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Romano Mazzon, Ivano Spano

IL LAVORO DI RETE COME “MISSION” DEL TERZO SETTORE
Servizi pubblici e privati, Utenti e Operatori nella realtà di Vicenza

Progetto EQUAL “Sistemi Integrati per il Rafforzamento del Terzo Settore”

Prefazione di Lorenzo Barbera




2001, Edizioni Sapere, Padova
RICERCA PER LA SOSTENIBILITÀ SOCIALE E AMBIENTALE.......................................................................3
  Il significato della ricerca.................................................................................................................3
  LA METODOLOGIA DELLA RICERCA......................................................................................5
  OBIETTIVI DELLA RICERCA......................................................................................................6
  Il QUADRO CONCETTUALE DI RIFERIMENTO......................................................................7
     Realtà’ e idee di comunità’..........................................................................................................7
  ARTICOLAZIONE DELLA RICERCA.......................................................................................11
     INTERVISTE A TESTIMONI PRIVILIEGIATI......................................................................11
     FOCUS-GROUP........................................................................................................................16
ANZIANI...............................................................................................................................................................34
  SITUAZIONE DEMOGRAFICA..................................................................................................34
     Genere ........................................................................................................................................35
     Indice di vecchiaia......................................................................................................................38
     Indice di dipendenza strutturale..................................................................................................40
  FOCUS GROUP.............................................................................................................................42
     OPERATORI..............................................................................................................................43
     UTENTI......................................................................................................................................56
DIPENDENZE......................................................................................................................................................64
  Tossicodipendenza ........................................................................................................................64
  Confronto con il dato nazionale.....................................................................................................64
  Tossicodipendenti in carico ULS 6................................................................................................66
  Decessi ...........................................................................................................................................72
  Persone segnalate............................................................................................................................76
  Alcooldipendenza ..........................................................................................................................77
  Utenti in carico ULS 6....................................................................................................................77
DISABILITÀ.......................................................................................................................................................100
     Disabili in carico ogni 1000 abitanti........................................................................................100
  Tipologia di intervento.................................................................................................................101
     Assistenza per fasce di età........................................................................................................105
MINORI...............................................................................................................................................................151
STRANIERI........................................................................................................................................................158
ANZIANI, SOGGETTI CON DIPENDENZE E DISABILI: UN CONFRONTO..................................................175
  APPENDICE 2............................................................................................................................221
  DATI DI ARCHIVIO...................................................................................................................222
     Confronto tra dati richiesti e dati ottenuti.................................................................................222
Motivi di scostamento.....................................................................................................................................222
  Struttura produttiva.......................................................................................................................223
  CAUSE DI MORTE.....................................................................................................................241




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RICERCA PER LA SOSTENIBILITÀ SOCIALE E AMBIENTALE


Il significato della ricerca
L`obiettivo generale del Progetto S.I.R.T.S. è stato di costruire un sistema integrato pubblico/privato incentrato
su un rapporto più organico ed efficace tra i cittadini, le loro formazioni sociali, le pubbliche amministrazioni ed
il Mercato, e in grado di mettere in sinergia e qualificare risorse e competenze degli attori impegnati sul fronte
dello svantaggio economico. Per il raggiungimento di questo obiettivo la ricerca rappresenta lo strumento
privilegiato per la diagnosi della realtà del territorio di riferimento, alimentando la conoscenza dei problemi
relativi alla sostenibilità sociale e ambientale, intendendo, con questo stimolare un ripensamento del ruolo
stesso degli Enti Locali, dei Servizi Socio-Sanitari, delle realtà che danno corpo al Terzo Settore.
Ciò che i soggetti responsabili della gestione della cosa pubblica o di interventi di rilevanza pubblica e
collettiva, devono rendere possibile è, prima che non la conquista di possibili e diversi e necessari risultati
concreti, la definizione di un “progetto” di politica sociale che renda visibile la coincidenza tra trasformazioni
sociali e divenire individuale.
Occorre aprire un orizzonte progettuale in grado di agire “produzione di territorio” come bene che produce la
forma, la qualità e lo stile dell’insediamento umano.
Fare sviluppo è operazione non separabile dalla produzione di nuova territorialità.
Ma solo una rinnovata cultura dell’abitare può produrre nuova territorialità. Afferma Martin Heidegger
(Costruire, abitare, pensare; in, Saggi e discorsi) “solo se abbiamo la capacità di abitare possiamo costruire”.
Solo se nelle trasformazioni o nelle attività di produzione sociali un luogo viene percepito come “dono”
attraverso il quale noi stabiliamo un rapporto (come qualcosa che si possiede in comune) riusciremo a
ritrovare una sintonia, a porre in essere delle possibilità.
La dilatazione del territorio dell’abitare è, infatti, la condizione per inventare modelli spazio-temporali:
- che producano spazio, dove la crescita quantitativa della congestione lo distrugge;
- che producano tempo, laddove la civiltà quantitativa della cogestione lo dissipa;
- che producano valore aggiunto estetico, ossia punti di riferimento simbolici sempre carichi di una efficacia
semantica capace di mantenere una memoria affettiva del proprio habitat;
infine, che valorizzino la ricchezza qualitativa e la pluralità dei luoghi spazio-temporali contro la sparizione
dello spazio-tempo umano prodotta dalla ipervelocità dei mezzi di comunicazione.
Uno sviluppo locale, quindi, ma anche una architettura orientati in senso ecologico che assumano come
oggetto un oggetto complesso quale lo “spazio del vivere” che si corrode più lentamente nello “spazio vissuto”
in maniera tale che questo si presenti con una ricchezza di dettagli insospettata per il soggetto, allargando lo
spazio della memoria e del sentimento, ampliando i significati che riappaiono sul “teatro della nostra vita
intima”.

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Hoelderling, in questo senso ha parlato di “abitare poeticamente la terra” ossia della necessità di rompere la
razionalità del calcolo dell’uomo sulla natura, per liberare quelle potenzialità, quelle modalità espressive,
creative e relazionali che ci rimandano alla memoria dell’unità mitica tra uomo e natura, tra uomo e uomo, al
punto che il mondo sia veramente il nostro mondo.
La presenza – consistenza di forme molteplici di disagio impone che questa apertura di senso avvenga e
avvenga al più presto portando a compimento quella dimensione progettuale che libera la necessità della
coincidenza tra ecologia dell’ambiente ed ecologia della mente.




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LA METODOLOGIA DELLA RICERCA
La metodologia che si è ritenuto opportuno adottare è quella della “ricerca intervento” introdotta da Kurt
Lewin verso il 1940 come metodologia di studio capace di occuparsi, soprattutto, della comprensione dei
fenomeni sociali e del continuo mutamento che questi subiscono.
Oggi, la metodologia di studio della action-research (ricerca intervento) viene utilizzata dalla psicologia di
comunità, trovando ampio raggio di indagine e di applicabilità, nei progetti di intervento in ambito sociale. La
ricerca applicata in una comunità si caratterizza per il suo uso diretto e per l'immediato collegamento con la
teoria e la soluzione di problemi pratici.
Tale strumento offre nel complesso, la possibilità di sostenere forme di soluzioni valide nel superamento di
problematiche come l'isolamento, l'emarginazione, il disagio sociale, attuando modelli mirati a soddisfare
obiettivi di tipo emancipatorio e riabilitativo. La psicologia di comunità è una disciplina sensibile ai metodi di
indagine e di lavoro che si possono attuare in una popolazione esposta al rischio, in quanto è una disciplina
empirica che si occupa della comprensione dei fenomeni sociali e del continuo mutamento che questi
subiscono attraverso la realtà, concepita come un continuo mutamento delle condizioni che determinano
l’organizzazione sociale.
Introdurre l'action-resarch nell'ambito delle problematiche dei servizi socio-sanitari, significa spostarsi verso
il concetto di promozione del benessere, promozione che nasce come momento educativo (dove, con
educare, considerando l’etimologia stessa della parola “ex-duco”, si intende portare allo scoperto le
potenzialità del soggetto).
Di fronte al problema del disagio si è voluto utilizzare l’approccio relazionale, caratteristico dell’action-
research, molto utile nello studio dei diversi livelli di esistenza di un soggetto all'interno dei diversi sistemi di
riferimento.
In questa direzione è possibile individuare tre livelli:
- il livello macro sociale (la dinamica delle relazioni sociali nonché dei processi di integrazione ed
esclusione);
- il livello micro sociale (i fondamenti immediati dell'agire sociale);
- livello individuale (il rapporto tra convinzioni e azioni del soggetto e l’interpretazione della reazione degli
altri ai propri atti).
La ricerca si è, particolarmente, soffermata sul livello micro sociale. Questa scelta metodologica è
riconducibile non solo alla constatazione che all'interno del livello micro sociale sono visibili le radici dei
problemi ma anche siano possibile evidenziare e attivare le risorse per un cambiamento.
Per questo scopo la ricerca si è avvalsa di tre strumenti:




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• interviste a testimoni privilegiati. Con questo strumento si è inteso raccogliere informazioni circa gli ambiti
di disagio sociale nel Comune di Vicenza attraverso soggetti che, per il ruolo ricoperto, rappresentassero un
osservatorio privilegiato;
• raccolta ed elaborazione di dati d’archivio. Attraverso questo si è voluto definire un quadro generale per il
Comune di Vicenza1, elaborando una serie di indicatori specifici per le aree problematiche emerse dalle
interviste;
• focus-group. Sono stati condotti, separatamente, gruppi di discussione sia con operatori dei servizi
(pubblici e privato-sociale) che con utenti o associazioni di rappresentanza degli utenti stessi. Gli incontri
sono stati ripetuti, dove possibile, a distanza di un anno. In questo modo è stato possibile analizzare come
venga percepito il disagio e la risposta a questo da soggetti che vivono del disagio un’esperienza
quotidiana.



OBIETTIVI DELLA RICERCA
Nell’ambito del Progetto “Sistemi Integrati per il Rafforzamento del Terzo Settore” la Ricerca si è mossa
rispetto agli obiettivi:
    A. Diagnosticare la realtà del territorio di riferimento, attraverso la conoscenza dei problemi relativi alla
         sostenibilità sociale e ambientale.
    B. Stimolare un ripensamento del ruolo stesso degli Enti Locali, dei Servizi Socio – Sanitari, delle realtà
         che danno corpo al Terzo Settore per far in modo che i soggetti, responsabili della gestione della cosa
         pubblica o di interventi di rilevanza pubblica e collettiva, siano impegnabili, prima ancora della
         conquista di possibili e diversi e necessari risultati concreti, nella definizione di un “progetto” di politica
         sociale che renda visibile la coincidenza tra trasformazioni sociali e divenire individuale.
    C. Aprire un orizzonte progettuale in grado di agire “produzione di territorio” come bene che produce la
         forma, la qualità e lo stile dell’insediamento umano.


La ricerca ha inteso, in particolare:
−    valutare se i servizi pubblici e privati offerti agli utenti sono collegati tra loro (comunicano?),
−    identificare i soggetti e gli strumenti pubblici e privati presenti sul territorio,
−    indagare se gli utenti riescono a mettersi in relazione con i servizi erogati dal pubblico e dal privato e quali
     eventuali vie di comunicazione devono essere implementate,
−    verificare quali sono i bisogni reali degli utenti,
−    verificare se le risposte corrispondono ai bisogni reali degli utenti,
−    verificare la qualità dei servizi (risponde ai bisogni reali, sono efficaci, sono efficienti?),
1
    I dati raccolti sono presentati in APPENDICE 1

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−   indagare sui punti di forza e di debolezza dei fornitori di servizi (nodi di crisi dei servizi),

    − verificare se esiste una connessione tra politiche del lavoro e politiche sociali,

    − verificare se esistono forme di organizzazione e orari di lavoro flessibili collegati con esigenze e tempi di
         formazione, di accompagnamento e sostegno, di inserimento sociale dei soggetti più deboli e di
         inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati.



Il QUADRO CONCETTUALE DI RIFERIMENTO

Realtà’ e idee di comunità’
Per l’individuazione del modello di analisi del malessere e del disagio, si è fatto riferimento alla letteratura sulle
ricerche di comunità.
Il concetto e gli studi di comunità, dopo il loro sviluppo a partire dal Romanticismo tedesco ( gli studi di
Schleiermacher, di Hegel e dello stesso Marx fino a giungere agli studi più di stampo sociologico di Ferdinand
Tonnies), gli studi americani dell’inizio del novecento sull’identità e i gruppi (The gang di Thrasher, Strett
corner society di Whyte tradotto in italiano con il titolo di Little Italy) e le ricerche realizzate in Italia da Redfield
(1955) “La piccola comunità. La società e la cultura contadina”, dalla Fondazione Adriano Olivetti e da
Alessandro Pizzorno con la ricerca a Rescaldina sulle trasformazioni dovute allo sviluppo industriale (miracolo
economico) dopo la ricostruzione a seguito del secondo conflitto mondiale (Comunità e razionalizzazione),
sembrano subire una lunga stasi. Arnaldo Bagnasco (1999) ne parla come di un concetto che
                     “ sin dall’inizio troppo inclusivo, organicistico già per le interpretazioni delle società
                    tradizionali…ha perso in ogni caso capacità analitiche nei confronti di aspetti sia pure
                    parziali della società di oggi”.
Il termine comunità, anche a livello di linguaggio comune, si carica di diversi significati in relazione a contesti
diversi. Si parla, ad esempio, di comunità politica, etnica, religiosa, scientifica, terapeutica, ecc.
Il concetto finisce per soffrire di molta indeterminatezza anche quando è connesso al dato più propriamente
territoriale, riferendosi o a comunità locali in senso generico, oppure a piccole comunità contrapposte a
comunità urbane fino a riferirsi alla dimensione nazionale e internazionale.
La posizione che sembra superare questo declino “naturale” dell’interesse sulla problematica della comunità fa
riferimento ai significati principali che la modernità ha socializzato, finendo per porre al primo posto l’individuo.
Così, come afferma Pietro Barcellona (L’individuo e la comunità), la modernità non ha soltanto inaugurato la
ragione procedurale (cioè il fatto che è più facile mettersi d’accordo sulle procedure che sugli obiettivi) e la
ragione funzionale (cioè che è più facile mettersi d’accordo sui mezzi che sugli scopi) ma ha inventato
qualcosa di più potente: l’individuo come prius della società.



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Oggi, sembra quasi non esista più nessuno disposto a riconoscere che la propria identità è, in realtà, un
prodotto sociale, il risultato di una lenta sedimentazione di pratiche sociali e di un processo, quello di
socializzazione, che media a livello individuale esperienze collettive.
Siamo di fronte a un mito dei più radicati e profondi della storia dell’umanità, ma anche tra i più pericolosi: il
mito dell’autogenerazione.
L’autogenerazione razionale rappresenta una circolarità perfetta in cui non c’è più trasformazione (storia) e
alterità: essa anticipa di fatto l’autogenerazione biologica.
Ma, laddove si esaltano gli individui, l’individuo tende a scomparire.
La ricerca esclusiva della soggettività garantisce anche il suo declino: i rapporti umani appaiono come rapporti
tra cose, scambiabili, omologabili, indifferenti.
E’ la società che diviene sostanza del singolo bloccato dalla cultura dell’autogenerazione razionale. Così,
come afferma Adorno (Minima moralia)
                    “L’individuo e la società divengono una cosa sola, in quanto la società penetra a forza negli
                    individui al di sotto della loro individuazione, e la impedisce…L’identità che appare non è
                    conciliazione dell’universale e del particolare, ma è l’universale come assoluto, in cui il
                    particolare scompare. I singoli sono resi intenzionalmente simili a ciechi comportamenti
                    biologici, diventano simili ai personaggi dei romanzi e dei drammi di Beckett. Il teatro
                    ‘assurdo’ è realistico”.
Con questo la società ha annichilito non solo il soggetto ma anche la comunità.
Di fatto, però, nelle origini del pensiero sociologico la questione individuo/comunità/società è posta
diversamente.
Emile Durkheim (L’individualisme et les intellectuels,1898) così si esprime:
                    “Senza dubbio, se la dignità dell’individuo gli derivasse dai suoi caratteri individuali, dalle
                    particolarità che lo distinguono dagli altri, si potrebbe temere che essa lo racchiuda in una
                    specie di egoismo morale, il quale renderebbe impossibile ogni solidarietà. Ma in realtà
                    l’individuo riceve la dignità da una fonte più alta, comune a tutti gli uomini,(la quale indica)
                    un fine impersonale e anonimo, (che) si pone al di sopra di tutte le coscienze particolari – e
                    può pertanto servire a unirle”.
Così, nell’ottica di Ferdinand Tonnies (Comunità e società), la comunità è espressione di una volontà organica
che nasce in modo spontaneo dagli individui e che genera la relazione sociale in modo altrettanto spontaneo e
naturale. La società è, invece, espressione di una volontà arbitraria che nasce dall’astrazione del pensiero e
dal ragionamento freddo sul rapporto tra i fini e i mezzi e che dà luogo a una socialità né spontanea né
naturale ma oggetto, prevalentemente, di un calcolo razionale.
Per Tonnies la comunità non è una entità globale che trascende gli individui che la compongono ma è


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qualcosa che nasce dagli individui stessi e che si prospetta essenzialmente come un sistema di loro relazioni,
sia oggettivamente che soggettivamente intese. In secondo luogo essa è indicativa del mettere alla base della
vita comunitaria un agire umano che è mosso non solo dal calcolo dell’utilità ma dall’intero complesso dei
desideri , dei sentimenti e dell’insieme di quelle tendenze di ordine affettivo che già nel pensiero antico
significavano un legame tra mente e corpo e si aprivano sulla dimensione della partecipazione, dell’empatia,
della solidarietà.
La comunità è “vita reale e organica” mentre la società è “formazione ideale e meccanica”. Nella comunità
l’individuo si trova dalla nascita e si lega ai suoi “nel bene e nel male”, senza vincoli contrattuali ma attraverso
un modo di sentire comune, centrato sul rispetto, la benevolenza, la solidarietà che trasferisce un sentimento
di appartenenza, di unità.
Anche Max Weber (Economia e società) parla di comunità quando l’orientamento all’azione poggia su una
comune appartenenza, soggettivamente sentita (affettiva o tradizionale), degli individui che a essa
partecipano, mentre nella società la disposizione all’agire sociale poggia su una identità di interessi, oppure su
un legame di interessi motivato razionalmente rispetto al valore e allo scopo.
E’, poi, Park (Human communities. The city and Human Ecology, 1952), della Scuola di Chicago, che pone al
centro del significato e dell’identità della comunità tre concetti: il radicamento sul territorio, la presenza di una
organizzazione sociale, l’interdipendenza tra i membri, elaborando la nozione di comunità locale.
In quest’ottica, la comunità è considerata, più che una forma associativa particolare rivolta a uno scopo, la
condizione “basica” della vita in comune e quindi, implicitamente legata a un luogo, a un territorio.
La dimensione localistico – territoriale costituisce il dato essenziale che distingue il sistema sociale che viene
definito comunità da altri tipi di sistemi sociali. Questo non significa che un sistema sociale organizzato
abbisogni necessariamente di una sua specifica collocazione territoriale, quanto piuttosto che un sistema
sociale scollegato da un territorio preciso difficilmente potrà assumere le caratteristiche di una comunità.
Sottolineando la dimensione territoriale non ci si vuole riferire unicamente agli aspetti più tradizionali quali una
cultura comune, un linguaggio (il particolare dialetto), una cucina, quanto all’insieme di condotte, di luoghi, di
modi di vita e di lavoro, di scambi che, nell’agire quotidiano come nella più vasta organizzazione sociale,
finiscono per improntare la vita di un gruppo particolare di persone.
La relazione interpersonale è, poi, intrinseca al concetto stesso di comunità considerata non solo come fatto
localistico e organizzativo ma come convivenza che richiama costantemente al senso del rapporto inter –
umano in sé, al di là delle sue valenze funzionali. E’ proprio la solidità del tessuto relazionale che permette alla
comunità di mantenere un certo grado di coesione e di normalità anche a fronte di momenti di crisi
(trasformazione) politico – istituzionale.
E’ nella dimensione della partecipazione che si allarga la dinamica relazionale all’intera comunità, conducendo
gli individui alla discussione, al dialogo come strumento che vale a costruire mondi possibili e condivisi, a


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scelte comuni e responsabili. E’ una partecipazione che diviene attiva cioè capace di auto dirigere la propria
vita e, insieme con gli altri, la vita comune.
Il concetto di disempowered indica, al contrario, la condizione di individui, di gruppi che non hanno questo
potere e, come tali, “non hanno più voce”. Una non- partecipazione, quindi, che deriva, principalmente, dal
chiudersi delle persone nella propria sfera privata e dal disinteresse per le questioni che toccano la vita
pubblica e l’organizzazione della convivenza sociale.
E’ proprio la rottura del legame sociale ad opera di una cultura che ha posto al centro dell’universo l’individuo
singolo (autogenerazione) che rappresenta il problema con cui la comunità della partecipazione deve
misurarsi, tenendo conto non solo della necessità di armonizzare pluralismo dei valori e giustizia sociale,
quanto quello di fare incontrare l’uno con l’altro, l’individuo e tutti i soggetti che costituiscono la collettività
insediata, la comunità.




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ARTICOLAZIONE DELLA RICERCA
Al fine di effettuare una accurata diagnosi della realtà del territorio di riferimento, evidenziare la conoscenza
dei problemi relativi alla sostenibilità sociale e ambientale, stimolare un ripensamento del ruolo stesso degli
Enti Locali, dei Servizi Socio – Sanitari e delle realtà che danno corpo al Terzo Settore, al fine di definire un
“progetto integrato” di politica sociale che renda visibile la coincidenza tra trasformazioni sociali, bisogni e
divenire individuale, si è ritenuto opportuno riflettere sulla situazione di servizi (pubblici e privati), aree
problematiche, ruolo degli operatori, limiti e possibilità delle politiche socio-sanitarie e assistenziali in atto, con
responsabili di Enti Pubblici, di Servizi, di Organizzazioni di servizi, di Associazioni di volontariato.
Sulla base dei dati e delle valutazioni emerse è stato possibile attivare una serie di focus group, coinvolgendo
utenti, associazioni di utenti ed operatori, al fine di approfondire le problematiche emerse e documentare
direttamente il vissuto di tali problemi e ricevere indicazioni preziose per la loro soluzione, indicazioni da non
poter certamente disattendere essendo il portato delle esperienze dirette di quanti dei servizi sono i
protagonisti.

INTERVISTE A TESTIMONI PRIVILIEGIATI
Sono stati intervistati:
 Assessore ai Servizi Sociali Comune di Vicenza
 Dirigente ULSS 6
 Segretario provinciale CGIL
 Segretario provinciale CISL
 Segretario provinciale UIL
 Direttore Caritas Diocesana Vicentina
 Presidente Coordinamento Provinciale Organizzazioni Volontariato
 Presidente Centro servizi per il Volontariato (C.S.V.)
 Consigliere cda del Consorzio Prisma
 Presidente Prisma
 Consigliere cda Prisma "territorio ULSS 6"
 Consigliere regionale Federsolidarietà, Presidente Comunità "Nuova Vita"- Vicenza
 Presidente Ass. L’isola che non c’è


Dalle interviste sono emerse le seguenti aree di disagio:
     immigrazione,
     disagio psichico,
     infanzia-adolescenza,
     anziani,
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 handicap,
     dipendenze (non solo da droga, ma anche da videogiochi).
Sono state raccolte, inoltre, una serie di indicazioni sulla realtà locale tali da poter orientare le politiche e le
attività dei servizi e la realtà del Terzo Settore.


Immigrazione
Riguardo all’immigrazione, dalle interviste sono emersi problemi che attengono, soprattutto, all’ambito
familiare. Il problema che è emerso non è tanto quello del lavoro, che nel senso comune viene percepito come
questione problematica. In un’intervista, ad esempio, si faceva notare che per il reinserimento lavorativo, si è
in grado di introdurre anche un immigrato che è stato in carcere per sette anni, ma la difficoltà maggiore è
quella dell’integrazione culturale.
Questo si riflette in ulteriori difficoltà come, ad esempio, quella di poter reperire un alloggio, che riportano di
nuovo l’immigrato in una situazione di disagio.
Il dato che, però, emerge maggiormente rispetto a carcere o criminalità è proprio la normalità del quotidiano
delle famiglie degli immigrati, in cui si inaspriscono i rapporti tra i partner aggravati da problemi come
l’alcoolismo, che nella fascia dell’immigrazione è in aumento.


Disagio psichico
Per quanto riguarda il disagio psichico, anche dalle interviste si è rilevato l’aumento di depressioni, stati
ansiosi, suicidi e tentati suicidi, quindi gli indici rilevati vengono confermati anche dai dati.
A questo è legato il problema della solitudine, che ci riporta alle reti sociali e quindi alla possibilità di
produzione di territorio che il terzo settore dovrebbe svolgere (emergono significative differenze tra la città di
Vicenza e le realtà provinciali).
La proposta che emerge dalle interviste è quella della creazione dei Centri Ascolto, cioè situazioni di filtro a cui
la persona possa rivolgersi, perché non sempre si tratta di disagio conclamato, quindi di disagio che può avere
accesso a servizi o che può essere codificato e avere dei percorsi di trattamento. A volte si tratta di forme di
disagio non riconoscibili e riconducibili all’interno dei servizi. Il Centro di Ascolto sarebbe in grado di svolgere
proprio questa funzione, cioè di accogliere quel disagio che poi non avrà un percorso istituzionalizzato,
servendo invece come supporto nel territorio e osservatorio privilegiato.


Infanzia e Adolescenza
Per l’infanzia e l’adolescenza i problemi riguardano la comunicazione con le altre generazioni e l’aumento
dell’abuso sui minori all’interno delle mura domestiche. Questo è un problema da affrontare: infatti, si stanno



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aprendo dei servizi anche nel comune di Vicenza per l’affidamento di questi minori sia per un tempo
determinato che per un affidamento diurno.
Anche se esiste una legge per i minori a rischio (la 285), questi superato il diciottesimo anno di età vengono
lasciati di nuovo soli a se stessi. Non c’è, infatti, un accompagnamento dopo la maggiore età.
Da qui, la necessità di organizzare un osservatorio sulla condizione giovanile e la necessità di attuare dei
percorsi di promozione, per passare da percorsi di prevenzione e di cura a percorsi di promozione del
benessere nel territorio, rivolti all’infanzia, all’adolescenza e a tutta la fascia dei giovani.


Anziani
In riferimento alla fascia degli anziani, si è rilevata l’importanza dei processi di socializzazione e integrazione
soprattutto per quanto riguarda la città di Vicenza, dove sono attivi i gruppi appartamento, in cui diversi anziani
si ritrovano in modo da avere più possibilità relazionali. Sono queste esperienze che dovrebbero essere più
sviluppate su tutto il territorio.
Quindi, non soltanto un’assistenza infermieristica o domiciliare, con un anziano che rimane solo nel suo
appartamento, ma anche la possibilità di costruire una rete sociale esterna che gli permetta una certa
indipendenza.


Handicap
Il dato relativo all’handicap emerso dalle interviste è simile a quello che è stato documentato con i dati raccolti.
La realtà della famiglia appare aggravata quasi esclusivamente dai problemi del disabile e, seriamente,
compromessa nella sua gestione generale. Vi è, poi, la possibilità che con l’aumento dell’età media di
sopravvivenza dei soggetti portatori di handicap questi ultimi possano sopravvivere ai propri familiari
rischiando il completo isolamento.
Anche in questo caso la soluzione che emerge, riguarda la possibilità di creare una rete sociale per il disabile,
in modo che possa emanciparsi, diventare una persona indipendente e muoversi nel territorio.


Dipendenze
Per quel che riguarda le dipendenze, in tutte le interviste non si parla solo di tossicodipendenza. Vengono
evidenziati, oltre all’eroina, l’abuso di alcool, di videogiochi ed anche l’abuso di quelle che vengono definite
nuove droghe. Queste, per lo più, nelle interviste vengono correlate con la diffusione del benessere, col fatto
che molti ragazzi lavorano, vivono in famiglia e trattengono quasi totalmente lo stipendio.
Nella tossicodipendenza classica è stato rilevato, purtroppo, e viene rilevato sempre più spesso, l’emergere
della doppia diagnosi: sia una diagnosi di tossicodipendenza che di disagio psichico, se non addirittura
psichiatrico. Ciò porta ad una maggiore difficoltà per i servizi, che devono strutturarsi in maniera tale da poter


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dare una risposta, non solo con un percorso classico di disintossicazione e di reinserimento, ma devono poter
rispondere anche al disagio psichico.
Rispetto alla tossicodipendenza è stata rilevata l’importanza di lavorare nei luoghi di insorgenza, quindi sul
luogo di lavoro e nel territorio. Per quanto riguarda la situazione all’interno della realtà lavorativa, è emerso il
progetto del “delegato sociale” da inserire all’interno delle aziende. Per il territorio, in alcune interviste è
affiorata la necessità di lavorare anche con gli operatori di strada per poter raggiungere più capillarmente la
realtà giovanile presente nelle piazze e nelle strade.
È evidente che tutto ciò comporta anche dei problemi economici per le famiglie, che aggravate dalla presenza
di tossicodipendenti, iniziano a entrare nella fascia di rischio di disagio.


Soggetti svantaggiati
Questo è quello che riguarda il reinserimento dei soggetti svantaggiati che, come si notava sopra, non è da
riferire esclusivamente al solo reinserimento lavorativo. La vera problematica è la costruzione di tutto ciò che
ruota attorno a questo soggetto, quindi la costruzione di una rete sociale e di un sistema di supporto che
possa impedire il rientrare nuovamente in situazioni di rischio.
La risposta che emerge degli interventi è quella della qualità della vita sociale, come attività per estendere
relazioni e sviluppare autonomia dei soggetti, sia per permettere loro dei percorsi di emancipazione, sia per
gravare meno sulla famiglia, che, venendo a mancare, avrebbe come unica soluzione l’istituzione.


I Servizi
Per lo sviluppo dei servizi, in diverse interviste, si chiede di spostare l’attenzione dal singolo alla famiglia. Su
questa, negli ultimi anni, sono stati scritti diversi libri e si continuano a fare ricerche: emergono problemi legati
alla mancanza di una rete sociale attorno ad essa, problemi di disgregazione e decontestualizzazione.
In questo caso l’area del self-help appare molto importante, perché capace di estendere le relazioni, quindi di
costituire attorno alla famiglia una rete sociale, un sistema di supporto, non lasciandola sola ad affrontare il
disagio.


Terzo Settore
Per quanto riguarda la funzione che il terzo settore dovrebbe andare a svolgere in futuro, tutte le interviste
sembravano andare verso un indirizzo più o meno unanime.
La prima proposta avanzata è quella di potenziare i compiti di indirizzo, di individuazione di strategie di
intervento, di monitoraggio e di valutazione, soprattutto per l’aspetto pubblico. Il privato sociale, in questo
caso, non dovrebbe mettersi in concorrenza con il pubblico, ma dovrebbe considerarlo come strumento di
paragone.


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A questo punto, uno dei problemi a cui potrebbe andare incontro il Terzo Settore, è quello della eccessiva
aziendalizzazione che comporta una maggiore attenzione verso l’aspetto manageriale piuttosto che verso la
qualità del servizio.
Il rischio, quindi, che corre però il Terzo Settore è quello di rivivere tutti i problemi che ha vissuto il settore
pubblico e cioè l’utilizzo di procedure esclusivamente burocratizzate, un’attenzione esclusiva ai compiti da
svolgere e non agli obiettivi che si vogliono raggiungere. Ciò comporta una maggiore attenzione nel rapporto
pubblico-privato affinché questo non accada e il privato possa avere delle forme di operatività più flessibili e
immediate.
Quello che comunque tutti i si augurano è la possibilità di integrazione tra Terzo Settore e settore pubblico.




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FOCUS-GROUP


Come detto, per cogliere direttamente vissuti, riflessioni, analisi e proposte degli utenti, delle loro associazioni
e degli operatori dei servizi sono stati promossi una serie di focus group.
I focus group, lungi dall’essere delle interviste di gruppo, si presentano come veri gruppi di discussione su un
tema di interesse comune.
Questo strumento ha permesso di incontrare i diversi attori sociali coinvolti nelle situazioni di disagio della città
di Vicenza. Con attori sociali si è voluto intendere l’area degli operatori e degli utenti dei diversi servizi. Ciò ha
permesso la raccolta di materiale inerente la globalità di ogni area problematica e di disagio attraverso
l’esperienza degli operatori, mentre il contributo dato da associazioni di utenti e di genitori di utenti ha
permesso di raccogliere materiali su casi più specifici.
Per giungere a questo obiettivo si è chiesto ai partner del progetto e ai testimoni privilegiati di indicare, per
ogni area, operatori, utenti e/o associazioni di utenti (vedasi Schema 1,2). Dopo una prima serie di focus
group ( I Fase ), a distanza di un anno si è realizzata una seconda serie di incontri (II Fase) per poter
effettuare una verifica e un controllo sulla qualità e importanza dei materiali (analisi, valutazioni, indicazioni e
proposte…) emersi.
Schema 1
OPERATORI
I FASE                                                      II FASE
ANZIANI                                                     ANZIANI
DIPENDENZE                                                  DIPENDENZE
DISABILI – CENTRI DIURNI                                    DISABILI – CENTRI DIURNI
DISABILI – CENTRI RESIDENZIALI                              DISABILI – CENTRI RESIDENZIALI
IMMIGRAZIONE                                                IMMIGRAZIONE
MINORI

Schema 2
UTENTI
I FASE                                                      II FASE
ANZIANI                                                     ANZIANI
DIPENDENZE                                                  DIPENDENZE
DISABILI                                                    DISABILI
IMMIGRAZIONE                                                IMMIGRAZIONE
DISABILI PSICHICI                                           DISABILI PSICHICI

IL MODELLO DI ANALISI
Il ripetere gli incontri a distanza di un anno, permette di cogliere meglio quali elementi siano dovuti a situazioni
contingenti e quali a situazioni strutturali. Al fine di evidenziare, infatti, i bisogni socialmente legittimi e quelli
dei singoli, va considerato il setting in cui il materiale è stato raccolto. I partecipanti, infatti, sono stati invitati
agli incontri, in una qualche misura hanno ricevuto informazioni circa quale sarebbe stato il loro compito:


                                                                                                                     16
Cosa è successo da quando lo hanno saputo a quando si sono seduti al tavolo?
Quali possono essere stati i loro pensieri nel tragitto di strada che li ha portati all’incontro?
Hanno preparato una mappa mentale di quello che avrebbero dovuto dire?
E poi, quando si sono seduti al tavolo la presenza degli altri ha potuto cambiare la mappa che si erano
costruiti?
Come la situazione ha influito sulla narrazione?


1. Analisi
Sicuramente non è possibile rispondere a queste domande. Troppe sono le variabili che in un arco di tempo
definito possono influenzare le scelte che l'individuo metterà in atto.
Ecco, allora, che il ripetere l'incontro dopo un anno può permettere di rilevare gli elementi strutturali del
sistema attraverso il confronto tra le due narrazioni. Nell'analisi, quindi si è operato un confronto tra la prima
Fase e la seconda Fase (Schema 3).

Schema 3
ANZIANI
OPERATORI                                                  UTENTI
I FASE             Confronto           II FASE             I FASE              Confronto            II FASE
                   Elementi                                                    Elementi
                   strutturali                                                 strutturali
                   Elementi                                                    Elementi
                   contingenti                                                 contingenti




2. Analisi
Individuati gli elementi strutturali all'interno della due narrazioni è stato possibile compiere un confronto tra il
gruppo “Operatori” e il gruppo “Utenti/Associazioni di utenti e/o rappresentanza”.


Schema 4
                                       ANZIANI
OPERATORI                                                                      UTENTI
ELEMENTI STRUTTURALI                   Confronto                               ELEMENTI STRUTTURALI
                                       Valore socialmente riconosciuto



Questa analisi è ricca di spunti proprio per la peculiarità dello strumento focus-group: i partecipanti assumono
una posizione di ricercatore, sono portati ad osservare sé stessi, a dare una spiegazione dei propri

                                                                                                                 17
comportamenti. Spiegazione che diviene valutazione, intesa come attribuzione di valore, valore socialmente
riconosciuto: è importante riuscire a decodificare come l’esperienza del disagio e soprattutto, della risposta a
questo, venga percepito da chi opera all’interno del servizio e da chi il servizio lo riceve. La distanza tra queste
due vedute è data da una diversa prospettiva percettiva, questa differenza porta l’agente ad attribuire
importanza a fattori situazionali mentre l’osservatore sarà portato a dare importanza al carattere degli attori.
Attraverso l’analisi dei focus-group con gli operatori (agenti) e le associazioni di utenti (spettatori) è possibile
rintracciare la costruzione sociale del valore che l’intervento stesso produce. Inoltre emerge anche il terzo
livello, il dietro le quinte, in questo caso inteso come livello politico di programmazione e pianificazione degli
interventi. Infatti, molto spesso, sia gli operatori che gli utenti si percepiscono come estranei a questo livello e
la percezione condivisa che ne ricavano va a influire sulla costruzione del significato di diritto di cittadinanza,
momento fondante di un modello di welfare di comunità.


3. Analisi
L'ultimo livello di analisi è rappresentato dal confronto dei Valori Socialmente Riconosciuti tra le diverse aree
problematiche per ricostruire il modello di percezione dei servizi e dei bisogni a cui questi servizi devono
rispondere.


Schema 5
AREA 1                                                      Valore 1                                    valore a
AREA 2                                                      Valore 2
AREA 3                                                      Valore 3                                    valore b
AREA 4                                                      Valore 4
AREA....i                                                   Valore....i                                 valore....i



Modello di inclusione
Al fine di poter essere incluse in tutti i livelli di analisi, le aree dovranno, sia per il gruppo utenti che per il
gruppo operatori, essere presenti in entrambe le fasi. Anche dagli schemi 1 e 2, risulta che corrispondono a
questi requisiti le aree: Anziani, Dipendenze, Disabili, Immigrati 2. L'Area Disagio Psichico, essendo presente
solo il gruppo utenti, è presente nella sezione 1.Analisi, quindi sono stati rilevati gli elementi strutturali e gli
elementi contingenti. Per quanto riguarda l'Area Minori, si e rilevata un'analisi del contenuto. Da sottolineare,
però, come queste due ultime aree siano risultate trasversali alle prime quattro e vengano richiamate



2
    Per l'area immigrati si è ritenuto opportuno la stesura di un capitolo a parte. Infatti all’interno di questa tipologia
    rientrano tutti gli aspetti di disagio. La differenza è costituita dal diverso status giuridico di cittadinanza degli
    immigrati.

                                                                                                                              18
all'interno di diversi focus-group. In questo modo sono risultate utili anche per l'integrazione dell'analisi
complessiva.


AREE DI INDAGINE E RETI SOCIALI
La ricerca si è posta come tema la Sostenibilità Sociale e Ambientale, questo partendo dal presupposto che la
qualità del servizio non può essere raggiunta se non considerando la sua ricaduta nell’ambiente, che concorre
a definire. Per questo motivo l'attenzione viene posta sul concetto di rete, intesa come luogo in cui il bisogno si
manifesta e come luogo in cui questo bisogno può tramutarsi in richiesta e trovare una risposta o essere
relegato ad un sfera privata/familiare di disagio. È infatti all'interno della Rete sociale che possono svilupparsi
relazioni che permettono al soggetto:
 di mantenere la propria identità,
  di creare un sostegno emotivo,
  di favorire la soddisfazione di bisogni e facilitare l'accesso a servizi,
  di sviluppare informazioni e modi di vedere diversi,
  di favorire nuovi contatti sociali,
  di aumentare la sensibilità e la capacità di valorizzare le risorse ampliando la visione e la consapevolezza
   del proprio mondo relazionale,
  di creare sinergie tra le risorse, rinforzando e sostenendo i legami esistenti o producendone di nuovi,
   alimentando un contesto di reciproca fiducia.
In tale modello l'anamnesi individuale, familiare e sociale è in grado di fornire elementi predisponenti ma è
l'analisi della Rete Sociale che indica quali siano gli elementi favorenti la percezione individuale di stress e la
risposta a questa che potranno scatenare forme di disagio. In questo ambito, infatti, con il termine di disagio
non si indica solamente la condizione psico-fisica dell'individuo ma anche la situazione di isolamento a cui
questa può portare l'individuo stesso e la sua rete parentale. Per certe forme di disagio, poi, l'intervento non
può proporsi come obbiettivo il ritorno ad un stato definito normale. Si tratta di forme di disagio sociale vero e
proprio che, in alcuni casi, possono anche portare una famiglia verso l'area della povertà.
Sono stati presi in considerazione tre tipologie di rete:
             1. Informali, caratterizzate da tre livelli,
             2. quasi formali, caratterizzate da un livello,
             3. formali, caratterizzate da due livelli.




                                                                                                                19
Tipologia                      Livello 1                      Livello 2               Livello 3
Informali                      Parentali                      Familiari               Madre
                                                                                      Padre
                                                                                      Figli
                                                              Altri parenti
                               Prossimali                     Vicinato
                                                              Amici
Quasi formali                  Associazionismo
                               Cooperazione
                               Volontariato
Formali                        Servizi                        Operatori
                                                              Medici di Base
                                                              Ospedale
                                                              Infermieri
                               Istituzioni                    Comune
                                                              Provincia
                                                              Regione
                                                              Stato
                                                              USL


Queste reti sono state analizzate per ogni focus-group, considerando che:
1. Le Reti Informali sono caratterizzate da contenuti di affettività e/o affinità rispetto a un soggetto e svolgono
   una funzione protettiva, di sostegno e di sviluppo dell'identità.
2. Le reti quasi formali comprendono gruppi che si sono sviluppati per far fronte a determinati bisogni delle
   persone.
3. Le reti formali comprendono rapporti di tipo asimmetrico e il contenuto è di tipo professionale.
Si è voluta ricercare la presenza di Reti di Reti, caratterizzate dalla dimensione sociale, comunitaria sia di care
(cura) che di development (sviluppo):
- care, centrata sul diffuso coinvolgimento e responsabilizzazione della comunità locale rispetto ai problemi
umani emergenti al suo interno;
- development, che vede la comunità in grado di autosvilupparsi e acquistare una dimensione politico-sociale
rivolta al cambiamento sulla base dei bisogni dei cittadini.
Elementi che concorrono essenzialmente a realizzare l'obiettivo di favorire la comunità nel riconoscere,
utilizzare, valorizzare le proprie risorse in sintesi a costruire territorio.




                                                                                                                20
RETI INFORMALI
LA FAMIGLIA
Si assiste ad un superamento del modello familistico messo in crisi dai profondi mutamenti che il modello
familiare ha avuto a partire dal periodo 1965-19803.
1900                                 1965                           2000
Controllo sociale della riproduzione Controllo volontario di coppia Autogestione del processo riproduttivo
Matrimonio istituzionale (familista, Matrimonio fondato su scelta Crisi della forma matrimonio.
asimmetrico)                         libera
Famiglie estese                      Famiglie nucleari              Famiglie subalterne a biografia
                                                                    individuale
Accettazione naturale dei figli      Investimento su pochi figli    Figli in competizione con ruoli individuali
                                     (culto dei figli)

In Italia, tra le reti di sostegno, mutuo/auto aiuto, il legame di parentela è il più presente. Ci si trova di fronte ad
un sistema di integrazione e mobilità sociale legati all’istituzione familiare che ha due conseguenze principali:
se da un lato ciò in Italia porta ad una maggiore tenuta della famiglia (incidenza ancora ridotta di separazioni e
divorzi), dall’altro ha condotto al prolungamento della permanenza dei giovani nel nucleo familiare di origine
con un tasso di nuzialità e natalità bassi. Si è, poi, avuta una sostituzione della priorità individuale alla priorità
familistica, non si tratterebbe più di familismo amorale ma, piuttosto di individualismo amorale: lo spostamento
da un familismo di squadra a un familismo individuale amorale.


Inoltre, questo modello, permette una scarsa mobilità sociale, per cui la disuguaglianza nella distribuzione dei
redditi appare avere un carattere ereditario, da una generazione all’altra. Questo viene ad inserirsi in un
momento in cui le fasce più colpite dalla disoccupazione sono quella sotto i 35 anni e quella sopra i 48, con
una netta superiorità per le donne. La fascia sino ai 20 anni è composta, per lo più, da studenti (non bisogna
dimenticare però lo scarso livello di istruzione ancora presente in Italia rispetto ad altri Paesi UE). Nella fascia
sopra i 20 anni si trova, invece, una situazione lavorativa definita “bricolage”, fai da te, in cui i giovani
alternano momenti lavorativi a momenti di formazione personale. Tuttavia proprio questo modello rischia di
porre una netta distinzione tra un gruppo favorito (inserito nel mondo del lavoro e che gode di un livello di vita
confortevole) e un gruppo sfavorito (di non occupati che subiscono l’insicurezza finanziaria, l’isolamento, la
non partecipazione), mettendo in crisi la coesione che cementa la società, favorendo lo sviluppo, al suo
interno, di persone, gruppi, esclusi dalla partecipazione agli scambi e alle pratiche dell’integrazione sociale e
privi di diritti connessi. Per di più questa distinzione appare ereditaria con un carattere di stigma sociale.


RETI QUASI FORMALI
La ricerca si inserisce, come detto, all'interno del progetto SIRTS (Sistemi Integrati per lo Sviluppo del Terzo
Settore), in sintonia con le nuove norme legislative che hanno visto un passaggio cruciale in questi ultimi anni.
3
    Dispense Corso di Perfezionamento in "Interventi Familiari e Valutazione", Prof. Bimbi

                                                                                                                     21
Infatti l'introduzione del Welfare-mix, del Welfare di responsabilità e di comunità ha ridefinito i compiti
tradizionali di care prima totalmente accentrati a livello nazionale ed ora distribuiti tra ambiti territoriali, distretti
socio-sanitari, Province, AUSL, enti terzi e terzo settore. Proprio sulle possibilità di integrazione e sviluppo di
questo ultimo si è basato il lavoro grazie alla partnership tra enti pubblici e no-profit. Questo al fine di
promuovere una capacità di decodifica delle richieste del territorio in tempo reale, al fine di rispondere
adeguatamente alle mutevoli esigenze della società, che risulta essere, oggi, la richiesta maggiore verso il
terzo settore.


Terzo Settore e sviluppo di comunità
Per questo motivo, in questo settore, solitamente, viene privilegiata un’organizzazione per progetti, in cui
l’attenzione non viene posta sui compiti che ogni singolo deve svolgere ma sul raggiungimento degli obiettivi,
attraverso un orientamento alle politiche. Per questo è necessario uno stretto collegamento con il territorio e
una capacità di raccolta e decodifica delle necessità. Inoltre una delle finalità dei progetti di comunità è
l’empowerment, inteso come distribuzione di competenze per il raggiungimento dell’equità sociale. A questo
proposito torna utile la distinzione fra bisogno (che può non essere percepito, giudicato tale da esperti),
necessità (percezione soggettiva dell'individuo), domanda (quando il cittadino interpella il servizio) e
utilizzazione (quando l'utente lo usa effettivamente). Equità è creare le condizioni che permettano ad ogni
utente potenziale di passare tutti e quattro i suddetti livelli, dal bisogno all'utilizzo. Inoltre una delle potenzialità
del no-profit risiede nella possibilità di sanare la divisione servizio/utente, superando una visione di
prevenzione e cura di concezione tradizionale per giungere ad un modello promozionale.
Lo sviluppo del terzo settore, poi, trova una sua giustificazione proprio in un tentativo di passaggio da una
visione di stato regolatore (orientato su variabili di natura gerarchica) ad una di stato funzionale (orientato su
funzioni tecniche).
In questo ambito diviene importante decidere cosa controllare. Infatti nel caso dello stato regolatore, il
controllo, partendo dall’analisi costi-benefici, attua una revisione della modalità di realizzazione degli obiettivi,
ossia, non vengono mai poste in dubbio le procedure. Passare ad una visione di stato funzionale comporta,
invece, il passaggio all’analisi strutturale. Con analisi strutturale si intende, in questo ambito, l’abbandono di
una filosofia legalistico – giuridica a favore di una cultura dell’orientamento al risultato.
Lo sviluppo del terzo settore trova, poi, una giustificazione nel mutamento dei consumi.
Esiste, anche, un ulteriore aspetto legato allo sviluppo del terzo settore, che si inserisce nell’ambito più
generale del consumo e delle caratteristiche che questo sta assumendo e che evidenzia l’importanza che la
capacità di creare relazioni riveste nello sviluppo del settore no-profit. Infatti la categoria del consumo di
massa appare ormai superato in una società in cui nessun aspetto del tempo dell’individuo è estraneo al
mercato e in cui i comportamenti di consumo sono intrisi di elementi relazionali. Non si tratta solamente della


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distinzione keynesiana tra bisogni assoluti e relativi, cioè derivanti dalle interazioni sociali, e nemmeno della
categoria dei beni posizionali, che spiega il continuo aggiornamento di PC, telefoni cellulari, ma
dell’introduzione di beni relazionali, ossia di beni prodotti da rapporti con altri soggetti.
Perché questo avvenga, però, è necessario essere in presenza o di una realtà produttiva dinamica, in cui
l’attenzione del soggetto possa spostarsi dal raggiungimento della soddisfazione dei bisogni materiali
socialmente riconosciuti, verso la sfera delle relazioni, oppure, come ad esempio ha dimostrato l'Argentina e
altri Paesi del Centro sud America, pur trovandosi in una situazione economicamente disastrosa, la presenza
di un senso di comunità atto a favorire il raggiungimento di obiettivi comuni. Tuttavia, per quanto riguarda
l'Italia, la densità di enti no profit appare legata alla situazione economica e produttiva. Confrontando il dato
relativo alla presenza di enti no-profit con il tasso di occupazione generale 4, si trova una relativa conferma al
dato secondo cui i servizi trovano un loro maggiore sviluppo là dove vi sia già presente una buona produzione
manifatturiera. Dal grafico sottostante, risulta, anzi, che anche una variazione discendente debole nel tasso di
occupazione, corrisponde ad una tendenza discendente amplificata nel tasso di soggetti coinvolti a vario titolo
nel no-profit.

    100




                   NORD
                                       CENTRO                                  ITALIA
                                                           MEZZOGIORNO



                   NORD



                                                                                                tasso no profit
     10
                                                                               ITALIA           tasso occupazione
                                       CENTRO




                                                           MEZZOGIORNO




     1



Figura 1. Confronto tra tasso di occupazione e tasso no-profit (scala logaritmica)



4
    Elaborazione dati ISTAT, 1999

                                                                                                                    23
Le differenze con la situazione del Sud del Paese, però non si fermano alla densità della presenza ma anche
alla tipologia. Infatti, la maggior presenza percentuale nel Sud di Cooperative Sociali e di strutture che
utilizzano personale dipendente, fa ipotizzare la presenza di reti formali, in cui i rapporti assumono un
carattere asimmetrico con un contenuto di tipo professionale. Nelle zone del Nord, invece, la maggior
presenza di Associazioni non riconosciute e l’alto tasso di volontari, fanno presumere una maggiore attenzione
verso la costituzione di reti informali, ossia di gruppi che si sviluppano per far fronte a determinati bisogni delle
persone.
All’interno di questa area, poi, per il no-profit, il Veneto rappresenta una zona particolare, perché si discosta
dal dato nazionale ma anche dal dato relativo al Nord-est. Tra le caratteristiche peculiari degli enti no-profit, vi
sono: un orientamento accentuatamente di tipo aconfessionale, un alto tasso d’iscrizione al registro regionale
e quindi una maggiore propensione ad operare in collaborazione ed in integrazione con il pubblico da cui non
sono però dipendenti economicamente. Per quanto riguarda, poi, l’aspetto specifico delle reti, risulta
interessante, l’elevato impegno della risorsa umana, sostenuta da una base associativa più ampia di quella
che si riscontra nel complesso del Paese.
Anche per questi motivi la presente ricerca ha inteso superare un’analisi tradizionale del momento economico
legato alla cooperazione sociale. Una definizione meramente economica che si soffermi esclusivamente sulla
distribuzione degli utili rischia di non cogliere gli aspetti motivazionali, culturali, sociali che muovono il terzo
settore; per altro, una definizione esclusivamente sociologica rischia di non cogliere gli elementi di novità
organizzativa e imprenditoriale. In questo quadro il no-profit viene inteso come strumento per valorizzare la
relazione tra soggetti, intesa come forma di capitale. Capitale che similmente agli altri tipi di capitale, è
produttivo di valori materiali e simbolici.


Il Capitale Sociale
Il capitale sociale è costituito da relazioni sociali che hanno una certa persistenza nel tempo e che gli individui
in parte possiedono ascrittivamente, in parte costruiscono attivamente nel corso della loro vita.
Il capitale sociale non è riducibile all’insieme delle proprietà individuali possedute da un determinato agente:
non è allocato né in beni strumentali, né nell’individuo, ma attiene alla struttura delle relazioni tra persone.
Queste relazioni possono essere concepite come forme di capitale perché, similmente agli altri tipi di capitale,
sono produttive di valori materiali e simbolici. Il capitale sociale, più precisamente, consta di relazioni fiduciarie
atte a favorire tra i partecipanti la capacità di riconoscersi e intendersi, di scambiarsi informazioni, di aiutarsi
reciprocamente e di cooperare a fini comuni.
Questa rete di relazioni è il prodotto di strategie e di investimento sociale orientati alla costituzione e
riproduzione di relazioni sociali utilizzabili nel tempo, cioè di relazioni durevoli atte a procurare profitti materiali



                                                                                                                     24
e immateriali. Tali relazioni ampliano la capacità d'azione dell'attore individuale o collettivo e, se
sufficientemente estese, anche la capacità di azione del sistema sociale.
Ci troviamo di fronte a un capitale che è sociale perché, a differenza del capitale privato, ha la natura di bene
pubblico, collettivo.
L'introduzione del concetto di capitale sociale permette una elaborazione degli stessi indicatori di efficacia
dell'agire della cooperazione sociale.
Di fatto, la valutazione di efficacia eccede l'adeguatezza della risposta data all'utente attraverso un prodotto o
l'erogazione di un servizio rispondente a un bisogno, orientandosi a considerare come il valore sociale
dell'agire cooperativo abbia come obiettivo implicito quello di estendere relazioni dal soggetto referente al
contesto sociale allargato.
Come visto, la produzione di particolari relazioni quali quelle fiduciarie, atte a favorire le capacità di
riconoscersi e di intendersi, di scambiare informazioni, di fornire aiuto reciproco e di cooperare a fini comuni,
rende possibile la costituzione del capitale sociale ossia produce una valorizzazione delle risorse interne a un
sistema come estensione - emergenza di nuove possibilità.
Questo concetto ha come corrispondente quello di "produzione di nuova territorialità", territorialità intesa, negli
approcci avanzati della geografia sociale, dell'urbanistica, delle scienze sociali, come estensione delle
relazioni.
Rispetto all'agire cooperativistico è possibile pensare a una articolazione del parametro "efficacia degli
interventi" come capacità degli stessi di essere moltiplicatori di relazioni, dal soggetto alla realtà sociale. Non
solo, quindi, il beneficio derivante direttamente dall'intervento verso la promozione della qualità della vita
individuale (utenti) ma azione tesa a rivitalizzare - risignificare il tessuto sociale e la dimensione sociale
dell'esperienza (ricaduta sociale dell'intervento).


Dati assoluti
Istituzioni censite dall’Istat in Veneto nel 1999: 21092, pari al 9,5% del totale nazionale, con un’incidenza di
46,7 istituzioni ogni 10000 abitanti. L’Italia ha un’incidenza di 38,4 mentre il Nord Italia di 44.


Periodo di costituzione
Nel complesso le istituzioni not-for-profit italiane sono di recente costituzione. È netta infatti la prevalenza di
unità costituitesi durante gli ultimi due decenni (78,5%). In particolare, la quota maggiore di istituzioni (55,2%)
è stata costituita dopo il 1990. il Veneto non si discosta da questa tendenza con un 77,7% di costituzioni
nell’ultimo ventennio e con un 54% a partire dal 1990.
La distribuzione delle istituzioni non profit secondo il periodo di costituzione mostra significative differenze a
seconda della forma giuridica adottata. In particolare le associazioni riconosciute, le fondazioni e le istituzioni


                                                                                                                25
con altra forma giuridica (enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, università, istituti scolastici ed ospedalieri,
società di mutuo soccorso) sono in buon numero di antica data. Di più recente costituzione risultano le
cooperative sociali, nate nel 91,4% dei casi dopo il 1980 e, in particolare, per il 54% negli anni successivi
all’emanazione della legge n. 381 del 1991, che le disciplina. I comitati e le associazioni non riconosciute
rappresentano invece le componenti relativamente più giovani del settore not-for-profit italiano, costituitesi
dopo il 1990 rispettivamente nel 62,7% e nel 59,8% dei casi.


Tipologie
Per quanto riguarda la tipologia di enti not-for-profit, per la maggior parte si tratta di associazioni non
riconosciute, tipologia significativamente più presente in Veneto (68,4%) rispetto sia al dato nazionale (63,6%)
che a quello del Nord-Italia (65,6%).




                       associazione                     associazione non                  cooperativa
                                      fondazione                         comitato                        altra forma
                       riconosciuta                       riconosciuta                      sociale
Veneto                     23,5             1,2               68,4         2,1                1,7           3,1
Italia                     27,7             1,4               63,6         1,7                2,1           3,6
Nord                       25,3             1,5               65,6         1,9                 2            3,6


Settori di attivita’
                                                                      sviluppo
               cultura                                                           tutela dei Relazioni
                                                                     economic
               sport e istruzione                 assistenz                       diritti e   sindacali e  altre
                                  sanità                    ambiente     oe
             ricreazion e ricerca                 a sociale                        attività rappresentanz attività
                                                                     coesione
                  e                                                               politica    a interessi
                                                                       sociale
Veneto          65,8          6,8     4,4            7,6      1,3        1,8        2,6           5,7         4,0
Italia          63,4          5,3     4,4            8,7      1,5        2,0        3,1           7,1         4,5
Nord            65,4          4,4     3,7            9,7      1,4        2,3        2,1           5,8         5,2

Il settore di attività privilegiato è “cultura sport e ricreazione”, per il Veneto è da sottolineare l’incidenza
maggiore nel settore “istruzione e ricerca”, sia rispetto al dato nazionale che a quello del nord italia; inverso
invece il settore “assistenza sociale”, soprattutto relativamente al dato del nord.


Settori di attivita’ primaria e forma giuridica
La forma giuridica principale risulta essere “associazione non riconosciuta” per                “relazioni sindacali e
rappresentanza di interessi” (75,8%); “tutela dei diritti e attività politica” (72,4%); “cultura, sport e ricreazione”
(69,6%); “cooperazione e solidarietà internazionale (59%); “ambiente” (53%); “sviluppo economico e coesione
sociale” (52,6%); “filantropia e promozione del volontariato” (51%).

                                                                                                                    26
Le associazioni riconosciute risultano operare soprattutto nel settore “sanità” (55,2%) e ambiente (38,9%).
Per quanto riguarda la forma di “cooperativa sociale”, i settori in cui risulta primaria sono: “sviluppo economico
e coesione sociale” (16%), con un’incidenza soprattutto nella classe di attività “addestramento, avviamento
professionale e inserimento lavorativo” (37,3%). Da notare che questa forma giuridica è presente anche nelle
classi “servizi psichiatrici ospedalieri e non ospedalieri” (37,1%) e “servizi per lungodegenti” (19%) del settore
“sanità” (3,7%).
All’interno del progetto SIRTS l’attenzione è stata rivolta proprio verso la categoria della cooperazione sociale.


La cooperazione sociale nella città di Vicenza.
Nel Comune di Vicenza risultano operanti 21 cooperative5. Di queste 15 sono di tipo A (71%), due sono
consorzi e le rimanenti sono cooperative di tipo B. Da sottolineare che le cooperative di tipo A mostrano una
preferenza per interventi di tipo territoriale e domiciliare, sviluppando relazioni nella comunità di appartenenza
e rispondendo alle esigenze ed ai bisogni di quei cittadini che altrimenti sarebbero rimasti condannati ad una
forte istituzionalizzazione, ricovero, carcere, comunità. Le cooperative di tipo B, invece, hanno conquistato un
ruolo come strumento privilegiato e specialistico per l'inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, come
soggetto in grado di svolgere una formazione professionale sul campo, a lavorare per una piena integrazione
sociale delle persone in difficoltà e ad avviarle anche all'inserimento del lavoro esterno alla cooperativa.


Tabella 1
Tipo        Ragione sociale                 Tipo fruitori                    Tipo servizio
coop
A           C.M.A. SERVIZI                  anziani                          case di riposo o r.s.a.-ass.
                                                                             domiciliare
A           IL MOSAICO                      giovani                          ass. domiciliarec.e.o.d.
A           LA LINEA DELL'ARCO              giovani                          ass. domiciliarecentri form. prof.le
A           A.GA.PE                         handicappati                     ass. domiciliareass. scolastica
A           CITTA' SOLIDALE                 handicappati                     ass. domiciliareass. scolastica
A           LA FRAGLIA                      handicappati                     c.e.o.d.
A           F.A.I. BERICA                   handicappati-anziani-minori      ass.       domiciliare-centri        di
                                                                             accoglienza-asili nido
A           IL NUOVO PONTE                  handicappati-malati mentali      c.e.o.d.
A           IL REGNO INCANTATO              minori                           asili nido
A           LA CASETTA                      minori                           ass. domiciliare
A           IL POSTO                        minori                           ass. domiciliareass. domiciliare
A           PROPOSTA                        minori                           ass. domiciliareass. domiciliare
A           TANGRAM                         minori                           ass. domiciliareass. scolastica
A           VILLAGGIO S.O.S. VICENZA        minori                           ass. domiciliareass. scolastica
A           NUOVA VITA                      tossico ed ex                    com. terapeutica
B           AURORA
B           IL GABBIANO
B           INSIEME
5
    Registro Regionale delle Cooperative Sciali, 2003

                                                                                                                 27
B              ORIZZONTI
C              CONSORZIO PRISMA
C              CONSORZIO SOL.CO

RETI FORMALI
I SERVIZI SOCIO-SANITARI
A fronte di una continua crescita delle domande rivolte verso l’area dei servizi sociosanitari, domanda che via
via si diversifica con richieste sempre più specialistiche, esiste un’esigenza di cambiamento all’interno dei
servizi stessi. È oramai accettato che “tutto l’agire sociale si sviluppa in un contesto di complessità crescente
che coinvolge sempre più attori sociali, ciascuno dei quali con ruoli molteplici e diversi, ciascuno dei quali
portatore di interessi e logiche e linguaggi, diversi e non di rado contraddittori; la decisione pubblica non si
sottrae a questa logica, e anzi ne è appesantita dalla quantità di regole formali (leggi, regolamenti, procedure)
che non coinvolge, generalmente, altri settori”          . Tale complessità deve essere inserita all’interno del
                                                       (6)


processo di progettazione del servizio e mantenuta come elemento metodologico nella sua gestione e
valutazione. Bisogna, infatti, considerare che la nozione di servizio si basa su due requisiti costitutivi (7):
    I servizi sono relazioni che producono relazioni: essi producono ciò che sono, la stessa materia sociale di
    cui sono fatti;
    l'unità di misura che qualifica lo statuto relazionale del processo/prodotto "servizio" è la partnership, la
    compartecipazione degli attori coinvolti, prestatori e clienti anzitutto, alla produzione dell’eventuale valore
    aggiunto che vi si crea.
Tutto questo ha in sé un grande significato: la qualità del prodotto (servizio erogato) e la qualità dei processi
produttivi (organizzazione del processo) debbono essere compatibili con le aspettative del mercato (la
domanda), ossia, con l’ambiente esterno (territorio, popolazione), inteso come variabile interna al ciclo
produttivo e come ulteriore elemento di definizione di qualità. In questo senso il servizio non può essere inteso
come un apparato che eroga prestazioni e la sua valutazione non può essere compiuta esclusivamente in
termini di cose fatte. Partendo da una definizione etimologica       (8)
                                                                           si trova che “efficace” è ciò che raggiunge il
fine in precedenza determinato o produce l’effetto che si desidera ed “efficiente” è la rispondenza o
adeguatezza d’uno strumento o di un’organizzazione alla propria funzione. Riportando queste definizione
nell’analisi dei servizi, però, risulta più congeniale la distinzione, ancora oggi più accettata, proposta da
Holland (9):
                      “Per efficacia di un intervento si intende una misura del risultato tecnico in termini medici,
                      psicologici o sociali e che l'efficienza è un concetto economico che fa riferimento ai costi
6
    C. Bezzi, Aspetti metodologici del coinvolgimento degli attori sociali nella cosiddetta valutazione partecipativa,
   Rassegna italiana di valutazione, 1999/00
7
    O. de Leonardis, In un diverso welfare. Sogni e incubi, Feltrinelli, Milano, p. 121
8
    Cortellazzo M., Zolli P.,1992, Dizionario etimologico della lingua italiana, Zanichelli
9
  Holland W. W. (a cura), 1985, La valutazione dell'assistenza sanitaria. Teorie, metodi, applicazioni, La Nuova Italia
Scientifica, Roma, p. 35

                                                                                                                      28
dell'intervento in relazione all'efficacia”.
È facile intuire come, per amore di semplicità, la funzionalità di un qualunque servizio possa essere intesa
esclusivamente come calcolo costi/operazioni svolte, soprattutto in un campo in cui le operazioni svolte sono
facilmente quantificabili in termini economici, di tempo impiegato e di personale occupato                      , mentre la
                                                                                                             (10)


valutazione di efficacia e di qualità va a toccare un campo non delimitato da tabelle precostituite. Se, però, non
si accetta tale complessità, allora il modello di servizio sociale rimarrà quello di ufficio-fabbrica ( 11), un mondo
di incartamenti, di pratiche che documentano eventi amministrativi o gestionali, di calcoli, di corrispondenza, di
comportamenti basati sulla routine; un luogo autarchico in cui i diversi soggetti sono separati tra loro e dal
mondo reale da barriere comuncative. In un tale modello il territorio, la popolazione rimangono esclusi;
vengono considerati solo, e separatamente, l’ente che eroga e l’utente/cittadino che chiede, ci si ferma ancora
una volta all’interno di un modello in cui la relazione è asimmetrica: un rapporto tra chi detiene il potere
(informazione, prestazione) e chi lo richiede e/o lo subisce. Il servizio sociale, all’opposto, deve essere inteso
come produttore di territorialità, di relazioni e esperienze che sono alla base della costituzione del capitale
sociale e della convivenza civile basata sui diritti di cittadinanza.
In questa direzione il Terzo Settore potrebbe svolgere un ruolo fondamentale. Se, infatti, l'iniziativa solidale e
comunitaria non può in alcun modo sostituire la garanzia di servizi e diritti fondamentali che solo lo Stato può
offrire, può invece servire da stimolo per la costruzione, a fronte di nuovi bisogni e nuovi diritti, di un welfare di
comunità.


LE ISTITUZIONI 12
La Legge 8 novembre 2000, n. 328 e la modifica di alcuni articoli della Costituzione italiana, hanno introdotto
un nuovo modello di intervento e di servizi sociali. Questo prevederebbe un sistema integrato di interventi e
servizi sociali da realizzarsi mediante politiche e prestazioni coordinate nei diversi settori della vita sociale,
interrelando servizi alla persona e al nucleo familiare con eventuali misure economiche e la definizione di
percorsi attivi volti a ottimizzare l'efficacia delle risorse, impedire sovrapposizioni di competenze e
settorializzazione delle risposte. La programmazione e l'organizzazione del sistema di interventi e servizi
compete agli enti locali, alle regioni e allo Stato che, nell'ambito delle rispettive competenze, riconoscono e
agevolano il ruolo degli Organismi Non Lucrativi di Utilità Sociale (ONLUS), degli organismi della
cooperazione, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, delle fondazioni e degli enti di patronato,
delle organizzazioni di volontariato, degli enti riconosciuti, delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha



10
     Si veda a proposito la creazione dei Raggruppamenti Omogenei di Diagnosi (DRG – Diagnostic Related Groups);
     DL 15-4-94
11
     DE MASI, Impiegati e operai, lasciamoli tutti a casa, Telèma, Autunno 1995.
12
     Per la L.328 è stata utilizzata la sintesi a cura di A. Lacovara – Provveditorato agli Studi di Roma – Ufficio Studi e
     Programmazione

                                                                                                                          29
stipulato patti, accordi o intese operanti nel settore nella programmazione, nella organizzazione e nella
gestione del sistema integrato di interventi e servizi sociali.
Nella presente ricerca il sistema ONLUS – Cooperazione – Volontariato - ..., viene inserito nelle reti quasi
formali, ossia gruppi che si sono sviluppati per far fronte a determinati bisogni delle persone; mentre il sistema
delle istituzioni all'interno delle reti formali.


L’AMMINISTRAZIONE COMUNALE
I comuni sono titolari delle funzioni amministrative concernenti gli interventi sociali svolti a livello locale e
concorrono alla programmazione regionale. Ai comuni spetta, tra l'altro, l'esercizio delle seguenti attività:
1. programmazione, progettazione, realizzazione del sistema locale dei servizi sociali a rete, indicazione delle
   priorità e dei settori di innovazione attraverso la concertazione delle risorse umane e finanziarie locali;
2. erogazione dei servizi, delle prestazioni economiche, delle attività assistenziali;
3. autorizzazione, accreditamento e vigilanza dei servizi sociali e delle strutture a ciclo residenziale e
   semiresidenziale;
4. partecipazione al procedimento per l'individuazione degli ambiti territoriali;
5. definizione di parametri di valutazione, ai fini della determinazione dell'accesso prioritario alle prestazioni e
   ai servizi.
I comuni provvedono altresì a:
1. promuovere, nell'ambito del sistema locale dei servizi sociali a rete, risorse della collettività locali tramite
   forme innovative di collaborazione per lo sviluppo di interventi di auto-aiuto e per favorire la reciprocità tra
   cittadini nell'ambito della vita comunitaria;
2. coordinare programmi e attività degli enti che operano nell'ambito di competenze, secondo le modalità
   fissate dalla regione;
3. adottare strumenti per la semplificazione amministrativa e per il controllo di gestione atti a valutare
   l'efficienza, l'efficacia e i risultati delle prestazioni;
4. effettuare forme di consultazione dei soggetti interessati, per valutare la qualità e l'efficacia dei servizi e
   formulare proposte ai fini della predisposizione dei programmi;
5. garantire ai cittadini i diritti di partecipazione al controllo di qualità dei servizi, secondo le modalità previste
   dagli statuti comunali.


LA PROVINCIA
Le province concorrono alla programmazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, per i compiti
previsti dalla legge, secondo le modalità definite dalle regioni che disciplinano il ruolo delle province in merito:
1. alla raccolta delle conoscenze e dei dati sui bisogni e sulle risorse rese disponibili dai comini e da altri


                                                                                                                    30
soggetti istituzionali presenti in ambito provinciale per concorrere all'attuazione del sistema informativo dei
   servizi sociali;
2. all'analisi dell'offerta assistenziale per promuovere approfondimenti mirati sui fenomeni sociali più rilevanti in
   ambito provinciale fornendo, su richiesta dei comuni e degli enti locali interessati, il supporto necessario
   per il coordinamento degli interventi territoriali;
3. alla promozione, d'intesa con i comuni, di iniziative di formazione, con particolare riguardo alla formazione
   professionale di base e all'aggiornamento;
4. alla partecipazione alla definizione e all'attuazione dei piani di zona.


LA REGIONE
Le regioni esercitano le funzioni di programmazione, coordinamento e indirizzo degli interventi sociali nonché
di verifica della rispettiva attuazione a livello territoriale e disciplinano l'integrazione degli interventi stessi, con
particolare riferimento all'attività sanitaria e socio-sanitaria a elevata integrazione.
Le regioni programmano gli interventi sociali, promuovendo, nell'ambito delle rispettive competenze, modalità
di collaborazione e azioni coordinate con gli enti locali, adottando strumenti e procedure di raccordo e di
concertazione, anche permanenti, per dare luogo a forme di cooperazione, provvedono alla consultazione dei
soggetti interessati.
Alle regioni spetta in particolare l'esercizio delle seguenti funzioni:
1. determinazione degli ambiti territoriali, delle modalità e degli strumenti per la gestione unitaria del sistema
   locale dei servizi sociali a rete;
2. definizione di politiche integrate in materia di interventi sociali, ambiente, sanità, istituzioni scolastiche,
   avviamento al lavoro e reinserimento nelle attività lavorative, servizi del tempo libero, trasporti e
   comunicazioni;
3. promozione e coordinamento delle azioni di assistenza tecnica per l'istituzione e la gestione degli interventi
   sociali da parte degli enti locali;
4. promozione della sperimentazione di modelli innovativi di servizi in grado di coordianre le risorse umane e
   finanziarie presenti a livello locale e di collegarsi altresì alle esperienze effettuate a livello europeo;
5. promozione di metodi e strumenti per il controllo di gestione atti a valutare l'efficacia e l'efficienza dei servizi
   e i risultati delle azioni previste;
6. definizione, sulla base dei requisiti minimi definiti dallo Stato, dei criteri per l'autorizzazione, l'accreditamento
   e la vigilanza delle strutture e dei servizi a gestione pubblica o di altri soggetti;
7. istituzione, secondo le modalità definite con legge regionale, sulla base di indicatori oggettivi di qualità, di
   registri dei soggetti autorizzati all'esercizio delle attività disciplinate dalla legge;
8. definizione dei requisiti di qualità per la gestione dei servizi e l'erogazione delle prestazioni;


                                                                                                                      31
9. definizione dei criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni;
10. predisposizione e finanziamento dei piani per la formazione e l'aggiornamento del personale addetto alle
   attività sociali;
11. determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe che i comuni sono tenuti a corrispondere ai
   soggetti accreditati;
12. esercizio dei poteri sostitutivi nei confronti degli enti locali inadempienti.


LO STATO
Allo Stato spetta l'esercizio delle funzioni di cui al D. Lgvo 112/98, nonché dei poteri di indirizzo e
coordinamento e di regolazione delle politiche sociali per i seguenti aspetti:
1. determinazione dei principi e degli obiettivi della politica sociale attraverso il Piano Nazionale degli Interventi
   e dei Servizi Sociali;
2. individuazione dei livelli essenziali e uniformi delle prestazioni, comprese le funzioni in materia
   assistenziale, svolte per minori e adulti dal Ministero della giustizia, all'interno del settore penale;
3. fissazione dei requisiti minimi strutturali e organizzativi per l'autorizzazione all'esercizio dei servizi e delle
   strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale; previsione di requisiti specifici per la comunità di tipo
   familiare con sede nelle abitazioni civili;
4. determinazione dei requisiti e dei profili professionali in materia di professioni sociali, nonché dei requisiti di
   accesso e di durata dei percorsi formativi;
5. esercizio dei poteri sostitutivi in caso di riscontrata inadempienza delle regioni;
6. ripartizione delle risorse del Fondo Nazionale per le Politiche Sociali.


IL PIANO DI ZONA
I comuni associati, negli ambiti territoriali, a tutela dei diritti della popolazione, d'intesa con le aziende unità
sanitarie locali, provvedono, nell'ambito delle risorse disponibili, per gli interventi sociali e socio-sanitari,
secondo le indicazioni del Piano Regionale, a definire il Piano di Zona, individua:
1. gli obiettivi strategici e le priorità di intervento nonché gli strumenti e i mezzi per la relativa realizzazione;
2. le modalità organizzative dei servizi, le risorse finanziarie, strutturali e professionali, i requisiti di qualità in
   relazione alle disposizioni regionali adottate;
3. le forme di rilevazione dei dati nell'ambito del sistema informativo;
4. le modalità per garantire l'integrazione tra servizi e prestazioni;
5. le modalità per realizzare il coordinamento con gli organi periferici delle amministrazioni statali, con
   particolare riferimento all'amministrazione penitenziaria e della giustizia;
6. le modalità per la collaborazione dei servizi territoriali con i soggetti operanti nell'ambito della solidarietà


                                                                                                                        32
sociale a livello locale e con le altre risorse della comunità;
7. le forme di concertazione con la azienda unità sanitaria locale e con altri soggetti.
Il Piano di Zona, di norma adottato attraverso accordo di programma è volto a:
1. favorire la formazione di sistemi locali di intervento fondati sui servizi prestazioni complementari e flessibili,
   stimolando in particolare le risorse locali di solidarietà e di auto-aiuto, nonché a responsabilizzare i cittadini
   nella programmazione e nella verifica dei servizi;
2. qualificare la spesa, attivando risorse, anche finanziarie, derivate dalle forme di concertazione;
3. definire criteri di ripartizione della spesa a carico di ciascun comune, delle aziende unità sanitarie locali e
   degli altri soggetti firmatari dell'accordo, prevedendo anche risorse vincolate per il raggiungimento di
   particolari obiettivi;
4. prevedere iniziative di formazione e di aggiornamento degli operatori finalizzate a realizzare progetti di
   sviluppo dei servizi.


I risultati ottenuti vengono presentati nei capitoli successivi per ogni area considerata.




                                                                                                                  33
ANZIANI


SITUAZIONE DEMOGRAFICA13


Dall’analisi dei dati demografici si può notare un progressivo invecchiamento della popolazione, più marcato
per il Distretto di Vicenza. Infatti se nel 1995 l’intera ULSS6 aveva una popolazione sotto i 20 anni pari al
21,40%, nel 2003 tale percentuale è scesa al 18,04%, mentre la fascia sopra i 60 anni è passata dal 16,54%
al 24,62%. Per il Distretto di Vicenza, invece, la fascia sotto i 20 anni è scesa dal 18,77% al 15,93%, mentre la
fascia oltre i 60 è passata dal 19,74% al 28,54%.
Il dato relativo a Vicenza, viene poi aggravato se si considerano le diversità nelle relazioni tra città e
campagna. Infatti è più probabile che in realtà non urbane si possano innescare reti di mutuo aiuto tra
all’interno della cerchia familiare e/o amicale, mentre tale rete ha un’intensità minore in città, in cui le reti sono
meno diffuse e hanno intensità inferiori, sia a livello parentale che amicale e/o di vicinato.

Tabella 2. ULSS 6 (valori %)
ULSS6                   1995          1996          1997           1998          1999           2000    2001    2002    2003
0-19                    21,4          20,75         20,25          19,82         19,52          19,31   19,14   18,95   18,04
20-59                   62,06         61,82         61,39          60,78         60,05          59,21   58,42   57,63   57,34
60 E OLTRE              16,54         17,43         18,36          19,39         20,43          21,47   22,44   23,42   24,62

Tabella 3. DISTRETTO DI VICENZA (valori %)
VICENZA                  1995         1996          1997           1998          1999           2000    2001    2002    2003
0-19                     18,77        18,13         17,68          17,23         16,95          16,82   16,74   16,70   15,93
20-59                    61,49        61,09         60,54          59,84         58,98          57,97    57     56,01   55,53
60 E OLTRE               19,74        20,77         21,79          22,93         24,07          25,21   26,26   27,29   28,54




13
     Elaborazione diretta dati http://www.vicenzaulss.com/public/ASPs/Statistiche_Eta_Popolazione.asp




                                                                                                                         34
VARIAZIONI PERCENTUALI 1995-2003

  40,00

                                                                              32,82
                                                                                       30,82
  30,00




  20,00




  10,00
                                                                                                       ULSS6
                                                                                                       VICENZA
   0,00
                         0-19                          20-59                   60 E OLTRE

  -10,00
                                               -8,23       -10,73

                            -15,12
  -20,00        -18,62




  -30,00




Figura 2

Il grafico precedente illustra la variazione percentuale tra il 1995 e il 2003. Si vede come, se pur nel distretto di
Vicenza si ha una percentuale maggiore di popolazione anziana, è nell’intera ULSS che si è avuta la crescita
percentuale maggiore di anziani a fronte di una diminuzione maggiore di popolazione tra 0-19 anni.



Genere
Dall’analisi del rapporto Maschi e Femmine sul totale della popolazione si evidenzia una maggiore presenza
del genere femminile nella fascia 65 e oltre (Tab. 3). Ciò è meglio evidenziato dalla Fig. 2, che documenta
come nella fascia considerata il rapporto sia, circa, di 2 a 1. Tuttavia si deve registrare una controtendenza.
Infatti, se nel 1991 il rapporto era di 68 donne ogni 100 abitanti, compresi nella fascia 65 e oltre, nel 2001 tale
rapporto è di 63. questo viene evidenziato in Fig. 2 e Fig. 3. Analizzando, poi, le differenze tra il Distretto di
Vicenza e gli altri distretti della ULS 6, si può notare una differenza significativa (> 10%) per tutte le fasce di
Maschi, con una significatività maggiore per la fascia sopra i 65 anni (Tab. 2). Da ciò si evidenzia come nel
comune di Vicenza la fascia 65 e oltre sia costituita in maniera significativamente maggiore da donne.

Tabella 4. Rapporto Maschi e Femmine sul totale della popolazione per fasce di età
Media 1991-2002                                                0-14       15-64             oltre 65         totale
                                              M                0,44        0,41               0,27            0,39
DISTRETTO DI VICENZA
                                              F                0,49        0,51               0,65            0,53
                                              M                0,57        0,55               0,44            0,55

                                                                                                                  35
DISTRETTO OVEST                                 F        0,49                 0,49             0,61              0,50
                                                M        0,41                 0,40             0,29              0,39
DISTRETTO EST
                                                F        0,48                 0,49             0,62              0,50
                                                M        0,59                 0,58             0,48              0,57
DISTRETTO SUDEST
                                                F        0,48                 0,49             0,61              0,50
                                                M        0,52                 0,51             0,37              0,50
DISTRETTO SUD
                                                F        0,48                 0,49             0,63              0,50
                                                M        0,51                 0,49             0,37              0,48
TOTALE
                                                F        0,48                 0,49             0,62              0,51

Tabella 5. Differenze percentuali dalla media
Media 1991-2002                                                   0-14                15-64               oltre 65
                                                    M           -13,73%              -16,33%              -27,03%
DISTRETTO DI VICENZA
                                                    F            2,08%                4,08%                4,84%
                                                    M           11,76%               12,24%                18,92%
DISTRETTO OVEST
                                                    F            2,08%                0,00%                -1,61%
                                                    M           -19,61%              -18,37%              -21,62%
DISTRETTO EST
                                                    F            0,00%                0,00%                0,00%
                                                    M           15,69%               18,37%                29,73%
DISTRETTO SUDEST
                                                    F            0,00%                0,00%                -1,61%
                                                    M            1,96%                4,08%                0,00%
DISTRETTO SUD
                                                    F            0,00%                0,00%                1,61%

                                         Rapporto Maschi su Femmine


                                         0-14
                                   0,9
                                   0,8
                                   0,7
                                   0,6
                                   0,5
                                   0,4
                                   0,3
                                   0,2
                                   0,1
             totale                 0                                 15-64               DISTRETTO DI VICENZA




                                    oltre 65




Figura 3




                                                                                                                     36
Rapporto Femmine sul totale della popolazione oltre i 65 anni

 0,70


 0,68


 0,66


 0,64


 0,62
                                                                                                                    DISTRETTO DI VICENZA
                                                                                                                    DISTRETTO OVEST
 0,60                                                                                                               DISTRETTO EST
                                                                                                                    DISTRETTO SUDEST
                                                                                                                    DISTRETTO SUD
 0,58


 0,56


 0,54


 0,52


 0,50
         1991     1992      1993    1994   1995    1996      1997     1998   1999   2000    2001      2002




Figura 4



                                Andamento differenze maschi femmine oltre 65 anni Distretto di Vicenza

 10,00




  1,00
           1991          1992      1993     1994      1995          1996     1997    1998      1999          2000      2001      2002




Figura 5

                                                                                                                                        37
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Terzo Settore E Networking

  • 1. Romano Mazzon, Ivano Spano IL LAVORO DI RETE COME “MISSION” DEL TERZO SETTORE Servizi pubblici e privati, Utenti e Operatori nella realtà di Vicenza Progetto EQUAL “Sistemi Integrati per il Rafforzamento del Terzo Settore” Prefazione di Lorenzo Barbera 2001, Edizioni Sapere, Padova
  • 2. RICERCA PER LA SOSTENIBILITÀ SOCIALE E AMBIENTALE.......................................................................3 Il significato della ricerca.................................................................................................................3 LA METODOLOGIA DELLA RICERCA......................................................................................5 OBIETTIVI DELLA RICERCA......................................................................................................6 Il QUADRO CONCETTUALE DI RIFERIMENTO......................................................................7 Realtà’ e idee di comunità’..........................................................................................................7 ARTICOLAZIONE DELLA RICERCA.......................................................................................11 INTERVISTE A TESTIMONI PRIVILIEGIATI......................................................................11 FOCUS-GROUP........................................................................................................................16 ANZIANI...............................................................................................................................................................34 SITUAZIONE DEMOGRAFICA..................................................................................................34 Genere ........................................................................................................................................35 Indice di vecchiaia......................................................................................................................38 Indice di dipendenza strutturale..................................................................................................40 FOCUS GROUP.............................................................................................................................42 OPERATORI..............................................................................................................................43 UTENTI......................................................................................................................................56 DIPENDENZE......................................................................................................................................................64 Tossicodipendenza ........................................................................................................................64 Confronto con il dato nazionale.....................................................................................................64 Tossicodipendenti in carico ULS 6................................................................................................66 Decessi ...........................................................................................................................................72 Persone segnalate............................................................................................................................76 Alcooldipendenza ..........................................................................................................................77 Utenti in carico ULS 6....................................................................................................................77 DISABILITÀ.......................................................................................................................................................100 Disabili in carico ogni 1000 abitanti........................................................................................100 Tipologia di intervento.................................................................................................................101 Assistenza per fasce di età........................................................................................................105 MINORI...............................................................................................................................................................151 STRANIERI........................................................................................................................................................158 ANZIANI, SOGGETTI CON DIPENDENZE E DISABILI: UN CONFRONTO..................................................175 APPENDICE 2............................................................................................................................221 DATI DI ARCHIVIO...................................................................................................................222 Confronto tra dati richiesti e dati ottenuti.................................................................................222 Motivi di scostamento.....................................................................................................................................222 Struttura produttiva.......................................................................................................................223 CAUSE DI MORTE.....................................................................................................................241 2
  • 3. RICERCA PER LA SOSTENIBILITÀ SOCIALE E AMBIENTALE Il significato della ricerca L`obiettivo generale del Progetto S.I.R.T.S. è stato di costruire un sistema integrato pubblico/privato incentrato su un rapporto più organico ed efficace tra i cittadini, le loro formazioni sociali, le pubbliche amministrazioni ed il Mercato, e in grado di mettere in sinergia e qualificare risorse e competenze degli attori impegnati sul fronte dello svantaggio economico. Per il raggiungimento di questo obiettivo la ricerca rappresenta lo strumento privilegiato per la diagnosi della realtà del territorio di riferimento, alimentando la conoscenza dei problemi relativi alla sostenibilità sociale e ambientale, intendendo, con questo stimolare un ripensamento del ruolo stesso degli Enti Locali, dei Servizi Socio-Sanitari, delle realtà che danno corpo al Terzo Settore. Ciò che i soggetti responsabili della gestione della cosa pubblica o di interventi di rilevanza pubblica e collettiva, devono rendere possibile è, prima che non la conquista di possibili e diversi e necessari risultati concreti, la definizione di un “progetto” di politica sociale che renda visibile la coincidenza tra trasformazioni sociali e divenire individuale. Occorre aprire un orizzonte progettuale in grado di agire “produzione di territorio” come bene che produce la forma, la qualità e lo stile dell’insediamento umano. Fare sviluppo è operazione non separabile dalla produzione di nuova territorialità. Ma solo una rinnovata cultura dell’abitare può produrre nuova territorialità. Afferma Martin Heidegger (Costruire, abitare, pensare; in, Saggi e discorsi) “solo se abbiamo la capacità di abitare possiamo costruire”. Solo se nelle trasformazioni o nelle attività di produzione sociali un luogo viene percepito come “dono” attraverso il quale noi stabiliamo un rapporto (come qualcosa che si possiede in comune) riusciremo a ritrovare una sintonia, a porre in essere delle possibilità. La dilatazione del territorio dell’abitare è, infatti, la condizione per inventare modelli spazio-temporali: - che producano spazio, dove la crescita quantitativa della congestione lo distrugge; - che producano tempo, laddove la civiltà quantitativa della cogestione lo dissipa; - che producano valore aggiunto estetico, ossia punti di riferimento simbolici sempre carichi di una efficacia semantica capace di mantenere una memoria affettiva del proprio habitat; infine, che valorizzino la ricchezza qualitativa e la pluralità dei luoghi spazio-temporali contro la sparizione dello spazio-tempo umano prodotta dalla ipervelocità dei mezzi di comunicazione. Uno sviluppo locale, quindi, ma anche una architettura orientati in senso ecologico che assumano come oggetto un oggetto complesso quale lo “spazio del vivere” che si corrode più lentamente nello “spazio vissuto” in maniera tale che questo si presenti con una ricchezza di dettagli insospettata per il soggetto, allargando lo spazio della memoria e del sentimento, ampliando i significati che riappaiono sul “teatro della nostra vita intima”. 3
  • 4. Hoelderling, in questo senso ha parlato di “abitare poeticamente la terra” ossia della necessità di rompere la razionalità del calcolo dell’uomo sulla natura, per liberare quelle potenzialità, quelle modalità espressive, creative e relazionali che ci rimandano alla memoria dell’unità mitica tra uomo e natura, tra uomo e uomo, al punto che il mondo sia veramente il nostro mondo. La presenza – consistenza di forme molteplici di disagio impone che questa apertura di senso avvenga e avvenga al più presto portando a compimento quella dimensione progettuale che libera la necessità della coincidenza tra ecologia dell’ambiente ed ecologia della mente. 4
  • 5. LA METODOLOGIA DELLA RICERCA La metodologia che si è ritenuto opportuno adottare è quella della “ricerca intervento” introdotta da Kurt Lewin verso il 1940 come metodologia di studio capace di occuparsi, soprattutto, della comprensione dei fenomeni sociali e del continuo mutamento che questi subiscono. Oggi, la metodologia di studio della action-research (ricerca intervento) viene utilizzata dalla psicologia di comunità, trovando ampio raggio di indagine e di applicabilità, nei progetti di intervento in ambito sociale. La ricerca applicata in una comunità si caratterizza per il suo uso diretto e per l'immediato collegamento con la teoria e la soluzione di problemi pratici. Tale strumento offre nel complesso, la possibilità di sostenere forme di soluzioni valide nel superamento di problematiche come l'isolamento, l'emarginazione, il disagio sociale, attuando modelli mirati a soddisfare obiettivi di tipo emancipatorio e riabilitativo. La psicologia di comunità è una disciplina sensibile ai metodi di indagine e di lavoro che si possono attuare in una popolazione esposta al rischio, in quanto è una disciplina empirica che si occupa della comprensione dei fenomeni sociali e del continuo mutamento che questi subiscono attraverso la realtà, concepita come un continuo mutamento delle condizioni che determinano l’organizzazione sociale. Introdurre l'action-resarch nell'ambito delle problematiche dei servizi socio-sanitari, significa spostarsi verso il concetto di promozione del benessere, promozione che nasce come momento educativo (dove, con educare, considerando l’etimologia stessa della parola “ex-duco”, si intende portare allo scoperto le potenzialità del soggetto). Di fronte al problema del disagio si è voluto utilizzare l’approccio relazionale, caratteristico dell’action- research, molto utile nello studio dei diversi livelli di esistenza di un soggetto all'interno dei diversi sistemi di riferimento. In questa direzione è possibile individuare tre livelli: - il livello macro sociale (la dinamica delle relazioni sociali nonché dei processi di integrazione ed esclusione); - il livello micro sociale (i fondamenti immediati dell'agire sociale); - livello individuale (il rapporto tra convinzioni e azioni del soggetto e l’interpretazione della reazione degli altri ai propri atti). La ricerca si è, particolarmente, soffermata sul livello micro sociale. Questa scelta metodologica è riconducibile non solo alla constatazione che all'interno del livello micro sociale sono visibili le radici dei problemi ma anche siano possibile evidenziare e attivare le risorse per un cambiamento. Per questo scopo la ricerca si è avvalsa di tre strumenti: 5
  • 6. • interviste a testimoni privilegiati. Con questo strumento si è inteso raccogliere informazioni circa gli ambiti di disagio sociale nel Comune di Vicenza attraverso soggetti che, per il ruolo ricoperto, rappresentassero un osservatorio privilegiato; • raccolta ed elaborazione di dati d’archivio. Attraverso questo si è voluto definire un quadro generale per il Comune di Vicenza1, elaborando una serie di indicatori specifici per le aree problematiche emerse dalle interviste; • focus-group. Sono stati condotti, separatamente, gruppi di discussione sia con operatori dei servizi (pubblici e privato-sociale) che con utenti o associazioni di rappresentanza degli utenti stessi. Gli incontri sono stati ripetuti, dove possibile, a distanza di un anno. In questo modo è stato possibile analizzare come venga percepito il disagio e la risposta a questo da soggetti che vivono del disagio un’esperienza quotidiana. OBIETTIVI DELLA RICERCA Nell’ambito del Progetto “Sistemi Integrati per il Rafforzamento del Terzo Settore” la Ricerca si è mossa rispetto agli obiettivi: A. Diagnosticare la realtà del territorio di riferimento, attraverso la conoscenza dei problemi relativi alla sostenibilità sociale e ambientale. B. Stimolare un ripensamento del ruolo stesso degli Enti Locali, dei Servizi Socio – Sanitari, delle realtà che danno corpo al Terzo Settore per far in modo che i soggetti, responsabili della gestione della cosa pubblica o di interventi di rilevanza pubblica e collettiva, siano impegnabili, prima ancora della conquista di possibili e diversi e necessari risultati concreti, nella definizione di un “progetto” di politica sociale che renda visibile la coincidenza tra trasformazioni sociali e divenire individuale. C. Aprire un orizzonte progettuale in grado di agire “produzione di territorio” come bene che produce la forma, la qualità e lo stile dell’insediamento umano. La ricerca ha inteso, in particolare: − valutare se i servizi pubblici e privati offerti agli utenti sono collegati tra loro (comunicano?), − identificare i soggetti e gli strumenti pubblici e privati presenti sul territorio, − indagare se gli utenti riescono a mettersi in relazione con i servizi erogati dal pubblico e dal privato e quali eventuali vie di comunicazione devono essere implementate, − verificare quali sono i bisogni reali degli utenti, − verificare se le risposte corrispondono ai bisogni reali degli utenti, − verificare la qualità dei servizi (risponde ai bisogni reali, sono efficaci, sono efficienti?), 1 I dati raccolti sono presentati in APPENDICE 1 6
  • 7. indagare sui punti di forza e di debolezza dei fornitori di servizi (nodi di crisi dei servizi), − verificare se esiste una connessione tra politiche del lavoro e politiche sociali, − verificare se esistono forme di organizzazione e orari di lavoro flessibili collegati con esigenze e tempi di formazione, di accompagnamento e sostegno, di inserimento sociale dei soggetti più deboli e di inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati. Il QUADRO CONCETTUALE DI RIFERIMENTO Realtà’ e idee di comunità’ Per l’individuazione del modello di analisi del malessere e del disagio, si è fatto riferimento alla letteratura sulle ricerche di comunità. Il concetto e gli studi di comunità, dopo il loro sviluppo a partire dal Romanticismo tedesco ( gli studi di Schleiermacher, di Hegel e dello stesso Marx fino a giungere agli studi più di stampo sociologico di Ferdinand Tonnies), gli studi americani dell’inizio del novecento sull’identità e i gruppi (The gang di Thrasher, Strett corner society di Whyte tradotto in italiano con il titolo di Little Italy) e le ricerche realizzate in Italia da Redfield (1955) “La piccola comunità. La società e la cultura contadina”, dalla Fondazione Adriano Olivetti e da Alessandro Pizzorno con la ricerca a Rescaldina sulle trasformazioni dovute allo sviluppo industriale (miracolo economico) dopo la ricostruzione a seguito del secondo conflitto mondiale (Comunità e razionalizzazione), sembrano subire una lunga stasi. Arnaldo Bagnasco (1999) ne parla come di un concetto che “ sin dall’inizio troppo inclusivo, organicistico già per le interpretazioni delle società tradizionali…ha perso in ogni caso capacità analitiche nei confronti di aspetti sia pure parziali della società di oggi”. Il termine comunità, anche a livello di linguaggio comune, si carica di diversi significati in relazione a contesti diversi. Si parla, ad esempio, di comunità politica, etnica, religiosa, scientifica, terapeutica, ecc. Il concetto finisce per soffrire di molta indeterminatezza anche quando è connesso al dato più propriamente territoriale, riferendosi o a comunità locali in senso generico, oppure a piccole comunità contrapposte a comunità urbane fino a riferirsi alla dimensione nazionale e internazionale. La posizione che sembra superare questo declino “naturale” dell’interesse sulla problematica della comunità fa riferimento ai significati principali che la modernità ha socializzato, finendo per porre al primo posto l’individuo. Così, come afferma Pietro Barcellona (L’individuo e la comunità), la modernità non ha soltanto inaugurato la ragione procedurale (cioè il fatto che è più facile mettersi d’accordo sulle procedure che sugli obiettivi) e la ragione funzionale (cioè che è più facile mettersi d’accordo sui mezzi che sugli scopi) ma ha inventato qualcosa di più potente: l’individuo come prius della società. 7
  • 8. Oggi, sembra quasi non esista più nessuno disposto a riconoscere che la propria identità è, in realtà, un prodotto sociale, il risultato di una lenta sedimentazione di pratiche sociali e di un processo, quello di socializzazione, che media a livello individuale esperienze collettive. Siamo di fronte a un mito dei più radicati e profondi della storia dell’umanità, ma anche tra i più pericolosi: il mito dell’autogenerazione. L’autogenerazione razionale rappresenta una circolarità perfetta in cui non c’è più trasformazione (storia) e alterità: essa anticipa di fatto l’autogenerazione biologica. Ma, laddove si esaltano gli individui, l’individuo tende a scomparire. La ricerca esclusiva della soggettività garantisce anche il suo declino: i rapporti umani appaiono come rapporti tra cose, scambiabili, omologabili, indifferenti. E’ la società che diviene sostanza del singolo bloccato dalla cultura dell’autogenerazione razionale. Così, come afferma Adorno (Minima moralia) “L’individuo e la società divengono una cosa sola, in quanto la società penetra a forza negli individui al di sotto della loro individuazione, e la impedisce…L’identità che appare non è conciliazione dell’universale e del particolare, ma è l’universale come assoluto, in cui il particolare scompare. I singoli sono resi intenzionalmente simili a ciechi comportamenti biologici, diventano simili ai personaggi dei romanzi e dei drammi di Beckett. Il teatro ‘assurdo’ è realistico”. Con questo la società ha annichilito non solo il soggetto ma anche la comunità. Di fatto, però, nelle origini del pensiero sociologico la questione individuo/comunità/società è posta diversamente. Emile Durkheim (L’individualisme et les intellectuels,1898) così si esprime: “Senza dubbio, se la dignità dell’individuo gli derivasse dai suoi caratteri individuali, dalle particolarità che lo distinguono dagli altri, si potrebbe temere che essa lo racchiuda in una specie di egoismo morale, il quale renderebbe impossibile ogni solidarietà. Ma in realtà l’individuo riceve la dignità da una fonte più alta, comune a tutti gli uomini,(la quale indica) un fine impersonale e anonimo, (che) si pone al di sopra di tutte le coscienze particolari – e può pertanto servire a unirle”. Così, nell’ottica di Ferdinand Tonnies (Comunità e società), la comunità è espressione di una volontà organica che nasce in modo spontaneo dagli individui e che genera la relazione sociale in modo altrettanto spontaneo e naturale. La società è, invece, espressione di una volontà arbitraria che nasce dall’astrazione del pensiero e dal ragionamento freddo sul rapporto tra i fini e i mezzi e che dà luogo a una socialità né spontanea né naturale ma oggetto, prevalentemente, di un calcolo razionale. Per Tonnies la comunità non è una entità globale che trascende gli individui che la compongono ma è 8
  • 9. qualcosa che nasce dagli individui stessi e che si prospetta essenzialmente come un sistema di loro relazioni, sia oggettivamente che soggettivamente intese. In secondo luogo essa è indicativa del mettere alla base della vita comunitaria un agire umano che è mosso non solo dal calcolo dell’utilità ma dall’intero complesso dei desideri , dei sentimenti e dell’insieme di quelle tendenze di ordine affettivo che già nel pensiero antico significavano un legame tra mente e corpo e si aprivano sulla dimensione della partecipazione, dell’empatia, della solidarietà. La comunità è “vita reale e organica” mentre la società è “formazione ideale e meccanica”. Nella comunità l’individuo si trova dalla nascita e si lega ai suoi “nel bene e nel male”, senza vincoli contrattuali ma attraverso un modo di sentire comune, centrato sul rispetto, la benevolenza, la solidarietà che trasferisce un sentimento di appartenenza, di unità. Anche Max Weber (Economia e società) parla di comunità quando l’orientamento all’azione poggia su una comune appartenenza, soggettivamente sentita (affettiva o tradizionale), degli individui che a essa partecipano, mentre nella società la disposizione all’agire sociale poggia su una identità di interessi, oppure su un legame di interessi motivato razionalmente rispetto al valore e allo scopo. E’, poi, Park (Human communities. The city and Human Ecology, 1952), della Scuola di Chicago, che pone al centro del significato e dell’identità della comunità tre concetti: il radicamento sul territorio, la presenza di una organizzazione sociale, l’interdipendenza tra i membri, elaborando la nozione di comunità locale. In quest’ottica, la comunità è considerata, più che una forma associativa particolare rivolta a uno scopo, la condizione “basica” della vita in comune e quindi, implicitamente legata a un luogo, a un territorio. La dimensione localistico – territoriale costituisce il dato essenziale che distingue il sistema sociale che viene definito comunità da altri tipi di sistemi sociali. Questo non significa che un sistema sociale organizzato abbisogni necessariamente di una sua specifica collocazione territoriale, quanto piuttosto che un sistema sociale scollegato da un territorio preciso difficilmente potrà assumere le caratteristiche di una comunità. Sottolineando la dimensione territoriale non ci si vuole riferire unicamente agli aspetti più tradizionali quali una cultura comune, un linguaggio (il particolare dialetto), una cucina, quanto all’insieme di condotte, di luoghi, di modi di vita e di lavoro, di scambi che, nell’agire quotidiano come nella più vasta organizzazione sociale, finiscono per improntare la vita di un gruppo particolare di persone. La relazione interpersonale è, poi, intrinseca al concetto stesso di comunità considerata non solo come fatto localistico e organizzativo ma come convivenza che richiama costantemente al senso del rapporto inter – umano in sé, al di là delle sue valenze funzionali. E’ proprio la solidità del tessuto relazionale che permette alla comunità di mantenere un certo grado di coesione e di normalità anche a fronte di momenti di crisi (trasformazione) politico – istituzionale. E’ nella dimensione della partecipazione che si allarga la dinamica relazionale all’intera comunità, conducendo gli individui alla discussione, al dialogo come strumento che vale a costruire mondi possibili e condivisi, a 9
  • 10. scelte comuni e responsabili. E’ una partecipazione che diviene attiva cioè capace di auto dirigere la propria vita e, insieme con gli altri, la vita comune. Il concetto di disempowered indica, al contrario, la condizione di individui, di gruppi che non hanno questo potere e, come tali, “non hanno più voce”. Una non- partecipazione, quindi, che deriva, principalmente, dal chiudersi delle persone nella propria sfera privata e dal disinteresse per le questioni che toccano la vita pubblica e l’organizzazione della convivenza sociale. E’ proprio la rottura del legame sociale ad opera di una cultura che ha posto al centro dell’universo l’individuo singolo (autogenerazione) che rappresenta il problema con cui la comunità della partecipazione deve misurarsi, tenendo conto non solo della necessità di armonizzare pluralismo dei valori e giustizia sociale, quanto quello di fare incontrare l’uno con l’altro, l’individuo e tutti i soggetti che costituiscono la collettività insediata, la comunità. 10
  • 11. ARTICOLAZIONE DELLA RICERCA Al fine di effettuare una accurata diagnosi della realtà del territorio di riferimento, evidenziare la conoscenza dei problemi relativi alla sostenibilità sociale e ambientale, stimolare un ripensamento del ruolo stesso degli Enti Locali, dei Servizi Socio – Sanitari e delle realtà che danno corpo al Terzo Settore, al fine di definire un “progetto integrato” di politica sociale che renda visibile la coincidenza tra trasformazioni sociali, bisogni e divenire individuale, si è ritenuto opportuno riflettere sulla situazione di servizi (pubblici e privati), aree problematiche, ruolo degli operatori, limiti e possibilità delle politiche socio-sanitarie e assistenziali in atto, con responsabili di Enti Pubblici, di Servizi, di Organizzazioni di servizi, di Associazioni di volontariato. Sulla base dei dati e delle valutazioni emerse è stato possibile attivare una serie di focus group, coinvolgendo utenti, associazioni di utenti ed operatori, al fine di approfondire le problematiche emerse e documentare direttamente il vissuto di tali problemi e ricevere indicazioni preziose per la loro soluzione, indicazioni da non poter certamente disattendere essendo il portato delle esperienze dirette di quanti dei servizi sono i protagonisti. INTERVISTE A TESTIMONI PRIVILIEGIATI Sono stati intervistati:  Assessore ai Servizi Sociali Comune di Vicenza  Dirigente ULSS 6  Segretario provinciale CGIL  Segretario provinciale CISL  Segretario provinciale UIL  Direttore Caritas Diocesana Vicentina  Presidente Coordinamento Provinciale Organizzazioni Volontariato  Presidente Centro servizi per il Volontariato (C.S.V.)  Consigliere cda del Consorzio Prisma  Presidente Prisma  Consigliere cda Prisma "territorio ULSS 6"  Consigliere regionale Federsolidarietà, Presidente Comunità "Nuova Vita"- Vicenza  Presidente Ass. L’isola che non c’è Dalle interviste sono emerse le seguenti aree di disagio:  immigrazione,  disagio psichico,  infanzia-adolescenza,  anziani, 11
  • 12.  handicap,  dipendenze (non solo da droga, ma anche da videogiochi). Sono state raccolte, inoltre, una serie di indicazioni sulla realtà locale tali da poter orientare le politiche e le attività dei servizi e la realtà del Terzo Settore. Immigrazione Riguardo all’immigrazione, dalle interviste sono emersi problemi che attengono, soprattutto, all’ambito familiare. Il problema che è emerso non è tanto quello del lavoro, che nel senso comune viene percepito come questione problematica. In un’intervista, ad esempio, si faceva notare che per il reinserimento lavorativo, si è in grado di introdurre anche un immigrato che è stato in carcere per sette anni, ma la difficoltà maggiore è quella dell’integrazione culturale. Questo si riflette in ulteriori difficoltà come, ad esempio, quella di poter reperire un alloggio, che riportano di nuovo l’immigrato in una situazione di disagio. Il dato che, però, emerge maggiormente rispetto a carcere o criminalità è proprio la normalità del quotidiano delle famiglie degli immigrati, in cui si inaspriscono i rapporti tra i partner aggravati da problemi come l’alcoolismo, che nella fascia dell’immigrazione è in aumento. Disagio psichico Per quanto riguarda il disagio psichico, anche dalle interviste si è rilevato l’aumento di depressioni, stati ansiosi, suicidi e tentati suicidi, quindi gli indici rilevati vengono confermati anche dai dati. A questo è legato il problema della solitudine, che ci riporta alle reti sociali e quindi alla possibilità di produzione di territorio che il terzo settore dovrebbe svolgere (emergono significative differenze tra la città di Vicenza e le realtà provinciali). La proposta che emerge dalle interviste è quella della creazione dei Centri Ascolto, cioè situazioni di filtro a cui la persona possa rivolgersi, perché non sempre si tratta di disagio conclamato, quindi di disagio che può avere accesso a servizi o che può essere codificato e avere dei percorsi di trattamento. A volte si tratta di forme di disagio non riconoscibili e riconducibili all’interno dei servizi. Il Centro di Ascolto sarebbe in grado di svolgere proprio questa funzione, cioè di accogliere quel disagio che poi non avrà un percorso istituzionalizzato, servendo invece come supporto nel territorio e osservatorio privilegiato. Infanzia e Adolescenza Per l’infanzia e l’adolescenza i problemi riguardano la comunicazione con le altre generazioni e l’aumento dell’abuso sui minori all’interno delle mura domestiche. Questo è un problema da affrontare: infatti, si stanno 12
  • 13. aprendo dei servizi anche nel comune di Vicenza per l’affidamento di questi minori sia per un tempo determinato che per un affidamento diurno. Anche se esiste una legge per i minori a rischio (la 285), questi superato il diciottesimo anno di età vengono lasciati di nuovo soli a se stessi. Non c’è, infatti, un accompagnamento dopo la maggiore età. Da qui, la necessità di organizzare un osservatorio sulla condizione giovanile e la necessità di attuare dei percorsi di promozione, per passare da percorsi di prevenzione e di cura a percorsi di promozione del benessere nel territorio, rivolti all’infanzia, all’adolescenza e a tutta la fascia dei giovani. Anziani In riferimento alla fascia degli anziani, si è rilevata l’importanza dei processi di socializzazione e integrazione soprattutto per quanto riguarda la città di Vicenza, dove sono attivi i gruppi appartamento, in cui diversi anziani si ritrovano in modo da avere più possibilità relazionali. Sono queste esperienze che dovrebbero essere più sviluppate su tutto il territorio. Quindi, non soltanto un’assistenza infermieristica o domiciliare, con un anziano che rimane solo nel suo appartamento, ma anche la possibilità di costruire una rete sociale esterna che gli permetta una certa indipendenza. Handicap Il dato relativo all’handicap emerso dalle interviste è simile a quello che è stato documentato con i dati raccolti. La realtà della famiglia appare aggravata quasi esclusivamente dai problemi del disabile e, seriamente, compromessa nella sua gestione generale. Vi è, poi, la possibilità che con l’aumento dell’età media di sopravvivenza dei soggetti portatori di handicap questi ultimi possano sopravvivere ai propri familiari rischiando il completo isolamento. Anche in questo caso la soluzione che emerge, riguarda la possibilità di creare una rete sociale per il disabile, in modo che possa emanciparsi, diventare una persona indipendente e muoversi nel territorio. Dipendenze Per quel che riguarda le dipendenze, in tutte le interviste non si parla solo di tossicodipendenza. Vengono evidenziati, oltre all’eroina, l’abuso di alcool, di videogiochi ed anche l’abuso di quelle che vengono definite nuove droghe. Queste, per lo più, nelle interviste vengono correlate con la diffusione del benessere, col fatto che molti ragazzi lavorano, vivono in famiglia e trattengono quasi totalmente lo stipendio. Nella tossicodipendenza classica è stato rilevato, purtroppo, e viene rilevato sempre più spesso, l’emergere della doppia diagnosi: sia una diagnosi di tossicodipendenza che di disagio psichico, se non addirittura psichiatrico. Ciò porta ad una maggiore difficoltà per i servizi, che devono strutturarsi in maniera tale da poter 13
  • 14. dare una risposta, non solo con un percorso classico di disintossicazione e di reinserimento, ma devono poter rispondere anche al disagio psichico. Rispetto alla tossicodipendenza è stata rilevata l’importanza di lavorare nei luoghi di insorgenza, quindi sul luogo di lavoro e nel territorio. Per quanto riguarda la situazione all’interno della realtà lavorativa, è emerso il progetto del “delegato sociale” da inserire all’interno delle aziende. Per il territorio, in alcune interviste è affiorata la necessità di lavorare anche con gli operatori di strada per poter raggiungere più capillarmente la realtà giovanile presente nelle piazze e nelle strade. È evidente che tutto ciò comporta anche dei problemi economici per le famiglie, che aggravate dalla presenza di tossicodipendenti, iniziano a entrare nella fascia di rischio di disagio. Soggetti svantaggiati Questo è quello che riguarda il reinserimento dei soggetti svantaggiati che, come si notava sopra, non è da riferire esclusivamente al solo reinserimento lavorativo. La vera problematica è la costruzione di tutto ciò che ruota attorno a questo soggetto, quindi la costruzione di una rete sociale e di un sistema di supporto che possa impedire il rientrare nuovamente in situazioni di rischio. La risposta che emerge degli interventi è quella della qualità della vita sociale, come attività per estendere relazioni e sviluppare autonomia dei soggetti, sia per permettere loro dei percorsi di emancipazione, sia per gravare meno sulla famiglia, che, venendo a mancare, avrebbe come unica soluzione l’istituzione. I Servizi Per lo sviluppo dei servizi, in diverse interviste, si chiede di spostare l’attenzione dal singolo alla famiglia. Su questa, negli ultimi anni, sono stati scritti diversi libri e si continuano a fare ricerche: emergono problemi legati alla mancanza di una rete sociale attorno ad essa, problemi di disgregazione e decontestualizzazione. In questo caso l’area del self-help appare molto importante, perché capace di estendere le relazioni, quindi di costituire attorno alla famiglia una rete sociale, un sistema di supporto, non lasciandola sola ad affrontare il disagio. Terzo Settore Per quanto riguarda la funzione che il terzo settore dovrebbe andare a svolgere in futuro, tutte le interviste sembravano andare verso un indirizzo più o meno unanime. La prima proposta avanzata è quella di potenziare i compiti di indirizzo, di individuazione di strategie di intervento, di monitoraggio e di valutazione, soprattutto per l’aspetto pubblico. Il privato sociale, in questo caso, non dovrebbe mettersi in concorrenza con il pubblico, ma dovrebbe considerarlo come strumento di paragone. 14
  • 15. A questo punto, uno dei problemi a cui potrebbe andare incontro il Terzo Settore, è quello della eccessiva aziendalizzazione che comporta una maggiore attenzione verso l’aspetto manageriale piuttosto che verso la qualità del servizio. Il rischio, quindi, che corre però il Terzo Settore è quello di rivivere tutti i problemi che ha vissuto il settore pubblico e cioè l’utilizzo di procedure esclusivamente burocratizzate, un’attenzione esclusiva ai compiti da svolgere e non agli obiettivi che si vogliono raggiungere. Ciò comporta una maggiore attenzione nel rapporto pubblico-privato affinché questo non accada e il privato possa avere delle forme di operatività più flessibili e immediate. Quello che comunque tutti i si augurano è la possibilità di integrazione tra Terzo Settore e settore pubblico. 15
  • 16. FOCUS-GROUP Come detto, per cogliere direttamente vissuti, riflessioni, analisi e proposte degli utenti, delle loro associazioni e degli operatori dei servizi sono stati promossi una serie di focus group. I focus group, lungi dall’essere delle interviste di gruppo, si presentano come veri gruppi di discussione su un tema di interesse comune. Questo strumento ha permesso di incontrare i diversi attori sociali coinvolti nelle situazioni di disagio della città di Vicenza. Con attori sociali si è voluto intendere l’area degli operatori e degli utenti dei diversi servizi. Ciò ha permesso la raccolta di materiale inerente la globalità di ogni area problematica e di disagio attraverso l’esperienza degli operatori, mentre il contributo dato da associazioni di utenti e di genitori di utenti ha permesso di raccogliere materiali su casi più specifici. Per giungere a questo obiettivo si è chiesto ai partner del progetto e ai testimoni privilegiati di indicare, per ogni area, operatori, utenti e/o associazioni di utenti (vedasi Schema 1,2). Dopo una prima serie di focus group ( I Fase ), a distanza di un anno si è realizzata una seconda serie di incontri (II Fase) per poter effettuare una verifica e un controllo sulla qualità e importanza dei materiali (analisi, valutazioni, indicazioni e proposte…) emersi. Schema 1 OPERATORI I FASE II FASE ANZIANI ANZIANI DIPENDENZE DIPENDENZE DISABILI – CENTRI DIURNI DISABILI – CENTRI DIURNI DISABILI – CENTRI RESIDENZIALI DISABILI – CENTRI RESIDENZIALI IMMIGRAZIONE IMMIGRAZIONE MINORI Schema 2 UTENTI I FASE II FASE ANZIANI ANZIANI DIPENDENZE DIPENDENZE DISABILI DISABILI IMMIGRAZIONE IMMIGRAZIONE DISABILI PSICHICI DISABILI PSICHICI IL MODELLO DI ANALISI Il ripetere gli incontri a distanza di un anno, permette di cogliere meglio quali elementi siano dovuti a situazioni contingenti e quali a situazioni strutturali. Al fine di evidenziare, infatti, i bisogni socialmente legittimi e quelli dei singoli, va considerato il setting in cui il materiale è stato raccolto. I partecipanti, infatti, sono stati invitati agli incontri, in una qualche misura hanno ricevuto informazioni circa quale sarebbe stato il loro compito: 16
  • 17. Cosa è successo da quando lo hanno saputo a quando si sono seduti al tavolo? Quali possono essere stati i loro pensieri nel tragitto di strada che li ha portati all’incontro? Hanno preparato una mappa mentale di quello che avrebbero dovuto dire? E poi, quando si sono seduti al tavolo la presenza degli altri ha potuto cambiare la mappa che si erano costruiti? Come la situazione ha influito sulla narrazione? 1. Analisi Sicuramente non è possibile rispondere a queste domande. Troppe sono le variabili che in un arco di tempo definito possono influenzare le scelte che l'individuo metterà in atto. Ecco, allora, che il ripetere l'incontro dopo un anno può permettere di rilevare gli elementi strutturali del sistema attraverso il confronto tra le due narrazioni. Nell'analisi, quindi si è operato un confronto tra la prima Fase e la seconda Fase (Schema 3). Schema 3 ANZIANI OPERATORI UTENTI I FASE Confronto II FASE I FASE Confronto II FASE Elementi Elementi strutturali strutturali Elementi Elementi contingenti contingenti 2. Analisi Individuati gli elementi strutturali all'interno della due narrazioni è stato possibile compiere un confronto tra il gruppo “Operatori” e il gruppo “Utenti/Associazioni di utenti e/o rappresentanza”. Schema 4 ANZIANI OPERATORI UTENTI ELEMENTI STRUTTURALI Confronto ELEMENTI STRUTTURALI Valore socialmente riconosciuto Questa analisi è ricca di spunti proprio per la peculiarità dello strumento focus-group: i partecipanti assumono una posizione di ricercatore, sono portati ad osservare sé stessi, a dare una spiegazione dei propri 17
  • 18. comportamenti. Spiegazione che diviene valutazione, intesa come attribuzione di valore, valore socialmente riconosciuto: è importante riuscire a decodificare come l’esperienza del disagio e soprattutto, della risposta a questo, venga percepito da chi opera all’interno del servizio e da chi il servizio lo riceve. La distanza tra queste due vedute è data da una diversa prospettiva percettiva, questa differenza porta l’agente ad attribuire importanza a fattori situazionali mentre l’osservatore sarà portato a dare importanza al carattere degli attori. Attraverso l’analisi dei focus-group con gli operatori (agenti) e le associazioni di utenti (spettatori) è possibile rintracciare la costruzione sociale del valore che l’intervento stesso produce. Inoltre emerge anche il terzo livello, il dietro le quinte, in questo caso inteso come livello politico di programmazione e pianificazione degli interventi. Infatti, molto spesso, sia gli operatori che gli utenti si percepiscono come estranei a questo livello e la percezione condivisa che ne ricavano va a influire sulla costruzione del significato di diritto di cittadinanza, momento fondante di un modello di welfare di comunità. 3. Analisi L'ultimo livello di analisi è rappresentato dal confronto dei Valori Socialmente Riconosciuti tra le diverse aree problematiche per ricostruire il modello di percezione dei servizi e dei bisogni a cui questi servizi devono rispondere. Schema 5 AREA 1 Valore 1 valore a AREA 2 Valore 2 AREA 3 Valore 3 valore b AREA 4 Valore 4 AREA....i Valore....i valore....i Modello di inclusione Al fine di poter essere incluse in tutti i livelli di analisi, le aree dovranno, sia per il gruppo utenti che per il gruppo operatori, essere presenti in entrambe le fasi. Anche dagli schemi 1 e 2, risulta che corrispondono a questi requisiti le aree: Anziani, Dipendenze, Disabili, Immigrati 2. L'Area Disagio Psichico, essendo presente solo il gruppo utenti, è presente nella sezione 1.Analisi, quindi sono stati rilevati gli elementi strutturali e gli elementi contingenti. Per quanto riguarda l'Area Minori, si e rilevata un'analisi del contenuto. Da sottolineare, però, come queste due ultime aree siano risultate trasversali alle prime quattro e vengano richiamate 2 Per l'area immigrati si è ritenuto opportuno la stesura di un capitolo a parte. Infatti all’interno di questa tipologia rientrano tutti gli aspetti di disagio. La differenza è costituita dal diverso status giuridico di cittadinanza degli immigrati. 18
  • 19. all'interno di diversi focus-group. In questo modo sono risultate utili anche per l'integrazione dell'analisi complessiva. AREE DI INDAGINE E RETI SOCIALI La ricerca si è posta come tema la Sostenibilità Sociale e Ambientale, questo partendo dal presupposto che la qualità del servizio non può essere raggiunta se non considerando la sua ricaduta nell’ambiente, che concorre a definire. Per questo motivo l'attenzione viene posta sul concetto di rete, intesa come luogo in cui il bisogno si manifesta e come luogo in cui questo bisogno può tramutarsi in richiesta e trovare una risposta o essere relegato ad un sfera privata/familiare di disagio. È infatti all'interno della Rete sociale che possono svilupparsi relazioni che permettono al soggetto: di mantenere la propria identità, di creare un sostegno emotivo, di favorire la soddisfazione di bisogni e facilitare l'accesso a servizi, di sviluppare informazioni e modi di vedere diversi, di favorire nuovi contatti sociali, di aumentare la sensibilità e la capacità di valorizzare le risorse ampliando la visione e la consapevolezza del proprio mondo relazionale, di creare sinergie tra le risorse, rinforzando e sostenendo i legami esistenti o producendone di nuovi, alimentando un contesto di reciproca fiducia. In tale modello l'anamnesi individuale, familiare e sociale è in grado di fornire elementi predisponenti ma è l'analisi della Rete Sociale che indica quali siano gli elementi favorenti la percezione individuale di stress e la risposta a questa che potranno scatenare forme di disagio. In questo ambito, infatti, con il termine di disagio non si indica solamente la condizione psico-fisica dell'individuo ma anche la situazione di isolamento a cui questa può portare l'individuo stesso e la sua rete parentale. Per certe forme di disagio, poi, l'intervento non può proporsi come obbiettivo il ritorno ad un stato definito normale. Si tratta di forme di disagio sociale vero e proprio che, in alcuni casi, possono anche portare una famiglia verso l'area della povertà. Sono stati presi in considerazione tre tipologie di rete: 1. Informali, caratterizzate da tre livelli, 2. quasi formali, caratterizzate da un livello, 3. formali, caratterizzate da due livelli. 19
  • 20. Tipologia Livello 1 Livello 2 Livello 3 Informali Parentali Familiari Madre Padre Figli Altri parenti Prossimali Vicinato Amici Quasi formali Associazionismo Cooperazione Volontariato Formali Servizi Operatori Medici di Base Ospedale Infermieri Istituzioni Comune Provincia Regione Stato USL Queste reti sono state analizzate per ogni focus-group, considerando che: 1. Le Reti Informali sono caratterizzate da contenuti di affettività e/o affinità rispetto a un soggetto e svolgono una funzione protettiva, di sostegno e di sviluppo dell'identità. 2. Le reti quasi formali comprendono gruppi che si sono sviluppati per far fronte a determinati bisogni delle persone. 3. Le reti formali comprendono rapporti di tipo asimmetrico e il contenuto è di tipo professionale. Si è voluta ricercare la presenza di Reti di Reti, caratterizzate dalla dimensione sociale, comunitaria sia di care (cura) che di development (sviluppo): - care, centrata sul diffuso coinvolgimento e responsabilizzazione della comunità locale rispetto ai problemi umani emergenti al suo interno; - development, che vede la comunità in grado di autosvilupparsi e acquistare una dimensione politico-sociale rivolta al cambiamento sulla base dei bisogni dei cittadini. Elementi che concorrono essenzialmente a realizzare l'obiettivo di favorire la comunità nel riconoscere, utilizzare, valorizzare le proprie risorse in sintesi a costruire territorio. 20
  • 21. RETI INFORMALI LA FAMIGLIA Si assiste ad un superamento del modello familistico messo in crisi dai profondi mutamenti che il modello familiare ha avuto a partire dal periodo 1965-19803. 1900 1965 2000 Controllo sociale della riproduzione Controllo volontario di coppia Autogestione del processo riproduttivo Matrimonio istituzionale (familista, Matrimonio fondato su scelta Crisi della forma matrimonio. asimmetrico) libera Famiglie estese Famiglie nucleari Famiglie subalterne a biografia individuale Accettazione naturale dei figli Investimento su pochi figli Figli in competizione con ruoli individuali (culto dei figli) In Italia, tra le reti di sostegno, mutuo/auto aiuto, il legame di parentela è il più presente. Ci si trova di fronte ad un sistema di integrazione e mobilità sociale legati all’istituzione familiare che ha due conseguenze principali: se da un lato ciò in Italia porta ad una maggiore tenuta della famiglia (incidenza ancora ridotta di separazioni e divorzi), dall’altro ha condotto al prolungamento della permanenza dei giovani nel nucleo familiare di origine con un tasso di nuzialità e natalità bassi. Si è, poi, avuta una sostituzione della priorità individuale alla priorità familistica, non si tratterebbe più di familismo amorale ma, piuttosto di individualismo amorale: lo spostamento da un familismo di squadra a un familismo individuale amorale. Inoltre, questo modello, permette una scarsa mobilità sociale, per cui la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi appare avere un carattere ereditario, da una generazione all’altra. Questo viene ad inserirsi in un momento in cui le fasce più colpite dalla disoccupazione sono quella sotto i 35 anni e quella sopra i 48, con una netta superiorità per le donne. La fascia sino ai 20 anni è composta, per lo più, da studenti (non bisogna dimenticare però lo scarso livello di istruzione ancora presente in Italia rispetto ad altri Paesi UE). Nella fascia sopra i 20 anni si trova, invece, una situazione lavorativa definita “bricolage”, fai da te, in cui i giovani alternano momenti lavorativi a momenti di formazione personale. Tuttavia proprio questo modello rischia di porre una netta distinzione tra un gruppo favorito (inserito nel mondo del lavoro e che gode di un livello di vita confortevole) e un gruppo sfavorito (di non occupati che subiscono l’insicurezza finanziaria, l’isolamento, la non partecipazione), mettendo in crisi la coesione che cementa la società, favorendo lo sviluppo, al suo interno, di persone, gruppi, esclusi dalla partecipazione agli scambi e alle pratiche dell’integrazione sociale e privi di diritti connessi. Per di più questa distinzione appare ereditaria con un carattere di stigma sociale. RETI QUASI FORMALI La ricerca si inserisce, come detto, all'interno del progetto SIRTS (Sistemi Integrati per lo Sviluppo del Terzo Settore), in sintonia con le nuove norme legislative che hanno visto un passaggio cruciale in questi ultimi anni. 3 Dispense Corso di Perfezionamento in "Interventi Familiari e Valutazione", Prof. Bimbi 21
  • 22. Infatti l'introduzione del Welfare-mix, del Welfare di responsabilità e di comunità ha ridefinito i compiti tradizionali di care prima totalmente accentrati a livello nazionale ed ora distribuiti tra ambiti territoriali, distretti socio-sanitari, Province, AUSL, enti terzi e terzo settore. Proprio sulle possibilità di integrazione e sviluppo di questo ultimo si è basato il lavoro grazie alla partnership tra enti pubblici e no-profit. Questo al fine di promuovere una capacità di decodifica delle richieste del territorio in tempo reale, al fine di rispondere adeguatamente alle mutevoli esigenze della società, che risulta essere, oggi, la richiesta maggiore verso il terzo settore. Terzo Settore e sviluppo di comunità Per questo motivo, in questo settore, solitamente, viene privilegiata un’organizzazione per progetti, in cui l’attenzione non viene posta sui compiti che ogni singolo deve svolgere ma sul raggiungimento degli obiettivi, attraverso un orientamento alle politiche. Per questo è necessario uno stretto collegamento con il territorio e una capacità di raccolta e decodifica delle necessità. Inoltre una delle finalità dei progetti di comunità è l’empowerment, inteso come distribuzione di competenze per il raggiungimento dell’equità sociale. A questo proposito torna utile la distinzione fra bisogno (che può non essere percepito, giudicato tale da esperti), necessità (percezione soggettiva dell'individuo), domanda (quando il cittadino interpella il servizio) e utilizzazione (quando l'utente lo usa effettivamente). Equità è creare le condizioni che permettano ad ogni utente potenziale di passare tutti e quattro i suddetti livelli, dal bisogno all'utilizzo. Inoltre una delle potenzialità del no-profit risiede nella possibilità di sanare la divisione servizio/utente, superando una visione di prevenzione e cura di concezione tradizionale per giungere ad un modello promozionale. Lo sviluppo del terzo settore, poi, trova una sua giustificazione proprio in un tentativo di passaggio da una visione di stato regolatore (orientato su variabili di natura gerarchica) ad una di stato funzionale (orientato su funzioni tecniche). In questo ambito diviene importante decidere cosa controllare. Infatti nel caso dello stato regolatore, il controllo, partendo dall’analisi costi-benefici, attua una revisione della modalità di realizzazione degli obiettivi, ossia, non vengono mai poste in dubbio le procedure. Passare ad una visione di stato funzionale comporta, invece, il passaggio all’analisi strutturale. Con analisi strutturale si intende, in questo ambito, l’abbandono di una filosofia legalistico – giuridica a favore di una cultura dell’orientamento al risultato. Lo sviluppo del terzo settore trova, poi, una giustificazione nel mutamento dei consumi. Esiste, anche, un ulteriore aspetto legato allo sviluppo del terzo settore, che si inserisce nell’ambito più generale del consumo e delle caratteristiche che questo sta assumendo e che evidenzia l’importanza che la capacità di creare relazioni riveste nello sviluppo del settore no-profit. Infatti la categoria del consumo di massa appare ormai superato in una società in cui nessun aspetto del tempo dell’individuo è estraneo al mercato e in cui i comportamenti di consumo sono intrisi di elementi relazionali. Non si tratta solamente della 22
  • 23. distinzione keynesiana tra bisogni assoluti e relativi, cioè derivanti dalle interazioni sociali, e nemmeno della categoria dei beni posizionali, che spiega il continuo aggiornamento di PC, telefoni cellulari, ma dell’introduzione di beni relazionali, ossia di beni prodotti da rapporti con altri soggetti. Perché questo avvenga, però, è necessario essere in presenza o di una realtà produttiva dinamica, in cui l’attenzione del soggetto possa spostarsi dal raggiungimento della soddisfazione dei bisogni materiali socialmente riconosciuti, verso la sfera delle relazioni, oppure, come ad esempio ha dimostrato l'Argentina e altri Paesi del Centro sud America, pur trovandosi in una situazione economicamente disastrosa, la presenza di un senso di comunità atto a favorire il raggiungimento di obiettivi comuni. Tuttavia, per quanto riguarda l'Italia, la densità di enti no profit appare legata alla situazione economica e produttiva. Confrontando il dato relativo alla presenza di enti no-profit con il tasso di occupazione generale 4, si trova una relativa conferma al dato secondo cui i servizi trovano un loro maggiore sviluppo là dove vi sia già presente una buona produzione manifatturiera. Dal grafico sottostante, risulta, anzi, che anche una variazione discendente debole nel tasso di occupazione, corrisponde ad una tendenza discendente amplificata nel tasso di soggetti coinvolti a vario titolo nel no-profit. 100 NORD CENTRO ITALIA MEZZOGIORNO NORD tasso no profit 10 ITALIA tasso occupazione CENTRO MEZZOGIORNO 1 Figura 1. Confronto tra tasso di occupazione e tasso no-profit (scala logaritmica) 4 Elaborazione dati ISTAT, 1999 23
  • 24. Le differenze con la situazione del Sud del Paese, però non si fermano alla densità della presenza ma anche alla tipologia. Infatti, la maggior presenza percentuale nel Sud di Cooperative Sociali e di strutture che utilizzano personale dipendente, fa ipotizzare la presenza di reti formali, in cui i rapporti assumono un carattere asimmetrico con un contenuto di tipo professionale. Nelle zone del Nord, invece, la maggior presenza di Associazioni non riconosciute e l’alto tasso di volontari, fanno presumere una maggiore attenzione verso la costituzione di reti informali, ossia di gruppi che si sviluppano per far fronte a determinati bisogni delle persone. All’interno di questa area, poi, per il no-profit, il Veneto rappresenta una zona particolare, perché si discosta dal dato nazionale ma anche dal dato relativo al Nord-est. Tra le caratteristiche peculiari degli enti no-profit, vi sono: un orientamento accentuatamente di tipo aconfessionale, un alto tasso d’iscrizione al registro regionale e quindi una maggiore propensione ad operare in collaborazione ed in integrazione con il pubblico da cui non sono però dipendenti economicamente. Per quanto riguarda, poi, l’aspetto specifico delle reti, risulta interessante, l’elevato impegno della risorsa umana, sostenuta da una base associativa più ampia di quella che si riscontra nel complesso del Paese. Anche per questi motivi la presente ricerca ha inteso superare un’analisi tradizionale del momento economico legato alla cooperazione sociale. Una definizione meramente economica che si soffermi esclusivamente sulla distribuzione degli utili rischia di non cogliere gli aspetti motivazionali, culturali, sociali che muovono il terzo settore; per altro, una definizione esclusivamente sociologica rischia di non cogliere gli elementi di novità organizzativa e imprenditoriale. In questo quadro il no-profit viene inteso come strumento per valorizzare la relazione tra soggetti, intesa come forma di capitale. Capitale che similmente agli altri tipi di capitale, è produttivo di valori materiali e simbolici. Il Capitale Sociale Il capitale sociale è costituito da relazioni sociali che hanno una certa persistenza nel tempo e che gli individui in parte possiedono ascrittivamente, in parte costruiscono attivamente nel corso della loro vita. Il capitale sociale non è riducibile all’insieme delle proprietà individuali possedute da un determinato agente: non è allocato né in beni strumentali, né nell’individuo, ma attiene alla struttura delle relazioni tra persone. Queste relazioni possono essere concepite come forme di capitale perché, similmente agli altri tipi di capitale, sono produttive di valori materiali e simbolici. Il capitale sociale, più precisamente, consta di relazioni fiduciarie atte a favorire tra i partecipanti la capacità di riconoscersi e intendersi, di scambiarsi informazioni, di aiutarsi reciprocamente e di cooperare a fini comuni. Questa rete di relazioni è il prodotto di strategie e di investimento sociale orientati alla costituzione e riproduzione di relazioni sociali utilizzabili nel tempo, cioè di relazioni durevoli atte a procurare profitti materiali 24
  • 25. e immateriali. Tali relazioni ampliano la capacità d'azione dell'attore individuale o collettivo e, se sufficientemente estese, anche la capacità di azione del sistema sociale. Ci troviamo di fronte a un capitale che è sociale perché, a differenza del capitale privato, ha la natura di bene pubblico, collettivo. L'introduzione del concetto di capitale sociale permette una elaborazione degli stessi indicatori di efficacia dell'agire della cooperazione sociale. Di fatto, la valutazione di efficacia eccede l'adeguatezza della risposta data all'utente attraverso un prodotto o l'erogazione di un servizio rispondente a un bisogno, orientandosi a considerare come il valore sociale dell'agire cooperativo abbia come obiettivo implicito quello di estendere relazioni dal soggetto referente al contesto sociale allargato. Come visto, la produzione di particolari relazioni quali quelle fiduciarie, atte a favorire le capacità di riconoscersi e di intendersi, di scambiare informazioni, di fornire aiuto reciproco e di cooperare a fini comuni, rende possibile la costituzione del capitale sociale ossia produce una valorizzazione delle risorse interne a un sistema come estensione - emergenza di nuove possibilità. Questo concetto ha come corrispondente quello di "produzione di nuova territorialità", territorialità intesa, negli approcci avanzati della geografia sociale, dell'urbanistica, delle scienze sociali, come estensione delle relazioni. Rispetto all'agire cooperativistico è possibile pensare a una articolazione del parametro "efficacia degli interventi" come capacità degli stessi di essere moltiplicatori di relazioni, dal soggetto alla realtà sociale. Non solo, quindi, il beneficio derivante direttamente dall'intervento verso la promozione della qualità della vita individuale (utenti) ma azione tesa a rivitalizzare - risignificare il tessuto sociale e la dimensione sociale dell'esperienza (ricaduta sociale dell'intervento). Dati assoluti Istituzioni censite dall’Istat in Veneto nel 1999: 21092, pari al 9,5% del totale nazionale, con un’incidenza di 46,7 istituzioni ogni 10000 abitanti. L’Italia ha un’incidenza di 38,4 mentre il Nord Italia di 44. Periodo di costituzione Nel complesso le istituzioni not-for-profit italiane sono di recente costituzione. È netta infatti la prevalenza di unità costituitesi durante gli ultimi due decenni (78,5%). In particolare, la quota maggiore di istituzioni (55,2%) è stata costituita dopo il 1990. il Veneto non si discosta da questa tendenza con un 77,7% di costituzioni nell’ultimo ventennio e con un 54% a partire dal 1990. La distribuzione delle istituzioni non profit secondo il periodo di costituzione mostra significative differenze a seconda della forma giuridica adottata. In particolare le associazioni riconosciute, le fondazioni e le istituzioni 25
  • 26. con altra forma giuridica (enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, università, istituti scolastici ed ospedalieri, società di mutuo soccorso) sono in buon numero di antica data. Di più recente costituzione risultano le cooperative sociali, nate nel 91,4% dei casi dopo il 1980 e, in particolare, per il 54% negli anni successivi all’emanazione della legge n. 381 del 1991, che le disciplina. I comitati e le associazioni non riconosciute rappresentano invece le componenti relativamente più giovani del settore not-for-profit italiano, costituitesi dopo il 1990 rispettivamente nel 62,7% e nel 59,8% dei casi. Tipologie Per quanto riguarda la tipologia di enti not-for-profit, per la maggior parte si tratta di associazioni non riconosciute, tipologia significativamente più presente in Veneto (68,4%) rispetto sia al dato nazionale (63,6%) che a quello del Nord-Italia (65,6%). associazione associazione non cooperativa fondazione comitato altra forma riconosciuta riconosciuta sociale Veneto 23,5 1,2 68,4 2,1 1,7 3,1 Italia 27,7 1,4 63,6 1,7 2,1 3,6 Nord 25,3 1,5 65,6 1,9 2 3,6 Settori di attivita’ sviluppo cultura tutela dei Relazioni economic sport e istruzione assistenz diritti e sindacali e altre sanità ambiente oe ricreazion e ricerca a sociale attività rappresentanz attività coesione e politica a interessi sociale Veneto 65,8 6,8 4,4 7,6 1,3 1,8 2,6 5,7 4,0 Italia 63,4 5,3 4,4 8,7 1,5 2,0 3,1 7,1 4,5 Nord 65,4 4,4 3,7 9,7 1,4 2,3 2,1 5,8 5,2 Il settore di attività privilegiato è “cultura sport e ricreazione”, per il Veneto è da sottolineare l’incidenza maggiore nel settore “istruzione e ricerca”, sia rispetto al dato nazionale che a quello del nord italia; inverso invece il settore “assistenza sociale”, soprattutto relativamente al dato del nord. Settori di attivita’ primaria e forma giuridica La forma giuridica principale risulta essere “associazione non riconosciuta” per “relazioni sindacali e rappresentanza di interessi” (75,8%); “tutela dei diritti e attività politica” (72,4%); “cultura, sport e ricreazione” (69,6%); “cooperazione e solidarietà internazionale (59%); “ambiente” (53%); “sviluppo economico e coesione sociale” (52,6%); “filantropia e promozione del volontariato” (51%). 26
  • 27. Le associazioni riconosciute risultano operare soprattutto nel settore “sanità” (55,2%) e ambiente (38,9%). Per quanto riguarda la forma di “cooperativa sociale”, i settori in cui risulta primaria sono: “sviluppo economico e coesione sociale” (16%), con un’incidenza soprattutto nella classe di attività “addestramento, avviamento professionale e inserimento lavorativo” (37,3%). Da notare che questa forma giuridica è presente anche nelle classi “servizi psichiatrici ospedalieri e non ospedalieri” (37,1%) e “servizi per lungodegenti” (19%) del settore “sanità” (3,7%). All’interno del progetto SIRTS l’attenzione è stata rivolta proprio verso la categoria della cooperazione sociale. La cooperazione sociale nella città di Vicenza. Nel Comune di Vicenza risultano operanti 21 cooperative5. Di queste 15 sono di tipo A (71%), due sono consorzi e le rimanenti sono cooperative di tipo B. Da sottolineare che le cooperative di tipo A mostrano una preferenza per interventi di tipo territoriale e domiciliare, sviluppando relazioni nella comunità di appartenenza e rispondendo alle esigenze ed ai bisogni di quei cittadini che altrimenti sarebbero rimasti condannati ad una forte istituzionalizzazione, ricovero, carcere, comunità. Le cooperative di tipo B, invece, hanno conquistato un ruolo come strumento privilegiato e specialistico per l'inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, come soggetto in grado di svolgere una formazione professionale sul campo, a lavorare per una piena integrazione sociale delle persone in difficoltà e ad avviarle anche all'inserimento del lavoro esterno alla cooperativa. Tabella 1 Tipo Ragione sociale Tipo fruitori Tipo servizio coop A C.M.A. SERVIZI anziani case di riposo o r.s.a.-ass. domiciliare A IL MOSAICO giovani ass. domiciliarec.e.o.d. A LA LINEA DELL'ARCO giovani ass. domiciliarecentri form. prof.le A A.GA.PE handicappati ass. domiciliareass. scolastica A CITTA' SOLIDALE handicappati ass. domiciliareass. scolastica A LA FRAGLIA handicappati c.e.o.d. A F.A.I. BERICA handicappati-anziani-minori ass. domiciliare-centri di accoglienza-asili nido A IL NUOVO PONTE handicappati-malati mentali c.e.o.d. A IL REGNO INCANTATO minori asili nido A LA CASETTA minori ass. domiciliare A IL POSTO minori ass. domiciliareass. domiciliare A PROPOSTA minori ass. domiciliareass. domiciliare A TANGRAM minori ass. domiciliareass. scolastica A VILLAGGIO S.O.S. VICENZA minori ass. domiciliareass. scolastica A NUOVA VITA tossico ed ex com. terapeutica B AURORA B IL GABBIANO B INSIEME 5 Registro Regionale delle Cooperative Sciali, 2003 27
  • 28. B ORIZZONTI C CONSORZIO PRISMA C CONSORZIO SOL.CO RETI FORMALI I SERVIZI SOCIO-SANITARI A fronte di una continua crescita delle domande rivolte verso l’area dei servizi sociosanitari, domanda che via via si diversifica con richieste sempre più specialistiche, esiste un’esigenza di cambiamento all’interno dei servizi stessi. È oramai accettato che “tutto l’agire sociale si sviluppa in un contesto di complessità crescente che coinvolge sempre più attori sociali, ciascuno dei quali con ruoli molteplici e diversi, ciascuno dei quali portatore di interessi e logiche e linguaggi, diversi e non di rado contraddittori; la decisione pubblica non si sottrae a questa logica, e anzi ne è appesantita dalla quantità di regole formali (leggi, regolamenti, procedure) che non coinvolge, generalmente, altri settori” . Tale complessità deve essere inserita all’interno del (6) processo di progettazione del servizio e mantenuta come elemento metodologico nella sua gestione e valutazione. Bisogna, infatti, considerare che la nozione di servizio si basa su due requisiti costitutivi (7): I servizi sono relazioni che producono relazioni: essi producono ciò che sono, la stessa materia sociale di cui sono fatti; l'unità di misura che qualifica lo statuto relazionale del processo/prodotto "servizio" è la partnership, la compartecipazione degli attori coinvolti, prestatori e clienti anzitutto, alla produzione dell’eventuale valore aggiunto che vi si crea. Tutto questo ha in sé un grande significato: la qualità del prodotto (servizio erogato) e la qualità dei processi produttivi (organizzazione del processo) debbono essere compatibili con le aspettative del mercato (la domanda), ossia, con l’ambiente esterno (territorio, popolazione), inteso come variabile interna al ciclo produttivo e come ulteriore elemento di definizione di qualità. In questo senso il servizio non può essere inteso come un apparato che eroga prestazioni e la sua valutazione non può essere compiuta esclusivamente in termini di cose fatte. Partendo da una definizione etimologica (8) si trova che “efficace” è ciò che raggiunge il fine in precedenza determinato o produce l’effetto che si desidera ed “efficiente” è la rispondenza o adeguatezza d’uno strumento o di un’organizzazione alla propria funzione. Riportando queste definizione nell’analisi dei servizi, però, risulta più congeniale la distinzione, ancora oggi più accettata, proposta da Holland (9): “Per efficacia di un intervento si intende una misura del risultato tecnico in termini medici, psicologici o sociali e che l'efficienza è un concetto economico che fa riferimento ai costi 6 C. Bezzi, Aspetti metodologici del coinvolgimento degli attori sociali nella cosiddetta valutazione partecipativa, Rassegna italiana di valutazione, 1999/00 7 O. de Leonardis, In un diverso welfare. Sogni e incubi, Feltrinelli, Milano, p. 121 8 Cortellazzo M., Zolli P.,1992, Dizionario etimologico della lingua italiana, Zanichelli 9 Holland W. W. (a cura), 1985, La valutazione dell'assistenza sanitaria. Teorie, metodi, applicazioni, La Nuova Italia Scientifica, Roma, p. 35 28
  • 29. dell'intervento in relazione all'efficacia”. È facile intuire come, per amore di semplicità, la funzionalità di un qualunque servizio possa essere intesa esclusivamente come calcolo costi/operazioni svolte, soprattutto in un campo in cui le operazioni svolte sono facilmente quantificabili in termini economici, di tempo impiegato e di personale occupato , mentre la (10) valutazione di efficacia e di qualità va a toccare un campo non delimitato da tabelle precostituite. Se, però, non si accetta tale complessità, allora il modello di servizio sociale rimarrà quello di ufficio-fabbrica ( 11), un mondo di incartamenti, di pratiche che documentano eventi amministrativi o gestionali, di calcoli, di corrispondenza, di comportamenti basati sulla routine; un luogo autarchico in cui i diversi soggetti sono separati tra loro e dal mondo reale da barriere comuncative. In un tale modello il territorio, la popolazione rimangono esclusi; vengono considerati solo, e separatamente, l’ente che eroga e l’utente/cittadino che chiede, ci si ferma ancora una volta all’interno di un modello in cui la relazione è asimmetrica: un rapporto tra chi detiene il potere (informazione, prestazione) e chi lo richiede e/o lo subisce. Il servizio sociale, all’opposto, deve essere inteso come produttore di territorialità, di relazioni e esperienze che sono alla base della costituzione del capitale sociale e della convivenza civile basata sui diritti di cittadinanza. In questa direzione il Terzo Settore potrebbe svolgere un ruolo fondamentale. Se, infatti, l'iniziativa solidale e comunitaria non può in alcun modo sostituire la garanzia di servizi e diritti fondamentali che solo lo Stato può offrire, può invece servire da stimolo per la costruzione, a fronte di nuovi bisogni e nuovi diritti, di un welfare di comunità. LE ISTITUZIONI 12 La Legge 8 novembre 2000, n. 328 e la modifica di alcuni articoli della Costituzione italiana, hanno introdotto un nuovo modello di intervento e di servizi sociali. Questo prevederebbe un sistema integrato di interventi e servizi sociali da realizzarsi mediante politiche e prestazioni coordinate nei diversi settori della vita sociale, interrelando servizi alla persona e al nucleo familiare con eventuali misure economiche e la definizione di percorsi attivi volti a ottimizzare l'efficacia delle risorse, impedire sovrapposizioni di competenze e settorializzazione delle risposte. La programmazione e l'organizzazione del sistema di interventi e servizi compete agli enti locali, alle regioni e allo Stato che, nell'ambito delle rispettive competenze, riconoscono e agevolano il ruolo degli Organismi Non Lucrativi di Utilità Sociale (ONLUS), degli organismi della cooperazione, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, delle fondazioni e degli enti di patronato, delle organizzazioni di volontariato, degli enti riconosciuti, delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha 10 Si veda a proposito la creazione dei Raggruppamenti Omogenei di Diagnosi (DRG – Diagnostic Related Groups); DL 15-4-94 11 DE MASI, Impiegati e operai, lasciamoli tutti a casa, Telèma, Autunno 1995. 12 Per la L.328 è stata utilizzata la sintesi a cura di A. Lacovara – Provveditorato agli Studi di Roma – Ufficio Studi e Programmazione 29
  • 30. stipulato patti, accordi o intese operanti nel settore nella programmazione, nella organizzazione e nella gestione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Nella presente ricerca il sistema ONLUS – Cooperazione – Volontariato - ..., viene inserito nelle reti quasi formali, ossia gruppi che si sono sviluppati per far fronte a determinati bisogni delle persone; mentre il sistema delle istituzioni all'interno delle reti formali. L’AMMINISTRAZIONE COMUNALE I comuni sono titolari delle funzioni amministrative concernenti gli interventi sociali svolti a livello locale e concorrono alla programmazione regionale. Ai comuni spetta, tra l'altro, l'esercizio delle seguenti attività: 1. programmazione, progettazione, realizzazione del sistema locale dei servizi sociali a rete, indicazione delle priorità e dei settori di innovazione attraverso la concertazione delle risorse umane e finanziarie locali; 2. erogazione dei servizi, delle prestazioni economiche, delle attività assistenziali; 3. autorizzazione, accreditamento e vigilanza dei servizi sociali e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale; 4. partecipazione al procedimento per l'individuazione degli ambiti territoriali; 5. definizione di parametri di valutazione, ai fini della determinazione dell'accesso prioritario alle prestazioni e ai servizi. I comuni provvedono altresì a: 1. promuovere, nell'ambito del sistema locale dei servizi sociali a rete, risorse della collettività locali tramite forme innovative di collaborazione per lo sviluppo di interventi di auto-aiuto e per favorire la reciprocità tra cittadini nell'ambito della vita comunitaria; 2. coordinare programmi e attività degli enti che operano nell'ambito di competenze, secondo le modalità fissate dalla regione; 3. adottare strumenti per la semplificazione amministrativa e per il controllo di gestione atti a valutare l'efficienza, l'efficacia e i risultati delle prestazioni; 4. effettuare forme di consultazione dei soggetti interessati, per valutare la qualità e l'efficacia dei servizi e formulare proposte ai fini della predisposizione dei programmi; 5. garantire ai cittadini i diritti di partecipazione al controllo di qualità dei servizi, secondo le modalità previste dagli statuti comunali. LA PROVINCIA Le province concorrono alla programmazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, per i compiti previsti dalla legge, secondo le modalità definite dalle regioni che disciplinano il ruolo delle province in merito: 1. alla raccolta delle conoscenze e dei dati sui bisogni e sulle risorse rese disponibili dai comini e da altri 30
  • 31. soggetti istituzionali presenti in ambito provinciale per concorrere all'attuazione del sistema informativo dei servizi sociali; 2. all'analisi dell'offerta assistenziale per promuovere approfondimenti mirati sui fenomeni sociali più rilevanti in ambito provinciale fornendo, su richiesta dei comuni e degli enti locali interessati, il supporto necessario per il coordinamento degli interventi territoriali; 3. alla promozione, d'intesa con i comuni, di iniziative di formazione, con particolare riguardo alla formazione professionale di base e all'aggiornamento; 4. alla partecipazione alla definizione e all'attuazione dei piani di zona. LA REGIONE Le regioni esercitano le funzioni di programmazione, coordinamento e indirizzo degli interventi sociali nonché di verifica della rispettiva attuazione a livello territoriale e disciplinano l'integrazione degli interventi stessi, con particolare riferimento all'attività sanitaria e socio-sanitaria a elevata integrazione. Le regioni programmano gli interventi sociali, promuovendo, nell'ambito delle rispettive competenze, modalità di collaborazione e azioni coordinate con gli enti locali, adottando strumenti e procedure di raccordo e di concertazione, anche permanenti, per dare luogo a forme di cooperazione, provvedono alla consultazione dei soggetti interessati. Alle regioni spetta in particolare l'esercizio delle seguenti funzioni: 1. determinazione degli ambiti territoriali, delle modalità e degli strumenti per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete; 2. definizione di politiche integrate in materia di interventi sociali, ambiente, sanità, istituzioni scolastiche, avviamento al lavoro e reinserimento nelle attività lavorative, servizi del tempo libero, trasporti e comunicazioni; 3. promozione e coordinamento delle azioni di assistenza tecnica per l'istituzione e la gestione degli interventi sociali da parte degli enti locali; 4. promozione della sperimentazione di modelli innovativi di servizi in grado di coordianre le risorse umane e finanziarie presenti a livello locale e di collegarsi altresì alle esperienze effettuate a livello europeo; 5. promozione di metodi e strumenti per il controllo di gestione atti a valutare l'efficacia e l'efficienza dei servizi e i risultati delle azioni previste; 6. definizione, sulla base dei requisiti minimi definiti dallo Stato, dei criteri per l'autorizzazione, l'accreditamento e la vigilanza delle strutture e dei servizi a gestione pubblica o di altri soggetti; 7. istituzione, secondo le modalità definite con legge regionale, sulla base di indicatori oggettivi di qualità, di registri dei soggetti autorizzati all'esercizio delle attività disciplinate dalla legge; 8. definizione dei requisiti di qualità per la gestione dei servizi e l'erogazione delle prestazioni; 31
  • 32. 9. definizione dei criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni; 10. predisposizione e finanziamento dei piani per la formazione e l'aggiornamento del personale addetto alle attività sociali; 11. determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe che i comuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati; 12. esercizio dei poteri sostitutivi nei confronti degli enti locali inadempienti. LO STATO Allo Stato spetta l'esercizio delle funzioni di cui al D. Lgvo 112/98, nonché dei poteri di indirizzo e coordinamento e di regolazione delle politiche sociali per i seguenti aspetti: 1. determinazione dei principi e degli obiettivi della politica sociale attraverso il Piano Nazionale degli Interventi e dei Servizi Sociali; 2. individuazione dei livelli essenziali e uniformi delle prestazioni, comprese le funzioni in materia assistenziale, svolte per minori e adulti dal Ministero della giustizia, all'interno del settore penale; 3. fissazione dei requisiti minimi strutturali e organizzativi per l'autorizzazione all'esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale; previsione di requisiti specifici per la comunità di tipo familiare con sede nelle abitazioni civili; 4. determinazione dei requisiti e dei profili professionali in materia di professioni sociali, nonché dei requisiti di accesso e di durata dei percorsi formativi; 5. esercizio dei poteri sostitutivi in caso di riscontrata inadempienza delle regioni; 6. ripartizione delle risorse del Fondo Nazionale per le Politiche Sociali. IL PIANO DI ZONA I comuni associati, negli ambiti territoriali, a tutela dei diritti della popolazione, d'intesa con le aziende unità sanitarie locali, provvedono, nell'ambito delle risorse disponibili, per gli interventi sociali e socio-sanitari, secondo le indicazioni del Piano Regionale, a definire il Piano di Zona, individua: 1. gli obiettivi strategici e le priorità di intervento nonché gli strumenti e i mezzi per la relativa realizzazione; 2. le modalità organizzative dei servizi, le risorse finanziarie, strutturali e professionali, i requisiti di qualità in relazione alle disposizioni regionali adottate; 3. le forme di rilevazione dei dati nell'ambito del sistema informativo; 4. le modalità per garantire l'integrazione tra servizi e prestazioni; 5. le modalità per realizzare il coordinamento con gli organi periferici delle amministrazioni statali, con particolare riferimento all'amministrazione penitenziaria e della giustizia; 6. le modalità per la collaborazione dei servizi territoriali con i soggetti operanti nell'ambito della solidarietà 32
  • 33. sociale a livello locale e con le altre risorse della comunità; 7. le forme di concertazione con la azienda unità sanitaria locale e con altri soggetti. Il Piano di Zona, di norma adottato attraverso accordo di programma è volto a: 1. favorire la formazione di sistemi locali di intervento fondati sui servizi prestazioni complementari e flessibili, stimolando in particolare le risorse locali di solidarietà e di auto-aiuto, nonché a responsabilizzare i cittadini nella programmazione e nella verifica dei servizi; 2. qualificare la spesa, attivando risorse, anche finanziarie, derivate dalle forme di concertazione; 3. definire criteri di ripartizione della spesa a carico di ciascun comune, delle aziende unità sanitarie locali e degli altri soggetti firmatari dell'accordo, prevedendo anche risorse vincolate per il raggiungimento di particolari obiettivi; 4. prevedere iniziative di formazione e di aggiornamento degli operatori finalizzate a realizzare progetti di sviluppo dei servizi. I risultati ottenuti vengono presentati nei capitoli successivi per ogni area considerata. 33
  • 34. ANZIANI SITUAZIONE DEMOGRAFICA13 Dall’analisi dei dati demografici si può notare un progressivo invecchiamento della popolazione, più marcato per il Distretto di Vicenza. Infatti se nel 1995 l’intera ULSS6 aveva una popolazione sotto i 20 anni pari al 21,40%, nel 2003 tale percentuale è scesa al 18,04%, mentre la fascia sopra i 60 anni è passata dal 16,54% al 24,62%. Per il Distretto di Vicenza, invece, la fascia sotto i 20 anni è scesa dal 18,77% al 15,93%, mentre la fascia oltre i 60 è passata dal 19,74% al 28,54%. Il dato relativo a Vicenza, viene poi aggravato se si considerano le diversità nelle relazioni tra città e campagna. Infatti è più probabile che in realtà non urbane si possano innescare reti di mutuo aiuto tra all’interno della cerchia familiare e/o amicale, mentre tale rete ha un’intensità minore in città, in cui le reti sono meno diffuse e hanno intensità inferiori, sia a livello parentale che amicale e/o di vicinato. Tabella 2. ULSS 6 (valori %) ULSS6 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 0-19 21,4 20,75 20,25 19,82 19,52 19,31 19,14 18,95 18,04 20-59 62,06 61,82 61,39 60,78 60,05 59,21 58,42 57,63 57,34 60 E OLTRE 16,54 17,43 18,36 19,39 20,43 21,47 22,44 23,42 24,62 Tabella 3. DISTRETTO DI VICENZA (valori %) VICENZA 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 0-19 18,77 18,13 17,68 17,23 16,95 16,82 16,74 16,70 15,93 20-59 61,49 61,09 60,54 59,84 58,98 57,97 57 56,01 55,53 60 E OLTRE 19,74 20,77 21,79 22,93 24,07 25,21 26,26 27,29 28,54 13 Elaborazione diretta dati http://www.vicenzaulss.com/public/ASPs/Statistiche_Eta_Popolazione.asp 34
  • 35. VARIAZIONI PERCENTUALI 1995-2003 40,00 32,82 30,82 30,00 20,00 10,00 ULSS6 VICENZA 0,00 0-19 20-59 60 E OLTRE -10,00 -8,23 -10,73 -15,12 -20,00 -18,62 -30,00 Figura 2 Il grafico precedente illustra la variazione percentuale tra il 1995 e il 2003. Si vede come, se pur nel distretto di Vicenza si ha una percentuale maggiore di popolazione anziana, è nell’intera ULSS che si è avuta la crescita percentuale maggiore di anziani a fronte di una diminuzione maggiore di popolazione tra 0-19 anni. Genere Dall’analisi del rapporto Maschi e Femmine sul totale della popolazione si evidenzia una maggiore presenza del genere femminile nella fascia 65 e oltre (Tab. 3). Ciò è meglio evidenziato dalla Fig. 2, che documenta come nella fascia considerata il rapporto sia, circa, di 2 a 1. Tuttavia si deve registrare una controtendenza. Infatti, se nel 1991 il rapporto era di 68 donne ogni 100 abitanti, compresi nella fascia 65 e oltre, nel 2001 tale rapporto è di 63. questo viene evidenziato in Fig. 2 e Fig. 3. Analizzando, poi, le differenze tra il Distretto di Vicenza e gli altri distretti della ULS 6, si può notare una differenza significativa (> 10%) per tutte le fasce di Maschi, con una significatività maggiore per la fascia sopra i 65 anni (Tab. 2). Da ciò si evidenzia come nel comune di Vicenza la fascia 65 e oltre sia costituita in maniera significativamente maggiore da donne. Tabella 4. Rapporto Maschi e Femmine sul totale della popolazione per fasce di età Media 1991-2002 0-14 15-64 oltre 65 totale M 0,44 0,41 0,27 0,39 DISTRETTO DI VICENZA F 0,49 0,51 0,65 0,53 M 0,57 0,55 0,44 0,55 35
  • 36. DISTRETTO OVEST F 0,49 0,49 0,61 0,50 M 0,41 0,40 0,29 0,39 DISTRETTO EST F 0,48 0,49 0,62 0,50 M 0,59 0,58 0,48 0,57 DISTRETTO SUDEST F 0,48 0,49 0,61 0,50 M 0,52 0,51 0,37 0,50 DISTRETTO SUD F 0,48 0,49 0,63 0,50 M 0,51 0,49 0,37 0,48 TOTALE F 0,48 0,49 0,62 0,51 Tabella 5. Differenze percentuali dalla media Media 1991-2002 0-14 15-64 oltre 65 M -13,73% -16,33% -27,03% DISTRETTO DI VICENZA F 2,08% 4,08% 4,84% M 11,76% 12,24% 18,92% DISTRETTO OVEST F 2,08% 0,00% -1,61% M -19,61% -18,37% -21,62% DISTRETTO EST F 0,00% 0,00% 0,00% M 15,69% 18,37% 29,73% DISTRETTO SUDEST F 0,00% 0,00% -1,61% M 1,96% 4,08% 0,00% DISTRETTO SUD F 0,00% 0,00% 1,61% Rapporto Maschi su Femmine 0-14 0,9 0,8 0,7 0,6 0,5 0,4 0,3 0,2 0,1 totale 0 15-64 DISTRETTO DI VICENZA oltre 65 Figura 3 36
  • 37. Rapporto Femmine sul totale della popolazione oltre i 65 anni 0,70 0,68 0,66 0,64 0,62 DISTRETTO DI VICENZA DISTRETTO OVEST 0,60 DISTRETTO EST DISTRETTO SUDEST DISTRETTO SUD 0,58 0,56 0,54 0,52 0,50 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 Figura 4 Andamento differenze maschi femmine oltre 65 anni Distretto di Vicenza 10,00 1,00 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 Figura 5 37