1. PSICOLOGIA DELL’EDUCAZIONE
Felice Carugati e Patrizia Selleri
Capitolo 1
La psicologia fra storia e cultura
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2. SCOPO della psicologia del XX sec.
Ricerca di leggi generali in grado di
spiegare gli elementi costitutivi della vita
mentale degli individui
indipendentemente da
Contesto, Cultura, Storia
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3. Questa “conoscenza decontestualizzata”
emerge nei diversi ambiti di ricerca:
- Psicologia Generale o scientifica
- Psicologia Sociale
- Psicologia dell’Educazione
Studio dell’individuo che apprende (“spugna”)
Attenzione ai meccanismi generali di
apprendimento (acquisizione di informazioni)
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4. Compito della
Psicologia dell’educazione:
Studiare le relazioni tra comportamenti
dei soggetti e richieste educative e
didattiche.
Approfondire le relazioni fra
caratteristiche della condotta di un
soggetto in un particolare momento
dello sviluppo e obiettivi educativo-
didattici della scuola.
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5. Rischi:
Trasferimento semplicistico di
nozioni di Psicologia generale a
situazioni di apprendimento.
Applicazione della Psicologia clinica
nei confronti dei singoli alunni.
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6. Wundt già nel 1900 indica la necessità di studiare
contemporaneamente due aspetti distinti della psicologia:
- studio delle funzioni psichiche elementari
(sensazioni, percezioni) Prima
Attraverso il metodo sperimentale psicologia
(Introspezione)
- studio delle funzioni psichiche superiori
(memoria volontaria, ragionamento, Seconda
linguaggio, apprendimento) e del ruolo che psicologia
la cultura svolge nella costruzione di queste
abilità cognitive.
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7. I precursori delle tesi di Wundt:
• Erodoto (“barbari”)
• Ippocrate (differenze tra i popoli dovute a clima
e istituzioni sociali)
• Darwin (vita quale prodotto dell’evoluzione)
• Spencer (relazione tra idee e condizioni di
vita/esperienze)
L’evoluzione dell’uomo è concepita
come uno sviluppo a ‘spirale’ che
vede l’interdipendenza fra condizioni
biologiche di sviluppo individuale e
condizioni sociali, culturali e storiche
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8. Che cos’è la cultura?
…l’aria che respiriamo…
La nozione di cultura (Cole,1996) è legata
alle attività quotidiane delle persone
presenti in un determinato contesto.
Ogni attività umana, finalizzata a uno scopo,
è resa possibile attraverso l’uso di
strumenti materiali (martello, penna) e/o
simbolici (il linguaggio).
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9. Questi strumenti sono chiamati ARTEFATTI
CULTURALI e Cole ne evidenzia tre distinti
livelli:
I° - Utensili (martelli, penne, telefono, ma anche il
linguaggio e le forme di scrittura)
II° - Rappresentazioni di utensili e
modelli di azione (regole d’uso, norme, modelli di
funzionamento importanti da conservare e trasmettere)
III° - Sistemi di credenze (filosofie, ideologie,
psicologie del senso comune, rappresentazioni sociali)
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10. I tre tipi di artefatti
consentono di descrivere una cultura
Sono strumenti che permettono ai membri di una
cultura, non solo di operare nel corso della vita
quotidiana, ma anche di dare significati a essa,
significati che sono almeno in parte condivisi e
possono quindi essere comunicati
e trasmessi alle generazioni successive.
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11. CULTURA
Insieme organizzato di artefatti
MATERIALI e CONCETTUALI, così
come sono prodotti, rappresentati e
dotati di significato nel corso delle
attività umane.
MEDIATORI DI ATTIVITÀ E
INTERAZIONI SOCIALI
COMPLESSITÀ DELLA VITA UMANA 11
E DELLA CULTURA
12. Dopo Wundt altri studiosi hanno sostenuto
la necessità di includere i prodotti culturali
nello studio dei fenomeni psicologici:
Durkheim: simboli culturalmente condivisi come strumenti
di mediazione del pensiero individuale
Piaget: importanza delle relazioni con adulti per lo sviluppo
(es.: influenza nello sviluppo morale)
Cattaneo: “psicologia delle menti associate”
Judd: “capitale culturale”
Mead: Mente, Sé e Società
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13. La prospettiva storico-culturale russa
Vygotskij Leont’ev e Lurija
Collaboratori di
Vygotskij
Creano un approccio nuovo alla comprensione delle
funzioni psichiche superiori (memoria, pensiero,
ragionamento, volontà)
L’attività umana e le funzioni psichiche superiori devono
essere studiate attraverso il loro sviluppo storico e individuale
Sono frutto delle influenze combinate dell’evoluzione
biologica dell’uomo e dello sviluppo storico delle culture.
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14. Evoluzione Evoluzione
biologica storica
Sviluppo
individuale
14
15. Binet e Simon (1905)
e lo studio dell’intelligenza
Quale rapporto fra cultura e intelligenza?
Il prototipo “dell’intelligenza francese”
Interventi dell’UNESCO per i paesi in via
di sviluppo
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16. Ricerche inter-culturali:
il caso della Tribù dei Kpelle
Le differenze nelle abilità cognitive dipendono
dalle condizioni in cui specifici processi cognitivi
vengono attivati (presentazione del compito,
routine educativo-didattiche) piuttosto che da
differenze ‘biologiche’ fra gruppi di diversa cultura
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17. “La rivoluzione cognitiva”
Mente come elaboratore di informazioni
Riduzione della mente a macchina e dei
processi psicologici a processi fisiologici
17
18. Possibilità di incontro tra le due psicologie
Insieme organizzato di conoscenze
Schema (contenuti, reti di relazione). Danno
senso all’esperienza e guidano le azioni.
Tipo specifico di schema
Script legato ad un evento
(partecipanti, ruoli sociali, oggetti).
Es.: cena al ristorante
Cultura Insiemi di schemi e di script che
consentono di partecipare alla vita
e artefatti sociale e di attribuirne significato.
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19. 19
Implicazioni della seconda psicologia
dell’educazione:
la metafora della tela
Descrive il tipo di relazioni
che si instaurano durante CULTURA
un’attività congiunta fra
due partner (intersoggettività, FUNZIONI
costruzione di un senso condiviso, COGNITIVE
pur mantenendo la propria individualità).
RAPPORTO TRA:
EDUCAZIONE, SVILUPPO E APPRENDIMENTO
20. CULTURA
“Complesso d’insieme, totalità che comprende la conoscenza, le
credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra
capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro di
una società” (1871, Tylor).
L’Antropologia ci insegna che per “cultura” non si intende
“istruzione”, “cultura colta” che elimina la barbarie,
“erudizione”, bensì l’insieme complessivo delle idee, delle tecniche,
dei comportamenti condivisi che l’uomo realizza al fine di interagire
col proprio ambiente.
Ogni cultura è una “forma di vita” che filtra sempre la realtà, che
costruisce un modello di essa in quanto in essa non c’è nulla da
dare per scontato, tutto è in funzione del “mondo”, dello “spazio
logico” in cui la cultura si trova; “l’appercezione della realtà non è
mai diretta, è sempre mediata dalle immagini veicolate dalla
cultura” (Wittgenstein). 20
21. Studi psicologici trans-culturali: i comportamenti umani e lo
sviluppo psicologico dell’individuo non sono definibili in modo
slegato dal contesto in cui essi si manifestano e si esplicano.
In ogni setting ecologico, lo specifico sviluppo dei comportamenti
umani produce diversi tipi di istituzioni, stili di vita, valori e
credenze condivise, che influenzano il modo in cui i bambini
vengono allevati e in cui la psiche si struttura e si sviluppa.
Si tratta di ciò che l’approccio dei sistemi dinamici definisce
“insieme di transazioni tra organismo e ambiente”, cioè
“cambiamenti progressivi nelle interazioni tra i comportamenti di
una persona e gli eventi del suo ambiente” (Bijou e Baer, 1961).
Individui: attori sociali, definiti sia nello spazio sociale nel quale
sono inseriti, sia dalla coscienza di agire su questo spazio. Ciò ci
induce a considerare la cultura non come una forza causale,
esterna ai processi e ai membri che la compongono, ma come
sistema di significati che si struttura all’interno di processi
dinamici, non di strutture statiche e invarianti. 21
22. Non ci sono culture “alte o basse”, bensì cultura come modo di
vivere. Ogni gruppo umano è inevitabilmente produttore di
significati e quindi di cultura.
Nessuno ha il patrimonio esclusivo della ragione, nessuno può
avere tutto il torto; la ragione ha la sua base nella comunità. Il
pensare è un con-crescere, fondato sull’accettazione reciproca.
Perciò dobbiamo accettare di mettere in discussione la nostra
stessa tradizione europea occidentale: considerarla semplicemente
come una delle molteplici tradizioni culturali e morali
significative presenti sul pianeta terra.
Relatività delle culture
scoprendo somiglianze e individuando differenze soltanto al fine
di pervenire ad un’interazione reciproca.
22
23. Ancora oggi, il nostro “etnocentrismo cognitivo” riserva a un
africano (tanto per citare un appartenente ad una cultura
considerata “inferiore” dall’occidentale) ben pochi spazi a livello
di sviluppo di una “pre-intelligenza” che non potrebbe mai
raggiungere le nostre prestazioni.
Eppure, la scienza ha ormai ampiamente dimostrato che gli
individui possono intendersi tra loro e comunicare perché esiste
una sorta di DNA cognitivo che li accomuna, che tutti ci serviamo
delle stesse strategie cognitive per organizzare la nostra vita
materiale e per “farci un’idea” di dove siamo; e la storia
dell’alfabetizzazione testimonia che un processo di
apprendimento della lettura e della scrittura, quale che sia la
lingua storico - naturale su cui si basa, poggia su attività
operatorie della mente che dimostrano quanto le elaborazioni
cognitive siano simili, per lo meno quelle che vengono definite,
piagetianamente, “processi sottostanti”.
23
24. Tuttavia, ristabilito un felice rapporto con i parametri
dell’uguaglianza tra le facoltà cognitive umane, è necessario
enfatizzare quanto sia grande la distanza tra quelle che definiamo
“declinazioni culturali” delle operazioni cognitive.
Le “forme mentis” hanno, infatti, una loro storia, una genesi, una
crescita all’interno di pratiche educative specifiche, locali,
familiari, tribali. Alla base dei nostri costumi, comportamenti,
stili di vita, ci sono (e differiscono in rapporto alla ripetitività
mediante la quale si consolidano culturalmente) “modi di
pensare”.
Queste variazioni o differenze cognitive determinano una
importante differenza tra gli uomini: quella connessa ai processi
di apprendimento originari.
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25. Se, infatti, un bambino occidentale impara a sintetizzare i dati
dell’esperienza sensibile organizzandoli in concetti o astrazioni
giocando al nido con altri bambini, un bambino africano
acquisirà la stessa modalità cognitiva, servendosi di altri giochi o
mezzi, in un contesto educazionale di villaggio.
Ciò che renderà differenti i loro atti cognitivi, sintetizzatori,
saranno proprio i luoghi all’interno dei quali essi si educano alla
padronanza di questa fondamentale capacità.
Nel primo caso, il luogo indirizzerà il piccolo, gradatamente, verso
quell’ottimizzazione operatoria che gli faciliterà, integrata ad altri
atti cognitivi e ad altri contesti, l’apprendimento del leggere e
dello scrivere; nel secondo, l’attività di sintesi verrà orientata
all’acquisizione di altri compiti.
25
•
26. La “ripulsa del forestiero” è un tratto che si ritrova
nelle diverse società...
Nell’isola di Nanumea, nel Pacifico meridionale, gli stranieri non
dovevano avere rapporti con la gente del paese finché non fossero
stati condotti a ciascuno dei quattro templi dell’isola e non fossero
state fatte delle preghiere perché il dio volesse sviare ogni malattia
o tradimento che i forestieri avessero portato con loro.
Tra gli Ot Danom del Borneo è uso che gli stranieri, quando
entrano nel territorio, debbano pagare agli indigeni una certa
somma che viene spesa per sacrificare bufali o maiali agli spiriti
della terra e dell’acqua, onde conciliarli alla presenza degli
stranieri e indurli a non ritirare la loro benevolenza della gente
del paese.
26
27. Sempre nel Borneo, alcuni uomini avevano paura di guardare
un viaggiatore europeo per timore che li facesse ammalare e
avvertivano le mogli e i figli di tenersi lontano da lui. Quelli
che non potevano frenare la loro curiosità uccidevano dei polli
e si imbrattavano del loro sangue per pacificare gli spiriti
maligni; “gli spiriti maligni che accompagnano da lontano i
viaggiatori sono più temuti di quelli del vicinato”....
E’ probabile, inoltre, che lo scopo di alcune cerimonie che si
osservano qualche volta nel ricevere i forestieri sia dovuto
piuttosto a questo timore della loro influenza che non al
desiderio di fargli onore e qualche volta il terrore dei forestieri
e della loro magia è troppo grande per permettere che siano
ricevuti nel villaggio.
27
28. Da queste radici si sviluppano i movimenti
etnici ai quali oggi assistiamo e il cui
quadro di riferimento contiene spesso un
razzismo, a volte implicito, nei confronti
degli altri che agisce come
collante per l’identità del gruppo etnico che
si autorappresenta come comunità del
“noi” rispetto ai “loro”
variamente rappresentati.
L’altro viene quindi assunto sotto le
differenti categorie di ciascun popolo ed
etnia e, in base ad esse,
28
denominato, interpretato, valutato.
29. Dallo stereotipo (opinione esagerata in associazione ad
una categoria di pensiero) al pregiudizio: giudizio
immotivato che si colora emotivamente di benevolenza o
malevolenza; un giudizio previo, senza un’informazione
sufficiente riguardo un gruppo sociale, che possiede tre
componenti, quella cognitiva (fornisce informazioni su
quel gruppo), quella affettiva (contrassegna gli affetti
positivi o negativi nei riguardi del gruppo) e quella
comportamentale (predispone ad agire a favore o
contro).
I pregiudizi sono alimentati e giustificati
dall’etnocentrismo culturale e dagli elementi mediatori
giuridico – politici (es.: programmi scolastici).
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30. Approccio della “social cognition”
Uomo = attore della vita
quotidiana, ossia un uomo che
nella prima interazione con le
realtà socio-culturali Effetti dei fattori sociali
co-costruisce sia la dimensione sui processi cognitivi.
sociale sia se stesso in un
campo sociale già dato.
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31. Approccio della “social cognition”
“rappresentazioni sociali”:
strutture cognitive unificanti, per consenso o dissenso,
più soggetti o gruppi umani, di fondamentale importanza
nella formazione degli atteggiamenti.
Una forma di conoscenza sociale, una cornice al cui
interno si delineano i profili delle relazioni umane,
permettendo che la comunicazione
sia una condivisione di senso tra più soggetti.
I conflitti nascerebbero quindi da distorsioni (biases),
ossia da giudizi tendenziosi che non si generano
nell’individuo isolatamente dal contesto sociale in cui
egli vive, ma riflettono la distribuzione degli stimoli
dell’ambiente sociale.
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32. Approccio della “social cognition”
“attribuzione di responsabilità”:
si basano, secondo Tajfel, su tre processi: la categorizzazione
(permette di stabilire delle classi ideali specificate secondo
determinate caratteristiche, all’interno delle quali vengono collocati i
soggetti verso i quali si opera un giudizio), l’assimilazione (processo
attraverso il quale gli individui adattano l’acquisizione di nuove
conoscenze all’interno della propria rete cognitiva) e la ricerca di
coerenza (bisogno di non entrare in contraddizione con quanto
appartiene alle convinzioni sedimentate nel tempo con l’esperienza).
Quando un procedimento di spiegazione è
eccessivamente semplificatorio, al punto da portare
all’eliminazione dell’esame critico dei dati dell’esperienza
e offrire un costante punto di riferimento per trovare
risposte a questioni sociali più o meno complesse, si
costituisce uno stereotipo.
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33. Gli stereotipi sono credenze condivise, attribuzione di tratti di
personalità e di comportamenti considerati caratteristici dei
membri di gruppi umani di ampie dimensioni, che portano a
trascurare le specificità individuali dei soggetti ad essi
appartenenti.
I contenuti espressi negli stereotipi affondano le proprie radici
nelle tradizioni culturali e vengono mantenuti grazie a specifiche
funzioni tra cui l’esigenza di mantenere un alto livello di
autostima e la necessità di semplificare i processi di comprensione
della realtà.
Gli stereotipi possono quindi essere considerati parte di un
processo adattivo che permette di ridurre le energie cognitive
impiegate per spiegare i fenomeni sociali; poiché in tale processo
risultano efficaci, essi si radicano nelle dinamiche culturali e
valoriali dei gruppi dimostrandosi resistenti e persistenti nel
tempo.
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34. Tali dimensioni sono tutte mediate culturalmente e si diffondono,
attraverso la condivisione, tra i gruppi umani che danno forma ai
significati utilizzati per la reciproca comprensione e condivisione
di senso della realtà circostante. Non esiste infatti un terreno
culturalmente neutro, la cultura è sempre il risultato di dinamiche
relazionali tra individui, gruppi e storia.
Un grande territorio all’interno del quale si costituiscono i
pregiudizi è quindi l’universo delle rappresentazioni sociali.
SOCIOCENTRISMO
l’incapacità di rendersi conto delle rappresentazioni
da cui dipendono i propri stereotipi e di quanto essi
informino gli atteggiamenti, trasformandoli in
pregiudizi dai quali, poi, derivano i comportamenti
sociali della discriminazione.
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35. Secondo l’approccio cognitivo, quindi,
il pregiudizio potrebbe essere
definito come:
“un atteggiamento ostile o prevenuto
nei confronti di una persona che
appartiene ad un gruppo,
semplicemente perché appartiene a
quel gruppo, supponendo, pertanto,
che possiede quelle qualità opinabili
attribuite al gruppo” (Allport, 1963).
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36. Secondo Allport l’elemento centrale nella spiegazione del pregiudizio
è il “processo di raggruppamento in categorie”: un modo di
pensare naturale, dato che la mente umana (come ci insegna la
psicologia), al fine di adattarsi alla complessità del mondo
circostante, organizza le innumerevoli informazioni che le
giungono servendosi delle categorie.
Ciò ha due effetti: saturazione emozionale riguardo il contenuto della
categoria e omogeneizzazione del contenuto informativo di ogni
elemento della stessa (lo stereotipo); vale a dire che ogni categoria
porta con sé uno stereotipo ed un tipo di sentimento associato.
Ne consegue un’esagerazione sia delle similitudini intra-categoriali
sia delle differenze inter-categoriali che daranno luogo a
favoritismi nei confronti dei “propri” e discriminazione nei
confronti degli “estranei”.
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37. Il raggruppamento in categorie dei tipi umani si realizza, infatti, in
funzione delle appartenenze e del sistema di valori mantenuto
dall’endo-gruppo il cui mantenimento, a sua volta, ha bisogno di
assumere, praticare e condividere codici, credenze e “nemici”; si
sviluppano, così stereotipi che vengono favoriti dal risalto percettivo
che il gruppo fa di una determinata caratteristica dell’eso-gruppo.
Nel momento in cui si entra in contatto con una persona dell’altro
gruppo, l’attenzione si concentrerà su quella caratteristica che la
rende più evidente e, sulla base di essa, verrà “categorizzata” in un
certo modo. Ecco che il raggruppamento in categorie, elemento
centrale nella spiegazione del pregiudizio, conduce alla comparsa di
deviazioni positive nei confronti dei più vicini (favoritismo intra-
gruppale), attribuendo i loro comportamenti positivi a cause interne
al soggetto e quelli negativi alla situazione, e di deviazioni dei tratti
negativi (discriminazione eso-gruppale), operando delle attribuzioni
in senso inverso.
Funzioni: preservare l’immagine positiva dell’endo-gruppo e
mantenere i pregiudizi nei confronti dell’eso-gruppo. 37
38. COMPONENTE
COMPONENTE COGNITIVA:
MOTIVAZIONALE:
riflette lo stereotipo
atteggiamento da cui
connesso a processi di
scaturiscono comportamenti
categorizzazione mirati alla
(se lo stereotipo di “nero”
semplificazione dei
comprende la connotazione
complessi aspetti della realtà
di sporco o violento, si
e alla generalizzazione degli
tenderà ad evitare anche la
aspetti semplificati a tutti i
prossimità fisica nei confronti
componenti dell’ “out-
di qualsiasi appartenente al
group”.
gruppo dei neri).
38
39. “Destrutturazione del pensiero” e
“Ristrutturazione cognitiva”
Acquisire la capacità di analizzare e valutare il proprio pensiero,
cioè di farsi critici di se stessi per poter destrutturare quanto vi è
da modificare, correggendo o eliminando, ed assumendo quanto vi
è da acquisire perché ritenuto nuovo ed arricchente.
E’ prioritario il lavoro con l’infanzia e la gioventù data
l’importanza che il processo di socializzazione ha nello sviluppo
della personalità e nell’interiorizzazione dei valori,
nell’apprendimento di stereotipi e pregiudizi. Numerose ricerche
hanno, infatti, dimostrato la tendenza a formulare giudizi
stereotipici nel comportamento sociale dei bambini.
Lo sviluppo estremamente precoce della capacità di
categorizzazione sociale sembra avvenire in parallelo all’abilità di
categorizzazione degli oggetti fisici (per poter mettere in atto tale
processo di categorizzazione i bambini devono aver raggiunto la
consapevolezza dell’esistenza delle categorie). 39
40. Strategie di intervento preventivo a scuola
• De-categorizzazione: diminuzione dell’uso della categoria per
identificare gli individui; consapevolezza che i membri dell’ “out-
group” che via via si vengono a conoscere non sono i “prototipi”
della categoria generale, ma solo degli “esemplari singoli”.
• Differenziazione e personalizzazione: riconoscimento che i
componenti dell’ “out-group” sono diversi tra loro; che le
differenze nei gruppi possono superare quelle tra gruppi; che
l’omologazione dei “diversi” in un’unica categoria differenziata è
scorretta e non realistica, ma che tutt’al più è possibile articolare
diversi sotto-gruppi con caratteristiche simili.
• Flessibilità cognitiva: consente allo schema mentale di
“assimilare” le informazioni esterne senza selezionarle o filtrarle
in modo preconcetto e, a sua volta, di “accomodarsi”, cioè di
modificarsi in base alle nuove informazioni rendendosi più
articolato e adeguato alla realtà via via conosciuta nelle sue
sfaccettature e nella sua complessità. 40
41. • Migliore gestione delle componenti emozionali del rapporto con il
“diverso”: sicurezza della propria identità, fiducia nella propria
efficacia, senza bisogno di ricorrere alla rigida identificazione con
l’ “in-group”.
• Sintesi, nell’identità sociale, delle dimensioni della conformità
(sentirsi parte di un gruppo, identificarsi con esso come fonte di
sicurezza) e della unicità (acquisire un’identità in quanto
individuo, diverso dagli altri del gruppo).
Interazione cooperativa per sperimentare l’infondatezza dei
pregiudizi
Situazioni di incontro tra membri di altre etnie ma con uno status
simile, senza disparità di potere, prestigio, posizione sociale
Fornire un nuovo quadro interpretativo nel quale inserire le
nuove informazioni positive che si vanno acquisendo attraverso il
contatto diretto… senza questo supporto, nonostante il contatto,
non vengono distrutti gli stereotipi divenuti ormai abituali e
inconsci 41
42. Supporto istituzionale e culturale che dia continuità alle
esperienze di contatto in modo che non costituiscano
un’eccezione ma la regola
Rispetto del bisogno di identità sociale e di appartenenza
etnica o di genere…. NO “cecità al colore” o “melting
pot”…
Confronti pluridimensionali che consentano di guardare
ai tanti aspetti e alle tante differenze tra le culture,
sottolineandone gli aspetti positivi
42
43. La meta ultima è l’acquisizione di una identità sovraordinata,
comune agli altri gruppi culturali e sociali, pur nel riconoscimento
delle differenze che non vengono annullate ma utilizzate per
costruire un senso di “in-group” più complesso e articolato.
Nella vera integrazione i sottogruppi non vengono eliminati o
omologati, ma estesi ad includere una dimensione più ampia: senza
la contrapposizione tra “noi-italiani” e “loro-stranieri” (e
viceversa) ma con la costruzione di un “noi-italiani-e-stranieri”,
con tante diversità all’interno ma con una proiezione verso la
realizzazione di una società di cui tutti sono ugualmente
“cittadini”.
Demetrio afferma che è il rifiuto di “mescolarsi” che genera il
razzismo, la ricerca irrazionale di un’origine superiore per biologia
umana.
43