazioni, effetti di transizione e colonna sonora.
Tuttavia ci è sembrato importante inserire, anche se in forma ridotta,
questa testimonianza tra i lavori presenti nella speranza
che possa suscitare riflessioni e interventi, oltre al doveroso
impegno di non dimenticare quanto accaduto.
Grazie
2.
3. Io mi sento parte di questo
mondo … e sono felice di
esserlo quando accarezzo il
viso innocente del mio
piccolo, quando ricevo un
sorriso inaspettato o trovo
nello stupore di sentire in me
la vita, la gioia delle cose più
piccole. Accorgermi di ciò
che mi accade vicino e dare
un significato a ogni evento
rende ricco il mio pensiero e
lo allontana da quel nulla che
tutto può contenere. Lo
allontana dunque dall’essere
contenitore di ogni cosa, lo
allontana dalla paura di
essere preso da qualsiasi
cosa che abbia solo una
qualche parvenza di senso.
4. Mi sento ugualmente parte di questo mondo anche per la
responsabilità che devo avere verso la mia realtà, quella
per la quale vivo, respiro, sento, sono nella mia plurale
identità, nella mia continua crescita verso il bene che è
mio come dell’altro.
Io sono responsabile e lo sono sempre di un altro uomo,
sostiene a gran voce Levinas.
5.
6. Posso certamente ignorarlo, ma
in realtà sono responsabile anche
di ciò che è successo poco fa a
colui che è passato vicino a me.
Sono responsabile quindi anche
del passato di tutti noi perché
espressione dell’umanità che è
dentro di me. I fatti trascorsi
sono testardi e non possono
essere ignorati, distorti o peggio
cancellati. Solo un folle e
fallimentare delirio di onnipotenza
può illudersi di riuscirci.
7. Con Hannah Arendt urlo a
gran voce: il genocidio
ebraico è stato quot;un crimine
contro l'umanità perpetrato
sul corpo del popolo
ebraicoquot;. Un quot;male estremo,
radicalequot;, sebbene compiuto
da uomini quot;banaliquot;, comuni,
quot;normaliquot;, normalizzati,
spersonalizzati, divenuti
quot;incapaci di pensare, di
volere, di giudicarequot;, di agire
in modo critico, autonomo, e
responsabile. Del dolore si
deve avere soprattutto una
percezione corporea perché
solo di fronte alla sua
potenza fisica dilaniante il
pensiero può cogliersi
realmente vulnerabile e
quindi capace di stare nel
mondo senza distruggerlo.
8.
9. L’uomo, come Hans Jonas ha
osservato, possiede una
straordinaria quot;facoltàquot;: quot;di
essere buono o cattivo”, anzi,
di essere l'uno e l'altroquot;;
quot;benché a proposito dei casi
di malvagità estrema si parli
di quot;mostriquot;. Soltanto gli uomini
possono essere quot;disumaniquot;:
la disumanità rivela la natura
dell'uomo non meno che la
sua santitàquot;. Quella facoltà
specificamente umana,
antropologica, di essere
buoni o cattivi, mostri e santi,
si chiama libertà.
10. Noi uomini siamo gli autori delle
nostre azioni, responsabili e
imputabili per quello che
facciamo perché liberi di
scegliere tra il bene e il male,
in qualsiasi circostanza che non
sia la condizione estrema
dell'impotenza o dell'infermità
mentale, dell'abbrutimento o
dell'alienazione totale.
Se il male dilaga, se Auschwitz si
ripete e si moltiplica, crolla
anche la possibilità di sperare
nell'uomo e nella giustizia
umana, di giustificare la nostra
libertà, la nostra stessa
esistenza e il nostro posto nel
mondo.
11.
12. Levinas ritiene urgente meditare nuovamente sull’essenza umana nel
tentativo, ed è il nostro e in questo preciso momento, di ricostruire un
mondo vanificato dal male più imperdonabile a partire da noi stessi, dal
nostro piccolo e grande mondo di giovani alla ricerca di un pensiero, di un
problema, di una domanda, di uno zoccolo duro sul quale sostare nei
momenti di smarrimento … prima di riprendere coraggio e slancio.
Non so se l'educazione vi arriverà, commenta ancora Levinas, ma forse, da
certe esperienze la gioventù ritroverà - me lo auguro - la giusta misura di
quella che sembra essere una revisione possibile.
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14.
15. Va considerata la possibilità che la
definizione stessa dell'uomo possa
essere attinta da un altro ordine di cose.
Ci domandiamo ancora con Levinas se la
relazione di un essere umano con un
altro essere umano, la relazione fra uomo
e uomo invece di essere presentata -
così si insegna - come una conseguenza
remota dell'intelligenza, come una
conseguenza della libertà, non debba
essere piuttosto colta nella definizione
stessa dell'uomo, nella sua vocazione:
nel riconoscimento cioè della sua dignità
e del suo posto nella realtà, come
apertura sia all’altro che a se stessi tra la
necessità e il compiacimento di esistere
facendo tesoro anche, naturalmente,
dell’intelligenza e della libertà.
16. L’alterità, per ognuno di noi, è infinita trascendenza: il mio prossimo cioè, è una
realtà che non posso conoscere profondamente e compiutamente. Emerge così
quella che Derrida dice essere la discontinuità con l’altro: non posso donare
abbastanza, non posso perdonare abbastanza, non posso essere abbastanza
ospitale, non posso essere veramente giusto, non dono a sufficienza. Ma io mi
costituisco nel rapporto con l’altro perché la mia identità è aperta ed esposta al
mio prossimo da sempre entrato in me al punto tale che “l’altro è in me prima di
me”.
17.
18. Posso aprirmi all’altro, allo straniero, all’ebreo, allo zingaro, all’omosessuale,
al vicino di casa, al mio migliore amico perché la mia casa, la mia cultura, la
mia lingua sono già contaminate del loro essere e ciò non comporta di certo
una mescolanza indistinta: il confine indefinibile rende la singolarità
inappropriabile e il segreto che abita il “proprio” ci custodisce prima che noi
lo custodiamo.
19. L’apertura all’altro ci fa terreno di ospitalità, luogo in cui avviene un incontro tra
me e una persona di cui non mi posso appropriare e verso la quale sono tanto
accogliente quanto disarmata. E in questo sentirmi disarmata si gioca ancora
una volta la percezione di essere felice di stare in questo mondo e di abitare
l’altro, sempre e ancora una volta, come parte di me.
20.
21. tentativi di ricostruzione dell’anima tra passato e futuro
testi
Patrizia Nunnari
realizzazione grafica
Pietro Volpones
realizzato a scopo didattico per la celebrazione del
“Giorno della memoria”
27 gennaio 2007