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Stato Sociale e
Stato Solidale –
Edilizia Sociale
Lo Stato sociale si occupa
   di tutti quei bisogni dell’
   uomo che gli derivano
   dal solo fatto di esistere:
 Istruzione,
 Salute
 Alimentazione
 Sviluppo
Lo Stato solidale si occupa
   di porre un rimedio ai
   problemi dei disagiati:
 Edilizia popolare; sussidi
   di disoccupazione
 Mense per i poveri
Lo Stato sociale si propone di fornire e
  garantire diritti e servizi sociali:
 Assistenza sanitaria.

 Pubblica istruzione.

 Accesso alle
  risorse culturali (biblioteche, musei, tempo libero).
 Assistenza d'invalidità e di vecchiaia.

 Difesa dell'ambiente naturale.

Questi servizi gravano sui conti pubblici in quanto
  richiedono ingenti risorse finanziarie, le quali
  provengono in buona parte dal prelievo fiscale.
Lo Stato sociale nacque nel XVIII secolo e si consolidò in
Occidente durante il XIX ed il XX secolo, di pari passo con la
storia della civiltà industriale. La sua evoluzione può essere
suddivisa in tre fasi successive.
 Una prima forma di Stato sociale o più esattamente di Stato
solidale, venne introdotta nel 1601 in Inghilterra con la
promulgazione delle leggi sui poveri. Queste leggi prevedevano
assistenza per i poveri nel caso in cui le famiglie non fossero in
grado di provvedervi e, oltre ad avere in sé un palese contenuto
filantropico, consideravano come, riducendo il tasso di
povertà, si riducevano i fenomeni negativi come la criminalità.
 Un caso sperimentale di Stato sociale può essere degnamente
considerato il “sistema San Leucio” nel Regno di Napoli
(ampliamente trattato nel capitolo sul paternalismo industriale)
La seconda fase, opera di monarchie costituzionali o di pensatori liberali, si riconduce alla prima rivoluzione
industriale ed alla legislazione inglese del 1834 (l’estensione al continente europeo avvenne solo nel periodo
tra il 1885 ed il 1915). Le forme assistenziali sono da ritenersi individuali e rivolte ad una classe
sociale svantaggiata (minori, orfani, poveri ecc.) ed in questo contesto nacquero le prime assicurazioni
sociali che garantivano nei confronti di incidenti sul lavoro, malattie e vecchiaia; inizialmente su base
volontaria, divennero obbligatorie per tutti i lavoratori. Le motivazioni della svolta in questa fase furono la
ricerca della pace sociale conciliando le rivendicazioni da parte dei lavoratori e dalla richiesta di una
manodopera a minor costo possibile.
  Sempre in Inghilterra, furono istituite delle , case di lavoro e accoglienza che si proponevano di combattere
la disoccupazione e di tenere, così, basso il costo della manodopera. Tuttavia si trasformarono in luoghi di
detenzione forzata; la permanenza in questi centri equivaleva alla perdita dei diritti civili e politici in cambio
dell'assistenza governativa.
  Nel 1883 nacque, in Germania, l'assicurazione sociale, introdotta da Otto von Bismarck per favorire la
riduzione della mortalità e degli infortuni nei luoghi di lavoro e per istituire una prima forma di previdenza
sociale. Secondo alcuni studiosi furono proprio gli imprenditori a spingere per i versamenti obbligatori degli
operai, al fine di non doversi più accollare per intero il costo della sicurezza sociale dei lavoratori.
  In Italia, il sistema della previdenza sociale fu istituito nel 1898 con la costituzione della Cassa nazionale di
Previdenza la quale era competente in materia di previdenza per l'invalidità e la vecchiaia degli operai. Si
trattava di una assicurazione volontaria, finanziata dai contributi pagati dai dipendenti, ed integrata
dall’intervento statale e da versamenti volontari dei datori di retribuzione.
  Un "Libretto Personale" rilasciato dall'Ufficio del CNAS di Terni il 1 luglio 1925
  L’assicurazione per l'invalidità e la vecchiaia divenne obbligatoria nel 1919 con l'istituzione della Cassa
Nazionale per le Assicurazioni Sociali (CNAS).
  Nel 1933 la Cassa assunse la denominazione di Istituto Nazionale Fascista della Previdenza
Sociale, costituito in ente didiritto pubblico dotato di personalità giuridica e a gestione autonoma. Successivi
interventi del legislatore ampliarono in modo significativo i compiti dell’Istituto, cui già nel 1939 fu attribuita
la gestione dei primi interventi a sostegno del reddito (assicurazione contro la disoccupazione, assegni
familiari, integrazioni salariali per i lavoratori sospesi o ad orario ridotto). Nel1943 assunse la denominazione
attuale senza l'aggettivo "Fascista". Nel 1968 nasce la Pensione Sociale e la Cassa Integrazione Guadagni
Straordinaria (CIGS) Nel 1980 fu affidato all’INPS anche il compito, in precedenza assolto da altri enti, di
riscuotere i contributi di malattia e corrispondere ai lavoratori dipendenti la relativa indennità.
La terza fase, la fase dell'attuale welfare, ha inizio nel dopoguerra. Il 1942 fu
l'anno in cui, nel Regno Unito, la sicurezza sociale compì un decisivo passo
avanti grazie al cosiddetto Rapporto Beveridge, stilato dall'economista William
Beveridge, che introdusse e definì i concetti di sanità pubblica e pensione
sociale per i cittadini. Tali proposte vennero attuate dal laburista Clement
Attlee, divenuto Primo Ministro nel 1945.
  Fu la Svezia nel 1948 il primo paese ad introdurre la pensione popolare
fondata sul diritto di nascita. Il welfare divenne così universale ed eguagliò i
diritti civili e politici acquisiti, appunto, alla nascita. Nello stesso periodo
l'economia conobbe una crescita esponenziale del PIL mentre il neonato Stato
sociale era alla base dell'incremento della spesa pubblica.
  La situazione, a grandi linee, riuscì a mantenersi in sostanziale equilibrio per
qualche decennio. Infatti nel periodo che va dagli anni cinquanta fino agli
anni anni ottanta e anni novanta la spesa pubblica crebbe
notevolmente, specialmente nei Paesi che adottarono una forma di welfare
universale, ma la situazione rimase tutto sommato sotto controllo grazie alla
contemporanea sostenuta crescita del Prodotto interno lordo generalmente
diffusa
Il modello è detto di welfare "residuale". I diritti sociali derivano dalla
dimostrazione dello stato di bisogno. Il sistema è fondato sulla precedenza ai
poveri meritevoli e sulla logica del "cavarsela da soli". Pertanto i servizi
pubblici non vengono forniti indistintamente a tutti, ma solamente a chi è
povero di risorse, previo accertamento dello status di bisogno; in virtù di
questo, tale meccanismo viene spesso definito residuale, in quanto concernente
una fascia di destinatari molto ristretta. Per gli altri individui, che
costituiscono la maggior parte della società, tali servizi sono acquistabili
sul mercato privato dei servizi. Quando l'incontro tra domanda e offerta non
ha luogo, per l'eccessivo costo dei servizi e/o per l'insufficienza del reddito, si
assiste al fallimento del mercato, cui pongono rimedio programmi destinati
alle fasce di maggior rischio; negli Stati Uniti d'America, ad esempio, sono
previsti organismi come il Medicaid per i poveri, il Medicare per gli anziani e
l'AFDC per le madri sole.
   Tale regime riflette una teoria politica secondo cui è utile ridurre al minimo
l'impegno dello Stato, individualizzando i rischi sociali. Il risultato è un forte
dualismo tra cittadini non bisognosi e cittadini assistiti.
   Tale modello è tipico dei paesi anglosassoni: Australia, Nuova
Zelanda, Canada, Gran Bretagna e Stati Uniti caratterizzato dalla
predominanza del mercato.
In questo modello (detto "particolaristico") i diritti derivano
dalla professione esercitata: le prestazioni del welfare sono
legate al possesso di determinati requisiti, in primo luogo
l'esercitare un lavoro. In base al lavoro svolto si stipulano delle
assicurazioni sociali obbligatorie che sono all’origine della
copertura per i cittadini. I diritti sociali sono quindi collegati alla
condizione del lavoratore. Questo è il modello tipico degli Stati
dell’Europa continentale e meridionale, tra cui l’Italia (per
determinati servizi). Una variante del modello particolaristico è
il cosiddetto welfare aziendale che si è diffuso in alcuni Paesi
occidentali ed in Giappone che si basa su contributi dei
dipendenti e della stessa azienda che, nel caso in cui si possano
prevedere utili nel lungo periodo (specie in caso di
monopoli), possono rappresentare la parte principale del
finanziamento dei servizi.
Il modello è detto "universalistico".
I diritti derivano dalla cittadinanza: vi sono
quindi dei servizi che vengono offerti a tutti i
cittadini dello Stato senza nessuna differenza. Tale
modello promuove l’uguaglianza
di status passando così dal concetto di
assicurazione sociale a quello di sicurezza
sociale, fornendo un Welfare che si propone di
garantire a tutta la popolazione degli standard di
vita qualitativamente più elevati. Tale modello è
tipico degli Stati dell’Europa del nord.
   Di fronte alla crisi dello Stato sociale e dei ceti medi alcuni
    economisti sostengono la necessità di diminuire la spesa
    pubblica ed il prelievo fiscale, sostenendo allo stesso tempo
    nuove forme di socialità basate sulla gestione secondo
    economie di scala ed alto ricorso alle tecnologie informatiche
    dei servizi da erogare al cittadino. In questo modo
    i servizi risulterebbero più efficienti e meno costosi. Si
    sostiene allo stesso tempo l'idea di affidare (in tutto o in
    parte) a gestori privati, servizi come le pensioni (fondi
    pensione privati), la sanità e l'istruzione. Tuttavia i problemi
    di giustizia ed equità sociale, nonché il ridotto ruolo
    dello Stato nella redistribuzione della ricchezza, che
    deriverebbero da simili scelte, per molti non sono affatto
    trascurabili, specie alla luce dei risvolti dimostratisi
    nell'attuale crisi
Gli Istituti Autonomi per le case popolari hanno avuto avvio con la prima legge promulgata
in Italia per facilitare la costruzione di case popolari (la legge n 251 del 31.05.1903 per iniziativa
dell'On. Luigi Luzzatti).
  Il provvedimento si inseriva nel quadro di una politica sociale che, al principio del
secolo, diffuse in Italia forme nuove di enti economici e l'intervento dello Stato a beneficio dei
ceti popolari, senza trascurare l'effetto indotto sia su scala sociale, sia come fattore di sviluppo
economico. Si voleva migliorare le condizioni di vita delle popolazioni applicando nel rapporto
sociale il principio della" solidarietà.
  Questo principio della solidarietà emergeva chiaramente dalla lettura dell'art. 22 della
legge, che improntava l'iniziativa degli Istituti Autonomi: non un interesse prettamente
economico o esigenze di profitto, ma una precisa volontà di intervenire nel sistema
sociale, avendo di mira solo esclusivamente il "bene Casa".
  Nacque in quei giorni l'IACP di Roma,preceduto solamente da quello di Trieste, fondato nel
1902 su iniziativa dei Consiglio Comunale e della Cassa di Risparmio di quella città.
  All'inizio l'intervento pubblico nell'edilizia operò attraverso le strutture esistenti, ossia i
Comuni (oltre alle Cooperative), che inquadrarono l’attività fra quelle delle aziende
municipalizzate. Successivamente, con la separazione dei compiti delle aziende
municipalizzate da quelli attinenti l'edilizia popolare, i protagonisti della politica edilizia
pubblica diventarono gli Enti specificati nel TU. n 1165 del 1938.
  I Comuni passarono quindi in una posizione secondaria; conferendo denaro, aree e stabili ai
nuovi Enti. Lo Stato concorse per il solo l'IACP di Roma, mentre le Casse di Risparmio
limitarono il loro apporto, peraltro relativamente modesto, alle regioni settentrionali. II capitale
privato intervenne quasi sempre sotto forma di elargizione benefica, fatti salvi gli interventi
diretti delle imprese per la costruzione di case per i propri dipendenti.
Gli Istituti Autonomi Case Popolari furono costretti, per
sviluppare il proprio programma edilizio, a ricorrere al credito.
Tutto ciò non fu di poco conto e finì per pesare in maniera
determinante nella vita degli Istituti, se si pensa che dalla
tempestività e dalle condizioni di concessione dei finanziamenti
dipendevano la realizzazione dei programmi costruttivi e il
livello di canoni di locazione.
   La legislazione sull'edilizia economica e popolare trovò il suo
perno nel T.U. del 1938, che tuttavia non definì un chiaro e
preciso sistema di norme o di poteri relativi alla concessione dei
mutui. AI contrario, il rapporto triangolare fra gli Istituti di
Credito (mutuanti), gli I.A.C.P. (mutuatari) e lo Stato
(sovventore), non trovò sufficiente coordinamento e
automatismo, per cui gli Istituti operarono in una condizione di
stretta dipendenza dagli altri due poteri, dalla cui discrezionalità
dipese l'intero processo d'intervento nell'edilizia popolare.
A partire dal dopoguerra, il sistema di finanziamento dell'edilizia popolare venne modificato e non si basò
più unicamente sul credito esterno, poiché lo stato, l’INA Casa e GESCAL concorsero per intero al
finanziamento delle costruzioni.
   Di quel periodo la cosiddetta legge Tupini n. 408 del 02/07/1949 che stabilì i principi dell'intera successiva
legislazione sull'edilizia economica e popolare
   Le scelte del periodo 1947-1954, nate dalla necessità della ricostruzione postbellica, costituirono una svolta
che fu determinante per gli IACP anche se non sempre in termini positivi.
   Una prima conseguenza della nuova struttura dell'edilizia pubblica comportò per gli Istituti una
sostanziale modifica del loro modo di operare, incidendo profondamente anche nell'autonomia delle loro
scelte. Essi non agirono più esclusivamente per conto proprio (e qualche volta per conto e in accordo con i
Comuni), ma diventarono strumenti d'esecuzione di gestione per conto terzi (Stato, INA-Casa, GESCAL). Le
loro strutture organizzative si modificarono in funzione dei nuovi compiti assegnati. Nei rapporti che furono
instaurati, gli Istituti si trovarono in posizione subordinata, ed operarono a condizioni non sempre
compensative dei costi del servizio. Ciò si verificò, e si verifica tuttora, soprattutto per quanto riguarda la
gestione degli alloggi: un patrimonio costruito con economia di mezzi che richiede immediati e frequenti
interventi manutentori, cui devono far fronte gli IACP ricorrendo alle proprie risorse.
   A tal proposito basti ricordare l'abnorme situazione verificatasi nel corso del tempo in ordine alla gestione
delle abitazioni di proprietà dello Stato.
   L'istituto deve infatti provvedere alla manutenzione ordinaria e straordinaria di alloggi costruiti a costi
minimi 40-50 anni fa, utilizzando risorse annue inferiori all'1% del costo di costruzione, senza ulteriori
finanziamenti.
   Un altro fattore che pesò negativamente sulla situazione economico-finanziaria degli IACP va ricercato
nella mancanza di un regolare e costante flusso di investimenti, per cui a periodi di finanziamenti
relativamente cospicui, se ne alternarono altri di quasi completa stagnazione.
   Come conseguenza gli Istituti che si erano dati adeguate strutture, soprattutto per far fronte
tempestivamente ai compiti assunti, si trovarono, nei periodi di assenza o scarsità di investimenti pubblici, in
una situazione di sotto utilizzazione del proprio personale destinato alle costruzioni e alle manutenzioni, con
tutte le conseguenze, facili ad immaginarsi, che ciò può determinare nell'equilibrio economico-finanziario dei
bilanci.
IL 1971 segnò un'altra pietra miliare nella storia degli I'IACP. Venne, infatti, promulgata la legge 865 (22 ottobre) che
trasformò gli Istituti Case Popolari da Enti Pubblici Economici ad Enti Pubblici non Economici con prevalenza pertanto,
dell'attività pubblico-assistenziale e pose degli obiettivi che hanno spaziato su tutta l'edilizia economico-popolare.
    Si cominciò a parlare di integrazione della politica della casa, di sviluppo del territorio e di una disciplina unitaria dei canoni.
Col DPR 616/77 si iniziò il decentramento burocratico con trasferimento di deleghe alla Regione.
    Vennero emanati i due DPR 1035 - 1036 del 1972 che disciplinarono le assegnazioni e l'organizzazione degli Enti Pubblici
operanti nel settore dell'edilizia residenziale pubblica.
    A seguito dell'emanazione di nuove leggi e della soppressione di Enti quali GESCAL e INCIS, il patrimonio fino ad allora
costruito fu in parte ceduto agli assegnatari ed in parte trasferito agli IACP, che divennero gli unici soggetti attuatori
dell'edilizia residenziale pubblica. II decennio 1970-1980 fu caratterizzato dall'inflazione galoppante che in presenza di
massimali dì costo imposti dal CER (Comitato Edilizia Residenziale), creò molte difficoltà negli appalti, costringendo gli Istituti
alla continua ricerca di finanziamenti integrativi per poter ultimare i programmi costruttivi.
    Alla fine degli anni 70 e agli inizi degli anni 80 si ebbe, finalmente, la tanto sospirata inversione di tendenza con l'emanazione
d'alcune leggi, quali la 25/80, la 94/82 e soprattutto con la legge 457 del 05/08/1978 nota come "Piano Decennale" per I'Edilizia
Residenziale che modificò il sistema dei finanziamenti.
    Ciò permise un intensificarsi dell'attività costruttiva, alla quale si unì anche quella del recupero, novità assoluta per gli Istituti
in passato, infatti, gli Istituti disponevano di fondi per le costruzioni in modo disorganico, senza pertanto essere in grado di
effettuare della programmazione pluriennale.
    Con l’avvento della Legge 457/1978, gli IACP poterono contare su sovvenzioni programmate con evidente giovamento per
l’efficienza degli interventi.
    Negli ultimi 20-25 anni l'evoluzione dei ricavi da canoni (sempre stabiliti dalle leggi) è stata fortemente squilibrata rispetto
all'indice dei costi e del costo della vita. Questo ha assicurato un'assistenza implicita a favore delle famiglie assegnatarie, ma ha
di fatto sottratto risorse alla manutenzione ordinaria e straordinaria.
    E si giunge così agli anni novanta. L'attività costruttiva risulta caratterizzata dal proseguimento del piano decennale (legge
67/88), e dal nuovo programma della legge 179/92.
    Da segnalare, infine, la Legge 560/93, che consentendo la vendita di una cospicua parte del patrimonio immobiliare degli
Enti Pubblici, costituisce la base per un rilancio dell'edilizia residenziale, prevedendo espressamente il reinvestimento dei ricavi
per l'incremento e la riqualificazione della stessa.

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Scuola di politica – lezione xv

  • 1. Stato Sociale e Stato Solidale – Edilizia Sociale
  • 2. Lo Stato sociale si occupa di tutti quei bisogni dell’ uomo che gli derivano dal solo fatto di esistere:  Istruzione,  Salute  Alimentazione  Sviluppo Lo Stato solidale si occupa di porre un rimedio ai problemi dei disagiati:  Edilizia popolare; sussidi di disoccupazione  Mense per i poveri
  • 3. Lo Stato sociale si propone di fornire e garantire diritti e servizi sociali:  Assistenza sanitaria.  Pubblica istruzione.  Accesso alle risorse culturali (biblioteche, musei, tempo libero).  Assistenza d'invalidità e di vecchiaia.  Difesa dell'ambiente naturale. Questi servizi gravano sui conti pubblici in quanto richiedono ingenti risorse finanziarie, le quali provengono in buona parte dal prelievo fiscale.
  • 4. Lo Stato sociale nacque nel XVIII secolo e si consolidò in Occidente durante il XIX ed il XX secolo, di pari passo con la storia della civiltà industriale. La sua evoluzione può essere suddivisa in tre fasi successive. Una prima forma di Stato sociale o più esattamente di Stato solidale, venne introdotta nel 1601 in Inghilterra con la promulgazione delle leggi sui poveri. Queste leggi prevedevano assistenza per i poveri nel caso in cui le famiglie non fossero in grado di provvedervi e, oltre ad avere in sé un palese contenuto filantropico, consideravano come, riducendo il tasso di povertà, si riducevano i fenomeni negativi come la criminalità. Un caso sperimentale di Stato sociale può essere degnamente considerato il “sistema San Leucio” nel Regno di Napoli (ampliamente trattato nel capitolo sul paternalismo industriale)
  • 5. La seconda fase, opera di monarchie costituzionali o di pensatori liberali, si riconduce alla prima rivoluzione industriale ed alla legislazione inglese del 1834 (l’estensione al continente europeo avvenne solo nel periodo tra il 1885 ed il 1915). Le forme assistenziali sono da ritenersi individuali e rivolte ad una classe sociale svantaggiata (minori, orfani, poveri ecc.) ed in questo contesto nacquero le prime assicurazioni sociali che garantivano nei confronti di incidenti sul lavoro, malattie e vecchiaia; inizialmente su base volontaria, divennero obbligatorie per tutti i lavoratori. Le motivazioni della svolta in questa fase furono la ricerca della pace sociale conciliando le rivendicazioni da parte dei lavoratori e dalla richiesta di una manodopera a minor costo possibile. Sempre in Inghilterra, furono istituite delle , case di lavoro e accoglienza che si proponevano di combattere la disoccupazione e di tenere, così, basso il costo della manodopera. Tuttavia si trasformarono in luoghi di detenzione forzata; la permanenza in questi centri equivaleva alla perdita dei diritti civili e politici in cambio dell'assistenza governativa. Nel 1883 nacque, in Germania, l'assicurazione sociale, introdotta da Otto von Bismarck per favorire la riduzione della mortalità e degli infortuni nei luoghi di lavoro e per istituire una prima forma di previdenza sociale. Secondo alcuni studiosi furono proprio gli imprenditori a spingere per i versamenti obbligatori degli operai, al fine di non doversi più accollare per intero il costo della sicurezza sociale dei lavoratori. In Italia, il sistema della previdenza sociale fu istituito nel 1898 con la costituzione della Cassa nazionale di Previdenza la quale era competente in materia di previdenza per l'invalidità e la vecchiaia degli operai. Si trattava di una assicurazione volontaria, finanziata dai contributi pagati dai dipendenti, ed integrata dall’intervento statale e da versamenti volontari dei datori di retribuzione. Un "Libretto Personale" rilasciato dall'Ufficio del CNAS di Terni il 1 luglio 1925 L’assicurazione per l'invalidità e la vecchiaia divenne obbligatoria nel 1919 con l'istituzione della Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali (CNAS). Nel 1933 la Cassa assunse la denominazione di Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale, costituito in ente didiritto pubblico dotato di personalità giuridica e a gestione autonoma. Successivi interventi del legislatore ampliarono in modo significativo i compiti dell’Istituto, cui già nel 1939 fu attribuita la gestione dei primi interventi a sostegno del reddito (assicurazione contro la disoccupazione, assegni familiari, integrazioni salariali per i lavoratori sospesi o ad orario ridotto). Nel1943 assunse la denominazione attuale senza l'aggettivo "Fascista". Nel 1968 nasce la Pensione Sociale e la Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (CIGS) Nel 1980 fu affidato all’INPS anche il compito, in precedenza assolto da altri enti, di riscuotere i contributi di malattia e corrispondere ai lavoratori dipendenti la relativa indennità.
  • 6. La terza fase, la fase dell'attuale welfare, ha inizio nel dopoguerra. Il 1942 fu l'anno in cui, nel Regno Unito, la sicurezza sociale compì un decisivo passo avanti grazie al cosiddetto Rapporto Beveridge, stilato dall'economista William Beveridge, che introdusse e definì i concetti di sanità pubblica e pensione sociale per i cittadini. Tali proposte vennero attuate dal laburista Clement Attlee, divenuto Primo Ministro nel 1945. Fu la Svezia nel 1948 il primo paese ad introdurre la pensione popolare fondata sul diritto di nascita. Il welfare divenne così universale ed eguagliò i diritti civili e politici acquisiti, appunto, alla nascita. Nello stesso periodo l'economia conobbe una crescita esponenziale del PIL mentre il neonato Stato sociale era alla base dell'incremento della spesa pubblica. La situazione, a grandi linee, riuscì a mantenersi in sostanziale equilibrio per qualche decennio. Infatti nel periodo che va dagli anni cinquanta fino agli anni anni ottanta e anni novanta la spesa pubblica crebbe notevolmente, specialmente nei Paesi che adottarono una forma di welfare universale, ma la situazione rimase tutto sommato sotto controllo grazie alla contemporanea sostenuta crescita del Prodotto interno lordo generalmente diffusa
  • 7. Il modello è detto di welfare "residuale". I diritti sociali derivano dalla dimostrazione dello stato di bisogno. Il sistema è fondato sulla precedenza ai poveri meritevoli e sulla logica del "cavarsela da soli". Pertanto i servizi pubblici non vengono forniti indistintamente a tutti, ma solamente a chi è povero di risorse, previo accertamento dello status di bisogno; in virtù di questo, tale meccanismo viene spesso definito residuale, in quanto concernente una fascia di destinatari molto ristretta. Per gli altri individui, che costituiscono la maggior parte della società, tali servizi sono acquistabili sul mercato privato dei servizi. Quando l'incontro tra domanda e offerta non ha luogo, per l'eccessivo costo dei servizi e/o per l'insufficienza del reddito, si assiste al fallimento del mercato, cui pongono rimedio programmi destinati alle fasce di maggior rischio; negli Stati Uniti d'America, ad esempio, sono previsti organismi come il Medicaid per i poveri, il Medicare per gli anziani e l'AFDC per le madri sole. Tale regime riflette una teoria politica secondo cui è utile ridurre al minimo l'impegno dello Stato, individualizzando i rischi sociali. Il risultato è un forte dualismo tra cittadini non bisognosi e cittadini assistiti. Tale modello è tipico dei paesi anglosassoni: Australia, Nuova Zelanda, Canada, Gran Bretagna e Stati Uniti caratterizzato dalla predominanza del mercato.
  • 8. In questo modello (detto "particolaristico") i diritti derivano dalla professione esercitata: le prestazioni del welfare sono legate al possesso di determinati requisiti, in primo luogo l'esercitare un lavoro. In base al lavoro svolto si stipulano delle assicurazioni sociali obbligatorie che sono all’origine della copertura per i cittadini. I diritti sociali sono quindi collegati alla condizione del lavoratore. Questo è il modello tipico degli Stati dell’Europa continentale e meridionale, tra cui l’Italia (per determinati servizi). Una variante del modello particolaristico è il cosiddetto welfare aziendale che si è diffuso in alcuni Paesi occidentali ed in Giappone che si basa su contributi dei dipendenti e della stessa azienda che, nel caso in cui si possano prevedere utili nel lungo periodo (specie in caso di monopoli), possono rappresentare la parte principale del finanziamento dei servizi.
  • 9. Il modello è detto "universalistico". I diritti derivano dalla cittadinanza: vi sono quindi dei servizi che vengono offerti a tutti i cittadini dello Stato senza nessuna differenza. Tale modello promuove l’uguaglianza di status passando così dal concetto di assicurazione sociale a quello di sicurezza sociale, fornendo un Welfare che si propone di garantire a tutta la popolazione degli standard di vita qualitativamente più elevati. Tale modello è tipico degli Stati dell’Europa del nord.
  • 10. Di fronte alla crisi dello Stato sociale e dei ceti medi alcuni economisti sostengono la necessità di diminuire la spesa pubblica ed il prelievo fiscale, sostenendo allo stesso tempo nuove forme di socialità basate sulla gestione secondo economie di scala ed alto ricorso alle tecnologie informatiche dei servizi da erogare al cittadino. In questo modo i servizi risulterebbero più efficienti e meno costosi. Si sostiene allo stesso tempo l'idea di affidare (in tutto o in parte) a gestori privati, servizi come le pensioni (fondi pensione privati), la sanità e l'istruzione. Tuttavia i problemi di giustizia ed equità sociale, nonché il ridotto ruolo dello Stato nella redistribuzione della ricchezza, che deriverebbero da simili scelte, per molti non sono affatto trascurabili, specie alla luce dei risvolti dimostratisi nell'attuale crisi
  • 11. Gli Istituti Autonomi per le case popolari hanno avuto avvio con la prima legge promulgata in Italia per facilitare la costruzione di case popolari (la legge n 251 del 31.05.1903 per iniziativa dell'On. Luigi Luzzatti). Il provvedimento si inseriva nel quadro di una politica sociale che, al principio del secolo, diffuse in Italia forme nuove di enti economici e l'intervento dello Stato a beneficio dei ceti popolari, senza trascurare l'effetto indotto sia su scala sociale, sia come fattore di sviluppo economico. Si voleva migliorare le condizioni di vita delle popolazioni applicando nel rapporto sociale il principio della" solidarietà. Questo principio della solidarietà emergeva chiaramente dalla lettura dell'art. 22 della legge, che improntava l'iniziativa degli Istituti Autonomi: non un interesse prettamente economico o esigenze di profitto, ma una precisa volontà di intervenire nel sistema sociale, avendo di mira solo esclusivamente il "bene Casa". Nacque in quei giorni l'IACP di Roma,preceduto solamente da quello di Trieste, fondato nel 1902 su iniziativa dei Consiglio Comunale e della Cassa di Risparmio di quella città. All'inizio l'intervento pubblico nell'edilizia operò attraverso le strutture esistenti, ossia i Comuni (oltre alle Cooperative), che inquadrarono l’attività fra quelle delle aziende municipalizzate. Successivamente, con la separazione dei compiti delle aziende municipalizzate da quelli attinenti l'edilizia popolare, i protagonisti della politica edilizia pubblica diventarono gli Enti specificati nel TU. n 1165 del 1938. I Comuni passarono quindi in una posizione secondaria; conferendo denaro, aree e stabili ai nuovi Enti. Lo Stato concorse per il solo l'IACP di Roma, mentre le Casse di Risparmio limitarono il loro apporto, peraltro relativamente modesto, alle regioni settentrionali. II capitale privato intervenne quasi sempre sotto forma di elargizione benefica, fatti salvi gli interventi diretti delle imprese per la costruzione di case per i propri dipendenti.
  • 12. Gli Istituti Autonomi Case Popolari furono costretti, per sviluppare il proprio programma edilizio, a ricorrere al credito. Tutto ciò non fu di poco conto e finì per pesare in maniera determinante nella vita degli Istituti, se si pensa che dalla tempestività e dalle condizioni di concessione dei finanziamenti dipendevano la realizzazione dei programmi costruttivi e il livello di canoni di locazione. La legislazione sull'edilizia economica e popolare trovò il suo perno nel T.U. del 1938, che tuttavia non definì un chiaro e preciso sistema di norme o di poteri relativi alla concessione dei mutui. AI contrario, il rapporto triangolare fra gli Istituti di Credito (mutuanti), gli I.A.C.P. (mutuatari) e lo Stato (sovventore), non trovò sufficiente coordinamento e automatismo, per cui gli Istituti operarono in una condizione di stretta dipendenza dagli altri due poteri, dalla cui discrezionalità dipese l'intero processo d'intervento nell'edilizia popolare.
  • 13. A partire dal dopoguerra, il sistema di finanziamento dell'edilizia popolare venne modificato e non si basò più unicamente sul credito esterno, poiché lo stato, l’INA Casa e GESCAL concorsero per intero al finanziamento delle costruzioni. Di quel periodo la cosiddetta legge Tupini n. 408 del 02/07/1949 che stabilì i principi dell'intera successiva legislazione sull'edilizia economica e popolare Le scelte del periodo 1947-1954, nate dalla necessità della ricostruzione postbellica, costituirono una svolta che fu determinante per gli IACP anche se non sempre in termini positivi. Una prima conseguenza della nuova struttura dell'edilizia pubblica comportò per gli Istituti una sostanziale modifica del loro modo di operare, incidendo profondamente anche nell'autonomia delle loro scelte. Essi non agirono più esclusivamente per conto proprio (e qualche volta per conto e in accordo con i Comuni), ma diventarono strumenti d'esecuzione di gestione per conto terzi (Stato, INA-Casa, GESCAL). Le loro strutture organizzative si modificarono in funzione dei nuovi compiti assegnati. Nei rapporti che furono instaurati, gli Istituti si trovarono in posizione subordinata, ed operarono a condizioni non sempre compensative dei costi del servizio. Ciò si verificò, e si verifica tuttora, soprattutto per quanto riguarda la gestione degli alloggi: un patrimonio costruito con economia di mezzi che richiede immediati e frequenti interventi manutentori, cui devono far fronte gli IACP ricorrendo alle proprie risorse. A tal proposito basti ricordare l'abnorme situazione verificatasi nel corso del tempo in ordine alla gestione delle abitazioni di proprietà dello Stato. L'istituto deve infatti provvedere alla manutenzione ordinaria e straordinaria di alloggi costruiti a costi minimi 40-50 anni fa, utilizzando risorse annue inferiori all'1% del costo di costruzione, senza ulteriori finanziamenti. Un altro fattore che pesò negativamente sulla situazione economico-finanziaria degli IACP va ricercato nella mancanza di un regolare e costante flusso di investimenti, per cui a periodi di finanziamenti relativamente cospicui, se ne alternarono altri di quasi completa stagnazione. Come conseguenza gli Istituti che si erano dati adeguate strutture, soprattutto per far fronte tempestivamente ai compiti assunti, si trovarono, nei periodi di assenza o scarsità di investimenti pubblici, in una situazione di sotto utilizzazione del proprio personale destinato alle costruzioni e alle manutenzioni, con tutte le conseguenze, facili ad immaginarsi, che ciò può determinare nell'equilibrio economico-finanziario dei bilanci.
  • 14. IL 1971 segnò un'altra pietra miliare nella storia degli I'IACP. Venne, infatti, promulgata la legge 865 (22 ottobre) che trasformò gli Istituti Case Popolari da Enti Pubblici Economici ad Enti Pubblici non Economici con prevalenza pertanto, dell'attività pubblico-assistenziale e pose degli obiettivi che hanno spaziato su tutta l'edilizia economico-popolare. Si cominciò a parlare di integrazione della politica della casa, di sviluppo del territorio e di una disciplina unitaria dei canoni. Col DPR 616/77 si iniziò il decentramento burocratico con trasferimento di deleghe alla Regione. Vennero emanati i due DPR 1035 - 1036 del 1972 che disciplinarono le assegnazioni e l'organizzazione degli Enti Pubblici operanti nel settore dell'edilizia residenziale pubblica. A seguito dell'emanazione di nuove leggi e della soppressione di Enti quali GESCAL e INCIS, il patrimonio fino ad allora costruito fu in parte ceduto agli assegnatari ed in parte trasferito agli IACP, che divennero gli unici soggetti attuatori dell'edilizia residenziale pubblica. II decennio 1970-1980 fu caratterizzato dall'inflazione galoppante che in presenza di massimali dì costo imposti dal CER (Comitato Edilizia Residenziale), creò molte difficoltà negli appalti, costringendo gli Istituti alla continua ricerca di finanziamenti integrativi per poter ultimare i programmi costruttivi. Alla fine degli anni 70 e agli inizi degli anni 80 si ebbe, finalmente, la tanto sospirata inversione di tendenza con l'emanazione d'alcune leggi, quali la 25/80, la 94/82 e soprattutto con la legge 457 del 05/08/1978 nota come "Piano Decennale" per I'Edilizia Residenziale che modificò il sistema dei finanziamenti. Ciò permise un intensificarsi dell'attività costruttiva, alla quale si unì anche quella del recupero, novità assoluta per gli Istituti in passato, infatti, gli Istituti disponevano di fondi per le costruzioni in modo disorganico, senza pertanto essere in grado di effettuare della programmazione pluriennale. Con l’avvento della Legge 457/1978, gli IACP poterono contare su sovvenzioni programmate con evidente giovamento per l’efficienza degli interventi. Negli ultimi 20-25 anni l'evoluzione dei ricavi da canoni (sempre stabiliti dalle leggi) è stata fortemente squilibrata rispetto all'indice dei costi e del costo della vita. Questo ha assicurato un'assistenza implicita a favore delle famiglie assegnatarie, ma ha di fatto sottratto risorse alla manutenzione ordinaria e straordinaria. E si giunge così agli anni novanta. L'attività costruttiva risulta caratterizzata dal proseguimento del piano decennale (legge 67/88), e dal nuovo programma della legge 179/92. Da segnalare, infine, la Legge 560/93, che consentendo la vendita di una cospicua parte del patrimonio immobiliare degli Enti Pubblici, costituisce la base per un rilancio dell'edilizia residenziale, prevedendo espressamente il reinvestimento dei ricavi per l'incremento e la riqualificazione della stessa.