D. Speroni - 2030 La tempesta perfetta. Come sopravvivere alla grande crisi
1. 2030 La tempesta perfetta
Come sopravvivere alla grande crisi
Presentazione del libro di Gianluca Comin e
Donato Speroni, edito da Rizzoli
A cura di Donato Speroni
14. Mitigation: la sfida dei due gradi
+24% Emissioni di CO2 EU 2020/Energy
Roadmap 2050
[GtCO2]
36
•Riduzione emissioni gas serra
29 20%
5%
4%
-20% rispetto al 1990
22%
3% 75% •Incremento fonti rinnovabili
64%
48% 20% consumi energetici finali
36%
•Incremento dell’efficienza
3% 3%
22%
-20% rispetto ai consumi
36% 16% 25%
14% 9% tendenziali di energia primaria al
2020 – non vincolante
2009 2035
OECD OECD Africa Latam Non-OECD ROW
•De-carbonizzazione dell’Europa con
Europe Americas
Source: Current policies scenario World Energy Outlook, IEA 2011
Asia
target di riduzione dell’80%-95% dei
livelli di CO2 del 1990 entro il 2050
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17. Energia: domanda in aumento
Domanda primaria mondiale
Per fonte Per regione
+51%
[Mtoe] 18,300 [%]
20%
12,100 27%
Fossil 5%
33% 20%
fuels 72%
23% 80% 5%
Fossil
fuels 63% 42%
21% 32%
81%
30%
27% 6% 5%
6% 22% 17% 28%
6% 37%
13% 14% 15% 11%
2009 2035 2009 2035
Renewables Nuke Coal Gas Oil OECD OECD Africa Latam Non-OECD ROW
Europe Americas Asia
I combustibili fossili restano dominanti I Paesi emergenti guidano la crescita
Source: Current policies scenario World Energy Outlook, IEA 2011
2030 La tempesta perfetta
OECD: Organization for Economic Co-operation and Development; OECD Americas include North America, Mexico and Chile 17
ROW: Rest of World
18. I combustibili fossili non finiranno…
2030 La tempesta perfetta
SOURCE: Wood Mackenzie; BP Stat; IOGCC; McKinsey Oil Supply Model team analysis 18
19. …ma avranno
prezzi più alti e
volatili…
…creeranno
instabilità
geopolitica…
…continueranno a
produrre CO2
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20. La sfida della povertà energetica
1,5 miliardi di persone non
1,5 miliardi di persone non
ha accesso all’elettricità
ha accesso all’elettricità
1 miliardo di persone ha
1 miliardo di persone ha
accesso irregolare e
accesso irregolare e
discontinuo all’elettricità
discontinuo all’elettricità
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33. Rapporto tra rivoluzioni e prezzo del cibo
Elaborazione del New England Complex Systems Institute di
Cambridge, Massachusetts.
Quando il Food Price Index della Fao supera quota 220 aumentano le rivoluzioni
2030 La tempesta perfetta
33
34. Anche il ruolo del lavoro dovrà essere ripensato…
• Nei prossimi vent’anni, la crescita demografica,
l’abbandono delle campagne e la maggiore offerta di
lavoro da parte delle donne renderanno necessaria la
creazione di 1,5 miliardi di “decent jobs”.
• Nei Paesi industrializzati i posti di lavoro oggi sono
“solo” 600 milioni.
• Forse con le nuove tecnologie il mondo non avrà
bisogno di tutto questo lavoro…
• Conseguenza: un’ulteriore accentuazione delle
diseguaglianze tra chi controlla le tecnologie e gli
altri, sempre più precarizzati.
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35. Quattro risposte
zione
Tecn Com unica
ol o gia
Com
port
indiv amenti
over nance idua
G li
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37. L’informazione cambia
Internet è dirompente perché
sostituisce la scarsità d’informazione
con l’abbondanza di informazione”
Eric Schmidt, Google
“non puoi più controllare gli
stakeholder. Ciò che puoi fare è
controllare te stesso, chi sei, cosa dici,
come lo dici, come ti rapporti con la
gente”.
Alastair Campbell
2030 La tempesta perfetta 37
38. Cambia la costruzione del consenso
XX secolo XXI secolo
Verticalità Orizzontalità
Immagine Dialogo
Controllo Condivisione
2030 La tempesta perfetta 38
43. Dopo l’uscita del nostro libro
il dibattito internazionale è cresciuto su:
– Possibilità di modificare la curva demografica
– Apporto effettivo della tecnologia alla soluzione
dei problemi
– Cambiamenti nel mix energetico
– Incidenza dei fenomeni ambientali estremi e
rapporto col cambiamento climatico
– Tentativi di governance globale
2030 La tempesta perfetta 43
44. È possibile modificare sensibilmente
la curva demografica?
• Se non ci saranno catastrofi, guerre nucleari
pandemie o meteoriti l’umanità arriverà oltre gli 8
miliardi nel 2030. Ma si può evitare che arrivi a 9 nel
2050 e magari a 10 nel 2100?
• Dopo anni di disattenzione, anche per ragioni
politiche, si riapre il dibattito sul controllo delle
nascite.
• Questo non significa soltanto promuovere un uso
corretto degli anticoncezionali, ma cambiare la
cultura di intere popolazioni, per esempio
promuovendo la scolarizzazione delle giovani donne.
2030 La tempesta perfetta 44
45. La tecnologia ci salverà dalla crisi?
• È sempre più aspro il dibattito tra tecnottimisti” e
“catastrofisti”.
• Per i “tecnottimisti” non riusciamo a percepire il
potenziale del futuro e la crescita esponenziale
dell’innovazione: abbiamo già oggi le tecnologie per
risolvere tutti i problemi che ci si presentano.
• Per i “catastrofisti” la crescita dei consumi porta
all’esaurimento delle risorse naturali, oltre al
moltiplicarsi degli impatti ambientali e all’incapacità
del sistema finanziario di far fronte ai fabbisogni
conseguenti.
2030 La tempesta perfetta 45
46. Tecnottimisti e catastrofisti, chi ha
ragione? Forse entrambi…
• È’ certamente vero che fatichiamo a capire gli effetti del progresso,
che cambierà totalmente il modo di vivere. Per esempio:
– Lunghezza della vita. Veronesi: chi nasce oggi potrà vivere 120 anni
– Integrazioni uomo macchina, con tutte le potenzialità e i rischi
– Costruzione di una cultura comune grazie a Internet ma anche alle
traduzioni automatiche, tra poco a livelli accettabili.
• Ma è anche vero che difficilmente riusciremo ad applicare le
tecnologie in tempo per evitare la “tempesta perfetta” a tutta
l’umanità. Si potrebbe per esempio passare molto più velocemente
in tutto il mondo alle energie rinnovabili, ma il costo sarebbe
enorme, anche perché le fonti fossili sono tutt’altro che esaurite.
2030 La tempesta perfetta 46
47. È aumentata la sensibilità sul clima
Anche negli Stati Uniti,
per l’aumento delle
catastrofi naturali (siccità,
uragano Sandy).
Secondo l’Asian
Development Bank
il numero delle alluvioni in
Asia è triplicato negli
ultimi vent’anni.
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48. Si corre ai ripari con interventi nazionali
• Si moltiplicano gli interventi di adaptation contro
l’innalzamento dei mari e i fenomeni estremi, con
investimenti “vertiginosi”.
• El Mundo: La solución más probable a corto plazo son
las obras faraónicas.
• La piccola Olanda spenderà 9 Md di euro entro il 2040
per rafforzare le sue dighe.
• Salvare il porto di New Jersey, il secondo negli Usa, da
fenomeni tipo Sandy costerà 20 Md di euro.
• E noi abbiamo Venezia e tanto altro da salvare…
2030 La tempesta perfetta 48
49. La governance fa pochi passi avanti
• Il convegno mondiale Rio + 20 del giugno scorso ha
dato risultati generici e il rinnovo del Protocollo di
Kyoto è affidato a trattative internazionali molto
difficili.
• Però gli obiettivi del mondo diventano sostenibili. Per
rinnovare i Millennium Development Goals 2000 –
2015, l’Onu sta preparando i Sustainable Development
Goals per il prossimo quindicennio.
• Anche la statistica dà il suo contributo,
cercando(soprattutto in sede Ocse) standard
confrontabili per misurare la qualità della vita e farne
un obiettivo politico quantificabile e alternativo alla
mera “crescita del Pil” che diventerà sempre più
difficile soprattutto nei Paesi industrializzati.
2030 La tempesta perfetta 49
50. In conclusione…
• La crisi che stiamo attraversando è già l’annuncio
della “tempesta perfetta”: uno sconvolgimento
strutturale destinato ad alterare profondamente il
nostro modo di vivere.
• Tecnologia, nuove relazioni tra le persone,
cambiamenti di consumo, nuove metriche politiche,
governance globale possono contribuire a limitarne i
danni
• Dalla nostra capacità di risposta dipenderanno gli
esiti: un catastrofico collasso (risposte inadeguate), il
degrado verso un mondo sempre più squallido
(risposte tardive) , oppure un nuovo stile di vita
basato sul “benessere equo e sostenibile”.
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51. CAPITANO – Capo nocchiero!
CAPO NOCCHIERO – Son qui, capitano. Che
c'è?
CAPITANO – Coraggio, dà voce alla ciurma:
che si diano daffare, forza, forza!
O qui coliamo a picco... Avanti! Presto!
W. Shakespeare, La Tempesta
2030 La tempesta perfetta 51
La prima domanda a cui vorrei dare risposta è il motivo per cui un uomo d’azienda e un tecnico della comunicazione abbia deciso di scrivere un libro come “2030 La Tempesta Perfetta”. La ragione attiene, essenzialmente, alla natura delle sfide che il libro affronta, e al nuovo ruolo che queste sfide assegnano alle aziende. Le sfide dei nostri giorni – crisi economica, emergenza ambientale, esplosione demografica – rendono evidente una questione fondamentale dei nostri tempi: gli stati nazionali non ce la fanno da soli . La politica nazionale non può più, da sola, rispondere alle sollecitazioni che arrivano dalla società. Questo impone alle aziende nuove responsabilità . Prima alle aziende spettava soltanto il ruolo di massimizzare il profitto, e agli stati quello di garantire la giustizia sociale e la sostenibilità. Ora questi obiettivi sociali ed ambientali, per la grandezza dello sforzo che richiedono, ricadono anche sulle spalle delle aziende, che devono inserirli all’interno delle loro strategie di profitto: d’altronde, tra le prime cento entità economiche mondiali, ben quaranta sono multinazionali. Non si tratta più solo di “restituire” alla società quello che si è preso creando profitto, secondo una visione antiquata della responsabilità sociale d’impresa. Si tratta, ormai, di inserire le risposte alle sfide dell’umanità al centro degli obiettivi di business , fin dall’inizio, creando valore condiviso con le comunità in cui si opera. E ricordandosi che, come sostenuto da Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate, “ i costi umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani ” . È per questa nuova visione della responsabilità aziendale che la scrittura di un libro come “2030 La Tempesta Perfetta” non è un gesto eccentrico per un uomo d’azienda. E per questa stessa ragione, forse, vale la pena di discutere oggi delle sfide che aspettano il pianeta.
Lo spunto del libro viene dalla lettura del Rapporto presentato da John Beddington, consigliere scientifico del Governo inglese, cui Downing street ha affidato il compito di tracciare una previsione sui grandi rischi a cui il pianeta sta andando incontro nei prossimi decenni.
Secondo lo studio di Jon Beddington , “2030 The Perfect Storm Scenario, nel 2030: La popolazione mondiale crescerà fino a 8,3 miliardi La domanda di cibo crescerà del 40%* La domanda di energia crescerà del 45%* La domanda d’acqua potabile crescerà del 30%* La concentrazione di gas serra si avvicinerà pericolosamente alle 450 ppm La temperatura globale crescerà di 0,55° C * Il livello dei mari crescerà di 12 centimetri * Il numero di auto e camion raddoppierà * 2 miliardi di persone soffriranno la fame 3,2 miliardi di persone vivranno con meno di 2 dollari al giorno * Rispetto al 2010
Partendo dallo studio di Beddington, abbiamo tentato di evidenziare le sfide più importanti per il pianeta, per provare a tracciare qualche possibile risposta. Quattro sono quelle più rilevanti: popolazione, acqua e cibo, clima, energia. Proviamo ad analizzarle.
Partiamo dalla popolazione
Partiamo dalla popolazione, che è una delle variabili misurata con maggior precisione dagli studiosi. Il futuro è imprevedibile, ma i fattori che lo determinano sono in parte già scritti, a cominciare dall’evoluzione demografica. E gli studi delle nazioni unite ci dicono che l’umanità è arrivata oggi a sette miliardi di persone. Arriverà a otto miliardi nel 2025 e a nove dopo il 2040. È una crescita incredibile, mai registrata nella storia dell’umanità. Fa ancora più impressione guardarla al mese: significa che da qui al 2030 – 18 anni in totale – la popolazione crescerà di 7 milioni di unità al mese. La crescita non sarà omogenea. Come vedete, sarà esponenziale in asia (Verde) e Africa (Rosa). Sostenuta in America Latina (giallo). Nulla in USA, Europa, Oceania.
Un altro aspetto essenziale dell’aumento della popolazione è la creazione di una nuova massa di ceto medio. Si stima che 3 miliardi di nuovo ceto medio da quii al 2030, e il 90% di questa crescita avverrà in Asia. Questa è ovviamente una buona notizia, perchè significa che sempre più persono stanno uscendo dalla povertà. Ma significa anche che queste persone, per garantirsi un livello di vita sempre più simile a quello occidentale, eserciteranno una pressione crescente su tutte le risorse naturali. Questo ci permette di passare ad analizzare la seconda sfida…
… la sfida dell’acqua e del cibo necessari per sostenere una popolazione che cresce così rapidamente
La produzione di cibo dovrà aumentare del 50% per soddisfare la popolazione crescente e l’uscita dalla povertà di miliardi di persone. Dal punto di vista tecnico, nutrire un numero così alto di persone sarà difficile ma non impossibile. Come spiega l’ Economist, anche se non facile, dovrebbe essere perfettamente possibile alimentare nove miliardi di persone entro il 2050. Qualche passo avanti è già stato fatto per accrescere i rendimenti e ridurre le perdite di raccolto nei Paesi più in ritardo, soprattutto in Africa. La "rivoluzione degli allevamenti" può essere favorita dal miglioramento genetico. Soprattutto, i progressi della genetica vegetale dovrebbero consentire agli allevatori a spingere la crescita annuale dei rendimenti delle colture di base dallo 0,5-1,0 per cento attuale al 1,5 per cento, che vorrebbe dire produrre a sufficienza per tutti. Il problema è però di sostenibilità di questa produzione e distribuzione di cibo in termini ambientali e climatici. E di controllo delle risorse fondamentali…
La pressione sulle risorse come acqua e terra per produrre cibo ha infatti effetti politici rilevanti… … sull’acqua, si dovranno trovare modalità di gestione che contemperino la volontà delle comunità locali di continuare a controllare questa risorsa, garantendo il diritto a un quantitativo vitale per tutti gli abitanti, con la necessità di ingenti investimenti che difficilmente si possono effettuare senza il concorso di società private. Un equilibrio altrettanto complesso riguarda le risorse alimentari, (Inserire statistiche) dove la necessità di garantire cibo per tutti a un prezzo accessibile deve essere contemperato con l’esigenza di tutelare i produttori locali, evitando che vengano messi fuori mercato o che le loro terre passino di mano senza alcun vantaggio per i contadini. Sulla questione del possesso della terra, negli ultimi anni si è andato affermando il cosiddetto fenomeno del “ land grabbing ” . Di che si tratta? Dei grandi acquisti di terra coltivabile fatti in Africa e America latina da paesi esterni a questi continenti e o da grandi multinazionali, talvolta con l ’ obiettivo di produrre non cibo, ma biocarburanti. Secondo una stima dell ’ «Economist», circa 80 milioni di ettari stati acquistati da investitori stranieri, più della metà in Africa. Si tratta di una estensione enorme, pari alla somma dei terreni coltivabili di Italia, Germania, Regno Unito e Francia. (Citare esempio report?)
La terza sfida è relativa al cambiamento climatico
Il rischio dell’aumento della temperatura dovuto ai gas climalteranti come la CO2 è stato analizzato in dettaglio in numerosi studi delle nazioni unite. Si è anche cercato di quantificarlo in termini di PIL. Un aumento di due gradi potrebbe tradursi in un 4 o 5 per cento di riduzione permanente del reddito annuo pro capite in Africa e in Asia meridionale, a fronte di perdite minime nei Paesi ad alto reddito. La perdita globale di Pil potrebbe essere di circa l’1 per cento, ma l’impatto più forte sarebbe sull’agricoltura, un settore importante per le economie sia dell’Africa e dell’Asia meridionale.
Ci sono due tipi di risposte al cambiamento climatico, che non è un fenomeno futuro ma sta già avvenendo. Il primo si chiama MITIGATION, ed è l’insieme degli sforzi, tecnologici, individuali, politici, per limitare l’aumento della temperatura almeno al di sotto dei 2 gradi, soglia sopra la quale gli scienziati prevedono cambiamenti devastanti. Le tecnologie attuali e i comportamenti più responsabili già potrebbero dare un contributo importante alla lotta contro il cambiamento di clima, ma questo non basterà a darci energia pulita, acqua e cibo nelle dimensioni necessarie al ritmo degli attuali consumi. In questo senso, l’UE è all’avanguardia (cfr impegni) Ma secondo lo scenario più credibile prodotto dalla International Energy Agency (Iea), per mantenere il riscaldamento entro i due gradi dovremmo cominciare subito a smantellare impianti già in funzione, cosa altamente improbabile. È dunque realistico che si debba convivere nei prossimi decenni con un aumento non di due ma almeno di tre o quattro gradi. E allora ecco che si rende necessario il secondo tipo di comportamenti, detto ADAPTATION. Un approccio basato su un semplice assunto:
… un approccio basato su un semplice assunto: che il clima sta GIÀ cambiando. Con conseguenze rilevanti sulla sicurezza delle città e sullo spostamento di grandi masse di popolazione. Nel 2009 la CIA ha aperto un Centro sul cambiamento climatico e la sicurezza nazionale, per misurare «l'impatto sulla sicurezza nazionale di fenomeni come la desertificazione, innalzamento dei mari, spostamenti di popolazione e maggiore concorrenza per le risorse naturali». Bisogna dunque prepararsi a gestire le conseguenze di questo cambiamento. Investendo molto denaro. Un esempio? L’Olanda, che da secoli combatte contro il mare, è all’avanguardia negli studi sulla gestione delle acque. Lo State Committee for Durable Coast Development ha dato il suo più recente responso nel 2008: il Mare del Nord potrebbe salire da 65 a 130 centimetri entro il 2100. Tra i suggerimenti c’è quello di rafforzare le dighe, allargare le coste con riempimenti di sabbia, usare i laghi del sudovest del Paese come bacini di compensazione e innalzare il livello dei bacini di acqua dolce, per evitare che venga contaminata. Costo previsto: cento dollari all’anno per ciascun cittadino. Per cent’anni.
La quarta sfida è l’energia. Un tema legato al cambiamento climatico La produzione di energia è infatti una tra le cause delle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera, insieme ad altre importanti attività umane: gli allevamenti di bovini – e i gas che ne derivano – giocano un ruolo rilevante e destinato a crescere; ma ci sono anche i trasporti, soprattutto quelli che si servono di combustibili fossili, e le grandi industrie – acciaierie, cementifici, stabilimenti chimici e manifatturieri. L’anidride carbonica (CO2) è uno dei principali responsabili del mutamento climatico. Ci sono già stati dei miglioramenti, sia nel mix energetico, sia nelle tecnologie: mentre dal 1990 al 2008, come abbiamo visto, il consumo di energia è aumentato di quasi il 70 per cento, le emissioni di anidride carbonica che ne derivano sono cresciute solo del 40 per cento.
Secondo gli scenari della International Energy Agency, da oggi al 2035 l’umanità consumerà sempre più energia (+35% nel NPS), nonostante le misure di risparmio, a causa dell’impennata del fabbisogno dei Paesi emergenti. (Che costituiranno il 72% della domanda nel 2035) I grafici sono complessi, e mostrano il consumo di energia per tipo di fonte e per regione geografica. Due sono gli elementi da ricordarsi: Che i combustibili fossili resteranno dominanti: dall’81 al 75% nel NPS Che l’aumento del consumo di energia sarà localizzato tutto nei paesi emergenti
Il problema non è quello della disponibilità di idrocarburi. Come vedete dal grafico, ne restano ancora per molti decenni, considerando anche fonti futuribili come gli idrati di metanoil cosiddetto picco di Hubbert, spauracchio della crisi petrolifera degli anni 70, non sarà un problema.
Il problema è che i combustibili fossili avranno prezzi più alti e volatili, a causa delle nuove tecnologie necessarie per sfruttare i nuovi giacimenti, continueranno a creare instabilità geopolitica, e soprattutto contiunueranno a produrre CO2.
L’elettricità è un motore straordinario di crescita e prosperità. Purtroppo, come evidenziato dalla IEA (l’Agenzia Internazionale dell’Energia), 1,5 miliardi di persone nel mondo non hanno accesso all’elettricità e un altro miliardo di persone subisce frequenti interruzioni di corrente . Ciò rappresenta uno dei maggiori ostacoli alla diminuzione della povertà e al raggiungimento degli Obiettivi del Millennio delle Nazioni Unite. L’energia può aumentare la produzione industriale e agricola, creare lavoro, migliorare l’educazione e l’assistenza sanitaria e aprire nuove opportunità di sviluppo per tutti. Per fronteggiare questa sfida, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon ha dedicato l’anno 2012 alla lotta alla povertà energetica, dichiarandolo “Anno Internazionale dell’Energia Sostenibile per tutti”. Enel sta già promuovendo l’accesso all’elettricità attraverso numerosi progetti per garantire energia dove non era disponibile, con due target: persone che vivono in zone isolate e comunità svantaggiate delle aree periferiche, rurali e suburbane. Il nostro contributo vuole assicurare un nuovo tipo di diritto universale: il diritto alla luce. Per questo stiamo lanciando il programma “Enabling Electricity”, I progetti di Enabling Electricity hanno già garantito l’accesso all’elettricità a un milione di persone, ed Enel si è impegnata all’Assemblea Generale dell’Onu a raddoppiare questo numero nei prossimi tre anni.
Quattro sfide dunque…
Ma il libro non è catastrofista. Per questo non ci siamo limitati ad analizzare le minacce, partendo dallo studio di Beddington. Abbiamo anche cercato di non ci siamo limitati ad analizzare le risposte che l’umanità può dare. Esse provengono essenzialmente da quattro ambiti: Tecnologia Governance Comunicazione Comportamenti individuali Passiamoli in rassegna un po’ più in dettaglio
Partiamo dalla tecnologia, con un focus sull’energia, che è il mio ambito di vita quotidiana.
Sulla tecnologia, sono numerosissimi gli ambiti di sviluppo che possono dare risposte importanti e inattese ai nostri problemi. Pensate alla Genetica, alla Robotica, all’informatica e alle nanotecnologie. Oggi menzionerò solo uno spicchio – per quanto importante – dell’avanzamento tecnologico che l’uomo può mettere in campo per rispondere alla tempesta perfetta: la tecnologia applicata al mondo dell’energia. Abbiamo visto nascere, e ne vedremo di più nel futuro, moltissime tecniche di generazione di energia più pulite e non sempre dipendenti dagli idrocarburi: Pulizia delle fonti tradizionali con Cattura e sequestro della CO2 Solare termodinamico Idrogeno Maree Vento
Infine, pensate a quale impatto sulle emission di CO2 e inquinanti, ma anche sulla vivibilità delle città, potrebbe avere la diffusione su larga scala di autovetture elettriche. 50% risparmio energetico Azzeramento rumori Azzeramento inquinanti locali (PM10, ossidi di azoto, idrocarburi incombusti, ossido di carbonio) 50% abbattimento emissioni di CO2
La seconda risposta che abbiamo a disposizione per rispondere a sfide così complesse è la governance politica internazionale, che deve evolversi in risposta a condizioni nuove e in rapido mutamento. Nuovi Paesi, che solo 15 anni fa erano ai margini della politica internazionale, entrano nella cabina di comando della politica internazionale: India, Cina Brasile…
Il sorgere di nuovi attori ha cause economiche evidenti. Innanzitutto il “sud” del mondo cresce ormai a ritmi più rapidi del nord sviluppato… Guardate questo grafico con la crescita del PIL nel mondo. In verde sono I Paesi che crescono: sono tutti paesi del sud del mondo.
… non è solo una questione di velocità di crescita, ma anche di grandezza economica. Il sud del mondo non costituisce più solo un piccolo pezzo dell’economia mondiale. Se togliamo dal computo i primi 11 Paesi per PIL (tutti occidentali tranne la Cina), ci accorgiamo che il resto del mondo produce la metà del PIL globale. E non può più rimanere ai margini.
(occhio all’animazione) Non basta però aggiungere nuovi Paesi al tavolo dei Grandi, passando da G8 a G20. E non serve neppure restringere le decisioni a un G3 informale tra USA Cina ed Europa, come suggerito da alcuni osservatori. Non funziona nemmeno l’asse a due USA CINA. Forse è proprio il metodo puramente intergovernativo a non essere più sufficiente.
Serve quella che il giovane politologo americano Paragh Khanna ha definito “una nuova diplomazia” che coinvolge, in forma variabile, organizzazioni internazionali, raggruppamenti regionali, associazioni, organizzazioni non governative, grandi imprese.
Secondo il Necsi di Cambridge (Usa), quando il Food Price Index della Fao supera quota 220 aumentano le rivoluzioni nel mondo (vedi “primavera araba”). E l’indice ha ricominciato a salire.
La terza risposta è nella comunicazione.
Proprio una comunicazione che sappia evolversi e tenere il passo delle innovazioni tecnologiche e sociali potrà essere il fattore abilitante del cambiamento , in grado di costruire la fiducia e di compattare i cittadini attorno alle scelte difficili ma necessarie che ci attendono. Il progresso tecnologico ha portato a un’evoluzione rapidissima e per certi versi inattesa del mondo della comunicazione : multicanalità, piattaforme alternative, linguaggi inediti hanno reso il consumo e la produzione di informazioni sempre più sofisticati e al contempo più accessibili ed efficaci.
Il mondo dell’informazione ha cambiato pelle rapidamente, sotto i nostri occhi. Siamo entrati nell’era dell’abbondanza di informazioni, come spiega Eric Schmidt di Google: l’Università di San Diego ha stimato che ogni statunitense – ma il dato è verosimile anche per l’occidentale medio – consuma 34 gigabyte di informazione al giorno. E ci impiega 11,6 ore per smaltirla. In pochi anni abbiamo assistito un ribaltamento: da un modello con pochi centri di produzione e moltissimi di fruizione delle informazioni, siamo entrati in un modello più orizzontale e partecipativo , in cui tutti possono produrre notizie e ciascuno è una cassa di risonanza per la circolazione delle informazioni. Un modello in cui imprese, istituzioni pubbliche, organizzazioni, attori sociali, gruppi e movimenti, singoli individui sono tutti interconnessi , interdipendenti , e ciascuno è potenzialmente un protagonista della comunicazione. E, per citare l’ex spin doctor di Tony Blair, Alastair Campbell, nel nuovo mondo dell’informazione “ non puoi più controllare gli stakeholder . Ciò che puoi fare è controllare te stesso, chi sei, cosa dici, come lo dici, come ti rapporti con la gente ” .
Cambia dunque radicalmente le modalità di creazione della reputazione e di costruzione del consenso , che devono basarsi su parole d’ordine nuove: non più verticalità - immagine - controllo, ma orizzontalità - interazione - condivisione . Il cambiamento non riguarda solo le aziende, ma ogni ambito della comunicazione pubblica; essa non ha più come emittenti gli attori tradizionali – partiti, sindacati, aziende – né come strumenti quelli consueti – televisioni, giornali, cinema. Se volessimo distillare in un unico termini la ricetta della comunicazione del nuovo millennio, il risultato forse sarebbe nella parola “ accountability ”
Accountability . Un termine inglese cui non rende merito la semplice traduzione italiana in “responsabilità”, e che implica anche capacità di dialogo, rendicontazione, attenzione alla comunità, affidabilità . Sono proprio queste le caratteristiche richieste alla comunicazione, in tempi di tempesta globale, per permettere a cittadini, aziende e politici di fare le giuste scelte e di attuarle con tempismo e decisione. Essere accountable richiede trasparenza, condivisione, capacità di dialogare in con tutti gli stakeholder, e di rendere conto ad essi di tutte le decisioni. A questo scopo gli strumenti di reporting sono essenziali: la qualità dell’attività di rendicontazione che le grandi multinazionali come Enel hanno imparato ad utilizzare costituisce una buona pratica a cui anche i governi dovrebbero ispirarsi. Rendere aperti, disponibili ed elaborabili i dati relativi al proprio operato – si tratti del business di un’azienda e delle policy di una amministrazione pubblica – è un passo enorme verso l’ accountability e verso l ’ inclusione di tutti gli stakeholders nelle grandi decisioni. Perché solo una comunicazione responsabile , sensibile ed inclusiva può permettere di costruire il consenso di tutti verso le grandi decisioni necessarie per superare indenni il crocevia del 2030. Tenendo sempre a mente che, come sostiene il Sommo Pontefice nell’enciclica “ caritas in veritate ” , “ il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l'uomo, la persona, nella sua integrità: L'uomo infatti è l'autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale ”
E arriviamo alla quarta soluzione, che è costituita proprio dai comportamenti individuali
Se si digita su google “ sustainable living ” si trovano quasi 100 milioni di risultati. E ci sono nel mondo più di un milione, forse anche due, di organizzazioni che operano per la sostenibilità ecologica e la giustizia sociale. Questo movimento non corrisponde ai modelli tradizionali. È frammentato, non organizzato e orgogliosamente indipendente. Nessun manifesto o dottrina, nessuna autorità che eserciti un controllo. Prende forma in scuole, fattorie, giungle, villaggi, aziende, deserti, aree di pesca, slum, persino negli alberghi di lusso di New York.
Insomma, ci troviamo di fronte a un movimento ancora confuso nelle priorità e negli obiettivi, ma certamente possente, forse senza precedenti nella storia dell’umanità per la quantità di persone che coinvolge. Valorizzare al meglio questa grande mobilitazione, tenerne conto sempre più nelle scelte politiche, costruire sinergie col mondo delle imprese e con l’economia di mercato è un passaggio indispensabile per affrontare la tempesta perfetta