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PROVERBI
«La sapienza grida per le vie, fa sentire la sua voce per le piazze»
(Prov.1:20)
INTRODUZIONE
All’umanità piace paragonare una cosa o un’idea con un’altra. All’umanità piace osservare e
classificare, specialmente nelle cosiddette “scienze”, ma anche nelle emozioni, nel pensiero e nel regno
spirituale. È su questa tendenza umana che sono sorte discipline come la psichiatria, la filosofia e la
teologia. Nell’antico Israele i pensieri saggi sono stati raccolti e raggruppati sotto il titolo non di una
scienza, ma della «sapienza». Addirittura la sapienza viene personificata e manifestata come pensiero
divino.
Proverbi è un libro di detti sapienziali che, mediante la ripetizione di pensieri saggi, insegna,
specialmente ai giovani, a vivere secondo rettitudine e saggezza. Si tratta di una sapienza che contiene
poche parole scelte, invece di molte, allo scopo di concentrare la verità in poche parole, in frasi brevi ed
efficaci, per aiutare la memoria, suscitare interesse e per stimolare lo studio. È una sapienza che
stabilisce ciò che è bene e ciò che è male, perché è basata sul timore di Dio e sull’ubbidienza alle Sue
leggi. Proverbi applica i principi dell’insegnamento divino a tutta la vita: relazioni umane, vita domestica,
relazione genitori-figli, lavoro, amministrazione della giustizia, decisioni varie, comportamenti, insomma
a tutto quel che facciamo, diciamo e pensiamo. Dio ci ha insegnato quel che più ci conviene.
Gli insegnamenti contenuti in questo libro indicano ai lettori come condurre una vita saggia, pia e
come evitare le insidie di una condotta incauta, empia. Come non abbiamo alcun libro più utile dei Salmi
da cui prendere spunto per le nostre preghiere, così non ne abbiamo uno più adatto dei Proverbi per
ordinare in modo giusto la nostra conversazione; essi infatti contengono in poco spazio un prontuario
completo di etica, politica ed economia, suggerendo regole per il controllo di sé in qualsivoglia relazione
o circostanza.
Il libro dei Proverbi ci mostra come la sapienza divina si applica ai dettagli della vita, in questo
mondo di male e di confusione. In esso osserviamo il sentiero divino per la condotta umana e, per chi si
sottomette alla Parola, il mezzo per evitare il sentiero della propria volontà e del proprio cuore stolto, e
ciò viene fatto conducendo l’uomo alla sapienza ed alla prudenza, che lo rendono capace di evitare
molti errori, di mantenere un cammino serio davanti a Dio e di sottomettersi alla Sua volontà.
Proverbi è il libro di Dio su come vivere e crescere in saggezza. Se gli Israeliti osservavano le
prescrizioni e le leggi di Dio, erano considerati un popolo sapiente e intelligente (Deut.4:5,6). Questo è
vero per tutti i credenti perché «la testimonianza dell’Eterno rende savio il semplice» (Sal.19:7). Il libro
dei Proverbi indicava agli Israeliti in che modo la fede nel Signore e nella Sua parola avrebbe dovuto
influenzare la loro vita quotidiana. Mostra come i credenti di ogni età possono essere saggi agli occhi di
Dio. Gli Israeliti dovevano osservare la legge, ma dovevano anche applicare le verità contenute nella
legge a ogni aspetto della vita.
Per capire correttamente i Proverbi dobbiamo avere le idee chiare sulla natura umana. L’umanità è
perversa, venduta al peccato. L’antica eresia pelagiana sosteneva che in fondo l’uomo è buono, e che
se gli vengono date circostanze, condizioni e incentivi giusti, si comporterà bene. Questo è anche il
punto di vista del mondo. È anche l’opinione di base del totalitarismo che crede che la condizione
umana sia il risultato del condizionamento sociale e se si cambia la struttura sociale si può creare un
nuovo genere di uomo. Ma il totalitarismo ha un’idea troppo alta dell’uomo. Proverbi ci presenta invece
che la condizione umana è quella di un giovane inesperto e facilmente condotto fuori strada dal
peccato. Proverbi quindi è scritto per guidare gli uomini lontano dal peccato, per insegnare loro come
vivere la vita e dare al giovane i vantaggi dell’esperienza di chi è più vecchio. È un libro d’istruzione
morale che si occupa del peccato e della santità nel cospetto di Dio.
Giacomo c’incoraggia a pregare per la sapienza (Giac.1:5); Proverbi c’invita a cercarla con uno
studio diligente. Preghiamo dunque, mentre studiamo questo libro, cercando quella sapienza che viene
solo da Dio.
Proverbi riceve il titolo dal contenuto del libro. Era abituale nel mondo antico impiegare come titolo di
un libro la prima parola o frase di quel libro. Ad esempio, il titolo ebraico per Genesi è Be
rē’šît (”in
principio”). La stessa cosa è fatta nei Proverbi, il cui titolo ebraico è mišlê Še
lōmōh,
«Proverbi di Salomone», che fu reso dalla Vulgata: Liber Proverbiorum. Nei LXX il nome è paroimìai.
Nel linguaggio biblico è una massima che ha due significati, uno apparente e uno nascosto (1:6).
L’enigma permette di svegliare l’interesse e induce alla riflessione, sottolinea una verità. I Greci ed i
Romani amavano molto gli enigmi. I Greci raccontavano che una sfinge nei dintorni di Tebe domandava
ai passanti: «Qual è l’essere che cammina a quattro piedi la mattina, a due a mezzogiorno e a tre la
sera?». Solo Edipo capì che si trattava dell’uomo che cresce: da bambino, ad adulto e vecchio che si
appoggia al bastone. Furiosa perché era stato indovinato il segreto, la sfinge si gettò dall’alto di una
roccia frantumandosi la testa.
AUTORE E DATA
Il libro appare nella sua forma finale almeno al tempo di Ezechia (a motivo di 25:1) che regnò dall’AM
3286 all’AM 3314 (726-698 a.C.). Se furono i suoi uomini a mettere insieme l’intero libro è incerto. I
Rabbini hanno affermato che «Ezechia e la sua gente scrissero il libro di Isaia, Proverbi, il Cantico dei
Cantici e l’Ecclesiaste» (Talmud Bab., trattato Baba Bathra 15a), cioè ne sono stati gli editori.
Secondo la maggioranza degli studiosi il libro è stato scritto da vari autori. L’intestazione «Proverbi di
Salomone» in 1:1 introduce i capp.1-9. La parte 22:17-24:34 è chiamata le «parole dei saggi». Nessuno
però conosce l’identità di questi saggi. Il cap.30 e 31:1-9 furono scritti rispettivamente da Agur e dal re
Lemuel. La loro identità e le loro origini sono oscure.
Eppure, questo è il primo libro della Bibbia introdotto dal nome dell’autore. L’intestazione del libro
non lascia dubbi sulla sua paternità: Salomone (1:1). Egli viene presentato come Še
lōmōh ben Dāwid.
Poiché egli regnò dall’Anno Mundi 2989 all’AM 3029 (secondo la cronologia corrente dal 971/970 al
931/930 a.C.), i proverbi che egli scrisse risalgono al decimo secolo. Anche la tradizione ebraica è
d’accordo nel riconoscerlo unico autore.
Riguardo ad Agur (30:1) e Lemuel (31:1), presunti autori, viene detto che non erano Israeliti. Il titolo
di 30:1 può essere tradotto «le parole di Agur, figlio di Jakeh, l’oracolo», oppure «di Agur figlio di Jakeh
di Massā’». Massā’ era una tribù araba che discendeva da Abrahamo mediante Ismaele (Gen.25:14;
1Cron.1:30), e le tribù orientali erano famose per la loro sapienza (1Re 4:30). Per quanto riguarda il re
Lemuel, viene detto che sua madre è indicata quale fonte di 31:1-9, ma anch’egli è ignoto. Si suppone
che egli fosse un re dell’Arabia settentrionale, che forse viveva in una regione non lontana da Uz,
sebbene possa anch’egli appartenere a Massā’, dato che la soprascritta può essere interpretata come a
significare: «Lemuel, re di Massā’» (così il Gesenius). Altri dicono che siccome il termine ebraico massā’
significa «oracolo», allora Agur e Lemuel vengono descritti rispettivamente come «Agur l’oracolo» e
«Lemuel l’oracolo». In questo modo essi sarebbero riconosciuti come speciali vasi di sapienza e quindi
come uomini particolarmente adatti per proclamare gli oracoli di Dio.
Ma la tradizione ebraica considera sia Agur che Lemuel degli pseudonimi per Salomone e questa è
la congettura più probabile. Infatti la LXX traduce il testo ebraico in modo del tutto letterale. La parola
’āgûr compare in Deut.32:27 (verbo «temere»; cfr. Deut.1:17; 18:22; Num.22:3). La tradizione rabbinica
ritiene che il nome del padre, Yāqeh, sia metaforico e si riferisca a Davide.
La parola le
mû’ēl è da intendere o come titolo «appartenente a Dio». Perché Salomone è stato
chiamato Lemuel? Ha detto Rabbi Yshmael, nella stessa notte che Salomone ha completato la
costruzione del santuario, ha sposato Bitja, la figlia del Faraone, e c’era lì il giubilo della gioia del
Santuario ed il giubilo della figlia del Faraone, e il giubilo della figlia del Faraone superò il giubilo del
Santuario secondo quanto si dice: ‘tutti si ingraziano il re’. E per questo è chiamato Lemuel, che ha
scaricato da se il giogo del Regno del Cielo, come a dire, Lamma lo El, che se ne fa di Dio?” (Bemidbar
Rabbà 10,14).
Due cose dobbiamo tener presente: 1) In Prov.30 le parole di Agur sono distintamente chiamate
massā’, oracolo, e niente nel contesto indica che debba essere tradotto diversamente. 2) Prov.31:1-9 si
riferisce agli “oracolii” insegnati a Lemuel da sua madre. Questa potrebbe essere Bath-Sceba e così
Lemuel Salomone.
Sono stati gli «uomini di Ezechia» a fare una redazione finale del libro (cfr.25:1). Da 2Cron.29:25-30
apprendiamo che Ezechia si curò di ristabilire l’ordine davidico nel Tempio, gli strumenti davidici e di
ripristinare l’uso dei Salmi di Davide e di Asaf. Forse un rinnovato interesse nella sapienza di Salomone
fu un altro risultato di questa riforma, suscitato non da un semplice amore per il passato, ma dal
desiderio di esaminare e studiare la sapienza del più grande dei saggi. Tra essi forse c’erano Isaia,
Michea e Osea.
1. Salomone
Salomone significa «pacifico». Nel titolo si firma figlio di Davide, re d’Israele. Per mano sua sono
stati scritti anche l’Ecclesiaste, che è un sermone, e il Cantico dei Cantici, che è un canto. Un
insegnamento rabbinico afferma che scrisse il Cantico dei Cantici quando era giovane e innamorato e
l’Ecclesiaste quando era ormai prossimo alla fine della sua vita, poiché egli riflette sulle sue esperienze,
deluso e disingannato per la sensualità di gran parte della sua vita; mentre i Proverbi sarebbero stati
composti negli anni della sua maturità (Midrash, Shir ha-Shirim, 1,1,10). Una tradizione giudaica
sostiene che Proverbi andava letto all’esterno del tempio, nel cortile dei Gentili. L’Ecclesiaste andava
letto nel cortile interno del tempio, il cortile d’Israele. Il Cantico dei Cantici andava letto nel Luogo Santo.
Nei Proverbi la sapienza non è qualcosa di puramente intellettuale, ma coinvolge tutto l’uomo; e
Salomone all’apice della sua fama incarna appunto questa sapienza. Egli era la persona più sapiente
del suo tempo e da tutte le nazioni venivano per ascoltare la sua saggezza (1Re 4:29-31,34; 10:1-13).
Compose 3000 proverbi e 1005 inni (1Re 4:32; cfr. Eccl.12:9) e risolse enigmi (1Re 10:1 - Riveduta), a
dimostrazione della sua genialità senza pari. Lo Spirito Santo lo guidò nella scelta di alcune centinaia
da includere nelle Scritture dato che i Proverbi contengono solo 915 versetti (abbiamo meno di un terzo
dei suoi detti), e dei suoi 1005 inni non abbiamo quasi niente.
Rispetto a Salomone possiamo osservare che:
1. Era re, il figlio più giovane di Davide e Bath-Sceba. Salomone era un re ricchissimo e il suo
dominio era molto vasto; era un re dei più potenti, che si era dedicato allo studio delle cose di Dio, ma la
sua fortuna più grande è stata quella di essere figlio di Davide, il quale prese delle misure speciali per
inculcare la saggezza di Dio nel suo successore, Salomone; ed è probabile che molti proverbi siano
frutto degli insegnamenti di Davide che in seguito Salomone mise per iscritto. Infatti che bisogno c’era di
riportare in 10:1 «Proverbi di Salomone» se quelli precedenti che sono rivolti a «mio figlio» non fossero
le parole di Davide nei suoi confronti? Il profeta Nathan gli pose nome Jedidiah che significa «amico
dell’Eterno», che è indicativo del favore dell’Eterno nei suoi confronti.
2. Egli amava il Signore (1Re 3:3); pregava per ottenere la capacità di distinguere sempre il bene dal
male e Dio l’aveva dotato di una misura straordinaria di saggezza e sapienza in risposta alle sue
preghiere in vista dell’ascesa al trono (1Re 3:12; 4:29). La sua preghiera fu esemplare: Concedi dunque
al tuo servo un cuore intelligente (1Re 3:9), ed era accompagnata da una profonda umiltà (1Re 3:7) e la
risposta fu di grande incoraggiamento, perché ricevette quello che aveva chiesto e tutto il resto gli fu
aggiunto. Egli divulgò le istruzioni di saggezza ad altri e le trasmise ai posteri.
Questa sua sapienza fu messa alla prova in questioni pratiche quali la buona amministrazione (1Re
3:16-28) e la diplomazia (1Re 5:12). Buona parte della sua scienza derivava dall’osservazione della
natura (1Re 4:33).
In base a 1Re 3:7 c’è chi pensa che Salomone avesse avuto 18 anni al momento della sua
ascensione; tuttavia, Giuseppe Flavio (Antichità 8,7) afferma che aveva solo 14 anni.
3. Si rese colpevole davanti a Dio commettendo degli errori deplorevoli unendosi con le figlie di re
pagani, contraendo dei matrimoni politici, tanto che negli ultimi anni della sua vita si sviò dai buoni
insegnamenti di Dio, verso i quali questo libro aveva diretto altri. Possiamo trovare in 1Re 11 la triste
storia. Il suo primo matrimonio fu con la figlia del Faraone egiziano. È discutibile se egli avesse mai
amato veramente una donna.
2. Lezioni dalla vita di Salomone
È tragico osservare che nonostante tutto quello che Salomone ha scritto sulle donne (cfr. 5:3; 6:24;
7:5) esse furono la causa della sua rovina.
Questo non fu l’unico esempio di fallimento di Salomone. Nei Proverbi egli ha scritto molto riguardo
l’istruzione verso i figli (1:8; 4:1-4; 10:1; 13:24; 22:6,15) egli non è riuscito ad inculcare la sapienza a
suo figlio Roboamo, il quale rifiutò il consiglio degli uomini saggi di suo padre (1Re 12:1-15).
Del fallimento di Salomone dobbiamo apprendere due lezioni. Per prima cosa dobbiamo aspettarci di
essere messi alla prova anche in quelle aree della nostra vita dove sembriamo che siamo forti. La
seconda lezione è che non è sufficiente sapere qual è la cosa giusta da fare. La sapienza non è solo
conoscenza della verità, ma è la pratica ubbidiente di essa. Salomone conosceva tanto sulle donne; e
questo ha potuto fargli credere di essere in grado di tenere la situazione sotto controllo senza peccare.
Ma in ultima analisi, il suo problema non era nella testa, bensì nel cuore (4:4,23). Chi è maggiormente
usato da Dio, impari a non inorgoglirsi e a non sentirsi troppo sicuro di se stesso, e tutti sappiano
prendere sul serio i buoni insegnamenti anche se quelli che li impartiscono non vi si attengono.
TESTI E VERSIONI
I libri della Bibbia ebraica erano divisi in tre sezioni: la Legge, i Profeti, e gli Scritti (Ketuvim). Il libro
dei Salmi segnava l’inizio della terza sezione, ed era seguito di solito da Giobbe e Proverbi, oppure
viceversa da Proverbi e Giobbe. Non conosciamo le ragioni di questa variante. Forse quelle liste che
pongono Proverbi prima di Giobbe lo fecero nella persuasione che Proverbi contenesse più materiale
sapienziale di qualsiasi altro libro. Nella Septuaginta, i Proverbi seguivano Salmi e precedevano
l’Ecclesiaste, il Cantico dei Cantici e Giobbe. Proverbi, Salmi e Giobbe si distinguono, per un sistema
speciale di punteggiatura, dal resto dei libri.
Il testo ebraico del libro dei Proverbi non è il più facile dei libri dell’Antico Testamento. Vi sono frasi o
parole occasionali che appaiono aver sofferto nella loro trasmissione, ma questo è dovuto solo alla
moderna ignoranza di antiche forme linguistiche. Una più vasta conoscenza delle lingue e della
letteratura dell’antico Vicino Oriente ci aiuterà a chiarire le difficoltà testuali in Proverbi.
Alcune parti del testo ebraico (Testo Masoretico) sono messe in ordine diverso da quello della LXX.
Probabilmente ciò dipende dall’uso diverso che si faceva delle varie sezioni del libro nella lettura
pubblica. Il libro è costituito da tre raccolte principali: 1) Prov.1-9; 2) Prov.10:1-22:16; 3) Prov.25-29. Le
altre parti devono essere considerate delle appendici di queste raccolte principali.
Se includere il libro nel canone è stato un argomento di controversia al Concilio di Jamnia (fine 1°
secolo d.C.), per due passaggi dubbi: 26:4,5 e 7:6-20. Quest’ultimo passo era stato considerato troppo
sensuale e quindi sospetto. Il passo di 26:4,5 veniva considerato inconciliabile fino a quando non è
stata scoperta un’interpretazione accettabile.
TEORIE CRITICHE CIRCA L’ORIGINE E LA DATA DEI PROVERBI
Usando come principale metro la teoria evoluzionistica applicata al pensiero ebraico i critici liberali
hanno cercato di negare che gran parte del materiale riferito a Salomone di fatto risalga al suo periodo.
Ecco di seguito le critiche e le relative confutazioni:
1. Dal momento che Salomone viene presentato dalla tradizione giudaica come autore dei Proverbi,
del Cantico (cfr. 1Re 4:30-34), dell’Ecclesiaste e di due Salmi, sembra logico pensare che egli era
divenuto il simbolo della sapienza (così come Mosè divenne per gli Ebrei il simbolo della legge). Nel
corso del tempo divenne convenzionale riferire a Salomone queste composizioni, anche se esse erano
tardive, perché potessero riceve un’accoglienza più vasta e favorevole da parte del pubblico giudaico.
Ecco la ragione per cui anche il libro apocrifo chiamato la “Sapienza di Salomone” viene riferito a lui
anche se di fatto fu scritto in greco per mettere a raffronto la filosofia greca con quella ebraica.
Confutazione. È chiaro che nel periodo neotestamentario divenne di moda comporre opere
didattiche e apocalittiche e attribuirle in modo palese agli antichi patriarchi, come Enok o i dodici figli di
Giacobbe. Ma non vi è alcuna prova che un tale procedimento sia stato eseguito anche nel periodo
anteriore a quello ellenistico. Ci si dovrebbe prima di tutto chiedere come mai Salomone si acquistò una
tale reputazione di sapienza se di fatto egli non compose nulla. È molto più logico concludere che egli si
è guadagnato tale reputazione proprio perché fu il primo a comporre questo genere letterario in modo
classico anziché supporre che la tradizione si sia imposta senza alcun fondamento. Anche nella
letteratura greca l’esistenza di poemi epici falsamente attribuiti ad Omero non dimostrano affatto che
Omero non abbia composto nessuna poesia epica (vale a dire l’Iliade e l’Odissea). Lo stesso si ripeta
per la poesia lirica attribuita ad Anacreonte. L’esistenza di tale produzione non prova che non esistette
un Anacreonte, il quale compose l’antica poesia attribuita al suo nome. È quindi impossibile vedere
come mai il re Salomone del X secolo possa essersi acquistata una simile reputazione come modello
classico della sapienza letteraria senza avere composto nulla di suo.
2.C’è chi deduce l’origine post-esilica dei Proverbi per il fatto che essi affermano un monoteismo
puro (si ricordi che per l’alta critica del passato era un dogma sostenere che nel processo evolutivo
della religione il monoteismo sarebbe apparso tardivamente in Israele).
Confutazione. Questa asserzione denota un’ignoranza completa di tutti i racconti vetero-
testamentari, dai quali appare che la religione israelitica fu strettamente monoteistica sin dal tempo dei
patriarchi e che sempre essa ha ritenuto idolatria o eresia o apostasia ogni deviazione al patto sancito
con YHWH.
3. Vi è una notevole mancanza di tratti distintivi propriamente nazionali nel testo dei Proverbi. Perciò
c’è chi ne deduce che i Proverbi ebbero origine quando la nazione era diffusa presso regioni straniere,
come al tempo dell’esilio dopo la caduta di Gerusalemme.
Confutazione. Questa mancanza di caratteri nazionalisti si può spiegare differentemente, vale a dire:
a) Con il genio del genere letterario sapienziale, che considera gli individui come tali anziché le
nazioni e presenta le leggi del comportamento umano quale si può osservare presso tutti i popoli antichi
del Medio Oriente.
b) Dal fatto che Israele viveva tra le culture della Mesopotamia, della Fenicia, della Siria, del
settentrione arabico e dell’Egitto, era inevitabile che vi fosse uno scambio culturale sin dai primi stadi
della vita nazionale israelitica.
4. I Proverbi riflettono, si dice, i costumi sociali e i vizi che secondo la nostra conoscenza esistevano
dopo l’esilio, specialmente nelle città della Giudea.
Confutazione. Questa è una generalizzazione molto dubbia. Non si è addotta alcuna prova di un
singolo costume o vizio ricordato nei Proverbi che sia stato sconosciuto alla cultura di Gerusalemme o
delle altre grandi città di Israele sin dal tempo di Salomone.
5. È costante presso i Proverbi l’idea che la virtù si debba identificare con la conoscenza e l’empietà
con l’ignoranza, il che riflette il modo di concepire la morale presso la filosofia di Platone nei suoi
Dialoghi (circa il 370 a.C.). Si è quindi suggerito che la conoscenza di questo accostamento greco ai
problemi etici non poteva essere noto al Medio Oriente se non dopo la conquista di Alessandro Magno
(330 a.C.).
Confutazione. Questa interpretazione include una fondamentale incomprensione della distinzione
essenziale tra la parola greca sophìa e la sapienza ḥokmāh (sapienza) ebraica. La filosofia greca, più
speculativa, tratta la cosmogonia e tutti i principi che regolano l’universo, la filosofia ebraica invece,
come è formulata nell’Antico Testamento, considera piuttosto la conoscenza della volontà rivelata di Dio
riguardo ai problemi e alle scelte della vita quotidiana. Mentre la filosofia greca tendeva a trarre dal
primo principio le conseguenze logiche mediante una deduzione dialettica, la filosofia ebraica, più
intuitiva ed analogica, si dedicava a interpretare l’ordine morale alla luce di un Dio personale,
onnisciente e onnipotente, che ha rivelato la Sua volontà per una vita etica.
Per quanto concerne la connessione tra ignoranza e peccato, il concetto platonico d’ignoranza
morale era intellettuale e mentale, mentre il concetto salomonico incluso nei Proverbi riteneva la
tenebra dell’anima come frutto di un’anteriore scelta immorale da parte del cuore. La filosofia morale
presso i Greci non riuscì a penetrare nel problema della malvagità esistente nell’uomo e della sua
capacità di riconoscere la verità della giustizia pur scegliendo il male per un perverso interesse
personale. Una delle caratteristiche della follia è la ne
bālah che suggerisce l’esempio di Nabal, la cui
storia si legge in 1Sam.25. Il v.25 di questo capitolo giudica costui uno «stolto» (nābāl) non perché
fosse così poco intelligente da non capire che la virtù ha più successo per il raggiungimento della felicità
personale che non la malvagità, ma piuttosto perché egli aveva già fatto una scelta errata nel suo regno
morale: il ricompensare l’amicizia di Davide con una misera e avvilente ingratitudine.
6. C’è chi considera il libro dei Proverbi come il prodotto di una classe professionale di uomini saggi,
ai quali si deve pure riferire l’Ecclesiaste, la Sapienza di Salomone e l’Ecclesiastico.
Confutazione. L’esistenza di una casta presuppone un fondatore. Come i profeti sarebbero
incomprensibili senza Mosè la cui legge essi interpretavano e applicavano ai problemi della loro
generazione, così vi deve pur essere stato un modello classico per la letteratura sapienziale scritta
prima del sorgere di ogni eventuale casta. Si legga ad esempio Ger.18:18 che parla di saggi quasi
fossero una classe di esperti che stanno alla pari con i sacerdoti e i profeti nella generazione pre-esilica.
Non vi è alcun dubbio che la letteratura sapienziale ebbe una origine ben remota nella storia dell’Egitto
dove risale fino a Ipuwer della VI dinastia (circa il 2500 a.C.). E’ pure evidente da 1Re 4:30,31 che vi
era una lunga tradizione di saggi pre-salomonici anche in Israele ed è alquanto ingenuo affermare che il
secolo X fosse troppo antico perché questo genere di letteratura potesse sorgere in mezzo agli Ebrei.
STILE LETTERARIO
Il proverbio è costituito da brevi frasi, indipendenti le une dalle altre, che sviluppano il loro contenuto
in poche parole incisive. L’insegnamento con i proverbi era:
1. Un antico metodo d’insegnamento. In particolare tra i Greci era il primo metodo d’insegnamento,
tanto che i sette uomini più saggi formularono un proverbio ciascuno che li rese celebri. Questi detti
erano scritti su colonne ed erano addirittura venerati e considerati sapienza celeste, in base all’idea che
conoscere se stessi è un precetto che viene dal cielo.
2. Chiaro e facile da apprendere, economico sia per l’insegnante sia per l’alunno, che non fanno
troppa fatica né a capire, né a imprimere nella memoria. Lunghi periodi e grosse argomentazioni
richiedono uno sforzo sia da chi li presenta sia da chi li apprende, mentre i proverbi, che esprimono in
poche parole dichiarazioni ed esempi, si apprendono velocemente e si ricordano facilmente.
La parola mišlê, usata qui per proverbi (plurale di māšāl), viene dalla radice di un verbo che
significa «essere simile, essere paragonato». Il suo significato fondamentale è quindi quello di paragone
o similitudine. Un proverbio, dunque, è un’affermazione che fa un confronto o una analogia tra il mondo
naturale e quello spirituale (si veda 1Re 4:33 e Prov.10:26). C’è chi pensa che abbia la sua provenienza
dall’assiro Mashalu o forse da Mishlu, che significa “metà”, sostenendo così l’idea che un proverbio è il
“mezzo” di due proposizioni bilanciate. Questa teoria si scontra con il fatto che in ebraico la forma è
singolare, mentre la teoria richiede il plurale (o il duale). Brevi detti proverbiali si trovano anche altrove
nell’A.T. (per es. Gen.10:9; 1Sam.10:12; 24:13; 1Re 20:11; Ger.31:29; Ezech.12:22; 16:44; 18:2).
Il māšāl non è necessariamente poetico:
Gen.25:23. L’oracolo di Rebecca: qui viene narrato un confronto tra i suoi figli gemelli.
Num.12:6-8. Mosè e i profeti. Qui c’è un confronto tra Mosè come profeta da una parte, e tutti gli altri
profeti dall’altra parte.
Gios.10:12. Il sole su Gabaon. Qui esiste un confronto tra il “lungo” giorno di Giosuè e un giorno
normale.
1Sam.18:7. Qui c’è un confronto tra Saul e le sue migliaia con Davide e i suoi diecimila.
2Sam.12:1-4. La parabola di Nathan. Qui Davide il peccatore è confrontato con Davide l’uomo di
Dio.
In tutti questi esempi, il māšāl indica un “confronto”, così un «proverbio» può essere visto come un
confronto tra la parola di Dio e il pensiero del mondo.
Māšāl è spesso utilizzato con diversi significati, a dimostrazione che la nostra parola “Proverbi”,
anche se descrive il suo contenuto principale in maniera soddisfacente, difficilmente può essere una
definizione adeguata, per esempio, di Prov.1:1-9:18 o 31:10-31. La parola significa anche «zimbello»,
«favola» (per es. 1Re 9:7; 2Cron.7:20; Ger.24:9; Ezech.14:8; Deut. 28:37), probabilmente nel senso
che la persona o il popolo definito tale diventa oggetto di lezione per altri. Māšāl può venire usato anche
come oracolo profetico (Num.23:7,18; 24:3,15,20,21,23) o come rimprovero (Is.14:4) lungo diversi
versetti. In tal caso le affermazioni indicano forse come l’oratore vorrebbe fossero le persone. Il
«discorso» di Giobbe (Giob.29-31) è un māšāl nel senso che riassume la sua esperienza. «Parabola» è
un altro modo di rendere māšāl (Ezech.17:2); qui la storia in forma di parabola esprime una somiglianza
con alcuni episodi della vita, ma la sapienza si traveste della forma figurativa o enigmatica. Solo una
profonda meditazione rivelerà ciò che è nascosto in queste massime morali e spirituali. La parola
comunque passò ad indicare quei detti in cui l’analogia non è evidente e si riferì particolarmente a detti
concisi, appunto ai proverbi. Il libro dei Proverbi, infatti, comprende pochi discorsi lunghi oltre alle
massime di un singolo versetto.
I proverbi di Salomone, però, non sono tanto dei detti popolari quanto piuttosto la quintessenza di
quella sapienza che conosce la legge di Dio e ne applica i principi a tutti gli aspetti della vita. Queste
dunque sono parole per tutti coloro che cercano di percorrere la via della santità pratica. Infatti i
Proverbi non dicono solo che bisogna fare la cosa giusta, ma illustrano spesso la maniera pratica di
come farlo.
Parallelismo. I Proverbi sono scritti interamente in poesia. L’aspetto strutturale predominante della
poetica ebraica non è la somiglianza di suoni, ma la somiglianza di pensieri strutturati in affermazioni
parallele. È il cosiddetto parallelismo. Questo significa che la poesia ebraica implica un insieme
complesso di rapporti tra parole, frasi e concetti. Di solito sono due righe di un versetto parallelamente
correlate.
Nel PARALLELISMO SINONIMO (è un confronto fatto per paragone, una ripetizione) viene presentata una
verità nella prima riga e viene poi ripetuta nella seconda riga utilizzando parole diverse. La seconda
linea enfatizza e rinforza il principio dato nella prima (per es. 1:2,8; 2:11; 4:7; 5:3; 11:25; 18:7, 22:17).
Questo viene definito parallelismo sinonimo completo. Altre volte solo alcune delle unità in una riga
trovano corrispondenza nella riga successiva (per es. in 1:9 il termine «saranno» non ha
corrispondenza nella seconda riga). Questo si dice parallelismo sinonimo incompleto (vedi anche 16:6).
A volte la seconda linea dà la conseguenza logica della prima linea (26:4).
Nel PARALLELISMO ANTITETICO (è confronto per antitesi, un contrasto) una riga è l’opposto oppure è in
contrasto con l’altra, ovvero la prima riga fa una dichiarazione e la seconda dà la stessa verità
dichiarata in termini opposti. La seconda linea di tale costruzione, di solito inizia con un «ma» o con un
contrasto del tipo «questo è migliore di quest’altro» (per es. 1:7; 10:1,27; 11:1; 13:9; 14:30; 15:5,17;
17:22). La maggior parte dei versetti nei capp.10-15 sono antitetici.
Nel PARALLELISMO SINTETICO la seconda riga continua il pensiero della prima, aggiungendo qualcosa al
suo significato e contenuto, estendendolo in modo che porti una nuova verità (15:20; 16:4). Talvolta la
seconda riga presenta la conseguenza di quanto detto nella prima (3:6; 16:3) e altre volte descrive
qualcosa della prima riga (6:12; 15:3). Talvolta una riga dichiara ciò che è preferibile in relazione a
quanto riferito nell’altra riga. Ben 19 volte ricorre l’espressione «meglio…che» (12:9; 15:16,17;
16:8,16,19,32; 17:1,12; 19:1,22; 21:9,19; 22:1; 25:7,24; 27:5,10; 28:6). «Tanto più» o «ancor meno» è
un altro tipo di parallelismo sintetico (11:31; 15:11; 17:7; 19:7,10; 21:27). Per altri esempi di questo
parallelismo vedi: 10:18; 21:13; 29:18. La maggior parte dei versetti in 16:1-22:16 contengono sia un
parallelismo sinonimo che sintetico.
Nel PARALLELISMO EMBLEMATICO una riga chiarisce l’altra per mezzo di una similitudine o una metafora
(per es. 10:26; 25:12,23,25). Le similitudini sono generalmente introdotte da «come».
Schematizzazione dei principali parallelismi
Tipo Esempio scritturale Descrizione
Parallelismo sinonimo
(ripetizione)
Prov.1:2 “Per conoscere sapienza e
ammaestramento per intendere i detti
di senno”
La prima linea fa una
dichiarazione di verità; quindi la
seconda linea espone di nuovo
e rinforza il principio dato nella
prima
Parallelismo antitetico
(contrasto)
Prov.1:7 “Il timore dell’Eterno è il
principio della conoscenza; ma gli
stolti disprezzano la sapienza e
l’ammaestramento”
La prima linea fa una
dichiarazione di verità; quindi la
seconda linea dà la stessa verità
dichiarata in termini opposti
Parallelismo sintetico
(completamento)
Prov.16:4 “L’Eterno ha fatto ogni
cosa per se stesso, anche l’empio
per il giorno della sventura”
La prima linea fa una
dichiarazione di verità. La
seconda linea aggiunge
qualcosa al pensiero,
estendendolo in modo che porti
una nuova verità
Parallelismo emblematico
(similitudine)
Prov.10:26 “Come l’aceto ai denti e il
fumo agli occhi, così è il pigro per
quelli che lo mandano”
Una linea chiarisce l’altra per
mezzo di una similitudine o una
metafora
Non tutti i versetti dei Proverbi hanno due righe. Nei versetti costituiti da tre righe (tetrastico), la
prima e la seconda riga sono in genere correlate in qualche maniera, la seconda e la terza sono in un
modo o nell’altro parallele (per es. in 27:27 la seconda riga è in parallelismo sintetico con la prima,
completandone il pensiero, e la terza è in parallelismo sinonimo con la seconda). In 24:3,4 le prime due
linee sono sinonime con le seconde due. Vedi anche 30:5,6; 30:17. In 1:27, tuttavia, le tre righe sono
tutte in parallelismo sinonimo.
Pentastico. Questo è un proverbio di cinque linee. In questo tipo di distico, le prime due linee
presentano il soggetto, le tre successive estendono il soggetto. Esempio: 25:6,7; 30:4.
Esastico. Questo è un proverbio di sei linee. Qui le prime due presentano il soggetto e le quattro
successive sviluppano ed estendono l’argomento. Esempio: 23:12-14.
Eptastico. Distico di sette linee. Il soggetto viene presentato nelle due linee iniziali ed amplificato
nelle successive cinque. Esempio: 23:6-8.
Ottastico. Qui vengono utilizzate due linee per presentare il soggetto, il quale viene poi amplificato
nelle successive sei. C’è solo un ottastico nei Proverbi (6:16-19).
Talora la prima parte di un proverbio contiene un numero, seguito dal numero successivo, come in
Prov.30:18: «Ci sono tre cose troppo meravigliose per me, anzi quattro…». Si tratta della cosiddetta
scala numerica, che appare altrove in Giob.5:19 e Am.1:3-2:6.
Di solito, sebbene non sempre, la seconda riga in un parallelismo di due righe è più della semplice
ripetizione delle parole o del pensiero della prima. La seconda riga può ampliare la prima o completarla,
definirla, enfatizzarla, essere più eloquente di essa o dilungarsi su essa, può esserne l’opposto,
un’alternativa o una controparte. La natura breve e concisa delle massime porta i lettori a riflettere sul
loro significato.
Molti pensano che le grandi idee abbiano bisogno di molte parole, ma un’immagine vale più di mille
parole, e così è il proverbio. La brevità è un segno di sapienza. È lo stolto che vuole dire tutto quello che
ha in mente (12:23; 15:28). Il saggio economizza le parole, mentre lo stolto tira fuori tutto quello che ha
in mente. Quando ci sono molte parole la trasgressione è inevitabile (10:19; vedi anche 17:27; 18:2;
21:23; 29:20). Ci sono molte ragioni perché è bene trattenersi nell’uso delle parole:
1. La limitazione è necessaria per sentire quello che l’altro ha da dire (18:13,17).
2. La limitazione è necessaria per permettere di far passare l’ira o una emozione forte (12:16; 15:1,2;
17:27; 29:11).
3. La limitazione dà tempo al saggio per considerare cosa dire e come dirlo (15:28).
E quando viene dato un consiglio, segue di solito la ragione per cui lo si dovrebbe seguire. La
massima con imperativo vuole stimolare all’azione. La massima con interrogativo vuole indurre alla
riflessione.
Altre forme letterarie impiegate nei Proverbi sono:
- l’Allegoria, un’immagine che ha un significato più profondo di quello che appare in superficie (per
esempio, 5:12-23);
- il Racconto didattico, una storia il cui scopo è quello di istruire (per esempio, 7:6-23). Questo libro è
puramente didattico.
Molte delle massime proverbiali dovrebbero essere considerate come generalizzazioni; in altre
parole, il libro dei Proverbi non è un libro di promesse, ma un libro di principi. Ciò che affermano è vero
in linea generale, ma non sempre, perché saltuariamente si verificano delle eccezioni alla regola (per
es. cfr. Prov.10:27 con Sal.73:12). I Proverbi, per esempio, affermano che quanti seguono i
comandamenti di Dio avranno successo nella società (ma teniamo presente che si parla della nazione
d’Israele). Ora, questo è vero in linea generale, ma non si tratta di una promessa incondizionata.
Giobbe, e soprattutto la vita di Gesù, ci mostrano l’altra faccia della medaglia. Nessuno ha adempiuto la
sapienza dei Proverbi perfettamente come Gesù. Eppure non è mai stato ricco ed è morto giovane.
Mentre la sua vita ha sempre soddisfatto il Padre che è nei cieli, i suoi nemici l’hanno ucciso. Questo
significa che i Proverbi non sono veri? Niente affatto, significa che Proverbi è un libro di principi e non di
promesse. Non sempre lo stesso atteggiamento funziona in tutte le circostanze (26:4,5); spesso ci
vuole flessibilità per prendere la decisione corretta nel momento corretto. Altre volte, invece, la cosa che
sembra giusta è sbagliata (14:12; 16:25). Inoltre, se Dio automaticamente ricompensasse subito la virtù,
gli uomini userebbero la pietà e la moralità solo per soddisfare i propri interessi. Invece Dio vuole
sviluppare il carattere dei credenti, chiamando a volte a soffrire per la giustizia, se necessario.
Dobbiamo leggere Proverbi considerando alcune cose:
1. Libertà umana. Il libro dei Proverbi, letto in generale, rende chiaro che mentre possiamo dare ai
nostri figli il vantaggio di un buon insegnamento, non possiamo fare le loro scelte per loro. Possiamo
esortare nostro figlio a resistere alle seduzioni dei peccatori (1:10), ma è lui quello che deve scegliere.
Egli può scegliere di essere uno «schernitore» (13:1) o un pigro che «fa vergogna» ai suoi genitori
(10:5). Il sano insegnamento ed il buon esempio dei genitori rende probabile che il figlio prenderà la
strada della sapienza, ma non è assolutamente certo. Alcuni hanno fatto la scelta sbagliata e preso la
strada della stoltezza. In questo caso il genitore ne soffre, ma non ne ha colpa. Proverbi mette l’enfasi
sul fatto che mentre i genitori non hanno l’ultima parola nelle vite dei loro figli, essi hanno però la prima
parola. Mentre non c’è la certezza che una famiglia devota produrrà sempre figli e figlie devote, c’è
l’assicurazione che il metodo di Dio di produrre una generazione devota è attraverso genitori devoti che
educano i loro figli secondo le Scritture.
2. Perdite a breve scadenza. Una decisione che piace a Dio può essere seguita da perdite a breve
scadenza. Proverbi, per esempio, mette in guardia contro le bustarelle (17:23). Questa è una buona
scelta (non dare o non prendere una bustarella), ma che causa un mancato reddito o un mancato
vantaggio (15:16).
3. La previdenza di Dio. Le benedizioni che vengono da Dio sono spesso terrene, fisiche e materiali.
Ma, per ragioni note solo a Lui, tutti i piani dell’uomo, i suoi sforzi e la sua sapienza sono talvolta
frustrati (19:21). Dio ha un piano perfetto e questo piano è oltre il controllo umano. Mentre il Signore
permette la libertà umana e ci assicura che ci benedirà se facciamo la Sua volontà, Lui solo determina
che forma avrà questa benedizione. Egli può dare la povertà materiale ad uno che fa la Sua volontà, e
dare una grande ricchezza ad una persona che non ha alcun timore di Dio. Riguardo a questa
possibilità, Prov.28:6 dice: «È meglio il povero che cammina nella sua integrità, dell’uomo instabile che
segue vie tortuose, anche se ricco». La fede ci permette di aver fiducia in Dio, anche quando la Sua
volontà non corrisponde ai nostri desideri o alle nostre aspettative. Per fede accettiamo il fatto che Dio è
Dio.
4. Eternità. Quando i nostri sforzi sinceri per Dio non producono quella ricompensa dipinta nei Proverbi,
abbiamo bisogno di guardare la vita dalla prospettiva dell’eternità. Sebbene il libro dei Proverbi non parli
specificatamente della vita dopo la morte, ci dà però dei segnali che c’è una vita che non vediamo nel
presente (11:7; 14:32). Sappiamo che Cristo, che ha adempiuto la sapienza dei Proverbi, è risuscitato
dalla morte ed ora vive per l’eternità.
CONTENUTO
Il grande principio del libro viene posto proprio all’inizio: il timore dell’Eterno, da una parte, e,
dall’altra, la stoltezza che disprezza la sapienza e l’istruzione.
I Proverbi raccontano una storia. È la storia di un giovane che deve decidere quale scuola
frequenterà – la scuola della sapienza o quella della follia. I responsabili di entrambe le scuole vengono
a fare i loro appelli. La decisione è se temere Dio oppure resisterGli; ricercare la sapienza oppure
seguire la strada della follia. Il padre saggio esorta il figlio a fare la scelta giusta. La sapienza porta vita,
prosperità e onore; la follia porta la povertà, la vergogna e la morte. I Proverbi iniziano, quindi, con il
figlio messo a confronto di una scelta tra due donne dai destini opposti. Dovrebbe essere ricordato,
anche, che i Proverbi sono stati scritti da un re ad un principe, e il re istruisce coerentemente suo
“figlio”. Quindi un principe deve stabilire se la Signora Sapienza o la Signora Follia sarà la sua
principessa. Il giovane decide di iscriversi alla scuola della sapienza (1-9) e nei capp.10-28 studia e si
diploma in questa scuola. Quando si laurea, egli trova che sua moglie è una donna virtuosa, la quale
rappresenta la Signora Sapienza dei capitoli precedenti. Suo marito, il principe, ora si siede alle porte
della città (31:23). Il primo principe, Adamo, ha scelto di seguire la parola di sua moglie sedotta dal
serpente (2Cor.11:3); l’ultimo Adamo ha ascoltato accuratamente la parola del Padre ed è morto per
vincere una Sposa senza macchia (2Cor.11:2).
Prov.1:8 dice: «Ascolta figlio mio, l’ammaestramento di tuo padre e non trascurare l’insegnamento di
tua madre»; la sapienza è qualcosa che può essere insegnata e quindi appresa. Ogni figlio ha una
scelta da fare: sceglierà la sapienza o sarà uno stolto? Dipende da lui. La sapienza, a differenza
dell’intelligenza, non è geneticamente determinata, ma può e deve essere acquistata.
L’uomo è obbligato a decidere se egli sceglierà la via della sapienza confessando il suo peccato,
lasciando le sue vie perverse e mettere la propria fiducia in Dio. I Proverbi insistono nel presentarci
l’urgenza di venire a una decisione a tal riguardo. Ci sono solo due strade. Coloro che seguono la
propria natura continueranno il loro viaggio verso la distruzione; quelli che confessano il loro peccato ed
hanno fiducia in Dio riceveranno la vita, la pace e la comunione con Dio.
In secondo luogo, quelli che hanno scelto la via della sapienza sono obbligati ad indicare la strada
agli altri. Il libro dei Proverbi c’insegna ad essere evangelistici. Dovremmo essere simili a Dio,
avvertendo gli uomini del loro pericolo ed esortandoli a lasciare la follia della loro vita ed abbracciare la
sapienza (11:30; 13:14; 24:11).
Nel capitolo 1, la violenza viene indicata come l’infrazione di quegli obblighi che la volontà di Dio ci
ha imposto (v.16), ma la sapienza grida forte per far udire la sua voce (v.20) e proclama il giudizio che
verrà su quelli che disprezzano le sue vie (vv.24-27).
Il capitolo 2 ci presenta il risultato della sottomissione del cuore alle parole di sapienza e della
diligente ricerca della conoscenza del timore dell’Eterno e della conoscenza di Dio stesso (v.5). Colui il
quale si dà a questo, sarà preservato: non solo non avrà parte con il malvagio (v.12), ma sarà liberato
dalla donna adultera (v.16), vale a dire, dalla corruzione. Negli ultimi versetti viene dichiarato il giudizio
sulla terra e la prosperità del giusto.
Stabilito quest’ultimo principio (vv.1-10), il capitolo 3 dimostra che non sono né la saggezza né la
prudenza umane che impartiscono la sapienza di cui si parla. Non è neanche l’ardente desiderio di
prosperare e di essere felici che si manifesta nelle vie non dritte, ma è il timore dell’Eterno e la
sottomissione alla Sua Parola che provvedono la soluzione per guidarci sani e salvi attraverso il mondo
da Lui governato (v.19).
Il capitolo 4 insiste sulla necessità di inseguire la sapienza a tutti i costi; è un sentiero di sicura
ricompensa (v.9). Mette in guardia contro qualsiasi associazione che porterebbe sulla via sbagliata e, di
conseguenza, alla rovina (v.14), aggiungendo che bisogna fare la guardia al cuore, alla bocca, agli
occhi e ai piedi (vv.23-27).
Nel capitolo 5 si ritorna, nei dettagli, alla corruzione del cuore, la quale porta all’uomo ad
abbandonare la moglie della gioventù per un’altra donna. Questo sentiero demoralizza l’uomo. Ma gli
occhi dell’Eterno controllano sempre le vie dell’uomo (v.21).
Nel capitolo 6 la sapienza non si rende garante per il suo prossimo (v.1). Non è né pigra né violenta
né falsa. La donna adultera deve essere evitata come se fosse fuoco (v.27); non c’è nessun modo per
riparare l’adulterio.
Il capitolo 7 mette chiaramente in evidenza che la casa dell’adultera è la via che porta alla morte.
Frenare le proprie passioni, essere fermi nel resistere alle seduzioni, guardare sempre all’Eterno e
ascoltare le parole dei savi, questi sono i principi della vita consigliati in questo capitolo.
Il capitolo 8: in esso si osserva che la sapienza di Dio è attiva. Essa chiama forte; invita gli uomini
(v.4). Ci sono tre principi che la distinguono:
- la saggezza, o la giusta considerazione delle circostanze, invece di seguire il proprio volere
- l’odio del male che sarà l’evidenza del timore dell’Eterno
- il detestare l’arroganza e l’ipocrisia nell’uomo (vv.7,8)
La sapienza viene presentata come degna di essere stimata e migliore dell’oro e dell’argento. Solo
con la sapienza i re possono regnare e i principi decretare ciò che è giusto (v.15). Cristo è la sapienza
di Dio e l’oggetto del Suo eterno e supremo diletto. L’eterna sapienza di Dio è rivelata e spiegata in Lui.
Non solo questo, ma se Cristo era l’oggetto della gioia del Padre, quale centro e pienezza della
sapienza (1Cor.1:24), gli uomini sono stati la gioia di Cristo, come pure la parte abitabile della terra
dell’Eterno (vv.30,31). Ma bisogna stare attenti a non fraintendere la «sapienza» come Dio dato che
essa è un attributo di Dio.
Quando si pensa che in Cristo si unisce e si sviluppa ogni caratteristica della sapienza e del
consiglio di Dio, è sempre in relazione con gli uomini. Cristo è, dunque, l’oggetto della gioia di Dio
Padre. Cristo ha trovato sempre la sua gioia in Dio Padre e la sua gioia tra i figli degli uomini e nella
terra da essi abitata. Un sinonimo di sapienza è «luce» (Sal.43:3; Efes.5:8) e Gesù Cristo è «la luce
degli uomini» (Giov.1:4).
La sapienza divina dev’essere qui una guida per colui che è sottomesso alla Sua direzione.
Chiunque ascolta la Sua voce, trova la vita (vv.34,35).
Ma nel capitolo 9 la sapienza ha fatto ancora di più: ha fabbricato una casa sua propria, sostenuta
dalla perfezione di una solidità ben regolata e coordinata (v.1). La tavola è apparecchiata ed è fornita di
carne e di vino (v.2) ed invita i privi di senno a venire e partecipare, mentre insegna loro la giusta via in
cui si trova la vita. Vengono di nuovo confrontate la sapienza e la follia; quest’ultima viene chiamata la
«donna sciocca», precedentemente introdotta come la «donna straniera», con la quale nessun Israelita
doveva avere qualcosa a che fare – e certamente nessun re d’Israele doveva cercarla.
Il capitolo 10 incomincia a dare i dettagli a quelli che ascoltano, e mette in guardia su come evitare i
lacci nei quali i privi di senno possono cadere; indica il sentiero da seguire in molti casi e le
conseguenze delle azioni degli uomini; insomma, tutto quello che caratterizza la sapienza, nei dettagli.
Nell’ultimo capitolo viene descritto il carattere di un re secondo sapienza e quello di una donna in
casa sua.
Personificazione della sapienza
La sapienza viene ripetutamente personificata come una donna che parla all’essere umano
offrendosi di istruirlo sulla via della saggezza (1:20-33; 8:1-36; 9:1-6). Lei è nelle strade, non è nascosta
in qualche monastero o in qualche edificio di chiesa; è invece fuori dove ognuno può vederla. Lei è
dovunque è la gente. Nel cap.8 è personificata come compagno di Dio al momento della creazione del
mondo (8:22-31). Questo implica, in ultima analisi, che la sapienza è Gesù Cristo, nel senso che non
possiamo possedere la sapienza senza prima averlo accettato come Signore e Salvatore. Questo però
non deve essere inteso come una profezia di Cristo, dopo tutto la sapienza dei Proverbi è una
personificazione al femminile.
Per la personificazione della follia vedi 7:6-27; 9:13-18. Anche
i profeti (Osea, Geremia, Ezechiele) hanno descritto l’infedeltà
d’Israele al patto come una donna dietro ad altri pretendenti
divini.
Anche se in questo libro la sapienza prodotta dal timore dell’Eterno viene applicata solo a questo
mondo, ciò è molto importante per il credente, il quale, in vista dei suoi privilegi celesti, potrebbe
dimenticare il continuo governo di Dio. È importante per il cristiano ricordare il timore dell’Eterno e
l’effetto della presenza di Dio nei dettagli della sua condotta. Noi possiamo evitare il male, grazie alla
conoscenza del bene. La sapienza di Dio ci dà la conoscenza del bene e il Suo governo provvede per
tutto il resto; ed anche se non viene data una definizione della sapienza, è chiaro che per averla
bisogna iniziare dal timor dell’Eterno.
Temi nei Proverbi 10-31
Sapienza e stoltezza 10:8,13,14,23; 12:1,15,16,23; 13:14-16,20; 14:1,3,7,8,15-18,24,33;
15:5,7,14,20,21; 16:16,21-23; 17:10,12,16,24,28; 18:2,6,7,15; 19:25,29;
21:22; 22:3; 23:9; 24:3-7,13,14; 26:1,3-12; 27:12,22; 28:26; 29:8,9,11
Giusto e malvagio 10:3,6,7,11,20,21,24,25,27-32; 11:3-11,17-21,23,28,30,31; 12:2,3,5-7,
10,12,13,21,26,28; 13:5,6,9,21,22,25; 14:9,11,14,19,32; 15:6,8,9,26,28,29;
16:8,12,13; 17:13,15; 18:5; 20:7; 21:3,7,8,10,12,18,26,27; 24:15,16; 25:26;
28:1,12,28; 29:2,6,7,16,27
Potenza delle parole 10:18-21,31,32; 11:9,11-14; 12:6,14,17-19,22; 13:2,3; 14:5,25; 15:1,2,4,23;
16:1,23,24,27,28; 17:4,7,27; 18:4,6,13,20,21; 19:5,9; 20:19; 21:6,23; 22:10;
25:11,15,23,27; 26:20-28; 27:2; 28:23; 29:20
Famiglia 10:1; 13:1,24; 17:21,25; 19:13,18,27; 20:11; 22:6,15; 23:13-16,19-28;
28:7,24; 29:15,17; 30:11,17
Lavoro e pigrizia 10:4,5,26; 12:11,24,27; 13:4; 14:23; 15:19; 18:9; 19:15,24; 20:4,13; 21:25;
22:13; 24:30-34; 26:13-16; 28:19
Ricchezza e povertà 10:15; 11:4,24,25; 13:7,8,11; 14:20,21,31; 18:11,23; 19:4,7,17; 21:13,17;
22:1,2,7,16,22,23; 23:4,5; 28:3,6,11,20,22; 30:8,9
SCHEMA
A prima vista sembra che il Libro dei proverbi sia una raccolta casuale di detti indipendenti. Ma
un’analisi più approfondita rivela delle strutture. I primi nove capitoli incoraggiano ripetutamente il “figlio”
a ricercare la “sapienza del Signore” ed evitare le trappole della vita, in particolar modo la donna
adultera. I capitoli da 10 a 30 mettono molta enfasi sui temi base, quali l’umiltà contro l’orgoglio,
l’integrità contro l’inganno, il lavoro onesto contro il guadagno disonesto, la bontà di cuore contro la
malvagità, la prudenza contro l’avventatezza, la verità contro la calunnia. Il capitolo 31 riassume
Proverbi con la metafora della donna virtuosa. I versi finali mostrano la saggezza personificata come
una donna saggia che rende onore a Dio.
Scopoetema
ProverbidiSalomone(l’istruzionediunpadre)
ProverbidiSalomone
ProverbidiSalomone(paroledeisaggi)
ProverbidiSalomone(trascrittidagliuominidiEzechia)
ProverbidiSalomone(Agur)
Paroledelre
Alfabetodellasapienza(ritrattodelladonnaperfetta)
1:1-7 1:8-9:18 10:1-22:16 22:17-24:34 25-29 30 31:1-9 31:10-31
Prologo Massime Epilogo
Sapienza lodata Sapienza applicata
Sapienza personificata Sapienza principalizzata Sapienza praticata
Per il giovane Per tutti
Salomone
I. Proverbi di Salomone (1-9)
1. Titolo e scopo del libro 1:1-6. L’oggetto di questo libro è pratico, mira a dare sapienza a scopo di
edificazione morale (vv.3-5) e condurre alla verità intellettuale (v.6).
2. Quindici lezioni sulla sapienza 1:7-9:18.
- 1:7-19 Cupidigia
- 1:20-33 Saggezza
- 2:1-22 Saggezza
- 3:1-18 Legge
- 3:19-26 Saggezza
- 3:27-35 Esortazioni
- 4:1-5:6 Istruzioni
- 5:7-23 Sesso
- 6:1-5 Finanze
- 6:6-11 Pigrizia
- 6:12-19 Malvagità
- 6:20-35 Adulterio
- 7:1-27 Fornicazione
- 8:1-36 Saggezza
- 9:1-18 Saggezza
II. Proverbi di Salomone (10:1-22:16)
Si tratta di una serie di 375 piccole massime. Non sono raggruppate secondo un ordine apparente,
ad eccezione di qualche sezione che contiene una serie di proverbi riuniti da caratteristiche comuni. In
genere tendono a stare da sole senza relazione con i versi che precedono o seguono. Tutti questi
proverbi sono dei distici nei quali predomina il parallelismo antitetico per enfatizzare il contrasto tra follia
e sapienza, anche se non ve ne mancano alcuni che sono dei sinonimi (cfr. 11:7,25,30; 12:14,28;
14:19). Ve ne sono pochi che presentano un parallelismo sintetico, specialmente quelli che hanno la
comparazione «meglio…che» (così ad esempio, 12:9; 15:16; 15:8,19; ecc.) o la frase ’ap kî
«tanto più» (11:31; 15:11; 17:7; 19:7; ecc.). Le due vie antitetiche di vita sono ovvie. Uno deve scegliere
la via della sapienza o quella della follia, le quali hanno distinte e diverse qualità morali. La via della
sapienza è quella della giustizia (e riceve ricompensa), la via della follia è quella della malvagità (e
riceve distruzione). Il cap.16 sviluppa il tema: l’uomo propone ma Dio dispone.
Alcuni detti si verificano più di una volta (per esempio, 14:12 = 16:25).
III. «La mia conoscenza» (22:17-24:22)
Questa sezione di trenta aforismi include tutti i tipi di māšāl: distici (22:18; 23:9; 24:7-10); tetrastici
(22:22s,24s,26s; 23:10s; 23:15,17; 24:1s,3s; ecc.); pentastici (23:4ss; 24:12ss) e esastici (23:1-3,12-
14,19-21,26-28; 24:11ss).
IV. «Anche queste sono per i saggi» (24:23-34)
Questa sezione contiene un esastico (24:23b-25), un distico (24:26), un tristico (24:27), un tetrastico
(24:28ss) e una ode mashalica sopra il pigro (24:30-34).
V. Proverbi di Salomone raccolti dagli uomini di Ezechia (25-29)
Nei capitoli 25-27 il tipo prevalente del parallelismo non è quello antitetico, ma piuttosto quello
parabolico («come… così», 26:1) o emblematico (nel quale si omettono le particelle «come… così» cfr.
25:4ss). Il parallelismo antitetico è più frequente nei capitoli 28 e 29, ma vi sono pure parecchi esempi
di tipo comparativo o figurativo. Il parallelismo è a due, tre, quattro o cinque membri. È degno di nota
che molti proverbi o sezioni di proverbi sono ripetuti dalla sezione III. Alcuni sono perfettamente identici
(25:24 = 21:9; 26:22 = 18:8; 27:12 = 22:3; ecc.), altri sono identici nel senso ma cambiati un poco nella
fraseologia (26:13 = 22:13; 26:15 = 19:24; 28:6 = 19:1; ecc.).
VI. «Temi queste mie parole» (30:1-14)
Inizia con una esaltazione della parola di Dio (vv.1-6), a cui segue delle massime brevi e concise.
VII. Massime numeriche (30:15-33)
L’aspetto caratteristico di questa sezione è il suo uso di proverbi numerici – detti sapienziali che
raggruppano un numero di cose insieme. Ha un insolito numero di middàh (middàh significa «misura» o
«numero assegnato») come nei vv.15-17 «Ci sono tre cose che non si saziano mai, anzi quattro…». I
soggetti dei detti sono vari, ma resta sempre il contrasto tra sapienza e follia.
VIII. «Parole del…re» (31:1-9)
L’obiettivo è l’avvertimento contro i mali delle donne immorali e dell’ubriachezza. Include anche una
esortazione ad essere imparziali nei giudizi.
IX. La donna perfetta (31:10-31)
Questa sezione esalta una moglie virtuosa. Descrive la donna ideale e mostra i vantaggi nella scelta
di una tale moglie. È un poema acrostico (alfabetico), di cui ciascuno dei 22 versi comincia con una
delle lettere dell’alfabeto ebraico.
Oltre al suddetto schema, si può dividere il libro anche nella seguente struttura:
A. L’uomo saggio (1:2-6)
B. Proverbi PER Salomone (1:7-9:18) (sec. pers.sing.)
C. Proverbi DI Salomone (10:1-19:19) (terza persona)
D. Proverbi PER Salomone (19:20-24:34) (sec. pers. sing.)
C. Proverbi DI Salomone (25:1-26:28) (terza persona)
D. Proverbi PER Salomone (27:1-29:27) (sec. persona)
B. “Parole” PER Salomone (30:-31:9)
A. La donna forte e virtuosa (31:10-31)
SCOPO
Il libro dei Proverbi è destinato ad essere per la nostra vita pratica ciò che il libro dei Salmi è per la
nostra vita di comunione spirituale, e dimostra che la Bibbia non disdegna la vita ordinaria. Essi sono
ricchi di saggezza pratica per tutte le età, ma, in modo speciale, dovrebbero essere insegnati ai giovani.
Abbiamo visto che l’autore di questo libro è Salomone. Questo ci guida verso la ragione per cui è
stato dato questo libro. Il regno d’Israele era al suo punto più alto di gloria. La gloria del mondo era
Israele e la gloria d’Israele era Gerusalemme e la gloria di Gerusalemme era il Tempio che Salomone
aveva costruito. Era una delle cose più belle del mondo antico. I giorni di Salomone erano giorni di
pace. Suo padre, Davide, aveva stabilito un regno e ora gli ambasciatori d’Africa, d’Egitto e di Tiro
venivano in Israele ad ammirare questo regno. Tuttavia, c’erano già dei segni di rottura. Non era
immediatamente evidente, ma l’unità della nazione veniva già minacciata. Alla morte di Salomone, le
tribù settentrionali si sarebbero separate. I re e i sacerdoti che sono venuti dopo Salomone si sarebbero
corrotti. È in questa situazione che Dio ha dato un libro che ci dice come vivere in maniera giusta in un
mondo empio. Questo ci porta allo scopo dei libro dei Proverbi, che è quello di insegnare i principi della
sapienza, ovvero aiutare i lettori a vivere saggiamente ed in modo accorto e ad ordinare la vita nel
modo giusto (1:2-7), ovvero:
A. Conoscere la sapienza e l’istruzione (1:2).
B. Ricevere insegnamento sulla saggezza, la giustizia, il giudizio e l’equità (1:3).
C. Dare accortezza ai semplici, conoscenza e riflessione al giovane (1:4).
D. Aumentare il sapere e acquistare esperienza nella comprensione (1:5).
E. Capire i proverbi, gli enigmi, i detti saggi e le parabole (1:6).
F. Apprendere il timore dell’Eterno (1:7). Questa affermazione viene fatta immediatamente dopo la
dichiarazione di scopo e serve come culmine della dichiarazione stessa.
Prendiamo nota di tutte le parole che fanno riferimento all’istruzione: conoscere, intendere, ricevere
ammaestramento, dare accorgimento, comprendere. Questa introduzione è particolarmente utile perché
ci dà molti termini che sono parzialmente sinonimi di sapienza, permettendoci così di dare un significato
concreto a questa parola. I termini impiegati ci informano sin dall’inizio che non è una sequenza di verità
che ci verrà trasmessa, ma la capacità di distinguere ed applicare la verità. Il concetto di sapienza è
associato a quello di disciplina, istruzione, comprensione, perspicacia, conoscenza, esperienza, ecc. Lo
scopo è quello dunque di comunicarci la sapienza e l’istruzione; di farci apprendere la conoscenza e di
impartirci lezioni sulla saggezza divina, affinché impariamo a camminare con Dio e in mezzo agli uomini
con giustizia, con giudizio ed equità.
Le istruzioni date in questo libro sono molto chiare e raggiungeranno il loro scopo soprattutto in quelli
che sono pronti a riconoscere la propria ignoranza e la necessità di essere ammaestrati. E quelli che
ricevono questi insegnamenti, saranno resi savi per conoscere il peccato che devono evitare, per
conoscere i doveri che devono compiere e per sfuggire alle astuzie del tentatore, perché la sapienza
distingue la verità dall’errore, il bene dal male e il meglio dal buono. I Proverbi presentano la via per
conservarsi moralmente integri, per evitare le insidie della vita e per riuscire in essa, attenendosi alla
sapienza ed evitando la follia. Essi correggono i falsi modi di concepire e affrontare la realtà; stimolano
alla riflessione, al discernimento ed al giusto giudizio col risultato di orientarsi nella vita con saggezza. I
Proverbi ci presentano il modo di pensare di Dio per la vita pratica.
I Proverbi venivano impiegati da genitori ed insegnanti per trasmettere sapienza in una maniera che
faceva dell’apprendimento una sfida. Lo scopo nell’usare un proverbio era quello di aiutare a far
acquisire abilità mentali che favorissero una vita saggia. Sia il contenuto che la struttura delle massime
contribuivano allo sviluppo degli ascoltatori. Il progredire era una sfida e il risultato un premio.
Molte antiche culture del Vicino Oriente avevano scritti sapienziali, ma la saggezza cui incoraggiano i
Proverbi contiene un elemento che non si trova in quelle opere. La saggezza dei Proverbi comprende sì
intelligenza pratica e acume mentale, ma anche un modo di vivere morale e retto che deriva da un
giusto rapporto con Dio. L’affermazione «Il timore dell’Eterno è il principio della sapienza» (9:10) rende
unico il concetto ebraico di saggezza (cfr. 14:16, «L’uomo saggio teme e si allontana dal male». Vedi
inoltre 1:7; 15:33; Giob.28:28; Sal.111:10). Per essere saggio in senso biblico si deve iniziare con un
adeguato rapporto con Dio. Temere il Signore significa rispettarlo per Colui che Egli è e rispondergli con
fiducia, adorazione, ubbidienza e servizio. Se non si onora Dio né si osserva la Sua parola, non si potrà
mai ottenere la saggezza così come la definivano i saggi ebraici.
Uno scopo particolare dei Proverbi è quello d’istruire il giovane inesperto (1:4); ma anche quelli che
desiderano avanzare nell’insegnamento della sapienza (1:5,6). Tre sono i temi essenziali del libro:
(a) Le due vie antitetiche di vita
(b) La retribuzione divina
(c) Fiducia nel Signore
Se i giovani ordinassero il loro cammino secondo i Proverbi di Salomone, acquisterebbero presto
conoscenza e saggezza. L’uomo savio ascolterà sempre e sarà sempre uno scolaro; egli, perciò,
accrescerà la propria ricchezza spirituale per mezzo di ciascuna massima di questo libro. Nessuno
possiede una conoscenza tale da non permettere che la si incrementi tramite l’apprendimento di questi
proverbi. Lo scopo del libro dei Proverbi, quindi, è sviluppare nelle persone, specialmente nei giovani,
un saggio, accorto approccio alla vita che inizia nel trovarsi nel giusto rapporto con il Signore. I Proverbi
di Salomone non sono una mera raccolta dei detti saggi che sono stati pronunciati nel passato, ma
sono i dettami dello Spirito di Dio in Salomone. Così, benché Salomone fosse grande e il suo nome
potesse bastare a raccomandare i suoi scritti, ecco, qui c’è qualcuno più grande di Salomone: è Dio,
attraverso Salomone, a parlarci; sì, parla a noi, perché questi proverbi furono scritti per il nostro
ammaestramento. L’espressione frequentemente usata «figlio mio», indica la relazione di un padre
verso il figlio, ma per estensione quella di un insegnante verso i suoi alunni, e così egli parla anche a
noi e ai nostri figli (Ebr.12:5). [La parola “padre” è utilizzata per maestro in 2Re 2:12; 6:21; 13:14;
Giud.17:10; 18:19. La parola “figlio” è utilizzata per alunno in 1Sam.3:6,16]. Le parole «figlio mio»
ricorrono ventitré volte. «Figli» ricorre quattro volte.
Il figlio stesso di Salomone, Roboamo, fu stolto e non prestò molta attenzione alle pagine di
saggezza scritte da suo padre. Nella nostra epoca in cui i livelli morali sono così scaduti, ogni giovane
dovrebbe conoscere quale sia la fine inevitabile della vita immorale, delineata con tanta chiarezza in
questo libro. Felici sono quei giovani che conoscono le Scritture e a cui i genitori hanno insegnato quei
principi morali assoluti richiesti da Dio. Ricordiamo che l’obiettivo più grande della vita non è essere
felici, ma essere santi
Vocaboli esprimenti la sapienza nei Proverbi
Il Dizionario Garzanti della Lingua Italiana così definisce la sapienza: «il più perfetto grado di
conoscenza delle cose più elevate, umane e divine; più com., l’essere sapiente, cioè il possedere molta
dottrina, profondo sapere». La Bibbia ci dà un’immagine diversa di sapienza. Tre sono i vocaboli usati
attraverso tutto il libro per indicare la sapienza: ḥokmāh, bînàh e tûšiyyàh.
1. Il principale e più frequente è ḥokmāh comunemente tradotto con «sapienza». Esso
ricorre 45 volte nei Proverbi. Nell’A.T. il vocabolo non appartiene tanto al regno della conoscenza
teorica, quanto piuttosto al modo con cui ottenere i principali risultati della vita. Lo troviamo per la prima
volta in Es.28:3 in relazione all’abilità di artigiani, di artisti, ecc. ed è quindi questo versetto, secondo
una regola d’interpretazione ebraica, che ci dà la chiave per comprendere la parola. Betsaleel, per
esempio, il cui compito era quello di lavorare la pietra e i metalli preziosi per il tabernacolo, è stato
riempito di «sapienza» (Es. 35:31) per svolgere questo lavoro. La stessa cosa vale per Oholiab
(Es.35:34,35). Costoro e altri lavoratori, capaci, esperti ed efficienti nelle loro competenze, erano
dunque «sapienti», capaci di trattare le cose secolari, avendo il talento di compiere i propri affari e di
trattare bene con gli altri ed essere abili a dedicarsi a ciò che si deve compiere. In altre parole, la
sapienza è l’arte di vivere la vita.
Analogamente questa specie di «sapienza» include un giusto discernimento tra il bene e il male, tra
la virtù e il vizio, tra il dovere e l’indulgenza personale. Il termine connota dunque quella saggezza che
porta al successo o alla prosperità sia nella sfera materiale che in quella spirituale. Nell’ambito spirituale
una persona che possiede hokmāh riguardo a Dio è qualcuno capace ed esperto nel seguire la via
divina. Così, essere saggio, nella letteratura biblica sapienziale, significa possedere la capacità di vivere
piamente. Avere la saggezza di Dio vuol dire avere l’abilità di vivere la vita in modo da onorare Dio.
L’ordine costituito da Dio ha le sue leggi naturali e morali che governano il creato e l’esistenza. Il
corrispondente di ḥokmāh nel Nuovo Testamento è «Sophia», che indica saggezza, intelligenza,
esperienza, applicazione giusta della conoscenza, ecc.
Questo tipo di saggezza è stato attribuito a Davide in 1Sam.18:14. Il Messia avrebbe avuto questo
tipo di saggezza (Ger.23:5; Luca 2:52).
2. Bînàh «intelligenza» o «intendimento» include l’abilità nel discernere intelligentemente la
differenza tra la finzione e la realtà, tra la verità e l’errore, tra le speciose attrattive del momento e i
duraturi valori che conducono al successo la propria vita. L’idea fondamentale di questo vocabolo si
rinviene nella preposizione che vi è connessa, vale a dire bêyn che significa «tra»; perciò esso include
sempre un fattore analitico di giudizio e l’abilità nel distinguere tra ciò che è valido e ciò che non è
valido.
3. Tûšiyyàh o «sapienza efficiente». Questo vocabolo presenta la sapienza come l’intuizione di una
verità spirituale o psicologica. Esso mette a fuoco l’abilità della mente umana nell’alzarsi dalle bassezze
e afferrare un po’ di realtà divina per così dire, anziché presentare la sapienza come una rivelazione
profetica che scende dal cielo. Esso mette in rilievo l’attività della mente mediante la quale il credente
sa dedurre da ciò che Dio ha rivelato il modo con cui i principi divini vanno applicati nelle quotidiane
situazioni della vita (cfr. 3:21; 8:14; 18:1).
Si dovrebbe notare che il tipo caratteristico del proverbio in questo libro sta nella bilanciata antitesi
che in modo incisivo mette in contrasto il saggio e lo stolto, il buono e l’empio, il valore vero e quello
falso, in modo da mettere in rilievo i due lati della verità opponendoli tra di loro e così svolgere una
funzione incisivamente didattica. Il libro mette costantemente in antagonismo l’obbedienza contro la
ribellione, la laboriosità contro la pigrizia, la prudenza contro la presunzione e via dicendo. Queste
realtà sono presentate in modo da mostrare la necessità di una scelta ben precisa, senza lasciare al
lettore la possibilità di uno stolto compromesso o di una indecisione.
È importante distinguere tra sapienza ed intelligenza. Molti che sono intellettualmente “brillanti” sono
biblicamente stolti. Molti che sono considerati avere un basso livello d’intelligenza, non sono, per questo
solo fatto, esclusi dalla possibilità di essere biblicamente sapienti. Dio vuole che il Suo popolo rifletta la
Sua saggezza e la applichi ad ogni aspetto della vita, non solo a quello spirituale. Questa saggezza la si
acquisisce con lo studio della parola di Dio, a differenza della saggezza della filosofia greca, la quale
risiedeva in una intelligenza congenita e non era necessariamente il frutto dell’apprendimento. La
persona che apprende la saggezza di Dio sa come parlare e come comportarsi nella vita.
La sapienza è dono di Dio (Prov.2:6) ed è promossa da una ricerca costante della verità divina.
Sebbene essa venga offerta liberamente a tutti, richiede un rifiuto fermo del male (8:13), un volgersi
verso Dio con fede e riverenza perché il principio della sapienza è il timor dell’Eterno (9:10) ed
un’ubbidienza continua ai Suoi precetti. Il più sapiente uomo del mondo non può avere, quindi,
nemmeno i primi rudimenti della vera sapienza, poiché il primo atto è temere l’Eterno, prendere il
proprio posto davanti a Dio. Tutti quelli che rifiutano di prendere questo posto sono degli stolti (1:7);
esso è dunque il primo gradino della conoscenza. Noi dobbiamo imparare ad odiare le cose che Dio
odia (8:13), giudicarle nei nostri cuori e toglierle dalla nostra vita. Il «timore dell’Eterno» costituisce
l’essenza di ogni vera sapienza umana, il suo punto di partenza e l’obiettivo più importante della vita
(3:13-15).
C’è una notevole differenza tra la conoscenza e la sapienza. La conoscenza può gonfiarci, ma la
sapienza no. La conoscenza è la comprensione della verità, ma la sapienza è la capacità di metterla in
pratica ogni momento della nostra vita, nelle nostre scelte, nelle risposte che diamo, nelle cose che
diciamo, nelle decisioni che prendiamo.
La sapienza viene presentata come un attributo che mette in grado chi la possiede di riuscire bene
nella vita evitando nel contempo le trappole e i lacci che affliggono lo sciocco e l’ignorante. Dio desidera
un popolo santo che viva in discernimento e benessere, perseguendo un comportamento etico e morale
come testimonianza costante di un rapporto spirituale di riverenza e di ubbidienza. Sotto la guida della
sapienza, il saggio seguirà un modello di vita onesto e altruista che sarà onorato da Dio. Sua
ricompensa primaria sarà un senso di sicurezza nel Signore (29:25) e, quando il credente investiga le
profondità della sapienza di Dio, avrà un aumento della conoscenza di Dio (cfr. 2:5), ed applicherà i
Suoi insegnamenti alla vita pratica e sociale. Il saggio è sempre umilmente disposto ad imparare;
soltanto gli sciocchi e i presuntuosi pensano di non aver bisogno di istruzione.
La sapienza è in contrasto con la stoltezza (7:4; 9:6; 12:16; 13:16,20; 14:9,16; 15:14,28; 16:21;
17:12; 26:4,7,11,12; 27:12; 29:20; 31:6).
Oggi viviamo in un’epoca che ha visto un’esplosione di conoscenza, specialmente nel campo della
tecnologia; ma mentre la conoscenza è cresciuta rapidamente, la saggezza sta diventando sempre più
rara. Le implicazioni di questa tendenza sono spaventose. L’uomo ha la capacità di raggiungere la luna
e separare l’atomo, ma senza sapienza utilizzerà spesso la conoscenza per scopi malvagi.
SOGGETTO
Il soggetto principale del libro è: «Il timore del Signore, che è il principio della scienza». Esso mette a
fuoco il carattere e la condotta dell’uomo. Le osservazioni e le ammonizioni sulla vita contenute nel libro
sono rivolte all’individuo, non al popolo d’Israele come tale. Come già affermato, il libro dei Proverbi
sottolinea l’importanza di vivere saggiamente. Ciò è sinonimo di una vita pia, giacché chi è pio o giusto
è saggio agli occhi di Dio. Al contrario, una persona empia o ingiusta è stolta. Nei Proverbi si fa
ripetutamente riferimento alle caratteristiche e alle conseguenze di questi due diversi modi di vivere,
riassunte nel Sal.1:6: «Poiché l’Eterno conosce la via dei giusti, ma la via degli empi porta alla rovina».
Il timore dell’Eterno è il principio della conoscenza; ma gli stolti disprezzano la sapienza e
l’ammaestramento (1:7; 9:10). La tesi è chiara: quelli che temono Dio e vivono secondo i Suoi principi
possono essere sicuri della Sua approvazione e della Sua benedizione. Prov.1:7 è il postulato di base
del libro; condiziona tutto quello che segue, poiché il comportamento personale è basato sul timore di
Dio. Ma cos’è il timore dell’Eterno? La parola ebraica per «timore» è , yir’at. Viene usata in
Es.20:20 per descrivere la paura che aveva Israele per la manifestazione di Dio sul Sinai. Non è quindi
semplicemente rispetto o riverenza, ma è la realizzazione che Dio è molto più grande di noi e che Egli
può fare quello che vuole. Presuppone rispetto verso l’autorità di Dio. Significa credere che quello che
dice è vero e di conseguenza tutto ciò che Dio dice è un ordine per la nostra vita. Dobbiamo essere
sempre consapevoli chi è Dio e che Egli tiene le persone responsabili delle loro azioni. Se siamo stati
alla presenza di Dio senza temerLo, allora non siamo stati alla presenza di Dio. Sapere che Dio tiene
conto del nostro comportamento, è uno straordinario incentivo ad agire saggiamente e correttamente. Il
mondo nega la parola di Dio; nega la Sua autorità; non c’è da meravigliarsi che il mondo non ha la
sapienza di Dio. Il mondo va alla ricerca di risposte, ma non le trova perché non ha raggiunto neanche
la porta iniziale. La porta iniziale è il timore dell’Eterno. Questo è un concetto che caratterizza anche
Giobbe (Giob.28:28) e i Salmi (Sal.111:10).
IL «TIMOR DI DIO» NELLA BIBBIA
Timor di Dio
Genesi 20:11 Abrahamo rispose: «L'ho fatto, perché dicevo fra me: "Certo, in questo luogo non c'è timore di
DIO; e mi uccideranno a causa di mia moglie».
2Samuele 23:3 Il DIO d'Israele ha parlato, la Rocca d'Israele mi ha detto: "Colui che regna sugli uomini con
giustizia, colui che regna col timore di DIO
2Cronache 20:29 Il terrore di DIO cadde su tutti i regni degli altri paesi, quando vennero a sapere che l'Eterno
aveva combattuto contro i nemici d'Israele.
Nehemia 5:15 Invece i passati governatori che mi avevano preceduto avevano gravato il popolo prendendo da
esso pane e vino, oltre a quaranta sicli d'argento. Perfino i loro servi spadroneggiavano sul popolo; ma io non ho
fatto così, perché ho avuto timore di DIO.
Salmi 36:1 Il peccato dell'empio dice al mio cuore: «Non c'è alcun timore di DIO davanti ai suoi occhi
Luca 18:4 Per un certo tempo egli si rifiutò di farlo, ma poi disse fra sé: "Anche se non temo Dio e non ho
rispetto per alcun uomo
Romani 3:18 non c'è il timore di Dio davanti ai loro occhi».
2Corinzi 7:1 Avendo dunque queste promesse, carissimi, purifichiamoci da ogni contaminazione di carne e di
spirito. compiendo la nostra santificazione nel timore di Dio.
Timor dell’Eterno
2Cronache 14:14 Poi attaccarono tutte le città intorno a Gherar, perché il terrore dell'Eterno era caduto su di
esse, e saccheggiarono tutte le città, nelle quali c'era molto bottino.
2Cronache 17:10 Il terrore dell'Eterno cadde su tutti i regni dei paesi che erano intorno a Giuda, e così essi non
mossero guerra a Giosafat.
2Cronache 19:7 Perciò ora il timore dell'Eterno sia su di voi. Fate attenzione a ciò che fate, perché nell'Eterno, il
nostro DIO, non c'è alcuna ingiustizia, né parzialità, né accettazione di doni».
2Cronache 19:9 Egli comandò loro dicendo: «Voi agirete nel timore dell'Eterno, con fedeltà e con cuore integro.
Giobbe 28:28 E disse all'uomo: "Ecco, temere il Signore, questo è sapienza, e fuggire il male è intelligenza"».
Salmi 19:9 Il timore dell'Eterno è puro, rimane in eterno; i giudizi dell'Eterno sono verità, tutti quanti sono giusti;
Salmi 34:11 Venite, figlioli, ascoltatemi; io vi insegnerò il timore dell'Eterno.
Salmi 111:10 Il timore dell'Eterno è il principio della sapienza, hanno grande sapienza quelli che mettono in
pratica i suoi comandamenti; la sua lode dura in eterno.
Proverbi 1:7 Il timore dell'Eterno è il principio della conoscenza, ma gli stolti disprezzano la sapienza e
l'ammaestramento.
Proverbi 1:29 Poiché hanno odiato la conoscenza e non hanno scelto il timore dell'Eterno,
Proverbi 2:5 allora intenderai il timore dell'Eterno, e troverai la conoscenza di DIO.
Proverbi 8:13 Il timore dell'Eterno è odiare il male; io odio la superbia, l'arroganza, la via malvagia e la bocca
perversa.
Proverbi 9:10 Il timore dell'Eterno è il principio della sapienza, e la conoscenza del Santo è l'intelligenza.
Proverbi 10:27 Il timore dell'Eterno prolunga i giorni, ma gli anni degli empi saranno accorciati.
Proverbi 14:26 Nel timore dell'Eterno c'è una grande sicurezza, e i suoi figli avranno un luogo di rifugio.
Proverbi 14:27 Il timore dell'Eterno è una fonte di vita che fa evitare i lacci della morte.
Proverbi 15:16 Meglio poco con il timore dell'Eterno, che un gran tesoro con preoccupazioni.
Proverbi 15:33 Il timore dell'Eterno è un ammaestramento di sapienza, e prima della gloria c'è l'umiltà
Proverbi 16:6 Con la bontà e la verità l'iniquità si espia, e con il timore dell'Eterno uno si allontana dal male.
Proverbi 19:23 Il timore dell'Eterno conduce alla vita; chi lo possiede dimorerà sazio e non sarà colpito da alcun
male.
Proverbi 22:4 Il premio dell'umiltà è il timore dell'Eterno, la ricchezza, la gloria e la vita.
Proverbi 23:17 Il tuo cuore non porti invidia ai peccatori, ma continui sempre nel timore dell'Eterno;
Isaia 11:2 Lo Spirito dell'Eterno riposerà su lui: spirito di sapienza e d'intelligenza, spirito di consiglio e di
potenza, spirito di conoscenza e di timore dell'Eterno.
Isaia 11:3 Il suo diletto sarà nel timore dell'Eterno, non giudicherà secondo le apparenze, non darà sentenze per
sentito di re,
Isaia 33:6 e sarà la sicurezza dei tuoi giorni, la forza della salvezza, sapienza e conoscenza; il timore dell'Eterno
sarà il suo tesoro.
Atti 9:31 Così le chiese in tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria avevano pace ed erano edificate. E,
camminando nel timore del Signore e nella consolazione dello Spirito Santo, moltiplicavano.
2Corinzi 5:11 Conoscendo dunque il timore del Signore, persuadiamo gli uomini, e siamo conosciuti da Dio, or
io spero di essere conosciuto anche dalle vostre coscienze.
Nel libro dei Proverbi l’espressione «timore dell’Eterno» compare 14 volte (2x7).
«L’Eterno odia…gli occhi alteri» (6:16,17)
Il libro dei Proverbi ci dice che Dio si adira quando un uomo guarda dall’alto in basso un altro uomo.
Le Sue emozioni sono risvegliate quando ci comportiamo come se fossimo al centro dell’universo,
quando pensiamo di esistere solo per il nostro piacere o quando diamo sfogo ai nostri istinti naturali
invece di fare qualche sacrificio per adoperarci a ricercare la sapienza e la conoscenza di Dio (3:5-7;
8:13; 11:2; 13:10; 16:5,18,19; 21:2,4; 29:23; 30:12,13). I Proverbi ci mostrano perché Dio odia un
atteggiamento orgoglioso. L’orgoglio fa si che la persona sia una sciocca; la illude, creandogli un
eccessivo senso della propria importanza o capacità. L’orgoglio conduce al disaccordo con Dio e riflette
una riluttanza ad aver fiducia in Lui. L’orgoglio rimuove alla base il rapporto con Dio (Giac.4:6) e
conduce all’imbarazzo personale ed alla distruzione di ogni buon sentimento.
Al contrario, gli occhi umili portano a rispettare il prossimo. L’umiltà ci fa compensare la nostra
tendenza verso l’illusione con il cercare la sapienza di Dio e il consiglio di altri. L’umiltà è pratica.
Fornisce una base per il rapporto con Dio il quale è in grado di aiutarci e preservarci da ogni disonore.
ASPETTO DIVINO ASPETTO UMANO
Dio osserva il modo in cui guardiamo gli altri Siamo portati a dare una importanza esagerata
alle cose ed agli interessi personali e ad avere
una scarsa consapevolezza delle necessità degli
altri
Nell’elenco delle cose che Dio odia, la prima è
l’orgoglio
A causa della nostra tendenza verso l’orgoglio,
abbiamo bisogno della croce, dello Spirito e
dell’esempio di Cristo.
Dio apprezza l’umiltà perché sa dove ci conduce
l’orgoglio, e perché sa che l’umiltà ci fa avere un
buon rapporto con Lui, con gli altri e con noi stessi
Quello che Dio intende per umiltà è visto dal
modo in cui Cristo ha servito il Padre e i Suoi
discepoli
«L’Eterno odia…la lingua bugiarda» (6:16,17)
Il libro dei Proverbi ci dice che il contrario della verità non è l’errore, ma il male. Le labbra
bugiarde danno delle informazioni sbagliate, ed esprimono l’oscurità che segna il percorso che conduce
a Dio. Per una bugia di seduzione, i pedofili convincono i bambini ad aver fiducia in loro. Per un inganno
si rovina una società e si possono perdere i risparmi di una vita, con il rischio di arrivare a pensare che
lo scopo più alto della vita sia quello di vivere per sé stessi. Per inganno, il “padre delle menzogne”
allontana la gente dal proprio Creatore e le accompagna alla perdizione eterna. Per tali ragioni abbiamo
proverbi come: 8:7; 10:18; 11:1,3; 12:19; 12:22; 19:1; 23:23
I Proverbi ci ricordano che Dio odia l’inganno, il quale è la base del tradimento. Il tradimento
distrugge la fiducia, e senza fiducia e verità non c’è alcuno spazio per i rapporti affettuosi. La verità è il
fondamento di tutte le buone cose, del buon governo e della buona scienza. La verità è la base dei
matrimoni fedeli, delle amicizie durevoli e di un rapporto personale con Dio. Le bugie sono la tattica
infernale del demonio. Sono sorgenti di oscurità piuttosto che di luce, di dispiacere piuttosto che di
gioia. Le bugie danno onore per un momento, ma assicurano anche che l’onore si trasformerà ben
presto in vergogna.
ASPETTO DIVINO ASPETTO UMANO
Le emozioni di Dio sono risvegliate quando
neghiamo la verità per coprire il nostro peccato
Siamo tentati a mentire a causa dell’imbarazzo
provocato dal peccato che è dentro di noi
Dio sta con quelli che sono disposti a dire la verità
anche a costo di una propria perdita
Quando mentiamo, scegliamo di avere fiducia
nella nostra capacità di proteggerci piuttosto che
nella capacità di Dio di perdonarci e benedirci
L’esempio supremo di amore per la verità lo
vediamo chiaramente in Cristo, che ha scelto di
avere fiducia nel Padre anche a prezzo della
morte, piuttosto che dire una sola parola non
veritiera
A motivo delle nostre menzogne, abbiamo
disperatamente bisogno del pagamento di Cristo
per il nostro peccato, nonché del suo Spirito per
riempirci di grazia e di verità
«L’Eterno odia…le mani che versano sangue innocente» (6:16,17)
Le emozioni di Dio sono risvegliate quando un uomo mangia il pane della violenza invece del frutto
del suo lavoro. Molti proverbi ci mostrano quello che Dio prova nei confronti di chi «versa sangue
innocente» per ottenere ciò che vuole. Dio si adira quando vede delle mani che sono state fatte per
aiutare gli altri, utilizzate invece per derubare, defraudare e assassinare.
«Le mani che versano sangue innocente» sono gli strumenti dell’orgoglio e dell’inganno. Il cuore
orgoglioso considera i propri interessi come più importanti degli interessi degli altri. Tutto ciò è rafforzato
dalla bugia che abbiamo il diritto di prendere per forza qualcosa che non abbiamo legittimamente
guadagnato o altrimenti ricevuto.
«Le mani che versano sangue innocente» sono mani piene di ribellione contro Dio. Sono mani che
hanno rifiutato la sapienza di Dio, la quale ci dice che dobbiamo essere soddisfatti della Sua
benedizione su mani umili ed oneste.
Il libro dei Proverbi è pieno di avvertimenti contro quelle scorciatoie che conducono al disastro.
Salomone ci ricorda che il successo non viene nascondendosi al mattino sotto le coperte del letto. Non
siamo in questo mondo per mangiare ciò che è stato guadagnato da altri (6:6-11; 10:4; 12:24,27; 13:4;
14:23; 18:9; 20:13; 22:29; 28:19.
ASPETTO DIVINO ASPETTO UMANO
Dio dà valore al lavoro onesto non solo perché
riflette il modo in cui Egli lavora nel mondo, ma
anche perché riflette il modo in cui Egli vuole
lavorare in e attraverso noi
La nostra tendenza è quella di lavorare
onestamente quando gli altri ci guardano e ci
danno l’incentivo ad essere produttivi
Dio ricompensa quelli che scelgono di lavorare
onestamente, relativamente poco, mentre gli altri
si arricchiscono con gli utili della frode e
dell’inganno
A causa della caduta dell’umanità nel peccato,
siamo diventati auto-accentratori, volendo una
vita facile senza lavorare per essa
L’odio di Dio per la frode, la truffa e il cinico
opportunismo dovrebbe essere temuto da ogni
uomo che è in affari
La nostra chiamata più alta è fare il nostro lavoro
con la prospettiva che lavoriamo per Dio e non per
l’uomo
Il lavoro più grande di Dio è visto nell’opera che
Cristo ha fatto per darci la ricompensa di una
salvezza onesta
A causa del nostro fallimento nel lavorare per
ristabilire i rapporti con Dio, saremmo persi senza
il pagamento di Cristo per il nostro peccato
«L’Eterno odia…il cuore che escogita progetti malvagi» (6:16,18)
I Proverbi ci ricordano ripetutamente che Dio odia un cuore disposto alla violenza invece che
all’amore. Dio ha fatto i nostri cuori per Sé stesso. La nostra ragione d’esistenza è temere, amare,
rispettare ed apprezzare Dio. La nostra missione di vita è scoprire dalla profondità del nostro cuore la
ricchezza del Suo amore per noi e per gli altri. Il libro dei Proverbi ci mostra l’importanza della
condizione del nostro cuore: 4:23; 11:20; 12:8,20; 14:30; 15:14; 17:22; 23:17; 23:26; 28:25.
I desideri del nostro cuore determineranno il nostro comportamento, se faremo il bene o se faremo il
male.
ASPETTO DIVINO ASPETTO UMANO
Dio vuole che ci preoccupiamo più di quello che è
in noi che di quello che è intorno a noi
Dio promette di condurci sovranamente attraverso
le circostanze della vita poiché rivolgiamo a Lui i
pensieri e l’amore del nostro cuore
Le nostre necessità più grandi non sono quelle
famigliari, del posto di lavoro o del conto in banca;
le nostre necessità più grandi sono quelle interiori
del cuore
L’enfasi di Dio sulla condizione dei nostri cuori è
vista chiaramente negli atteggiamenti e negli
insegnamenti del Signore Gesù
Siccome la nostra tendenza è quella di meditare il
male invece del bene, saremmo persi senza il
pagamento di Cristo per i nostri peccati. Il suo
Spirito crea in noi un cuore pulito
«L’Eterno odia…i piedi che sono veloci nel correre al male» (6:16,18)
Dio avverte i piedi che intraprendono un cammino di malvagità e che percorrono pericolosamente il
bordo della tentazione. Il Signore ci ha fatto dei piedi per farci camminare su questa terra per il Suo
servizio, non per andarci a cercare le difficoltà e le disgrazie. Egli ci ha fatto dei piedi per scappare via
dalla tentazione, non per avvicinarci ad essa e compiere il male (4:14,26; 19:2). Dio apprezza
l’autocontrollo (14:29; 16:32; 18:13). Avere i piedi cauti è una caratteristica naturale dell’uomo saggio,
ma è innaturale per lo sciocco.
ASPETTO DIVINO ASPETTO UMANO
Dalla Sua prospettiva, Dio vede i pericoli meglio di
noi, e perciò ci mette in guardia
Siamo più inclini a seguire il nostro cuore e i nostri
desideri che a pensare dove essi ci possono
portare
Dio vuole che sviluppiamo uno spirito di cautela e
auto-disciplina in tutto ciò che facciamo
A causa della nostra avventatezza pecchiamo
spesso
La capacità di Dio nel vedere i pericoli la
possiamo vedere negli avvertimenti di Cristo ai
Farisei, che erano le persone più religiose e
rispettabili dei suoi tempi
Abbiamo bisogno continuamente di Cristo non
solo per il perdono ma per il suo Spirito di
intuizione e di guida
«L’Eterno odia…il falso testimone che proferisce menzogne» (6:16,19)
Proverbi ci avverte che Dio è contro coloro che non praticano la giustizia e che non sono clementi,
ma è con quelli che danno parole d’incoraggiamento ed aiutano chi si trova nella necessità. Se Dio
parla di umiltà e orgoglio, di verità o menzogne, lavoro onesto o frode, cautela o avventatezza, la
preoccupazione sottostante è sempre quella di incoraggiarci ad essere messaggeri di aiuto piuttosto
che di danno (3:3,27,28; 11:1; 12:17; 14:25,31; 16:8; 21:15; 28:5; 29:26,27). La giustizia e la benignità
si vede anche come guardiamo un derelitto, dal modo in cui trattiamo il nostro nemico, dal modo in cui
trattiamo il nostro cane. La benignità è l’espressione naturale di un cuore che trabocca del perdono e
della grazia di Dio. La benignità è la risposta di un cuore pieno dell’amore che ha ricevuto.
ASPETTO DIVINO ASPETTO UMANO
Poiché Dio ama la verità e la benignità, Egli vuole
che il Suo popolo sia sorgente di aiuto
Quando mostriamo una preoccupazione sincera
per le necessità e gli interessi degli altri, riflettiamo
il carattere di Dio
A causa della nostra natura peccaminosa, siamo
inclini a parlare degli altri in modo da sembrare
migliori noi
Dio farà pagare personalmente qualunque insulto
o danno fatto verso una persona povera o debole
Quando siamo scortesi, possiamo aspettarci la
riprensione da parte di Dio
Dio ha sperimentato il dolore di una giustizia
perversa quando Suo Figlio ha sopportato le
menzogne dei falsi testimoni che lo hanno
accusato di peccato
Se non fosse per la volontà di Cristo di essere
giusto e misericordioso con noi, moriremmo tutti
nei nostri peccati
«L’Eterno odia…chi semina discordie tra fratelli» (6:16,19)
Dio apprezza i rapporti pacifici. Egli avverte quelli che seminano disaccordo per un pettegolezzo, per
ira o per avarizia. Questo non significa che Dio vuole la pace a qualunque prezzo, poiché il libro dei
Proverbi ci mostra che c’è un tempo anche per il conflitto. Ai genitori viene detto di non risparmiare la
correzione ai figli per paura delle loro proteste. Ad una persona saggia è detto di rispondere allo
sciocco, ma senza essere trascinato fino al livello dello sciocco, e il popolo di Dio è incoraggiato ad
essere fautore di verità e giustizia, cose che attireranno molti nemici lungo il cammino. La sapienza,
tuttavia, non va a cercare la discordia, ma studia l’uso di risposte cortesi, con parole ben scelte ed
appropriate. Per tutto il libro dei Proverbi, Dio ci aiuta a considerare quello per cui combattiamo e
perché (3:30; 10:12; 11:29; 16:7,28; 17:9,14,19; 22:10; 26:17,20,21; 27:6,17; 28:25; 29:22).
Proverbi ci mostra che i rapporti pacifici iniziano nel cuore. Una persona che non ha amore è
predisposta a reagire con invidia e gelosia. Chi è orgoglioso trascurerà gli interessi e i sentimenti degli
altri. Chi ozia può avviare una contesa e chi ha poco amore è contento del fallimento degli altri.
Nel cuore di ciascuno di noi c’è un desiderio intenso e sincero di amore e di affermazione. Ma Dio ci
ha anche fatti in modo che potessimo trovare la realizzazione e la pace solo riempiendoci del Suo
amore. Non è quindi sufficiente sapere che non dovremmo disputare, lamentarci e spettegolare. È più
importante che investighiamo sui motivi nascosti che stanno dietro tutte le dispute. Dobbiamo
permettere agli argomenti che ci dividono di aiutarci a pensare ed analizzare le nostre motivazioni
interiori e quello che realmente crediamo su Dio.
Crediamo che Dio possa soddisfare le nostre necessità più profonde? Crediamo che Egli si
preoccupi di noi e delle nostre circostanze? Possiamo avere fiducia in Lui per le necessità della vita? O
abbiamo bisogno di metterci gli uni contro gli altri per ottenere quello che vogliamo dalla vita?
ASPETTO DIVINO ASPETTO UMANO
L’amore di Dio per la pace riflette l’amore
reciproco, il rispetto e la cooperazione tra il Padre,
il Figlio e lo Spirito Santo
Le nostre tendenze naturali verso l’orgoglio, la
menzogna, l’auto-protezione, il guadagno senza
lavoro, avventatezza e cuore egoista, ci portano a
dividere più che ad unire
Dio è un Dio che si relaziona, e per questo tutta la
sapienza ha uno scopo relazionale
L’amore di Dio per la pace non è mai a spese del
Suo amore per la verità e la giustizia
Poiché la vera pace viene da Dio, non possiamo
essere una fonte di pace se prima non abbiamo
fatto pace con Lui
L’esempio di Dio lo vediamo in Cristo, che è
andato a guerreggiare con uomini malvagi per
portare la pace tra Dio e gli uomini e tra gli uomini
Saremmo persi senza l’opera di Cristo che è
venuto a morire per i nostri peccati, ferendoci la
pace con il Padre
fra loro
Correzione. Il rapporto tra un padre ed il figlio è una delle caratteristiche principali del libro dei
Proverbi in cui è inclusa anche la correzione o meglio la disciplina. La disciplina di un padre verso il suo
figlio, figura di quella di Dio verso i suoi, è la prova di un vero amore (3:12). Questa disciplina non si
limita ad una riprensione a parole: c’è anche la verga (29:15; 13:24). Un lavoro paziente, da compiere
con diligenza nel timore e nella fiducia in Dio, che porterà il suo frutto (23:14; 29:17; 22:6). Essa è
necessaria ad ogni uomo, anche al savio (9:8) e all’intelligente (17:10; 19:25). Correzione e riprensione
sono spesso legate, e sono una il completamento dell’altra (5:12; 10:17; 12:1; 13:18). Beato chi ascolta
la riprensione (15:31,32). Per contro, chi odia la riprensione è uno stupido, e il modo con cui un uomo
accoglie la riprensione è un test della sua saggezza (15:12). Ma se vi sono esortazioni ad accettare la
riprensione, vi sono anche incoraggiamenti a farla (24:25; 27:5).
Molta psicologia moderna considera la verga come una reliquia del passato. Eppure Proverbi parla
dell’uso della verga, come mai?
1. La verga è richiesta perché i genitori non sono sempre inclini a disciplinare i figli. Il genitore quindi
deve essere incoraggiato ad utilizzare la verga (23:13). La psicologia condanna la verga anche per
diversi fraintendimenti sui concetti di amore, perdono e pazienza. L’amore è visto come qualcosa che
non deve portare dolore, e bisogna occuparsi dei figli in maniera positiva. Proverbi ha un’idea molto
diversa dell’amore: «Chi risparmia la verga odia il proprio figlio, ma chi lo ama lo corregge per tempo»
(13:24). Amiamo i nostri figli? Se sì, saremo diligenti nel punirli quando ciò è richiesto. Odiamo i nostri
figli? Se sì, eviteremo di utilizzare la verga. L’amore cerca il bene migliore del figlio, anche se per
questo a volte è necessario il dolore della verga. Se dico al figlio: “metti a posto quel dolciume che ti fa
male e ti comprerò un gioco, questa è corruzione, non disciplina.
2. La verga è richiesta per trattenere il peccato del figlio. Il genitore cerca di mettere in evidenza il
peccato nella vita del figlio mostrandogli che a peccare si paga sempre un alto prezzo.
3. La verga è richiesta perché dimostra il carattere del figlio. Il carattere di una persona è dimostrato
spesso dalla sua risposta alla correzione (12:1; 13:1; 15:5).
4. La verga è richiesta perché insegna. I figli piccoli non sono in grado di afferrare i concetti astratti
(come il pericolo dell’auto nella strada), ma capiscono il dolore. La verga è uno strumento istruttivo per
quelli che non possono ancora ragionare.
5. La verga è richiesta a causa delle conseguenze devastanti di astenersi dal suo uso (23:23,14).
6. La verga è richiesta perché è cosa giusta e perché Dio la utilizza sui suoi figli (3:11,12).
In conclusione: per prima cosa dobbiamo disciplinare i nostri figli non solo perché Dio ci disciplina,
ma dobbiamo disciplinare i nostri figli come Dio ci disciplina. In secondo luogo, la disciplina implica
molto più che riprendere i nostri figli quando peccano. La disciplina inizia con lo stabilire il nostro diritto
di genitori di governare la famiglia Non siamo amici o pari dei nostri figli, ma genitori – una distinzione
molto importante. Terzo, abbiamo l’obbligo di rendere le regole chiare ai nostri figli in modo che la
disciplina sia il risultato prevedibile e promesso della violazione. I figli devono sapere quello che ci
aspettiamo da loro e quello che avverrà quando essi scelgono di infrangere le regole. Dobbiamo anche
essere diligenti nella spiegazione delle ragioni di determinate regole. Infine, la verga letterale dovrebbe
essere impiegata quando i figli non possono o non vogliono ragionare. Quando essi sviluppano la
capacità di ragionare, mezzi diversi dalle sculacciate dovrebbero essere usati, tenendo presente
comunque che la verga sarà sempre molto efficace nel portare il pentimento.
Come si può vedere, lo sculacciare non è un argomento semplice come potrebbe sembrare. La
disciplina, come ogni altra area della vita cristiana, è un argomento che richiede sapienza dall’alto.
Dobbiamo cercare quella sapienza per utilizzare la verga giustamente.
Calma e ira. Vedi 10:12; 14:17,29; 15:18; 27:4; 29:22.
1. La giusta ira è causata dal peccato (14:35). Questo non significa santificare l’ira peccaminosa e
umana. La Bibbia insegna che con questo genere di ira non dobbiamo aver nulla a che fare, anche se
purtroppo la vasta maggioranza dell’ira che esprimiamo è peccaminosa, non spirituale. Tuttavia, se
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Proverbi di salomone

  • 1. PROVERBI «La sapienza grida per le vie, fa sentire la sua voce per le piazze» (Prov.1:20)
  • 2. INTRODUZIONE All’umanità piace paragonare una cosa o un’idea con un’altra. All’umanità piace osservare e classificare, specialmente nelle cosiddette “scienze”, ma anche nelle emozioni, nel pensiero e nel regno spirituale. È su questa tendenza umana che sono sorte discipline come la psichiatria, la filosofia e la teologia. Nell’antico Israele i pensieri saggi sono stati raccolti e raggruppati sotto il titolo non di una scienza, ma della «sapienza». Addirittura la sapienza viene personificata e manifestata come pensiero divino. Proverbi è un libro di detti sapienziali che, mediante la ripetizione di pensieri saggi, insegna, specialmente ai giovani, a vivere secondo rettitudine e saggezza. Si tratta di una sapienza che contiene poche parole scelte, invece di molte, allo scopo di concentrare la verità in poche parole, in frasi brevi ed efficaci, per aiutare la memoria, suscitare interesse e per stimolare lo studio. È una sapienza che stabilisce ciò che è bene e ciò che è male, perché è basata sul timore di Dio e sull’ubbidienza alle Sue leggi. Proverbi applica i principi dell’insegnamento divino a tutta la vita: relazioni umane, vita domestica, relazione genitori-figli, lavoro, amministrazione della giustizia, decisioni varie, comportamenti, insomma a tutto quel che facciamo, diciamo e pensiamo. Dio ci ha insegnato quel che più ci conviene. Gli insegnamenti contenuti in questo libro indicano ai lettori come condurre una vita saggia, pia e come evitare le insidie di una condotta incauta, empia. Come non abbiamo alcun libro più utile dei Salmi da cui prendere spunto per le nostre preghiere, così non ne abbiamo uno più adatto dei Proverbi per ordinare in modo giusto la nostra conversazione; essi infatti contengono in poco spazio un prontuario completo di etica, politica ed economia, suggerendo regole per il controllo di sé in qualsivoglia relazione o circostanza. Il libro dei Proverbi ci mostra come la sapienza divina si applica ai dettagli della vita, in questo mondo di male e di confusione. In esso osserviamo il sentiero divino per la condotta umana e, per chi si sottomette alla Parola, il mezzo per evitare il sentiero della propria volontà e del proprio cuore stolto, e ciò viene fatto conducendo l’uomo alla sapienza ed alla prudenza, che lo rendono capace di evitare molti errori, di mantenere un cammino serio davanti a Dio e di sottomettersi alla Sua volontà. Proverbi è il libro di Dio su come vivere e crescere in saggezza. Se gli Israeliti osservavano le prescrizioni e le leggi di Dio, erano considerati un popolo sapiente e intelligente (Deut.4:5,6). Questo è vero per tutti i credenti perché «la testimonianza dell’Eterno rende savio il semplice» (Sal.19:7). Il libro dei Proverbi indicava agli Israeliti in che modo la fede nel Signore e nella Sua parola avrebbe dovuto influenzare la loro vita quotidiana. Mostra come i credenti di ogni età possono essere saggi agli occhi di Dio. Gli Israeliti dovevano osservare la legge, ma dovevano anche applicare le verità contenute nella legge a ogni aspetto della vita. Per capire correttamente i Proverbi dobbiamo avere le idee chiare sulla natura umana. L’umanità è perversa, venduta al peccato. L’antica eresia pelagiana sosteneva che in fondo l’uomo è buono, e che se gli vengono date circostanze, condizioni e incentivi giusti, si comporterà bene. Questo è anche il punto di vista del mondo. È anche l’opinione di base del totalitarismo che crede che la condizione umana sia il risultato del condizionamento sociale e se si cambia la struttura sociale si può creare un nuovo genere di uomo. Ma il totalitarismo ha un’idea troppo alta dell’uomo. Proverbi ci presenta invece che la condizione umana è quella di un giovane inesperto e facilmente condotto fuori strada dal peccato. Proverbi quindi è scritto per guidare gli uomini lontano dal peccato, per insegnare loro come vivere la vita e dare al giovane i vantaggi dell’esperienza di chi è più vecchio. È un libro d’istruzione morale che si occupa del peccato e della santità nel cospetto di Dio. Giacomo c’incoraggia a pregare per la sapienza (Giac.1:5); Proverbi c’invita a cercarla con uno studio diligente. Preghiamo dunque, mentre studiamo questo libro, cercando quella sapienza che viene solo da Dio.
  • 3. Proverbi riceve il titolo dal contenuto del libro. Era abituale nel mondo antico impiegare come titolo di un libro la prima parola o frase di quel libro. Ad esempio, il titolo ebraico per Genesi è Be rē’šît (”in principio”). La stessa cosa è fatta nei Proverbi, il cui titolo ebraico è mišlê Še lōmōh, «Proverbi di Salomone», che fu reso dalla Vulgata: Liber Proverbiorum. Nei LXX il nome è paroimìai. Nel linguaggio biblico è una massima che ha due significati, uno apparente e uno nascosto (1:6). L’enigma permette di svegliare l’interesse e induce alla riflessione, sottolinea una verità. I Greci ed i Romani amavano molto gli enigmi. I Greci raccontavano che una sfinge nei dintorni di Tebe domandava ai passanti: «Qual è l’essere che cammina a quattro piedi la mattina, a due a mezzogiorno e a tre la sera?». Solo Edipo capì che si trattava dell’uomo che cresce: da bambino, ad adulto e vecchio che si appoggia al bastone. Furiosa perché era stato indovinato il segreto, la sfinge si gettò dall’alto di una roccia frantumandosi la testa. AUTORE E DATA Il libro appare nella sua forma finale almeno al tempo di Ezechia (a motivo di 25:1) che regnò dall’AM 3286 all’AM 3314 (726-698 a.C.). Se furono i suoi uomini a mettere insieme l’intero libro è incerto. I Rabbini hanno affermato che «Ezechia e la sua gente scrissero il libro di Isaia, Proverbi, il Cantico dei Cantici e l’Ecclesiaste» (Talmud Bab., trattato Baba Bathra 15a), cioè ne sono stati gli editori. Secondo la maggioranza degli studiosi il libro è stato scritto da vari autori. L’intestazione «Proverbi di Salomone» in 1:1 introduce i capp.1-9. La parte 22:17-24:34 è chiamata le «parole dei saggi». Nessuno però conosce l’identità di questi saggi. Il cap.30 e 31:1-9 furono scritti rispettivamente da Agur e dal re Lemuel. La loro identità e le loro origini sono oscure. Eppure, questo è il primo libro della Bibbia introdotto dal nome dell’autore. L’intestazione del libro non lascia dubbi sulla sua paternità: Salomone (1:1). Egli viene presentato come Še lōmōh ben Dāwid. Poiché egli regnò dall’Anno Mundi 2989 all’AM 3029 (secondo la cronologia corrente dal 971/970 al 931/930 a.C.), i proverbi che egli scrisse risalgono al decimo secolo. Anche la tradizione ebraica è d’accordo nel riconoscerlo unico autore. Riguardo ad Agur (30:1) e Lemuel (31:1), presunti autori, viene detto che non erano Israeliti. Il titolo di 30:1 può essere tradotto «le parole di Agur, figlio di Jakeh, l’oracolo», oppure «di Agur figlio di Jakeh di Massā’». Massā’ era una tribù araba che discendeva da Abrahamo mediante Ismaele (Gen.25:14; 1Cron.1:30), e le tribù orientali erano famose per la loro sapienza (1Re 4:30). Per quanto riguarda il re Lemuel, viene detto che sua madre è indicata quale fonte di 31:1-9, ma anch’egli è ignoto. Si suppone che egli fosse un re dell’Arabia settentrionale, che forse viveva in una regione non lontana da Uz, sebbene possa anch’egli appartenere a Massā’, dato che la soprascritta può essere interpretata come a significare: «Lemuel, re di Massā’» (così il Gesenius). Altri dicono che siccome il termine ebraico massā’ significa «oracolo», allora Agur e Lemuel vengono descritti rispettivamente come «Agur l’oracolo» e «Lemuel l’oracolo». In questo modo essi sarebbero riconosciuti come speciali vasi di sapienza e quindi come uomini particolarmente adatti per proclamare gli oracoli di Dio. Ma la tradizione ebraica considera sia Agur che Lemuel degli pseudonimi per Salomone e questa è la congettura più probabile. Infatti la LXX traduce il testo ebraico in modo del tutto letterale. La parola ’āgûr compare in Deut.32:27 (verbo «temere»; cfr. Deut.1:17; 18:22; Num.22:3). La tradizione rabbinica ritiene che il nome del padre, Yāqeh, sia metaforico e si riferisca a Davide. La parola le mû’ēl è da intendere o come titolo «appartenente a Dio». Perché Salomone è stato chiamato Lemuel? Ha detto Rabbi Yshmael, nella stessa notte che Salomone ha completato la costruzione del santuario, ha sposato Bitja, la figlia del Faraone, e c’era lì il giubilo della gioia del Santuario ed il giubilo della figlia del Faraone, e il giubilo della figlia del Faraone superò il giubilo del Santuario secondo quanto si dice: ‘tutti si ingraziano il re’. E per questo è chiamato Lemuel, che ha
  • 4. scaricato da se il giogo del Regno del Cielo, come a dire, Lamma lo El, che se ne fa di Dio?” (Bemidbar Rabbà 10,14). Due cose dobbiamo tener presente: 1) In Prov.30 le parole di Agur sono distintamente chiamate massā’, oracolo, e niente nel contesto indica che debba essere tradotto diversamente. 2) Prov.31:1-9 si riferisce agli “oracolii” insegnati a Lemuel da sua madre. Questa potrebbe essere Bath-Sceba e così Lemuel Salomone. Sono stati gli «uomini di Ezechia» a fare una redazione finale del libro (cfr.25:1). Da 2Cron.29:25-30 apprendiamo che Ezechia si curò di ristabilire l’ordine davidico nel Tempio, gli strumenti davidici e di ripristinare l’uso dei Salmi di Davide e di Asaf. Forse un rinnovato interesse nella sapienza di Salomone fu un altro risultato di questa riforma, suscitato non da un semplice amore per il passato, ma dal desiderio di esaminare e studiare la sapienza del più grande dei saggi. Tra essi forse c’erano Isaia, Michea e Osea. 1. Salomone Salomone significa «pacifico». Nel titolo si firma figlio di Davide, re d’Israele. Per mano sua sono stati scritti anche l’Ecclesiaste, che è un sermone, e il Cantico dei Cantici, che è un canto. Un insegnamento rabbinico afferma che scrisse il Cantico dei Cantici quando era giovane e innamorato e l’Ecclesiaste quando era ormai prossimo alla fine della sua vita, poiché egli riflette sulle sue esperienze, deluso e disingannato per la sensualità di gran parte della sua vita; mentre i Proverbi sarebbero stati composti negli anni della sua maturità (Midrash, Shir ha-Shirim, 1,1,10). Una tradizione giudaica sostiene che Proverbi andava letto all’esterno del tempio, nel cortile dei Gentili. L’Ecclesiaste andava letto nel cortile interno del tempio, il cortile d’Israele. Il Cantico dei Cantici andava letto nel Luogo Santo. Nei Proverbi la sapienza non è qualcosa di puramente intellettuale, ma coinvolge tutto l’uomo; e Salomone all’apice della sua fama incarna appunto questa sapienza. Egli era la persona più sapiente del suo tempo e da tutte le nazioni venivano per ascoltare la sua saggezza (1Re 4:29-31,34; 10:1-13). Compose 3000 proverbi e 1005 inni (1Re 4:32; cfr. Eccl.12:9) e risolse enigmi (1Re 10:1 - Riveduta), a dimostrazione della sua genialità senza pari. Lo Spirito Santo lo guidò nella scelta di alcune centinaia da includere nelle Scritture dato che i Proverbi contengono solo 915 versetti (abbiamo meno di un terzo dei suoi detti), e dei suoi 1005 inni non abbiamo quasi niente. Rispetto a Salomone possiamo osservare che: 1. Era re, il figlio più giovane di Davide e Bath-Sceba. Salomone era un re ricchissimo e il suo dominio era molto vasto; era un re dei più potenti, che si era dedicato allo studio delle cose di Dio, ma la sua fortuna più grande è stata quella di essere figlio di Davide, il quale prese delle misure speciali per inculcare la saggezza di Dio nel suo successore, Salomone; ed è probabile che molti proverbi siano frutto degli insegnamenti di Davide che in seguito Salomone mise per iscritto. Infatti che bisogno c’era di riportare in 10:1 «Proverbi di Salomone» se quelli precedenti che sono rivolti a «mio figlio» non fossero le parole di Davide nei suoi confronti? Il profeta Nathan gli pose nome Jedidiah che significa «amico dell’Eterno», che è indicativo del favore dell’Eterno nei suoi confronti. 2. Egli amava il Signore (1Re 3:3); pregava per ottenere la capacità di distinguere sempre il bene dal male e Dio l’aveva dotato di una misura straordinaria di saggezza e sapienza in risposta alle sue preghiere in vista dell’ascesa al trono (1Re 3:12; 4:29). La sua preghiera fu esemplare: Concedi dunque al tuo servo un cuore intelligente (1Re 3:9), ed era accompagnata da una profonda umiltà (1Re 3:7) e la risposta fu di grande incoraggiamento, perché ricevette quello che aveva chiesto e tutto il resto gli fu aggiunto. Egli divulgò le istruzioni di saggezza ad altri e le trasmise ai posteri. Questa sua sapienza fu messa alla prova in questioni pratiche quali la buona amministrazione (1Re 3:16-28) e la diplomazia (1Re 5:12). Buona parte della sua scienza derivava dall’osservazione della natura (1Re 4:33). In base a 1Re 3:7 c’è chi pensa che Salomone avesse avuto 18 anni al momento della sua ascensione; tuttavia, Giuseppe Flavio (Antichità 8,7) afferma che aveva solo 14 anni.
  • 5. 3. Si rese colpevole davanti a Dio commettendo degli errori deplorevoli unendosi con le figlie di re pagani, contraendo dei matrimoni politici, tanto che negli ultimi anni della sua vita si sviò dai buoni insegnamenti di Dio, verso i quali questo libro aveva diretto altri. Possiamo trovare in 1Re 11 la triste storia. Il suo primo matrimonio fu con la figlia del Faraone egiziano. È discutibile se egli avesse mai amato veramente una donna. 2. Lezioni dalla vita di Salomone È tragico osservare che nonostante tutto quello che Salomone ha scritto sulle donne (cfr. 5:3; 6:24; 7:5) esse furono la causa della sua rovina. Questo non fu l’unico esempio di fallimento di Salomone. Nei Proverbi egli ha scritto molto riguardo l’istruzione verso i figli (1:8; 4:1-4; 10:1; 13:24; 22:6,15) egli non è riuscito ad inculcare la sapienza a suo figlio Roboamo, il quale rifiutò il consiglio degli uomini saggi di suo padre (1Re 12:1-15). Del fallimento di Salomone dobbiamo apprendere due lezioni. Per prima cosa dobbiamo aspettarci di essere messi alla prova anche in quelle aree della nostra vita dove sembriamo che siamo forti. La seconda lezione è che non è sufficiente sapere qual è la cosa giusta da fare. La sapienza non è solo conoscenza della verità, ma è la pratica ubbidiente di essa. Salomone conosceva tanto sulle donne; e questo ha potuto fargli credere di essere in grado di tenere la situazione sotto controllo senza peccare. Ma in ultima analisi, il suo problema non era nella testa, bensì nel cuore (4:4,23). Chi è maggiormente usato da Dio, impari a non inorgoglirsi e a non sentirsi troppo sicuro di se stesso, e tutti sappiano prendere sul serio i buoni insegnamenti anche se quelli che li impartiscono non vi si attengono. TESTI E VERSIONI I libri della Bibbia ebraica erano divisi in tre sezioni: la Legge, i Profeti, e gli Scritti (Ketuvim). Il libro dei Salmi segnava l’inizio della terza sezione, ed era seguito di solito da Giobbe e Proverbi, oppure viceversa da Proverbi e Giobbe. Non conosciamo le ragioni di questa variante. Forse quelle liste che pongono Proverbi prima di Giobbe lo fecero nella persuasione che Proverbi contenesse più materiale sapienziale di qualsiasi altro libro. Nella Septuaginta, i Proverbi seguivano Salmi e precedevano l’Ecclesiaste, il Cantico dei Cantici e Giobbe. Proverbi, Salmi e Giobbe si distinguono, per un sistema speciale di punteggiatura, dal resto dei libri. Il testo ebraico del libro dei Proverbi non è il più facile dei libri dell’Antico Testamento. Vi sono frasi o parole occasionali che appaiono aver sofferto nella loro trasmissione, ma questo è dovuto solo alla moderna ignoranza di antiche forme linguistiche. Una più vasta conoscenza delle lingue e della letteratura dell’antico Vicino Oriente ci aiuterà a chiarire le difficoltà testuali in Proverbi. Alcune parti del testo ebraico (Testo Masoretico) sono messe in ordine diverso da quello della LXX. Probabilmente ciò dipende dall’uso diverso che si faceva delle varie sezioni del libro nella lettura pubblica. Il libro è costituito da tre raccolte principali: 1) Prov.1-9; 2) Prov.10:1-22:16; 3) Prov.25-29. Le altre parti devono essere considerate delle appendici di queste raccolte principali. Se includere il libro nel canone è stato un argomento di controversia al Concilio di Jamnia (fine 1° secolo d.C.), per due passaggi dubbi: 26:4,5 e 7:6-20. Quest’ultimo passo era stato considerato troppo sensuale e quindi sospetto. Il passo di 26:4,5 veniva considerato inconciliabile fino a quando non è stata scoperta un’interpretazione accettabile.
  • 6. TEORIE CRITICHE CIRCA L’ORIGINE E LA DATA DEI PROVERBI Usando come principale metro la teoria evoluzionistica applicata al pensiero ebraico i critici liberali hanno cercato di negare che gran parte del materiale riferito a Salomone di fatto risalga al suo periodo. Ecco di seguito le critiche e le relative confutazioni: 1. Dal momento che Salomone viene presentato dalla tradizione giudaica come autore dei Proverbi, del Cantico (cfr. 1Re 4:30-34), dell’Ecclesiaste e di due Salmi, sembra logico pensare che egli era divenuto il simbolo della sapienza (così come Mosè divenne per gli Ebrei il simbolo della legge). Nel corso del tempo divenne convenzionale riferire a Salomone queste composizioni, anche se esse erano tardive, perché potessero riceve un’accoglienza più vasta e favorevole da parte del pubblico giudaico. Ecco la ragione per cui anche il libro apocrifo chiamato la “Sapienza di Salomone” viene riferito a lui anche se di fatto fu scritto in greco per mettere a raffronto la filosofia greca con quella ebraica. Confutazione. È chiaro che nel periodo neotestamentario divenne di moda comporre opere didattiche e apocalittiche e attribuirle in modo palese agli antichi patriarchi, come Enok o i dodici figli di Giacobbe. Ma non vi è alcuna prova che un tale procedimento sia stato eseguito anche nel periodo anteriore a quello ellenistico. Ci si dovrebbe prima di tutto chiedere come mai Salomone si acquistò una tale reputazione di sapienza se di fatto egli non compose nulla. È molto più logico concludere che egli si è guadagnato tale reputazione proprio perché fu il primo a comporre questo genere letterario in modo classico anziché supporre che la tradizione si sia imposta senza alcun fondamento. Anche nella letteratura greca l’esistenza di poemi epici falsamente attribuiti ad Omero non dimostrano affatto che Omero non abbia composto nessuna poesia epica (vale a dire l’Iliade e l’Odissea). Lo stesso si ripeta per la poesia lirica attribuita ad Anacreonte. L’esistenza di tale produzione non prova che non esistette un Anacreonte, il quale compose l’antica poesia attribuita al suo nome. È quindi impossibile vedere come mai il re Salomone del X secolo possa essersi acquistata una simile reputazione come modello classico della sapienza letteraria senza avere composto nulla di suo. 2.C’è chi deduce l’origine post-esilica dei Proverbi per il fatto che essi affermano un monoteismo puro (si ricordi che per l’alta critica del passato era un dogma sostenere che nel processo evolutivo della religione il monoteismo sarebbe apparso tardivamente in Israele). Confutazione. Questa asserzione denota un’ignoranza completa di tutti i racconti vetero- testamentari, dai quali appare che la religione israelitica fu strettamente monoteistica sin dal tempo dei patriarchi e che sempre essa ha ritenuto idolatria o eresia o apostasia ogni deviazione al patto sancito con YHWH. 3. Vi è una notevole mancanza di tratti distintivi propriamente nazionali nel testo dei Proverbi. Perciò c’è chi ne deduce che i Proverbi ebbero origine quando la nazione era diffusa presso regioni straniere, come al tempo dell’esilio dopo la caduta di Gerusalemme. Confutazione. Questa mancanza di caratteri nazionalisti si può spiegare differentemente, vale a dire: a) Con il genio del genere letterario sapienziale, che considera gli individui come tali anziché le nazioni e presenta le leggi del comportamento umano quale si può osservare presso tutti i popoli antichi del Medio Oriente. b) Dal fatto che Israele viveva tra le culture della Mesopotamia, della Fenicia, della Siria, del settentrione arabico e dell’Egitto, era inevitabile che vi fosse uno scambio culturale sin dai primi stadi della vita nazionale israelitica. 4. I Proverbi riflettono, si dice, i costumi sociali e i vizi che secondo la nostra conoscenza esistevano dopo l’esilio, specialmente nelle città della Giudea. Confutazione. Questa è una generalizzazione molto dubbia. Non si è addotta alcuna prova di un singolo costume o vizio ricordato nei Proverbi che sia stato sconosciuto alla cultura di Gerusalemme o delle altre grandi città di Israele sin dal tempo di Salomone.
  • 7. 5. È costante presso i Proverbi l’idea che la virtù si debba identificare con la conoscenza e l’empietà con l’ignoranza, il che riflette il modo di concepire la morale presso la filosofia di Platone nei suoi Dialoghi (circa il 370 a.C.). Si è quindi suggerito che la conoscenza di questo accostamento greco ai problemi etici non poteva essere noto al Medio Oriente se non dopo la conquista di Alessandro Magno (330 a.C.). Confutazione. Questa interpretazione include una fondamentale incomprensione della distinzione essenziale tra la parola greca sophìa e la sapienza ḥokmāh (sapienza) ebraica. La filosofia greca, più speculativa, tratta la cosmogonia e tutti i principi che regolano l’universo, la filosofia ebraica invece, come è formulata nell’Antico Testamento, considera piuttosto la conoscenza della volontà rivelata di Dio riguardo ai problemi e alle scelte della vita quotidiana. Mentre la filosofia greca tendeva a trarre dal primo principio le conseguenze logiche mediante una deduzione dialettica, la filosofia ebraica, più intuitiva ed analogica, si dedicava a interpretare l’ordine morale alla luce di un Dio personale, onnisciente e onnipotente, che ha rivelato la Sua volontà per una vita etica. Per quanto concerne la connessione tra ignoranza e peccato, il concetto platonico d’ignoranza morale era intellettuale e mentale, mentre il concetto salomonico incluso nei Proverbi riteneva la tenebra dell’anima come frutto di un’anteriore scelta immorale da parte del cuore. La filosofia morale presso i Greci non riuscì a penetrare nel problema della malvagità esistente nell’uomo e della sua capacità di riconoscere la verità della giustizia pur scegliendo il male per un perverso interesse personale. Una delle caratteristiche della follia è la ne bālah che suggerisce l’esempio di Nabal, la cui storia si legge in 1Sam.25. Il v.25 di questo capitolo giudica costui uno «stolto» (nābāl) non perché fosse così poco intelligente da non capire che la virtù ha più successo per il raggiungimento della felicità personale che non la malvagità, ma piuttosto perché egli aveva già fatto una scelta errata nel suo regno morale: il ricompensare l’amicizia di Davide con una misera e avvilente ingratitudine. 6. C’è chi considera il libro dei Proverbi come il prodotto di una classe professionale di uomini saggi, ai quali si deve pure riferire l’Ecclesiaste, la Sapienza di Salomone e l’Ecclesiastico. Confutazione. L’esistenza di una casta presuppone un fondatore. Come i profeti sarebbero incomprensibili senza Mosè la cui legge essi interpretavano e applicavano ai problemi della loro generazione, così vi deve pur essere stato un modello classico per la letteratura sapienziale scritta prima del sorgere di ogni eventuale casta. Si legga ad esempio Ger.18:18 che parla di saggi quasi fossero una classe di esperti che stanno alla pari con i sacerdoti e i profeti nella generazione pre-esilica. Non vi è alcun dubbio che la letteratura sapienziale ebbe una origine ben remota nella storia dell’Egitto dove risale fino a Ipuwer della VI dinastia (circa il 2500 a.C.). E’ pure evidente da 1Re 4:30,31 che vi era una lunga tradizione di saggi pre-salomonici anche in Israele ed è alquanto ingenuo affermare che il secolo X fosse troppo antico perché questo genere di letteratura potesse sorgere in mezzo agli Ebrei. STILE LETTERARIO Il proverbio è costituito da brevi frasi, indipendenti le une dalle altre, che sviluppano il loro contenuto in poche parole incisive. L’insegnamento con i proverbi era: 1. Un antico metodo d’insegnamento. In particolare tra i Greci era il primo metodo d’insegnamento, tanto che i sette uomini più saggi formularono un proverbio ciascuno che li rese celebri. Questi detti erano scritti su colonne ed erano addirittura venerati e considerati sapienza celeste, in base all’idea che conoscere se stessi è un precetto che viene dal cielo. 2. Chiaro e facile da apprendere, economico sia per l’insegnante sia per l’alunno, che non fanno troppa fatica né a capire, né a imprimere nella memoria. Lunghi periodi e grosse argomentazioni richiedono uno sforzo sia da chi li presenta sia da chi li apprende, mentre i proverbi, che esprimono in poche parole dichiarazioni ed esempi, si apprendono velocemente e si ricordano facilmente.
  • 8. La parola mišlê, usata qui per proverbi (plurale di māšāl), viene dalla radice di un verbo che significa «essere simile, essere paragonato». Il suo significato fondamentale è quindi quello di paragone o similitudine. Un proverbio, dunque, è un’affermazione che fa un confronto o una analogia tra il mondo naturale e quello spirituale (si veda 1Re 4:33 e Prov.10:26). C’è chi pensa che abbia la sua provenienza dall’assiro Mashalu o forse da Mishlu, che significa “metà”, sostenendo così l’idea che un proverbio è il “mezzo” di due proposizioni bilanciate. Questa teoria si scontra con il fatto che in ebraico la forma è singolare, mentre la teoria richiede il plurale (o il duale). Brevi detti proverbiali si trovano anche altrove nell’A.T. (per es. Gen.10:9; 1Sam.10:12; 24:13; 1Re 20:11; Ger.31:29; Ezech.12:22; 16:44; 18:2). Il māšāl non è necessariamente poetico: Gen.25:23. L’oracolo di Rebecca: qui viene narrato un confronto tra i suoi figli gemelli. Num.12:6-8. Mosè e i profeti. Qui c’è un confronto tra Mosè come profeta da una parte, e tutti gli altri profeti dall’altra parte. Gios.10:12. Il sole su Gabaon. Qui esiste un confronto tra il “lungo” giorno di Giosuè e un giorno normale. 1Sam.18:7. Qui c’è un confronto tra Saul e le sue migliaia con Davide e i suoi diecimila. 2Sam.12:1-4. La parabola di Nathan. Qui Davide il peccatore è confrontato con Davide l’uomo di Dio. In tutti questi esempi, il māšāl indica un “confronto”, così un «proverbio» può essere visto come un confronto tra la parola di Dio e il pensiero del mondo. Māšāl è spesso utilizzato con diversi significati, a dimostrazione che la nostra parola “Proverbi”, anche se descrive il suo contenuto principale in maniera soddisfacente, difficilmente può essere una definizione adeguata, per esempio, di Prov.1:1-9:18 o 31:10-31. La parola significa anche «zimbello», «favola» (per es. 1Re 9:7; 2Cron.7:20; Ger.24:9; Ezech.14:8; Deut. 28:37), probabilmente nel senso che la persona o il popolo definito tale diventa oggetto di lezione per altri. Māšāl può venire usato anche come oracolo profetico (Num.23:7,18; 24:3,15,20,21,23) o come rimprovero (Is.14:4) lungo diversi versetti. In tal caso le affermazioni indicano forse come l’oratore vorrebbe fossero le persone. Il «discorso» di Giobbe (Giob.29-31) è un māšāl nel senso che riassume la sua esperienza. «Parabola» è un altro modo di rendere māšāl (Ezech.17:2); qui la storia in forma di parabola esprime una somiglianza con alcuni episodi della vita, ma la sapienza si traveste della forma figurativa o enigmatica. Solo una profonda meditazione rivelerà ciò che è nascosto in queste massime morali e spirituali. La parola comunque passò ad indicare quei detti in cui l’analogia non è evidente e si riferì particolarmente a detti concisi, appunto ai proverbi. Il libro dei Proverbi, infatti, comprende pochi discorsi lunghi oltre alle massime di un singolo versetto. I proverbi di Salomone, però, non sono tanto dei detti popolari quanto piuttosto la quintessenza di quella sapienza che conosce la legge di Dio e ne applica i principi a tutti gli aspetti della vita. Queste dunque sono parole per tutti coloro che cercano di percorrere la via della santità pratica. Infatti i Proverbi non dicono solo che bisogna fare la cosa giusta, ma illustrano spesso la maniera pratica di come farlo. Parallelismo. I Proverbi sono scritti interamente in poesia. L’aspetto strutturale predominante della poetica ebraica non è la somiglianza di suoni, ma la somiglianza di pensieri strutturati in affermazioni parallele. È il cosiddetto parallelismo. Questo significa che la poesia ebraica implica un insieme complesso di rapporti tra parole, frasi e concetti. Di solito sono due righe di un versetto parallelamente correlate. Nel PARALLELISMO SINONIMO (è un confronto fatto per paragone, una ripetizione) viene presentata una verità nella prima riga e viene poi ripetuta nella seconda riga utilizzando parole diverse. La seconda linea enfatizza e rinforza il principio dato nella prima (per es. 1:2,8; 2:11; 4:7; 5:3; 11:25; 18:7, 22:17). Questo viene definito parallelismo sinonimo completo. Altre volte solo alcune delle unità in una riga trovano corrispondenza nella riga successiva (per es. in 1:9 il termine «saranno» non ha
  • 9. corrispondenza nella seconda riga). Questo si dice parallelismo sinonimo incompleto (vedi anche 16:6). A volte la seconda linea dà la conseguenza logica della prima linea (26:4). Nel PARALLELISMO ANTITETICO (è confronto per antitesi, un contrasto) una riga è l’opposto oppure è in contrasto con l’altra, ovvero la prima riga fa una dichiarazione e la seconda dà la stessa verità dichiarata in termini opposti. La seconda linea di tale costruzione, di solito inizia con un «ma» o con un contrasto del tipo «questo è migliore di quest’altro» (per es. 1:7; 10:1,27; 11:1; 13:9; 14:30; 15:5,17; 17:22). La maggior parte dei versetti nei capp.10-15 sono antitetici. Nel PARALLELISMO SINTETICO la seconda riga continua il pensiero della prima, aggiungendo qualcosa al suo significato e contenuto, estendendolo in modo che porti una nuova verità (15:20; 16:4). Talvolta la seconda riga presenta la conseguenza di quanto detto nella prima (3:6; 16:3) e altre volte descrive qualcosa della prima riga (6:12; 15:3). Talvolta una riga dichiara ciò che è preferibile in relazione a quanto riferito nell’altra riga. Ben 19 volte ricorre l’espressione «meglio…che» (12:9; 15:16,17; 16:8,16,19,32; 17:1,12; 19:1,22; 21:9,19; 22:1; 25:7,24; 27:5,10; 28:6). «Tanto più» o «ancor meno» è un altro tipo di parallelismo sintetico (11:31; 15:11; 17:7; 19:7,10; 21:27). Per altri esempi di questo parallelismo vedi: 10:18; 21:13; 29:18. La maggior parte dei versetti in 16:1-22:16 contengono sia un parallelismo sinonimo che sintetico. Nel PARALLELISMO EMBLEMATICO una riga chiarisce l’altra per mezzo di una similitudine o una metafora (per es. 10:26; 25:12,23,25). Le similitudini sono generalmente introdotte da «come». Schematizzazione dei principali parallelismi Tipo Esempio scritturale Descrizione Parallelismo sinonimo (ripetizione) Prov.1:2 “Per conoscere sapienza e ammaestramento per intendere i detti di senno” La prima linea fa una dichiarazione di verità; quindi la seconda linea espone di nuovo e rinforza il principio dato nella prima Parallelismo antitetico (contrasto) Prov.1:7 “Il timore dell’Eterno è il principio della conoscenza; ma gli stolti disprezzano la sapienza e l’ammaestramento” La prima linea fa una dichiarazione di verità; quindi la seconda linea dà la stessa verità dichiarata in termini opposti Parallelismo sintetico (completamento) Prov.16:4 “L’Eterno ha fatto ogni cosa per se stesso, anche l’empio per il giorno della sventura” La prima linea fa una dichiarazione di verità. La seconda linea aggiunge qualcosa al pensiero, estendendolo in modo che porti una nuova verità Parallelismo emblematico (similitudine) Prov.10:26 “Come l’aceto ai denti e il fumo agli occhi, così è il pigro per quelli che lo mandano” Una linea chiarisce l’altra per mezzo di una similitudine o una metafora Non tutti i versetti dei Proverbi hanno due righe. Nei versetti costituiti da tre righe (tetrastico), la prima e la seconda riga sono in genere correlate in qualche maniera, la seconda e la terza sono in un modo o nell’altro parallele (per es. in 27:27 la seconda riga è in parallelismo sintetico con la prima, completandone il pensiero, e la terza è in parallelismo sinonimo con la seconda). In 24:3,4 le prime due linee sono sinonime con le seconde due. Vedi anche 30:5,6; 30:17. In 1:27, tuttavia, le tre righe sono tutte in parallelismo sinonimo.
  • 10. Pentastico. Questo è un proverbio di cinque linee. In questo tipo di distico, le prime due linee presentano il soggetto, le tre successive estendono il soggetto. Esempio: 25:6,7; 30:4. Esastico. Questo è un proverbio di sei linee. Qui le prime due presentano il soggetto e le quattro successive sviluppano ed estendono l’argomento. Esempio: 23:12-14. Eptastico. Distico di sette linee. Il soggetto viene presentato nelle due linee iniziali ed amplificato nelle successive cinque. Esempio: 23:6-8. Ottastico. Qui vengono utilizzate due linee per presentare il soggetto, il quale viene poi amplificato nelle successive sei. C’è solo un ottastico nei Proverbi (6:16-19). Talora la prima parte di un proverbio contiene un numero, seguito dal numero successivo, come in Prov.30:18: «Ci sono tre cose troppo meravigliose per me, anzi quattro…». Si tratta della cosiddetta scala numerica, che appare altrove in Giob.5:19 e Am.1:3-2:6. Di solito, sebbene non sempre, la seconda riga in un parallelismo di due righe è più della semplice ripetizione delle parole o del pensiero della prima. La seconda riga può ampliare la prima o completarla, definirla, enfatizzarla, essere più eloquente di essa o dilungarsi su essa, può esserne l’opposto, un’alternativa o una controparte. La natura breve e concisa delle massime porta i lettori a riflettere sul loro significato. Molti pensano che le grandi idee abbiano bisogno di molte parole, ma un’immagine vale più di mille parole, e così è il proverbio. La brevità è un segno di sapienza. È lo stolto che vuole dire tutto quello che ha in mente (12:23; 15:28). Il saggio economizza le parole, mentre lo stolto tira fuori tutto quello che ha in mente. Quando ci sono molte parole la trasgressione è inevitabile (10:19; vedi anche 17:27; 18:2; 21:23; 29:20). Ci sono molte ragioni perché è bene trattenersi nell’uso delle parole: 1. La limitazione è necessaria per sentire quello che l’altro ha da dire (18:13,17). 2. La limitazione è necessaria per permettere di far passare l’ira o una emozione forte (12:16; 15:1,2; 17:27; 29:11). 3. La limitazione dà tempo al saggio per considerare cosa dire e come dirlo (15:28). E quando viene dato un consiglio, segue di solito la ragione per cui lo si dovrebbe seguire. La massima con imperativo vuole stimolare all’azione. La massima con interrogativo vuole indurre alla riflessione. Altre forme letterarie impiegate nei Proverbi sono: - l’Allegoria, un’immagine che ha un significato più profondo di quello che appare in superficie (per esempio, 5:12-23); - il Racconto didattico, una storia il cui scopo è quello di istruire (per esempio, 7:6-23). Questo libro è puramente didattico. Molte delle massime proverbiali dovrebbero essere considerate come generalizzazioni; in altre parole, il libro dei Proverbi non è un libro di promesse, ma un libro di principi. Ciò che affermano è vero in linea generale, ma non sempre, perché saltuariamente si verificano delle eccezioni alla regola (per es. cfr. Prov.10:27 con Sal.73:12). I Proverbi, per esempio, affermano che quanti seguono i comandamenti di Dio avranno successo nella società (ma teniamo presente che si parla della nazione d’Israele). Ora, questo è vero in linea generale, ma non si tratta di una promessa incondizionata. Giobbe, e soprattutto la vita di Gesù, ci mostrano l’altra faccia della medaglia. Nessuno ha adempiuto la sapienza dei Proverbi perfettamente come Gesù. Eppure non è mai stato ricco ed è morto giovane. Mentre la sua vita ha sempre soddisfatto il Padre che è nei cieli, i suoi nemici l’hanno ucciso. Questo significa che i Proverbi non sono veri? Niente affatto, significa che Proverbi è un libro di principi e non di promesse. Non sempre lo stesso atteggiamento funziona in tutte le circostanze (26:4,5); spesso ci vuole flessibilità per prendere la decisione corretta nel momento corretto. Altre volte, invece, la cosa che sembra giusta è sbagliata (14:12; 16:25). Inoltre, se Dio automaticamente ricompensasse subito la virtù, gli uomini userebbero la pietà e la moralità solo per soddisfare i propri interessi. Invece Dio vuole sviluppare il carattere dei credenti, chiamando a volte a soffrire per la giustizia, se necessario. Dobbiamo leggere Proverbi considerando alcune cose:
  • 11. 1. Libertà umana. Il libro dei Proverbi, letto in generale, rende chiaro che mentre possiamo dare ai nostri figli il vantaggio di un buon insegnamento, non possiamo fare le loro scelte per loro. Possiamo esortare nostro figlio a resistere alle seduzioni dei peccatori (1:10), ma è lui quello che deve scegliere. Egli può scegliere di essere uno «schernitore» (13:1) o un pigro che «fa vergogna» ai suoi genitori (10:5). Il sano insegnamento ed il buon esempio dei genitori rende probabile che il figlio prenderà la strada della sapienza, ma non è assolutamente certo. Alcuni hanno fatto la scelta sbagliata e preso la strada della stoltezza. In questo caso il genitore ne soffre, ma non ne ha colpa. Proverbi mette l’enfasi sul fatto che mentre i genitori non hanno l’ultima parola nelle vite dei loro figli, essi hanno però la prima parola. Mentre non c’è la certezza che una famiglia devota produrrà sempre figli e figlie devote, c’è l’assicurazione che il metodo di Dio di produrre una generazione devota è attraverso genitori devoti che educano i loro figli secondo le Scritture. 2. Perdite a breve scadenza. Una decisione che piace a Dio può essere seguita da perdite a breve scadenza. Proverbi, per esempio, mette in guardia contro le bustarelle (17:23). Questa è una buona scelta (non dare o non prendere una bustarella), ma che causa un mancato reddito o un mancato vantaggio (15:16). 3. La previdenza di Dio. Le benedizioni che vengono da Dio sono spesso terrene, fisiche e materiali. Ma, per ragioni note solo a Lui, tutti i piani dell’uomo, i suoi sforzi e la sua sapienza sono talvolta frustrati (19:21). Dio ha un piano perfetto e questo piano è oltre il controllo umano. Mentre il Signore permette la libertà umana e ci assicura che ci benedirà se facciamo la Sua volontà, Lui solo determina che forma avrà questa benedizione. Egli può dare la povertà materiale ad uno che fa la Sua volontà, e dare una grande ricchezza ad una persona che non ha alcun timore di Dio. Riguardo a questa possibilità, Prov.28:6 dice: «È meglio il povero che cammina nella sua integrità, dell’uomo instabile che segue vie tortuose, anche se ricco». La fede ci permette di aver fiducia in Dio, anche quando la Sua volontà non corrisponde ai nostri desideri o alle nostre aspettative. Per fede accettiamo il fatto che Dio è Dio. 4. Eternità. Quando i nostri sforzi sinceri per Dio non producono quella ricompensa dipinta nei Proverbi, abbiamo bisogno di guardare la vita dalla prospettiva dell’eternità. Sebbene il libro dei Proverbi non parli specificatamente della vita dopo la morte, ci dà però dei segnali che c’è una vita che non vediamo nel presente (11:7; 14:32). Sappiamo che Cristo, che ha adempiuto la sapienza dei Proverbi, è risuscitato dalla morte ed ora vive per l’eternità. CONTENUTO Il grande principio del libro viene posto proprio all’inizio: il timore dell’Eterno, da una parte, e, dall’altra, la stoltezza che disprezza la sapienza e l’istruzione. I Proverbi raccontano una storia. È la storia di un giovane che deve decidere quale scuola frequenterà – la scuola della sapienza o quella della follia. I responsabili di entrambe le scuole vengono a fare i loro appelli. La decisione è se temere Dio oppure resisterGli; ricercare la sapienza oppure seguire la strada della follia. Il padre saggio esorta il figlio a fare la scelta giusta. La sapienza porta vita, prosperità e onore; la follia porta la povertà, la vergogna e la morte. I Proverbi iniziano, quindi, con il figlio messo a confronto di una scelta tra due donne dai destini opposti. Dovrebbe essere ricordato, anche, che i Proverbi sono stati scritti da un re ad un principe, e il re istruisce coerentemente suo “figlio”. Quindi un principe deve stabilire se la Signora Sapienza o la Signora Follia sarà la sua principessa. Il giovane decide di iscriversi alla scuola della sapienza (1-9) e nei capp.10-28 studia e si diploma in questa scuola. Quando si laurea, egli trova che sua moglie è una donna virtuosa, la quale rappresenta la Signora Sapienza dei capitoli precedenti. Suo marito, il principe, ora si siede alle porte
  • 12. della città (31:23). Il primo principe, Adamo, ha scelto di seguire la parola di sua moglie sedotta dal serpente (2Cor.11:3); l’ultimo Adamo ha ascoltato accuratamente la parola del Padre ed è morto per vincere una Sposa senza macchia (2Cor.11:2). Prov.1:8 dice: «Ascolta figlio mio, l’ammaestramento di tuo padre e non trascurare l’insegnamento di tua madre»; la sapienza è qualcosa che può essere insegnata e quindi appresa. Ogni figlio ha una scelta da fare: sceglierà la sapienza o sarà uno stolto? Dipende da lui. La sapienza, a differenza dell’intelligenza, non è geneticamente determinata, ma può e deve essere acquistata. L’uomo è obbligato a decidere se egli sceglierà la via della sapienza confessando il suo peccato, lasciando le sue vie perverse e mettere la propria fiducia in Dio. I Proverbi insistono nel presentarci l’urgenza di venire a una decisione a tal riguardo. Ci sono solo due strade. Coloro che seguono la propria natura continueranno il loro viaggio verso la distruzione; quelli che confessano il loro peccato ed hanno fiducia in Dio riceveranno la vita, la pace e la comunione con Dio. In secondo luogo, quelli che hanno scelto la via della sapienza sono obbligati ad indicare la strada agli altri. Il libro dei Proverbi c’insegna ad essere evangelistici. Dovremmo essere simili a Dio, avvertendo gli uomini del loro pericolo ed esortandoli a lasciare la follia della loro vita ed abbracciare la sapienza (11:30; 13:14; 24:11). Nel capitolo 1, la violenza viene indicata come l’infrazione di quegli obblighi che la volontà di Dio ci ha imposto (v.16), ma la sapienza grida forte per far udire la sua voce (v.20) e proclama il giudizio che verrà su quelli che disprezzano le sue vie (vv.24-27). Il capitolo 2 ci presenta il risultato della sottomissione del cuore alle parole di sapienza e della diligente ricerca della conoscenza del timore dell’Eterno e della conoscenza di Dio stesso (v.5). Colui il quale si dà a questo, sarà preservato: non solo non avrà parte con il malvagio (v.12), ma sarà liberato dalla donna adultera (v.16), vale a dire, dalla corruzione. Negli ultimi versetti viene dichiarato il giudizio sulla terra e la prosperità del giusto. Stabilito quest’ultimo principio (vv.1-10), il capitolo 3 dimostra che non sono né la saggezza né la prudenza umane che impartiscono la sapienza di cui si parla. Non è neanche l’ardente desiderio di prosperare e di essere felici che si manifesta nelle vie non dritte, ma è il timore dell’Eterno e la sottomissione alla Sua Parola che provvedono la soluzione per guidarci sani e salvi attraverso il mondo da Lui governato (v.19). Il capitolo 4 insiste sulla necessità di inseguire la sapienza a tutti i costi; è un sentiero di sicura ricompensa (v.9). Mette in guardia contro qualsiasi associazione che porterebbe sulla via sbagliata e, di conseguenza, alla rovina (v.14), aggiungendo che bisogna fare la guardia al cuore, alla bocca, agli occhi e ai piedi (vv.23-27). Nel capitolo 5 si ritorna, nei dettagli, alla corruzione del cuore, la quale porta all’uomo ad abbandonare la moglie della gioventù per un’altra donna. Questo sentiero demoralizza l’uomo. Ma gli occhi dell’Eterno controllano sempre le vie dell’uomo (v.21). Nel capitolo 6 la sapienza non si rende garante per il suo prossimo (v.1). Non è né pigra né violenta né falsa. La donna adultera deve essere evitata come se fosse fuoco (v.27); non c’è nessun modo per riparare l’adulterio. Il capitolo 7 mette chiaramente in evidenza che la casa dell’adultera è la via che porta alla morte. Frenare le proprie passioni, essere fermi nel resistere alle seduzioni, guardare sempre all’Eterno e ascoltare le parole dei savi, questi sono i principi della vita consigliati in questo capitolo.
  • 13. Il capitolo 8: in esso si osserva che la sapienza di Dio è attiva. Essa chiama forte; invita gli uomini (v.4). Ci sono tre principi che la distinguono: - la saggezza, o la giusta considerazione delle circostanze, invece di seguire il proprio volere - l’odio del male che sarà l’evidenza del timore dell’Eterno - il detestare l’arroganza e l’ipocrisia nell’uomo (vv.7,8) La sapienza viene presentata come degna di essere stimata e migliore dell’oro e dell’argento. Solo con la sapienza i re possono regnare e i principi decretare ciò che è giusto (v.15). Cristo è la sapienza di Dio e l’oggetto del Suo eterno e supremo diletto. L’eterna sapienza di Dio è rivelata e spiegata in Lui. Non solo questo, ma se Cristo era l’oggetto della gioia del Padre, quale centro e pienezza della sapienza (1Cor.1:24), gli uomini sono stati la gioia di Cristo, come pure la parte abitabile della terra dell’Eterno (vv.30,31). Ma bisogna stare attenti a non fraintendere la «sapienza» come Dio dato che essa è un attributo di Dio. Quando si pensa che in Cristo si unisce e si sviluppa ogni caratteristica della sapienza e del consiglio di Dio, è sempre in relazione con gli uomini. Cristo è, dunque, l’oggetto della gioia di Dio Padre. Cristo ha trovato sempre la sua gioia in Dio Padre e la sua gioia tra i figli degli uomini e nella terra da essi abitata. Un sinonimo di sapienza è «luce» (Sal.43:3; Efes.5:8) e Gesù Cristo è «la luce degli uomini» (Giov.1:4). La sapienza divina dev’essere qui una guida per colui che è sottomesso alla Sua direzione. Chiunque ascolta la Sua voce, trova la vita (vv.34,35). Ma nel capitolo 9 la sapienza ha fatto ancora di più: ha fabbricato una casa sua propria, sostenuta dalla perfezione di una solidità ben regolata e coordinata (v.1). La tavola è apparecchiata ed è fornita di carne e di vino (v.2) ed invita i privi di senno a venire e partecipare, mentre insegna loro la giusta via in cui si trova la vita. Vengono di nuovo confrontate la sapienza e la follia; quest’ultima viene chiamata la «donna sciocca», precedentemente introdotta come la «donna straniera», con la quale nessun Israelita doveva avere qualcosa a che fare – e certamente nessun re d’Israele doveva cercarla. Il capitolo 10 incomincia a dare i dettagli a quelli che ascoltano, e mette in guardia su come evitare i lacci nei quali i privi di senno possono cadere; indica il sentiero da seguire in molti casi e le conseguenze delle azioni degli uomini; insomma, tutto quello che caratterizza la sapienza, nei dettagli. Nell’ultimo capitolo viene descritto il carattere di un re secondo sapienza e quello di una donna in casa sua. Personificazione della sapienza La sapienza viene ripetutamente personificata come una donna che parla all’essere umano offrendosi di istruirlo sulla via della saggezza (1:20-33; 8:1-36; 9:1-6). Lei è nelle strade, non è nascosta in qualche monastero o in qualche edificio di chiesa; è invece fuori dove ognuno può vederla. Lei è dovunque è la gente. Nel cap.8 è personificata come compagno di Dio al momento della creazione del mondo (8:22-31). Questo implica, in ultima analisi, che la sapienza è Gesù Cristo, nel senso che non possiamo possedere la sapienza senza prima averlo accettato come Signore e Salvatore. Questo però non deve essere inteso come una profezia di Cristo, dopo tutto la sapienza dei Proverbi è una personificazione al femminile. Per la personificazione della follia vedi 7:6-27; 9:13-18. Anche i profeti (Osea, Geremia, Ezechiele) hanno descritto l’infedeltà d’Israele al patto come una donna dietro ad altri pretendenti divini. Anche se in questo libro la sapienza prodotta dal timore dell’Eterno viene applicata solo a questo mondo, ciò è molto importante per il credente, il quale, in vista dei suoi privilegi celesti, potrebbe dimenticare il continuo governo di Dio. È importante per il cristiano ricordare il timore dell’Eterno e
  • 14. l’effetto della presenza di Dio nei dettagli della sua condotta. Noi possiamo evitare il male, grazie alla conoscenza del bene. La sapienza di Dio ci dà la conoscenza del bene e il Suo governo provvede per tutto il resto; ed anche se non viene data una definizione della sapienza, è chiaro che per averla bisogna iniziare dal timor dell’Eterno. Temi nei Proverbi 10-31 Sapienza e stoltezza 10:8,13,14,23; 12:1,15,16,23; 13:14-16,20; 14:1,3,7,8,15-18,24,33; 15:5,7,14,20,21; 16:16,21-23; 17:10,12,16,24,28; 18:2,6,7,15; 19:25,29; 21:22; 22:3; 23:9; 24:3-7,13,14; 26:1,3-12; 27:12,22; 28:26; 29:8,9,11 Giusto e malvagio 10:3,6,7,11,20,21,24,25,27-32; 11:3-11,17-21,23,28,30,31; 12:2,3,5-7, 10,12,13,21,26,28; 13:5,6,9,21,22,25; 14:9,11,14,19,32; 15:6,8,9,26,28,29; 16:8,12,13; 17:13,15; 18:5; 20:7; 21:3,7,8,10,12,18,26,27; 24:15,16; 25:26; 28:1,12,28; 29:2,6,7,16,27 Potenza delle parole 10:18-21,31,32; 11:9,11-14; 12:6,14,17-19,22; 13:2,3; 14:5,25; 15:1,2,4,23; 16:1,23,24,27,28; 17:4,7,27; 18:4,6,13,20,21; 19:5,9; 20:19; 21:6,23; 22:10; 25:11,15,23,27; 26:20-28; 27:2; 28:23; 29:20 Famiglia 10:1; 13:1,24; 17:21,25; 19:13,18,27; 20:11; 22:6,15; 23:13-16,19-28; 28:7,24; 29:15,17; 30:11,17 Lavoro e pigrizia 10:4,5,26; 12:11,24,27; 13:4; 14:23; 15:19; 18:9; 19:15,24; 20:4,13; 21:25; 22:13; 24:30-34; 26:13-16; 28:19 Ricchezza e povertà 10:15; 11:4,24,25; 13:7,8,11; 14:20,21,31; 18:11,23; 19:4,7,17; 21:13,17; 22:1,2,7,16,22,23; 23:4,5; 28:3,6,11,20,22; 30:8,9 SCHEMA A prima vista sembra che il Libro dei proverbi sia una raccolta casuale di detti indipendenti. Ma un’analisi più approfondita rivela delle strutture. I primi nove capitoli incoraggiano ripetutamente il “figlio” a ricercare la “sapienza del Signore” ed evitare le trappole della vita, in particolar modo la donna adultera. I capitoli da 10 a 30 mettono molta enfasi sui temi base, quali l’umiltà contro l’orgoglio, l’integrità contro l’inganno, il lavoro onesto contro il guadagno disonesto, la bontà di cuore contro la malvagità, la prudenza contro l’avventatezza, la verità contro la calunnia. Il capitolo 31 riassume Proverbi con la metafora della donna virtuosa. I versi finali mostrano la saggezza personificata come una donna saggia che rende onore a Dio.
  • 15. Scopoetema ProverbidiSalomone(l’istruzionediunpadre) ProverbidiSalomone ProverbidiSalomone(paroledeisaggi) ProverbidiSalomone(trascrittidagliuominidiEzechia) ProverbidiSalomone(Agur) Paroledelre Alfabetodellasapienza(ritrattodelladonnaperfetta) 1:1-7 1:8-9:18 10:1-22:16 22:17-24:34 25-29 30 31:1-9 31:10-31 Prologo Massime Epilogo Sapienza lodata Sapienza applicata Sapienza personificata Sapienza principalizzata Sapienza praticata Per il giovane Per tutti Salomone I. Proverbi di Salomone (1-9) 1. Titolo e scopo del libro 1:1-6. L’oggetto di questo libro è pratico, mira a dare sapienza a scopo di edificazione morale (vv.3-5) e condurre alla verità intellettuale (v.6). 2. Quindici lezioni sulla sapienza 1:7-9:18. - 1:7-19 Cupidigia - 1:20-33 Saggezza - 2:1-22 Saggezza - 3:1-18 Legge - 3:19-26 Saggezza - 3:27-35 Esortazioni - 4:1-5:6 Istruzioni - 5:7-23 Sesso - 6:1-5 Finanze - 6:6-11 Pigrizia - 6:12-19 Malvagità - 6:20-35 Adulterio - 7:1-27 Fornicazione - 8:1-36 Saggezza - 9:1-18 Saggezza II. Proverbi di Salomone (10:1-22:16) Si tratta di una serie di 375 piccole massime. Non sono raggruppate secondo un ordine apparente, ad eccezione di qualche sezione che contiene una serie di proverbi riuniti da caratteristiche comuni. In genere tendono a stare da sole senza relazione con i versi che precedono o seguono. Tutti questi proverbi sono dei distici nei quali predomina il parallelismo antitetico per enfatizzare il contrasto tra follia e sapienza, anche se non ve ne mancano alcuni che sono dei sinonimi (cfr. 11:7,25,30; 12:14,28;
  • 16. 14:19). Ve ne sono pochi che presentano un parallelismo sintetico, specialmente quelli che hanno la comparazione «meglio…che» (così ad esempio, 12:9; 15:16; 15:8,19; ecc.) o la frase ’ap kî «tanto più» (11:31; 15:11; 17:7; 19:7; ecc.). Le due vie antitetiche di vita sono ovvie. Uno deve scegliere la via della sapienza o quella della follia, le quali hanno distinte e diverse qualità morali. La via della sapienza è quella della giustizia (e riceve ricompensa), la via della follia è quella della malvagità (e riceve distruzione). Il cap.16 sviluppa il tema: l’uomo propone ma Dio dispone. Alcuni detti si verificano più di una volta (per esempio, 14:12 = 16:25). III. «La mia conoscenza» (22:17-24:22) Questa sezione di trenta aforismi include tutti i tipi di māšāl: distici (22:18; 23:9; 24:7-10); tetrastici (22:22s,24s,26s; 23:10s; 23:15,17; 24:1s,3s; ecc.); pentastici (23:4ss; 24:12ss) e esastici (23:1-3,12- 14,19-21,26-28; 24:11ss). IV. «Anche queste sono per i saggi» (24:23-34) Questa sezione contiene un esastico (24:23b-25), un distico (24:26), un tristico (24:27), un tetrastico (24:28ss) e una ode mashalica sopra il pigro (24:30-34). V. Proverbi di Salomone raccolti dagli uomini di Ezechia (25-29) Nei capitoli 25-27 il tipo prevalente del parallelismo non è quello antitetico, ma piuttosto quello parabolico («come… così», 26:1) o emblematico (nel quale si omettono le particelle «come… così» cfr. 25:4ss). Il parallelismo antitetico è più frequente nei capitoli 28 e 29, ma vi sono pure parecchi esempi di tipo comparativo o figurativo. Il parallelismo è a due, tre, quattro o cinque membri. È degno di nota che molti proverbi o sezioni di proverbi sono ripetuti dalla sezione III. Alcuni sono perfettamente identici (25:24 = 21:9; 26:22 = 18:8; 27:12 = 22:3; ecc.), altri sono identici nel senso ma cambiati un poco nella fraseologia (26:13 = 22:13; 26:15 = 19:24; 28:6 = 19:1; ecc.). VI. «Temi queste mie parole» (30:1-14) Inizia con una esaltazione della parola di Dio (vv.1-6), a cui segue delle massime brevi e concise. VII. Massime numeriche (30:15-33) L’aspetto caratteristico di questa sezione è il suo uso di proverbi numerici – detti sapienziali che raggruppano un numero di cose insieme. Ha un insolito numero di middàh (middàh significa «misura» o «numero assegnato») come nei vv.15-17 «Ci sono tre cose che non si saziano mai, anzi quattro…». I soggetti dei detti sono vari, ma resta sempre il contrasto tra sapienza e follia. VIII. «Parole del…re» (31:1-9) L’obiettivo è l’avvertimento contro i mali delle donne immorali e dell’ubriachezza. Include anche una esortazione ad essere imparziali nei giudizi. IX. La donna perfetta (31:10-31) Questa sezione esalta una moglie virtuosa. Descrive la donna ideale e mostra i vantaggi nella scelta di una tale moglie. È un poema acrostico (alfabetico), di cui ciascuno dei 22 versi comincia con una delle lettere dell’alfabeto ebraico. Oltre al suddetto schema, si può dividere il libro anche nella seguente struttura: A. L’uomo saggio (1:2-6) B. Proverbi PER Salomone (1:7-9:18) (sec. pers.sing.) C. Proverbi DI Salomone (10:1-19:19) (terza persona) D. Proverbi PER Salomone (19:20-24:34) (sec. pers. sing.) C. Proverbi DI Salomone (25:1-26:28) (terza persona) D. Proverbi PER Salomone (27:1-29:27) (sec. persona)
  • 17. B. “Parole” PER Salomone (30:-31:9) A. La donna forte e virtuosa (31:10-31) SCOPO Il libro dei Proverbi è destinato ad essere per la nostra vita pratica ciò che il libro dei Salmi è per la nostra vita di comunione spirituale, e dimostra che la Bibbia non disdegna la vita ordinaria. Essi sono ricchi di saggezza pratica per tutte le età, ma, in modo speciale, dovrebbero essere insegnati ai giovani. Abbiamo visto che l’autore di questo libro è Salomone. Questo ci guida verso la ragione per cui è stato dato questo libro. Il regno d’Israele era al suo punto più alto di gloria. La gloria del mondo era Israele e la gloria d’Israele era Gerusalemme e la gloria di Gerusalemme era il Tempio che Salomone aveva costruito. Era una delle cose più belle del mondo antico. I giorni di Salomone erano giorni di pace. Suo padre, Davide, aveva stabilito un regno e ora gli ambasciatori d’Africa, d’Egitto e di Tiro venivano in Israele ad ammirare questo regno. Tuttavia, c’erano già dei segni di rottura. Non era immediatamente evidente, ma l’unità della nazione veniva già minacciata. Alla morte di Salomone, le tribù settentrionali si sarebbero separate. I re e i sacerdoti che sono venuti dopo Salomone si sarebbero corrotti. È in questa situazione che Dio ha dato un libro che ci dice come vivere in maniera giusta in un mondo empio. Questo ci porta allo scopo dei libro dei Proverbi, che è quello di insegnare i principi della sapienza, ovvero aiutare i lettori a vivere saggiamente ed in modo accorto e ad ordinare la vita nel modo giusto (1:2-7), ovvero: A. Conoscere la sapienza e l’istruzione (1:2). B. Ricevere insegnamento sulla saggezza, la giustizia, il giudizio e l’equità (1:3). C. Dare accortezza ai semplici, conoscenza e riflessione al giovane (1:4). D. Aumentare il sapere e acquistare esperienza nella comprensione (1:5). E. Capire i proverbi, gli enigmi, i detti saggi e le parabole (1:6). F. Apprendere il timore dell’Eterno (1:7). Questa affermazione viene fatta immediatamente dopo la dichiarazione di scopo e serve come culmine della dichiarazione stessa. Prendiamo nota di tutte le parole che fanno riferimento all’istruzione: conoscere, intendere, ricevere ammaestramento, dare accorgimento, comprendere. Questa introduzione è particolarmente utile perché ci dà molti termini che sono parzialmente sinonimi di sapienza, permettendoci così di dare un significato concreto a questa parola. I termini impiegati ci informano sin dall’inizio che non è una sequenza di verità che ci verrà trasmessa, ma la capacità di distinguere ed applicare la verità. Il concetto di sapienza è associato a quello di disciplina, istruzione, comprensione, perspicacia, conoscenza, esperienza, ecc. Lo scopo è quello dunque di comunicarci la sapienza e l’istruzione; di farci apprendere la conoscenza e di impartirci lezioni sulla saggezza divina, affinché impariamo a camminare con Dio e in mezzo agli uomini con giustizia, con giudizio ed equità. Le istruzioni date in questo libro sono molto chiare e raggiungeranno il loro scopo soprattutto in quelli che sono pronti a riconoscere la propria ignoranza e la necessità di essere ammaestrati. E quelli che ricevono questi insegnamenti, saranno resi savi per conoscere il peccato che devono evitare, per conoscere i doveri che devono compiere e per sfuggire alle astuzie del tentatore, perché la sapienza distingue la verità dall’errore, il bene dal male e il meglio dal buono. I Proverbi presentano la via per conservarsi moralmente integri, per evitare le insidie della vita e per riuscire in essa, attenendosi alla sapienza ed evitando la follia. Essi correggono i falsi modi di concepire e affrontare la realtà; stimolano alla riflessione, al discernimento ed al giusto giudizio col risultato di orientarsi nella vita con saggezza. I Proverbi ci presentano il modo di pensare di Dio per la vita pratica. I Proverbi venivano impiegati da genitori ed insegnanti per trasmettere sapienza in una maniera che faceva dell’apprendimento una sfida. Lo scopo nell’usare un proverbio era quello di aiutare a far
  • 18. acquisire abilità mentali che favorissero una vita saggia. Sia il contenuto che la struttura delle massime contribuivano allo sviluppo degli ascoltatori. Il progredire era una sfida e il risultato un premio. Molte antiche culture del Vicino Oriente avevano scritti sapienziali, ma la saggezza cui incoraggiano i Proverbi contiene un elemento che non si trova in quelle opere. La saggezza dei Proverbi comprende sì intelligenza pratica e acume mentale, ma anche un modo di vivere morale e retto che deriva da un giusto rapporto con Dio. L’affermazione «Il timore dell’Eterno è il principio della sapienza» (9:10) rende unico il concetto ebraico di saggezza (cfr. 14:16, «L’uomo saggio teme e si allontana dal male». Vedi inoltre 1:7; 15:33; Giob.28:28; Sal.111:10). Per essere saggio in senso biblico si deve iniziare con un adeguato rapporto con Dio. Temere il Signore significa rispettarlo per Colui che Egli è e rispondergli con fiducia, adorazione, ubbidienza e servizio. Se non si onora Dio né si osserva la Sua parola, non si potrà mai ottenere la saggezza così come la definivano i saggi ebraici. Uno scopo particolare dei Proverbi è quello d’istruire il giovane inesperto (1:4); ma anche quelli che desiderano avanzare nell’insegnamento della sapienza (1:5,6). Tre sono i temi essenziali del libro: (a) Le due vie antitetiche di vita (b) La retribuzione divina (c) Fiducia nel Signore Se i giovani ordinassero il loro cammino secondo i Proverbi di Salomone, acquisterebbero presto conoscenza e saggezza. L’uomo savio ascolterà sempre e sarà sempre uno scolaro; egli, perciò, accrescerà la propria ricchezza spirituale per mezzo di ciascuna massima di questo libro. Nessuno possiede una conoscenza tale da non permettere che la si incrementi tramite l’apprendimento di questi proverbi. Lo scopo del libro dei Proverbi, quindi, è sviluppare nelle persone, specialmente nei giovani, un saggio, accorto approccio alla vita che inizia nel trovarsi nel giusto rapporto con il Signore. I Proverbi di Salomone non sono una mera raccolta dei detti saggi che sono stati pronunciati nel passato, ma sono i dettami dello Spirito di Dio in Salomone. Così, benché Salomone fosse grande e il suo nome potesse bastare a raccomandare i suoi scritti, ecco, qui c’è qualcuno più grande di Salomone: è Dio, attraverso Salomone, a parlarci; sì, parla a noi, perché questi proverbi furono scritti per il nostro ammaestramento. L’espressione frequentemente usata «figlio mio», indica la relazione di un padre verso il figlio, ma per estensione quella di un insegnante verso i suoi alunni, e così egli parla anche a noi e ai nostri figli (Ebr.12:5). [La parola “padre” è utilizzata per maestro in 2Re 2:12; 6:21; 13:14; Giud.17:10; 18:19. La parola “figlio” è utilizzata per alunno in 1Sam.3:6,16]. Le parole «figlio mio» ricorrono ventitré volte. «Figli» ricorre quattro volte. Il figlio stesso di Salomone, Roboamo, fu stolto e non prestò molta attenzione alle pagine di saggezza scritte da suo padre. Nella nostra epoca in cui i livelli morali sono così scaduti, ogni giovane dovrebbe conoscere quale sia la fine inevitabile della vita immorale, delineata con tanta chiarezza in questo libro. Felici sono quei giovani che conoscono le Scritture e a cui i genitori hanno insegnato quei principi morali assoluti richiesti da Dio. Ricordiamo che l’obiettivo più grande della vita non è essere felici, ma essere santi Vocaboli esprimenti la sapienza nei Proverbi Il Dizionario Garzanti della Lingua Italiana così definisce la sapienza: «il più perfetto grado di conoscenza delle cose più elevate, umane e divine; più com., l’essere sapiente, cioè il possedere molta dottrina, profondo sapere». La Bibbia ci dà un’immagine diversa di sapienza. Tre sono i vocaboli usati attraverso tutto il libro per indicare la sapienza: ḥokmāh, bînàh e tûšiyyàh. 1. Il principale e più frequente è ḥokmāh comunemente tradotto con «sapienza». Esso ricorre 45 volte nei Proverbi. Nell’A.T. il vocabolo non appartiene tanto al regno della conoscenza teorica, quanto piuttosto al modo con cui ottenere i principali risultati della vita. Lo troviamo per la prima volta in Es.28:3 in relazione all’abilità di artigiani, di artisti, ecc. ed è quindi questo versetto, secondo una regola d’interpretazione ebraica, che ci dà la chiave per comprendere la parola. Betsaleel, per esempio, il cui compito era quello di lavorare la pietra e i metalli preziosi per il tabernacolo, è stato riempito di «sapienza» (Es. 35:31) per svolgere questo lavoro. La stessa cosa vale per Oholiab (Es.35:34,35). Costoro e altri lavoratori, capaci, esperti ed efficienti nelle loro competenze, erano
  • 19. dunque «sapienti», capaci di trattare le cose secolari, avendo il talento di compiere i propri affari e di trattare bene con gli altri ed essere abili a dedicarsi a ciò che si deve compiere. In altre parole, la sapienza è l’arte di vivere la vita. Analogamente questa specie di «sapienza» include un giusto discernimento tra il bene e il male, tra la virtù e il vizio, tra il dovere e l’indulgenza personale. Il termine connota dunque quella saggezza che porta al successo o alla prosperità sia nella sfera materiale che in quella spirituale. Nell’ambito spirituale una persona che possiede hokmāh riguardo a Dio è qualcuno capace ed esperto nel seguire la via divina. Così, essere saggio, nella letteratura biblica sapienziale, significa possedere la capacità di vivere piamente. Avere la saggezza di Dio vuol dire avere l’abilità di vivere la vita in modo da onorare Dio. L’ordine costituito da Dio ha le sue leggi naturali e morali che governano il creato e l’esistenza. Il corrispondente di ḥokmāh nel Nuovo Testamento è «Sophia», che indica saggezza, intelligenza, esperienza, applicazione giusta della conoscenza, ecc. Questo tipo di saggezza è stato attribuito a Davide in 1Sam.18:14. Il Messia avrebbe avuto questo tipo di saggezza (Ger.23:5; Luca 2:52). 2. Bînàh «intelligenza» o «intendimento» include l’abilità nel discernere intelligentemente la differenza tra la finzione e la realtà, tra la verità e l’errore, tra le speciose attrattive del momento e i duraturi valori che conducono al successo la propria vita. L’idea fondamentale di questo vocabolo si rinviene nella preposizione che vi è connessa, vale a dire bêyn che significa «tra»; perciò esso include sempre un fattore analitico di giudizio e l’abilità nel distinguere tra ciò che è valido e ciò che non è valido. 3. Tûšiyyàh o «sapienza efficiente». Questo vocabolo presenta la sapienza come l’intuizione di una verità spirituale o psicologica. Esso mette a fuoco l’abilità della mente umana nell’alzarsi dalle bassezze e afferrare un po’ di realtà divina per così dire, anziché presentare la sapienza come una rivelazione profetica che scende dal cielo. Esso mette in rilievo l’attività della mente mediante la quale il credente sa dedurre da ciò che Dio ha rivelato il modo con cui i principi divini vanno applicati nelle quotidiane situazioni della vita (cfr. 3:21; 8:14; 18:1). Si dovrebbe notare che il tipo caratteristico del proverbio in questo libro sta nella bilanciata antitesi che in modo incisivo mette in contrasto il saggio e lo stolto, il buono e l’empio, il valore vero e quello falso, in modo da mettere in rilievo i due lati della verità opponendoli tra di loro e così svolgere una funzione incisivamente didattica. Il libro mette costantemente in antagonismo l’obbedienza contro la ribellione, la laboriosità contro la pigrizia, la prudenza contro la presunzione e via dicendo. Queste realtà sono presentate in modo da mostrare la necessità di una scelta ben precisa, senza lasciare al lettore la possibilità di uno stolto compromesso o di una indecisione. È importante distinguere tra sapienza ed intelligenza. Molti che sono intellettualmente “brillanti” sono biblicamente stolti. Molti che sono considerati avere un basso livello d’intelligenza, non sono, per questo solo fatto, esclusi dalla possibilità di essere biblicamente sapienti. Dio vuole che il Suo popolo rifletta la Sua saggezza e la applichi ad ogni aspetto della vita, non solo a quello spirituale. Questa saggezza la si acquisisce con lo studio della parola di Dio, a differenza della saggezza della filosofia greca, la quale risiedeva in una intelligenza congenita e non era necessariamente il frutto dell’apprendimento. La persona che apprende la saggezza di Dio sa come parlare e come comportarsi nella vita. La sapienza è dono di Dio (Prov.2:6) ed è promossa da una ricerca costante della verità divina. Sebbene essa venga offerta liberamente a tutti, richiede un rifiuto fermo del male (8:13), un volgersi verso Dio con fede e riverenza perché il principio della sapienza è il timor dell’Eterno (9:10) ed un’ubbidienza continua ai Suoi precetti. Il più sapiente uomo del mondo non può avere, quindi, nemmeno i primi rudimenti della vera sapienza, poiché il primo atto è temere l’Eterno, prendere il proprio posto davanti a Dio. Tutti quelli che rifiutano di prendere questo posto sono degli stolti (1:7); esso è dunque il primo gradino della conoscenza. Noi dobbiamo imparare ad odiare le cose che Dio odia (8:13), giudicarle nei nostri cuori e toglierle dalla nostra vita. Il «timore dell’Eterno» costituisce l’essenza di ogni vera sapienza umana, il suo punto di partenza e l’obiettivo più importante della vita (3:13-15).
  • 20. C’è una notevole differenza tra la conoscenza e la sapienza. La conoscenza può gonfiarci, ma la sapienza no. La conoscenza è la comprensione della verità, ma la sapienza è la capacità di metterla in pratica ogni momento della nostra vita, nelle nostre scelte, nelle risposte che diamo, nelle cose che diciamo, nelle decisioni che prendiamo. La sapienza viene presentata come un attributo che mette in grado chi la possiede di riuscire bene nella vita evitando nel contempo le trappole e i lacci che affliggono lo sciocco e l’ignorante. Dio desidera un popolo santo che viva in discernimento e benessere, perseguendo un comportamento etico e morale come testimonianza costante di un rapporto spirituale di riverenza e di ubbidienza. Sotto la guida della sapienza, il saggio seguirà un modello di vita onesto e altruista che sarà onorato da Dio. Sua ricompensa primaria sarà un senso di sicurezza nel Signore (29:25) e, quando il credente investiga le profondità della sapienza di Dio, avrà un aumento della conoscenza di Dio (cfr. 2:5), ed applicherà i Suoi insegnamenti alla vita pratica e sociale. Il saggio è sempre umilmente disposto ad imparare; soltanto gli sciocchi e i presuntuosi pensano di non aver bisogno di istruzione. La sapienza è in contrasto con la stoltezza (7:4; 9:6; 12:16; 13:16,20; 14:9,16; 15:14,28; 16:21; 17:12; 26:4,7,11,12; 27:12; 29:20; 31:6). Oggi viviamo in un’epoca che ha visto un’esplosione di conoscenza, specialmente nel campo della tecnologia; ma mentre la conoscenza è cresciuta rapidamente, la saggezza sta diventando sempre più rara. Le implicazioni di questa tendenza sono spaventose. L’uomo ha la capacità di raggiungere la luna e separare l’atomo, ma senza sapienza utilizzerà spesso la conoscenza per scopi malvagi. SOGGETTO Il soggetto principale del libro è: «Il timore del Signore, che è il principio della scienza». Esso mette a fuoco il carattere e la condotta dell’uomo. Le osservazioni e le ammonizioni sulla vita contenute nel libro sono rivolte all’individuo, non al popolo d’Israele come tale. Come già affermato, il libro dei Proverbi sottolinea l’importanza di vivere saggiamente. Ciò è sinonimo di una vita pia, giacché chi è pio o giusto è saggio agli occhi di Dio. Al contrario, una persona empia o ingiusta è stolta. Nei Proverbi si fa ripetutamente riferimento alle caratteristiche e alle conseguenze di questi due diversi modi di vivere, riassunte nel Sal.1:6: «Poiché l’Eterno conosce la via dei giusti, ma la via degli empi porta alla rovina». Il timore dell’Eterno è il principio della conoscenza; ma gli stolti disprezzano la sapienza e l’ammaestramento (1:7; 9:10). La tesi è chiara: quelli che temono Dio e vivono secondo i Suoi principi possono essere sicuri della Sua approvazione e della Sua benedizione. Prov.1:7 è il postulato di base del libro; condiziona tutto quello che segue, poiché il comportamento personale è basato sul timore di Dio. Ma cos’è il timore dell’Eterno? La parola ebraica per «timore» è , yir’at. Viene usata in Es.20:20 per descrivere la paura che aveva Israele per la manifestazione di Dio sul Sinai. Non è quindi semplicemente rispetto o riverenza, ma è la realizzazione che Dio è molto più grande di noi e che Egli può fare quello che vuole. Presuppone rispetto verso l’autorità di Dio. Significa credere che quello che dice è vero e di conseguenza tutto ciò che Dio dice è un ordine per la nostra vita. Dobbiamo essere sempre consapevoli chi è Dio e che Egli tiene le persone responsabili delle loro azioni. Se siamo stati alla presenza di Dio senza temerLo, allora non siamo stati alla presenza di Dio. Sapere che Dio tiene conto del nostro comportamento, è uno straordinario incentivo ad agire saggiamente e correttamente. Il mondo nega la parola di Dio; nega la Sua autorità; non c’è da meravigliarsi che il mondo non ha la sapienza di Dio. Il mondo va alla ricerca di risposte, ma non le trova perché non ha raggiunto neanche la porta iniziale. La porta iniziale è il timore dell’Eterno. Questo è un concetto che caratterizza anche Giobbe (Giob.28:28) e i Salmi (Sal.111:10).
  • 21. IL «TIMOR DI DIO» NELLA BIBBIA Timor di Dio Genesi 20:11 Abrahamo rispose: «L'ho fatto, perché dicevo fra me: "Certo, in questo luogo non c'è timore di DIO; e mi uccideranno a causa di mia moglie». 2Samuele 23:3 Il DIO d'Israele ha parlato, la Rocca d'Israele mi ha detto: "Colui che regna sugli uomini con giustizia, colui che regna col timore di DIO 2Cronache 20:29 Il terrore di DIO cadde su tutti i regni degli altri paesi, quando vennero a sapere che l'Eterno aveva combattuto contro i nemici d'Israele. Nehemia 5:15 Invece i passati governatori che mi avevano preceduto avevano gravato il popolo prendendo da esso pane e vino, oltre a quaranta sicli d'argento. Perfino i loro servi spadroneggiavano sul popolo; ma io non ho fatto così, perché ho avuto timore di DIO. Salmi 36:1 Il peccato dell'empio dice al mio cuore: «Non c'è alcun timore di DIO davanti ai suoi occhi Luca 18:4 Per un certo tempo egli si rifiutò di farlo, ma poi disse fra sé: "Anche se non temo Dio e non ho rispetto per alcun uomo Romani 3:18 non c'è il timore di Dio davanti ai loro occhi». 2Corinzi 7:1 Avendo dunque queste promesse, carissimi, purifichiamoci da ogni contaminazione di carne e di spirito. compiendo la nostra santificazione nel timore di Dio. Timor dell’Eterno 2Cronache 14:14 Poi attaccarono tutte le città intorno a Gherar, perché il terrore dell'Eterno era caduto su di esse, e saccheggiarono tutte le città, nelle quali c'era molto bottino. 2Cronache 17:10 Il terrore dell'Eterno cadde su tutti i regni dei paesi che erano intorno a Giuda, e così essi non mossero guerra a Giosafat. 2Cronache 19:7 Perciò ora il timore dell'Eterno sia su di voi. Fate attenzione a ciò che fate, perché nell'Eterno, il nostro DIO, non c'è alcuna ingiustizia, né parzialità, né accettazione di doni». 2Cronache 19:9 Egli comandò loro dicendo: «Voi agirete nel timore dell'Eterno, con fedeltà e con cuore integro. Giobbe 28:28 E disse all'uomo: "Ecco, temere il Signore, questo è sapienza, e fuggire il male è intelligenza"». Salmi 19:9 Il timore dell'Eterno è puro, rimane in eterno; i giudizi dell'Eterno sono verità, tutti quanti sono giusti; Salmi 34:11 Venite, figlioli, ascoltatemi; io vi insegnerò il timore dell'Eterno. Salmi 111:10 Il timore dell'Eterno è il principio della sapienza, hanno grande sapienza quelli che mettono in pratica i suoi comandamenti; la sua lode dura in eterno. Proverbi 1:7 Il timore dell'Eterno è il principio della conoscenza, ma gli stolti disprezzano la sapienza e l'ammaestramento. Proverbi 1:29 Poiché hanno odiato la conoscenza e non hanno scelto il timore dell'Eterno, Proverbi 2:5 allora intenderai il timore dell'Eterno, e troverai la conoscenza di DIO. Proverbi 8:13 Il timore dell'Eterno è odiare il male; io odio la superbia, l'arroganza, la via malvagia e la bocca perversa. Proverbi 9:10 Il timore dell'Eterno è il principio della sapienza, e la conoscenza del Santo è l'intelligenza. Proverbi 10:27 Il timore dell'Eterno prolunga i giorni, ma gli anni degli empi saranno accorciati. Proverbi 14:26 Nel timore dell'Eterno c'è una grande sicurezza, e i suoi figli avranno un luogo di rifugio. Proverbi 14:27 Il timore dell'Eterno è una fonte di vita che fa evitare i lacci della morte. Proverbi 15:16 Meglio poco con il timore dell'Eterno, che un gran tesoro con preoccupazioni. Proverbi 15:33 Il timore dell'Eterno è un ammaestramento di sapienza, e prima della gloria c'è l'umiltà Proverbi 16:6 Con la bontà e la verità l'iniquità si espia, e con il timore dell'Eterno uno si allontana dal male. Proverbi 19:23 Il timore dell'Eterno conduce alla vita; chi lo possiede dimorerà sazio e non sarà colpito da alcun male. Proverbi 22:4 Il premio dell'umiltà è il timore dell'Eterno, la ricchezza, la gloria e la vita. Proverbi 23:17 Il tuo cuore non porti invidia ai peccatori, ma continui sempre nel timore dell'Eterno; Isaia 11:2 Lo Spirito dell'Eterno riposerà su lui: spirito di sapienza e d'intelligenza, spirito di consiglio e di potenza, spirito di conoscenza e di timore dell'Eterno. Isaia 11:3 Il suo diletto sarà nel timore dell'Eterno, non giudicherà secondo le apparenze, non darà sentenze per sentito di re, Isaia 33:6 e sarà la sicurezza dei tuoi giorni, la forza della salvezza, sapienza e conoscenza; il timore dell'Eterno
  • 22. sarà il suo tesoro. Atti 9:31 Così le chiese in tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria avevano pace ed erano edificate. E, camminando nel timore del Signore e nella consolazione dello Spirito Santo, moltiplicavano. 2Corinzi 5:11 Conoscendo dunque il timore del Signore, persuadiamo gli uomini, e siamo conosciuti da Dio, or io spero di essere conosciuto anche dalle vostre coscienze. Nel libro dei Proverbi l’espressione «timore dell’Eterno» compare 14 volte (2x7). «L’Eterno odia…gli occhi alteri» (6:16,17) Il libro dei Proverbi ci dice che Dio si adira quando un uomo guarda dall’alto in basso un altro uomo. Le Sue emozioni sono risvegliate quando ci comportiamo come se fossimo al centro dell’universo, quando pensiamo di esistere solo per il nostro piacere o quando diamo sfogo ai nostri istinti naturali invece di fare qualche sacrificio per adoperarci a ricercare la sapienza e la conoscenza di Dio (3:5-7; 8:13; 11:2; 13:10; 16:5,18,19; 21:2,4; 29:23; 30:12,13). I Proverbi ci mostrano perché Dio odia un atteggiamento orgoglioso. L’orgoglio fa si che la persona sia una sciocca; la illude, creandogli un eccessivo senso della propria importanza o capacità. L’orgoglio conduce al disaccordo con Dio e riflette una riluttanza ad aver fiducia in Lui. L’orgoglio rimuove alla base il rapporto con Dio (Giac.4:6) e conduce all’imbarazzo personale ed alla distruzione di ogni buon sentimento. Al contrario, gli occhi umili portano a rispettare il prossimo. L’umiltà ci fa compensare la nostra tendenza verso l’illusione con il cercare la sapienza di Dio e il consiglio di altri. L’umiltà è pratica. Fornisce una base per il rapporto con Dio il quale è in grado di aiutarci e preservarci da ogni disonore. ASPETTO DIVINO ASPETTO UMANO Dio osserva il modo in cui guardiamo gli altri Siamo portati a dare una importanza esagerata alle cose ed agli interessi personali e ad avere una scarsa consapevolezza delle necessità degli altri Nell’elenco delle cose che Dio odia, la prima è l’orgoglio A causa della nostra tendenza verso l’orgoglio, abbiamo bisogno della croce, dello Spirito e dell’esempio di Cristo. Dio apprezza l’umiltà perché sa dove ci conduce l’orgoglio, e perché sa che l’umiltà ci fa avere un buon rapporto con Lui, con gli altri e con noi stessi Quello che Dio intende per umiltà è visto dal modo in cui Cristo ha servito il Padre e i Suoi discepoli «L’Eterno odia…la lingua bugiarda» (6:16,17) Il libro dei Proverbi ci dice che il contrario della verità non è l’errore, ma il male. Le labbra bugiarde danno delle informazioni sbagliate, ed esprimono l’oscurità che segna il percorso che conduce a Dio. Per una bugia di seduzione, i pedofili convincono i bambini ad aver fiducia in loro. Per un inganno si rovina una società e si possono perdere i risparmi di una vita, con il rischio di arrivare a pensare che lo scopo più alto della vita sia quello di vivere per sé stessi. Per inganno, il “padre delle menzogne” allontana la gente dal proprio Creatore e le accompagna alla perdizione eterna. Per tali ragioni abbiamo proverbi come: 8:7; 10:18; 11:1,3; 12:19; 12:22; 19:1; 23:23 I Proverbi ci ricordano che Dio odia l’inganno, il quale è la base del tradimento. Il tradimento distrugge la fiducia, e senza fiducia e verità non c’è alcuno spazio per i rapporti affettuosi. La verità è il
  • 23. fondamento di tutte le buone cose, del buon governo e della buona scienza. La verità è la base dei matrimoni fedeli, delle amicizie durevoli e di un rapporto personale con Dio. Le bugie sono la tattica infernale del demonio. Sono sorgenti di oscurità piuttosto che di luce, di dispiacere piuttosto che di gioia. Le bugie danno onore per un momento, ma assicurano anche che l’onore si trasformerà ben presto in vergogna. ASPETTO DIVINO ASPETTO UMANO Le emozioni di Dio sono risvegliate quando neghiamo la verità per coprire il nostro peccato Siamo tentati a mentire a causa dell’imbarazzo provocato dal peccato che è dentro di noi Dio sta con quelli che sono disposti a dire la verità anche a costo di una propria perdita Quando mentiamo, scegliamo di avere fiducia nella nostra capacità di proteggerci piuttosto che nella capacità di Dio di perdonarci e benedirci L’esempio supremo di amore per la verità lo vediamo chiaramente in Cristo, che ha scelto di avere fiducia nel Padre anche a prezzo della morte, piuttosto che dire una sola parola non veritiera A motivo delle nostre menzogne, abbiamo disperatamente bisogno del pagamento di Cristo per il nostro peccato, nonché del suo Spirito per riempirci di grazia e di verità «L’Eterno odia…le mani che versano sangue innocente» (6:16,17) Le emozioni di Dio sono risvegliate quando un uomo mangia il pane della violenza invece del frutto del suo lavoro. Molti proverbi ci mostrano quello che Dio prova nei confronti di chi «versa sangue innocente» per ottenere ciò che vuole. Dio si adira quando vede delle mani che sono state fatte per aiutare gli altri, utilizzate invece per derubare, defraudare e assassinare. «Le mani che versano sangue innocente» sono gli strumenti dell’orgoglio e dell’inganno. Il cuore orgoglioso considera i propri interessi come più importanti degli interessi degli altri. Tutto ciò è rafforzato dalla bugia che abbiamo il diritto di prendere per forza qualcosa che non abbiamo legittimamente guadagnato o altrimenti ricevuto. «Le mani che versano sangue innocente» sono mani piene di ribellione contro Dio. Sono mani che hanno rifiutato la sapienza di Dio, la quale ci dice che dobbiamo essere soddisfatti della Sua benedizione su mani umili ed oneste. Il libro dei Proverbi è pieno di avvertimenti contro quelle scorciatoie che conducono al disastro. Salomone ci ricorda che il successo non viene nascondendosi al mattino sotto le coperte del letto. Non siamo in questo mondo per mangiare ciò che è stato guadagnato da altri (6:6-11; 10:4; 12:24,27; 13:4; 14:23; 18:9; 20:13; 22:29; 28:19. ASPETTO DIVINO ASPETTO UMANO Dio dà valore al lavoro onesto non solo perché riflette il modo in cui Egli lavora nel mondo, ma anche perché riflette il modo in cui Egli vuole lavorare in e attraverso noi La nostra tendenza è quella di lavorare onestamente quando gli altri ci guardano e ci danno l’incentivo ad essere produttivi Dio ricompensa quelli che scelgono di lavorare onestamente, relativamente poco, mentre gli altri si arricchiscono con gli utili della frode e dell’inganno A causa della caduta dell’umanità nel peccato, siamo diventati auto-accentratori, volendo una vita facile senza lavorare per essa L’odio di Dio per la frode, la truffa e il cinico opportunismo dovrebbe essere temuto da ogni uomo che è in affari La nostra chiamata più alta è fare il nostro lavoro con la prospettiva che lavoriamo per Dio e non per l’uomo Il lavoro più grande di Dio è visto nell’opera che Cristo ha fatto per darci la ricompensa di una salvezza onesta A causa del nostro fallimento nel lavorare per ristabilire i rapporti con Dio, saremmo persi senza il pagamento di Cristo per il nostro peccato
  • 24. «L’Eterno odia…il cuore che escogita progetti malvagi» (6:16,18) I Proverbi ci ricordano ripetutamente che Dio odia un cuore disposto alla violenza invece che all’amore. Dio ha fatto i nostri cuori per Sé stesso. La nostra ragione d’esistenza è temere, amare, rispettare ed apprezzare Dio. La nostra missione di vita è scoprire dalla profondità del nostro cuore la ricchezza del Suo amore per noi e per gli altri. Il libro dei Proverbi ci mostra l’importanza della condizione del nostro cuore: 4:23; 11:20; 12:8,20; 14:30; 15:14; 17:22; 23:17; 23:26; 28:25. I desideri del nostro cuore determineranno il nostro comportamento, se faremo il bene o se faremo il male. ASPETTO DIVINO ASPETTO UMANO Dio vuole che ci preoccupiamo più di quello che è in noi che di quello che è intorno a noi Dio promette di condurci sovranamente attraverso le circostanze della vita poiché rivolgiamo a Lui i pensieri e l’amore del nostro cuore Le nostre necessità più grandi non sono quelle famigliari, del posto di lavoro o del conto in banca; le nostre necessità più grandi sono quelle interiori del cuore L’enfasi di Dio sulla condizione dei nostri cuori è vista chiaramente negli atteggiamenti e negli insegnamenti del Signore Gesù Siccome la nostra tendenza è quella di meditare il male invece del bene, saremmo persi senza il pagamento di Cristo per i nostri peccati. Il suo Spirito crea in noi un cuore pulito «L’Eterno odia…i piedi che sono veloci nel correre al male» (6:16,18) Dio avverte i piedi che intraprendono un cammino di malvagità e che percorrono pericolosamente il bordo della tentazione. Il Signore ci ha fatto dei piedi per farci camminare su questa terra per il Suo servizio, non per andarci a cercare le difficoltà e le disgrazie. Egli ci ha fatto dei piedi per scappare via dalla tentazione, non per avvicinarci ad essa e compiere il male (4:14,26; 19:2). Dio apprezza l’autocontrollo (14:29; 16:32; 18:13). Avere i piedi cauti è una caratteristica naturale dell’uomo saggio, ma è innaturale per lo sciocco. ASPETTO DIVINO ASPETTO UMANO Dalla Sua prospettiva, Dio vede i pericoli meglio di noi, e perciò ci mette in guardia Siamo più inclini a seguire il nostro cuore e i nostri desideri che a pensare dove essi ci possono portare Dio vuole che sviluppiamo uno spirito di cautela e auto-disciplina in tutto ciò che facciamo A causa della nostra avventatezza pecchiamo spesso La capacità di Dio nel vedere i pericoli la possiamo vedere negli avvertimenti di Cristo ai Farisei, che erano le persone più religiose e rispettabili dei suoi tempi Abbiamo bisogno continuamente di Cristo non solo per il perdono ma per il suo Spirito di intuizione e di guida «L’Eterno odia…il falso testimone che proferisce menzogne» (6:16,19) Proverbi ci avverte che Dio è contro coloro che non praticano la giustizia e che non sono clementi, ma è con quelli che danno parole d’incoraggiamento ed aiutano chi si trova nella necessità. Se Dio parla di umiltà e orgoglio, di verità o menzogne, lavoro onesto o frode, cautela o avventatezza, la preoccupazione sottostante è sempre quella di incoraggiarci ad essere messaggeri di aiuto piuttosto che di danno (3:3,27,28; 11:1; 12:17; 14:25,31; 16:8; 21:15; 28:5; 29:26,27). La giustizia e la benignità si vede anche come guardiamo un derelitto, dal modo in cui trattiamo il nostro nemico, dal modo in cui trattiamo il nostro cane. La benignità è l’espressione naturale di un cuore che trabocca del perdono e della grazia di Dio. La benignità è la risposta di un cuore pieno dell’amore che ha ricevuto.
  • 25. ASPETTO DIVINO ASPETTO UMANO Poiché Dio ama la verità e la benignità, Egli vuole che il Suo popolo sia sorgente di aiuto Quando mostriamo una preoccupazione sincera per le necessità e gli interessi degli altri, riflettiamo il carattere di Dio A causa della nostra natura peccaminosa, siamo inclini a parlare degli altri in modo da sembrare migliori noi Dio farà pagare personalmente qualunque insulto o danno fatto verso una persona povera o debole Quando siamo scortesi, possiamo aspettarci la riprensione da parte di Dio Dio ha sperimentato il dolore di una giustizia perversa quando Suo Figlio ha sopportato le menzogne dei falsi testimoni che lo hanno accusato di peccato Se non fosse per la volontà di Cristo di essere giusto e misericordioso con noi, moriremmo tutti nei nostri peccati «L’Eterno odia…chi semina discordie tra fratelli» (6:16,19) Dio apprezza i rapporti pacifici. Egli avverte quelli che seminano disaccordo per un pettegolezzo, per ira o per avarizia. Questo non significa che Dio vuole la pace a qualunque prezzo, poiché il libro dei Proverbi ci mostra che c’è un tempo anche per il conflitto. Ai genitori viene detto di non risparmiare la correzione ai figli per paura delle loro proteste. Ad una persona saggia è detto di rispondere allo sciocco, ma senza essere trascinato fino al livello dello sciocco, e il popolo di Dio è incoraggiato ad essere fautore di verità e giustizia, cose che attireranno molti nemici lungo il cammino. La sapienza, tuttavia, non va a cercare la discordia, ma studia l’uso di risposte cortesi, con parole ben scelte ed appropriate. Per tutto il libro dei Proverbi, Dio ci aiuta a considerare quello per cui combattiamo e perché (3:30; 10:12; 11:29; 16:7,28; 17:9,14,19; 22:10; 26:17,20,21; 27:6,17; 28:25; 29:22). Proverbi ci mostra che i rapporti pacifici iniziano nel cuore. Una persona che non ha amore è predisposta a reagire con invidia e gelosia. Chi è orgoglioso trascurerà gli interessi e i sentimenti degli altri. Chi ozia può avviare una contesa e chi ha poco amore è contento del fallimento degli altri. Nel cuore di ciascuno di noi c’è un desiderio intenso e sincero di amore e di affermazione. Ma Dio ci ha anche fatti in modo che potessimo trovare la realizzazione e la pace solo riempiendoci del Suo amore. Non è quindi sufficiente sapere che non dovremmo disputare, lamentarci e spettegolare. È più importante che investighiamo sui motivi nascosti che stanno dietro tutte le dispute. Dobbiamo permettere agli argomenti che ci dividono di aiutarci a pensare ed analizzare le nostre motivazioni interiori e quello che realmente crediamo su Dio. Crediamo che Dio possa soddisfare le nostre necessità più profonde? Crediamo che Egli si preoccupi di noi e delle nostre circostanze? Possiamo avere fiducia in Lui per le necessità della vita? O abbiamo bisogno di metterci gli uni contro gli altri per ottenere quello che vogliamo dalla vita? ASPETTO DIVINO ASPETTO UMANO L’amore di Dio per la pace riflette l’amore reciproco, il rispetto e la cooperazione tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo Le nostre tendenze naturali verso l’orgoglio, la menzogna, l’auto-protezione, il guadagno senza lavoro, avventatezza e cuore egoista, ci portano a dividere più che ad unire Dio è un Dio che si relaziona, e per questo tutta la sapienza ha uno scopo relazionale L’amore di Dio per la pace non è mai a spese del Suo amore per la verità e la giustizia Poiché la vera pace viene da Dio, non possiamo essere una fonte di pace se prima non abbiamo fatto pace con Lui L’esempio di Dio lo vediamo in Cristo, che è andato a guerreggiare con uomini malvagi per portare la pace tra Dio e gli uomini e tra gli uomini Saremmo persi senza l’opera di Cristo che è venuto a morire per i nostri peccati, ferendoci la pace con il Padre
  • 26. fra loro Correzione. Il rapporto tra un padre ed il figlio è una delle caratteristiche principali del libro dei Proverbi in cui è inclusa anche la correzione o meglio la disciplina. La disciplina di un padre verso il suo figlio, figura di quella di Dio verso i suoi, è la prova di un vero amore (3:12). Questa disciplina non si limita ad una riprensione a parole: c’è anche la verga (29:15; 13:24). Un lavoro paziente, da compiere con diligenza nel timore e nella fiducia in Dio, che porterà il suo frutto (23:14; 29:17; 22:6). Essa è necessaria ad ogni uomo, anche al savio (9:8) e all’intelligente (17:10; 19:25). Correzione e riprensione sono spesso legate, e sono una il completamento dell’altra (5:12; 10:17; 12:1; 13:18). Beato chi ascolta la riprensione (15:31,32). Per contro, chi odia la riprensione è uno stupido, e il modo con cui un uomo accoglie la riprensione è un test della sua saggezza (15:12). Ma se vi sono esortazioni ad accettare la riprensione, vi sono anche incoraggiamenti a farla (24:25; 27:5). Molta psicologia moderna considera la verga come una reliquia del passato. Eppure Proverbi parla dell’uso della verga, come mai? 1. La verga è richiesta perché i genitori non sono sempre inclini a disciplinare i figli. Il genitore quindi deve essere incoraggiato ad utilizzare la verga (23:13). La psicologia condanna la verga anche per diversi fraintendimenti sui concetti di amore, perdono e pazienza. L’amore è visto come qualcosa che non deve portare dolore, e bisogna occuparsi dei figli in maniera positiva. Proverbi ha un’idea molto diversa dell’amore: «Chi risparmia la verga odia il proprio figlio, ma chi lo ama lo corregge per tempo» (13:24). Amiamo i nostri figli? Se sì, saremo diligenti nel punirli quando ciò è richiesto. Odiamo i nostri figli? Se sì, eviteremo di utilizzare la verga. L’amore cerca il bene migliore del figlio, anche se per questo a volte è necessario il dolore della verga. Se dico al figlio: “metti a posto quel dolciume che ti fa male e ti comprerò un gioco, questa è corruzione, non disciplina. 2. La verga è richiesta per trattenere il peccato del figlio. Il genitore cerca di mettere in evidenza il peccato nella vita del figlio mostrandogli che a peccare si paga sempre un alto prezzo. 3. La verga è richiesta perché dimostra il carattere del figlio. Il carattere di una persona è dimostrato spesso dalla sua risposta alla correzione (12:1; 13:1; 15:5). 4. La verga è richiesta perché insegna. I figli piccoli non sono in grado di afferrare i concetti astratti (come il pericolo dell’auto nella strada), ma capiscono il dolore. La verga è uno strumento istruttivo per quelli che non possono ancora ragionare. 5. La verga è richiesta a causa delle conseguenze devastanti di astenersi dal suo uso (23:23,14). 6. La verga è richiesta perché è cosa giusta e perché Dio la utilizza sui suoi figli (3:11,12). In conclusione: per prima cosa dobbiamo disciplinare i nostri figli non solo perché Dio ci disciplina, ma dobbiamo disciplinare i nostri figli come Dio ci disciplina. In secondo luogo, la disciplina implica molto più che riprendere i nostri figli quando peccano. La disciplina inizia con lo stabilire il nostro diritto di genitori di governare la famiglia Non siamo amici o pari dei nostri figli, ma genitori – una distinzione molto importante. Terzo, abbiamo l’obbligo di rendere le regole chiare ai nostri figli in modo che la disciplina sia il risultato prevedibile e promesso della violazione. I figli devono sapere quello che ci aspettiamo da loro e quello che avverrà quando essi scelgono di infrangere le regole. Dobbiamo anche essere diligenti nella spiegazione delle ragioni di determinate regole. Infine, la verga letterale dovrebbe essere impiegata quando i figli non possono o non vogliono ragionare. Quando essi sviluppano la capacità di ragionare, mezzi diversi dalle sculacciate dovrebbero essere usati, tenendo presente comunque che la verga sarà sempre molto efficace nel portare il pentimento. Come si può vedere, lo sculacciare non è un argomento semplice come potrebbe sembrare. La disciplina, come ogni altra area della vita cristiana, è un argomento che richiede sapienza dall’alto. Dobbiamo cercare quella sapienza per utilizzare la verga giustamente. Calma e ira. Vedi 10:12; 14:17,29; 15:18; 27:4; 29:22. 1. La giusta ira è causata dal peccato (14:35). Questo non significa santificare l’ira peccaminosa e umana. La Bibbia insegna che con questo genere di ira non dobbiamo aver nulla a che fare, anche se purtroppo la vasta maggioranza dell’ira che esprimiamo è peccaminosa, non spirituale. Tuttavia, se