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Banca Nazionale del Lavoro
Gruppo BNP Paribas
Via Vittorio Veneto 119
00187 Roma
Autorizzazione del Tribunale
di Roma n. 159/2002
del 9/4/2002
Le opinioni espresse
non impegnano la
responsabilità
della banca.

Debito pubblico in % del PIL

Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati FMI e
Commissione UE

46
24 dicembre
2013
Direttore responsabile:
Giovanni Ajassa
tel. 0647028414
giovanni.ajassa@bnlmail.com

Tra il 2007 e il 2013 il rapporto tra debito pubblico e PIL è aumentato in Italia di
trenta punti percentuali, la metà di quanto registrato sia in Giappone sia in Spagna.
Dal 2014 inizia il ventennio in cui l’Italia e gli altri paesi che hanno sottoscritto il Fiscal
Compact saranno chiamati a ridurre al 60 per cento il rapporto tra debito pubblico e
PIL. Si tratta di un impegno importante che potrà venire onorato solo a patto di
imboccare senza indugio la via di un rinnovato cammino di sviluppo, imperniato su
competitività e coesione e consapevole dei mutamenti strutturali dello scenario
globale.
La Russia chiude il 2013 con un tasso di crescita dell’1,5%, meno della metà di
quanto conseguito nell’anno precedente (+3,4%) e un terzo circa di quello del biennio
2010-11 (+4,4%). Si ipotizza una ripresa nel 2014 ma i più recenti riferimenti
congiunturali non sono incoraggianti. L’indebolimento recente della dinamica
economica ha una natura largamente strutturale. La crescita della domanda interna
sta saturando la capacità produttiva con evidenti riflessi sui conti con l’estero.
Rispetto al 2011 l’avanzo delle partite correnti risulta quasi dimezzato. Continua nel
frattempo consistente la fuga di capitali all’estero. Il sistema bancario si presenta
solido ma risente dell’attuale fase di evoluzione del sistema economico.
24 dicembre 2013

Editoriale: Nel nuovo ventennio
Giovanni Ajassa  06-47028414 giovanni.ajassa@bnlmail.com

Debito pubblico in % del PIL

Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati FMI e
Commissione UE

2014: insieme al nuovo anno, anche un nuovo ventennio. Il ventennio, per l’Italia e per
l’Europa della moneta unica, del rientro dei debiti pubblici eccessivi. Questo, infatti,
prevede il Trattato sulla Stabilità, sul Coordinamento e la Governance dell’Unione
economica e monetaria – il “Fiscal Compact” – sottoscritto dall’Italia come dalla
stragrande maggioranza dei partner comunitari a Bruxelles il 2 marzo del 2012.
Testualmente, l’articolo 4 del Fiscal Compact prescrive che “quando il rapporto tra il
debito pubblico e il prodotto interno lordo di una parte contraente supera il valore di
riferimento del 60% (…), tale parte contraente opera una riduzione a un ritmo medio di
un ventesimo all’anno (…)”. Il dettato è chiaro come pure la sostanza. All’inizio del
2034 tutti i paesi dovranno avere un rapporto tra debito pubblico e PIL non superiore al
60 per cento. La differenza tra il livello attuale del “ratio” e la soglia obiettivo dovrà
essere abbattuta al ritmo di una ventesima parte per ciascuno dei venti prossimi
esercizi.
Per l’Italia la differenza in questione è pari a 73 punti percentuali dell’odierno valore del
prodotto interno lordo. Per la media dell’Eurozona a 18 paesi l’eccesso da eliminare
ammonta esattamente alla metà di quello dell’Italia, ovvero a 36 punti di prodotto. Per
la Germania il sovraddebito si limita a venti punti percentuali di PIL. Per curiosità,
all’inizio del 2014 risultano anticipatamente in regola con l’articolo 4 del Fiscal Compact
solo cinque dei diciotto componenti la moneta unica. Parliamo di Estonia, Finlandia,
Lettonia, Lussemburgo e Slovacchia. Messi insieme questi paesi contano per meno del
cinque per cento dei 330 milioni di abitanti dell’eurozona. All’inizio del 2014, quindi, il
95 per cento dei cittadini, contribuenti ed elettori, della comune unione monetaria
dovrebbe guardare con qualche attenzione agli effetti che il soddisfacimento della “debt

2
24 dicembre 2013

rule” del Fiscal Compact comporterà per le diverse economie europee nei prossimi
venti anni.
La regola del rientro del debito è figlia di una cultura importante, che da sempre
qualifica l’idea economica di Europa. È quella cultura della stabilità che affonda le
radici nella coscienza dei disastri prodotti dagli eccessi di moneta e di inflazione, dai
tempi di Weimar alle crisi petrolifere degli anni Settanta dello scorso secolo. Allo stesso
modo, la regola del debito è anche l’espressione di un elemento più contingente,
ovvero della ricerca di un target intermedio rispetto ad un obiettivo finale che continua
a rimanere piuttosto distante. Non accelerando sul fronte di un’unione fiscale e politica
a tutto tondo, il rientro dei ratios nazionali tra debito pubblico e PIL rappresenta, infatti,
una sorta di garanzia imposta per ridurre il rischio che i contribuenti di questo o quel
paese più virtuoso vengano chiamati a concorrere ad un eventuale “salvataggio” del
debito pubblico di uno o più paesi meno virtuosi. Non è un caso che la debt-rule e
l’intero costrutto del Fiscal Compact siano stati sottoscritti nel pieno della contingenza
della crisi dei rischi sovrani, in quella primavera del 2012 che precedette la svolta
impressa da Mario Draghi nell’estate dello stesso anno.
Una cultura antica. Una garanzia contingente. Comunque si intenda la matrice della
debt-rule, è impossibile negare che la praticabilità del rientro dei ratios dei debiti
pubblici dipenderà nei prossimi venti anni dal soddisfacimento di una condizione
assolutamente necessaria: il ritorno a buoni e sostenibili ritmi di crescita economica.
Questo vale in primo luogo per l’Italia, ma anche per gli altri paesi. A giustificare questo
punto sono una considerazione di scenario e un po’ di aritmetica finanziaria. Sul fronte
dello scenario, le prospettive sono quelle di una progressiva normalizzazione dei
mercati dopo la pluriennale bonanza monetaria dell’ultimo quinquennio. Il “tapering” è
appena iniziato negli USA. Così come in America, anche in Europa rendimenti e
spread sui titoli pubblici dovranno correggere gli eccessi degli anni passati: gli eccessi
al rialzo come pure quelli al ribasso.
In uno scenario di normalizzazione supponiamo che nei prossimi venti anni il costo
medio annuo del debito pubblico vada ad assestarsi su valori del quattro per cento in
Italia e del tre per cento in Germania. Tassi e oneri moderati, quindi, che però non
potranno sottrarsi al meccanismo moltiplicativo proprio della regola dell’interesse
composto. Quella regola elementare dell’aritmetica finanziaria la cui potenza sfugge
sovente a gran parte dell’opinione pubblica. E non solo.
Alla fine del 2013 il debito pubblico tedesco si colloca intorno ai 2.200 miliardi di euro.
Quello italiano oscilla sui 2.100 miliardi. A parità di ogni altra condizione, per il solo
operare dell’interesse composto, un rendimento/costo medio del 3 per cento annuo
porterà nel 2033 il debito pubblico tedesco ad avvicinarsi ai quattro trilioni di euro, e al
150 per cento dell’attuale PIL tedesco. Per l’Italia, con un rendimento/costo sul debito
pubblico del quattro per cento annuo e uno spread di un punto sui tedeschi, la
composizione degli interessi sull’arco di venti anni condurrà il debito pubblico nel 2033
ad oltre quattro trilioni e mezzo di euro e al 300 per cento del PIL italiano del 2013.

3
24 dicembre 2013

Anche se i deficit pubblici si azzerano, i debiti pubblici aumentano per via della
capitalizzazione degli interessi pagati sui titoli emessi e sui prestiti contratti. L’effetto
della capitalizzazione sui rapporti tra debiti pubblici e PIL era poco visibile ai tempi
della scrittura del trattato di Maastricht, all’avvio degli anni Novanta dello scorso secolo.
Allora, come anche nella prima metà dell’ultimo ventennio, la crescita nominale del
prodotto dei paesi europei era un dato acquisito più o meno per tutti. Ci poteva essere
il paese che faceva più aumento dei prezzi che crescita reale e chi si muoveva
all’opposto. In un modo o nell’altro, comunque, c’era sempre un aumento del PIL
nominale che temperava l’effetto sul ratio di un incremento del debito pubblico.
Denominatore e numeratore avevano storie parallele anche se relativamente
indipendenti. Oggi non è più così.
Dopo sei anni di storia economica europea passati tra crisi, recessioni e fragili riprese,
il denominatore del rapporto tra debito pubblico e PIL non rappresenta più quel mero
fattore di standardizzazione che consente il confronto internazionale o intertemporale
tra i valori assunti dal debito delle pubbliche amministrazioni in questo o quel paese o
in questo o quel momento. Purtroppo, la crescita nominale del PIL non è più un dato
acquisito, una variabile esogena del sistema. Non lo è stata negli anni passati di
recessione. Non lo è oggi in uno scenario che ancora rilancia rischi di stagnazione se
non di deflazione.

Debito pubblico in % del PIL
Belgio

Italia

134

133
+30

115
-12

100

103
+16

-50

84

Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Commissione
UE

Tra numeratore e denominatore del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno
lordo, tra austerity e crescita si è consolidato un legame biunivoco che mette in
discussione molte cose. Per ridurre il debito pubblico occorre crescere, ma la stessa
capacità di crescita risulta condizionata dagli interventi necessari per onorare gli
impegni di “deleveraging” sul montante del debito. Come dire, se ha senso ragionare
sulla riduzione del debito pubblico diviso il PIL, altrettanto logico potrebbe essere
assegnarsi un obiettivo di aumento del PIL raggiungibile per dato debito pubblico.

4
24 dicembre 2013

Solo con il ritorno a buoni ritmi di crescita economica la regola del debito del Fiscal
Compact potrà essere soddisfatta. Questo vale in primo luogo per l’Italia, ma anche per
gli altri paesi e pure per la Germania. Alcune semplici simulazioni aritmetiche dicono
che per tornare entro il 2034 al di sotto del 60 per cento del rapporto tra debito pubblico
e PIL l’Italia avrà bisogno di un tasso reale di crescita dell’ordine del due per cento
medio annuo. Ed anche di un avanzo dei conti pubblici al netto degli interessi
mediamente pari a quattro punti percentuali di PIL all’anno. Il tutto, in Italia come nel
resto d’Europa, nell’ipotesi che i rischi di deflazione vengano efficacemente contrastati
e che la dinamica dei prezzi si muova in accordo con l’obiettivo di medio termine
professato dalla BCE di un’inflazione al due per cento.
È una strada molto stretta. Nei venti anni che abbiamo alle spalle il PIL italiano è
cresciuto mediamente di sei decimi di punto percentuale l’anno. Il deficit di sviluppo è
stata la causa principale dell’incremento del rapporto tra debito pubblico e PIL dal 115
per cento del 1993 al 133 per cento del 2013. Viceversa, negli stessi venti anni una
crescita media annua del 2,5 per cento ha consentito ad un paese come il Belgio di
abbattere il proprio rapporto tra debito pubblico e PIL dal 134 per cento del 1993 al 100
per cento del 2013.
Pensare di riuscire a crescere del due per cento l’anno per i prossimi venti anni
rappresenta oggi una grande sfida per l’Italia, ma anche per qualsiasi altro paese
europeo. Tanti sono i problemi e i condizionamenti che si intravedono, anche solo
guardando alla cornice globale dello sviluppo demografico, della rivoluzione digitale e
del cambiamento climatico. Imboccare con decisione la via di uno sviluppo sostenibile,
imperniato su lavoro, competitività e coesione, rappresenta però una priorità strategica
che è ineludibile per l’Europa oltre che per l’Italia. Lo è per il futuro nostro e dei nostri
figli e non solo perché ce lo imporrà la regola del debito del “fiscal compact” che potrà
essere aggiustata strada facendo. Magari cominciando con lo scorporare il cumulo
degli interessi dall’obiettivo di riduzione del rapporto tra debito pubblico e PIL da
realizzare entro il nuovo ventennio.

5
24 dicembre 2013

Russia: un confronto tra presente e futuro
S. Carletti  06-47028440 – silvano.carletti@bnlmail.com
La Russia si avvia a chiudere il 2013 con un tasso di crescita dell’1,5%, meno
della metà di quanto conseguito nell’anno precedente (+3,4%) e un terzo circa di
quello del biennio 2010-11 (+4,4%). Si ipotizza una ripresa nel 2014 ma i più
recenti riferimenti congiunturali non sono incoraggianti.
La produzione e l’esportazione di prodotti energetici restano la pietra angolare
dell’economia russa. A livello mondiale la Russia è il secondo produttore di gas
naturale, il terzo di petrolio, il sesto per il carbone.
L’indebolimento recente della dinamica economica ha una natura largamente
strutturale. La modesta crescita di un moderno ceto imprenditoriale industriale si
è tradotta in un debole flusso di investimenti privati: di fatto, quantitativamente e
qualitativamente l’apparato industriale in funzione è quasi interamente quello
ereditato dal periodo sovietico. La crescita della domanda interna sta saturando
la capacità produttiva con evidenti riflessi sui conti con l’estero. Rispetto al 2011
l’avanzo delle partite correnti risulta quasi dimezzato. Continua nel frattempo
consistente la fuga di capitali all’estero.
Il sistema bancario russo si presenta solido ma risente, spesso in modo visibile,
della contradditoria fase di evoluzione dell’intero sistema economico. Tra il
dicembre 2010 e l’agosto 2012 nove gruppi bancari esteri hanno annunciato o
completato il loro ritiro. Se da un lato questi ritiri segnalano la difficoltà per
un’istituzione finanziaria estera di operare con successo in questo mercato,
dall’altro lato si deve rilevare che la presenza straniera resta comunque
autorevole (nella graduatoria per dimensione sono stranieri 3 dei primi 10 gruppi
e 5 dei primi 20).
I paesi BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) sono spesso indicati come i nuovi centri
propulsivi dell’economia mondiale 1. Questa ipotesi interpretativa ha recentemente
subito un sostanziale indebolimento: la crescita stimata per il 2013 e quella prevista
per il prossimo anno è in tutti e quattro i casi ampiamente inferiore a quanto conseguito
nel lungo periodo; nel caso di Russia e Brasile è inferiore anche al ritmo medio di
sviluppo dell’economia mondiale.
Crescita economica dei paesi BRIC
(var. %)

1995-2012

2013

2014

Brasile
Russia
India
Cina

3,0
3,3
6,8
9,8

2,5
1,5
3,8
7,6

2,5
3,0
5,1
7,3

Mondo

3,6

2,9

3,6

Fonte: elaborazione Servizio Studi Bnl su dati tratti da Fondo
Monetario Internazionale, World Economic Outlook, ottobre
2013.
1

Assumendo come riferimento la dimensione del Pil in dollari nel 2012, si tratta, rispettivamente, della
settima, sesta, terza e seconda economia mondiale.

6
24 dicembre 2013

Russia: il momento congiunturale
La Russia si avvia a chiudere il 2013 con un tasso di crescita dell’1,5% 2, meno della
metà di quanto conseguito nell’anno precedente (+3,4%) e un terzo circa di quello del
biennio 2010-11 (+4,4%). Le principali istituzioni internazionali continuano ad
accreditare l’ipotesi di una ripresa nel 2014 3 ma i più recenti riferimenti congiunturali
non sono incoraggianti (+1,2% a/a nel secondo e nel terzo trimestre 2013).
A rendere ancora meno positivo questo quadro è la constatazione che la componente
più dinamica è quella dei consumi privati mentre gli investimenti si confermano deboli
da inizio 2012. Nei primi otto mesi del 2013 le vendite al dettaglio sono cresciute del
3,9% a/a, sostenute da un forte incremento dei salari (+5,5% a/a in termini reali) e da
un livello di disoccupazione particolarmente modesto (5,2% a luglio).
Gli spazi di intervento della politica monetaria sono limitati da un processo
inflazionistico che dopo aver sfiorato il 10% per lunga parte del 2011 si è
successivamente ridotto mantenendosi tuttavia su livelli elevati (6,3% nello scorso
ottobre, 6,8% nei primi 10 mesi del 2013). Per contenere la dinamica dei prezzi la
Banca Centrale mantiene elevato il tasso di riferimento a breve termine (CBR
refinancing rate), ora all’8,25%, livello da cui si è discostato poco negli ultimi tre anni.
Tra le positive novità del 2013 si deve segnalare la rilevante risalita (19 posizioni) nella
graduatoria Doing Business 4 redatta dalla Banca Mondiale e che sintetizza il corretto
ed efficiente funzionamento del sistema economico. Su 189 paesi considerati, la
Russia è al 92° posto, comunque meglio degli altri paesi BRIC.
Russia: una visione di medio-lungo termine
L’indebolimento della dinamica economica della Russia ha una natura largamente
strutturale. Negli ultimi 10-15 anni il governo ha indirizzato verso l’attività interna i
proventi tratti dalla vendita all’estero delle risorse energetiche, da un lato finanziando
grandi progetti infrastrutturali, dall’altro lato incrementando in misura rilevante salari e
pensioni (su una popolazione complessiva di 143 milioni, i dipendenti pubblici sono
circa 20 milioni, i pensionati circa 40 milioni). La crescita della domanda interna ha così
gradualmente saturato la capacità produttiva. La modesta crescita di un moderno ceto
imprenditoriale industriale si è tradotta in un debole flusso di investimenti privati: di
fatto, quantitativamente e qualitativamente l’apparato industriale in funzione è quasi
interamente quello ereditato dal periodo sovietico.
Negli ultimi anni questo modello di crescita ha cominciato a rivelarsi inadeguato sotto
molti profili, in primo luogo per quanto riguarda i conti con l’estero. Una parte crescente
della domanda è stata soddisfatta con beni prodotti altrove, sia per l’indisponibilità di
capacità produttiva sufficiente sia per la modesta qualità delle produzioni. Nel triennio
2011-13 la dinamica delle importazioni di merci e servizi è risultata in volume più
sostenuta di quella registrata dalle esportazioni, andamento che nel 2013 si è
combinato con un peggioramento delle ragioni di scambio. Il saldo delle partite correnti
si è così quasi dimezzato passando dai $97 mld del 2011 ai $54 stimati per l’anno in
corso. In rapporto al Pil l’attivo dei conti con l’estero è sceso dal 5,1% del 2011 a meno
del 3% nell’anno corrente.
2

La stima della Banca Mondiale si ferma all’1,3%.
Per quanto riguarda il 2014 l’Ocse (Economic Outlook, novembre 2013) è sensibilmente meno ottimista
(+2,3%) del Fondo Monetario (+3,0%).
4
Cfr. World Bank, Doing Business 2014. Understanding Regulations for Small and Medium-Size
Enterprises, novembre 2013.
3

7
24 dicembre 2013

Al ridimensionamento dell’avanzo delle partite correnti si aggiunge il perdurare della
fuga di capitali: nei primi nove mesi del 2013 il deflusso netto di capitali è risultato pari
a $48 mld; se il fenomeno proseguisse a questo ritmo alla fine dell’anno si arriverebbe
intorno a $65 mld, un rilevante incremento rispetto al 2012 ($55 mld). Si tratta di cifre
importanti anche se inferiori a quelle registrate negli anni precedenti ($300 mld
complessivamente nel periodo 2008-11, con una punta di oltre $130 mld nel 2008). La
flat tax del 13% introdotta alcuni anni fa per favorire il flusso di rientro non sembra aver
avuto il successo sperato. A rendere sostenuto il fenomeno sono stati molti fattori tra i
quali l’incertezza determinata da alcune vicende interne e la mancanza di attraenti
opportunità di investimento. Un ruolo lo hanno anche giocato le incerte prospettive del
rublo: rispetto alla fine del 2011, la quotazione corrente è poco mutata rispetto al
dollaro, piuttosto debole invece nei confronti dell’euro; se ci si concentra sull’anno in
corso si rileva un indebolimento rispetto ad entrambe le valute.
Russia: avanzo delle partite correnti in % del Pil
12
10
8
6
4
2
0

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

2012

2013

2014

2015

Fonte: dati e previsioni Ocse

Alla fine del 2012 la Russia disponeva di riserve valutarie per circa $540 mld ed era al
contempo titolare di un debito estero di analogo ammontare. Sotto questo profilo il
Paese è ben lontano dalla fragilità finanziaria dei primi anni 2000 (debito estero/Pil oggi
intorno al 27% rispetto al 45% toccato nel 2003) ed è ancor più distante dalla
situazione di default dell’agosto 1998.
L’esportazione di risorse energetiche pietra angolare dell’economia russa
La pietra angolare dell’economia russa rimane la produzione e l’esportazione di
prodotti energetici. A livello mondiale la Russia è il secondo produttore di gas naturale,
il terzo di petrolio 5, il sesto per il carbone. In termini di capacità installata è anche un
operatore di grande rilievo per quanto riguarda l’energia idroelettrica e l’energia
nucleare.
Nello scorso mese di ottobre la produzione di petrolio (10,59 milioni di barili al giorno)
ha raggiunto il livello più alto dalla fine dello stato sovietico. Nella media del 2012 la
produzione si è attestata a 10,4 milioni, l’11% in meno dell’Arabia Saudita primo
produttore mondiale. Il 70% della produzione (7,2 milioni di barili al giorno) viene
5

L’80% delle esportazioni è costituito dalla Urals blend, una miscela delle principali varietà di petrolio
russo.

8
24 dicembre 2013

esportato, principalmente (84%) verso paesi europei (Germania, Paesi Bassi e Polonia
soprattutto). Negli ultimi venti anni le esportazioni di petrolio sono cresciute in misura
rilevante (nel 1992 erano 3,4 milioni di barili al giorno, salite a 5 milioni nel 2002).
Il conseguimento in tempi non troppo lunghi di un significativo incremento della
produzione corrente è giudicato poco possibile. I principali campi di estrazioni sono
ancora quelli localizzati nella Siberia occidentale. Negli ultimi anni è stata avviato lo
sfruttamento di nuovi giacimenti (Sakhalin, Siberia Orientale, Russia Artica) ma il loro
contributo alla produzione totale è ancora limitato. In termini di riserve accertate la
Russia occupa una posizione intermedia (60-80 miliardi di barili) ben lontana dalla
maggior parte dei paesi mediorientali (o anche Canada e Venezuela) ma ben al di
sopra di Stati Uniti, Cina, Brasile, Messico, etc.
Al lato del petrolio una crescente importanza è stata acquisita dal gas naturale che
all’ultima rilevazione risultava estratto al ritmo di 2,02 miliardi di metri cubi al giorno,
destinati in gran parte all’esportazione. Tre quarti circa delle vendite all’estero sono
assorbite da paesi europei (tra essi anche l’Italia). Secondo l’autorevole Oil & Gas
Journal le riserve russe di gas sono un quarto circa di quelle censite a livello mondiale.
Gas e petrolio costituiscono poco meno di tre quarti delle esportazioni totali e
contribuiscono in maniera determinante (oltre il 50%) al finanziamento della spesa
pubblica. Secondo una recente elaborazione 6 il prezzo del petrolio che consente un
flusso di introiti tale da azzerare ceteris paribus il disavanzo della finanza pubblica è
passato dai $34 del 2007 agli oltre $100 per il prossimo futuro, un livello quest’ultimo
comparabile a quello attualmente prevalente. Le autorità russe manifestano ottimismo
ma lo sconvolgimento in atto nel mercato energetico mondiale (shale gas, shale oil,
nuovi giacimenti in Africa, etc), potrebbe spingere le quotazioni decisamente al
ribasso. A parità di ogni altra condizione, con il petrolio a $90 si dimezzerebbe il
surplus delle partite correnti, sempre in attivo dopo il 1997.
Si stanno, quindi, riducendo le possibilità che il modello economico e sociale russo
rimanga in equilibrio con quanto ricavato dalla vendita delle sue risorse energetiche.
Sullo sfondo di un presente ancora contraddistinto da evidente abbondanza si
cominciano a intravedere segnali di un futuro problematico. Il quasi dimezzamento del
tasso di crescita annuo assunto come riferimento fino al 2030 (dal 4,3% al 2,5%)
evidenzia che il problema comincia ad essere percepito dal governo in tutto il suo
rilievo. Al di là dei possibili interventi congiunturali, la Russia non può rinviare ancora a
lungo una significativa rimodulazione del suo sistema economico che ridimensioni la
sua forte dipendenza dalle vicende del mercato energetico mondiale. Oltre
all’attivazione di un imponente processo di investimento, si tratterà di adottare un
nuovo modello di ripartizione del reddito, con possibili ripercussioni anche in termini di
consenso.
Un sistema bancario solido ma in attesa di evoluzione
Il sistema bancario russo si presenta solido ma risente, spesso in modo visibile, della
contradditoria fase di evoluzione dell’intero sistema economico. Le istituzioni che lo
compongono sono oltre un migliaio, ma di esse appena 8 hanno un attivo di almeno
$20 mld. I primi quattro gruppi (Sberbank, VTB, Gazprombank, and Rosselkhozbank)
sono sotto controllo statale. La cessione nel 2012 del 7,6% di Sberbank ha comunque
lasciato allo stato la maggioranza assoluta di questa banca (50% + un voto);
Rosselkhozbank (Russian Agricultural Bank) dovrebbe essere completamente
6

Cfr. The Economist, The S word, 9 novembre 2013.

9
24 dicembre 2013

privatizzata entro il 2016. La prima banca privata (Alfa Bank) si posiziona al quinto
posto per dimensione dell’attivo totale.
Il principale gruppo bancario nazionale (Sberbank) ha una rete di quasi 19mila sportelli,
attività totali per quasi $340 mld e si posiziona nel mondo intorno alla ventesima
posizione per capitalizzazione di mercato (è quotata anche a Londra). VTB, da parte
sua, deve una parte importante della sua recente crescita dimensionale (nel 2012
attività totali per $211 mld) all’acquisizione/salvataggio di Bank of Moscow.
Le banche estere operanti nel Paese sono quasi 80. Alla fine di maggio 2013 ad esse
andava attribuito il 22% circa dei prestiti retail e il 14% dei finanziamenti alle imprese.
Tra il dicembre 2010 e l’agosto 2012 nove gruppi bancari esteri hanno annunciato o
completato il loro ritiro, in genere sostituiti da operatori bancari già presenti in Russia
ma in due casi senza aver trovato acquirenti. Se da un lato questi ritiri segnalano la
difficoltà per un’istituzione finanziaria estera di operare con successo in questo
mercato, dall’altro lato si deve comunque rilevare che nella graduatoria per dimensione
sono stranieri 3 dei primi 10 gruppi e 5 dei primi 20.
La crisi finanziaria del 2008-09 ha coinvolto solo limitatamente il sistema bancario
russo poco esposto sul fronte internazionale e su quello dell’investment banking.
Quella fase di elevata instabilità ha comunque messo in evidenza la fragilità di
numerosi operatori e costretto le autorità ad interventi di sostegno (ricapitalizzazioni ed
erogazioni di prestiti) per poco meno di 2.000 miliardi di rubli (€45 mld). L’elevata
redditività (Roe del 16,1% a fine settembre 2013, 18,3% un anno prima) consente un
diffuso rafforzamento del patrimonio contabile. Tuttavia, nel 2012 tra le prime 100
banche 9 hanno chiuso in perdita.
Russia: la dinamica del credito a famiglie e imprese
(tasso di crescita a/a)
50
45
40
35
30
25
20
15
10
5
0

gen-11

lug-11

gen-12
Prestiti alle imprese

lug-12

gen-13

lug-13

Prestiti alle famiglie

Fonte: Ocse

Il credito bancario ha registrato negli ultimi anni un andamento particolarmente
sostenuto tanto dal lato delle famiglie quanto su quello delle imprese (in termini di
consistenze, i prestiti alle imprese sono oltre il doppio di quelli alle famiglie). In
entrambi i casi dal 2010 il tasso di crescita annuo non è mai sceso al di sotto della
doppia cifra (+44% e +27%, rispettivamente il livello massimo raggiunto). All’ultima
verifica (agosto 2013) i prestiti alle imprese risultavano in crescita a/a del 13%, quelli

10
24 dicembre 2013

alle famiglie del 32,5%, con evidenti indicazioni di un rallentamento in atto (nella prima
parte del 2012, era ancora +25% a/a e +41% a/a, rispettivamente).
I prestiti alle famiglie costituiscono meno del 30% dei prestiti totali e nel loro ambito i
mutui per l’acquisto dell’abitazione ne rappresentano circa un quarto. In entrambi i casi
la Russia è piuttosto lontana dai paesi che ragionevolmente possono essere assunti
come riferimento: in Russia i prestiti alle famiglie rappresentano (2012) il 12,4% del Pil,
un livello che Romania e Bulgaria hanno raggiunto nel 2006; da parte loro i mutui sono
appena al disopra del 3% del Pil rispetto al 20% dell’Ungheria e al 19% della Croazia.
Diversamente da altri paesi della regione, tuttavia, in Russa sono trascurabili i prestiti
alle famiglie denominati in valuta estera (3% rispetto al circa 60% delle consistenze in
Ungheria o al 77% delle nuove erogazioni in Polonia). Dal lato delle imprese la quota
dei prestiti denominati in valuta è più elevata (20%).
Alla crescita dei prestiti ha corrisposto un andamento altrettanto sostenuto dei depositi
delle famiglie e delle imprese. In termini di consistenze, la quota delle prime è pari a
circa il 60%, quella delle seconde al 35%. L’incidenza dei depositi denominati in valuta
è diminuita in misura contenuta (dal quasi 30% a circa un quarto). L’andamento
declinante del rapporto prestiti/depositi (dal 122% a metà 2010 al 119% di fine
settembre 2013) segnala chiaramente che la crescita dei prestiti non ha trovato
resistenze dal lato della raccolta.
Come altre volte verificato, una crescita così sostenuta dei finanziamenti condiziona
negativamente la qualità complessiva del portafoglio prestiti (alla fine del settembre
scorso l’incidenza dei prestiti fortemente irregolari era pari al 6,6%). Il fenomeno si
manifesta con maggiore gravità nel campo del credito al consumo: nei primi nove mesi
del 2013, pur a fronte di una crescita delle consistenze del 36%, l’incidenza dei prestiti
irregolari è salita dal 5,9% al 7,7%. Altre circostanze rafforzano la percezione che in
questo campo la situazione sia molto tesa: il numero delle persone titolari di quattro o
più prestiti personali è raddoppiato in tempi molto ristretti; la principale banca del paese
sta rapidamente aumentando il tasso di rifiuto; etc.
La Russia partecipa all’attività del Comitato di Basilea. La piena applicazione delle
regole di Basilea 2 e Basilea 2.5 è traguardo molto vicino; decisamente in ritardo,
invece, è l’adozione della normativa Basilea 3 7. Per quanto riguarda quest’ultima la
Banca Centrale Russa ha pubblicato nel dicembre 2012 le necessarie disposizioni con
l’indicazione alle banche di procedere alla loro applicazione entro novembre 2013. Nel
luglio 2013 la stessa istituzione è però intervenuta sia spostando la scadenza a
gennaio 2014 sia riducendo il requisito minimo richiesto per il coefficiente core Tier 1
(dal 5,6% al 5%) e per quello Tier 1 totale (da 7,5% a 5,5% da incrementare a 6%
entro il 2015); il coefficiente patrimoniale minimo complessivo (Tier 1 + Tier 2), invece,
è stato confermato al 10%, al di sopra dell’8% stabilito nella normativa di Basilea.
Il rinvio e l’alleggerimento dei requisiti (comunque allineati o superiori a quelli
concordati a Basilea) segnalano qualche preoccupazione delle autorità per la tenuta di
7

Cfr. Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria, Rapporto ai leader del G20 sul monitoraggio
dell’attuazione delle riforme di Basilea 3, agosto 2013.
Le regole Basilea 2 (pubblicate nel 2004) hanno migliorato la misurazione del rischio di credito e introdotto
disposizioni relative al rischio operativo; le disposizioni di Basilea 2.5 modificano in profondità la
misurazione dei rischi relativi alle operazioni di cartolarizzazione e alle esposizioni collegate al portafoglio
di negoziazione; Basilea 3 fissa livelli più elevati per i coefficienti patrimoniali e introduce un nuovo schema
internazionale per la regolamentazione della liquidità. A partire dal vertice di Cannes (novembre 2011) i
leader del G20 hanno ripetutamente sollecitato le varie giurisdizioni a realizzare una piena e coerente
attuazione di Basilea 2 e Basilea 2.5 entro la fine del 2011 e di Basilea 3 a partire dal 2013 ed entro il 1°
gennaio 2019.

11
24 dicembre 2013

una parte del sistema bancario. Secondo una stima della società di consulenza KPMG,
l’alleggerimento delle disposizioni annulla quasi completamente (in media) il
fabbisogno di patrimonio necessario alle prime 50 banche del paese per rispettare sin
dal 2015 i requisiti fissati dalla banca centrale.

12
24 dicembre 2013

Un cruscotto della congiuntura: alcuni indicatori

Indice Itraxx Eu Financial

Indice Vix

400
60

350
300

50

250
40

200

30

150
100

20
Index Itraxx EU Financial Sector

50

set-13

nov-13

lug-13

mag-13

gen-13

mar-13

set-12

nov-12

lug-12

mag-12

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mar-12

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nov-11

lug-11

mag-11

gen-11

0

mar-11

set-13

nov-13

lug-13

mag-13

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mar-13

set-12

nov-12

lug-12

mag-12

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mar-12

set-11

nov-11

lug-11

mag-11

gen-11

10
mar-11

0

Fonte: Thomson Reuters

Fonte: Thomson Reuters

I premi al rischio passano da 96 a 86 pb.

L’indice Vix nell’ultima settimana scende a
quota 14.

Cambio euro/dollaro e quotazioni Brent

Prezzo dell’oro

(Usd per barile)

(Usd l’oncia)
2.000

130

1,5

1.900

125

1,45

1.800

1,4

1.700

120
115

1,35

110
1,3

105

1.500
1.400

nov-13

set-13

lug-13

mar-13

mag-13

nov-12

gen-13

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lug-12

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mag-12

nov-11

gen-12

1.200

set-11

1,15

lug-11

90
gen-11 mag-11 set-11 gen-12 mag-12 set-12 gen-13 mag-13 set-13

1,2

mar-11

Cambio euro/dollaro sc.ds.

mag-11

Brent scala sin.(in Usd)

1.300
gen-11

1,25

100
95

1.600

Fonte: Thomson Reuters

Fonte: Thomson Reuters

Il tasso di cambio €/$ a 1,37. Il petrolio di qualità
Brent quota $112 al barile.

Il prezzo dell’oro rimane sotto i 1.300 dollari
l’oncia.

13
24 dicembre 2013

Borsa italiana: indice Ftse Mib

Tassi dei benchmark decennali:
differenziale con la Germania
(punti base)

24.000

1.400

22.000

1.200
1.000

20.000

800

18.000

600
400

16.000

0

12.000
gen-11 mag-11 set-11 gen-12 mag-12 set-12 gen-13 mag-13 set-13

gen-11
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ott-13
nov-13
dic-13

200
14.000

Italia

Spagna

Irlanda

Portogallo

Fonte: Thomson Reuters

Fonte: elab. Servizio Studi BNL su dati Thomson
Reuters

Il Ftse Mib sale oltre quota 18.000.

I differenziali con il Bund sono pari a 438 pb
per il Portogallo, 156 pb per l’Irlanda, 227 pb
per la Spagna e 225 pb per l’Italia.

Indice Baltic Dry

Euribor 3 mesi
(val. %)

12.000

6

10.000

5

8.000

4

set-13

set-12

gen-13
mag-13

set-11

gen-12
mag-12

set-10

gen-11
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set-09

gen-10
mag-10

set-08

gen-09
mag-09

0

set-07

1

0

gen-08
mag-08

2

2.000

set-06

4.000

gen-07
mag-07

3

gen-08
apr-08
lug-08
ott-08
gen-09
apr-09
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ott-09
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ott-12
gen-13
apr-13
lug-13
ott-13

6.000

Fonte: Thomson Reuters

Fonte: Thomson Reuters

L’indice Baltic Dry nell’ultima settimana sale
oltre quota 2.000.

L’euribor 3m resta stabile poco oltre 0,20%.

Il presente documento è stato preparato nell’ambito della propria attività di ricerca economica da BNLGruppo Bnp Paribas. Le stime e le opinioni espresse sono riferibili al Servizio Studi di BNL-Gruppo BNP
Paribas e possono essere soggette a cambiamenti senza preavviso. Le informazioni e le opinioni riportate in
questo documento si basano su fonti ritenute affidabili ed in buona fede. Il presente documento è stato
divulgato unicamente per fini informativi. Esso non costituisce parte e non può in nessun modo essere
considerato come una sollecitazione alla vendita o alla sottoscrizione di strumenti finanziari ovvero come
un’offerta di acquisto o di scambio di strumenti finanziari.

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BNL Focus #46

  • 1. Banca Nazionale del Lavoro Gruppo BNP Paribas Via Vittorio Veneto 119 00187 Roma Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 159/2002 del 9/4/2002 Le opinioni espresse non impegnano la responsabilità della banca. Debito pubblico in % del PIL Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati FMI e Commissione UE 46 24 dicembre 2013 Direttore responsabile: Giovanni Ajassa tel. 0647028414 giovanni.ajassa@bnlmail.com Tra il 2007 e il 2013 il rapporto tra debito pubblico e PIL è aumentato in Italia di trenta punti percentuali, la metà di quanto registrato sia in Giappone sia in Spagna. Dal 2014 inizia il ventennio in cui l’Italia e gli altri paesi che hanno sottoscritto il Fiscal Compact saranno chiamati a ridurre al 60 per cento il rapporto tra debito pubblico e PIL. Si tratta di un impegno importante che potrà venire onorato solo a patto di imboccare senza indugio la via di un rinnovato cammino di sviluppo, imperniato su competitività e coesione e consapevole dei mutamenti strutturali dello scenario globale. La Russia chiude il 2013 con un tasso di crescita dell’1,5%, meno della metà di quanto conseguito nell’anno precedente (+3,4%) e un terzo circa di quello del biennio 2010-11 (+4,4%). Si ipotizza una ripresa nel 2014 ma i più recenti riferimenti congiunturali non sono incoraggianti. L’indebolimento recente della dinamica economica ha una natura largamente strutturale. La crescita della domanda interna sta saturando la capacità produttiva con evidenti riflessi sui conti con l’estero. Rispetto al 2011 l’avanzo delle partite correnti risulta quasi dimezzato. Continua nel frattempo consistente la fuga di capitali all’estero. Il sistema bancario si presenta solido ma risente dell’attuale fase di evoluzione del sistema economico.
  • 2. 24 dicembre 2013 Editoriale: Nel nuovo ventennio Giovanni Ajassa  06-47028414 giovanni.ajassa@bnlmail.com Debito pubblico in % del PIL Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati FMI e Commissione UE 2014: insieme al nuovo anno, anche un nuovo ventennio. Il ventennio, per l’Italia e per l’Europa della moneta unica, del rientro dei debiti pubblici eccessivi. Questo, infatti, prevede il Trattato sulla Stabilità, sul Coordinamento e la Governance dell’Unione economica e monetaria – il “Fiscal Compact” – sottoscritto dall’Italia come dalla stragrande maggioranza dei partner comunitari a Bruxelles il 2 marzo del 2012. Testualmente, l’articolo 4 del Fiscal Compact prescrive che “quando il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo di una parte contraente supera il valore di riferimento del 60% (…), tale parte contraente opera una riduzione a un ritmo medio di un ventesimo all’anno (…)”. Il dettato è chiaro come pure la sostanza. All’inizio del 2034 tutti i paesi dovranno avere un rapporto tra debito pubblico e PIL non superiore al 60 per cento. La differenza tra il livello attuale del “ratio” e la soglia obiettivo dovrà essere abbattuta al ritmo di una ventesima parte per ciascuno dei venti prossimi esercizi. Per l’Italia la differenza in questione è pari a 73 punti percentuali dell’odierno valore del prodotto interno lordo. Per la media dell’Eurozona a 18 paesi l’eccesso da eliminare ammonta esattamente alla metà di quello dell’Italia, ovvero a 36 punti di prodotto. Per la Germania il sovraddebito si limita a venti punti percentuali di PIL. Per curiosità, all’inizio del 2014 risultano anticipatamente in regola con l’articolo 4 del Fiscal Compact solo cinque dei diciotto componenti la moneta unica. Parliamo di Estonia, Finlandia, Lettonia, Lussemburgo e Slovacchia. Messi insieme questi paesi contano per meno del cinque per cento dei 330 milioni di abitanti dell’eurozona. All’inizio del 2014, quindi, il 95 per cento dei cittadini, contribuenti ed elettori, della comune unione monetaria dovrebbe guardare con qualche attenzione agli effetti che il soddisfacimento della “debt 2
  • 3. 24 dicembre 2013 rule” del Fiscal Compact comporterà per le diverse economie europee nei prossimi venti anni. La regola del rientro del debito è figlia di una cultura importante, che da sempre qualifica l’idea economica di Europa. È quella cultura della stabilità che affonda le radici nella coscienza dei disastri prodotti dagli eccessi di moneta e di inflazione, dai tempi di Weimar alle crisi petrolifere degli anni Settanta dello scorso secolo. Allo stesso modo, la regola del debito è anche l’espressione di un elemento più contingente, ovvero della ricerca di un target intermedio rispetto ad un obiettivo finale che continua a rimanere piuttosto distante. Non accelerando sul fronte di un’unione fiscale e politica a tutto tondo, il rientro dei ratios nazionali tra debito pubblico e PIL rappresenta, infatti, una sorta di garanzia imposta per ridurre il rischio che i contribuenti di questo o quel paese più virtuoso vengano chiamati a concorrere ad un eventuale “salvataggio” del debito pubblico di uno o più paesi meno virtuosi. Non è un caso che la debt-rule e l’intero costrutto del Fiscal Compact siano stati sottoscritti nel pieno della contingenza della crisi dei rischi sovrani, in quella primavera del 2012 che precedette la svolta impressa da Mario Draghi nell’estate dello stesso anno. Una cultura antica. Una garanzia contingente. Comunque si intenda la matrice della debt-rule, è impossibile negare che la praticabilità del rientro dei ratios dei debiti pubblici dipenderà nei prossimi venti anni dal soddisfacimento di una condizione assolutamente necessaria: il ritorno a buoni e sostenibili ritmi di crescita economica. Questo vale in primo luogo per l’Italia, ma anche per gli altri paesi. A giustificare questo punto sono una considerazione di scenario e un po’ di aritmetica finanziaria. Sul fronte dello scenario, le prospettive sono quelle di una progressiva normalizzazione dei mercati dopo la pluriennale bonanza monetaria dell’ultimo quinquennio. Il “tapering” è appena iniziato negli USA. Così come in America, anche in Europa rendimenti e spread sui titoli pubblici dovranno correggere gli eccessi degli anni passati: gli eccessi al rialzo come pure quelli al ribasso. In uno scenario di normalizzazione supponiamo che nei prossimi venti anni il costo medio annuo del debito pubblico vada ad assestarsi su valori del quattro per cento in Italia e del tre per cento in Germania. Tassi e oneri moderati, quindi, che però non potranno sottrarsi al meccanismo moltiplicativo proprio della regola dell’interesse composto. Quella regola elementare dell’aritmetica finanziaria la cui potenza sfugge sovente a gran parte dell’opinione pubblica. E non solo. Alla fine del 2013 il debito pubblico tedesco si colloca intorno ai 2.200 miliardi di euro. Quello italiano oscilla sui 2.100 miliardi. A parità di ogni altra condizione, per il solo operare dell’interesse composto, un rendimento/costo medio del 3 per cento annuo porterà nel 2033 il debito pubblico tedesco ad avvicinarsi ai quattro trilioni di euro, e al 150 per cento dell’attuale PIL tedesco. Per l’Italia, con un rendimento/costo sul debito pubblico del quattro per cento annuo e uno spread di un punto sui tedeschi, la composizione degli interessi sull’arco di venti anni condurrà il debito pubblico nel 2033 ad oltre quattro trilioni e mezzo di euro e al 300 per cento del PIL italiano del 2013. 3
  • 4. 24 dicembre 2013 Anche se i deficit pubblici si azzerano, i debiti pubblici aumentano per via della capitalizzazione degli interessi pagati sui titoli emessi e sui prestiti contratti. L’effetto della capitalizzazione sui rapporti tra debiti pubblici e PIL era poco visibile ai tempi della scrittura del trattato di Maastricht, all’avvio degli anni Novanta dello scorso secolo. Allora, come anche nella prima metà dell’ultimo ventennio, la crescita nominale del prodotto dei paesi europei era un dato acquisito più o meno per tutti. Ci poteva essere il paese che faceva più aumento dei prezzi che crescita reale e chi si muoveva all’opposto. In un modo o nell’altro, comunque, c’era sempre un aumento del PIL nominale che temperava l’effetto sul ratio di un incremento del debito pubblico. Denominatore e numeratore avevano storie parallele anche se relativamente indipendenti. Oggi non è più così. Dopo sei anni di storia economica europea passati tra crisi, recessioni e fragili riprese, il denominatore del rapporto tra debito pubblico e PIL non rappresenta più quel mero fattore di standardizzazione che consente il confronto internazionale o intertemporale tra i valori assunti dal debito delle pubbliche amministrazioni in questo o quel paese o in questo o quel momento. Purtroppo, la crescita nominale del PIL non è più un dato acquisito, una variabile esogena del sistema. Non lo è stata negli anni passati di recessione. Non lo è oggi in uno scenario che ancora rilancia rischi di stagnazione se non di deflazione. Debito pubblico in % del PIL Belgio Italia 134 133 +30 115 -12 100 103 +16 -50 84 Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Commissione UE Tra numeratore e denominatore del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo, tra austerity e crescita si è consolidato un legame biunivoco che mette in discussione molte cose. Per ridurre il debito pubblico occorre crescere, ma la stessa capacità di crescita risulta condizionata dagli interventi necessari per onorare gli impegni di “deleveraging” sul montante del debito. Come dire, se ha senso ragionare sulla riduzione del debito pubblico diviso il PIL, altrettanto logico potrebbe essere assegnarsi un obiettivo di aumento del PIL raggiungibile per dato debito pubblico. 4
  • 5. 24 dicembre 2013 Solo con il ritorno a buoni ritmi di crescita economica la regola del debito del Fiscal Compact potrà essere soddisfatta. Questo vale in primo luogo per l’Italia, ma anche per gli altri paesi e pure per la Germania. Alcune semplici simulazioni aritmetiche dicono che per tornare entro il 2034 al di sotto del 60 per cento del rapporto tra debito pubblico e PIL l’Italia avrà bisogno di un tasso reale di crescita dell’ordine del due per cento medio annuo. Ed anche di un avanzo dei conti pubblici al netto degli interessi mediamente pari a quattro punti percentuali di PIL all’anno. Il tutto, in Italia come nel resto d’Europa, nell’ipotesi che i rischi di deflazione vengano efficacemente contrastati e che la dinamica dei prezzi si muova in accordo con l’obiettivo di medio termine professato dalla BCE di un’inflazione al due per cento. È una strada molto stretta. Nei venti anni che abbiamo alle spalle il PIL italiano è cresciuto mediamente di sei decimi di punto percentuale l’anno. Il deficit di sviluppo è stata la causa principale dell’incremento del rapporto tra debito pubblico e PIL dal 115 per cento del 1993 al 133 per cento del 2013. Viceversa, negli stessi venti anni una crescita media annua del 2,5 per cento ha consentito ad un paese come il Belgio di abbattere il proprio rapporto tra debito pubblico e PIL dal 134 per cento del 1993 al 100 per cento del 2013. Pensare di riuscire a crescere del due per cento l’anno per i prossimi venti anni rappresenta oggi una grande sfida per l’Italia, ma anche per qualsiasi altro paese europeo. Tanti sono i problemi e i condizionamenti che si intravedono, anche solo guardando alla cornice globale dello sviluppo demografico, della rivoluzione digitale e del cambiamento climatico. Imboccare con decisione la via di uno sviluppo sostenibile, imperniato su lavoro, competitività e coesione, rappresenta però una priorità strategica che è ineludibile per l’Europa oltre che per l’Italia. Lo è per il futuro nostro e dei nostri figli e non solo perché ce lo imporrà la regola del debito del “fiscal compact” che potrà essere aggiustata strada facendo. Magari cominciando con lo scorporare il cumulo degli interessi dall’obiettivo di riduzione del rapporto tra debito pubblico e PIL da realizzare entro il nuovo ventennio. 5
  • 6. 24 dicembre 2013 Russia: un confronto tra presente e futuro S. Carletti  06-47028440 – silvano.carletti@bnlmail.com La Russia si avvia a chiudere il 2013 con un tasso di crescita dell’1,5%, meno della metà di quanto conseguito nell’anno precedente (+3,4%) e un terzo circa di quello del biennio 2010-11 (+4,4%). Si ipotizza una ripresa nel 2014 ma i più recenti riferimenti congiunturali non sono incoraggianti. La produzione e l’esportazione di prodotti energetici restano la pietra angolare dell’economia russa. A livello mondiale la Russia è il secondo produttore di gas naturale, il terzo di petrolio, il sesto per il carbone. L’indebolimento recente della dinamica economica ha una natura largamente strutturale. La modesta crescita di un moderno ceto imprenditoriale industriale si è tradotta in un debole flusso di investimenti privati: di fatto, quantitativamente e qualitativamente l’apparato industriale in funzione è quasi interamente quello ereditato dal periodo sovietico. La crescita della domanda interna sta saturando la capacità produttiva con evidenti riflessi sui conti con l’estero. Rispetto al 2011 l’avanzo delle partite correnti risulta quasi dimezzato. Continua nel frattempo consistente la fuga di capitali all’estero. Il sistema bancario russo si presenta solido ma risente, spesso in modo visibile, della contradditoria fase di evoluzione dell’intero sistema economico. Tra il dicembre 2010 e l’agosto 2012 nove gruppi bancari esteri hanno annunciato o completato il loro ritiro. Se da un lato questi ritiri segnalano la difficoltà per un’istituzione finanziaria estera di operare con successo in questo mercato, dall’altro lato si deve rilevare che la presenza straniera resta comunque autorevole (nella graduatoria per dimensione sono stranieri 3 dei primi 10 gruppi e 5 dei primi 20). I paesi BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) sono spesso indicati come i nuovi centri propulsivi dell’economia mondiale 1. Questa ipotesi interpretativa ha recentemente subito un sostanziale indebolimento: la crescita stimata per il 2013 e quella prevista per il prossimo anno è in tutti e quattro i casi ampiamente inferiore a quanto conseguito nel lungo periodo; nel caso di Russia e Brasile è inferiore anche al ritmo medio di sviluppo dell’economia mondiale. Crescita economica dei paesi BRIC (var. %) 1995-2012 2013 2014 Brasile Russia India Cina 3,0 3,3 6,8 9,8 2,5 1,5 3,8 7,6 2,5 3,0 5,1 7,3 Mondo 3,6 2,9 3,6 Fonte: elaborazione Servizio Studi Bnl su dati tratti da Fondo Monetario Internazionale, World Economic Outlook, ottobre 2013. 1 Assumendo come riferimento la dimensione del Pil in dollari nel 2012, si tratta, rispettivamente, della settima, sesta, terza e seconda economia mondiale. 6
  • 7. 24 dicembre 2013 Russia: il momento congiunturale La Russia si avvia a chiudere il 2013 con un tasso di crescita dell’1,5% 2, meno della metà di quanto conseguito nell’anno precedente (+3,4%) e un terzo circa di quello del biennio 2010-11 (+4,4%). Le principali istituzioni internazionali continuano ad accreditare l’ipotesi di una ripresa nel 2014 3 ma i più recenti riferimenti congiunturali non sono incoraggianti (+1,2% a/a nel secondo e nel terzo trimestre 2013). A rendere ancora meno positivo questo quadro è la constatazione che la componente più dinamica è quella dei consumi privati mentre gli investimenti si confermano deboli da inizio 2012. Nei primi otto mesi del 2013 le vendite al dettaglio sono cresciute del 3,9% a/a, sostenute da un forte incremento dei salari (+5,5% a/a in termini reali) e da un livello di disoccupazione particolarmente modesto (5,2% a luglio). Gli spazi di intervento della politica monetaria sono limitati da un processo inflazionistico che dopo aver sfiorato il 10% per lunga parte del 2011 si è successivamente ridotto mantenendosi tuttavia su livelli elevati (6,3% nello scorso ottobre, 6,8% nei primi 10 mesi del 2013). Per contenere la dinamica dei prezzi la Banca Centrale mantiene elevato il tasso di riferimento a breve termine (CBR refinancing rate), ora all’8,25%, livello da cui si è discostato poco negli ultimi tre anni. Tra le positive novità del 2013 si deve segnalare la rilevante risalita (19 posizioni) nella graduatoria Doing Business 4 redatta dalla Banca Mondiale e che sintetizza il corretto ed efficiente funzionamento del sistema economico. Su 189 paesi considerati, la Russia è al 92° posto, comunque meglio degli altri paesi BRIC. Russia: una visione di medio-lungo termine L’indebolimento della dinamica economica della Russia ha una natura largamente strutturale. Negli ultimi 10-15 anni il governo ha indirizzato verso l’attività interna i proventi tratti dalla vendita all’estero delle risorse energetiche, da un lato finanziando grandi progetti infrastrutturali, dall’altro lato incrementando in misura rilevante salari e pensioni (su una popolazione complessiva di 143 milioni, i dipendenti pubblici sono circa 20 milioni, i pensionati circa 40 milioni). La crescita della domanda interna ha così gradualmente saturato la capacità produttiva. La modesta crescita di un moderno ceto imprenditoriale industriale si è tradotta in un debole flusso di investimenti privati: di fatto, quantitativamente e qualitativamente l’apparato industriale in funzione è quasi interamente quello ereditato dal periodo sovietico. Negli ultimi anni questo modello di crescita ha cominciato a rivelarsi inadeguato sotto molti profili, in primo luogo per quanto riguarda i conti con l’estero. Una parte crescente della domanda è stata soddisfatta con beni prodotti altrove, sia per l’indisponibilità di capacità produttiva sufficiente sia per la modesta qualità delle produzioni. Nel triennio 2011-13 la dinamica delle importazioni di merci e servizi è risultata in volume più sostenuta di quella registrata dalle esportazioni, andamento che nel 2013 si è combinato con un peggioramento delle ragioni di scambio. Il saldo delle partite correnti si è così quasi dimezzato passando dai $97 mld del 2011 ai $54 stimati per l’anno in corso. In rapporto al Pil l’attivo dei conti con l’estero è sceso dal 5,1% del 2011 a meno del 3% nell’anno corrente. 2 La stima della Banca Mondiale si ferma all’1,3%. Per quanto riguarda il 2014 l’Ocse (Economic Outlook, novembre 2013) è sensibilmente meno ottimista (+2,3%) del Fondo Monetario (+3,0%). 4 Cfr. World Bank, Doing Business 2014. Understanding Regulations for Small and Medium-Size Enterprises, novembre 2013. 3 7
  • 8. 24 dicembre 2013 Al ridimensionamento dell’avanzo delle partite correnti si aggiunge il perdurare della fuga di capitali: nei primi nove mesi del 2013 il deflusso netto di capitali è risultato pari a $48 mld; se il fenomeno proseguisse a questo ritmo alla fine dell’anno si arriverebbe intorno a $65 mld, un rilevante incremento rispetto al 2012 ($55 mld). Si tratta di cifre importanti anche se inferiori a quelle registrate negli anni precedenti ($300 mld complessivamente nel periodo 2008-11, con una punta di oltre $130 mld nel 2008). La flat tax del 13% introdotta alcuni anni fa per favorire il flusso di rientro non sembra aver avuto il successo sperato. A rendere sostenuto il fenomeno sono stati molti fattori tra i quali l’incertezza determinata da alcune vicende interne e la mancanza di attraenti opportunità di investimento. Un ruolo lo hanno anche giocato le incerte prospettive del rublo: rispetto alla fine del 2011, la quotazione corrente è poco mutata rispetto al dollaro, piuttosto debole invece nei confronti dell’euro; se ci si concentra sull’anno in corso si rileva un indebolimento rispetto ad entrambe le valute. Russia: avanzo delle partite correnti in % del Pil 12 10 8 6 4 2 0 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 Fonte: dati e previsioni Ocse Alla fine del 2012 la Russia disponeva di riserve valutarie per circa $540 mld ed era al contempo titolare di un debito estero di analogo ammontare. Sotto questo profilo il Paese è ben lontano dalla fragilità finanziaria dei primi anni 2000 (debito estero/Pil oggi intorno al 27% rispetto al 45% toccato nel 2003) ed è ancor più distante dalla situazione di default dell’agosto 1998. L’esportazione di risorse energetiche pietra angolare dell’economia russa La pietra angolare dell’economia russa rimane la produzione e l’esportazione di prodotti energetici. A livello mondiale la Russia è il secondo produttore di gas naturale, il terzo di petrolio 5, il sesto per il carbone. In termini di capacità installata è anche un operatore di grande rilievo per quanto riguarda l’energia idroelettrica e l’energia nucleare. Nello scorso mese di ottobre la produzione di petrolio (10,59 milioni di barili al giorno) ha raggiunto il livello più alto dalla fine dello stato sovietico. Nella media del 2012 la produzione si è attestata a 10,4 milioni, l’11% in meno dell’Arabia Saudita primo produttore mondiale. Il 70% della produzione (7,2 milioni di barili al giorno) viene 5 L’80% delle esportazioni è costituito dalla Urals blend, una miscela delle principali varietà di petrolio russo. 8
  • 9. 24 dicembre 2013 esportato, principalmente (84%) verso paesi europei (Germania, Paesi Bassi e Polonia soprattutto). Negli ultimi venti anni le esportazioni di petrolio sono cresciute in misura rilevante (nel 1992 erano 3,4 milioni di barili al giorno, salite a 5 milioni nel 2002). Il conseguimento in tempi non troppo lunghi di un significativo incremento della produzione corrente è giudicato poco possibile. I principali campi di estrazioni sono ancora quelli localizzati nella Siberia occidentale. Negli ultimi anni è stata avviato lo sfruttamento di nuovi giacimenti (Sakhalin, Siberia Orientale, Russia Artica) ma il loro contributo alla produzione totale è ancora limitato. In termini di riserve accertate la Russia occupa una posizione intermedia (60-80 miliardi di barili) ben lontana dalla maggior parte dei paesi mediorientali (o anche Canada e Venezuela) ma ben al di sopra di Stati Uniti, Cina, Brasile, Messico, etc. Al lato del petrolio una crescente importanza è stata acquisita dal gas naturale che all’ultima rilevazione risultava estratto al ritmo di 2,02 miliardi di metri cubi al giorno, destinati in gran parte all’esportazione. Tre quarti circa delle vendite all’estero sono assorbite da paesi europei (tra essi anche l’Italia). Secondo l’autorevole Oil & Gas Journal le riserve russe di gas sono un quarto circa di quelle censite a livello mondiale. Gas e petrolio costituiscono poco meno di tre quarti delle esportazioni totali e contribuiscono in maniera determinante (oltre il 50%) al finanziamento della spesa pubblica. Secondo una recente elaborazione 6 il prezzo del petrolio che consente un flusso di introiti tale da azzerare ceteris paribus il disavanzo della finanza pubblica è passato dai $34 del 2007 agli oltre $100 per il prossimo futuro, un livello quest’ultimo comparabile a quello attualmente prevalente. Le autorità russe manifestano ottimismo ma lo sconvolgimento in atto nel mercato energetico mondiale (shale gas, shale oil, nuovi giacimenti in Africa, etc), potrebbe spingere le quotazioni decisamente al ribasso. A parità di ogni altra condizione, con il petrolio a $90 si dimezzerebbe il surplus delle partite correnti, sempre in attivo dopo il 1997. Si stanno, quindi, riducendo le possibilità che il modello economico e sociale russo rimanga in equilibrio con quanto ricavato dalla vendita delle sue risorse energetiche. Sullo sfondo di un presente ancora contraddistinto da evidente abbondanza si cominciano a intravedere segnali di un futuro problematico. Il quasi dimezzamento del tasso di crescita annuo assunto come riferimento fino al 2030 (dal 4,3% al 2,5%) evidenzia che il problema comincia ad essere percepito dal governo in tutto il suo rilievo. Al di là dei possibili interventi congiunturali, la Russia non può rinviare ancora a lungo una significativa rimodulazione del suo sistema economico che ridimensioni la sua forte dipendenza dalle vicende del mercato energetico mondiale. Oltre all’attivazione di un imponente processo di investimento, si tratterà di adottare un nuovo modello di ripartizione del reddito, con possibili ripercussioni anche in termini di consenso. Un sistema bancario solido ma in attesa di evoluzione Il sistema bancario russo si presenta solido ma risente, spesso in modo visibile, della contradditoria fase di evoluzione dell’intero sistema economico. Le istituzioni che lo compongono sono oltre un migliaio, ma di esse appena 8 hanno un attivo di almeno $20 mld. I primi quattro gruppi (Sberbank, VTB, Gazprombank, and Rosselkhozbank) sono sotto controllo statale. La cessione nel 2012 del 7,6% di Sberbank ha comunque lasciato allo stato la maggioranza assoluta di questa banca (50% + un voto); Rosselkhozbank (Russian Agricultural Bank) dovrebbe essere completamente 6 Cfr. The Economist, The S word, 9 novembre 2013. 9
  • 10. 24 dicembre 2013 privatizzata entro il 2016. La prima banca privata (Alfa Bank) si posiziona al quinto posto per dimensione dell’attivo totale. Il principale gruppo bancario nazionale (Sberbank) ha una rete di quasi 19mila sportelli, attività totali per quasi $340 mld e si posiziona nel mondo intorno alla ventesima posizione per capitalizzazione di mercato (è quotata anche a Londra). VTB, da parte sua, deve una parte importante della sua recente crescita dimensionale (nel 2012 attività totali per $211 mld) all’acquisizione/salvataggio di Bank of Moscow. Le banche estere operanti nel Paese sono quasi 80. Alla fine di maggio 2013 ad esse andava attribuito il 22% circa dei prestiti retail e il 14% dei finanziamenti alle imprese. Tra il dicembre 2010 e l’agosto 2012 nove gruppi bancari esteri hanno annunciato o completato il loro ritiro, in genere sostituiti da operatori bancari già presenti in Russia ma in due casi senza aver trovato acquirenti. Se da un lato questi ritiri segnalano la difficoltà per un’istituzione finanziaria estera di operare con successo in questo mercato, dall’altro lato si deve comunque rilevare che nella graduatoria per dimensione sono stranieri 3 dei primi 10 gruppi e 5 dei primi 20. La crisi finanziaria del 2008-09 ha coinvolto solo limitatamente il sistema bancario russo poco esposto sul fronte internazionale e su quello dell’investment banking. Quella fase di elevata instabilità ha comunque messo in evidenza la fragilità di numerosi operatori e costretto le autorità ad interventi di sostegno (ricapitalizzazioni ed erogazioni di prestiti) per poco meno di 2.000 miliardi di rubli (€45 mld). L’elevata redditività (Roe del 16,1% a fine settembre 2013, 18,3% un anno prima) consente un diffuso rafforzamento del patrimonio contabile. Tuttavia, nel 2012 tra le prime 100 banche 9 hanno chiuso in perdita. Russia: la dinamica del credito a famiglie e imprese (tasso di crescita a/a) 50 45 40 35 30 25 20 15 10 5 0 gen-11 lug-11 gen-12 Prestiti alle imprese lug-12 gen-13 lug-13 Prestiti alle famiglie Fonte: Ocse Il credito bancario ha registrato negli ultimi anni un andamento particolarmente sostenuto tanto dal lato delle famiglie quanto su quello delle imprese (in termini di consistenze, i prestiti alle imprese sono oltre il doppio di quelli alle famiglie). In entrambi i casi dal 2010 il tasso di crescita annuo non è mai sceso al di sotto della doppia cifra (+44% e +27%, rispettivamente il livello massimo raggiunto). All’ultima verifica (agosto 2013) i prestiti alle imprese risultavano in crescita a/a del 13%, quelli 10
  • 11. 24 dicembre 2013 alle famiglie del 32,5%, con evidenti indicazioni di un rallentamento in atto (nella prima parte del 2012, era ancora +25% a/a e +41% a/a, rispettivamente). I prestiti alle famiglie costituiscono meno del 30% dei prestiti totali e nel loro ambito i mutui per l’acquisto dell’abitazione ne rappresentano circa un quarto. In entrambi i casi la Russia è piuttosto lontana dai paesi che ragionevolmente possono essere assunti come riferimento: in Russia i prestiti alle famiglie rappresentano (2012) il 12,4% del Pil, un livello che Romania e Bulgaria hanno raggiunto nel 2006; da parte loro i mutui sono appena al disopra del 3% del Pil rispetto al 20% dell’Ungheria e al 19% della Croazia. Diversamente da altri paesi della regione, tuttavia, in Russa sono trascurabili i prestiti alle famiglie denominati in valuta estera (3% rispetto al circa 60% delle consistenze in Ungheria o al 77% delle nuove erogazioni in Polonia). Dal lato delle imprese la quota dei prestiti denominati in valuta è più elevata (20%). Alla crescita dei prestiti ha corrisposto un andamento altrettanto sostenuto dei depositi delle famiglie e delle imprese. In termini di consistenze, la quota delle prime è pari a circa il 60%, quella delle seconde al 35%. L’incidenza dei depositi denominati in valuta è diminuita in misura contenuta (dal quasi 30% a circa un quarto). L’andamento declinante del rapporto prestiti/depositi (dal 122% a metà 2010 al 119% di fine settembre 2013) segnala chiaramente che la crescita dei prestiti non ha trovato resistenze dal lato della raccolta. Come altre volte verificato, una crescita così sostenuta dei finanziamenti condiziona negativamente la qualità complessiva del portafoglio prestiti (alla fine del settembre scorso l’incidenza dei prestiti fortemente irregolari era pari al 6,6%). Il fenomeno si manifesta con maggiore gravità nel campo del credito al consumo: nei primi nove mesi del 2013, pur a fronte di una crescita delle consistenze del 36%, l’incidenza dei prestiti irregolari è salita dal 5,9% al 7,7%. Altre circostanze rafforzano la percezione che in questo campo la situazione sia molto tesa: il numero delle persone titolari di quattro o più prestiti personali è raddoppiato in tempi molto ristretti; la principale banca del paese sta rapidamente aumentando il tasso di rifiuto; etc. La Russia partecipa all’attività del Comitato di Basilea. La piena applicazione delle regole di Basilea 2 e Basilea 2.5 è traguardo molto vicino; decisamente in ritardo, invece, è l’adozione della normativa Basilea 3 7. Per quanto riguarda quest’ultima la Banca Centrale Russa ha pubblicato nel dicembre 2012 le necessarie disposizioni con l’indicazione alle banche di procedere alla loro applicazione entro novembre 2013. Nel luglio 2013 la stessa istituzione è però intervenuta sia spostando la scadenza a gennaio 2014 sia riducendo il requisito minimo richiesto per il coefficiente core Tier 1 (dal 5,6% al 5%) e per quello Tier 1 totale (da 7,5% a 5,5% da incrementare a 6% entro il 2015); il coefficiente patrimoniale minimo complessivo (Tier 1 + Tier 2), invece, è stato confermato al 10%, al di sopra dell’8% stabilito nella normativa di Basilea. Il rinvio e l’alleggerimento dei requisiti (comunque allineati o superiori a quelli concordati a Basilea) segnalano qualche preoccupazione delle autorità per la tenuta di 7 Cfr. Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria, Rapporto ai leader del G20 sul monitoraggio dell’attuazione delle riforme di Basilea 3, agosto 2013. Le regole Basilea 2 (pubblicate nel 2004) hanno migliorato la misurazione del rischio di credito e introdotto disposizioni relative al rischio operativo; le disposizioni di Basilea 2.5 modificano in profondità la misurazione dei rischi relativi alle operazioni di cartolarizzazione e alle esposizioni collegate al portafoglio di negoziazione; Basilea 3 fissa livelli più elevati per i coefficienti patrimoniali e introduce un nuovo schema internazionale per la regolamentazione della liquidità. A partire dal vertice di Cannes (novembre 2011) i leader del G20 hanno ripetutamente sollecitato le varie giurisdizioni a realizzare una piena e coerente attuazione di Basilea 2 e Basilea 2.5 entro la fine del 2011 e di Basilea 3 a partire dal 2013 ed entro il 1° gennaio 2019. 11
  • 12. 24 dicembre 2013 una parte del sistema bancario. Secondo una stima della società di consulenza KPMG, l’alleggerimento delle disposizioni annulla quasi completamente (in media) il fabbisogno di patrimonio necessario alle prime 50 banche del paese per rispettare sin dal 2015 i requisiti fissati dalla banca centrale. 12
  • 13. 24 dicembre 2013 Un cruscotto della congiuntura: alcuni indicatori Indice Itraxx Eu Financial Indice Vix 400 60 350 300 50 250 40 200 30 150 100 20 Index Itraxx EU Financial Sector 50 set-13 nov-13 lug-13 mag-13 gen-13 mar-13 set-12 nov-12 lug-12 mag-12 gen-12 mar-12 set-11 nov-11 lug-11 mag-11 gen-11 0 mar-11 set-13 nov-13 lug-13 mag-13 gen-13 mar-13 set-12 nov-12 lug-12 mag-12 gen-12 mar-12 set-11 nov-11 lug-11 mag-11 gen-11 10 mar-11 0 Fonte: Thomson Reuters Fonte: Thomson Reuters I premi al rischio passano da 96 a 86 pb. L’indice Vix nell’ultima settimana scende a quota 14. Cambio euro/dollaro e quotazioni Brent Prezzo dell’oro (Usd per barile) (Usd l’oncia) 2.000 130 1,5 1.900 125 1,45 1.800 1,4 1.700 120 115 1,35 110 1,3 105 1.500 1.400 nov-13 set-13 lug-13 mar-13 mag-13 nov-12 gen-13 set-12 lug-12 mar-12 mag-12 nov-11 gen-12 1.200 set-11 1,15 lug-11 90 gen-11 mag-11 set-11 gen-12 mag-12 set-12 gen-13 mag-13 set-13 1,2 mar-11 Cambio euro/dollaro sc.ds. mag-11 Brent scala sin.(in Usd) 1.300 gen-11 1,25 100 95 1.600 Fonte: Thomson Reuters Fonte: Thomson Reuters Il tasso di cambio €/$ a 1,37. Il petrolio di qualità Brent quota $112 al barile. Il prezzo dell’oro rimane sotto i 1.300 dollari l’oncia. 13
  • 14. 24 dicembre 2013 Borsa italiana: indice Ftse Mib Tassi dei benchmark decennali: differenziale con la Germania (punti base) 24.000 1.400 22.000 1.200 1.000 20.000 800 18.000 600 400 16.000 0 12.000 gen-11 mag-11 set-11 gen-12 mag-12 set-12 gen-13 mag-13 set-13 gen-11 feb-11 mar-11 apr-11 mag-11 giu-11 lug-11 ago-11 set-11 ott-11 nov-11 dic-11 gen-12 feb-12 mar-12 apr-12 mag-12 giu-12 lug-12 ago-12 set-12 ott-12 nov-12 dic-12 gen-13 feb-13 mar-13 apr-13 mag-13 giu-13 lug-13 ago-13 set-13 ott-13 nov-13 dic-13 200 14.000 Italia Spagna Irlanda Portogallo Fonte: Thomson Reuters Fonte: elab. Servizio Studi BNL su dati Thomson Reuters Il Ftse Mib sale oltre quota 18.000. I differenziali con il Bund sono pari a 438 pb per il Portogallo, 156 pb per l’Irlanda, 227 pb per la Spagna e 225 pb per l’Italia. Indice Baltic Dry Euribor 3 mesi (val. %) 12.000 6 10.000 5 8.000 4 set-13 set-12 gen-13 mag-13 set-11 gen-12 mag-12 set-10 gen-11 mag-11 set-09 gen-10 mag-10 set-08 gen-09 mag-09 0 set-07 1 0 gen-08 mag-08 2 2.000 set-06 4.000 gen-07 mag-07 3 gen-08 apr-08 lug-08 ott-08 gen-09 apr-09 lug-09 ott-09 gen-10 apr-10 lug-10 ott-10 gen-11 apr-11 lug-11 ott-11 gen-12 apr-12 lug-12 ott-12 gen-13 apr-13 lug-13 ott-13 6.000 Fonte: Thomson Reuters Fonte: Thomson Reuters L’indice Baltic Dry nell’ultima settimana sale oltre quota 2.000. L’euribor 3m resta stabile poco oltre 0,20%. Il presente documento è stato preparato nell’ambito della propria attività di ricerca economica da BNLGruppo Bnp Paribas. Le stime e le opinioni espresse sono riferibili al Servizio Studi di BNL-Gruppo BNP Paribas e possono essere soggette a cambiamenti senza preavviso. Le informazioni e le opinioni riportate in questo documento si basano su fonti ritenute affidabili ed in buona fede. Il presente documento è stato divulgato unicamente per fini informativi. Esso non costituisce parte e non può in nessun modo essere considerato come una sollecitazione alla vendita o alla sottoscrizione di strumenti finanziari ovvero come un’offerta di acquisto o di scambio di strumenti finanziari. 14