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Pedagogia dei luoghi
Distretto Formante e Comunità Formativa
Gabriele Righetto
CENTRO DI ECOLOGIA UMANA Università di Padova
Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 1/4
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PEDAGOGIA DEI LUOGHI
Distretto Formante e Comunità Formativa
Indice
Comunità Formativa
• Saperi specialistici e saperi coordinati
• Episodi e durata
• Ruolo nella durata
• Tradizione/tradimento
• Tradizione selettiva
• Esplorativo-costruttivi: cerebrocentrici e ambientocentrici.
• Affacciarsi di scenari
• Antropocentrismo
• I presentofili
• Glocali e biodigitali
• Sit-territorialità
• Finalità della Comunità Formativa
Distretto Formante
• Condizione di appartenenza
• Territorialità Prossemichi
• Luoghi e siti
• Caring
• Coordinamento delle azioni formative
• Condizione Glocale
• Condizione Biodigitale
• Partecipazione a Web Community
Appendice
La pedagogia dei luoghi, ossia dell’esserci e dell’appartenere
• Glocalismo
• Senso di appartenenza
o Esserci e appartenere
• Pre-segni e i Segni
o Memoria e immaginazione
o Progettualità
o I segni deboli (mode affioranti, trend, movimenti culturali, paradigmi, progetti,
aspettative e supposizioni)
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• Ecologia formativa e cooperazione dei saperi
• Le 5 E
• Luoghi e siti
• La culla troppo stretta
• Cultura progettuale
• Caring ed etica socioambientale
• Corridoi ecologici
• Impronta ecologica
• Urbanistica precoce o “bambina”
Distretto Formante e la Pedagogia dei
luoghi per una Comunità Formativa
Verso un lessico della Pedagogia dei Luoghi
Gabriele Righetto1
righetto.g@libero.it
Comunità Formativa
La comunità formativa è un’organizzazione plurale, ossia una realtà tecnosociale
che tenta di promuovere i processi di apprendimento, socializzazione, vita
comunitaria, di individui ed enti, che mirano ad attivare una condizione
consapevole, progettuale, responsabile e operativa in grado di agire nella realtà
attuale e nei contesti ambientali come attualmente si presentano, per garantire
un presente vivibile e godibile, non compromettendo la condizione esistenziale
perché possa proiettarsi nel futuro, senza ledere il mantenimento, migliorabilità e
sostenibilità dell’ambiente locale e planetario. Anzi incrementando la qualità
dell’assetto.
La CF è’ essenzialmente una comunità progettuale che agisce in alcuni luoghi,
recepisce il patrimonio acquisito dalle generazioni precedenti e opera per un
assetto migliorativo per sè e per quanti si aprono alle prospettive future,
aumentando le condizioni di relazioni e interconnessioni.
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Centro di Ecologia Umana – Università di Padova
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La Comunità Formativa è tipica delle società complesse e in particolare di
quella biodigitale, in cui nessun attore sociale è in grado di gestire in proprio tutto
un processo e può proporsi come autocrate.2
Ma deve governare interdipendenze
e collaborazioni con altri attori sociali.
In società complesse e avanzate molti partecipano alla conduzione di un processo
e i risultati sono tanto più efficaci quanto più vi è comunanza di obiettivi e
progetto. Questo avviene (o dovrebbe avvenire) anche per i processi formativi.
Le specializzazioni sono tutte efficaci, ma ad alto carattere di incompletezza.
Anche la scuola diventa campo di specializzazione non bastante a se stessa per
quanto essa si ponga in posizione e pratica di apertura interdisciplinare ed
ecosistemica, per cui è opportuno essa ricorra ad una azione di partnership
composita in un team di attori formativi.
Saperi specialistici e saperi coordinati
Una scuola che pensasse ancora di essere la fonte unica ed esclusiva della
formazione, non solo sarebbe penosamente in autoreferenza, ma si esporrebbe ad
una decadenza grave e forse irreversibile.
Grave perché non in grado di svolgere il suo nuovo ruolo che è più di mediazione
tra attori formativi che di trasmissione di saperi già dati e precostituiti che essa
non possiede in maniera esaustiva.
Ma corre anche il pericolo di decadenza irreversibile, perché se i settori formativi
mirati sulla contemporaneità vengono tutti gestiti da altri, essa perde un proprio
know-how e dipende in modo massiccio da fattori esterni e non è più in grado di
svolgere il ruolo più richiesto nella società biodigitale che è quello del
coordinamento.
Tutti gli attori sociali che possono assumere valenze formative devono in qualche
modo collegarsi fra loro, promuovendo un’azione concordata, secondo una
comune apertura all’evolvente. In ciò la CF nel suo complesso è
autoapprendente continua, perché i processi cognitivi di apprendimento e
socializzazione sono in una situazione strutturalmente aperta.
2
Il riferimento alla Ragione Limitata di H.Simon è sicuramente utile e può essere fonte per ricercare opportune strategie
operative, volgendo la prospettiva nella più aggiornata concezione del ‘lavoratori della conoscenza’ e della cultura di team.
Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 4/4
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Episodi e durata. Chi è portatore di sapere specialistico esprime un ruolo forte
negli episodi, chi gestisce la capacità di coordinare team esprime un ruolo nella
durata.
La scuola può svolgere un ruolo di team continuativo e quindi di coordinamento,
un ruolo importante per i lavoratori della conoscenza.3
Nelle società complesse le organizzazioni resistono se sono in grado di svolgere
un ruolo, se cioè sono portatrici di gestione di competenze ed operatività ed
esistono strati sociali che si rivolgono ad esse per godere dell’accesso alle
competenze specifiche e ottenere l’acquisizione di operatività ritenute utili,
interessanti, evolutive e gratificanti.
Ruolo nella durata. Le organizzazioni che svolgono un ruolo nella durata si
trovano in una posizione più difficile, perché dovrebbero garantire che i
cambiamenti sociali annunciati o altamente probabili non rendano vana l’azione
orientata sulla durata (specie quando si coglie che la persistenza di conoscenze e
comportamenti è molto limitata).
Solitamente le organizzazioni che svolgono un ruolo nella durata (e la scuola è
una di queste) hanno sempre puntato sulle strategie del valore della ‘tradizione’.
Tradizione/tradimento. Ora la parola ‘tradizione’ è una parola ambigua, infatti
significa ‘tradere’, ossia consegnare, vale a dire passare da un soggetto ad un
altro o da più soggetti ad altri soggetti.
Se tutta l’esperienza fosse costituita da quello che si è già fatto nelle generazioni
precedenti, allora l’azione formativa potrebbe coincidere con l’atto della
tradizione, ossia della consegna del patrimonio precedente alle nuove generazioni.
Il che implica anche che i mutamenti tra una generazione e l’altra siano modesti o
addirittura quasi nulli e che la generazione adulta sia in grado di assistere ai
piccoli nuovi cambiamenti e farli propri per cui è possibile trasmettere alle nuove
generazioni anche il piccolo bagaglio della propria ‘tradizione’.
Ma se le nuove generazioni assistono a cambiamenti rapidi e radicali che le
generazioni adulte non interpretano e guidano (o addirittura non capiscono)
diventa fondamentale non consegnare ma pre-vedere e interpretare e liberarsi da
3
F.BUTERA E ALTRI (1997)
I lavoratori della conoscenza. Tecnologia, organizzazione e persone
Milano, Franco Angeli ed.
Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 5/4
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bagagli conoscitivi obsoleti. In tale condizione almeno una parte della tradizione
diventa un dis-valore.
E qui affiora l’altro polo dell’ambivalenza della parola tradizione che confina,
anzi etimologicamente dà esito al termine tradimento, ossia consegnare
impropriamente o illegittimamente.
Se si continua a consegnare quello che non ha senso o valore, allora non si
‘consegna’, ma si tradisce.
In periodi di grandi cambiamenti e di repentine obsolescenze si pone la questione
della tradizione selettiva e dell’affacciamento agli scenari. La generazione adulta
passa dalla condizione di generazione formata (secondo una tradizione) a quella
di generazione in formazione (aperta ad apprendimenti imprevedibili).
La tradizione selettiva si pone in modo critico il problema del paradigma culturale
tramontato che nel nostro caso è l’industrialismo.4
E’ ormai molto maturo il momento in cui bisogna porsi il problema di quale
tradizione si voglia veicolare, perché comunque di una tradizione bisogna
occuparsi per dar senso all’identità della specie a cui apparteniamo.
Questo comporta consapevolezza dell’identità temporale e spaziale.
La temporalità classica costituisce un artificio, come tutte le categorizzazioni
storiche che privilegiano “una” storia, in contesto glocale però l’enfasi delle sole
componenti greco-latine e giudaicocristiane risultano troppo particolaristiche e
settoriali.
4
Esso è nato nel 700, ma ha raggiunto l’egemonia nell’800 e pertanto ha fatto della cultura
dell’800 l’asse portante della sua identità. I sistemi formativi sono affetti da pleonasmi
ottocenteschi e da enormi difficoltà ad interpretare il patrimonio del 900 che in non pochi casi
è vissuto come il secolo della crisi dei valori dell’800. Certo in termini di industrialismo il 900
è un tramonto, ma in termini di società biodigitale esso è il tempo dell’alba, per questo siamo
stati in presenza di reticenze e censure novecentesche e il 900 è un secolo educativamente
negato.
L’800 va drasticamente ridimensionato passandolo a categoria storica e non a categoria
valoriale, mentre il 900 non è da interpretare come un 800 torbido e declinante, ma un
biodigitale nascente con dimensioni glocali, con tutte le aperture entusiasmanti e le
inquietudini pesanti che questo comporta.
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Intanto perchè sono eccessivamente alfanumeriche e poggiano sul primato del
libro, mentre la nostra specie è emersa anche attraverso le grandi azioni
dell’esplorare e del costruire. Mentre il libro è cerebrocentrico e
verbalocentrico, l’esplorare e il costruire sono ambientocentrici.
Per questo occorre temporalmente recuperare la coscienza che ci proviene dalle
vicende delle persone paleolitiche fino al rinascimento neolitico dopo di che
inizia la civiltà urbana in piena postglaciazione a cui apparteniamo tutti.
La dimensione dell’esplorare e del costruire enfatizzano la caratteristica
immaginaria della specie che sa spingersi nell’oltre, cioè verso ciò che non è
ancora conosciuto, ma lo immagina come possibile. Inoltre la specie si spinge a
realizzare oggetti e contesti che non sarebbero mai esistiti senza l’azione delle
persone, le quali hanno tradotto atti immaginari in atti costruttivi.
Esplorativo-costruttivi: cerebrocentrici e ambientocentrici. La chiave
interpretativa di tipo esplorativo-costruttivo spinge a cogliere diversamente anche
le culture greco-latina e giudaico-cristiana vedendole non solo sotto la luce del
libro. C’è bisogno di superare un limitante bibliocentrismo per avvicinarsi ad una
maggiore competenza per le culture dell’interpretazione e dell’ azione congiunte
alla costruzione.
Tutto questo comporta anche la rivisitazione dell’identità spaziale che non può più
essere atlantoide (eurocentrica + europeismo traslato in contesto americano), ma
deve volgersi ad una visione planetaria della specie. Tale situazione implica
immettere nella formazione di base l’apporto di elementi spaziali e culturali che
riguardino in modo significativo il mondo asiatico, africano, australiano e
polinesiano, compresi gli spazi dei ghiacci.
Poiché tale insieme è troppo vasto e ingestibile occorre introdurre una forte
strategia di selezione che ridefinisca il tema della tradizione che da atlantoide
Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 7/4
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possa proporsi come accordo di comunanza culturale di tipo planetario5
,
consona all’esigenza di consapevolezza del chi siamo e da dove veniamo.
Ben diverso è il problema del dove andiamo. Qui anche la tradizione selettiva
non basta.
Affacciarsi di scenari. Negli ultimi 50-80 anni sono avvenuti alcuni cambiamenti
così radicali in termini di rapporti spazio-temporali e di stili di vita che la
tradizione non costituisce una fonte adeguata ad orientare gli scenari futuri. Si
pone una domanda esplicita di formazione e acquisizione di competenze per
l’affacciarsi di scenari.
Nella storia è sempre esploso l’inaspettato e quindi la necessità di adattarsi a
situazioni nuove. Ma nelle epoche pre-biodigitali non esistevano degli
acceleratori cognitivi e spaziotemporali6
come sono le telecomunicazioni, i
trasporti aerei e di mezzi meccanici semoventi veloci e le forme robotizzate e
automatizzate di lavoro topico o telelavorante. Di fronte a queste mutazioni
profonde la tradizione non può esercitare il suo ruolo, ossia compiere l’azione
della ‘consegna’, perché non può consegnare quello che non ha.
I cambiamenti non dotati di connessione forte e possibile con la tradizione, sono
ad alto rischio, perché faticano a gestire le conseguenze e gli effetti nel tempo e
nello spazio futuri.
5
Una attività può essere quella di un lavoro antologico (antologia intesa come raccolta di ‘fiori’
ossia eccellenze prodotte, non solo selezioni librarie) che integri le eccellenze esplorative,
costruttive e comunicative più significative delle vicende del pianeta. Lavoro difficile perché deve far
regredire ogni centralismo di parte (e quindi porre in sordina molti aspetti delle singole culture) e
mettere in evidenza fatti, eventi, percorsi, strategie che hanno aperto piste molteplici e significative per
il glocalismo. Non è questa la sede per elaborare una sintesi in grado di connettere le pitture rupestri di
Altamira con le preistoria pechinese e indiana, le esplorazioni spaziali con la muraglia cinese; Machu
Pichu con l’architettura lignea tribale dei nativi africani, Confucio e Dante, la pittura buddista con
Giotto, la medicina delle staminali con la medicina fitoterapeutica delle Ande, il Taj Mahal e
Teotihuacan, l’agopuntura e la microchirurgia, ecc. Sarà un’impresa difficile ma necessaria, purché
non si traduca in un enciclopedismo da magazzino, ma sia orientata da un’idea integrativa che serva al
riconoscimento della condizione glocale e biodigitale come condizione che riguarda tutte le persone
del periodo storico con le spazialità condivise coinvolte nell’attuale fase in cui ci troviamo.
6
Tutte le volte che si è affacciato un cambio di paradigma culturale e comportamentale in genere si sono
affacciati anche acceleratori cognitivi e spaziotemporali, tali sono stati la ruota, l’evoluzione dei natanti, la
pittura rupestre, la scrittura, la convergenza linguistica in lingue koinè, la rete dei trasporti, la cartografia, la
stampa, ecc.
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Mentre nella dinamica della tradizione il futuro è vissuto congruente ad una
esplicita dose di continuità con il passato-presente, nella dinamica dell’età
biodigitale e glocale il blocco da gestire è il presente-futuro con deciso senso
dell’attesa e della serendipità, con il passato posto in funzione di sedimentazione
di avventure complesse e plurime già vissute e quindi come luogo-tempo a cui
attingere il patrimonio delle diversità e la propensione al mutante possibile, luogo
degli atteggiamenti, non delle conoscenze e competenze irrinunciabili. Il passato
perde una vocazione all’interpretazione normativa e vincolante, mentre assume un
ruolo suggestivo.
Ecco allora che per l’affacciamento di scenari si fanno necessarie alcune
strategie specifiche che potremmo sintetizzare in:
- sviluppo di una cultura della progettazione,
- pedagogia dei luoghi, contesto della conoscenza e dell’immaginazione
- pratiche di sostenibilità, tutela ed innovazione
- sviluppo della concezione e pratica coerente di impronta ecologica
- formazione al valore dello stupore
- ricerca dello stupore con propensione alla serendipità
- rilevanza dei segnali deboli e agli affioramenti
- cultura del confine e del limite
- cultura delle nuove socialità glocali7
Come chi si riferisce solo alla tradizione risulta prigioniero del passato e cieco
alle prospettive future, così chi vive nell’eterno presente e non prefigura, progetta,
gestisce il passaggio a cambiamenti voluti o governati, vive in un flusso in cui è
immerso e di cui non coglie né il senso e la direzione né tenta di attribuire
significato, né avverte i propri limiti e in che modo metta in gioco l’esistenza e la
trasferibilità delle risorse nel futuro.
Si tratta di persone prigioniere dell’esistente, ma anche sfruttatrici di quello che
c’è, galleggianti mobili senza conoscenza alcuna delle correnti e dei moti di
dimensioni vaste.
Antropocentrismo. In entrambi i casi si afferma poi la deformazione
dell’antropocentrismo, ossia l’illusione che esista solo quello che l’uomo
7
parte di queste questioni sono trattate nell’appendice più attenta alle questioni della Pedagogia dei luoghi
Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 9/4
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individua e gestisce, in un mastodontico autoinganno di confusione tra conosciuto
e reale. Per coloro che sono afferenti solo alla tradizione la condizione umana è
concepita come primaria fondata sulla storia, mentre per i presentofili essa è
primaria su tutto ciò che attualmente esiste e affiora come spettacolo sempre
fluente che continuerà incessante nel suo gioco finché le persone umane lo
attiveranno e sostenteranno come gioco. La storia è finita, la sua struttura si è
stabilizzata, ora gioca solo con le varianti interne.
L’antropocentrismo nega la cospicua esistenza del diverso dall’umano, il pianeta
innanzitutto con i suoi forse 30 milioni di specie viventi mobili sulla pellicola
superficiale, quindi l’antropocentrismo elude la dimensione geologica articolata in
aria, acqua, gas, forme energetiche espressa nei chilometrici spessori perigei ed
endogei, a loro volta minuscoli rispetto alla dimensione immisurata dell’insieme
delle galassie e del cosmo.
Certamente gli ecoumani non devono naufragare nello sconfinato in maniera
autodistruttiva, ma devono calibrare le due dimensioni sperequante
dell’antropocentrismo e dello spazialismo nel quale non è concepibile neppure
un’accezione dotata di centralità qualsiasi. La tradizione stessa, rispetto allo
spazialismo, si autoattribuisce una rilevanza che se enfatizzata diventa soltanto
ridicola. Il più della storia deve probabilmente ancora accadere. Dove il
probabilmente è un cautelativo dalla dimensione nanometrica.
Galleggiamo attivamente in un minuscolo guscio di tradizione e in un potenziale
indeterminato mondo di esplorazione e immaginazione.
Glocali e biodigitali. Essere glocali e biodigitali può inoltre comportare lo
sviluppo di coscienza per quanto s’è appena detto, senza risultarne paralizzati. Gli
ecoumani lavorano e vivono proficuamente se agiscono conoscendo i loro limiti
storici e spaziali e operano per valicarli acquisendo nuove conoscenze e
operatività sostenibili.
La Comunità Formativa, aspetto tecnosociale della nostra contemporaneità, è
costituita dall’insieme delle persone e degli enti che si sono dati lo scopo di
gestire la condizione ecoumana attuale sia nelle sue accezioni biodigitali che in
quelle glocali.
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Essa costituisce il fenomeno sociale articolato e complesso che agisce in una
territorialità ambientale e digitale di propria specifica competenza.
Sit-territorialità. La relazionalità spaziale di una Comunità Formativa risente
delle condizioni biodigitali. Essa agisce in una parte ben individuata del pianeta,
anzi in una regione circoscritta del Pianeta in cui è Abitante, ma ha attivato una
serie di relazioni ampie a livello di territorialità estesa e planetarietà facendo
ricorso ad un uso evoluto di mobilità, trasporti e reti telematiche. E’ quindi in
condizione di concepirsi sia come un insieme organizzato di luoghi coordinati,
sia come una rete di connessione di siti. In questo senso la comunità Formante
opera in una Sit-territorialità.
(Territorio + Sitalità = Sit-territorialità)
Nella Sit-territorialità, dimensione reale e virtuale, si esprime, agisce, valuta,
opera, immagina una Comunità Formativa Integrata.
Una Comunità Formativa esprime una concezione educativo-pedagogica che si è
liberata dalla stereotipia scolastica e concepisce il mondo degli apprendimenti e
delle socializzazioni come insieme dinamico in cui gli attori sociali vanno ben al
di là delle organizzazioni scolastiche e dei processi legati all’età evolutiva.
Essa esprime una progettualità coordinata e concertata tra i principali attori sociali
protagonisti in un territorio in cui
- i processi gestionali,
- progettuali
- produttivi
- sociali
- manutentivi e tutelatori
- evolutivi, trasformatori e sostenibili
Tali processi avvengono in un ambito territoriale e sit-territoriale di forte
- convergenza
- ricorrenza
- interdipendenza
- coevoluzione
- coprogettazione
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- comunanza culturale.
-
Sono presenti almeno alcuni attori sociali primari:
- le Amministrazioni Locali e i Coordinamenti Territoriali di sussidiarità
diretta (ULSS, Asl, Comunità Montane e similari, Province, Regione)
- le organizzazioni scolastiche (comprese le organizzazione territoriali estese
come le Direzioni scolastiche Regionali)
- le Imprese afferenti al territorio di riferimento
- le organizzazioni Terziarie organizzate nel suddetto ambito territoriale
- l’associazionismo e volontariato locale
- le libere professioni e le libere intellettualità locali
- ecc.
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Finalità della Comunità Formativa.
La Comunità Formativa operante nel proprio Distretto Formante affronta
problemi e questioni nodali:
• educare le nuove generazioni alle prospettive future in cui esse possano
esprimere le loro competenze e responsabilità una volta raggiunta la
condizione autonoma e responsabile
• progettare ed organizzare sistemi formativi continui per impedire che le
generazioni adulte subiscano processi cognitivi e comportamentali
regressivi e siano inadeguate ad un ruolo attivo, aggiornato e competente
all’evoluzione sociale, culturale, tecnologica, ambientale ed economica.
• Conoscere il disagio sociale e del fenomeno dei borderlines e dei disabili,
promuovere forme di contenimento, gestione e superamento dello stesso
(case lavoro, inserimento lavorativo con appoggio, residenze integrate e
dell’autonomia, botteghe solidali).
• Tutelare e valorizzare il patrimonio ambientale nelle sue componenti
essenziali (naturalistiche, storico-artistiche, beni culturali tecnologici,
patrimonio socioculturale delle comunità insediate, reti mussali, patrimonio
architettonico-urbanistico).
• Valorizzare la rete economica e produttiva in un quadro di innovazione e
sostenibilità.
• Promuovere la Sit-territorialità:
o Socialità ambientale e territoriale (metafora della piazza reale)
o Socialità digitale (metafora del cortile telematico).
• declinare le 5 E della Comunità Formante:
o Ecologia
o Economia
o Etica
o Estetica
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o Educazione
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DISTRETTO FORMANTE
Il Distretto Formante è una proposta organizzativo-territoriale conseguente ad
una visione glocale. E’ un’organizzazione spaziale e culturale con finalità di
promozione per figure evolute di abitanti biodigitali e glocali. E’ una
territorialità che interessa tutti i cittadini.
Le persone oggi manifestano una mobilità spesso assai ampia e si spostano con
facilità per centinaia e migliaia di chilometri. Però nella vita quotidiana si
comportano per lo più come stanziali e fortemente collegati ad alcuni luoghi di
riferimento.
E’ in questi che si manifesta l’insieme delle azioni di vita di tipo individuale e
sociale.
Vi sono alcune dimensioni che riguardano la mobilità prossima riconoscibili
nelle pratiche e gestioni degli intorni.
Gli intorni più significativi riguardano:
• la residenza-abitazione
• i luoghi di attività sociale (lavoro, studio, esercizio di attività rivolta a quanti
riconoscono l’espletazione di un ruolo)
• luoghi di attività ricreativa
• luoghi dedicati al reperimento di servizi e consumo
Questi intorni si manifestano in spazialità che stanno di norma tra i 300 metri e 1
km e mezzo di distanza. Quando si va oltre questa dimensione avviene una
transizione, per lo più supportata da un mezzo meccanico e allora le distanze
degli intorni si situano nella dimensione di 5-7 km.
Se le direzioni interessate sono speculari rispetto ad un nodo di riferimento e si
configurano radiocentriche allora la distanza tra punti estremi giunge a spazialità
dislocate fino a 15 km.
Tutto ciò avviene all’interno di una articolazione di spazialità definibile come
distretto.
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Distretto. Nel concreto il distretto è formato da 3-4 o più paesi fra loro prossimi o
collegati, oppure è dato da alcuni rioni o quartieri urbani che formino fra loro
un’unità territoriale riconoscibile e dove si manifestano delle interdipendenze
significative.
Anche la quantità di popolazione è circoscritta e sta mediamente tra le 30 e le 50
mila unità.
Un distretto esprime una condizione di appartenenza, ossia esprime
• spazialità organizzata per centralità collegate,
• percezione di alcuni confini oltre i quali l’identità si sfuma,
• ambiti intesi come patrimonio ambientale specifico e riconoscibile in quanto
tessuto socioambientale complessivo (più o meno in condizioni accettabili)
• insediamenti produttivi che connotano la dinamica economica e occupazionale
sia relativa al campo della trasformazione dei materiali e delle forme
manageriali e organizzative, sia all’azione trasformativa e produttiva del suolo
riferite ad attività specifiche di tipo agrario e di allevamento.
• presenza di istituzioni che governano tale territorio identitario per il quale
forniscono e organizzano servizi
• organizzazione degli insediamenti con la presenza più o meno avanzata di
impianti urbanistici
• godimento di beni culturali e ambientali mediante i quali si simbolizza
l’identità e l’eccellenza dei luoghi
• azione di gruppi territoriali, sociali e culturali che tengono vivo il dibattito fra
gli abitanti, danno senso di rappresentanza organizzata, stimolano interventi
migliorativi o manutentivi del territorio e sostengono la partecipazione
• promozione di sistemi formativi scolastici e di altra natura che vitalizzano lo
stato delle conoscenze e competenze operanti nelle varie fasce di età della
popolazione mirando ad una condizione alta, evolutiva, competente,
responsabile, aperta all’innovazione e alla tutela e mantenimento delle pre-
esistenze, declinata sia intermini di esercizio di memoria che di progettazione
e gestione, orientata a sviluppare scenari e sistemi simbolici tali da sostenere le
motivazioni individuali e sociali.
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Tutte queste componenti e dinamiche contribuiscono a definire la Territorialità del
Distretto Formante che in quanto caratterizzata da vicinanze, contiguità e
compresenze è riconoscibile anche come Territorialità Prossemica.
Esso è una realtà così complessa da abbisognare di una costante cura per
l’evoluzione cognitiva, comportamentale, operazionale, emozionale, simbolica,
partecipativa. ossia richiede una formazione mirata su problemi specifici e tale da
conseguire una strategia di formazione continua.
Luoghi e siti. Per guidare ad una educazione al Distretto Formante è bene seguire
una procedura graduale per tematiche di complessità differenziata di tipo glocale,
agendo soprattutto su luoghi e siti.
Per quanto riguarda i luoghi la scelta può procedere con la progressiva scoperta
della complessità di
• edifici
• isolati
• territorio insediato e aperto8
8
Gli edifici costituiscono i contenitori spaziali e tecnologici in cui si organizza più esplicitamente
la vita quotidiana e relazionale degli abitanti di un Distretto Formante.
E’ negli edifici che la popolazione di un Distretto Formante esplicita in modo più evidente la
sua concezione di appartenenza al territorio, esercita stili di vita che rivelano la cultura a cui
effettivamente appartiene e mira, mette insieme aspetti di tecnospazio, sociospazio e biospazio per lo
più riferiti a gruppi piccoli e medi. E’ negli edifici che gli abitanti, i City Users, i Country Users, la
Comunità Formativa possono lavorare per cogliere i fattori elementari della loro cultura, ossia delle
loro conoscenze, competenze, atteggiamenti, emozioni, aspettative, simbolizzazioni, regolamentazioni,
organizzazioni.
Gli isolati o ripartizioni territoriali delimitate costituiscono i brani più piccoli del territorio
del Distretto, ma già dotati di un’esplicita complessità sociale ed ambientale. In loro si trovano più
edifici, agiscono infrastrutture per la mobilità, giungono e dipartono le varie reti tecnologiche (idrica,
stradale, elettrica, telefonica, televisiva, fognaria, postale, di arrivo-distribuzione di merci, smaltimento
dei residui, gestione di territorio aperto inteso come orto, giardino, campo, podere con presenze varie
di tipo florofaunistico, ecc. ) In essi si manifestano le forme naturalistiche e socialmente organizzate di
gestione delle risorse (aria, acqua, suolo, energia, informazione). La Comunità Formativa è a livello di
isolati che riesce a cogliere i primi elementi significativi di organizzazione territoriale, può volgersi
alle prime conoscenze e competenze di tipo socioambientale in termini di sostenibilità e di tipo
urbanistico ed è in condizione di orientarsi verso la comprensione delle scelte di governo di territorio
per i vari soggetti e attori sociali, in connessione con la realtà socioambientale in cui si opera.
Il Territorio insediato e aperto rappresenta complessivamente quella realtà spaziale e
sociale in cui le comunità vivono, agiscono, progettano, lavorano, immaginano, simbolizzano, si
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in cui operano, attivi e organizzati, i principali attori sociali del Distretto Formante
(enti locali, scuole, aziende industriali, agrarie e di servizi, enti associativi e
culturali, istituzioni territoriali, gruppi organizzati)
Per quanto riguarda i siti si possono valorizzare e utilizzare, in riferimento al
Distretto Formante:
• la rete di scuole in rete
• gli enti locali digitalizzati e telematizzati
• le aziende come riferimento di propri siti e attività digitali e telematiche.
• le navigazioni nella Web globale per perseguire scopi consapevoli.
• i centri associativi con attività telematizzati
• (Sitalità del Distretto)
Il Distretto Formante può rappresentare un territorio in cui esperire
concretamente la modalità operativa della dimensione biodigitale e in cui si
articoli la dimensione locale-globale utilizzando i sistemi in rete seguendo le
modalità e le differenze di contesti proprie delle realtà e attori sociali agenti nel
Distretto Formante nel suo complesso.
Caring. Un distretto inteso nel modo indicato in precedenza, per luoghi e siti,
esprime caring (ossia prendersi carico, cura e responsabilità) per
• il suo territorio e ambiente,
• gli esseri viventi coinvolti in termini di florofauna e paesaggio,
• la promozione della sua economia
emozionano, collocano aspettative.
E’ lo spazio organizzato ed ecosistemico in cui si ha produzione di ben-essere e ricchezza (eco-
nomia/logia)
Il Territorio è l’insieme dei luoghi in cui la popolazione esprime la sua presenza, ma anche
dove si manifesta l’interazione tra tecnosistema e sociosistema e l’ecosistema di riferimento. Il
Territorio è la spazialità in cui si organizzano in modo sostenibile o non sostenibile le dimensioni
economiche, ecologiche, etiche, estetiche ed educative della comunità insediata e dell’insieme degli
esseri viventi accolti nell’ecosistema locale. E’ a livello di Territorio che si capisce e gestisce lo stile
di vita di una comunità sia nelle organizzazioni spaziali (bio-tecno-sociospazio) sia in termini più ampi
e complessi di Sit-territorialità.
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• la crescita e l’evoluzione della sua popolazione
• il miglioramento progressivo delle sue istituzioni e organizzazioni per un
governo evolutivo del territorio.
• la gradevolezza e salute dei luoghi di vita, secondo un’ottica ampia di
estetica dei luoghi e della loro dimensione sociosanitaria.
• la sua storia e i segni e simboli della memoria e dei processi identitari
• la ricerca di inserimento nell’innovazione, nei linguaggi e pratiche
tecnologiche avanzate, ma sempre sostenibili
Un Distretto che esprima una complessiva e organizzata strategia di caring è di
fatto un distretto formante, in cui la pluralità degli attori sociali presenti
concorre alla crescita ed evoluzione delle conoscenze, competenze, atteggiamenti,
comportamenti ed emozionalità dell’intera popolazione distrettuale.
In un Distretto Formante la scuola non è più il principale o peggio l’esclusiva
istituzione addetta alla formazione di conoscenze e competenze, ma assume
semmai un ruolo di coordinamento delle azioni formative.(forse anche parziale
per la sola età evolutiva)
I nodi di intervento per il distretto formante riguardano:
• l’educazione alla cultura biodigitale
• la costituzione di web community dialoganti e operanti in rete estese, ma
rafforzanti le connessioni delle agenzie sociali e culturali appartenenti al
distretto formante.
• il sostegno di pratiche glocali
• la promozione degli eventi ed emergenze più significative del territorio
• la connessione con le istituzioni comunali, provinciali e regionali praticati
come soggetti formanti sia perché sostengono le attività formative del
distretto formante, sia perché offrono luoghi in cui verificare pratiche e
organizzazioni di cultura biodigitale e glocale applicati alle istituzioni
stesse
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• le aziende industriali e agrarie presenti nel distretto formante vissute come
poli in cui far formazione e contatto di esperienze produttivamente
biodigitali e glocali
• gli istituti di credito sollecitati a favorire la formazione alla cultura
economica del distretto formante e a porsi come punti di riscontro delle
modalità di azione delle pratiche biodigitali
• le strutture sociosanitarie (Ulss e Arpa) perché si offrano come centri di
formazione alla diffusione della cultura della salute, del welfare e della
partecipazione.
• l’associazionismo (culturale, sociale, ricreativo e di volontariato) in quanto
organizzatore di iniziative sul territorio può costituirsi in interlocutore di
formazione per l’ambito del distretto formante in cui opera
• le strutture museali, i monumenti e i tessuti di beni culturali ed ambientali
diventano luoghi di apprendimento dislocati nel territorio con l’ottica di
attivare pratiche di museo diffuso e di ecomuseo
• le scuole, intese come realtà formative di coordinamento possono veicolare
le tradizioni cognitive ed operative e favorire l’affacciamento attivo e
competente agli scenari di innovazione consoni al biodigitale ed glocale.
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Il Distretto Formante è l’ambito più idoneo in cui esercitare la condizione
glocale.
Infatti è un ambito territoriale in cui è possibile riscoprire i caratteri della
dimensione locale individuando i fattori fondamentali del
• geospazio
• biospazio
• tecnospazio
• sociospazio.
Ma è anche l’ambito in cui è maggiormente verificabile la condizione biodigitale.
Infatti quando un Distretto Formante è sufficientemente evoluto esso partecipa
non soltanto della vita locale, ma soprattutto esprime una dimensione economica e
culturale che si attiva su una dimensione planetaria o comunque a grande
territorialità.
In questo senso sono assai protagonisti
• le dimensioni digitali in rete
• le telecomunicazioni e le tecnologie satellitari
• la telematica
• le esperienze di telelavoro
• la robotica e l’automazione nelle agenzie territorialmente attive.
• la diffusione delle forme culturali ed operative orientati alla
globalizzazione o mondializzazione
• la coscienza dell’impronta ecologica
ma sono anche protagonisti i grandi sistemi di mobilità e trasportistica:
• reti aeree
• reti ferroviarie
• reti navali e fluviali
• reti automobilistiche
Sul piano culturale la partecipazione a web community e l’aumento di
sociodiversità facilitata da viaggi, trasporti e integrazioni portano al vissuto
dell’interculturalità all’interno del Distretto Formante.
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In un Distretto Formante attivo ed evolutivo la Comunità Formativa agisce perché
si produca un sistema integrato di conoscenze, competenze, atteggiamenti,
emozionalità sociale, motivazioni, forme associate di comportamento e
comunicazione che declinino insieme locale e globale.
Appendice
La pedagogia dei luoghi, ossia dell’esserci e
dell’appartenere9
- Antropoetica dei luoghi
Siamo in un’epoca di sfondamento delle idee e del vissuto del tempo e dello spazio.
Per moltissimi secoli la gente ha vissuto tutta la vita in un raggio massimo di 30/50 chilometri,
standosene per lo più nel proprio villaggio o nella propria contrada e quindi di fatto svolgendo la vita
in uno scenario di poche decine di km2
. Il tempo e lo spazio erano implosi e già le persone che
abitavano la città più prossima erano ‘stranieri’.
Lo scenario ha cominciato a muoversi con l’avvento del treno e dei battelli a vapore e si è dilatato
ancor più con l’affermarsi del mezzo di trasporto privato. L’aviazione ha rappresentato una svolta
ancora più radicale nella concezione dello spazio e del tempo anche se il fenomeno comincerà ad avere
dimensioni di massa nella seconda metà degli anni 50 con l’apparire del B-707, del DC-8 e del
Jumbo. Tutti questi elementi hanno cambiato drasticamente la pratica del tempo e dello spazio fisici,
con un incremento potente dopo gli anni 70/80.
Accanto al cambiamento di vissuto spazio-temporale fisico, si è affermato un cambiamento drastico
dello spazio e del tempo rappresentati con l’apparire della fotografia, della radio, del cinema e della
televisione.
Con questi ‘mezzi’ spazio e tempo dilatati si potevano ‘costruire’ senza che vi fosse la presenza fisica.
Certamente gli spazi e i tempi dislocati, supportati da sistemi di rappresentazione, si erano affermati
anche in tempi lontani: la letteratura, la pittura, i racconti di viaggio erano produttori di tempo e
spazio dislocati, ma non riguardavano grandi fenomeni di massa, erano per lo più appannaggio di élite
colte.
9
Il termine Pedagogia, nella sua gamma semantica è un po’ riduttivo ( paidagogia infatti si rifà a paidos –
fanciullo e agogos – accompagnatore), la formazione ai luoghi invece riguarda tutte le persone e tutte le età, per questo
può risultare più pertinente il termine antropoetica, usato da E. Morin . Più pertinente perché esprime l’idea
dell’umanità che realizza se stessa, continuamente autoevolvendo [ anthropos-uomo e poietiké-creazione/realizzazione)
“ Dal momento che la specie umana continua la sua avventura sotto la minaccia dell’autodistruzione,
l’imperativo è divenuto: salvare l’Umanità realizzandola.
Certo permangono e si aggirano sul pianeta la dominazione, l’oppressione, la barbarie umana. Si tratta di un
problema storico fondamentale, per il quale non esistono soluzioni a priori, e che potrebbe essere affrontato solo da un
processo multidimensionale che tenda a civilizzare ciascuno di noi, le nostre società, la Terra.
Una politica dell’Uomo, una politica di civiltà, una riforma di pensiero, l’antropoetica, il vero umanesimo e la
coscienza di Terra-Patria potranno solo congiuntamente ridurre l’ignominia nel mondo.”
E. MORIN 2001
I sette saperi necessari all’educazione del futuro
R. Cortina Editore, Milano p. 120-22
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La stragrande maggioranza della popolazione viveva nel tempo e nello spazio della prossimità.
Oggi la situazione è profondamente mutata, al tutto si è aggiunto il tempo-spazio digitale che è
diventato dapprima fenomeno esteso, ma ancorato al luogo del computer fino agli anni 80 e dalla
prima metà degli anni 90 è diventato tempo e spazio planetari, di tipo digitale, con la pratica Internet.
Un altro evento che dobbiamo tenere presente è il processo di miniaturizzazione e la produzione del
nanoambiente. Esso avviene dapprima in contesto abiotico con il microprocessore (1971) e si avvia in
campo biotico con il DNA ricombinante di Paul Berg nel 1971 e il primo farmaco prodotto da batteri
con tecnica di Dna ricombinante nel 1977.
L’insieme di questi eventi fa emergere la condizione biodigitale che rappresenta il frammento di
avventura umana entro cui ci stiamo trovando a vivere.
Essa comporta la possibilità di avere molte modalità di tempo e spazio:
- un dilatato tempo-spazio fisico planetario a cui accedere mediante mezzi di trasporto a lunga
distanza e rapido spostamento
- un tempo-spazio digitale e mediatico che consente di partecipare a processi comunicativi
diffusi e pervasivi, con la grande potenzialità di vivere esperienze di web community, ma con il
rischio e il risvolto negativo dell’onirismo mediatico. La dimensione digitale consente di
distinguere il vissuto dei luoghi dal vissuto dei siti. Attiva inoltre una diversa tipologia di
ragione, quella connettivante;
- un nano tempo-spazio in cui si vive la capacità di gestire le dimensioni miniaturizzate, altrimenti si
implode nella dimensione ‘Matrix’, cogliendo la superficie di una realtà che invece sprofonda in
dimensioni ulteriori. La mancanza della nanocognizione (digitale e bio) trasforma il ‘naturale’
percepito con i soli sensi in un grande ‘velo di Maia’ che paradossalmente si virtualizza, perché non si
varca il velo.
- Il reale non è l’esistente, ma il luogo dell’esistente in cui si è temporaneamente giunti.
- un tempo-spazio ecosistemico: esso emerge dalla capacità di partecipare alle interconnessioni tra
geospazio, biospazio, tecnospazio e sociospazio che formano unitariamente l’Ecosfera. Tali aspetti non
sono leggibili primariamente a livello generale, perché ogni luogo della Terra ha proprie ‘storie’
particolari, essendo uno spazio particolare. Di fatto è la dimensione del tempo-spazio locale, in cui
viviamo nel concreto tutte le altre dimensioni temporali, è anche il luogo di convivenza dei tempi
geologici/cosmici, biologici e storici. Senza il vissuto dei luoghi ecologici, dove si esperisce la
complessità quotidiana, si è condannati a vivere in nicchie astratte, dominate solo dai linguaggi e dai
segni.
La pedagogia dei luoghi ha come finalità globale
- lo sviluppo di persone che vivono in autonomia e in forma
associata
- le persone si sentono appartenenti all’era biodigitale esperiscono una dimensione
spaziotemporale che si articola nel Quattro Cronospazi Integrati
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- conoscono, agiscono ed interagiscono relazionate in modo aperto, liberante, responsabile
e partecipativo al vissuto della Memoria e della Immaginazione articolate sia nei Luoghi
che nei Siti, intesi come scenario di Azioni e Relazioni.
Glocalismo
Essere biodigitali apre alla prospettiva ecoglobale, o anche glocale, ossia saper vivere, apprezzare,
gestire la dimensione della prossimità e della distanza, della planetarietà e dell’eliosistema, assieme
al here and now.
Il concetto base del glocalismo è l’impronta ecologica che è legata alla consapevolezza di quanto
di planetario (ossia proveniente da varie parti del pianeta) è presente nel luogo in cui si risiede e
ci si trova.
Ma glocalismo significa anche cogliere l’insieme delle differenze che sono proprie del luogo in cui
si è: il particolare contesto geologico, la biosfera specifica, il microclima, il paesaggio, le
tipologie edilizie ed edificatorie, le dinamiche della popolazione, l’assetto economico e i tratti di
sostenibilità, la storia, l’indice di biodiversità, la carica progettuale presente nella popolazione, i
corridoi ecologici, i sistemi sociali e sociopolitici, …..
Significa inoltre cogliere e vivere le relazioni con contesti spaziotemporali più vasti: la regione, lo
stato, il sovranazionale, il contesto culturale complessivo e di riferimento, la situazione planetaria,
la condizione del paesaggio esogeo e le dinamiche in atto nell’eliospazio…
Il glocalismo è un atteggiamento complessivo e una pratica di vita che permette di essere
• consapevolmente e attivamente abitanti di luoghi a cui si sente di appartenere
• coinvolti e partecipi alle vicende del pianeta attraverso gli strumenti di telecomunicazione e
di interrelazione estesa e forme di mobilità e trasportistica particolarmente estendenti
L’esercizio cosciente e attivo del Glocalismo consente di sfuggire a due rischi:
• l’emarginazione
• l’omologazione
La prima può avvenire quando ci si attardi su paradigmi culturali e operativi superati, come la
collocazione acritica nell’industrialismo ormai obsoleto o in un nostalgico rincorrere la civiltà
agrario-artigianale. Il Glocalismo richiede la comprensione e la partecipazione al paradigma
biodigitale, senza però perdere capacità di lettura sia storica che di ulteriore possibile
cambiamento, riferendosi ad una cultura progettuale che non si abbandona a posizioni di
dismissione culturale e di deresponsabilizzazione decisionale.
La seconda si afferma quando si lascia che un’opzione relativa ad una componente particolare del
pianeta, per quanto potente e dotata di mezzi sia, eserciti un ruolo di pesante egemonia sociale e di
condizionamento delle vite individuali. L’omologazione ad un unico modello sociale, economico e
comportamentale conduce al rischio di essere applicatori acritici di decisioni altrui e quindi alla
condizione subita della strumentalizzazione e subalternizzazione.
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Il glocalismo invece valorizza le aperture planetarie, facilita le interconnessioni vaste, ma
contemporaneamente tutela e promuove le diversità locali, il pluralismo degli stili di vita, la
decisionalità ampia e creativa, l’esercizio dell’immaginazione e della progettualità per svolgere un
ruolo aperto ed innovativo rispetto al paradigma biodigitale, che è inteso come un’opportunità
storica e non come dimensione consolidata, irremovibile, immodificabile e dipendente da una sola
concezione di vita.
Senso di appartenenza
Vivere in un luogo significare stare in un parte del pianeta. Il senso di appartenenza è la
comprensione di essere parte e di distinguersi da altre parti.
Un autentico senso di appartenenza pertanto scopre che esiste un '‘noi’ che sta in ‘qui’ che si
distingue da un altrove.
Appartenere significa elaborare un processo di identità e continuare a farlo, tutte le volte che le
relazioni ampliano la dimensione del vicino, del prossimo, del lontano, dell’altro. Appartenere
significa scoprire la dimensione dei luoghi che hanno una identità fatta di separatezze e
singolarità, ma anche di connessioni attraverso una rete di elementi che conducono e allontanano
materia-energia-informazioni e quindi con la percezione che i luoghi sono ‘stazioni’ che hanno
pertanto al loro interno ambiti destinati alla presenza e all’arrivo dell’altro e per l’altrove.
L’appartenere però presenta molte sfaccettature:
- si è parte perché si coglie la positività dello specifico della parte, ma si cerca di relazionarlo
con un più ampio esterno. Appartenere è relazionare un’identità.
- si è parte perché non si sa cogliere che c’è un altrove, anzi non si coglie che anche la parte è
dinamica e muta. La parte è vissuta come un tutto e un tutto statico e quasi immobificabile.
Appartenere è essere fedeli e tutelatori della continuità;
- si è parte perché ci si vive come esperienza e angolo del pianeta esclusivo e privilegiato,
mentre il resto è non solo alieno ma portatore di disvalori. Essere parte è gerarchizzare,
escludere il non puro, o immettere, limitando la decisionalità e stabilendo condizioni di
subalternità per altri. Appartenere è senso di superiorità e timore che altri insidino, è narcisismo
localistico e disconoscimento o disprezzo per il diverso e il lontano
- sentirsi parte è cogliere i limiti della parte in cui ci si trova, apprezzarne aspetti e potenzialità
positive e lavorare perché la parte si integri con positività più estese;
- sentirsi parte è smarrirsi, percependo che ci sono tanti altri altrove, ma di cui non si coglie la
direzione e il senso. Appartenere è smarrirsi e rifugiarsi….
- Esistono molti modi di sentirsi parte, uno è quello di cogliere la condizione integrata dove
molte parti stanno insieme attivando meccanismi di reciprocità che consentono la cooperazione
e la manifestazione di conflitto se affiora un disagio, la capacità di coprogettare e la capacità di
isolare quello che è importante per sé e per il proprio gruppo ma non è da imporre agli altri, la
capacità di isolamento e la capacità di integrazione, la capacità di scoprire la propria identità e
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di impegnarsi per superarla per realizzare un cambiamento insieme ad altre identità alla ricerca
di un’identità nuova, rispondente a nuove spazialità e nuove temporalità….
Esserci e appartenere
Esserci non significa pertanto appartenere. esserci è stare in uno o più luoghi, sostare, transitare,
essere autoreferenti con i luoghi che sono solo un sostrato, anzi degli spazi.
Si comincia ad appartenere quando si manifestano dei progetti. Quando cioè si elabora una
memoria e le si dà un senso. La memoria però ha molti significati e molte dinamiche.
La memoria è
- enfasi del già stato
- mantenimento nel gruppo presente delle eccellenze dei gruppi antecedenti
- nostalgia per un contesto che si è perduto e al quale si attribuiscono solo eventi attraenti
- giudizio sulle dinamiche avvenute e comprensione dei percorsi che si sono esauriti, delle
situazioni che sono evolute, delle vie sbagliate, dei preannunci di processi che sono iniziati e
ancora non sono giunti a maturazione
- esercizio per predisporsi alla mutevolezza
- non è un dato, ma un elaborato e quindi è una comparazione tra l’oggi, il tracciato effettuato e
il tracciato che si vorrebbe
- un costante esercizio specifico di immaginazione e di produzione di significanza,
rappresentazione e figurazione
- i luoghi sono monumenti, ossia entità spazio-temporali che ammoniscono e invitano a tenere a
testimonianza, monito e ricordo
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Pre-segni e i Segni
Quando si ha un rapporto diretto con un luogo, sono coinvolti tutti i canali cognitivi della persona, la
sua storia personale, la sua capacità di coinvolgimento, le sue strategie emotive, la sua capacità di
esserci e appartenere, la sua dimensione di vissuto fatto individualmente e soprattutto come
dimensione del produrre e vivere relazioni ossia il suo stare in coppia, in un branco, in un gruppo, in
una comunità, in una società.
Quando si giunge in un luogo si arriva prevalentemente in tre modi:
1) le parole preorientano a conoscere, per cui s’individuano le presenze e le differenze in un luogo
perché si posseggono le parole che ‘dicono’ le differenze individuabili. Ciò che non è dotato di
‘parole’ o è muto o addirittura non è segnalabile, appare come un luogo senza strada e senza
segnalazioni
2) i segni aprono le piste per scoprire le caratteristiche dei luoghi. Ci sono gesti fatti in luogo che si
possono riprodurre o trasferire in altri luoghi (inoltrarsi, calpestare, annusare, cogliere, gustare,
raccogliere, separare, ammassare). Queste azioni diventano un bagaglio di segni
comportamentali per entrare nei luoghi e avere un pre-patrimonio con cui rapportarsi con i
luoghi e i loro elementi.
I segni si fanno ancora più forti e orientanti se si traducono in prodotti iconici, in immagini,
disegni, simboli, suoni trattati e prodotti consapevolmente, in canti, in ritmi convenzionati, in
linguaggi plastici (sculture, artefatti artigianali, prodotti industriali, rappresentazioni varie dalla
grafica alla pittura alla computergrafica, ecc.).
Esperire dei luoghi attraverso la dotazione di una pluralità di codici comporta immergersi nei
luoghi dotati di strumenti che evidenziano, enfatizzano, interpretano gli elementi dei luoghi
stessi.
Ma non tutti gli elementi dei luoghi sono già parole o segni. Molto spesso essi sono solo
presenze e spesso presenze nascoste. Presenze presenti, ma pre-cognitive.
3) 3 - le sensazioni sono un’altra modalità (e la primaria) con cui entrare in contatto e
inter-agire con dei luoghi.
Le sensazioni si focalizzano in un intorno (vissuto come unitario) dove si possono ritrovare
alcune differenze che si stagliano sul tutto:
- un suono (forse di uccello)
- un rumore (forse uno sbattere d’imposta o il passaggio di un aereo)
- un profumo (forse la presenza di un fiore o di una casa con la cucina attiva o una stufa
di legna accesa)
- un fruscio (forse lo spostamento di un animale o l’alitare del vento o il gorgogliare di
una fontana )
- un’asperità diversa del terreno (tattilità dei piedi)
- una percezione di freddo o di caldo
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- una percezione della percorrenza veloce o raffrenata dovuta alla natura o
conformazione del terreno del luogo (dinamiche cinestesiche)
- il rilevamento di una differenza intesa come prodotto naturale o artificiale ( ma allora vi
è un chiaro pregresso di esperienza distintiva tra Natura e Cultura)
- l’attrazione per una bacca e la sua pregustazione e un primo contatto con la bocca dove
affiora e si addensa il linguaggio primario dei sapori…
La dimensione delle sensazioni e delle esperienze primarie può esistere senza che si abbiano le
parole per dirlo. È un rapporto non mediato tra soggetto ed ambiente, durante il quale le presenze dei e
nei luoghi si traducono in segni entro la mente della persona.
Sono segni però che appartengono solo alla persona e non sono comunicabili, sono segni privati, di
fatto pre-sociali o meglio ancora pre-segni.
Sono comunque segni in quanto colgono delle differenze, anzi le differenze sono segni ( e quindi
attivano dinamiche di informazione), ma sono segni che si ‘incidono’ sulla coscienza e/o
nell’inconscio del soggetto che le esperisce (cioè nel suo vissuto), ma non sono condivisibili con altri,
perché mancano di mediatori segnici.
Quando si vuole comunicare (ossia mettere in comune esperienze), bisogna “pro-durre”, condurre
davanti e fuori un’esperienza aggiuntiva che consiste nella produzione di un segno10
, ossia di una
presenza di evento condiviso, su cui due o più (o meglio molti) soggetti sperimentano la convergenza,
riconoscendo un evento differenziato e specifico, a bassa valenza di ambiguità.
L’esperienza di mediatore segnico può essere un gesto o un azione.
L’esperienza di un mediatore segnico può essere, come si è detto, un gesto o un’azione.
Ad es., se in un bosco voglio comunicare l’esperienza di morbidezza posso far sfiorare-lambire-
accostare-toccare-accarezzare un lembo di muschio e comunicare con l’andamento degli occhi e delle
mani la sensazione di morbidezza provata.
10
Può essere di qualche utilità richiamare l’etimo della parola (ricordando che l’attivarsi consapevole
dei giochi linguistici e la propensione non solo ad usare giochi linguistici, ma ad elaborare giochi
linguistici, permette un rapporto dinamico e creativo tra pre-segni e segni):
“lat. Signum, propr. ‘intaglio’ da un ant. ‘secere’, class. Secare (dal lat. Secare, parziale
sostituto italico di un antico secere, dal rad. SEK ‘tagliare’, attestato anche nelle aree celtica, baltica,
slava e, limitatamente ai temi nominali, , in quella germanica.)
Vedi.
G.DEVOTO Dizionario etimologico. Avviamento all’etimologia italiana.Le Monnier, Firenze
1968
Vi una accezione pragmatica: diventa segno l’incisione su legno, pietra, suolo in modo che
rimanga traccia e tale ‘incisione’ assume un senso. Ma in senso metaforico un segno è l’atto del
‘tagliare’ una differenza da tutto il contesto, distinguendola e separandola, quindi l’atto del distinguere
è già un intaglio, un separare mediante un confine e un profilo.
L’azione sui luoghi è proprio l’incidere ‘recinti’ attorno alle differenze per cui non sono più
immerse nel tutto, ma distinte dal tutto.
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Se si coglie la convergenza sul vissuto provato con almeno due persone (ma si avvia ad essere
un’azione sociale) è possibile produrre-inventare un suono (una parola) o un segno (un’immagine,
un’incisione, un grafo, un simbolo, una pittura che sta al posto di quell’esperienza).
Coloro che primariamente hanno vissuto l’esperienza diretta assieme alla produzione del segno
sanno in che consista la connessione tra pre-segno e segno.
Ma molti altri possono comprendere, a partire dall’esistenza di segni organizzati, l’esperienza limitata
alla sola collezione di segni.
Questo livello moltiplica enormemente la capacità di immettersi nel patrimonio delle esperienze ed è
il fondamento esaltante della Cultura che si alimenta di Segni e, attraverso essi, sostiene una
molteplicità di azioni e procedure collegate.
La Cultura è uno strumento potente e irrinunciabile se non vogliamo rinchiudere le persone solo
nell’esperienza diretta che implica il comunicare sempre daccapo.
Ma è anche bello ed entusiasmante ritornare Eva e Adamo agli albori di tutte le esperienze.
Eppure la cultura ci offre altri Eden che sono appunto quelli dei segni.
Anche in essi si provano esperienze primarie ed aurorali. Ed è quando s’incontrano alcuni segni per la
prima volta e si scopre il loro senso, per cui si produce, in modo diretto, l’esperienza dell’estensione
indiretta.
Vi sono altri momenti esaltanti nel mondo dei segni: quando partendo da alcuni segni si producono
nuovi segni per attivare nuove esperienze segniche.
E’ il momento fondamentale dei giochi linguistici e segnici, dei neologismi connessi a neoprassi,
delle neoimmagini e neopitture per nuove organizzazioni percettive, delle neostereoprassie per
rappresentare elementi spaziali di tipo innovativo, per ridefinire paesaggio, scultura, architettura,
artefatti ingegneristici, artigianali, agrari.
Ma se si perde l’esperienza del pre-segno ingenuo, quello che si fa direttamente e personalmente in
un luogo, non si scopre mai più la particolarità singolare di un fiore, di un ruscello, di un impianto di
acquedotto o lo sgorgare di una fonte, del calpestio insolito di leprotto o lo spaesamento e la
dilatazione cognitiva che affiorano nello scavalcare una sella di montagna da parte di un branco di
nuvole.
La pedagogia dei Luoghi o Antropoetica dei luoghi ha bisogno di alimentarsi e alimentare segni e
presagi.
E deve farlo per singoli soggetti, ma anche per branchi umani e mettere in grado di fare esperienze
avanzate e esperienze ludiche e gioiose di scoperta, interpretazione, produzione, gestione di segni e
pre-segni. Insieme.
Comprendendo i giochi cognitivi ed operativi antichi e contemporanei, dalla selce ed amigdala
all’impianto biodigitale errante nell’Eliospazio.
La pedagogia dei luoghi o Antropoetica dei luoghi è uno strumento per interagire e giocare con
parti della Terra e dell’Esogeo, sapendo tracciare e vivere sentieri e percorsi dove si giocano e
costruiscono azioni impastate sia di segni che di pre-segni. Ossia di Esperienze Elaborate e Riflesse o
di Esperienze Aurorali, senza troppe fasi mediate. Ma riconducendo però, poi, il gioco all’intreccio del
mediato e del non mediato. In cui si abbia gioco della Memoria che elabora l’esperienza,
dell’Immaginazione che prefigura nuovi scenari e la loro Attuazione, dove vi sia gioco della Curiosità
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che annusa le piste e le affronta anche se non sa dove esse condurranno (tanto sa che le sorelle
maggiori, Memoria e Immaginazione, non si perdono facilmente nel Bosco dei Segni ).
Memoria e immaginazione
Se i luoghi vengono ingabbiati solo nella memoria essi si assolutizzano ed entrano in processi
entropici.
La storia non decade a processo entropico se non mette in dissolvenza alcuni luoghi irrigidendo
l’assetto morfologico in modo cristallizzato e il più a lungo possibile.
La storia può essere intesa come processo vitale che coglie le differenze e i punti di eccellenza, li
mantiene e li fa partecipare al tessuto vivo, non soggiacendo alle logiche subentranti, ma imponendo
alle logiche nuove la ricerca della convivenza, della valorizzazione, del rapporto di gerarchia valoriale,
secondo il principio che i processi sociali e storici trasmettono i loro valori radicati quanto più si
alimentano di vita.
In tale prospettiva un monumento o dei luoghi di sono etimologicamente ‘strumento per far
ricordare’ se si pongono come luogo vivo a servizio di una comunità che li rispetta e li ricorda, ma
anche li frequenta e li vive. E il dar senso ai Beni significa fare delle risorse architettoniche,
paesaggistiche, sociali e ambientali non una parola abbandonata, ma una parola comunicante per una
Comunità attiva.
Allora non basta la dimensione della Memoria, anzi occorre una forte promozione della cultura della
Progettualità.
Non si ha però Progettualità se la Comunità che gode e gestisce dei luoghi, non incentiva
l’Immaginazione, ossia la capacità di prefigurare quello che ancora non c’è, orientando il desiderabile
e rimuovendo o allontanando il disagio.
Una cultura dei luoghi si fonda su una memoria creatrice e su una diffusa capacità pre-visionale e pre-
dittrice.
Una cultura dell’Immaginazione si afferma più facilmente quando si dà rilevanza non solo ai segni
forti, ma anche ai segni deboli.
I segni deboli sono i marcatori dei processi in evoluzione e possono suggerire le piste che verranno,
anzi sono il luogo degli apripiste.
I segni forti invece dicono quello che è già giunto a maturazione e si è consolidato mediante il
riconoscimento in vasti strati sociali e con la traduzione degli eventi in segni concreti rinvenibili nel
paesaggio.
I segni deboli sono in realtà problematici, perché possono fare riferimento a processi di
immaginazione che non sempre rivelano una carica vitale effettiva.
Occorre allora fare distinzione tra i segni delle mode affioranti, comprendendo che esse sono per lo
più pilotate da gruppi di potere e decadranno non appena il meccanismo di mercato non li sosterrà più.
Purtroppo le mode nei luoghi possono lasciare anche segni di basso livello che mantengono una durata
fisica maggiore delle mode e contribuiscono alla diffusione e consolidarsi del kitsch e del trash.
L’immaginazione dovrebbe essere stimolata a cogliere il carattere effimero ed eterodiretto delle mode.
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Fenomeno più interessante si ha quando nei luoghi si manifestano dei trend, ossia processi che già si
immettono nel presente consolidato, innovazioni che rivelano una durata non stagionale e non sono
appannaggio di piccoli gruppi o di attrazioni di breve durata, ma si rivelano in luoghi diffusi e in una
porzione significativa della popolazione, con incidenza su decisionalità abbastanza palesi. Un buon
indizio per cogliere i segni deboli di trend può provenire dall’analisi degli eventi che si sono affermati
negli ultimi cinque anni e tendono a mantenersi e diffondersi.
Quando alcuni trend superano ampiamente i dieci anni, cessano di appartenere alla dimensione dei
segni deboli e si configurano come fenomeni appartenenti a movimenti culturali. Molto spesso ogni
quindici anni, ossia all’interno di uno snodo generazionale, avviene un cambio di paradigma. Se la
generazione più anziana e decisionale mantiene il suo andamento, anche i movimenti culturali come
paradigmi ormai palesi possono faticare a manifestarsi nei luoghi.
Tra i segni deboli bisogna anche considerare i progetti, le aspettative e le supposizioni
socioambientali e sociotecnologiche. Ossia i segni del socializzarsi di alcune elaborazioni
immaginarie. Non poche volte questa dimensione riguarda segni deboli gestiti da minoranze.
• Mentre il continuismo dei movimenti culturali e dei trend assume la configurazione di
consolidamenti avvenuti (e quindi trova il suo sostegno in eventi fra loro già in qualche modo
connessi) il continuismo voluto e progettuale trova il suo sostegno nei valori. Ossia non solo
nell’accogliere gli eventi, ma soprattutto nell’orientarli e determinarli, favorendo i processi e non
solo stando dentro i processi. Si tratta di una immaginazione decisionale.
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Ecologia formativa e cooperazione dei saperi
Certamente esiste una lunga tradizione di educazione ambientale
11
, ma nella pratica ha assunto
un’accezione specifica e di settore: è divenuta questione prevalentemente scolastica e quindi uno dei
temi importanti che vengono promossi nelle aule e nelle attività didattiche. Pur essendo un ruolo
importantissimo, la formazione alla conoscenza, comportamenti e competenze evoluti nel rapporti
persone/ambiente non può limitarsi alla sola scuola. Occorre un piano più ampio che veda coinvolti i
professionisti, gli amministratori, il mondo del lavoro, della comunicazione, della formazione
continua e ricorrente.
Per questo ambito più esteso può risultare utile l’uso dell’espressione ‘Ecologia formativa”.
Essa rappresenta un settore di impegno per.
• la divulgazione di problematiche ambientali e territoriali
• il sostegno all’uso informato e responsabile delle ecotecnologie
• la declinazione dell’impegno professionale in un’ottica non settorialistica, ma di
interdipendenza ed interconnessione ecosistemica
• il sostegno a cultura e pratiche ecoumane nelle Amministrazioni locali
• l’impegno per la diffusione della progettazione partecipata
• la conoscenza a la partecipazione attiva a progetti del tipo Città sane e Agenda 21
• la promozione di una cultura del turismo sostenibile e di coinvolgimento con i territori
• il sostegno a pratiche quotidiane sostenibili
• la diffusione delle problematiche dell’impronta ecologica e dei mercati equi e solidali
• l’attivazione costante di una coscienza vigile, aperta all’innovazione, alla sostenibilità, al
principio di responsabilità e di precauzione.
Le 5 E
L’impegno formativo di Ecologia Formativa dovrebbe declinarsi
nell’attivare le cinque “E” fondamentali:
• ecologia
• economia
• etica
• estetica
• educazione
che hanno come obiettivo promuovere condizioni ecoumane che attivano l’integrazione e
l’interazione delle culture e delle pratiche tali da far evolvere in coesistenza evolutiva Comunità,
Luoghi e Relazioni con altri Contesti.
11
si veda il mio “EDUCAZIONE AMBIENTALE PER GENERAZIONI ECOGLOBALI. In contesti sostenibili” inserito
in www.irre.veneto.it/fad/sentierididattici.htm
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Accanto alle culture specialiste, va attivata ed estesa una cultura ecoumana generalista, ossia capace
di cogliere non solo la specificità degli oggetti di conoscenza ed azione, ma le reti di interconnessioni.
Tutto ciò non è cultura generica, ma cultura sovraspecialistica, capace cioè di valorizzare competenze
e professioni, ma non di legittimazione della frammentazione del reale, facendo della complessità,
della contestualizzazione, della pre-visione, della gestione-manutenzione, delle letture glocali
(interazione di locale e globale), dell’incentivo e promozione alla cultura progettuale sostenibile,
pilastri che siano patrimonio metaprofessionale e della cittadinanza attiva.
Luoghi e siti
Il glocalismo è un atteggiamento e un insieme di pratiche che continuamente si rinnovano perché è
fortemente attento a:
- la lettura e gestione degli ecosistemi
- la progettazione- gestione e governo dei tecnosistemi e della cultura dell’Artificiale
- interpretare, tutelare e valorizzare le specificità e le identità di contesti dotati di un proprio
profilo socioambientale
- avvertire e adeguare i comportamenti al mutare delle categorie temporali e spaziali che
ridefiniscono continuamente il concetto di ‘reale’, di conoscenza, di gestione, cogliendo come
oggi alcune frontiere sono di primaria importanza
- lavorare sulle frontiere:
- il digitale e gli ambienti virtuali;
- le attività molecolari e genetiche
- il nano ambiente e le nanotecnologie
- la robotizzazione e l’automazione
- il telelavoro e la telesplorazione
- le comunità virtuali o web community
- il paesaggio esogeo e le tecnologie satellitari e spaziali
- il multiculturale e le interazioni di Comunità e Culture
- l’uso, la distribuzione e la difesa delle risorse
- i nuovi apprendimenti e le nuove socializzazioni
Per alcuni di questi aspetti si lavora in contesto reale e mediante rapporti diretti. In tal caso l’azione
ecoumana riguarda i luoghi.
In non pochi casi le azioni ecoumane avvengono in contesti indiretti, in cui non si incontra la fisicità
delle persone e dei luoghi, ma la loro carica comunicativa. La comunicazione in tal caso è pre-messa
all’azione sui Luoghi, ma il momento relazionale non avviene suoi luoghi, bensì sui siti, ossia
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dimensioni spazio-temporali in cui la biosfera e la geosfera sono marginalizzati e sostituiti dalla
Tecnosfera tradotta in bits.
Ciò permette grandi potenzialità anche positive, ma il rischio è di una schizofrenia collettiva tra
l’essere in luoghi ed esistere in siti, il tutto lenito o velato da un diffuso onirismo mediatico.
La culla troppo stretta
Dopo gli anni 60 e l’inizio dell’avventura spaziale che ha nell’evento dello sbarco sulla Luna un atto
fortemente simbolico, la condizione umana ha cominciato a vivere una dimensione nuova e la
costruzione di un nuovo paesaggio, fatto di satelliti, di navette, di stazioni orbitanti, di viaggi di veicoli
spaziali lungo l’Eliospazio e lo sbarco di un motorobot su Marte è un altro evento a forte impatto
simbolico . Tutto questo lo possiamo definire avvio del Paesaggio esogeo e l’innescarsi di un nuovo
campo di responsabilità che si dilata fuori della Terra, che, come dice Genta, è ormai divenuta una
culla troppo stretta. L’emergere del problema dei rifiuti spaziali, il rischio di cadute di relitti, il
configurarsi di una concezione militare del paesaggio esogeo condensabile nell’espressione ‘scudo
spaziale’, la possibilità che in tempi non lontani si possano trasferire piante ed animali in stazioni
orbitanti, ci deve portare a riflettere sulla necessità di educare le nuove generazione ad una visione
estensiva dell’ecologia formativa e a problematizzare il concetto stesso di natura.
Lo stereotipo di natura ha come sinonimo più ricorrente il termine vivente . D’altra parte l’etimo della
parola deriva da ‘nascor’ e quindi è ‘natura’ legata all’idea delle cose che nascono e generano . Ma i
corpi spaziali che ci circondano in grandissima quantità sono abiotici, cioè non contengono vita e
allora dobbiamo pensare che la Natura sia solo un piccolo fenomeno rinserrato nella 'culla troppo
stretta’ o non dobbiamo ridiscutere il concetto radicale di natura che è participio futuro di nascor e
quindi non luoghi dove c’è la vita, ma anche luoghi dove può in futuro giungere la vita? Oppure più
semplicemente la natura va intesa come tutto l’esistente con l’impegno a superare la culla troppo
stretta?
Cultura progettuale
Tra cultura storica e progettuale non dovrebbe mai prodursi un conflitto, perché sono assi portanti
della coscienza e operatività individuale e sociale.
La cultura storica dovrebbe favorire la comprensione delle forme complesse attraverso le quali siano
giunti alla situazione attuale, ma anche la scoperta dei percorsi che sono iniziati appena oppure hanno
avuto alcuni sviluppi e poi sono affondati nell’oblio. La cultura storica non è solo una forma di
consapevolezza degli stati di fatto, ma anche di cosa ci è lontano e ciò che abbiamo abbandonato non
solo come scelta voluta ed esplicita, ma anche come distanziamento e lento declino al punto di non
essere consapevoli della diversità che si è raggiunta.
La cultura storica diventa diversa quando può contare su alcune testimonianze concrete di
contemporanei, perché si confronta con la memoria vivente (che è pur sempre una ricostruzione
parziale e condizionata-condizionante). Ma quando si confronta con la memoria documentaria entra
in una dimensione più complessa, ma anche molto selezionata, perché i documenti vanno incontro alla
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censura e logorio del tempo. Essi infatti possono non diventare mai documenti, ma farsi eventi e non
tradursi in segni che persistono nel tempo, allora della storia possono rimanere solo qualche ombra o
solo un insondabile silenzio.
Poi può avvenire che gli eventi effettivamente si traducano in segni o tracce che testimoniano gli
eventi. Vi sono molti modi di trasformarsi in segni, uno dei modi maggiormente considerati è la
testimonianza scritta. Ma la realtà non è una scrittura alfanumerica e se ci si affida solo a questi
documenti si rimane nell’ambito del bibliocentrismo e verbalocentrismo.
La cultura storica può farsi maggiormente connessa ai segni non alfanumerici e allora riconosce
rilevanza alle costruzioni territoriali: gli edifici, le strade, i sentieri, gli oggetti, le macchine, gli
impianti e le reti. Certamente questi danno testimonianza di una presenza molto concreta. Spesso però
tale dimensione materiale e concreta non può offrire riferimenti ad eventi netti e puri, mantenuti
inalterati nel tempo, essi sono segni che attraversano il tempo e vengono usati in contesti diversi, per
cui subiscono la rivitalizzazione dell’uso reinventato, con il risultato che essi non poche volte si
distanziano in modo cospicuo dall’evento assieme al quale sono nati e quando si interviene per
restaurare e ripristinare la forma originaria del segno in realtà si fa della chirurgia storica, come se il
tempo fosse un oggetto statico a cui togliere le concrezioni, mentre è uno scultore continuamente in
azione.
La pedagogia dei luoghi sicuramente ha bisogno di un forte apporto della cultura storica, ma deve
procedere con la adeguata consapevolezza che la storia fissa gli eventi in forma contratta ed esercita
una temporalità elaborata e una spazialità deformata e selezionata, traducendo il tutto in un tempo e in
uno spazio astratti.
Una storia non assolutizzante perciò scopre le cose, le vicende e gli eventi, mentre essi continuano a
mutare e riconosce una presenza che da molto tempo magari non è più una presenza omogenea. Il
problema non è solo la comprensione del cambiamento che è avvenuto, ma anche il cambiamento che
sta avvenendo e che può avvenire e che ancora non è avvenuto.
Ecco allora che accanto alla cultura storica sono indispensabili due altre forme di cultura:
- quella esplorativa che indaga ed interpreta il contesto attuale
- quella progettuale che prefigura un assetto possibile e esplora la fattibilità e le vie di realizzazione
nelle terre non solo del reale, ma anche dell’immaginazione.
La cultura progettuale ha nei confronti dello spazio e del tempo un atteggiamento ambivalente:
1) prende atto dello stato attuale dei processi in atto e dell’assetto territoriale che esiste in modo più
rigoroso possibile (fase realistica del progettuale)
2) considera il reale non sempre soddisfacente e suscettibile di miglioramenti
• ripristinando assetti possibili e perduti o deteriorati (cultura del restauro, del ripristino
ambientale e della tutela)
• introducendo cambiamenti significativi nei luoghi e nei comportamenti delle persone in
quanto si suppone che il reale sia suscettibile di mutamento ed esistano i mezzi, le tecniche e le
concezioni culturali e simboliche per realizzare assetti diversi e migliorativi
La pedagogia dei luoghi sviluppa entrambe le culture, storica e progettuale, ma ha una tendenziale
attenzione maggiore per la cultura progettuale, perché essa è tendenzialmente biofila, e l’amore per la
vita si manifesta dove la vita agisce e cioè nel presente e nel futuro, mentre la cultura storica aiuta a
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capire la vita come è stata, è pertanto scarsamente utile ad orientare le esigenze, i bisogni e i desideri
individuali e sociali in scenari che non sono mai apparsi nel passato.
La cultura progettuale si esprime anche nelle sue forme di restauro, ripristino e tutela, ma soprattutto
nella proiezione volta all’affermazione di nuove conoscenze, competenze, organizzazioni, visioni
esistenziali per i soggetti individuali e sociali. La cultura progettuale agisce per pre-vedere, pre-
orientare, pre-organizzare, pre-governare situazioni pensate ed elaborate come desiderabili.
Nella pedagogia dei luoghi un posto fondamentale è occupato dallo sviluppo dell’immaginazione,
favorendo la propensione a considerare le situazioni possibili, gli assetti ipotizzabili ma non esistenti,
lo stimolo ai linguaggi prefigurativi del pensiero plastico, narrativo, del disegno, della modellizzazioni,
delle prefigurazioni trasformative e della costruzione rigorosa di scenari adatti a ipotizzare e verificare
le configurazioni sostenibili in contesti ad alta probabilità.
In questo senso la cultura progettuale assume una dimensione valoriale ed è riconoscibile nella
propensione al caring e all’etica socioambientale. Non ogni cambiamento è legittimo, come nessuna
conservazione è in sé sempre opportuna, vivere è prendersi cura e assumere responsabilità per sé, i
luoghi e le persone di riferimento, per il reale in cui avviene l’avventura esistenziale degli ecoumani e
degli altri ecoidi.
Caring ed etica socioambientale
Gli ecoumani possono essere reificati oppure possono vivere in uno stato di censura esistenziale,
ovviamente nel caso in cui cadano nella trappola del vuoto ed insignificanza del vivere..
Gli ecoumani possono essere reificati quando vengono ridotti allo stato di oggetto. Ossia elementi
presenti nel pianeta che vengono spostati, indotti a cambiare, fatti agire, posizionati senza che vi sia
una loro decisionalità. Seguono tempi stabiliti da altri, sviluppano comportamenti indotti da sistemi
cognitivi e immaginari supportati da strumenti condizionatori di massa (sopratutto di tipo mediatico),
considerano la vita un consumo e quindi accedono agli erogatori degli oggetti di consumo e seguono
fedelmente le istruzioni d’uso, non sono in grado di vivere la solitudine come un valore, ossia come
condizione in cui si è in rapporto diretto con se stessi e con il reale circostante senza dover subito
esprimere convergenza con altri e con le consuetudini stabilizzate. Gli ecoumani sono particolarmente
ridotti ad oggetti manovrati quando cessano di pensare il futuro come tempo-spazio in cui può
giungere l’inaspettato e dove possa realizzarsi qualcosa che autonomamente abbiano progettato,
magari in libera adesione ad un progetto sociale e di gruppo.
Quando gli ecoumani sono ridotti ad oggetto non si sentono responsabili, perché la decisionalità è
condotta da altri. A questi altri non solo viene attribuita tutta o gran parte della decisionalità, ma anche
la delega a pensare gli stati di soddisfacimento, ossia le condizioni per rimanere alimentati da risorse
che mantengano lo stato di oggetti funzionanti. La propria identità si plasma sull’immagine che i
dominanti danno di loro stessi. Gli ecoumani reificati sono oggetti riproducenti e recitanti e la vita è
vissuta come l’implementazione di un copione di cui si rappresentano costumi di scena,
comportamenti, idee ricevute, emozioni standardizzate, frequentazioni di luoghi che stiano nella scena,
mentre tutto il resto è irrilevante percepito come esistente dietro le quinte o peggio staccato dal teatro
della recitazione esistenziale.
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La conseguenza della reificazione o di automi-attori a regia omologante è la censura esistenziale,
ossia l’incapacità e impossibilità di pensare una condizione di vita diversa dalla attuale, l’affermarsi di
un profondo disagio a rompere i legami conformistici che non sono legami conservatori, nel senso che
vengono declinati o esaltati comportamenti e assetti spaziali relativi al passato, il conformismo degli
attuali ecoumani reificati è semmai di tipo presentofilo.
Essi concepiscono la vita come stato inerziale per cui spazio e tempo attuali devono prolungarsi in un
flusso interminabile e ciò che si configura come sopravvivenza del passato va progressivamente
eliminato riconducendo allo status presentista. Altrettanto ogni ipotesi di futuro, ogni domanda di
cambiamento ambientale e sociale vengono considerate infrazione allo stato presentista non ancora
completato e da non disturbare. I cambiamenti sono concepiti possibili e legittimi solo da coloro che
garantiscono il flusso presentista, essi sono autorizzati a star fuori delle regole, perché addetti a far
funzionare le strutture nascoste che sostengono la funzionalità presentista. Essi sono come il
meccanico che conosce gli anfratti del motore, mentre il viaggiatore presentista non vuol perdere
tempo con il volto oscuro e non consumatorio del meccanismo interno non fruibile come consumo; il
viaggiatore aereo vuol consumare il volo, la cabina di comando rimanga pure un luogo esistente e
inattingibile purchè garantisca il flusso presentista.
La condizione è rinserrata in una ipotesi di mondo simulato in Matrix, una enorme illusione costruita,
ma di cui, se si svelassero le viscere profonde, si avrebbe orrore.
I decisori possono ogni cosa perché accettano di gestire le viscere ripugnanti e controllano e
disinnescano gli attacchi e i complotti al sogno presentista. La vita è spettacolarizzata perciò deve
frequentare scenari, palcoscenici, schermi, piste da ballo, monitor, ipermercati, villaggi turistici,
meeting, briefing.
Non deve fare i conti con i luoghi, con l’ambiente, con i gruppi sociali reali, con gli ecosistemi, con il
pianeta, con la salvaguardia delle risorse e della sicurezza globale e locale. A tutto questo devono
pensare solo i decisori, garanti della continuità del sogno presentista.
Solo quando si entra nella dimensione e nei luoghi di lavoro il velo scenico un po’ si ottunde, ma gli
ecoumani presentisti e recitanti concepiscono tale condizione come il necessario fastidio da scontare
perché lo spettacolo continui, allo stesso modo di quando si è costretti a perder tempo un po’
sgradevolmente nel fare la fila per accedere ad uno spettacolo.
I decisori presentofili però progressivamente elimineranno anche questo (lo promettono in modo
enfatico e certo), migliorando intanto il setting con l’arredo, qualche musichetta di fondo che faccia da
colonna sonora, qualche poster e qualche scenografia parietale che non faccia disperare che lo
spettacolo possa diffondersi meglio.
La pedagogia dei luoghi dovrebbe orientarsi in modo abbastanza diverso. Essa non censura il fatto che
siamo abitanti del pianeta e che stiamo sempre più coinvolgendo gli spazi esogei e l’eliospazio in
particolare con le nostre tecnologie.
L’ecoumano ambientale ama gli spettacoli, ma sa che la vita non è solo spettacolo e finzione. Sa che i
luoghi hanno una loro attraenza, ma che se non vengono curati ben presto subiscono le conseguenze
della legge naturale dell’entropia e diventano strutture dissipative. L’ecoumano socioambientale coglie
come i luoghi curati procurino benessere, piacevolezza e fonti di risorse utili che non si esauriscono se
colte in forma rinnovabile. Ha cura dei luoghi e ama la natura, ne gode, ma sa che non è sua, essa
svolge dinamiche proprie e solo in parte esprime una flessibilità disponibile alle trasformazioni indotte
dall’azione degli ecoumani. Una flessibilità che però non deve intaccare alcuni vincoli legati ad una
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determinata composizione dell’aria che consente l’atto vitale della respirazione per tutti gli esseri, una
presenza d’acqua superficiale e sotterranea che contenga disciolti un insieme di elementi non oltre
una certa quantità, un determinato stato del suolo per non compromettere la statica delle componenti,
il dilavamento con le piogge e la permeabilizzazione degli strati, la capacità di insediarsi per una
serie di esseri viventi vegetali in forme complesse e composite tali da costituire la cotica fertile
dell’humus, un suolo in grado di accogliere una varietà estesa di animali che abitino l’ecosistema.
L’ecoumano socioambientale sa che il pianeta è un condominio e che l’esercizio dell’egemonia e il
tentativo del dominio unilaterale da parte degli ecoumani è una patologia grave che compromette la
vita stessa dell’ecoumano, il quale deve avere cura di mantenere alto il tasso di biodiversità, come
sensore ampio e vivente, rivelatore e segnalatore della ricchezza compositiva del pianeta possibile
anche e molto al di là delle modeste conoscenze che l’ecoumano ha raggiunto.
Il condominio pianeta ha bisogno di cura, ma è un condominio in cui vi sono parti fortemente
selezionate dagli ecoumani e sono gli insediamenti sotto forma di città, paesi e villaggi. In essi viene
espressa una concezione pratica del vivere come gli ecoumani stessi si sono inventata e realizzata. In
questo si esprime la dimensione dell’artificialità, ossia degli elementi trasformati dagli ecoumani per
realizzare ambienti a loro favorevoli e confortevoli. Anche per questo gli ecoumani devono esprimere
caring, attivando tutta una serie di azioni, interventi, manutenzioni, progettazioni e realizzazioni
perché il loro agire sia carico di funzionalità, sostenibilità, gradevolezza e capacità comunicative di
significati.
• Il caring deve allora rivolgersi in modo molto esplicito alla salvaguardia dell’architettura e alla
promozione delle sue nuove forme evolutive.
• Il caring pone una domanda di espressione ed uso attenti per l’urbanistica e la progettazione
territoriale, specialmente nelle sue forme partecipate,
• Il caring richiede attenzione per la dimensione territoriale considerando e valutando attentamente
le infrastrutture, la trasportistica, le reti tecnologiche che supportino l’energia, la telefonia,
l’erogazione di acqua, il sistema di distribuzione dei beni, lo smaltimento dei residui, i punti di
rinaturalizzazione (depuratori, smaltitori, termorecuperatori), le reti informative e comunicative
comprese le connessioni satellitari, i sistemi agrari e boschivi.
• Il caring sollecita avvertenza e gestione per il paesaggio, ossia per la conformazione dei luoghi in
consapevoli forme di convivenza tra esseri viventi (vegetali, animali, ecoumani) che hanno
espresso e continuano ad esprimere un’alleanza (non poche volte conflittuale) per dare figuratività,
ma soprattutto capacità di accogliere e sostenere esistenze e vite in una certa dimensione di luoghi
con caratteristiche proprie, secondo un proprio sostrato geologico, idrico ed energetico solare.
Il paesaggio è allora la storia di questa alleanza tra esseri viventi con la loro porzione locale di pianeta
dove sono persistiti segni del perdurare dell’alleanza (ma anche dove molto è andato perso o è stato
inghiottito nel silenzio e nell’oblio) Il paesaggio è inoltre il cantiere della progettazione di nuovi
assetti, in una prospettiva evolutiva del paesaggio stesso.
Il paesaggio non è sempre una progettazione, talvolta è un furto, uno sfruttamento di componenti senza
considerare la natura di condominio dei luoghi. In questo caso cessa l’esercizio del caring, si manifesta
il declino della sostenibilità e si afferma il degrado. Cosa che invece non accade quando la
consapevolezza del ruolo del caring per il paesaggio è elevato, sostenuto da cultura, conoscenze,
competenze, capacità previsionali in tutti gli strati della popolazione. Il paesaggio non è da interpretare
in modo limitato e incompleto ricorrendo a sole categorie estetiche, il paesaggio è una visione e una
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pratica ecosistemica in cui si compenetrano visioni scientifiche, sociosanitarie, economiche, storiche,
progettuali, ecologiche, etiche.
Corridoi ecologici
I luoghi insediati in modo sintetico si possono distinguere secondo tre componenti:
• insediamento denso
• territorio aperto
• corridoi ecologici.
Gli insediamenti densi sono rappresentati dai luoghi in cui prevale il costruito nelle sue varie forme
(edifici, isolati costruiti, piazze, infrastrutture, reticolo viario).
Il territorio aperto riguarda tutte le parti non edificate o scarsamente edificate, dove il biospazio e i
territori lacustri, fluviali e marini svolgono un ruolo importante. In esso i vegetali mostrano una
precisa dominante e con essi è correlato tutto un insieme di vite animali appartenenti all’intera
gamma del microbiologico e degli animali di dimensione da quella media a quella macro. Il
territorio aperto è interessato per lo più da attività coltive, ma non mancano le zone forestate, le zone
protette, i parchi e le stesse aree agrarie dismesse, le valli di pesca e gli ambiti marini protetti e di
ripopolazione.
Il territorio aperto è un fenomeno complesso e la natura del territorio aperto indica la modalità
ecologica con cui viene gestito l’intero ambiente, aperto o denso che esso sia.
I corridoi ecologici sono un particolare tipo di territorio aperto e costituiscono gli interstizi di
territorio aperto che entrano e attraversano il territorio denso.
I più semplici tipi di corridoio aperto sono le aste fluviali. Esse infatti attraversano intere porzioni di
territorio aperto e, giunte alle soglie dei paesi e delle città, in genere li attraversano, costituendo
quasi sempre, lungo le loro rive, una continuità di habitat ecologici che permettono alle forme viventi
animali e vegetali di avere delle ‘proprie strade di attraversamento e diffusione ’.
I corridoi ecologici sono l’antidoto contro le barriere ecologiche. Infatti aree di completa
tecnologizzazione, cementificazione e impermeabilizzazione escludono la compatibilità con forme di
vita. Sono dei deserti tecnologici, in forme più o meno drastiche.
Dove si affermano i deserti tecnologici la qualità ambientale giunge a quote di degrado elevato e non
poche volte di condizione abiotica vicina allo zero. Queste zone costituiscono aree ambientalmente
patologiche in quanto luoghi di stress biologico o luoghi abiotici. Sono anche luoghi in cui
spontaneamente non possono tornare forme di vita in quanto conformate come barriere biologiche e
pertanto a scarsa o nulla modificabilità biologica.
I corridoi ecologici sono invece forme di mantenimento di contatto vitale tra le parti di territorio
denso e territorio aperto.
In queste strade biologiche è possibile mantenere la vita e lasciare che essa si sviluppi in forme sue
proprie e diversificate.
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Oltre agli assi fluviali12
che vanno mantenuti nella loro permeabilità biologica ( e quindi non
cementificati e barrierati nella parte ripariale) esistono anche i corridoi ecologici intraradiali.
I corridoi intraradiali sono la conseguenza della struttura radiale presente in quasi tutti i centri
insediati.
I centri insediati infatti sono costituiti da un nucleo denso o iperdenso e da una serie di strade che si
diramano dal centro verso tutte le direzioni del territorio circostante (e reciprocamente che dal
territorio circostante confluiscono verso il centro da tutte le parti)
Ogni radiale (ossia strada che dal territorio aperto va verso il centro denso e viceversa) presenta un
angolo di incidenza diverso dalle altre radiali prossime rispetto al centro denso.
Le radiali pertanto sono fra loro reciprocamente lontane e divaricanti. Esse si ravvicinano
progressivamente quanto più confluiscono verso la zona centrale.
Due radiali formano fra loro un settore territoriale che in genere è edificato lungo le radiali stesse, ma
tende a mantenersi rado e comunque poco denso nella parte centrale del settore territoriale.
Se la parte interna e centrale del settore territoriale continua a permanere con la conformazione di
territorio aperto e senza barriere edificate trasversali, esiste la buona possibilità che l’ecosistema
vegetale e animale si insinui fino alla parte centrale e densa dell’insediato.
Un settore territoriale caratterizzato dalla presenza di territorio aperto intraradiale e continuo fino alla
prossimità del centro denso è un buon esempio di corridoio ecologico urbano.
Possono definirsi centri insediati a potenziale di alta qualità ambientale quei paesi e quelle città con
elevato numero di corridoi ecologici urbani, anzi è un indicatore di qualità ecologica il fatto che tutte le
radiali che convergono verso l’insediamento siano dotate di territorio aperto e continuo, caratterizzato
secondo la tipologia del corridoio intraradiale.
Impronta ecologica
La pedagogia dei luoghi mira a comprendere il proprio intorno e la propria prossemica
socioambientale, non come un luogo chiuso, bensì come ambito interconnesso a molti luoghi non solo
contigui, anzi anche decisamente lontani che in qualche modo svolgono un ruolo nella vita,
nell’economia ed ecologia di un luogo determinato.
A tale riguardo è importante il concetto di impronta ecologica.
Come ogni essere vivente che si muove in un determinato territorio lascia traccia della sua presenza e
passaggio, ossia lascia la sua “impronta” così anche le comunità e i distretti insediativi lasciano tracce
e impronte della loro attività e vita. Ma in genere, nella società glocale, le loro impronte hanno effetto
e presenze assai lontane e disseminate.
Se dovessimo rilevare l’impronta dei cibi che una comunità consuma di certo si dovrebbero rincorrere
le impronte in numerosi territori spesso situati in continenti diversi.
12
Il territorio aperto con superfici acquee comprende anche corridoi ecologici marini, quali gli estuari, i fiordi, le
insenature, i golfi, le lagune essi sono particolari immissioni marine nel territorio.
Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 40/
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Righetto.Pedagogia dei Luoghi

  • 1. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale Pedagogia dei luoghi Distretto Formante e Comunità Formativa Gabriele Righetto CENTRO DI ECOLOGIA UMANA Università di Padova Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 1/4
  • 2. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale PEDAGOGIA DEI LUOGHI Distretto Formante e Comunità Formativa Indice Comunità Formativa • Saperi specialistici e saperi coordinati • Episodi e durata • Ruolo nella durata • Tradizione/tradimento • Tradizione selettiva • Esplorativo-costruttivi: cerebrocentrici e ambientocentrici. • Affacciarsi di scenari • Antropocentrismo • I presentofili • Glocali e biodigitali • Sit-territorialità • Finalità della Comunità Formativa Distretto Formante • Condizione di appartenenza • Territorialità Prossemichi • Luoghi e siti • Caring • Coordinamento delle azioni formative • Condizione Glocale • Condizione Biodigitale • Partecipazione a Web Community Appendice La pedagogia dei luoghi, ossia dell’esserci e dell’appartenere • Glocalismo • Senso di appartenenza o Esserci e appartenere • Pre-segni e i Segni o Memoria e immaginazione o Progettualità o I segni deboli (mode affioranti, trend, movimenti culturali, paradigmi, progetti, aspettative e supposizioni) Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 2/4
  • 3. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale • Ecologia formativa e cooperazione dei saperi • Le 5 E • Luoghi e siti • La culla troppo stretta • Cultura progettuale • Caring ed etica socioambientale • Corridoi ecologici • Impronta ecologica • Urbanistica precoce o “bambina” Distretto Formante e la Pedagogia dei luoghi per una Comunità Formativa Verso un lessico della Pedagogia dei Luoghi Gabriele Righetto1 righetto.g@libero.it Comunità Formativa La comunità formativa è un’organizzazione plurale, ossia una realtà tecnosociale che tenta di promuovere i processi di apprendimento, socializzazione, vita comunitaria, di individui ed enti, che mirano ad attivare una condizione consapevole, progettuale, responsabile e operativa in grado di agire nella realtà attuale e nei contesti ambientali come attualmente si presentano, per garantire un presente vivibile e godibile, non compromettendo la condizione esistenziale perché possa proiettarsi nel futuro, senza ledere il mantenimento, migliorabilità e sostenibilità dell’ambiente locale e planetario. Anzi incrementando la qualità dell’assetto. La CF è’ essenzialmente una comunità progettuale che agisce in alcuni luoghi, recepisce il patrimonio acquisito dalle generazioni precedenti e opera per un assetto migliorativo per sè e per quanti si aprono alle prospettive future, aumentando le condizioni di relazioni e interconnessioni. 1 Centro di Ecologia Umana – Università di Padova Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 3/4
  • 4. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale La Comunità Formativa è tipica delle società complesse e in particolare di quella biodigitale, in cui nessun attore sociale è in grado di gestire in proprio tutto un processo e può proporsi come autocrate.2 Ma deve governare interdipendenze e collaborazioni con altri attori sociali. In società complesse e avanzate molti partecipano alla conduzione di un processo e i risultati sono tanto più efficaci quanto più vi è comunanza di obiettivi e progetto. Questo avviene (o dovrebbe avvenire) anche per i processi formativi. Le specializzazioni sono tutte efficaci, ma ad alto carattere di incompletezza. Anche la scuola diventa campo di specializzazione non bastante a se stessa per quanto essa si ponga in posizione e pratica di apertura interdisciplinare ed ecosistemica, per cui è opportuno essa ricorra ad una azione di partnership composita in un team di attori formativi. Saperi specialistici e saperi coordinati Una scuola che pensasse ancora di essere la fonte unica ed esclusiva della formazione, non solo sarebbe penosamente in autoreferenza, ma si esporrebbe ad una decadenza grave e forse irreversibile. Grave perché non in grado di svolgere il suo nuovo ruolo che è più di mediazione tra attori formativi che di trasmissione di saperi già dati e precostituiti che essa non possiede in maniera esaustiva. Ma corre anche il pericolo di decadenza irreversibile, perché se i settori formativi mirati sulla contemporaneità vengono tutti gestiti da altri, essa perde un proprio know-how e dipende in modo massiccio da fattori esterni e non è più in grado di svolgere il ruolo più richiesto nella società biodigitale che è quello del coordinamento. Tutti gli attori sociali che possono assumere valenze formative devono in qualche modo collegarsi fra loro, promuovendo un’azione concordata, secondo una comune apertura all’evolvente. In ciò la CF nel suo complesso è autoapprendente continua, perché i processi cognitivi di apprendimento e socializzazione sono in una situazione strutturalmente aperta. 2 Il riferimento alla Ragione Limitata di H.Simon è sicuramente utile e può essere fonte per ricercare opportune strategie operative, volgendo la prospettiva nella più aggiornata concezione del ‘lavoratori della conoscenza’ e della cultura di team. Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 4/4
  • 5. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale Episodi e durata. Chi è portatore di sapere specialistico esprime un ruolo forte negli episodi, chi gestisce la capacità di coordinare team esprime un ruolo nella durata. La scuola può svolgere un ruolo di team continuativo e quindi di coordinamento, un ruolo importante per i lavoratori della conoscenza.3 Nelle società complesse le organizzazioni resistono se sono in grado di svolgere un ruolo, se cioè sono portatrici di gestione di competenze ed operatività ed esistono strati sociali che si rivolgono ad esse per godere dell’accesso alle competenze specifiche e ottenere l’acquisizione di operatività ritenute utili, interessanti, evolutive e gratificanti. Ruolo nella durata. Le organizzazioni che svolgono un ruolo nella durata si trovano in una posizione più difficile, perché dovrebbero garantire che i cambiamenti sociali annunciati o altamente probabili non rendano vana l’azione orientata sulla durata (specie quando si coglie che la persistenza di conoscenze e comportamenti è molto limitata). Solitamente le organizzazioni che svolgono un ruolo nella durata (e la scuola è una di queste) hanno sempre puntato sulle strategie del valore della ‘tradizione’. Tradizione/tradimento. Ora la parola ‘tradizione’ è una parola ambigua, infatti significa ‘tradere’, ossia consegnare, vale a dire passare da un soggetto ad un altro o da più soggetti ad altri soggetti. Se tutta l’esperienza fosse costituita da quello che si è già fatto nelle generazioni precedenti, allora l’azione formativa potrebbe coincidere con l’atto della tradizione, ossia della consegna del patrimonio precedente alle nuove generazioni. Il che implica anche che i mutamenti tra una generazione e l’altra siano modesti o addirittura quasi nulli e che la generazione adulta sia in grado di assistere ai piccoli nuovi cambiamenti e farli propri per cui è possibile trasmettere alle nuove generazioni anche il piccolo bagaglio della propria ‘tradizione’. Ma se le nuove generazioni assistono a cambiamenti rapidi e radicali che le generazioni adulte non interpretano e guidano (o addirittura non capiscono) diventa fondamentale non consegnare ma pre-vedere e interpretare e liberarsi da 3 F.BUTERA E ALTRI (1997) I lavoratori della conoscenza. Tecnologia, organizzazione e persone Milano, Franco Angeli ed. Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 5/4
  • 6. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale bagagli conoscitivi obsoleti. In tale condizione almeno una parte della tradizione diventa un dis-valore. E qui affiora l’altro polo dell’ambivalenza della parola tradizione che confina, anzi etimologicamente dà esito al termine tradimento, ossia consegnare impropriamente o illegittimamente. Se si continua a consegnare quello che non ha senso o valore, allora non si ‘consegna’, ma si tradisce. In periodi di grandi cambiamenti e di repentine obsolescenze si pone la questione della tradizione selettiva e dell’affacciamento agli scenari. La generazione adulta passa dalla condizione di generazione formata (secondo una tradizione) a quella di generazione in formazione (aperta ad apprendimenti imprevedibili). La tradizione selettiva si pone in modo critico il problema del paradigma culturale tramontato che nel nostro caso è l’industrialismo.4 E’ ormai molto maturo il momento in cui bisogna porsi il problema di quale tradizione si voglia veicolare, perché comunque di una tradizione bisogna occuparsi per dar senso all’identità della specie a cui apparteniamo. Questo comporta consapevolezza dell’identità temporale e spaziale. La temporalità classica costituisce un artificio, come tutte le categorizzazioni storiche che privilegiano “una” storia, in contesto glocale però l’enfasi delle sole componenti greco-latine e giudaicocristiane risultano troppo particolaristiche e settoriali. 4 Esso è nato nel 700, ma ha raggiunto l’egemonia nell’800 e pertanto ha fatto della cultura dell’800 l’asse portante della sua identità. I sistemi formativi sono affetti da pleonasmi ottocenteschi e da enormi difficoltà ad interpretare il patrimonio del 900 che in non pochi casi è vissuto come il secolo della crisi dei valori dell’800. Certo in termini di industrialismo il 900 è un tramonto, ma in termini di società biodigitale esso è il tempo dell’alba, per questo siamo stati in presenza di reticenze e censure novecentesche e il 900 è un secolo educativamente negato. L’800 va drasticamente ridimensionato passandolo a categoria storica e non a categoria valoriale, mentre il 900 non è da interpretare come un 800 torbido e declinante, ma un biodigitale nascente con dimensioni glocali, con tutte le aperture entusiasmanti e le inquietudini pesanti che questo comporta. Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 6/4
  • 7. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale Intanto perchè sono eccessivamente alfanumeriche e poggiano sul primato del libro, mentre la nostra specie è emersa anche attraverso le grandi azioni dell’esplorare e del costruire. Mentre il libro è cerebrocentrico e verbalocentrico, l’esplorare e il costruire sono ambientocentrici. Per questo occorre temporalmente recuperare la coscienza che ci proviene dalle vicende delle persone paleolitiche fino al rinascimento neolitico dopo di che inizia la civiltà urbana in piena postglaciazione a cui apparteniamo tutti. La dimensione dell’esplorare e del costruire enfatizzano la caratteristica immaginaria della specie che sa spingersi nell’oltre, cioè verso ciò che non è ancora conosciuto, ma lo immagina come possibile. Inoltre la specie si spinge a realizzare oggetti e contesti che non sarebbero mai esistiti senza l’azione delle persone, le quali hanno tradotto atti immaginari in atti costruttivi. Esplorativo-costruttivi: cerebrocentrici e ambientocentrici. La chiave interpretativa di tipo esplorativo-costruttivo spinge a cogliere diversamente anche le culture greco-latina e giudaico-cristiana vedendole non solo sotto la luce del libro. C’è bisogno di superare un limitante bibliocentrismo per avvicinarsi ad una maggiore competenza per le culture dell’interpretazione e dell’ azione congiunte alla costruzione. Tutto questo comporta anche la rivisitazione dell’identità spaziale che non può più essere atlantoide (eurocentrica + europeismo traslato in contesto americano), ma deve volgersi ad una visione planetaria della specie. Tale situazione implica immettere nella formazione di base l’apporto di elementi spaziali e culturali che riguardino in modo significativo il mondo asiatico, africano, australiano e polinesiano, compresi gli spazi dei ghiacci. Poiché tale insieme è troppo vasto e ingestibile occorre introdurre una forte strategia di selezione che ridefinisca il tema della tradizione che da atlantoide Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 7/4
  • 8. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale possa proporsi come accordo di comunanza culturale di tipo planetario5 , consona all’esigenza di consapevolezza del chi siamo e da dove veniamo. Ben diverso è il problema del dove andiamo. Qui anche la tradizione selettiva non basta. Affacciarsi di scenari. Negli ultimi 50-80 anni sono avvenuti alcuni cambiamenti così radicali in termini di rapporti spazio-temporali e di stili di vita che la tradizione non costituisce una fonte adeguata ad orientare gli scenari futuri. Si pone una domanda esplicita di formazione e acquisizione di competenze per l’affacciarsi di scenari. Nella storia è sempre esploso l’inaspettato e quindi la necessità di adattarsi a situazioni nuove. Ma nelle epoche pre-biodigitali non esistevano degli acceleratori cognitivi e spaziotemporali6 come sono le telecomunicazioni, i trasporti aerei e di mezzi meccanici semoventi veloci e le forme robotizzate e automatizzate di lavoro topico o telelavorante. Di fronte a queste mutazioni profonde la tradizione non può esercitare il suo ruolo, ossia compiere l’azione della ‘consegna’, perché non può consegnare quello che non ha. I cambiamenti non dotati di connessione forte e possibile con la tradizione, sono ad alto rischio, perché faticano a gestire le conseguenze e gli effetti nel tempo e nello spazio futuri. 5 Una attività può essere quella di un lavoro antologico (antologia intesa come raccolta di ‘fiori’ ossia eccellenze prodotte, non solo selezioni librarie) che integri le eccellenze esplorative, costruttive e comunicative più significative delle vicende del pianeta. Lavoro difficile perché deve far regredire ogni centralismo di parte (e quindi porre in sordina molti aspetti delle singole culture) e mettere in evidenza fatti, eventi, percorsi, strategie che hanno aperto piste molteplici e significative per il glocalismo. Non è questa la sede per elaborare una sintesi in grado di connettere le pitture rupestri di Altamira con le preistoria pechinese e indiana, le esplorazioni spaziali con la muraglia cinese; Machu Pichu con l’architettura lignea tribale dei nativi africani, Confucio e Dante, la pittura buddista con Giotto, la medicina delle staminali con la medicina fitoterapeutica delle Ande, il Taj Mahal e Teotihuacan, l’agopuntura e la microchirurgia, ecc. Sarà un’impresa difficile ma necessaria, purché non si traduca in un enciclopedismo da magazzino, ma sia orientata da un’idea integrativa che serva al riconoscimento della condizione glocale e biodigitale come condizione che riguarda tutte le persone del periodo storico con le spazialità condivise coinvolte nell’attuale fase in cui ci troviamo. 6 Tutte le volte che si è affacciato un cambio di paradigma culturale e comportamentale in genere si sono affacciati anche acceleratori cognitivi e spaziotemporali, tali sono stati la ruota, l’evoluzione dei natanti, la pittura rupestre, la scrittura, la convergenza linguistica in lingue koinè, la rete dei trasporti, la cartografia, la stampa, ecc. Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 8/4
  • 9. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale Mentre nella dinamica della tradizione il futuro è vissuto congruente ad una esplicita dose di continuità con il passato-presente, nella dinamica dell’età biodigitale e glocale il blocco da gestire è il presente-futuro con deciso senso dell’attesa e della serendipità, con il passato posto in funzione di sedimentazione di avventure complesse e plurime già vissute e quindi come luogo-tempo a cui attingere il patrimonio delle diversità e la propensione al mutante possibile, luogo degli atteggiamenti, non delle conoscenze e competenze irrinunciabili. Il passato perde una vocazione all’interpretazione normativa e vincolante, mentre assume un ruolo suggestivo. Ecco allora che per l’affacciamento di scenari si fanno necessarie alcune strategie specifiche che potremmo sintetizzare in: - sviluppo di una cultura della progettazione, - pedagogia dei luoghi, contesto della conoscenza e dell’immaginazione - pratiche di sostenibilità, tutela ed innovazione - sviluppo della concezione e pratica coerente di impronta ecologica - formazione al valore dello stupore - ricerca dello stupore con propensione alla serendipità - rilevanza dei segnali deboli e agli affioramenti - cultura del confine e del limite - cultura delle nuove socialità glocali7 Come chi si riferisce solo alla tradizione risulta prigioniero del passato e cieco alle prospettive future, così chi vive nell’eterno presente e non prefigura, progetta, gestisce il passaggio a cambiamenti voluti o governati, vive in un flusso in cui è immerso e di cui non coglie né il senso e la direzione né tenta di attribuire significato, né avverte i propri limiti e in che modo metta in gioco l’esistenza e la trasferibilità delle risorse nel futuro. Si tratta di persone prigioniere dell’esistente, ma anche sfruttatrici di quello che c’è, galleggianti mobili senza conoscenza alcuna delle correnti e dei moti di dimensioni vaste. Antropocentrismo. In entrambi i casi si afferma poi la deformazione dell’antropocentrismo, ossia l’illusione che esista solo quello che l’uomo 7 parte di queste questioni sono trattate nell’appendice più attenta alle questioni della Pedagogia dei luoghi Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 9/4
  • 10. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale individua e gestisce, in un mastodontico autoinganno di confusione tra conosciuto e reale. Per coloro che sono afferenti solo alla tradizione la condizione umana è concepita come primaria fondata sulla storia, mentre per i presentofili essa è primaria su tutto ciò che attualmente esiste e affiora come spettacolo sempre fluente che continuerà incessante nel suo gioco finché le persone umane lo attiveranno e sostenteranno come gioco. La storia è finita, la sua struttura si è stabilizzata, ora gioca solo con le varianti interne. L’antropocentrismo nega la cospicua esistenza del diverso dall’umano, il pianeta innanzitutto con i suoi forse 30 milioni di specie viventi mobili sulla pellicola superficiale, quindi l’antropocentrismo elude la dimensione geologica articolata in aria, acqua, gas, forme energetiche espressa nei chilometrici spessori perigei ed endogei, a loro volta minuscoli rispetto alla dimensione immisurata dell’insieme delle galassie e del cosmo. Certamente gli ecoumani non devono naufragare nello sconfinato in maniera autodistruttiva, ma devono calibrare le due dimensioni sperequante dell’antropocentrismo e dello spazialismo nel quale non è concepibile neppure un’accezione dotata di centralità qualsiasi. La tradizione stessa, rispetto allo spazialismo, si autoattribuisce una rilevanza che se enfatizzata diventa soltanto ridicola. Il più della storia deve probabilmente ancora accadere. Dove il probabilmente è un cautelativo dalla dimensione nanometrica. Galleggiamo attivamente in un minuscolo guscio di tradizione e in un potenziale indeterminato mondo di esplorazione e immaginazione. Glocali e biodigitali. Essere glocali e biodigitali può inoltre comportare lo sviluppo di coscienza per quanto s’è appena detto, senza risultarne paralizzati. Gli ecoumani lavorano e vivono proficuamente se agiscono conoscendo i loro limiti storici e spaziali e operano per valicarli acquisendo nuove conoscenze e operatività sostenibili. La Comunità Formativa, aspetto tecnosociale della nostra contemporaneità, è costituita dall’insieme delle persone e degli enti che si sono dati lo scopo di gestire la condizione ecoumana attuale sia nelle sue accezioni biodigitali che in quelle glocali. Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 10/
  • 11. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale Essa costituisce il fenomeno sociale articolato e complesso che agisce in una territorialità ambientale e digitale di propria specifica competenza. Sit-territorialità. La relazionalità spaziale di una Comunità Formativa risente delle condizioni biodigitali. Essa agisce in una parte ben individuata del pianeta, anzi in una regione circoscritta del Pianeta in cui è Abitante, ma ha attivato una serie di relazioni ampie a livello di territorialità estesa e planetarietà facendo ricorso ad un uso evoluto di mobilità, trasporti e reti telematiche. E’ quindi in condizione di concepirsi sia come un insieme organizzato di luoghi coordinati, sia come una rete di connessione di siti. In questo senso la comunità Formante opera in una Sit-territorialità. (Territorio + Sitalità = Sit-territorialità) Nella Sit-territorialità, dimensione reale e virtuale, si esprime, agisce, valuta, opera, immagina una Comunità Formativa Integrata. Una Comunità Formativa esprime una concezione educativo-pedagogica che si è liberata dalla stereotipia scolastica e concepisce il mondo degli apprendimenti e delle socializzazioni come insieme dinamico in cui gli attori sociali vanno ben al di là delle organizzazioni scolastiche e dei processi legati all’età evolutiva. Essa esprime una progettualità coordinata e concertata tra i principali attori sociali protagonisti in un territorio in cui - i processi gestionali, - progettuali - produttivi - sociali - manutentivi e tutelatori - evolutivi, trasformatori e sostenibili Tali processi avvengono in un ambito territoriale e sit-territoriale di forte - convergenza - ricorrenza - interdipendenza - coevoluzione - coprogettazione Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 11/
  • 12. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale - comunanza culturale. - Sono presenti almeno alcuni attori sociali primari: - le Amministrazioni Locali e i Coordinamenti Territoriali di sussidiarità diretta (ULSS, Asl, Comunità Montane e similari, Province, Regione) - le organizzazioni scolastiche (comprese le organizzazione territoriali estese come le Direzioni scolastiche Regionali) - le Imprese afferenti al territorio di riferimento - le organizzazioni Terziarie organizzate nel suddetto ambito territoriale - l’associazionismo e volontariato locale - le libere professioni e le libere intellettualità locali - ecc. Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 12/
  • 13. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale Finalità della Comunità Formativa. La Comunità Formativa operante nel proprio Distretto Formante affronta problemi e questioni nodali: • educare le nuove generazioni alle prospettive future in cui esse possano esprimere le loro competenze e responsabilità una volta raggiunta la condizione autonoma e responsabile • progettare ed organizzare sistemi formativi continui per impedire che le generazioni adulte subiscano processi cognitivi e comportamentali regressivi e siano inadeguate ad un ruolo attivo, aggiornato e competente all’evoluzione sociale, culturale, tecnologica, ambientale ed economica. • Conoscere il disagio sociale e del fenomeno dei borderlines e dei disabili, promuovere forme di contenimento, gestione e superamento dello stesso (case lavoro, inserimento lavorativo con appoggio, residenze integrate e dell’autonomia, botteghe solidali). • Tutelare e valorizzare il patrimonio ambientale nelle sue componenti essenziali (naturalistiche, storico-artistiche, beni culturali tecnologici, patrimonio socioculturale delle comunità insediate, reti mussali, patrimonio architettonico-urbanistico). • Valorizzare la rete economica e produttiva in un quadro di innovazione e sostenibilità. • Promuovere la Sit-territorialità: o Socialità ambientale e territoriale (metafora della piazza reale) o Socialità digitale (metafora del cortile telematico). • declinare le 5 E della Comunità Formante: o Ecologia o Economia o Etica o Estetica Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 13/
  • 15. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale DISTRETTO FORMANTE Il Distretto Formante è una proposta organizzativo-territoriale conseguente ad una visione glocale. E’ un’organizzazione spaziale e culturale con finalità di promozione per figure evolute di abitanti biodigitali e glocali. E’ una territorialità che interessa tutti i cittadini. Le persone oggi manifestano una mobilità spesso assai ampia e si spostano con facilità per centinaia e migliaia di chilometri. Però nella vita quotidiana si comportano per lo più come stanziali e fortemente collegati ad alcuni luoghi di riferimento. E’ in questi che si manifesta l’insieme delle azioni di vita di tipo individuale e sociale. Vi sono alcune dimensioni che riguardano la mobilità prossima riconoscibili nelle pratiche e gestioni degli intorni. Gli intorni più significativi riguardano: • la residenza-abitazione • i luoghi di attività sociale (lavoro, studio, esercizio di attività rivolta a quanti riconoscono l’espletazione di un ruolo) • luoghi di attività ricreativa • luoghi dedicati al reperimento di servizi e consumo Questi intorni si manifestano in spazialità che stanno di norma tra i 300 metri e 1 km e mezzo di distanza. Quando si va oltre questa dimensione avviene una transizione, per lo più supportata da un mezzo meccanico e allora le distanze degli intorni si situano nella dimensione di 5-7 km. Se le direzioni interessate sono speculari rispetto ad un nodo di riferimento e si configurano radiocentriche allora la distanza tra punti estremi giunge a spazialità dislocate fino a 15 km. Tutto ciò avviene all’interno di una articolazione di spazialità definibile come distretto. Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 15/
  • 16. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale Distretto. Nel concreto il distretto è formato da 3-4 o più paesi fra loro prossimi o collegati, oppure è dato da alcuni rioni o quartieri urbani che formino fra loro un’unità territoriale riconoscibile e dove si manifestano delle interdipendenze significative. Anche la quantità di popolazione è circoscritta e sta mediamente tra le 30 e le 50 mila unità. Un distretto esprime una condizione di appartenenza, ossia esprime • spazialità organizzata per centralità collegate, • percezione di alcuni confini oltre i quali l’identità si sfuma, • ambiti intesi come patrimonio ambientale specifico e riconoscibile in quanto tessuto socioambientale complessivo (più o meno in condizioni accettabili) • insediamenti produttivi che connotano la dinamica economica e occupazionale sia relativa al campo della trasformazione dei materiali e delle forme manageriali e organizzative, sia all’azione trasformativa e produttiva del suolo riferite ad attività specifiche di tipo agrario e di allevamento. • presenza di istituzioni che governano tale territorio identitario per il quale forniscono e organizzano servizi • organizzazione degli insediamenti con la presenza più o meno avanzata di impianti urbanistici • godimento di beni culturali e ambientali mediante i quali si simbolizza l’identità e l’eccellenza dei luoghi • azione di gruppi territoriali, sociali e culturali che tengono vivo il dibattito fra gli abitanti, danno senso di rappresentanza organizzata, stimolano interventi migliorativi o manutentivi del territorio e sostengono la partecipazione • promozione di sistemi formativi scolastici e di altra natura che vitalizzano lo stato delle conoscenze e competenze operanti nelle varie fasce di età della popolazione mirando ad una condizione alta, evolutiva, competente, responsabile, aperta all’innovazione e alla tutela e mantenimento delle pre- esistenze, declinata sia intermini di esercizio di memoria che di progettazione e gestione, orientata a sviluppare scenari e sistemi simbolici tali da sostenere le motivazioni individuali e sociali. Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 16/
  • 17. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale Tutte queste componenti e dinamiche contribuiscono a definire la Territorialità del Distretto Formante che in quanto caratterizzata da vicinanze, contiguità e compresenze è riconoscibile anche come Territorialità Prossemica. Esso è una realtà così complessa da abbisognare di una costante cura per l’evoluzione cognitiva, comportamentale, operazionale, emozionale, simbolica, partecipativa. ossia richiede una formazione mirata su problemi specifici e tale da conseguire una strategia di formazione continua. Luoghi e siti. Per guidare ad una educazione al Distretto Formante è bene seguire una procedura graduale per tematiche di complessità differenziata di tipo glocale, agendo soprattutto su luoghi e siti. Per quanto riguarda i luoghi la scelta può procedere con la progressiva scoperta della complessità di • edifici • isolati • territorio insediato e aperto8 8 Gli edifici costituiscono i contenitori spaziali e tecnologici in cui si organizza più esplicitamente la vita quotidiana e relazionale degli abitanti di un Distretto Formante. E’ negli edifici che la popolazione di un Distretto Formante esplicita in modo più evidente la sua concezione di appartenenza al territorio, esercita stili di vita che rivelano la cultura a cui effettivamente appartiene e mira, mette insieme aspetti di tecnospazio, sociospazio e biospazio per lo più riferiti a gruppi piccoli e medi. E’ negli edifici che gli abitanti, i City Users, i Country Users, la Comunità Formativa possono lavorare per cogliere i fattori elementari della loro cultura, ossia delle loro conoscenze, competenze, atteggiamenti, emozioni, aspettative, simbolizzazioni, regolamentazioni, organizzazioni. Gli isolati o ripartizioni territoriali delimitate costituiscono i brani più piccoli del territorio del Distretto, ma già dotati di un’esplicita complessità sociale ed ambientale. In loro si trovano più edifici, agiscono infrastrutture per la mobilità, giungono e dipartono le varie reti tecnologiche (idrica, stradale, elettrica, telefonica, televisiva, fognaria, postale, di arrivo-distribuzione di merci, smaltimento dei residui, gestione di territorio aperto inteso come orto, giardino, campo, podere con presenze varie di tipo florofaunistico, ecc. ) In essi si manifestano le forme naturalistiche e socialmente organizzate di gestione delle risorse (aria, acqua, suolo, energia, informazione). La Comunità Formativa è a livello di isolati che riesce a cogliere i primi elementi significativi di organizzazione territoriale, può volgersi alle prime conoscenze e competenze di tipo socioambientale in termini di sostenibilità e di tipo urbanistico ed è in condizione di orientarsi verso la comprensione delle scelte di governo di territorio per i vari soggetti e attori sociali, in connessione con la realtà socioambientale in cui si opera. Il Territorio insediato e aperto rappresenta complessivamente quella realtà spaziale e sociale in cui le comunità vivono, agiscono, progettano, lavorano, immaginano, simbolizzano, si Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 17/
  • 18. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale in cui operano, attivi e organizzati, i principali attori sociali del Distretto Formante (enti locali, scuole, aziende industriali, agrarie e di servizi, enti associativi e culturali, istituzioni territoriali, gruppi organizzati) Per quanto riguarda i siti si possono valorizzare e utilizzare, in riferimento al Distretto Formante: • la rete di scuole in rete • gli enti locali digitalizzati e telematizzati • le aziende come riferimento di propri siti e attività digitali e telematiche. • le navigazioni nella Web globale per perseguire scopi consapevoli. • i centri associativi con attività telematizzati • (Sitalità del Distretto) Il Distretto Formante può rappresentare un territorio in cui esperire concretamente la modalità operativa della dimensione biodigitale e in cui si articoli la dimensione locale-globale utilizzando i sistemi in rete seguendo le modalità e le differenze di contesti proprie delle realtà e attori sociali agenti nel Distretto Formante nel suo complesso. Caring. Un distretto inteso nel modo indicato in precedenza, per luoghi e siti, esprime caring (ossia prendersi carico, cura e responsabilità) per • il suo territorio e ambiente, • gli esseri viventi coinvolti in termini di florofauna e paesaggio, • la promozione della sua economia emozionano, collocano aspettative. E’ lo spazio organizzato ed ecosistemico in cui si ha produzione di ben-essere e ricchezza (eco- nomia/logia) Il Territorio è l’insieme dei luoghi in cui la popolazione esprime la sua presenza, ma anche dove si manifesta l’interazione tra tecnosistema e sociosistema e l’ecosistema di riferimento. Il Territorio è la spazialità in cui si organizzano in modo sostenibile o non sostenibile le dimensioni economiche, ecologiche, etiche, estetiche ed educative della comunità insediata e dell’insieme degli esseri viventi accolti nell’ecosistema locale. E’ a livello di Territorio che si capisce e gestisce lo stile di vita di una comunità sia nelle organizzazioni spaziali (bio-tecno-sociospazio) sia in termini più ampi e complessi di Sit-territorialità. Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 18/
  • 19. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale • la crescita e l’evoluzione della sua popolazione • il miglioramento progressivo delle sue istituzioni e organizzazioni per un governo evolutivo del territorio. • la gradevolezza e salute dei luoghi di vita, secondo un’ottica ampia di estetica dei luoghi e della loro dimensione sociosanitaria. • la sua storia e i segni e simboli della memoria e dei processi identitari • la ricerca di inserimento nell’innovazione, nei linguaggi e pratiche tecnologiche avanzate, ma sempre sostenibili Un Distretto che esprima una complessiva e organizzata strategia di caring è di fatto un distretto formante, in cui la pluralità degli attori sociali presenti concorre alla crescita ed evoluzione delle conoscenze, competenze, atteggiamenti, comportamenti ed emozionalità dell’intera popolazione distrettuale. In un Distretto Formante la scuola non è più il principale o peggio l’esclusiva istituzione addetta alla formazione di conoscenze e competenze, ma assume semmai un ruolo di coordinamento delle azioni formative.(forse anche parziale per la sola età evolutiva) I nodi di intervento per il distretto formante riguardano: • l’educazione alla cultura biodigitale • la costituzione di web community dialoganti e operanti in rete estese, ma rafforzanti le connessioni delle agenzie sociali e culturali appartenenti al distretto formante. • il sostegno di pratiche glocali • la promozione degli eventi ed emergenze più significative del territorio • la connessione con le istituzioni comunali, provinciali e regionali praticati come soggetti formanti sia perché sostengono le attività formative del distretto formante, sia perché offrono luoghi in cui verificare pratiche e organizzazioni di cultura biodigitale e glocale applicati alle istituzioni stesse Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 19/
  • 20. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale • le aziende industriali e agrarie presenti nel distretto formante vissute come poli in cui far formazione e contatto di esperienze produttivamente biodigitali e glocali • gli istituti di credito sollecitati a favorire la formazione alla cultura economica del distretto formante e a porsi come punti di riscontro delle modalità di azione delle pratiche biodigitali • le strutture sociosanitarie (Ulss e Arpa) perché si offrano come centri di formazione alla diffusione della cultura della salute, del welfare e della partecipazione. • l’associazionismo (culturale, sociale, ricreativo e di volontariato) in quanto organizzatore di iniziative sul territorio può costituirsi in interlocutore di formazione per l’ambito del distretto formante in cui opera • le strutture museali, i monumenti e i tessuti di beni culturali ed ambientali diventano luoghi di apprendimento dislocati nel territorio con l’ottica di attivare pratiche di museo diffuso e di ecomuseo • le scuole, intese come realtà formative di coordinamento possono veicolare le tradizioni cognitive ed operative e favorire l’affacciamento attivo e competente agli scenari di innovazione consoni al biodigitale ed glocale. Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 20/
  • 21. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale Il Distretto Formante è l’ambito più idoneo in cui esercitare la condizione glocale. Infatti è un ambito territoriale in cui è possibile riscoprire i caratteri della dimensione locale individuando i fattori fondamentali del • geospazio • biospazio • tecnospazio • sociospazio. Ma è anche l’ambito in cui è maggiormente verificabile la condizione biodigitale. Infatti quando un Distretto Formante è sufficientemente evoluto esso partecipa non soltanto della vita locale, ma soprattutto esprime una dimensione economica e culturale che si attiva su una dimensione planetaria o comunque a grande territorialità. In questo senso sono assai protagonisti • le dimensioni digitali in rete • le telecomunicazioni e le tecnologie satellitari • la telematica • le esperienze di telelavoro • la robotica e l’automazione nelle agenzie territorialmente attive. • la diffusione delle forme culturali ed operative orientati alla globalizzazione o mondializzazione • la coscienza dell’impronta ecologica ma sono anche protagonisti i grandi sistemi di mobilità e trasportistica: • reti aeree • reti ferroviarie • reti navali e fluviali • reti automobilistiche Sul piano culturale la partecipazione a web community e l’aumento di sociodiversità facilitata da viaggi, trasporti e integrazioni portano al vissuto dell’interculturalità all’interno del Distretto Formante. Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 21/
  • 22. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale In un Distretto Formante attivo ed evolutivo la Comunità Formativa agisce perché si produca un sistema integrato di conoscenze, competenze, atteggiamenti, emozionalità sociale, motivazioni, forme associate di comportamento e comunicazione che declinino insieme locale e globale. Appendice La pedagogia dei luoghi, ossia dell’esserci e dell’appartenere9 - Antropoetica dei luoghi Siamo in un’epoca di sfondamento delle idee e del vissuto del tempo e dello spazio. Per moltissimi secoli la gente ha vissuto tutta la vita in un raggio massimo di 30/50 chilometri, standosene per lo più nel proprio villaggio o nella propria contrada e quindi di fatto svolgendo la vita in uno scenario di poche decine di km2 . Il tempo e lo spazio erano implosi e già le persone che abitavano la città più prossima erano ‘stranieri’. Lo scenario ha cominciato a muoversi con l’avvento del treno e dei battelli a vapore e si è dilatato ancor più con l’affermarsi del mezzo di trasporto privato. L’aviazione ha rappresentato una svolta ancora più radicale nella concezione dello spazio e del tempo anche se il fenomeno comincerà ad avere dimensioni di massa nella seconda metà degli anni 50 con l’apparire del B-707, del DC-8 e del Jumbo. Tutti questi elementi hanno cambiato drasticamente la pratica del tempo e dello spazio fisici, con un incremento potente dopo gli anni 70/80. Accanto al cambiamento di vissuto spazio-temporale fisico, si è affermato un cambiamento drastico dello spazio e del tempo rappresentati con l’apparire della fotografia, della radio, del cinema e della televisione. Con questi ‘mezzi’ spazio e tempo dilatati si potevano ‘costruire’ senza che vi fosse la presenza fisica. Certamente gli spazi e i tempi dislocati, supportati da sistemi di rappresentazione, si erano affermati anche in tempi lontani: la letteratura, la pittura, i racconti di viaggio erano produttori di tempo e spazio dislocati, ma non riguardavano grandi fenomeni di massa, erano per lo più appannaggio di élite colte. 9 Il termine Pedagogia, nella sua gamma semantica è un po’ riduttivo ( paidagogia infatti si rifà a paidos – fanciullo e agogos – accompagnatore), la formazione ai luoghi invece riguarda tutte le persone e tutte le età, per questo può risultare più pertinente il termine antropoetica, usato da E. Morin . Più pertinente perché esprime l’idea dell’umanità che realizza se stessa, continuamente autoevolvendo [ anthropos-uomo e poietiké-creazione/realizzazione) “ Dal momento che la specie umana continua la sua avventura sotto la minaccia dell’autodistruzione, l’imperativo è divenuto: salvare l’Umanità realizzandola. Certo permangono e si aggirano sul pianeta la dominazione, l’oppressione, la barbarie umana. Si tratta di un problema storico fondamentale, per il quale non esistono soluzioni a priori, e che potrebbe essere affrontato solo da un processo multidimensionale che tenda a civilizzare ciascuno di noi, le nostre società, la Terra. Una politica dell’Uomo, una politica di civiltà, una riforma di pensiero, l’antropoetica, il vero umanesimo e la coscienza di Terra-Patria potranno solo congiuntamente ridurre l’ignominia nel mondo.” E. MORIN 2001 I sette saperi necessari all’educazione del futuro R. Cortina Editore, Milano p. 120-22 Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 22/
  • 23. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale La stragrande maggioranza della popolazione viveva nel tempo e nello spazio della prossimità. Oggi la situazione è profondamente mutata, al tutto si è aggiunto il tempo-spazio digitale che è diventato dapprima fenomeno esteso, ma ancorato al luogo del computer fino agli anni 80 e dalla prima metà degli anni 90 è diventato tempo e spazio planetari, di tipo digitale, con la pratica Internet. Un altro evento che dobbiamo tenere presente è il processo di miniaturizzazione e la produzione del nanoambiente. Esso avviene dapprima in contesto abiotico con il microprocessore (1971) e si avvia in campo biotico con il DNA ricombinante di Paul Berg nel 1971 e il primo farmaco prodotto da batteri con tecnica di Dna ricombinante nel 1977. L’insieme di questi eventi fa emergere la condizione biodigitale che rappresenta il frammento di avventura umana entro cui ci stiamo trovando a vivere. Essa comporta la possibilità di avere molte modalità di tempo e spazio: - un dilatato tempo-spazio fisico planetario a cui accedere mediante mezzi di trasporto a lunga distanza e rapido spostamento - un tempo-spazio digitale e mediatico che consente di partecipare a processi comunicativi diffusi e pervasivi, con la grande potenzialità di vivere esperienze di web community, ma con il rischio e il risvolto negativo dell’onirismo mediatico. La dimensione digitale consente di distinguere il vissuto dei luoghi dal vissuto dei siti. Attiva inoltre una diversa tipologia di ragione, quella connettivante; - un nano tempo-spazio in cui si vive la capacità di gestire le dimensioni miniaturizzate, altrimenti si implode nella dimensione ‘Matrix’, cogliendo la superficie di una realtà che invece sprofonda in dimensioni ulteriori. La mancanza della nanocognizione (digitale e bio) trasforma il ‘naturale’ percepito con i soli sensi in un grande ‘velo di Maia’ che paradossalmente si virtualizza, perché non si varca il velo. - Il reale non è l’esistente, ma il luogo dell’esistente in cui si è temporaneamente giunti. - un tempo-spazio ecosistemico: esso emerge dalla capacità di partecipare alle interconnessioni tra geospazio, biospazio, tecnospazio e sociospazio che formano unitariamente l’Ecosfera. Tali aspetti non sono leggibili primariamente a livello generale, perché ogni luogo della Terra ha proprie ‘storie’ particolari, essendo uno spazio particolare. Di fatto è la dimensione del tempo-spazio locale, in cui viviamo nel concreto tutte le altre dimensioni temporali, è anche il luogo di convivenza dei tempi geologici/cosmici, biologici e storici. Senza il vissuto dei luoghi ecologici, dove si esperisce la complessità quotidiana, si è condannati a vivere in nicchie astratte, dominate solo dai linguaggi e dai segni. La pedagogia dei luoghi ha come finalità globale - lo sviluppo di persone che vivono in autonomia e in forma associata - le persone si sentono appartenenti all’era biodigitale esperiscono una dimensione spaziotemporale che si articola nel Quattro Cronospazi Integrati Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 23/
  • 24. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale - conoscono, agiscono ed interagiscono relazionate in modo aperto, liberante, responsabile e partecipativo al vissuto della Memoria e della Immaginazione articolate sia nei Luoghi che nei Siti, intesi come scenario di Azioni e Relazioni. Glocalismo Essere biodigitali apre alla prospettiva ecoglobale, o anche glocale, ossia saper vivere, apprezzare, gestire la dimensione della prossimità e della distanza, della planetarietà e dell’eliosistema, assieme al here and now. Il concetto base del glocalismo è l’impronta ecologica che è legata alla consapevolezza di quanto di planetario (ossia proveniente da varie parti del pianeta) è presente nel luogo in cui si risiede e ci si trova. Ma glocalismo significa anche cogliere l’insieme delle differenze che sono proprie del luogo in cui si è: il particolare contesto geologico, la biosfera specifica, il microclima, il paesaggio, le tipologie edilizie ed edificatorie, le dinamiche della popolazione, l’assetto economico e i tratti di sostenibilità, la storia, l’indice di biodiversità, la carica progettuale presente nella popolazione, i corridoi ecologici, i sistemi sociali e sociopolitici, ….. Significa inoltre cogliere e vivere le relazioni con contesti spaziotemporali più vasti: la regione, lo stato, il sovranazionale, il contesto culturale complessivo e di riferimento, la situazione planetaria, la condizione del paesaggio esogeo e le dinamiche in atto nell’eliospazio… Il glocalismo è un atteggiamento complessivo e una pratica di vita che permette di essere • consapevolmente e attivamente abitanti di luoghi a cui si sente di appartenere • coinvolti e partecipi alle vicende del pianeta attraverso gli strumenti di telecomunicazione e di interrelazione estesa e forme di mobilità e trasportistica particolarmente estendenti L’esercizio cosciente e attivo del Glocalismo consente di sfuggire a due rischi: • l’emarginazione • l’omologazione La prima può avvenire quando ci si attardi su paradigmi culturali e operativi superati, come la collocazione acritica nell’industrialismo ormai obsoleto o in un nostalgico rincorrere la civiltà agrario-artigianale. Il Glocalismo richiede la comprensione e la partecipazione al paradigma biodigitale, senza però perdere capacità di lettura sia storica che di ulteriore possibile cambiamento, riferendosi ad una cultura progettuale che non si abbandona a posizioni di dismissione culturale e di deresponsabilizzazione decisionale. La seconda si afferma quando si lascia che un’opzione relativa ad una componente particolare del pianeta, per quanto potente e dotata di mezzi sia, eserciti un ruolo di pesante egemonia sociale e di condizionamento delle vite individuali. L’omologazione ad un unico modello sociale, economico e comportamentale conduce al rischio di essere applicatori acritici di decisioni altrui e quindi alla condizione subita della strumentalizzazione e subalternizzazione. Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 24/
  • 25. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale Il glocalismo invece valorizza le aperture planetarie, facilita le interconnessioni vaste, ma contemporaneamente tutela e promuove le diversità locali, il pluralismo degli stili di vita, la decisionalità ampia e creativa, l’esercizio dell’immaginazione e della progettualità per svolgere un ruolo aperto ed innovativo rispetto al paradigma biodigitale, che è inteso come un’opportunità storica e non come dimensione consolidata, irremovibile, immodificabile e dipendente da una sola concezione di vita. Senso di appartenenza Vivere in un luogo significare stare in un parte del pianeta. Il senso di appartenenza è la comprensione di essere parte e di distinguersi da altre parti. Un autentico senso di appartenenza pertanto scopre che esiste un '‘noi’ che sta in ‘qui’ che si distingue da un altrove. Appartenere significa elaborare un processo di identità e continuare a farlo, tutte le volte che le relazioni ampliano la dimensione del vicino, del prossimo, del lontano, dell’altro. Appartenere significa scoprire la dimensione dei luoghi che hanno una identità fatta di separatezze e singolarità, ma anche di connessioni attraverso una rete di elementi che conducono e allontanano materia-energia-informazioni e quindi con la percezione che i luoghi sono ‘stazioni’ che hanno pertanto al loro interno ambiti destinati alla presenza e all’arrivo dell’altro e per l’altrove. L’appartenere però presenta molte sfaccettature: - si è parte perché si coglie la positività dello specifico della parte, ma si cerca di relazionarlo con un più ampio esterno. Appartenere è relazionare un’identità. - si è parte perché non si sa cogliere che c’è un altrove, anzi non si coglie che anche la parte è dinamica e muta. La parte è vissuta come un tutto e un tutto statico e quasi immobificabile. Appartenere è essere fedeli e tutelatori della continuità; - si è parte perché ci si vive come esperienza e angolo del pianeta esclusivo e privilegiato, mentre il resto è non solo alieno ma portatore di disvalori. Essere parte è gerarchizzare, escludere il non puro, o immettere, limitando la decisionalità e stabilendo condizioni di subalternità per altri. Appartenere è senso di superiorità e timore che altri insidino, è narcisismo localistico e disconoscimento o disprezzo per il diverso e il lontano - sentirsi parte è cogliere i limiti della parte in cui ci si trova, apprezzarne aspetti e potenzialità positive e lavorare perché la parte si integri con positività più estese; - sentirsi parte è smarrirsi, percependo che ci sono tanti altri altrove, ma di cui non si coglie la direzione e il senso. Appartenere è smarrirsi e rifugiarsi…. - Esistono molti modi di sentirsi parte, uno è quello di cogliere la condizione integrata dove molte parti stanno insieme attivando meccanismi di reciprocità che consentono la cooperazione e la manifestazione di conflitto se affiora un disagio, la capacità di coprogettare e la capacità di isolare quello che è importante per sé e per il proprio gruppo ma non è da imporre agli altri, la capacità di isolamento e la capacità di integrazione, la capacità di scoprire la propria identità e Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 25/
  • 26. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale di impegnarsi per superarla per realizzare un cambiamento insieme ad altre identità alla ricerca di un’identità nuova, rispondente a nuove spazialità e nuove temporalità…. Esserci e appartenere Esserci non significa pertanto appartenere. esserci è stare in uno o più luoghi, sostare, transitare, essere autoreferenti con i luoghi che sono solo un sostrato, anzi degli spazi. Si comincia ad appartenere quando si manifestano dei progetti. Quando cioè si elabora una memoria e le si dà un senso. La memoria però ha molti significati e molte dinamiche. La memoria è - enfasi del già stato - mantenimento nel gruppo presente delle eccellenze dei gruppi antecedenti - nostalgia per un contesto che si è perduto e al quale si attribuiscono solo eventi attraenti - giudizio sulle dinamiche avvenute e comprensione dei percorsi che si sono esauriti, delle situazioni che sono evolute, delle vie sbagliate, dei preannunci di processi che sono iniziati e ancora non sono giunti a maturazione - esercizio per predisporsi alla mutevolezza - non è un dato, ma un elaborato e quindi è una comparazione tra l’oggi, il tracciato effettuato e il tracciato che si vorrebbe - un costante esercizio specifico di immaginazione e di produzione di significanza, rappresentazione e figurazione - i luoghi sono monumenti, ossia entità spazio-temporali che ammoniscono e invitano a tenere a testimonianza, monito e ricordo Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 26/
  • 27. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale Pre-segni e i Segni Quando si ha un rapporto diretto con un luogo, sono coinvolti tutti i canali cognitivi della persona, la sua storia personale, la sua capacità di coinvolgimento, le sue strategie emotive, la sua capacità di esserci e appartenere, la sua dimensione di vissuto fatto individualmente e soprattutto come dimensione del produrre e vivere relazioni ossia il suo stare in coppia, in un branco, in un gruppo, in una comunità, in una società. Quando si giunge in un luogo si arriva prevalentemente in tre modi: 1) le parole preorientano a conoscere, per cui s’individuano le presenze e le differenze in un luogo perché si posseggono le parole che ‘dicono’ le differenze individuabili. Ciò che non è dotato di ‘parole’ o è muto o addirittura non è segnalabile, appare come un luogo senza strada e senza segnalazioni 2) i segni aprono le piste per scoprire le caratteristiche dei luoghi. Ci sono gesti fatti in luogo che si possono riprodurre o trasferire in altri luoghi (inoltrarsi, calpestare, annusare, cogliere, gustare, raccogliere, separare, ammassare). Queste azioni diventano un bagaglio di segni comportamentali per entrare nei luoghi e avere un pre-patrimonio con cui rapportarsi con i luoghi e i loro elementi. I segni si fanno ancora più forti e orientanti se si traducono in prodotti iconici, in immagini, disegni, simboli, suoni trattati e prodotti consapevolmente, in canti, in ritmi convenzionati, in linguaggi plastici (sculture, artefatti artigianali, prodotti industriali, rappresentazioni varie dalla grafica alla pittura alla computergrafica, ecc.). Esperire dei luoghi attraverso la dotazione di una pluralità di codici comporta immergersi nei luoghi dotati di strumenti che evidenziano, enfatizzano, interpretano gli elementi dei luoghi stessi. Ma non tutti gli elementi dei luoghi sono già parole o segni. Molto spesso essi sono solo presenze e spesso presenze nascoste. Presenze presenti, ma pre-cognitive. 3) 3 - le sensazioni sono un’altra modalità (e la primaria) con cui entrare in contatto e inter-agire con dei luoghi. Le sensazioni si focalizzano in un intorno (vissuto come unitario) dove si possono ritrovare alcune differenze che si stagliano sul tutto: - un suono (forse di uccello) - un rumore (forse uno sbattere d’imposta o il passaggio di un aereo) - un profumo (forse la presenza di un fiore o di una casa con la cucina attiva o una stufa di legna accesa) - un fruscio (forse lo spostamento di un animale o l’alitare del vento o il gorgogliare di una fontana ) - un’asperità diversa del terreno (tattilità dei piedi) - una percezione di freddo o di caldo Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 27/
  • 28. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale - una percezione della percorrenza veloce o raffrenata dovuta alla natura o conformazione del terreno del luogo (dinamiche cinestesiche) - il rilevamento di una differenza intesa come prodotto naturale o artificiale ( ma allora vi è un chiaro pregresso di esperienza distintiva tra Natura e Cultura) - l’attrazione per una bacca e la sua pregustazione e un primo contatto con la bocca dove affiora e si addensa il linguaggio primario dei sapori… La dimensione delle sensazioni e delle esperienze primarie può esistere senza che si abbiano le parole per dirlo. È un rapporto non mediato tra soggetto ed ambiente, durante il quale le presenze dei e nei luoghi si traducono in segni entro la mente della persona. Sono segni però che appartengono solo alla persona e non sono comunicabili, sono segni privati, di fatto pre-sociali o meglio ancora pre-segni. Sono comunque segni in quanto colgono delle differenze, anzi le differenze sono segni ( e quindi attivano dinamiche di informazione), ma sono segni che si ‘incidono’ sulla coscienza e/o nell’inconscio del soggetto che le esperisce (cioè nel suo vissuto), ma non sono condivisibili con altri, perché mancano di mediatori segnici. Quando si vuole comunicare (ossia mettere in comune esperienze), bisogna “pro-durre”, condurre davanti e fuori un’esperienza aggiuntiva che consiste nella produzione di un segno10 , ossia di una presenza di evento condiviso, su cui due o più (o meglio molti) soggetti sperimentano la convergenza, riconoscendo un evento differenziato e specifico, a bassa valenza di ambiguità. L’esperienza di mediatore segnico può essere un gesto o un azione. L’esperienza di un mediatore segnico può essere, come si è detto, un gesto o un’azione. Ad es., se in un bosco voglio comunicare l’esperienza di morbidezza posso far sfiorare-lambire- accostare-toccare-accarezzare un lembo di muschio e comunicare con l’andamento degli occhi e delle mani la sensazione di morbidezza provata. 10 Può essere di qualche utilità richiamare l’etimo della parola (ricordando che l’attivarsi consapevole dei giochi linguistici e la propensione non solo ad usare giochi linguistici, ma ad elaborare giochi linguistici, permette un rapporto dinamico e creativo tra pre-segni e segni): “lat. Signum, propr. ‘intaglio’ da un ant. ‘secere’, class. Secare (dal lat. Secare, parziale sostituto italico di un antico secere, dal rad. SEK ‘tagliare’, attestato anche nelle aree celtica, baltica, slava e, limitatamente ai temi nominali, , in quella germanica.) Vedi. G.DEVOTO Dizionario etimologico. Avviamento all’etimologia italiana.Le Monnier, Firenze 1968 Vi una accezione pragmatica: diventa segno l’incisione su legno, pietra, suolo in modo che rimanga traccia e tale ‘incisione’ assume un senso. Ma in senso metaforico un segno è l’atto del ‘tagliare’ una differenza da tutto il contesto, distinguendola e separandola, quindi l’atto del distinguere è già un intaglio, un separare mediante un confine e un profilo. L’azione sui luoghi è proprio l’incidere ‘recinti’ attorno alle differenze per cui non sono più immerse nel tutto, ma distinte dal tutto. Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 28/
  • 29. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale Se si coglie la convergenza sul vissuto provato con almeno due persone (ma si avvia ad essere un’azione sociale) è possibile produrre-inventare un suono (una parola) o un segno (un’immagine, un’incisione, un grafo, un simbolo, una pittura che sta al posto di quell’esperienza). Coloro che primariamente hanno vissuto l’esperienza diretta assieme alla produzione del segno sanno in che consista la connessione tra pre-segno e segno. Ma molti altri possono comprendere, a partire dall’esistenza di segni organizzati, l’esperienza limitata alla sola collezione di segni. Questo livello moltiplica enormemente la capacità di immettersi nel patrimonio delle esperienze ed è il fondamento esaltante della Cultura che si alimenta di Segni e, attraverso essi, sostiene una molteplicità di azioni e procedure collegate. La Cultura è uno strumento potente e irrinunciabile se non vogliamo rinchiudere le persone solo nell’esperienza diretta che implica il comunicare sempre daccapo. Ma è anche bello ed entusiasmante ritornare Eva e Adamo agli albori di tutte le esperienze. Eppure la cultura ci offre altri Eden che sono appunto quelli dei segni. Anche in essi si provano esperienze primarie ed aurorali. Ed è quando s’incontrano alcuni segni per la prima volta e si scopre il loro senso, per cui si produce, in modo diretto, l’esperienza dell’estensione indiretta. Vi sono altri momenti esaltanti nel mondo dei segni: quando partendo da alcuni segni si producono nuovi segni per attivare nuove esperienze segniche. E’ il momento fondamentale dei giochi linguistici e segnici, dei neologismi connessi a neoprassi, delle neoimmagini e neopitture per nuove organizzazioni percettive, delle neostereoprassie per rappresentare elementi spaziali di tipo innovativo, per ridefinire paesaggio, scultura, architettura, artefatti ingegneristici, artigianali, agrari. Ma se si perde l’esperienza del pre-segno ingenuo, quello che si fa direttamente e personalmente in un luogo, non si scopre mai più la particolarità singolare di un fiore, di un ruscello, di un impianto di acquedotto o lo sgorgare di una fonte, del calpestio insolito di leprotto o lo spaesamento e la dilatazione cognitiva che affiorano nello scavalcare una sella di montagna da parte di un branco di nuvole. La pedagogia dei Luoghi o Antropoetica dei luoghi ha bisogno di alimentarsi e alimentare segni e presagi. E deve farlo per singoli soggetti, ma anche per branchi umani e mettere in grado di fare esperienze avanzate e esperienze ludiche e gioiose di scoperta, interpretazione, produzione, gestione di segni e pre-segni. Insieme. Comprendendo i giochi cognitivi ed operativi antichi e contemporanei, dalla selce ed amigdala all’impianto biodigitale errante nell’Eliospazio. La pedagogia dei luoghi o Antropoetica dei luoghi è uno strumento per interagire e giocare con parti della Terra e dell’Esogeo, sapendo tracciare e vivere sentieri e percorsi dove si giocano e costruiscono azioni impastate sia di segni che di pre-segni. Ossia di Esperienze Elaborate e Riflesse o di Esperienze Aurorali, senza troppe fasi mediate. Ma riconducendo però, poi, il gioco all’intreccio del mediato e del non mediato. In cui si abbia gioco della Memoria che elabora l’esperienza, dell’Immaginazione che prefigura nuovi scenari e la loro Attuazione, dove vi sia gioco della Curiosità Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 29/
  • 30. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale che annusa le piste e le affronta anche se non sa dove esse condurranno (tanto sa che le sorelle maggiori, Memoria e Immaginazione, non si perdono facilmente nel Bosco dei Segni ). Memoria e immaginazione Se i luoghi vengono ingabbiati solo nella memoria essi si assolutizzano ed entrano in processi entropici. La storia non decade a processo entropico se non mette in dissolvenza alcuni luoghi irrigidendo l’assetto morfologico in modo cristallizzato e il più a lungo possibile. La storia può essere intesa come processo vitale che coglie le differenze e i punti di eccellenza, li mantiene e li fa partecipare al tessuto vivo, non soggiacendo alle logiche subentranti, ma imponendo alle logiche nuove la ricerca della convivenza, della valorizzazione, del rapporto di gerarchia valoriale, secondo il principio che i processi sociali e storici trasmettono i loro valori radicati quanto più si alimentano di vita. In tale prospettiva un monumento o dei luoghi di sono etimologicamente ‘strumento per far ricordare’ se si pongono come luogo vivo a servizio di una comunità che li rispetta e li ricorda, ma anche li frequenta e li vive. E il dar senso ai Beni significa fare delle risorse architettoniche, paesaggistiche, sociali e ambientali non una parola abbandonata, ma una parola comunicante per una Comunità attiva. Allora non basta la dimensione della Memoria, anzi occorre una forte promozione della cultura della Progettualità. Non si ha però Progettualità se la Comunità che gode e gestisce dei luoghi, non incentiva l’Immaginazione, ossia la capacità di prefigurare quello che ancora non c’è, orientando il desiderabile e rimuovendo o allontanando il disagio. Una cultura dei luoghi si fonda su una memoria creatrice e su una diffusa capacità pre-visionale e pre- dittrice. Una cultura dell’Immaginazione si afferma più facilmente quando si dà rilevanza non solo ai segni forti, ma anche ai segni deboli. I segni deboli sono i marcatori dei processi in evoluzione e possono suggerire le piste che verranno, anzi sono il luogo degli apripiste. I segni forti invece dicono quello che è già giunto a maturazione e si è consolidato mediante il riconoscimento in vasti strati sociali e con la traduzione degli eventi in segni concreti rinvenibili nel paesaggio. I segni deboli sono in realtà problematici, perché possono fare riferimento a processi di immaginazione che non sempre rivelano una carica vitale effettiva. Occorre allora fare distinzione tra i segni delle mode affioranti, comprendendo che esse sono per lo più pilotate da gruppi di potere e decadranno non appena il meccanismo di mercato non li sosterrà più. Purtroppo le mode nei luoghi possono lasciare anche segni di basso livello che mantengono una durata fisica maggiore delle mode e contribuiscono alla diffusione e consolidarsi del kitsch e del trash. L’immaginazione dovrebbe essere stimolata a cogliere il carattere effimero ed eterodiretto delle mode. Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 30/
  • 31. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale Fenomeno più interessante si ha quando nei luoghi si manifestano dei trend, ossia processi che già si immettono nel presente consolidato, innovazioni che rivelano una durata non stagionale e non sono appannaggio di piccoli gruppi o di attrazioni di breve durata, ma si rivelano in luoghi diffusi e in una porzione significativa della popolazione, con incidenza su decisionalità abbastanza palesi. Un buon indizio per cogliere i segni deboli di trend può provenire dall’analisi degli eventi che si sono affermati negli ultimi cinque anni e tendono a mantenersi e diffondersi. Quando alcuni trend superano ampiamente i dieci anni, cessano di appartenere alla dimensione dei segni deboli e si configurano come fenomeni appartenenti a movimenti culturali. Molto spesso ogni quindici anni, ossia all’interno di uno snodo generazionale, avviene un cambio di paradigma. Se la generazione più anziana e decisionale mantiene il suo andamento, anche i movimenti culturali come paradigmi ormai palesi possono faticare a manifestarsi nei luoghi. Tra i segni deboli bisogna anche considerare i progetti, le aspettative e le supposizioni socioambientali e sociotecnologiche. Ossia i segni del socializzarsi di alcune elaborazioni immaginarie. Non poche volte questa dimensione riguarda segni deboli gestiti da minoranze. • Mentre il continuismo dei movimenti culturali e dei trend assume la configurazione di consolidamenti avvenuti (e quindi trova il suo sostegno in eventi fra loro già in qualche modo connessi) il continuismo voluto e progettuale trova il suo sostegno nei valori. Ossia non solo nell’accogliere gli eventi, ma soprattutto nell’orientarli e determinarli, favorendo i processi e non solo stando dentro i processi. Si tratta di una immaginazione decisionale. Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 31/
  • 32. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale Ecologia formativa e cooperazione dei saperi Certamente esiste una lunga tradizione di educazione ambientale 11 , ma nella pratica ha assunto un’accezione specifica e di settore: è divenuta questione prevalentemente scolastica e quindi uno dei temi importanti che vengono promossi nelle aule e nelle attività didattiche. Pur essendo un ruolo importantissimo, la formazione alla conoscenza, comportamenti e competenze evoluti nel rapporti persone/ambiente non può limitarsi alla sola scuola. Occorre un piano più ampio che veda coinvolti i professionisti, gli amministratori, il mondo del lavoro, della comunicazione, della formazione continua e ricorrente. Per questo ambito più esteso può risultare utile l’uso dell’espressione ‘Ecologia formativa”. Essa rappresenta un settore di impegno per. • la divulgazione di problematiche ambientali e territoriali • il sostegno all’uso informato e responsabile delle ecotecnologie • la declinazione dell’impegno professionale in un’ottica non settorialistica, ma di interdipendenza ed interconnessione ecosistemica • il sostegno a cultura e pratiche ecoumane nelle Amministrazioni locali • l’impegno per la diffusione della progettazione partecipata • la conoscenza a la partecipazione attiva a progetti del tipo Città sane e Agenda 21 • la promozione di una cultura del turismo sostenibile e di coinvolgimento con i territori • il sostegno a pratiche quotidiane sostenibili • la diffusione delle problematiche dell’impronta ecologica e dei mercati equi e solidali • l’attivazione costante di una coscienza vigile, aperta all’innovazione, alla sostenibilità, al principio di responsabilità e di precauzione. Le 5 E L’impegno formativo di Ecologia Formativa dovrebbe declinarsi nell’attivare le cinque “E” fondamentali: • ecologia • economia • etica • estetica • educazione che hanno come obiettivo promuovere condizioni ecoumane che attivano l’integrazione e l’interazione delle culture e delle pratiche tali da far evolvere in coesistenza evolutiva Comunità, Luoghi e Relazioni con altri Contesti. 11 si veda il mio “EDUCAZIONE AMBIENTALE PER GENERAZIONI ECOGLOBALI. In contesti sostenibili” inserito in www.irre.veneto.it/fad/sentierididattici.htm Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 32/
  • 33. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale Accanto alle culture specialiste, va attivata ed estesa una cultura ecoumana generalista, ossia capace di cogliere non solo la specificità degli oggetti di conoscenza ed azione, ma le reti di interconnessioni. Tutto ciò non è cultura generica, ma cultura sovraspecialistica, capace cioè di valorizzare competenze e professioni, ma non di legittimazione della frammentazione del reale, facendo della complessità, della contestualizzazione, della pre-visione, della gestione-manutenzione, delle letture glocali (interazione di locale e globale), dell’incentivo e promozione alla cultura progettuale sostenibile, pilastri che siano patrimonio metaprofessionale e della cittadinanza attiva. Luoghi e siti Il glocalismo è un atteggiamento e un insieme di pratiche che continuamente si rinnovano perché è fortemente attento a: - la lettura e gestione degli ecosistemi - la progettazione- gestione e governo dei tecnosistemi e della cultura dell’Artificiale - interpretare, tutelare e valorizzare le specificità e le identità di contesti dotati di un proprio profilo socioambientale - avvertire e adeguare i comportamenti al mutare delle categorie temporali e spaziali che ridefiniscono continuamente il concetto di ‘reale’, di conoscenza, di gestione, cogliendo come oggi alcune frontiere sono di primaria importanza - lavorare sulle frontiere: - il digitale e gli ambienti virtuali; - le attività molecolari e genetiche - il nano ambiente e le nanotecnologie - la robotizzazione e l’automazione - il telelavoro e la telesplorazione - le comunità virtuali o web community - il paesaggio esogeo e le tecnologie satellitari e spaziali - il multiculturale e le interazioni di Comunità e Culture - l’uso, la distribuzione e la difesa delle risorse - i nuovi apprendimenti e le nuove socializzazioni Per alcuni di questi aspetti si lavora in contesto reale e mediante rapporti diretti. In tal caso l’azione ecoumana riguarda i luoghi. In non pochi casi le azioni ecoumane avvengono in contesti indiretti, in cui non si incontra la fisicità delle persone e dei luoghi, ma la loro carica comunicativa. La comunicazione in tal caso è pre-messa all’azione sui Luoghi, ma il momento relazionale non avviene suoi luoghi, bensì sui siti, ossia Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 33/
  • 34. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale dimensioni spazio-temporali in cui la biosfera e la geosfera sono marginalizzati e sostituiti dalla Tecnosfera tradotta in bits. Ciò permette grandi potenzialità anche positive, ma il rischio è di una schizofrenia collettiva tra l’essere in luoghi ed esistere in siti, il tutto lenito o velato da un diffuso onirismo mediatico. La culla troppo stretta Dopo gli anni 60 e l’inizio dell’avventura spaziale che ha nell’evento dello sbarco sulla Luna un atto fortemente simbolico, la condizione umana ha cominciato a vivere una dimensione nuova e la costruzione di un nuovo paesaggio, fatto di satelliti, di navette, di stazioni orbitanti, di viaggi di veicoli spaziali lungo l’Eliospazio e lo sbarco di un motorobot su Marte è un altro evento a forte impatto simbolico . Tutto questo lo possiamo definire avvio del Paesaggio esogeo e l’innescarsi di un nuovo campo di responsabilità che si dilata fuori della Terra, che, come dice Genta, è ormai divenuta una culla troppo stretta. L’emergere del problema dei rifiuti spaziali, il rischio di cadute di relitti, il configurarsi di una concezione militare del paesaggio esogeo condensabile nell’espressione ‘scudo spaziale’, la possibilità che in tempi non lontani si possano trasferire piante ed animali in stazioni orbitanti, ci deve portare a riflettere sulla necessità di educare le nuove generazione ad una visione estensiva dell’ecologia formativa e a problematizzare il concetto stesso di natura. Lo stereotipo di natura ha come sinonimo più ricorrente il termine vivente . D’altra parte l’etimo della parola deriva da ‘nascor’ e quindi è ‘natura’ legata all’idea delle cose che nascono e generano . Ma i corpi spaziali che ci circondano in grandissima quantità sono abiotici, cioè non contengono vita e allora dobbiamo pensare che la Natura sia solo un piccolo fenomeno rinserrato nella 'culla troppo stretta’ o non dobbiamo ridiscutere il concetto radicale di natura che è participio futuro di nascor e quindi non luoghi dove c’è la vita, ma anche luoghi dove può in futuro giungere la vita? Oppure più semplicemente la natura va intesa come tutto l’esistente con l’impegno a superare la culla troppo stretta? Cultura progettuale Tra cultura storica e progettuale non dovrebbe mai prodursi un conflitto, perché sono assi portanti della coscienza e operatività individuale e sociale. La cultura storica dovrebbe favorire la comprensione delle forme complesse attraverso le quali siano giunti alla situazione attuale, ma anche la scoperta dei percorsi che sono iniziati appena oppure hanno avuto alcuni sviluppi e poi sono affondati nell’oblio. La cultura storica non è solo una forma di consapevolezza degli stati di fatto, ma anche di cosa ci è lontano e ciò che abbiamo abbandonato non solo come scelta voluta ed esplicita, ma anche come distanziamento e lento declino al punto di non essere consapevoli della diversità che si è raggiunta. La cultura storica diventa diversa quando può contare su alcune testimonianze concrete di contemporanei, perché si confronta con la memoria vivente (che è pur sempre una ricostruzione parziale e condizionata-condizionante). Ma quando si confronta con la memoria documentaria entra in una dimensione più complessa, ma anche molto selezionata, perché i documenti vanno incontro alla Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 34/
  • 35. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale censura e logorio del tempo. Essi infatti possono non diventare mai documenti, ma farsi eventi e non tradursi in segni che persistono nel tempo, allora della storia possono rimanere solo qualche ombra o solo un insondabile silenzio. Poi può avvenire che gli eventi effettivamente si traducano in segni o tracce che testimoniano gli eventi. Vi sono molti modi di trasformarsi in segni, uno dei modi maggiormente considerati è la testimonianza scritta. Ma la realtà non è una scrittura alfanumerica e se ci si affida solo a questi documenti si rimane nell’ambito del bibliocentrismo e verbalocentrismo. La cultura storica può farsi maggiormente connessa ai segni non alfanumerici e allora riconosce rilevanza alle costruzioni territoriali: gli edifici, le strade, i sentieri, gli oggetti, le macchine, gli impianti e le reti. Certamente questi danno testimonianza di una presenza molto concreta. Spesso però tale dimensione materiale e concreta non può offrire riferimenti ad eventi netti e puri, mantenuti inalterati nel tempo, essi sono segni che attraversano il tempo e vengono usati in contesti diversi, per cui subiscono la rivitalizzazione dell’uso reinventato, con il risultato che essi non poche volte si distanziano in modo cospicuo dall’evento assieme al quale sono nati e quando si interviene per restaurare e ripristinare la forma originaria del segno in realtà si fa della chirurgia storica, come se il tempo fosse un oggetto statico a cui togliere le concrezioni, mentre è uno scultore continuamente in azione. La pedagogia dei luoghi sicuramente ha bisogno di un forte apporto della cultura storica, ma deve procedere con la adeguata consapevolezza che la storia fissa gli eventi in forma contratta ed esercita una temporalità elaborata e una spazialità deformata e selezionata, traducendo il tutto in un tempo e in uno spazio astratti. Una storia non assolutizzante perciò scopre le cose, le vicende e gli eventi, mentre essi continuano a mutare e riconosce una presenza che da molto tempo magari non è più una presenza omogenea. Il problema non è solo la comprensione del cambiamento che è avvenuto, ma anche il cambiamento che sta avvenendo e che può avvenire e che ancora non è avvenuto. Ecco allora che accanto alla cultura storica sono indispensabili due altre forme di cultura: - quella esplorativa che indaga ed interpreta il contesto attuale - quella progettuale che prefigura un assetto possibile e esplora la fattibilità e le vie di realizzazione nelle terre non solo del reale, ma anche dell’immaginazione. La cultura progettuale ha nei confronti dello spazio e del tempo un atteggiamento ambivalente: 1) prende atto dello stato attuale dei processi in atto e dell’assetto territoriale che esiste in modo più rigoroso possibile (fase realistica del progettuale) 2) considera il reale non sempre soddisfacente e suscettibile di miglioramenti • ripristinando assetti possibili e perduti o deteriorati (cultura del restauro, del ripristino ambientale e della tutela) • introducendo cambiamenti significativi nei luoghi e nei comportamenti delle persone in quanto si suppone che il reale sia suscettibile di mutamento ed esistano i mezzi, le tecniche e le concezioni culturali e simboliche per realizzare assetti diversi e migliorativi La pedagogia dei luoghi sviluppa entrambe le culture, storica e progettuale, ma ha una tendenziale attenzione maggiore per la cultura progettuale, perché essa è tendenzialmente biofila, e l’amore per la vita si manifesta dove la vita agisce e cioè nel presente e nel futuro, mentre la cultura storica aiuta a Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 35/
  • 36. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale capire la vita come è stata, è pertanto scarsamente utile ad orientare le esigenze, i bisogni e i desideri individuali e sociali in scenari che non sono mai apparsi nel passato. La cultura progettuale si esprime anche nelle sue forme di restauro, ripristino e tutela, ma soprattutto nella proiezione volta all’affermazione di nuove conoscenze, competenze, organizzazioni, visioni esistenziali per i soggetti individuali e sociali. La cultura progettuale agisce per pre-vedere, pre- orientare, pre-organizzare, pre-governare situazioni pensate ed elaborate come desiderabili. Nella pedagogia dei luoghi un posto fondamentale è occupato dallo sviluppo dell’immaginazione, favorendo la propensione a considerare le situazioni possibili, gli assetti ipotizzabili ma non esistenti, lo stimolo ai linguaggi prefigurativi del pensiero plastico, narrativo, del disegno, della modellizzazioni, delle prefigurazioni trasformative e della costruzione rigorosa di scenari adatti a ipotizzare e verificare le configurazioni sostenibili in contesti ad alta probabilità. In questo senso la cultura progettuale assume una dimensione valoriale ed è riconoscibile nella propensione al caring e all’etica socioambientale. Non ogni cambiamento è legittimo, come nessuna conservazione è in sé sempre opportuna, vivere è prendersi cura e assumere responsabilità per sé, i luoghi e le persone di riferimento, per il reale in cui avviene l’avventura esistenziale degli ecoumani e degli altri ecoidi. Caring ed etica socioambientale Gli ecoumani possono essere reificati oppure possono vivere in uno stato di censura esistenziale, ovviamente nel caso in cui cadano nella trappola del vuoto ed insignificanza del vivere.. Gli ecoumani possono essere reificati quando vengono ridotti allo stato di oggetto. Ossia elementi presenti nel pianeta che vengono spostati, indotti a cambiare, fatti agire, posizionati senza che vi sia una loro decisionalità. Seguono tempi stabiliti da altri, sviluppano comportamenti indotti da sistemi cognitivi e immaginari supportati da strumenti condizionatori di massa (sopratutto di tipo mediatico), considerano la vita un consumo e quindi accedono agli erogatori degli oggetti di consumo e seguono fedelmente le istruzioni d’uso, non sono in grado di vivere la solitudine come un valore, ossia come condizione in cui si è in rapporto diretto con se stessi e con il reale circostante senza dover subito esprimere convergenza con altri e con le consuetudini stabilizzate. Gli ecoumani sono particolarmente ridotti ad oggetti manovrati quando cessano di pensare il futuro come tempo-spazio in cui può giungere l’inaspettato e dove possa realizzarsi qualcosa che autonomamente abbiano progettato, magari in libera adesione ad un progetto sociale e di gruppo. Quando gli ecoumani sono ridotti ad oggetto non si sentono responsabili, perché la decisionalità è condotta da altri. A questi altri non solo viene attribuita tutta o gran parte della decisionalità, ma anche la delega a pensare gli stati di soddisfacimento, ossia le condizioni per rimanere alimentati da risorse che mantengano lo stato di oggetti funzionanti. La propria identità si plasma sull’immagine che i dominanti danno di loro stessi. Gli ecoumani reificati sono oggetti riproducenti e recitanti e la vita è vissuta come l’implementazione di un copione di cui si rappresentano costumi di scena, comportamenti, idee ricevute, emozioni standardizzate, frequentazioni di luoghi che stiano nella scena, mentre tutto il resto è irrilevante percepito come esistente dietro le quinte o peggio staccato dal teatro della recitazione esistenziale. Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 36/
  • 37. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale La conseguenza della reificazione o di automi-attori a regia omologante è la censura esistenziale, ossia l’incapacità e impossibilità di pensare una condizione di vita diversa dalla attuale, l’affermarsi di un profondo disagio a rompere i legami conformistici che non sono legami conservatori, nel senso che vengono declinati o esaltati comportamenti e assetti spaziali relativi al passato, il conformismo degli attuali ecoumani reificati è semmai di tipo presentofilo. Essi concepiscono la vita come stato inerziale per cui spazio e tempo attuali devono prolungarsi in un flusso interminabile e ciò che si configura come sopravvivenza del passato va progressivamente eliminato riconducendo allo status presentista. Altrettanto ogni ipotesi di futuro, ogni domanda di cambiamento ambientale e sociale vengono considerate infrazione allo stato presentista non ancora completato e da non disturbare. I cambiamenti sono concepiti possibili e legittimi solo da coloro che garantiscono il flusso presentista, essi sono autorizzati a star fuori delle regole, perché addetti a far funzionare le strutture nascoste che sostengono la funzionalità presentista. Essi sono come il meccanico che conosce gli anfratti del motore, mentre il viaggiatore presentista non vuol perdere tempo con il volto oscuro e non consumatorio del meccanismo interno non fruibile come consumo; il viaggiatore aereo vuol consumare il volo, la cabina di comando rimanga pure un luogo esistente e inattingibile purchè garantisca il flusso presentista. La condizione è rinserrata in una ipotesi di mondo simulato in Matrix, una enorme illusione costruita, ma di cui, se si svelassero le viscere profonde, si avrebbe orrore. I decisori possono ogni cosa perché accettano di gestire le viscere ripugnanti e controllano e disinnescano gli attacchi e i complotti al sogno presentista. La vita è spettacolarizzata perciò deve frequentare scenari, palcoscenici, schermi, piste da ballo, monitor, ipermercati, villaggi turistici, meeting, briefing. Non deve fare i conti con i luoghi, con l’ambiente, con i gruppi sociali reali, con gli ecosistemi, con il pianeta, con la salvaguardia delle risorse e della sicurezza globale e locale. A tutto questo devono pensare solo i decisori, garanti della continuità del sogno presentista. Solo quando si entra nella dimensione e nei luoghi di lavoro il velo scenico un po’ si ottunde, ma gli ecoumani presentisti e recitanti concepiscono tale condizione come il necessario fastidio da scontare perché lo spettacolo continui, allo stesso modo di quando si è costretti a perder tempo un po’ sgradevolmente nel fare la fila per accedere ad uno spettacolo. I decisori presentofili però progressivamente elimineranno anche questo (lo promettono in modo enfatico e certo), migliorando intanto il setting con l’arredo, qualche musichetta di fondo che faccia da colonna sonora, qualche poster e qualche scenografia parietale che non faccia disperare che lo spettacolo possa diffondersi meglio. La pedagogia dei luoghi dovrebbe orientarsi in modo abbastanza diverso. Essa non censura il fatto che siamo abitanti del pianeta e che stiamo sempre più coinvolgendo gli spazi esogei e l’eliospazio in particolare con le nostre tecnologie. L’ecoumano ambientale ama gli spettacoli, ma sa che la vita non è solo spettacolo e finzione. Sa che i luoghi hanno una loro attraenza, ma che se non vengono curati ben presto subiscono le conseguenze della legge naturale dell’entropia e diventano strutture dissipative. L’ecoumano socioambientale coglie come i luoghi curati procurino benessere, piacevolezza e fonti di risorse utili che non si esauriscono se colte in forma rinnovabile. Ha cura dei luoghi e ama la natura, ne gode, ma sa che non è sua, essa svolge dinamiche proprie e solo in parte esprime una flessibilità disponibile alle trasformazioni indotte dall’azione degli ecoumani. Una flessibilità che però non deve intaccare alcuni vincoli legati ad una Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 37/
  • 38. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale determinata composizione dell’aria che consente l’atto vitale della respirazione per tutti gli esseri, una presenza d’acqua superficiale e sotterranea che contenga disciolti un insieme di elementi non oltre una certa quantità, un determinato stato del suolo per non compromettere la statica delle componenti, il dilavamento con le piogge e la permeabilizzazione degli strati, la capacità di insediarsi per una serie di esseri viventi vegetali in forme complesse e composite tali da costituire la cotica fertile dell’humus, un suolo in grado di accogliere una varietà estesa di animali che abitino l’ecosistema. L’ecoumano socioambientale sa che il pianeta è un condominio e che l’esercizio dell’egemonia e il tentativo del dominio unilaterale da parte degli ecoumani è una patologia grave che compromette la vita stessa dell’ecoumano, il quale deve avere cura di mantenere alto il tasso di biodiversità, come sensore ampio e vivente, rivelatore e segnalatore della ricchezza compositiva del pianeta possibile anche e molto al di là delle modeste conoscenze che l’ecoumano ha raggiunto. Il condominio pianeta ha bisogno di cura, ma è un condominio in cui vi sono parti fortemente selezionate dagli ecoumani e sono gli insediamenti sotto forma di città, paesi e villaggi. In essi viene espressa una concezione pratica del vivere come gli ecoumani stessi si sono inventata e realizzata. In questo si esprime la dimensione dell’artificialità, ossia degli elementi trasformati dagli ecoumani per realizzare ambienti a loro favorevoli e confortevoli. Anche per questo gli ecoumani devono esprimere caring, attivando tutta una serie di azioni, interventi, manutenzioni, progettazioni e realizzazioni perché il loro agire sia carico di funzionalità, sostenibilità, gradevolezza e capacità comunicative di significati. • Il caring deve allora rivolgersi in modo molto esplicito alla salvaguardia dell’architettura e alla promozione delle sue nuove forme evolutive. • Il caring pone una domanda di espressione ed uso attenti per l’urbanistica e la progettazione territoriale, specialmente nelle sue forme partecipate, • Il caring richiede attenzione per la dimensione territoriale considerando e valutando attentamente le infrastrutture, la trasportistica, le reti tecnologiche che supportino l’energia, la telefonia, l’erogazione di acqua, il sistema di distribuzione dei beni, lo smaltimento dei residui, i punti di rinaturalizzazione (depuratori, smaltitori, termorecuperatori), le reti informative e comunicative comprese le connessioni satellitari, i sistemi agrari e boschivi. • Il caring sollecita avvertenza e gestione per il paesaggio, ossia per la conformazione dei luoghi in consapevoli forme di convivenza tra esseri viventi (vegetali, animali, ecoumani) che hanno espresso e continuano ad esprimere un’alleanza (non poche volte conflittuale) per dare figuratività, ma soprattutto capacità di accogliere e sostenere esistenze e vite in una certa dimensione di luoghi con caratteristiche proprie, secondo un proprio sostrato geologico, idrico ed energetico solare. Il paesaggio è allora la storia di questa alleanza tra esseri viventi con la loro porzione locale di pianeta dove sono persistiti segni del perdurare dell’alleanza (ma anche dove molto è andato perso o è stato inghiottito nel silenzio e nell’oblio) Il paesaggio è inoltre il cantiere della progettazione di nuovi assetti, in una prospettiva evolutiva del paesaggio stesso. Il paesaggio non è sempre una progettazione, talvolta è un furto, uno sfruttamento di componenti senza considerare la natura di condominio dei luoghi. In questo caso cessa l’esercizio del caring, si manifesta il declino della sostenibilità e si afferma il degrado. Cosa che invece non accade quando la consapevolezza del ruolo del caring per il paesaggio è elevato, sostenuto da cultura, conoscenze, competenze, capacità previsionali in tutti gli strati della popolazione. Il paesaggio non è da interpretare in modo limitato e incompleto ricorrendo a sole categorie estetiche, il paesaggio è una visione e una Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 38/
  • 39. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale pratica ecosistemica in cui si compenetrano visioni scientifiche, sociosanitarie, economiche, storiche, progettuali, ecologiche, etiche. Corridoi ecologici I luoghi insediati in modo sintetico si possono distinguere secondo tre componenti: • insediamento denso • territorio aperto • corridoi ecologici. Gli insediamenti densi sono rappresentati dai luoghi in cui prevale il costruito nelle sue varie forme (edifici, isolati costruiti, piazze, infrastrutture, reticolo viario). Il territorio aperto riguarda tutte le parti non edificate o scarsamente edificate, dove il biospazio e i territori lacustri, fluviali e marini svolgono un ruolo importante. In esso i vegetali mostrano una precisa dominante e con essi è correlato tutto un insieme di vite animali appartenenti all’intera gamma del microbiologico e degli animali di dimensione da quella media a quella macro. Il territorio aperto è interessato per lo più da attività coltive, ma non mancano le zone forestate, le zone protette, i parchi e le stesse aree agrarie dismesse, le valli di pesca e gli ambiti marini protetti e di ripopolazione. Il territorio aperto è un fenomeno complesso e la natura del territorio aperto indica la modalità ecologica con cui viene gestito l’intero ambiente, aperto o denso che esso sia. I corridoi ecologici sono un particolare tipo di territorio aperto e costituiscono gli interstizi di territorio aperto che entrano e attraversano il territorio denso. I più semplici tipi di corridoio aperto sono le aste fluviali. Esse infatti attraversano intere porzioni di territorio aperto e, giunte alle soglie dei paesi e delle città, in genere li attraversano, costituendo quasi sempre, lungo le loro rive, una continuità di habitat ecologici che permettono alle forme viventi animali e vegetali di avere delle ‘proprie strade di attraversamento e diffusione ’. I corridoi ecologici sono l’antidoto contro le barriere ecologiche. Infatti aree di completa tecnologizzazione, cementificazione e impermeabilizzazione escludono la compatibilità con forme di vita. Sono dei deserti tecnologici, in forme più o meno drastiche. Dove si affermano i deserti tecnologici la qualità ambientale giunge a quote di degrado elevato e non poche volte di condizione abiotica vicina allo zero. Queste zone costituiscono aree ambientalmente patologiche in quanto luoghi di stress biologico o luoghi abiotici. Sono anche luoghi in cui spontaneamente non possono tornare forme di vita in quanto conformate come barriere biologiche e pertanto a scarsa o nulla modificabilità biologica. I corridoi ecologici sono invece forme di mantenimento di contatto vitale tra le parti di territorio denso e territorio aperto. In queste strade biologiche è possibile mantenere la vita e lasciare che essa si sviluppi in forme sue proprie e diversificate. Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 39/
  • 40. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale Oltre agli assi fluviali12 che vanno mantenuti nella loro permeabilità biologica ( e quindi non cementificati e barrierati nella parte ripariale) esistono anche i corridoi ecologici intraradiali. I corridoi intraradiali sono la conseguenza della struttura radiale presente in quasi tutti i centri insediati. I centri insediati infatti sono costituiti da un nucleo denso o iperdenso e da una serie di strade che si diramano dal centro verso tutte le direzioni del territorio circostante (e reciprocamente che dal territorio circostante confluiscono verso il centro da tutte le parti) Ogni radiale (ossia strada che dal territorio aperto va verso il centro denso e viceversa) presenta un angolo di incidenza diverso dalle altre radiali prossime rispetto al centro denso. Le radiali pertanto sono fra loro reciprocamente lontane e divaricanti. Esse si ravvicinano progressivamente quanto più confluiscono verso la zona centrale. Due radiali formano fra loro un settore territoriale che in genere è edificato lungo le radiali stesse, ma tende a mantenersi rado e comunque poco denso nella parte centrale del settore territoriale. Se la parte interna e centrale del settore territoriale continua a permanere con la conformazione di territorio aperto e senza barriere edificate trasversali, esiste la buona possibilità che l’ecosistema vegetale e animale si insinui fino alla parte centrale e densa dell’insediato. Un settore territoriale caratterizzato dalla presenza di territorio aperto intraradiale e continuo fino alla prossimità del centro denso è un buon esempio di corridoio ecologico urbano. Possono definirsi centri insediati a potenziale di alta qualità ambientale quei paesi e quelle città con elevato numero di corridoi ecologici urbani, anzi è un indicatore di qualità ecologica il fatto che tutte le radiali che convergono verso l’insediamento siano dotate di territorio aperto e continuo, caratterizzato secondo la tipologia del corridoio intraradiale. Impronta ecologica La pedagogia dei luoghi mira a comprendere il proprio intorno e la propria prossemica socioambientale, non come un luogo chiuso, bensì come ambito interconnesso a molti luoghi non solo contigui, anzi anche decisamente lontani che in qualche modo svolgono un ruolo nella vita, nell’economia ed ecologia di un luogo determinato. A tale riguardo è importante il concetto di impronta ecologica. Come ogni essere vivente che si muove in un determinato territorio lascia traccia della sua presenza e passaggio, ossia lascia la sua “impronta” così anche le comunità e i distretti insediativi lasciano tracce e impronte della loro attività e vita. Ma in genere, nella società glocale, le loro impronte hanno effetto e presenze assai lontane e disseminate. Se dovessimo rilevare l’impronta dei cibi che una comunità consuma di certo si dovrebbero rincorrere le impronte in numerosi territori spesso situati in continenti diversi. 12 Il territorio aperto con superfici acquee comprende anche corridoi ecologici marini, quali gli estuari, i fiordi, le insenature, i golfi, le lagune essi sono particolari immissioni marine nel territorio. Dispensa n.2 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 40/