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Identità inquiete tra formazione e mercato.
                    XIV Rapporto Unimonitor (a.a. 2010-11)




                   Laurearsi in comunicazione in tempi di crisi




1. Alle prese con il lavoro: razionali, idealisti, sognatori
di Laura Bocci e Germana Marcelli

I laureati di II livello in Comunicazione alla prova del mercato del lavoro riescono ancora a
contrastare colpi e contraccolpi a cui sono sottoposti in un periodo contrassegnato dal persistere
della crisi economica?
Questo l’interrogativo chiave e l’obiettivo conoscitivo del monitoraggio realizzato da
Unimonitor.com tra marzo ed aprile 2011. La ricerca anche quest’anno, seguendo un filone iniziato
nel 2008, indaga, ad almeno un anno dal conseguimento del titolo, lo status occupazionale dei
laureati magistrali della Facoltà di Scienze della Comunicazione1 della Sapienza nell’anno solare
2009. L’intento è comprendere, ed allo stesso tempo osservare, i cambiamenti che sono
intervenuti, da un lato, nelle modalità e negli ambiti di inserimento occupazionale dei neolaureati
e, dall’altro, nella capacità del mercato di accogliere i neodottori di secondo livello in
comunicazione in un periodo ancora fortemente segnato da notevoli difficoltà congiunturali.
L’indagine è stata realizzata attraverso una intervista telefonica2, che si è avvalsa di un
questionario articolato in due sezioni.
La prima, destinata a quanti hanno dichiarato di essere occupati, prevedeva domande a risposta



1
    Le lauree magistrali coinvolte nell’indagine sono le 5 interne alla facoltà di Scienze della Comunicazione: Comunicazione
    d’Impresa; Comunicazione Sociale e Istituzionale; Editoria, Comunicazione Multimediale e Giornalismo; Teoria della
    Comunicazione e Ricerca Applicata e il corso interfacoltà di Innovazione e Sviluppo.
2
    Le interviste sono state condotte dagli allievi del dottorato in Scienze della Comunicazione (XXVI ciclo): Manuela
    Bartolotta, Christian Bonafede, Lorena Licenji, Corrado Peperoni, Paolo Sorrentino; oltre a due studentesse della laurea
    magistrale in Comunicazione d’Impresa, Nunzia Bifulco e Germana Marcelli.
                                                                                                                           1
chiusa e ha puntato a far emergere ruolo ricoperto, modalità e tempi della ricerca di impiego,
soddisfazione e reddito percepito, precedenti esperienze lavorative; mentre per le persone non
occupate ha inteso approfondire occasioni e difficoltà incontrate nella fase di ricerca e di accesso al
lavoro.
La seconda sezione, costituita da una traccia strutturata con domande a risposta libera, ha
consentito agli intervistati di esprimersi liberamente su aspetti specifici del percorso universitario e
della vita lavorativa, nel caso degli occupati.
In termini operativi, il campione casuale è stato selezionato dopo aver stratificato il collettivo di
riferimento, costituito da 368 laureati di II livello nell’anno solare 2009, in base a due
caratteristiche: genere e corso di laurea magistrale in cui è stato conseguito il titolo. Rispetto agli
obiettivi dell’indagine si è deciso, in linea con quanto già accaduto nell’indagine 2010, di non
considerare come variabile di stratificazione il voto di laurea, data l’esigua variabilità di tale
caratteristica. Si consideri che il 59,2% dei laureati di II livello nell’anno 2009 ha ottenuto un voto
di laurea pari a 110 (con o senza lode).
Il numero complessivo di contatti è stato pari a 140 di cui, purtroppo, il 35,7% (50 casi) non è
andato a buon fine per questioni logistiche. Di conseguenza, le interviste effettuate sono state 90
di cui 79 sono i dottori in una delle 5 lauree magistrali di Scienze della Comunicazione e 11 i
laureati nel corso interfacoltà, con un tasso di copertura complessivo del 24,5%.
Per quanto riguarda le chance di ingresso al mercato per i neolaureati magistrali, l’indagine di
quest’anno restituisce una fotografia in cui i colori si sono fatti più cupi rispetto a quanto emerso
nelle rilevazioni degli scorsi anni. Il perdurare della crisi economica ha cominciato a fiaccare anche
i settori della Comunicazione visto che, per la prima volta, si registra un aumento dei neodottori
non occupati ad almeno un anno dalla laurea.
Per capire come e quanto i dottori in Comunicazione si trovino a fronteggiare le impervie strade di
accesso al mondo del lavoro, consideriamo per il momento solo i 79 intervistati che hanno
conseguito il titolo di II livello in una delle cinque lauree magistrali attive a Scienze della
Comunicazione della Sapienza. Tralasciamo, dunque, in questa analisi preliminare le sorti degli 11
laureati nel corso interfacoltà - che tuttavia recupereremo più avanti - in quanto il mercato di
riferimento si alimenta pure di settori diversi da quelli propri della comunicazione e comunque tutti
sono risultati occupati al momento dell’intervista (solo una persona stava svolgendo uno stage
retribuito in azienda).
Ad un anno dal conseguimento del titolo magistrale, non lavora il 25,3% dei neo-dottori in
Comunicazione. Un risultato che, se da un lato appare confortante in quanto inferiore di circa 3
punti percentuali rispetto al dato sulla disoccupazione giovanile diffuso dall’Istat ad aprile 2011
(che attestandosi al 28,5% rimane stabile rispetto ad un anno prima), dall’altro, in realtà evidenzia
una crescente difficoltà del mercato della comunicazione ad accogliere i neolaureati: rispetto ad un
anno fa, la percentuale di chi non lavora è aumentata di circa 5 punti (passando dal 20,3% di
aprile 2010 al 25,3% di aprile 2011). Un aspetto ancor più inquietante se, in linea con le definizioni
adottate dall’indagine ISTAT sulla condizione occupazionale dei laureati e da AlmaLaurea, si
considerano come non occupati tutti i dottori che dichiarano di non svolgere un’attività lavorativa
retribuita o di essere impegnati in un’attività di formazione (dottorato, specializzazione, borsa di
studio, stage, tirocinio) sebbene retribuita e/o in azienda: in questo caso, la percentuale di non
lavoratori sale a 31,7%3.
A differenza del recente passato, quando i colpi inferti dalla crisi sembravano interessare il mercato
occupazionale della comunicazione solo in modo marginale, gli effetti degli andamenti economici
assumono quest’anno un peso più consistente e ciò diviene evidente se si considerano tutti i


3
    Il corrispondente tasso di disoccupazione pubblicato da AlmaLaurea nel rapporto 2011 sulla Condizione Occupazionale
    dei Laureati si attesta, per i laureati in corsi di laurea magistrali attive a Scienze della Comunicazione, al 39,4% mentre
    il tasso di disoccupazione, calcolato in linea con la definizione della disoccupazione giovanile adottata dall’Istat, risulta
    del 26,7%.
                                                                                                                               2
neolaureati intervistati. Adottando la definizione di occupato di AlmaLaurea4, dalla rilevazione
Unimonitor emerge che lavorano 645 neolaureati, pari a circa 2 dottori su 3. Benché solo un quinto
degli intervistati non sia inserito in un settore concernente la comunicazione, non sembra esserci
un sostanziale scollamento tra percorsi formativi e mercato del lavoro. Ciò nonostante le condizioni
di lavoro sono peggiorate nel corso dell’ultimo anno. Le qualifiche dei dottori risultano trasversali
rispetto alla loro formazione, come se si fosse disposti ad accettare qualsiasi opportunità di lavoro
purché attinente il settore di riferimento. Si rafforzano le condizioni di volatilità e precarietà che
caratterizzano l’ingresso nel mondo del lavoro: la quasi totalità dei lavoratori (solo 7 sono alla loro
prima esperienza) ha avuto altre esperienze, sempre all’insegna di forme contrattuali non
standard. Infatti, pur aumentando di circa 2 punti percentuali la quota degli occupati a tempo
indeterminato (11 lavoratori, pari al 17,2%, di cui la metà già lavorava prima della laurea), ben 1
su 2 ha un contratto atipico, per lo più di tipo occasionale o di consulenza, mentre 1 su 4 ha un
contratto a tempo determinato. Tutto ciò assume un significato ancor più rilevante se si nota che
quasi la metà degli 11 lavoratori con contratto a tempo indeterminato operano in settori non
concernenti la comunicazione. Da notare, inoltre, che rispetto all’indagine 2010 diminuisce di 5
punti percentuali la quota dei contratti a progetto, la cui durata nella metà dei casi è compresa tra
i 6 e i 12 mesi, mentre si registra un aumento delle consulenze e una new entry costituita dal
lavoro occasionale.
In generale, quindi, emerge un mercato caratterizzato da forme contrattuali atipiche (contratti a
progetto, occasionali/consulenza) da cui appare difficile riuscire ad emergere.
Risente del peggioramento delle condizioni di lavoro, in egual misura, la soddisfazione nei confronti
dell’attività svolta che, pur attestandosi sempre su livelli molto alti (sono 52 i lavoratori, pari
all’81,2%, che si dichiarano soddisfatti), scende di circa 9 punti percentuali, orientando oltre la
metà degli occupati verso la ricerca di un altro lavoro. Un ulteriore elemento che pone l’attenzione
sul clima di cambiamento in atto non solo nel mercato occupazionale ma anche nelle
preoccupazioni per il futuro da parte dei neolaureati è la presenza, per la prima volta, di persone
che si dichiarano per nulla soddisfatte della attività svolta.
Sull’altro fronte, i giovani senza un’occupazione – i cosiddetti non lavoratori - sono 266: tra questi
dobbiamo distinguere i non lavoratori puri, 20 neolaureati che, al momento dell’intervista, hanno
dichiarato di non svolgere alcuna attività lavorativa e di essere in cerca di lavoro, e 6 neolaureati
che non possiamo proprio considerare non lavoratori a tutti gli effetti in quanto al momento della
rilevazione stavano svolgendo uno stage, un’attività di formazione in azienda.
In una società “Politically Correct” come la nostra, anche i giovani senza un’occupazione, non
potevano essere etichettati con una parola che potesse subito identificarli, ma sono preceduti da
una negazione di quello che vorrebbero essere: lavoratori.
Ed allora quali sono i segni particolari dei non lavoratori? In realtà nessuno che possa giustificare o
motivare la loro attuale condizione.
I non lavoratori sono giovani dottori in comunicazione, i quali, a prescindere dalle giustificazioni
addotte nell’intraprendere questo percorso, si trovano, ora, a combattere per trovare la loro
dimensione e la loro strada. Sono giovani intraprendenti che non hanno nulla da invidiare alle
capacità dei colleghi lavoratori ed aspirano a trovare un posto nel mondo, coerentemente al
percorso effettuato. Giovani che “ai tempi dell’Università” si sono trovati ad affrontare ben altre
battaglie: la disorganizzazione in primis, a detta di molti. Una disorganizzazione che è diventata,



4
    Sono considerati “occupati” - analogamente all’indagine ISTAT sull’inserimento professionale dei laureati - gli
    intervistati che dichiarano di svolgere un’attività lavorativa retribuita, anche non in regola, con esclusione delle attività
    di formazione (stage, tirocinio, praticantato, dottorato, specializzazione).
5
    Di questi 54 hanno conseguito il titolo in uno dei 5 corsi magistrali attivi nella Facoltà di Scienze della Comunicazione
    mentre 10 si sono laureati nel corso interfacoltà di Innovazione e Sviluppo.
6
    Tutti si sono laureati in uno dei cinque corsi magistrali della Facoltà di Scienze della Comunicazione, tranne un
    neolaureato nel corso interfacoltà che al momento dell’intervista era impegnato in uno stage.
                                                                                                                               3
col senno del poi, un pregio grazie al quale sono cresciuti e che li ha iniziati alla sopravvivenza al
mondo “lì fuori”. Giovani ambiziosi e competitivi a cui non viene riconosciuta un’identità definita e
che spesso vengono scavalcati, nel mondo del lavoro, dai “fratelli” economisti, almeno in base alle
percezioni riportate.
Comunicatori.. gioie e dolori! Ebbene si!
Da quanto è emerso durante l’indagine, proprio il titolo di studio conseguito è accusato di non
fornire ai neolaureati un profilo specifico, atto a connotarli in maniera distintiva nella feroce giungla
del mercato. Duplici sarebbero le conseguenze: per i neocomunicatori consistono nella difficoltà di
effettuare una scrematura tra le offerte di lavoro, in quanto non riescono a comprendere quali si
possano meglio addire al proprio profilo; per i datori di lavoro, manca una effettiva conoscenza
delle reali potenzialità garantite da un certo tipo di preparazione.
Ed ecco un altro nodo cruciale: la formazione.
All’atto pratico, è minimo o quasi nullo il riconoscimento da parte degli intervistati alla Facoltà per
aver fornito loro competenze utili e spendibili. A quanto pare, solo grazie ad esperienze condotte
all’estero, a motivi personali o in occasione di Erasmus, c’è stata una concreta possibilità di entrare
in contatto con strumenti qualificanti. In genere, è la prima impressione ciò che conta ed in questo
caso l’idea e il ricordo che rimane dell’esperienza universitaria rimarrà impressa a vita.
Dall’analisi emergono tre i filoni che connotano umori e amori nei confronti del proprio vissuto da
studente: delusi, idealisti e razionali.
I delusi (8 non lavoratori puri dei 26 senza un’occupazione) sono contraddistinti da un sentimento
di amarezza mista a frustrazione e ciò deriva da un percorso affrontato “a tentoni” senza, a loro
avviso, una guida a cui far riferimento; di conseguenza, sono diventati spietati giudici che
chiamano l’inutilità del titolo di laurea al banco degli imputati, ritenendola la principale imputata
della loro condizione attuale con l’aggravante che, anche con il diploma, le opportunità lavorative
offerte da Sdc risultano poco accessibili.
Gli idealisti (7 non lavoratori puri) rappresentano il lato opposto della medaglia, rispetto ai delusi:
sono coloro che hanno raccolto, lungo la strada, continui stimoli, coltivato tanta passione e che
continuano a credere alle scelte effettuate in passato in maniera ancor più determinata. Alla
stregua dei guerrieri, sono pronti a difendere la patria (facoltà), con tutta la forza che hanno, dagli
attacchi inferti dall’esterno.
E come si dice: “La verità sta nel mezzo”, i razionali. Si tratta di cinque persone molto ponderate
che riescono lucidamente a collocare su una bilancia pregi e difetti della loro esperienza, senza
rinnegarne alcunché. Sono consci dell’attuale situazione lavorativa, ma non puntano il dito contro
la formazione ricevuta, anzi, continuano a crederci. Eppure, se avessero la possibilità di fare un
passo indietro, effettuerebbero scelte più oculate rispetto al percorso di studio e di lavoro da
intraprendere.
L’ultimo step è costituito dai “fuori categoria”, coloro che stanno svolgendo un’esperienza
lavorativa, sebbene di stampo formativo, ossia 6 stagiaire. Sono comunicatori brillantemente
inseriti con qualifiche specializzanti nell’ambito del marketing/comunicazione aziendale,
dell’organizzazione di eventi e del settore radiotelevisivo. Quasi tutti non sono alla prima
esperienza: gli stage precedenti hanno avuto, nella metà dei casi, durata inferiore ai 6 mesi e non
sempre si sono rilevati utili ai fini di una crescita professionale. Nel loro girovagare tra un ambito
occupazionale e l’altro sono poi approdati all’attuale stage, inscritto principalmente nell’ambito
della comunicazione, che ha una durata inferiore a sei mesi nella metà dei casi, nell’altra è di un
anno, attraverso il placement universitario o tramite corsi di formazione/master.
Purtroppo, come spesso avviene in occasione di stage, non è necessariamente previsto
l’inserimento all’interno delle strutture e il rimborso spese è quasi nullo o tutt’al più irrisorio (non
supera i 5 mila euro). Nonostante ciò, la soddisfazione per le mansioni svolte è alta e la ricerca di
alternative non è contemplata dalla metà degli intervistati, in virtù del forte interesse nutrito nei
confronti di ciò che si sta sperimentando sul campo.

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In definitiva i non lavoratori sono giovani che, nella loro ricerca di un impiego, rimbalzano tra stage
e consulenze, peraltro non propedeutiche ad un inserimento. Al contrario, sono il preludio di tante
altre esperienze simili che non portano, in ogni caso, alla disillusione.
Saranno pazzi? No, semplicemente Comunicatori.




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2. Nei panni del neolaureato: fronteggiare il mercato del lavoro
di Manuela Bartolotta e Corrado Peperoni

Anche l’indagine condotta quest’anno sui laureati magistrali di Scienze della Comunicazione (SdC)
ha inteso esaminare dal punto di vista argomentativo, attraverso una specifica sezione del
questionario, l’approccio con il mondo del lavoro, oltre a meriti e criticità dell’esperienza formativa
maturata. Mediante un’analisi testuale esplorativa ed ermeneutica delle risposte7, è stato possibile
rintracciare l’atteggiamento maturato nei confronti del percorso formativo, integrato da una
relativa valutazione in merito. In particolare, il focus ha preso in esame pregi e limiti della
formazione in Comunicazione segnalati dagli intervistati e ha permesso di registrare le loro
proposte di rinnovamento.
Nel complesso, è stato riscontrato un buon livello di omogeneità - ovvero, un’esplicita ricorrenza
dei fattori ritenuti più significativi - sia per quanto riguarda la disamina di pregi e limiti, sia nella
lettura delle proposte di rinnovamento: né il genere, né l’appartenenza ad un diverso corso di
laurea magistrale o lo stato occupazionale degli intervistati sembra aver orientato le risposte.
In particolare, i pregi segnalati dai neolaureati pongono l’enfasi su tre principali aspetti:
    1. il curriculum di SdC: in generale, gli intervistati hanno una considerazione piuttosto
       positiva degli insegnamenti di cui fanno esperienza nei differenti corsi di laurea. Le materie
       sono apprezzate per il taglio innovativo e attuale ma, soprattutto, per il carattere di
       trasversalità rispetto ai settori di applicazione: una caratteristica che, a detta dei neolaureati,
       garantirebbe loro il vantaggio di collocarsi in molteplici ambiti lavorativi. Una formazione,
       dunque, definita ad ampio spettro, che gode di un’apertura mentale piuttosto apprezzata,
       non solo in quanto fonte di arricchimento culturale, quanto perché capace di conferire chiavi
       di lettura critiche per interpretare e leggere la realtà sociale;
    2. il corpo docente: nella maggior parte delle risposte, e in maniera trasversale a tutti i corsi
       di laurea, viene esaltata la qualità dei professori per la loro capacità di trasferire conoscenze
       e competenze efficaci. Il pregio si rileva soprattutto nel loro apporto alla diffusione di
       un’esperienza pratica, direttamente collegata con il mondo del lavoro. Da sottolineare,
       inoltre, l’apprezzamento per una relazione diretta con i professori, idonea a rafforzare la
       crescita personale dello studente;
    3. il valore formativo della laurea di secondo livello: molto più gradita della triennale è la
       laurea magistrale, specie per la possibilità di realizzare project work e lavori in team.
L’analisi dei limiti della formazione in SdC si può meglio comprendere passando in esame le
proposte degli intervistati, finalizzate a rinnovare e a potenziare il corso di laurea.
Viene suggerito, innanzitutto, un maggiore collegamento con il mondo del lavoro, in
particolare, mediante azioni tese a curare la fase post-universitaria del neolaureato.
“Orientamento”, “tutoraggio” e “assistenza” nel passaggio al mondo professionale sono i termini
più ricorrenti. In molti casi, a conclusione del percorso di studi, i giovani dottori si sentono un po’
soli e abbandonati di fronte all’impervia strada da intraprendere a livello lavorativo. Pertanto,
auspicano l’incentivazione di stages da effettuarsi durante la frequentazione del corso di laurea,
con la garanzia che tali opportunità siano validate dal corso di laurea e, dunque, risultino del tutto
formative.
Una richiesta espressa dagli intervistati consiste nell’ulteriore aumento di laboratori, seminari
e tirocini all’interno dell’offerta formativa. Allo stato attuale, viene segnalata l’eccessiva
prevalenza degli aspetti teorici su quelli pratici e, nell’ottica dei neolaureati, un certo grado di
ridondanza delle materie affrontate tra il corso triennale e quello magistrale. L’eterogeneità degli



7
    Il materiale testuale esaminato è relativo a 89 interviste, e cioè a tutti i laureati che hanno partecipato all’indagine,
    tranne una di cui purtroppo la registrazione della sezione specifica dell’intervista è illeggibile.
                                                                                                                           6
insegnamenti viene percepita come un limite quando è lasciata ad un eccessivo grado di genericità
e non è indirizzata da un’esperienza pratica e operativa rispetto a quanto appreso. All’interno di
questa richiesta si colloca una maggiore acquisizione di competenze tecniche, soprattutto legate al
web, che va dalla progettazione di siti all’apprendimento di programmi base per la gestione di
contenuti online, oppure dalla predisposizione di corsi di progettazione e di simulazione di
campagne alla redazione di testi scientifici.
Gli intervistati auspicano la riduzione del numero degli esami. A tal proposito va sottolineato
che la loro esperienza formativa si inseriva nell’ordinamento 509, caratterizzato dalla proliferazione
degli insegnamenti. Come dimostrato pure dalla successiva riforma in ordinamento 270, l’eccesso
di materie contrasta con la volontà dei neolaureati di approfondire alcuni corsi specifici, come quelli
legati alla comunicazione, al marketing e alla pubblicità. Gli insegnamenti, inoltre, potrebbero
essere maggiormente connessi con il mondo del lavoro, ridotti nel numero, ma più specifici e
professionalizzanti. Non solo dovrebbero essere connotati da tematiche affini al corso di laurea in
comunicazione, ma pure da materie inscritte in ambiti quali contabilità, economia o teoria
aziendale. Non si può tralasciare, inoltre, l’auspicio per l’attivazione di corsi di lingua professionali e
pluriennali. A volte gli stessi neolaureati lamentano l’incapacità nel comprendere le attività che può
svolgere un comunicatore, tanto che tale deficit emerge al momento del confronto con il mondo
del lavoro.
Da ultimo, il suggerimento di introdurre il numero chiuso è finalizzato a contrastare due
aspetti: l’inefficace organizzazione a livello di strutture e aule disponibili e la percezione
dell’eccessivo numero di laureati in SdC. Si tratta di due criticità che, secondo gli intervistati, hanno
contribuito ad accrescere in negativo la visibilità esterna di SdC e ad abbassare la qualità percepita
del percorso di studi.
Alla domanda di una rinnovata iscrizione al corso di laurea in comunicazione sono state prevalenti
le risposte affermative: 45 neolaureati su 89 si iscriverebbero di nuovo al percorso appena
concluso; tre rispondenti, invece, hanno eluso la risposta. I pareri affermativi, quindi,
corrispondono a poco più della metà degli intervistati e riguardano in prevalenza donne che
occupano una posizione lavorativa. La superiorità di risposte positive, però, non risulta così
schiacciante se si esaminano i singoli corsi di laurea e, nell’analisi complessiva, sembra una magra
consolazione. Scienze della Comunicazione verrebbe scelta per il tipo di formazione che offre: è
considerata una laurea soddisfacente sotto il profilo culturale e in linea con le passioni degli
intervistati. Di contro, sarebbe un’opzione da non prendere in considerazione se si dovesse tener
conto solo dei limiti precedentemente esposti e, soprattutto, per le difficoltà riscontrate
nell’accesso al mercato del lavoro.
Abbiamo chiesto ai laureati magistrali in Comunicazione cosa, del loro iter formativo, fosse risultato
più efficace e spendibile sul mercato del lavoro. La maggior parte di loro ha citato esperienze
laboratoriali, stage, Erasmus, tesi e quei corsi che hanno consentito di sperimentarsi in lavori di
gruppo. Rispetto alle aree disciplinari il gradimento si riscontra per i corsi di marketing e quelli
legati al web o, più in generale, alla digitalizzazione del panorama mediale. Da rilevare, tuttavia,
come una quota consistente di intervistati (11 su 89) ritenga che “nulla sia stato utile”. La
distribuzione di questi laureati - decisamente insoddisfatti - è piuttosto uniforme tra appartenenti a
diversi corsi di laurea magistrale, sia occupati, sia non occupati. Solo per il corso di laurea che,
almeno dalla prima parte della sua denominazione, sembrerebbe il maggior indiziato di non fornire
know how operativi ai propri laureati, Teoria della comunicazione e ricerca applicata, non ci sono
stati intervistati che abbiano dichiarato di non aver trovato utile in alcun modo il proprio percorso
accademico.
Quanto poi al fatto che il titolo di studio sia in sé sufficiente per trovare lavoro, rispondono di no
41 dei 69 intervistati che hanno dichiarato di lavorare o essere impegnati in uno stage. Molti
sottolineano il rilievo di ulteriori investimenti nella formazione post lauream (ad esempio un
Master), altri il fatto che sia fondamentale poter vantare esperienze professionali pregresse,
decisive a garanzia di un maggiore appeal sul mercato.

                                                                                                         7
Tinte particolarmente cupe caratterizzano il quadro che si presenta, invece, quando si chiede ai
laureati quale sia la reputazione di Scienze della Comunicazione: su 89 intervistati, ben 81
ritengono che SdC goda di cattiva fama. Dall’analisi testuale, il lemma di gran lunga più ricorrente
è pregiudizio, e varrà la pena ritornaci in seguito. Tra le cause della reputazione negativa, vi è
l’idea diffusa che il corso di laurea sia troppo generico (tuttologia, ne carne ne pesce...), poco
selettivo o centrato su materie di scarso rigore scientifico (scienza delle merendine, acqua fresca,
aleatoria, miscuglio di mestieri...). Riguardo ai primi due aspetti gli intervistati sembrano
concordare, sottolineando l’opportunità di reinserire il numero chiuso e di focalizzare di più l’offerta
formativa. In merito alla leggerezza e allo scarso rigore scientifico si registra invece un certo scatto
d’orgoglio, con più di un intervistato che rivendica i numerosi esami di area economico-statistica
sostenuti. Tra le risposte relative alla reputazione del corso di laurea merita d’essere citata la
presenza di segmenti ripetuti come serie B e di ripiego, che danno, ancora una volta, l’idea della
perdurante crisi di immagine delle Scienze della Comunicazione in Italia.
Dallo studio emergono due elementi, complementari, e le possibili azioni correttive da
intraprendere:
    1. il pregiudizio nei confronti del corso di laurea in SdC: pregiudizio, quindi giudizio
       formatosi in assenza di conoscenza. Gli intervistati chiedono con forza azioni che sappiano
       aumentare la conoscenza della corso di laurea agli “esterni”, i quali spesso ne hanno un’idea
       del tutto approssimativa. Sembra quasi che SdC, dagli anni della sua costituzione, sia stata
       capace di fare notizia, ma non di meritarsi approfondimenti conoscitivi. La sfida, che non può
       non essere colta, è di divulgare in maniera efficace la natura dell’offerta formativa, così da
       migliorare la propria immagine. A tal proposito, è significativo che gli intervistati evidenzino
       come, in sede di colloquio, persino i selezionatori mostrino sovente meraviglia ed
       apprezzamento per la presenza nel loro curriculum di esami afferenti all’area economico-
       statistica. È evidente che, fin qui, non si è riusciti a far sapere - ci si consenta il gioco di
       parole – quanto i laureati in SdC sappiano associare i numeri alla nota capacità affabulatoria.
    2. La sofferta competizione dei laureati in Comunicazione con quelli in Economia.
       L’analisi testuale evidenzia come questa sorta di soffocanti fratelli maggiori risulti un
       ingombro per gli intervistati, al di là del tipo di laurea magistrale conseguita. Per meglio dire,
       si tratta di una “sindrome” che non affligge solo gli specializzati in comunicazione d’impresa.
       Il dato interessante è che, come visto, gli intervistati indicano il marketing, disciplina
       economico-aziendale, tra gli insegnamenti a maggior gradiente di utilità. Il rischio è quello
       dell’innescarsi di un circolo vizioso, in cui, da un lato, ci si dichiara discriminati nei confronti
       dei dottori in Economia, dall’altro, ci si indirizza su aree disciplinari in cui è più probabile
       trovarsi coinvolti in quello che si ritiene uno scontro impari. L’obiettivo che ci si deve
       prefissare - attraverso un percorso formativo mirato, un link diretto con il mondo delle
       imprese ed una efficace presentazione all’esterno (cfr. il punto precedente) – è di passare da
       un percorso di rincorsa ad uno di distinzione.


In conclusione, i risultati dell’indagine 2011 confermano, in linea con quanto emerso un anno fa,
alcune questioni sostanziali che fanno della Comunicazione un terreno da consolidare. La
percezione dei neodottori al confronto con il mondo del lavoro è quella di professionisti in fieri,
capaci di guardare al percorso accademico appena concluso, con lucidità e senso critico, ed al
presente/futuro lavorativo sospesi tra speranza e frustrazione, tra necessità di riconoscimento e
incerta autostima, tra reattività e tentazione di arrendersi a confronti ritenuti impari.... Il tutto in
un contesto che, secondo le stesse parole degli intervistati, tarda a riconoscere un adeguato status
alle Scienze, ancor più che ai professionisti, della Comunicazione.




                                                                                                         8

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  • 1. Identità inquiete tra formazione e mercato. XIV Rapporto Unimonitor (a.a. 2010-11) Laurearsi in comunicazione in tempi di crisi 1. Alle prese con il lavoro: razionali, idealisti, sognatori di Laura Bocci e Germana Marcelli I laureati di II livello in Comunicazione alla prova del mercato del lavoro riescono ancora a contrastare colpi e contraccolpi a cui sono sottoposti in un periodo contrassegnato dal persistere della crisi economica? Questo l’interrogativo chiave e l’obiettivo conoscitivo del monitoraggio realizzato da Unimonitor.com tra marzo ed aprile 2011. La ricerca anche quest’anno, seguendo un filone iniziato nel 2008, indaga, ad almeno un anno dal conseguimento del titolo, lo status occupazionale dei laureati magistrali della Facoltà di Scienze della Comunicazione1 della Sapienza nell’anno solare 2009. L’intento è comprendere, ed allo stesso tempo osservare, i cambiamenti che sono intervenuti, da un lato, nelle modalità e negli ambiti di inserimento occupazionale dei neolaureati e, dall’altro, nella capacità del mercato di accogliere i neodottori di secondo livello in comunicazione in un periodo ancora fortemente segnato da notevoli difficoltà congiunturali. L’indagine è stata realizzata attraverso una intervista telefonica2, che si è avvalsa di un questionario articolato in due sezioni. La prima, destinata a quanti hanno dichiarato di essere occupati, prevedeva domande a risposta 1 Le lauree magistrali coinvolte nell’indagine sono le 5 interne alla facoltà di Scienze della Comunicazione: Comunicazione d’Impresa; Comunicazione Sociale e Istituzionale; Editoria, Comunicazione Multimediale e Giornalismo; Teoria della Comunicazione e Ricerca Applicata e il corso interfacoltà di Innovazione e Sviluppo. 2 Le interviste sono state condotte dagli allievi del dottorato in Scienze della Comunicazione (XXVI ciclo): Manuela Bartolotta, Christian Bonafede, Lorena Licenji, Corrado Peperoni, Paolo Sorrentino; oltre a due studentesse della laurea magistrale in Comunicazione d’Impresa, Nunzia Bifulco e Germana Marcelli. 1
  • 2. chiusa e ha puntato a far emergere ruolo ricoperto, modalità e tempi della ricerca di impiego, soddisfazione e reddito percepito, precedenti esperienze lavorative; mentre per le persone non occupate ha inteso approfondire occasioni e difficoltà incontrate nella fase di ricerca e di accesso al lavoro. La seconda sezione, costituita da una traccia strutturata con domande a risposta libera, ha consentito agli intervistati di esprimersi liberamente su aspetti specifici del percorso universitario e della vita lavorativa, nel caso degli occupati. In termini operativi, il campione casuale è stato selezionato dopo aver stratificato il collettivo di riferimento, costituito da 368 laureati di II livello nell’anno solare 2009, in base a due caratteristiche: genere e corso di laurea magistrale in cui è stato conseguito il titolo. Rispetto agli obiettivi dell’indagine si è deciso, in linea con quanto già accaduto nell’indagine 2010, di non considerare come variabile di stratificazione il voto di laurea, data l’esigua variabilità di tale caratteristica. Si consideri che il 59,2% dei laureati di II livello nell’anno 2009 ha ottenuto un voto di laurea pari a 110 (con o senza lode). Il numero complessivo di contatti è stato pari a 140 di cui, purtroppo, il 35,7% (50 casi) non è andato a buon fine per questioni logistiche. Di conseguenza, le interviste effettuate sono state 90 di cui 79 sono i dottori in una delle 5 lauree magistrali di Scienze della Comunicazione e 11 i laureati nel corso interfacoltà, con un tasso di copertura complessivo del 24,5%. Per quanto riguarda le chance di ingresso al mercato per i neolaureati magistrali, l’indagine di quest’anno restituisce una fotografia in cui i colori si sono fatti più cupi rispetto a quanto emerso nelle rilevazioni degli scorsi anni. Il perdurare della crisi economica ha cominciato a fiaccare anche i settori della Comunicazione visto che, per la prima volta, si registra un aumento dei neodottori non occupati ad almeno un anno dalla laurea. Per capire come e quanto i dottori in Comunicazione si trovino a fronteggiare le impervie strade di accesso al mondo del lavoro, consideriamo per il momento solo i 79 intervistati che hanno conseguito il titolo di II livello in una delle cinque lauree magistrali attive a Scienze della Comunicazione della Sapienza. Tralasciamo, dunque, in questa analisi preliminare le sorti degli 11 laureati nel corso interfacoltà - che tuttavia recupereremo più avanti - in quanto il mercato di riferimento si alimenta pure di settori diversi da quelli propri della comunicazione e comunque tutti sono risultati occupati al momento dell’intervista (solo una persona stava svolgendo uno stage retribuito in azienda). Ad un anno dal conseguimento del titolo magistrale, non lavora il 25,3% dei neo-dottori in Comunicazione. Un risultato che, se da un lato appare confortante in quanto inferiore di circa 3 punti percentuali rispetto al dato sulla disoccupazione giovanile diffuso dall’Istat ad aprile 2011 (che attestandosi al 28,5% rimane stabile rispetto ad un anno prima), dall’altro, in realtà evidenzia una crescente difficoltà del mercato della comunicazione ad accogliere i neolaureati: rispetto ad un anno fa, la percentuale di chi non lavora è aumentata di circa 5 punti (passando dal 20,3% di aprile 2010 al 25,3% di aprile 2011). Un aspetto ancor più inquietante se, in linea con le definizioni adottate dall’indagine ISTAT sulla condizione occupazionale dei laureati e da AlmaLaurea, si considerano come non occupati tutti i dottori che dichiarano di non svolgere un’attività lavorativa retribuita o di essere impegnati in un’attività di formazione (dottorato, specializzazione, borsa di studio, stage, tirocinio) sebbene retribuita e/o in azienda: in questo caso, la percentuale di non lavoratori sale a 31,7%3. A differenza del recente passato, quando i colpi inferti dalla crisi sembravano interessare il mercato occupazionale della comunicazione solo in modo marginale, gli effetti degli andamenti economici assumono quest’anno un peso più consistente e ciò diviene evidente se si considerano tutti i 3 Il corrispondente tasso di disoccupazione pubblicato da AlmaLaurea nel rapporto 2011 sulla Condizione Occupazionale dei Laureati si attesta, per i laureati in corsi di laurea magistrali attive a Scienze della Comunicazione, al 39,4% mentre il tasso di disoccupazione, calcolato in linea con la definizione della disoccupazione giovanile adottata dall’Istat, risulta del 26,7%. 2
  • 3. neolaureati intervistati. Adottando la definizione di occupato di AlmaLaurea4, dalla rilevazione Unimonitor emerge che lavorano 645 neolaureati, pari a circa 2 dottori su 3. Benché solo un quinto degli intervistati non sia inserito in un settore concernente la comunicazione, non sembra esserci un sostanziale scollamento tra percorsi formativi e mercato del lavoro. Ciò nonostante le condizioni di lavoro sono peggiorate nel corso dell’ultimo anno. Le qualifiche dei dottori risultano trasversali rispetto alla loro formazione, come se si fosse disposti ad accettare qualsiasi opportunità di lavoro purché attinente il settore di riferimento. Si rafforzano le condizioni di volatilità e precarietà che caratterizzano l’ingresso nel mondo del lavoro: la quasi totalità dei lavoratori (solo 7 sono alla loro prima esperienza) ha avuto altre esperienze, sempre all’insegna di forme contrattuali non standard. Infatti, pur aumentando di circa 2 punti percentuali la quota degli occupati a tempo indeterminato (11 lavoratori, pari al 17,2%, di cui la metà già lavorava prima della laurea), ben 1 su 2 ha un contratto atipico, per lo più di tipo occasionale o di consulenza, mentre 1 su 4 ha un contratto a tempo determinato. Tutto ciò assume un significato ancor più rilevante se si nota che quasi la metà degli 11 lavoratori con contratto a tempo indeterminato operano in settori non concernenti la comunicazione. Da notare, inoltre, che rispetto all’indagine 2010 diminuisce di 5 punti percentuali la quota dei contratti a progetto, la cui durata nella metà dei casi è compresa tra i 6 e i 12 mesi, mentre si registra un aumento delle consulenze e una new entry costituita dal lavoro occasionale. In generale, quindi, emerge un mercato caratterizzato da forme contrattuali atipiche (contratti a progetto, occasionali/consulenza) da cui appare difficile riuscire ad emergere. Risente del peggioramento delle condizioni di lavoro, in egual misura, la soddisfazione nei confronti dell’attività svolta che, pur attestandosi sempre su livelli molto alti (sono 52 i lavoratori, pari all’81,2%, che si dichiarano soddisfatti), scende di circa 9 punti percentuali, orientando oltre la metà degli occupati verso la ricerca di un altro lavoro. Un ulteriore elemento che pone l’attenzione sul clima di cambiamento in atto non solo nel mercato occupazionale ma anche nelle preoccupazioni per il futuro da parte dei neolaureati è la presenza, per la prima volta, di persone che si dichiarano per nulla soddisfatte della attività svolta. Sull’altro fronte, i giovani senza un’occupazione – i cosiddetti non lavoratori - sono 266: tra questi dobbiamo distinguere i non lavoratori puri, 20 neolaureati che, al momento dell’intervista, hanno dichiarato di non svolgere alcuna attività lavorativa e di essere in cerca di lavoro, e 6 neolaureati che non possiamo proprio considerare non lavoratori a tutti gli effetti in quanto al momento della rilevazione stavano svolgendo uno stage, un’attività di formazione in azienda. In una società “Politically Correct” come la nostra, anche i giovani senza un’occupazione, non potevano essere etichettati con una parola che potesse subito identificarli, ma sono preceduti da una negazione di quello che vorrebbero essere: lavoratori. Ed allora quali sono i segni particolari dei non lavoratori? In realtà nessuno che possa giustificare o motivare la loro attuale condizione. I non lavoratori sono giovani dottori in comunicazione, i quali, a prescindere dalle giustificazioni addotte nell’intraprendere questo percorso, si trovano, ora, a combattere per trovare la loro dimensione e la loro strada. Sono giovani intraprendenti che non hanno nulla da invidiare alle capacità dei colleghi lavoratori ed aspirano a trovare un posto nel mondo, coerentemente al percorso effettuato. Giovani che “ai tempi dell’Università” si sono trovati ad affrontare ben altre battaglie: la disorganizzazione in primis, a detta di molti. Una disorganizzazione che è diventata, 4 Sono considerati “occupati” - analogamente all’indagine ISTAT sull’inserimento professionale dei laureati - gli intervistati che dichiarano di svolgere un’attività lavorativa retribuita, anche non in regola, con esclusione delle attività di formazione (stage, tirocinio, praticantato, dottorato, specializzazione). 5 Di questi 54 hanno conseguito il titolo in uno dei 5 corsi magistrali attivi nella Facoltà di Scienze della Comunicazione mentre 10 si sono laureati nel corso interfacoltà di Innovazione e Sviluppo. 6 Tutti si sono laureati in uno dei cinque corsi magistrali della Facoltà di Scienze della Comunicazione, tranne un neolaureato nel corso interfacoltà che al momento dell’intervista era impegnato in uno stage. 3
  • 4. col senno del poi, un pregio grazie al quale sono cresciuti e che li ha iniziati alla sopravvivenza al mondo “lì fuori”. Giovani ambiziosi e competitivi a cui non viene riconosciuta un’identità definita e che spesso vengono scavalcati, nel mondo del lavoro, dai “fratelli” economisti, almeno in base alle percezioni riportate. Comunicatori.. gioie e dolori! Ebbene si! Da quanto è emerso durante l’indagine, proprio il titolo di studio conseguito è accusato di non fornire ai neolaureati un profilo specifico, atto a connotarli in maniera distintiva nella feroce giungla del mercato. Duplici sarebbero le conseguenze: per i neocomunicatori consistono nella difficoltà di effettuare una scrematura tra le offerte di lavoro, in quanto non riescono a comprendere quali si possano meglio addire al proprio profilo; per i datori di lavoro, manca una effettiva conoscenza delle reali potenzialità garantite da un certo tipo di preparazione. Ed ecco un altro nodo cruciale: la formazione. All’atto pratico, è minimo o quasi nullo il riconoscimento da parte degli intervistati alla Facoltà per aver fornito loro competenze utili e spendibili. A quanto pare, solo grazie ad esperienze condotte all’estero, a motivi personali o in occasione di Erasmus, c’è stata una concreta possibilità di entrare in contatto con strumenti qualificanti. In genere, è la prima impressione ciò che conta ed in questo caso l’idea e il ricordo che rimane dell’esperienza universitaria rimarrà impressa a vita. Dall’analisi emergono tre i filoni che connotano umori e amori nei confronti del proprio vissuto da studente: delusi, idealisti e razionali. I delusi (8 non lavoratori puri dei 26 senza un’occupazione) sono contraddistinti da un sentimento di amarezza mista a frustrazione e ciò deriva da un percorso affrontato “a tentoni” senza, a loro avviso, una guida a cui far riferimento; di conseguenza, sono diventati spietati giudici che chiamano l’inutilità del titolo di laurea al banco degli imputati, ritenendola la principale imputata della loro condizione attuale con l’aggravante che, anche con il diploma, le opportunità lavorative offerte da Sdc risultano poco accessibili. Gli idealisti (7 non lavoratori puri) rappresentano il lato opposto della medaglia, rispetto ai delusi: sono coloro che hanno raccolto, lungo la strada, continui stimoli, coltivato tanta passione e che continuano a credere alle scelte effettuate in passato in maniera ancor più determinata. Alla stregua dei guerrieri, sono pronti a difendere la patria (facoltà), con tutta la forza che hanno, dagli attacchi inferti dall’esterno. E come si dice: “La verità sta nel mezzo”, i razionali. Si tratta di cinque persone molto ponderate che riescono lucidamente a collocare su una bilancia pregi e difetti della loro esperienza, senza rinnegarne alcunché. Sono consci dell’attuale situazione lavorativa, ma non puntano il dito contro la formazione ricevuta, anzi, continuano a crederci. Eppure, se avessero la possibilità di fare un passo indietro, effettuerebbero scelte più oculate rispetto al percorso di studio e di lavoro da intraprendere. L’ultimo step è costituito dai “fuori categoria”, coloro che stanno svolgendo un’esperienza lavorativa, sebbene di stampo formativo, ossia 6 stagiaire. Sono comunicatori brillantemente inseriti con qualifiche specializzanti nell’ambito del marketing/comunicazione aziendale, dell’organizzazione di eventi e del settore radiotelevisivo. Quasi tutti non sono alla prima esperienza: gli stage precedenti hanno avuto, nella metà dei casi, durata inferiore ai 6 mesi e non sempre si sono rilevati utili ai fini di una crescita professionale. Nel loro girovagare tra un ambito occupazionale e l’altro sono poi approdati all’attuale stage, inscritto principalmente nell’ambito della comunicazione, che ha una durata inferiore a sei mesi nella metà dei casi, nell’altra è di un anno, attraverso il placement universitario o tramite corsi di formazione/master. Purtroppo, come spesso avviene in occasione di stage, non è necessariamente previsto l’inserimento all’interno delle strutture e il rimborso spese è quasi nullo o tutt’al più irrisorio (non supera i 5 mila euro). Nonostante ciò, la soddisfazione per le mansioni svolte è alta e la ricerca di alternative non è contemplata dalla metà degli intervistati, in virtù del forte interesse nutrito nei confronti di ciò che si sta sperimentando sul campo. 4
  • 5. In definitiva i non lavoratori sono giovani che, nella loro ricerca di un impiego, rimbalzano tra stage e consulenze, peraltro non propedeutiche ad un inserimento. Al contrario, sono il preludio di tante altre esperienze simili che non portano, in ogni caso, alla disillusione. Saranno pazzi? No, semplicemente Comunicatori. 5
  • 6. 2. Nei panni del neolaureato: fronteggiare il mercato del lavoro di Manuela Bartolotta e Corrado Peperoni Anche l’indagine condotta quest’anno sui laureati magistrali di Scienze della Comunicazione (SdC) ha inteso esaminare dal punto di vista argomentativo, attraverso una specifica sezione del questionario, l’approccio con il mondo del lavoro, oltre a meriti e criticità dell’esperienza formativa maturata. Mediante un’analisi testuale esplorativa ed ermeneutica delle risposte7, è stato possibile rintracciare l’atteggiamento maturato nei confronti del percorso formativo, integrato da una relativa valutazione in merito. In particolare, il focus ha preso in esame pregi e limiti della formazione in Comunicazione segnalati dagli intervistati e ha permesso di registrare le loro proposte di rinnovamento. Nel complesso, è stato riscontrato un buon livello di omogeneità - ovvero, un’esplicita ricorrenza dei fattori ritenuti più significativi - sia per quanto riguarda la disamina di pregi e limiti, sia nella lettura delle proposte di rinnovamento: né il genere, né l’appartenenza ad un diverso corso di laurea magistrale o lo stato occupazionale degli intervistati sembra aver orientato le risposte. In particolare, i pregi segnalati dai neolaureati pongono l’enfasi su tre principali aspetti: 1. il curriculum di SdC: in generale, gli intervistati hanno una considerazione piuttosto positiva degli insegnamenti di cui fanno esperienza nei differenti corsi di laurea. Le materie sono apprezzate per il taglio innovativo e attuale ma, soprattutto, per il carattere di trasversalità rispetto ai settori di applicazione: una caratteristica che, a detta dei neolaureati, garantirebbe loro il vantaggio di collocarsi in molteplici ambiti lavorativi. Una formazione, dunque, definita ad ampio spettro, che gode di un’apertura mentale piuttosto apprezzata, non solo in quanto fonte di arricchimento culturale, quanto perché capace di conferire chiavi di lettura critiche per interpretare e leggere la realtà sociale; 2. il corpo docente: nella maggior parte delle risposte, e in maniera trasversale a tutti i corsi di laurea, viene esaltata la qualità dei professori per la loro capacità di trasferire conoscenze e competenze efficaci. Il pregio si rileva soprattutto nel loro apporto alla diffusione di un’esperienza pratica, direttamente collegata con il mondo del lavoro. Da sottolineare, inoltre, l’apprezzamento per una relazione diretta con i professori, idonea a rafforzare la crescita personale dello studente; 3. il valore formativo della laurea di secondo livello: molto più gradita della triennale è la laurea magistrale, specie per la possibilità di realizzare project work e lavori in team. L’analisi dei limiti della formazione in SdC si può meglio comprendere passando in esame le proposte degli intervistati, finalizzate a rinnovare e a potenziare il corso di laurea. Viene suggerito, innanzitutto, un maggiore collegamento con il mondo del lavoro, in particolare, mediante azioni tese a curare la fase post-universitaria del neolaureato. “Orientamento”, “tutoraggio” e “assistenza” nel passaggio al mondo professionale sono i termini più ricorrenti. In molti casi, a conclusione del percorso di studi, i giovani dottori si sentono un po’ soli e abbandonati di fronte all’impervia strada da intraprendere a livello lavorativo. Pertanto, auspicano l’incentivazione di stages da effettuarsi durante la frequentazione del corso di laurea, con la garanzia che tali opportunità siano validate dal corso di laurea e, dunque, risultino del tutto formative. Una richiesta espressa dagli intervistati consiste nell’ulteriore aumento di laboratori, seminari e tirocini all’interno dell’offerta formativa. Allo stato attuale, viene segnalata l’eccessiva prevalenza degli aspetti teorici su quelli pratici e, nell’ottica dei neolaureati, un certo grado di ridondanza delle materie affrontate tra il corso triennale e quello magistrale. L’eterogeneità degli 7 Il materiale testuale esaminato è relativo a 89 interviste, e cioè a tutti i laureati che hanno partecipato all’indagine, tranne una di cui purtroppo la registrazione della sezione specifica dell’intervista è illeggibile. 6
  • 7. insegnamenti viene percepita come un limite quando è lasciata ad un eccessivo grado di genericità e non è indirizzata da un’esperienza pratica e operativa rispetto a quanto appreso. All’interno di questa richiesta si colloca una maggiore acquisizione di competenze tecniche, soprattutto legate al web, che va dalla progettazione di siti all’apprendimento di programmi base per la gestione di contenuti online, oppure dalla predisposizione di corsi di progettazione e di simulazione di campagne alla redazione di testi scientifici. Gli intervistati auspicano la riduzione del numero degli esami. A tal proposito va sottolineato che la loro esperienza formativa si inseriva nell’ordinamento 509, caratterizzato dalla proliferazione degli insegnamenti. Come dimostrato pure dalla successiva riforma in ordinamento 270, l’eccesso di materie contrasta con la volontà dei neolaureati di approfondire alcuni corsi specifici, come quelli legati alla comunicazione, al marketing e alla pubblicità. Gli insegnamenti, inoltre, potrebbero essere maggiormente connessi con il mondo del lavoro, ridotti nel numero, ma più specifici e professionalizzanti. Non solo dovrebbero essere connotati da tematiche affini al corso di laurea in comunicazione, ma pure da materie inscritte in ambiti quali contabilità, economia o teoria aziendale. Non si può tralasciare, inoltre, l’auspicio per l’attivazione di corsi di lingua professionali e pluriennali. A volte gli stessi neolaureati lamentano l’incapacità nel comprendere le attività che può svolgere un comunicatore, tanto che tale deficit emerge al momento del confronto con il mondo del lavoro. Da ultimo, il suggerimento di introdurre il numero chiuso è finalizzato a contrastare due aspetti: l’inefficace organizzazione a livello di strutture e aule disponibili e la percezione dell’eccessivo numero di laureati in SdC. Si tratta di due criticità che, secondo gli intervistati, hanno contribuito ad accrescere in negativo la visibilità esterna di SdC e ad abbassare la qualità percepita del percorso di studi. Alla domanda di una rinnovata iscrizione al corso di laurea in comunicazione sono state prevalenti le risposte affermative: 45 neolaureati su 89 si iscriverebbero di nuovo al percorso appena concluso; tre rispondenti, invece, hanno eluso la risposta. I pareri affermativi, quindi, corrispondono a poco più della metà degli intervistati e riguardano in prevalenza donne che occupano una posizione lavorativa. La superiorità di risposte positive, però, non risulta così schiacciante se si esaminano i singoli corsi di laurea e, nell’analisi complessiva, sembra una magra consolazione. Scienze della Comunicazione verrebbe scelta per il tipo di formazione che offre: è considerata una laurea soddisfacente sotto il profilo culturale e in linea con le passioni degli intervistati. Di contro, sarebbe un’opzione da non prendere in considerazione se si dovesse tener conto solo dei limiti precedentemente esposti e, soprattutto, per le difficoltà riscontrate nell’accesso al mercato del lavoro. Abbiamo chiesto ai laureati magistrali in Comunicazione cosa, del loro iter formativo, fosse risultato più efficace e spendibile sul mercato del lavoro. La maggior parte di loro ha citato esperienze laboratoriali, stage, Erasmus, tesi e quei corsi che hanno consentito di sperimentarsi in lavori di gruppo. Rispetto alle aree disciplinari il gradimento si riscontra per i corsi di marketing e quelli legati al web o, più in generale, alla digitalizzazione del panorama mediale. Da rilevare, tuttavia, come una quota consistente di intervistati (11 su 89) ritenga che “nulla sia stato utile”. La distribuzione di questi laureati - decisamente insoddisfatti - è piuttosto uniforme tra appartenenti a diversi corsi di laurea magistrale, sia occupati, sia non occupati. Solo per il corso di laurea che, almeno dalla prima parte della sua denominazione, sembrerebbe il maggior indiziato di non fornire know how operativi ai propri laureati, Teoria della comunicazione e ricerca applicata, non ci sono stati intervistati che abbiano dichiarato di non aver trovato utile in alcun modo il proprio percorso accademico. Quanto poi al fatto che il titolo di studio sia in sé sufficiente per trovare lavoro, rispondono di no 41 dei 69 intervistati che hanno dichiarato di lavorare o essere impegnati in uno stage. Molti sottolineano il rilievo di ulteriori investimenti nella formazione post lauream (ad esempio un Master), altri il fatto che sia fondamentale poter vantare esperienze professionali pregresse, decisive a garanzia di un maggiore appeal sul mercato. 7
  • 8. Tinte particolarmente cupe caratterizzano il quadro che si presenta, invece, quando si chiede ai laureati quale sia la reputazione di Scienze della Comunicazione: su 89 intervistati, ben 81 ritengono che SdC goda di cattiva fama. Dall’analisi testuale, il lemma di gran lunga più ricorrente è pregiudizio, e varrà la pena ritornaci in seguito. Tra le cause della reputazione negativa, vi è l’idea diffusa che il corso di laurea sia troppo generico (tuttologia, ne carne ne pesce...), poco selettivo o centrato su materie di scarso rigore scientifico (scienza delle merendine, acqua fresca, aleatoria, miscuglio di mestieri...). Riguardo ai primi due aspetti gli intervistati sembrano concordare, sottolineando l’opportunità di reinserire il numero chiuso e di focalizzare di più l’offerta formativa. In merito alla leggerezza e allo scarso rigore scientifico si registra invece un certo scatto d’orgoglio, con più di un intervistato che rivendica i numerosi esami di area economico-statistica sostenuti. Tra le risposte relative alla reputazione del corso di laurea merita d’essere citata la presenza di segmenti ripetuti come serie B e di ripiego, che danno, ancora una volta, l’idea della perdurante crisi di immagine delle Scienze della Comunicazione in Italia. Dallo studio emergono due elementi, complementari, e le possibili azioni correttive da intraprendere: 1. il pregiudizio nei confronti del corso di laurea in SdC: pregiudizio, quindi giudizio formatosi in assenza di conoscenza. Gli intervistati chiedono con forza azioni che sappiano aumentare la conoscenza della corso di laurea agli “esterni”, i quali spesso ne hanno un’idea del tutto approssimativa. Sembra quasi che SdC, dagli anni della sua costituzione, sia stata capace di fare notizia, ma non di meritarsi approfondimenti conoscitivi. La sfida, che non può non essere colta, è di divulgare in maniera efficace la natura dell’offerta formativa, così da migliorare la propria immagine. A tal proposito, è significativo che gli intervistati evidenzino come, in sede di colloquio, persino i selezionatori mostrino sovente meraviglia ed apprezzamento per la presenza nel loro curriculum di esami afferenti all’area economico- statistica. È evidente che, fin qui, non si è riusciti a far sapere - ci si consenta il gioco di parole – quanto i laureati in SdC sappiano associare i numeri alla nota capacità affabulatoria. 2. La sofferta competizione dei laureati in Comunicazione con quelli in Economia. L’analisi testuale evidenzia come questa sorta di soffocanti fratelli maggiori risulti un ingombro per gli intervistati, al di là del tipo di laurea magistrale conseguita. Per meglio dire, si tratta di una “sindrome” che non affligge solo gli specializzati in comunicazione d’impresa. Il dato interessante è che, come visto, gli intervistati indicano il marketing, disciplina economico-aziendale, tra gli insegnamenti a maggior gradiente di utilità. Il rischio è quello dell’innescarsi di un circolo vizioso, in cui, da un lato, ci si dichiara discriminati nei confronti dei dottori in Economia, dall’altro, ci si indirizza su aree disciplinari in cui è più probabile trovarsi coinvolti in quello che si ritiene uno scontro impari. L’obiettivo che ci si deve prefissare - attraverso un percorso formativo mirato, un link diretto con il mondo delle imprese ed una efficace presentazione all’esterno (cfr. il punto precedente) – è di passare da un percorso di rincorsa ad uno di distinzione. In conclusione, i risultati dell’indagine 2011 confermano, in linea con quanto emerso un anno fa, alcune questioni sostanziali che fanno della Comunicazione un terreno da consolidare. La percezione dei neodottori al confronto con il mondo del lavoro è quella di professionisti in fieri, capaci di guardare al percorso accademico appena concluso, con lucidità e senso critico, ed al presente/futuro lavorativo sospesi tra speranza e frustrazione, tra necessità di riconoscimento e incerta autostima, tra reattività e tentazione di arrendersi a confronti ritenuti impari.... Il tutto in un contesto che, secondo le stesse parole degli intervistati, tarda a riconoscere un adeguato status alle Scienze, ancor più che ai professionisti, della Comunicazione. 8