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Roma. terrorismo e minori. una intervista alla dottoressa cecilia polizzi, crtg working group work

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Roma. terrorismo e minori. una intervista alla dottoressa cecilia polizzi, crtg working group work

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Cecilia Polizzi è un avvocato di diritto internazionale, esperta di livello dirigenziale e docente con una esperienza professionale ed accademica decennale nella tutela dei diritti umani, giustizia penale e minorile ed altre branche del diritto, incluse questioni connesse alla sicurezza internazionale e all'antiterrorismo. In quest´intervista con Giancarlo Capozzoli di L´espresso discute della questione dello sfruttamento minorile da parte di gruppi terroristici.

Cecilia Polizzi è un avvocato di diritto internazionale, esperta di livello dirigenziale e docente con una esperienza professionale ed accademica decennale nella tutela dei diritti umani, giustizia penale e minorile ed altre branche del diritto, incluse questioni connesse alla sicurezza internazionale e all'antiterrorismo. In quest´intervista con Giancarlo Capozzoli di L´espresso discute della questione dello sfruttamento minorile da parte di gruppi terroristici.

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  1. 1. Roma. Terrorismo e minori. Una intervista alla dottoressa Cecilia Polizzi, CRTG Working Group - Working Group on Children Recruited by Terrorist and Violent Extremist Groups 4 26 luglio 2021 5 Senza categoria 6 7 0 NESSUN COMMENTO 8 LASCIA UN COMMENTO Devi essere registrato per postare un commento. Fino a prova contraria Giancarlo Capozzoli CP: "Il CRTG Working Group - Working Group on Children Recruited by Terrorist and Violent Extremist Groups - é nato dall ´esigenza di rispondere al sistema di abuso e violenza esercitato dalle organizzazioni terroristiche contro i minori. È stato istituito proprio per fare fronte a questo tipo di fenomeno, al fine di prevenirlo e contrastarlo. La gravità della violenza esercitata sui minori da parte di attori terroristici ha delle conseguenze devastanti. Nella maggior parte dei casi, tanto per fare un esempio, porta ad una morte prematura del minore stesso, oppure è causa di gravi danni al minore, compromettendo, così, lo sviluppo della persona, intellettuale e sociale, e lasciando, inoltre, quelli che sopravvivono, con gravi traumi, dovendo sopportare le conseguenze di profonde cicatrici sia fisiche che emotive. Inoltre, il coinvolgimento di minori con organizzazioni di matrice terroristica comporta una stigmatizzazione ed un alto rischio, per il minore, di diventare vittima di una violenza ulteriore, cosiddetta secondaria, da parte delle forze dell'ordine, delle forze armate o dei militari e anche delle comunità in seguito ad un' arresto, oppure a conseguenza del reintegramento sociale. Sebbene esista un profondo impegno, condiviso internazionalmente, verso la protezione del minore contro gravi forme di violenza, la protezione di coloro colpiti dallo sfruttamento terroristico continua a presentare importanti latenze e richiede pertanto un ulteriore sviluppo e il concretamento di sistemi di intervento, urgenti e multilaterali, a livello globale. GC: In alcune nostre precedenti conversazioni mi ha detto che il CRTG Working Group é originariamente emerso dal un Comitato CoNGO delle Nazioni Unite... CP: Esattamente. Tra il 2019 e l ´inizio del 2020, il CRTG Working Group ha supportato il lavoro del Comitato attraverso l ´identificazione e l ´analisi di lacune conoscitive nel settore della criminalità, della prevenzione del terrorismo e della giustizia penale, per quanto concerne appunto la condizione del minore nel terrorismo. Nel 2020, il CRTG Working Group si è reso independente diventando di fatto lunica organizzazione non- profit a livello globale, con un focus esclusivo alla protezione del diritto dei minori vittime dell ´uso e dello sfruttamento terroristico. GC: L ´obiettivo che il CRTG Working Group si prefigge è la protezione del minore dal traffico terroristico... CP: E di ispirare un cambiamento duraturo e positivo nel modo in cui i minori vittime di coercizione, violenza e sfruttamento terroristico vengono trattati. Proprio per questo, il CRTG porta avanti ricerca e analisi per raccogliere maggiori informarzioni sullo sviluppo di programmi di prevenzione e risposta alla violenza condotta da attori terroristici contro i minori, sostiene il rispetto della dignità e dei diritti del minore nel terrorismo, instaura sinergie ed offre servizi di consulenza per fornire ai responsabili politici, professionisti, e società civile gli strumenti necessari per comprendere e rispondere a questo problema. GC: Ultimamente, la questione dello sfruttamento di minori da parte di attori terroristici è emersa come una delle principali causali della violenza estrema a cui assistiamo nel mondo... CP: E' una violenza che tutti, indistintamente, subiamo a causa del terrorismo ed è una violenza che il minore in primo luogo subisce a causa del terrorismo. A partire dalla percezione di questo fenomeno nella sua natura transnazionale e globale, ed anche in considerazione della gravitá della minaccia imposta alla sicurezza del minore e della comunitá internazionale, il CRTG Working Group intende che integrare il coordinamento tra diversi settori sia fondamentale. In ogni aspetto del nostro lavoro, quindi cerchiamo di includere I/ONG, istituzioni, accademici, operatori umanitari, comunità locali ed esperti internazionali che condividono il nostro profondo impegno per la protezione della sicurezza e dell ´attribuzione del diritto al minore nel terrorismo. GC: Le questioni sono evidentemente connesse al problema del terrorismo che continua a costituire, nel panorama contemporaneo, una delle minacce più gravi per la comunità internazionale... CP: E' chiaro che tra le tendenze critiche che hanno interessato, e continuano a rimodellare, l'estremismo violento negli ultimi anni, il reclutamento e lo sfruttamento dei minori stia emergendo come un fattore determinante. Non sarebbe forse esagerato affermare che questo fenomeno rappresenta una componente in rapida evoluzione della tattica e della strategia terroristica e che imponga un pericolo evidente, presente e concreto per il minore, per le comunità e le società e per la sicurezza internazionale stessa. GC: Lo sviluppo del terrorismo nel corso del XX e del XXI secolo è caratterizzato dal crescente coinvolgimento dei minori. Come se lo spiega? CP: Con il fatto che il terrorismo evolve in considerazione delle contromisure applicate di controterrorismo. Le organizzazioni terroristiche, voglio dire, si evolvono in modo continuo e dinamico ed il reclutamento del minore fa parte della stessa traiettoria di sviluppo. All'indomani dell'11 settembre (9/11), ad esempio, le misure antiterroristiche hanno notevolmente ridotto la probabilità di successo operativo del terrorismo e per evitare il rilevamento, i gruppi terroristici sono diventati meno gerarchici e più decentralizzati. GC: Il coinvolgimento del minore nel terrorismo, vuole dire, emerge come un cambio di strategia e di tattica... CP: Infatti, e lo stesso discorso riguarda le donne. I minori sono comunemente associati all'innocenza e si presume che siano – intrinsecamente - non violenti. Come ha affermato un combattente talebano durante la loro ascesa nella guerra civile afghana, "I bambini sono innocenti, quindi sono i migliori strumenti contro le forze oscure". Inoltre, la malleabilità del minore all'indottrinamento li rende bersagli particolarmente vulnerabili, per essere costretti od indotti con altri mezzi a partecipare ad operazioni terroristiche quando il reclutamento di adulti non sembra fornire alcun vantaggio comparativo oppure è semplicemente carente. Ancora più importante, lo sfruttamento dei bambini nel terrorismo riflette la necessità di garantire la sopravvivenza di un'organizzazione. L'esposizione prolungata e la partecipazione ad atti violenti porta a una profonda desensibilizzazione e normalizzazione alla violenza terroristica e instilla nei bambini un profondo attaccamento ideologico al credo dello jihadismo salafista, ad esempio, garantendone così la propagazione e la perpetuazione, a livello intergenerazionale. Il focus sistematico delle organizzazioni terroristiche sui minori ha portato il loro sfruttamento a diventare una questione urgente ed una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale. GC: Nessun minore, indipendentemente dalla sua età, sesso, nazionalità o status sociale, è indennizzato o protetto contro il rischio di diventare il target di gruppi terroristici e estremisti violenti... Giusto? CP: Sì, tuttavia nell'ambito contemporaneo della sicurezza globale, sia i conflitti armati che la demografia, sono da considerare come una serie di dimensioni preesistenti ed agenti abilitanti del fenomeno. Gli Stati fragili e quelli colpiti da conflitti armati sono altamente inclini al terrorismo. Lotte intestine, violenza prolungata e caos abissale debilitano le istituzioni governative, esacerbano le fragilità preesistenti e creano un vuoto di potere che le organizzazioni estremiste violente sfruttano per stabilire safe havens, attirare pools di reclute nell'orbita della jihad globale ed implementare la propria agenda. GC: Possiamo quindi affermare che i bambini coinvolti in un conflitto armato o i bambini in prossimità geografica di un conflitto armato presentano un grado più elevato di rischio ed esposizione al reclutamento da parte di gruppi terroristi? CP: Assolutamente. Inoltre, oltre al conflitto armato, poiché ora ci troviamo nel mezzo della più grande generazione di giovani nella storia umana, la demografia costituisce un fattore supplementare che influisce sul tasso di reclutamento e utilizzo del minore. Pensi che nel 2005, quasi il 50% della popolazione nei paesi in via di sviluppo aveva meno di quindici anni, rappresentando il 90% della gioventù mondiale. Attualmente, in un paese come la Somalia, ad esempio, i bambini e i giovani continuano a rappresentare il 50,8 % della popolazione totale. Lo stesso dato vale per la Syria dove, prima dello scoppio della guerra civile, l'età media della popolazione era di 24,4 anni, con quasi il 40% sotto i 14 anni. Il verificarsi simultaneo di questi elementi, del conflitto armato e del nesso terroristico e della demografia infantile, lascia che queste categorie costituiscano un enorme bacino di sfruttamento in ranghi terroristici, lavoro per l'economia illegale e anche forme contemporanee di schiavitù, traffico di esseri umani e altre forme di organizzazioni criminali. GC: I bambini sono tra le categorie più vulnerabili a livello sociale. Nella letteratura moderna, il concetto di vulnerabilità infantile è frequentemente associato allo sviluppo del bambino... CP: E' inteso come il risultato dell'interazione di una serie di fattori individuali ed ambientali derivanti da capacità cognitive, emotive e fisiche, status socio- economico o risposte a fattori di stress, compresa l'esposizione alla violenza. Le neuroscienze, le discipline psicosociali ed in effetti tutte le discipline che studiano la funzione cerebrale, ci insegano ulteriormente sulla nostra comprensione collettiva della vulnerabilità del minore e del suo bisogno di sviluppo. Il punto di partenza è riconoscere che i bambini e i giovani hanno abilità rudimentali di cognizione fattuale o processi mentali come l'apprendimento, l'uso e la comprensione del linguaggio, la memoria, il pensiero e la percezione, ma anche cognizione morale e capacità conativa, regolando il controllo degli impulsi. GC: È ormai generalmente accettato che i bambini piccoli pensano a questioni morali, sociali e alle relazioni umane in modi che differiscono qualitativamente dai modi in cui pensano i bambini più grandi o gli adulti… CP: Se consideriamo la piena formazione della capacità psicologica e cognitiva da raggiungere all'età di diciotto anni, si può notare che le organizzazioni terroristiche non stabiliscano né rispettino un'età minima per il reclutamento di minori. Abbiamo visto un bambino di 4 anni, mentre faceva esplodere esplosivi in un'auto uccidendo tre prigionieri. Abbiamo assistito a rapimenti di massa di bambini e bambine di 7 anni, e siamo anche consapevoli dell'alto numero di bambini nati in un contesto di conflitto armato con un'organizzazione terroristica attiva ed operativa sul territorio. GC: Quando si parla di minori, parliamo di grazia, di vulnerabilità, di un'ampia gamma di discipline e fa parte delle principali costruzioni sociali riguardanti l'infanzia. CP: Il concetto dell ´innocenza infantile si trova giá nel Nuovo Testamento, dove parole come "migliore", "fresco" e "bianco ”, denotano qualità di purezza. Un forte avallo si trova negli scritti del diciottesimo e diciannovesimo secolo, non ultimo in Rousseau, che annuncia il suo manifesto personale all'inizio di Émile affermando che il bambino è in "uno stato di natura" e, data l'assenza di circostanze avverse, ciò sarebbe sufficiente per sviluppare quelle che Postman chiama "le virtù infantili della spontaneità, purezza, forza e gioia, tutte cose che sono state viste come caratteristiche da coltivare e celebrare.” Ai minori sono quindi attribuite connotazioni positive, attributi di innocenza, vulnerabilità ma anche bisogno di protezione, cura, nutrimento. Sono percepiti come una forza positive nel mondo, che attraverso un periodo di socializzazione ed educazione diventa cruciale per la sopravvivenza della specie. GC: Quale tipo di relazione esiste tra il concetto dell ´innocenza infantile e lo sfruttamento da parte di gruppi terroristici? CP: Il terrorismo nasce dalla condizione stessa dell'esistenza umana. E poiché dobbiamo considerare i terroristi nella loro qualità di essere umano, nonostante quanto disumanamente li possiamo percepire, dobbiamo anche presumere che condividano le nostre costruzioni sociali e la percezione dei bambini come puri, innocenti, bisognosi di protezione. GC: A partire dalla sua esperienza diretta, quali sono le diverse forme di coercizione o influenza associate ai metodi di reclutamento? CP: Il reclutamento del minore da parte di attori terroristici non avviene quindi a dispetto della loro vulnerabilità o età, ma proprio a causa di essa. Un bambino non ha la capacità fisica o cognitiva per difendersi dal reclutamento in un'organizzazione terroristica o attirato ad unirsi ad un'organizzazione terroristica. In particolar modo, il reclutamento forzato continua a rimanere prevalente con i gruppi terroristici che spesso impiegano minacce, comprese minacce a familiari, parenti, anziani, ma anche rapimenti o altre forme di coercizione. Dal 2014, Boko Haram ha impiegato rapimenti di massa in Nigeria e nella regione del Lake Chad. Il famigerato rapimento di 276 studentesse a Chibok nell'aprile 2014 che ha suscitato l'indignazione internazionale e la campagna sui social media “Bring Back Our Girls”, è stato echeggiata dal rapimento di otto ragazze di età compresa tra 8- 15 anni da un villaggio in Nigeria Borno State, dal rapimento di trentatré donne e sei bambini dal villaggio di Nguelewa, nella regione di Diffa ed ancora dal rapimento di 110 ragazze da una scuola di Dapchi nel marzo 2018. I nostri dati mostrano anche che tra il 2014 e il 2016, in un periodo di due anni, Boko Haram ha rapito 10.000 ragazzi per operazioni militari e di combattimento. GC: In Somalia, invece? CP: Ci sono stati episodi di reclutamento forzato da parte di Al- Shabaab che sono stati segnalati già nel 2009. Il 30% dei combattenti di Al- Shabaab è stato reclutato con la forza con la maggior parte delle stime che scendono nella fascia bassa, intorno al 13%. Tuttavia, l'uso da parte di Al- Shabaab del reclutamento forzato, della detenzione, dell'intimidazione e del rapimento è cambiato negli ultimi anni, diventando molto più comune dalla fine del 2017 e il 2020, periodo in cui la Somalia ha avuto il più alto numero di bambini soldato a livello globale. GC: Mentre l'ISIS occupava territori in Siria e Iraq, i suoi membri hanno rapito migliaia di bambini da orfanotrofi, scuole e persino dalle case delle loro famiglie... CP: Secondo quanto riferito, i bambini di età inferiore ai 14 anni costituivano oltre un terzo dei 6.800 Yazidi che l'ISIL ha rapito a Sinjar (2014). Altri 800- 900 bambini sono stati rapiti da Mosul per indottrinamento religioso e addestramento militare. GC: Pur riconoscendo, chiaramente da quanto è emerso finora, che nessun processo di reclutamento dei bambini può essere considerato veramente volontario, a causa dello sviluppo delle capacità cognitive del bambino e delle diverse forme di coercizione, esercizio di influenza e persuasione associate ai metodi di reclutamento, possiamo affermare che alcuni contesti e driver - altrimenti definiti "push and pull factors"- come mi ha accennato in altre discussioni, spiegano il coinvolgimento volontario dei bambini con un'organizzazione terroristica? CP: In via preliminare, è importante sottolineare che nessuno dei potenziali drivers – utilizzati in relazione all'estremismo violento – o dei percorsi – utilizzati nel contesto della radicalizzazione individuale alla violenza estremista dovrebbe essere considerato isolatamente perché generalmente una moltitudine di fattori è implicata. Inoltre, anche queste potenziali vie di estremismo violento devono essere contestualizzate, rispetto a questioni non solo locali, ma anche nazionali e internazionali. A partire da questa considerazione ci sono due categorie principali di fattori conducenti. Per “push factors” si intendono le condizioni che favoriscono l'estremismo violento e il contesto strutturale da cui emerge. Compresi la mancanza di opportunità socio- economiche, l'emarginazione e la discriminazione, il malgoverno, le violazioni dei diritti umani e dello Stato di diritto, i conflitti prolungati o irrisolti, e la radicalizzazione nelle carceri. GC: Per "pull factors" invece? CP: Sono intesi come le motivazioni e quei processi individuali, che svolgono un ruolo chiave nel trasformare grievances in atti di violenza estrema ed includono motivazioni individuali; rimostranze collettive e vittimizzazione derivanti dall ´oppressione – percepita o attuale - intervento straniero, distorsione e abuso di credenze, ideologie politiche e differenze etniche e culturali; e leadership e reti sociali. In altre parole, push factor si riferisce a quei fattori che sono strutturali della società, mentre i "pull factors" sono aspetti psicologici che possono rendere un individuo più suscettibile ad intraprendere comportamenti correlati o facenti parte dell ´ estremismo violento o maturare il desiderio di aderire a un'organizzazione terroristica. GC: Per quanto riguarda la questione della radicalizzaizone, volevo sapere il suo punto di vista... CP: Ci sono due diversi scenari di cui tenere conto. Il primo riguarda il reclutamento di bambini da parte di gruppi terroristici a livello locale, che può avvenire sia volontariamente che forzatamente, e comprende un processo di indottrinamento allo jihadismo salafista, ed il secondo che riguarda il reclutamento attraverso la comunicazione e la tecnologia online. Rispetto al primo, i gruppi terroristici attuano una strategia sistematica per reclutare e radicalizzare i bambini combinando l'indottrinamento ai precetti ideologici con l'addestramento militare e la desensibilizzazione alla violenza. Si potrebbe quindi parlare di un sistema ibrido in cui l'indottrinamento a un'adesione senza compromessi all'ideologia salafi- jihadista, fondata sulla premessa che i non credenti dovrebbero essere perseguitati, si integra con una prolungata esposizione ed anche partecipazione ad atti di violenza. GC: Con quali conseguenze? CP: I bambini arrivano a considerano la violenza non solo come normale ma anche come qualcosa di desiderabile. Soprattutto se si considera la promessa di acquisizione di status attuata da parte del gruppo per la perpetrazione di tali atti. Ciò avviene in concomitanza con processi di socializzazione all'interno del gruppo che portano i bambini a sviluppare un profondo attaccamento ideologico al credo dello jihadismo salafista, garantendone così la propagazione e la sopravvivenza a lungo termine. GC: Rispetto alla radicalizzazione online, invece? CP: I gruppi terroristici diffondono ampiamente la propria propaganda online attraverso giochi, riviste, editoriali, volantini e utilizzano proattivamente le piattaforme di social media come strumento di reclutamento. Il gruppo ha infatti dimostrato una capacità senza precedenti di attrarre flussi di reclute promuovendo le sue presunte conquiste, dipingendo il califfato come uno stato ideale e utopico alternativo all'Occidente e sfruttando la narrativa che il dovere di ogni musulmano è in effetti di sostenerli. In conclusione, credo sia importante qui fare una distinzione tra il reclutamento a livello locale e globale perché che la maggioranza dei minori, a livello locale, che arrivano a coinvolgersi con gruppi terroristici non lo fanno per un attaccamento o una fascinazione per il salafismo- jihadista a priori, che d ´altro canto rappresenta un elemento critico alla base della radicalizzazione online, ma questo è ciò con cui restano a conseguenza del loro sfruttamento. Cecilia Polizzi è un avvocato di diritto internazionale, esperta di livello dirigenziale e docente con una esperienza professionale ed accademica decennale nella tutela dei diritti umani, giustizia penale e minorile ed altre branche del diritto, incluse questioni connesse alla sicurezza internazionale e all'antiterrorismo. La sua carriera è stata dedicata alla protezione dei minori contro gravi forme di violenza, comprese le uccisioni extragiudiziali, la forza non necessaria, l'arresto e la detenzione arbitrari e lo sfruttamento da parte di gruppi estremisti violenti e terroristici, nonché alla pianificazione e attuazione di strategie che promuovono l'istruzione, lo sviluppo, partecipazione e rappresentanza nei processi politici. Dal 2018, ha fondato e diretto il CRTG Working Group, unica I/ONG a livello mondiale con un focus esclusivo sulla protezione dei minori dallo sfruttamento da parte di organizzazioni estremiste violente. In questo contesto, supervisiona una serie di programmi per fornire ai decisori politici, professionisti ed operatori gli strumenti necessari per comprendere e rispondere alla violenza contro i minori in questo ambito e coordina, tra altre attività, un portfolio che identifica e affronta le questioni sistemiche che guidano il coinvolgimento dei giovani nell'estremismo violento. CP: "Il CRTG Working Group - Working Group on Children Recruited by Terrorist and Violent Extremist Groups - é nato dall´esigenza di rispondere al sistema di abuso e violenza esercitato dalle organizzazioni terroristiche contro i minori. È stato istituito proprio per fare fronte a questo tipo di fenomeno, al fine di prevenirlo e contrastarlo. La gravità della violenza esercitata sui minori da parte di attori terroristici ha delle conseguenze devastanti. Nella maggior parte dei casi, tanto per fare un esempio, porta ad una morte prematura del minore stesso, oppure è causa di gravi danni al minore, compromettendo, così, lo sviluppo della persona, intellettuale e sociale, e lasciando, inoltre, quelli che sopravvivono, con gravi traumi, dovendo sopportare le conseguenze di profonde cicatrici sia fisiche che emotive. Inoltre, il coinvolgimento di minori con organizzazioni di matrice terroristica comporta una stigmatizzazione ed un alto rischio, per il minore, di diventare vittima di una violenza ulteriore, cosiddetta secondaria, da parte delle forze dell'ordine, delle forze armate o dei militari e anche delle comunità in seguito ad un' arresto, oppure a conseguenza del reintegramento sociale. Sebbene esista un profondo impegno, condiviso internazionalmente, verso la protezione del minore contro gravi forme di violenza, la protezione di coloro colpiti dallo sfruttamento terroristico continua a presentare importanti latenze e richiede pertanto un ulteriore sviluppo e il concretamento di sistemi di intervento, urgenti e multilaterali, a livello globale. GC: In alcune nostre precedenti conversazioni mi ha detto che il CRTG Working Group é originariamente emerso dal un Comitato CoNGO delle Nazioni Unite... CP: Esattamente. Tra il 2019 e l´inizio del 2020, il CRTG Working Group ha supportato il lavoro del Comitato attraverso l´identificazione e l´analisi di lacune conoscitive nel settore della criminalità, della prevenzione del terrorismo e della giustizia penale, per quanto concerne appunto la condizione del minore nel terrorismo. Nel 2020, il CRTG Working Group si è reso indipendente diventando di fatto l'unica organizzazione non-profit a livello globale, con un focus esclusivo alla protezione del diritto dei minori vittime dell´uso e dello sfruttamento terroristico. GC: L´obiettivo che il CRTG Working Group si prefigge è la protezione del minore dal traffico terroristico... CP: ...e di ispirare un cambiamento duraturo e positivo nel modo in cui i minori vittime di coercizione, violenza e sfruttamento terroristico vengono trattati. Proprio per questo, il CRTG porta avanti ricerca e analisi per raccogliere maggiori informazioni sullo sviluppo di programmi di prevenzione e risposta alla violenza condotta da attori terroristici contro i minori, sostiene il rispetto della dignità e dei diritti del minore nel terrorismo, instaura sinergie ed offre servizi di consulenza per fornire ai responsabili politici, professionisti, e società civile gli strumenti necessari per comprendere e rispondere a questo problema. GC: Ultimamente, la questione dello sfruttamento di minori da parte di attori terroristici è emersa come una delle principali causali della violenza estrema a cui assistiamo nel mondo... CP: E' una violenza che tutti, indistintamente, subiamo a causa del terrorismo ed è una violenza che il minore in primo luogo subisce a causa del terrorismo. A partire dalla percezione di questo fenomeno nella sua natura transnazionale e globale, ed anche in considerazione della gravitá della minaccia imposta alla sicurezza del minore e della comunitá internazionale, il CRTG Working Group intende che integrare il coordinamento tra diversi settori sia fondamentale. In ogni aspetto del nostro lavoro, quindi cerchiamo di includere I/ONG, istituzioni, accademici, operatori umanitari, comunità locali ed esperti internazionali che condividono il nostro profondo impegno per la protezione della sicurezza e dell´attribuzione del diritto al minore nel terrorismo. GC: Le questioni sono evidentemente connesse al problema del terrorismo che continua a costituire, nel panorama contemporaneo, una delle minacce più gravi per la comunità internazionale... CP: E' chiaro che tra le tendenze critiche che hanno interessato, e continuano a rimodellare, l'estremismo violento negli ultimi anni, il reclutamento e lo sfruttamento dei minori stia emergendo come un fattore determinante. Non sarebbe forse esagerato affermare che questo fenomeno rappresenta una componente in rapida evoluzione della tattica e della strategia terroristica e che imponga un pericolo evidente, presente e concreto per il minore, per le comunità e le società e per la sicurezza internazionale stessa. GC: Lo sviluppo del terrorismo nel corso del XX e del XXI secolo è caratterizzato dal crescente coinvolgimento dei minori. Come si spiega questo fenomeno? CP: Con il fatto che il terrorismo evolve in considerazione delle contromisure applicate di contro-terrorismo. Le organizzazioni terroristiche, voglio dire, si evolvono in modo continuo e dinamico ed il reclutamento del minore fa parte della stessa traiettoria di sviluppo. All'indomani dell'11 settembre (9/11), ad esempio, le misure antiterroristiche hanno notevolmente ridotto la probabilità di successo operativo del terrorismo e per evitare il rilevamento, i gruppi terroristici sono diventati meno gerarchici e più decentralizzati. GC: Il coinvolgimento del minore nel terrorismo, vuole dire, emerge come un cambio di strategia e di tattica... CP: Infatti, ed è lo stesso discorso che riguarda le donne. I minori sono comunemente associati all'innocenza e si presume che siano – intrinsecamente - non violenti. Come ha affermato un combattente talebano durante la loro ascesa nella guerra civile afghana, "I bambini sono innocenti, quindi sono i migliori strumenti contro le forze oscure". Inoltre, la malleabilità del minore all'indottrinamento li rende bersagli particolarmente vulnerabili, per essere costretti od indotti con altri mezzi a partecipare ad operazioni terroristiche quando il reclutamento di adulti non sembra fornire alcun vantaggio comparativo oppure è semplicemente carente. Ancora più importante, lo sfruttamento dei bambini nel terrorismo riflette la necessità di garantire la sopravvivenza di un'organizzazione. L'esposizione prolungata e la partecipazione ad atti violenti porta a una profonda desensibilizzazione e normalizzazione alla violenza terroristica e instilla nei bambini un profondo attaccamento ideologico al credo dello jihadismo salafista, ad esempio, garantendone così la propagazione e la perpetuazione, a livello intergenerazionale. Il focus sistematico delle organizzazioni terroristiche sui minori ha portato il loro sfruttamento a diventare una questione urgente ed una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale. GC: Nessun minore, indipendentemente dalla sua età, sesso, nazionalità o status sociale, è indennizzato o protetto contro il rischio di diventare il target di gruppi terroristici e estremisti violenti... Giusto? CP: Sì, tuttavia nell'ambito contemporaneo della sicurezza globale, sia i conflitti armati che la demografia, sono da considerare come una serie di dimensioni preesistenti ed agenti abilitanti del fenomeno. Gli Stati fragili e quelli colpiti da conflitti armati sono altamente inclini al terrorismo. Lotte intestine, violenza prolungata e caos abissale debilitano le istituzioni governative, esacerbano le fragilità preesistenti e creano un vuoto di potere che le organizzazioni estremiste violente sfruttano per stabilire safe havens, attirare pools di reclute nell'orbita della jihad globale ed implementare la propria agenda. GC: E' chiaro che i bambini coinvolti in un conflitto armato o i bambini in prossimità geografica di un conflitto armato presentano un grado più elevato di rischio ed esposizione al reclutamento da parte di gruppi terroristi... CP: Assolutamente. Inoltre, oltre al conflitto armato, poiché ora ci troviamo nel mezzo della più grande generazione di giovani nella storia umana, la demografia costituisce un fattore supplementare che influisce sul tasso di reclutamento e utilizzo del minore. Pensi che nel 2005, quasi il 50% della popolazione nei paesi in via di sviluppo aveva meno di quindici anni, rappresentando il 90% della gioventù mondiale. Attualmente, in un paese come la Somalia, ad esempio, i bambini e i giovani continuano a rappresentare il 50,8 % della popolazione totale. Lo stesso dato vale per la Syria dove, prima dello scoppio della guerra civile, l'età media della popolazione era di 24,4 anni, con quasi il 40% sotto i 14 anni. Il verificarsi simultaneo di questi elementi, del conflitto armato e del nesso terroristico e della demografia infantile, lascia che queste categorie costituiscano un enorme bacino di sfruttamento in ranghi terroristici, lavoro per l'economia illegale e anche forme contemporanee di schiavitù, traffico di esseri umani e altre forme di organizzazioni criminali. GC: I bambini sono tra le categorie più vulnerabili a livello sociale. Nella letteratura moderna, il concetto di vulnerabilità infantile è frequentemente associato allo sviluppo del bambino... CP: E' inteso come il risultato dell'interazione di una serie di fattori individuali ed ambientali derivanti da capacità cognitive, emotive e fisiche, status socio- economico o risposte a fattori di stress, compresa l'esposizione alla violenza. Le neuroscienze, le discipline psicosociali ed in effetti tutte le discipline che studiano la funzione cerebrale, ci insegnano ulteriormente sulla nostra comprensione collettiva della vulnerabilità del minore e del suo bisogno di sviluppo. Il punto di partenza è riconoscere che i bambini e i giovani hanno abilità rudimentali di cognizione fattuale o processi mentali come l'apprendimento, l'uso e la comprensione del linguaggio, la memoria, il pensiero e la percezione, ma anche cognizione morale e capacità conativa, regolando il controllo degli impulsi. GC: È ormai generalmente accettato che i bambini piccoli pensano a questioni morali, sociali e alle relazioni umane in modi che differiscono qualitativamente dai modi in cui pensano i bambini più grandi o gli adulti… CP: Se consideriamo la piena formazione della capacità psicologica e cognitiva da raggiungere all'età di diciotto anni, si può notare che le organizzazioni terroristiche non stabiliscano né rispettino un'età minima per il reclutamento di minori. Abbiamo visto un bambino di 4 anni, mentre faceva esplodere esplosivi in ​​un'auto uccidendo tre prigionieri. Abbiamo assistito a rapimenti di massa di bambini e bambine di 7 anni, e siamo anche consapevoli dell'alto numero di bambini nati in un contesto di conflitto armato con un'organizzazione terroristica attiva ed operativa sul territorio. GC: Quando si parla di minori, parliamo di grazia, di vulnerabilità, di un'ampia gamma di discipline e fa parte delle principali costruzioni sociali che riguardano l'infanzia. CP: Il concetto dell´innocenza infantile si trova giá nel Nuovo Testamento, dove parole come "migliore", "fresco" e "bianco ”, denotano qualità di purezza. Un forte avallo si trova negli scritti del diciottesimo e diciannovesimo secolo, non ultimo in Rousseau, che annuncia il suo manifesto personale all'inizio di Émile affermando che il bambino è in "uno stato di natura" e, data l'assenza di circostanze avverse, ciò sarebbe sufficiente per sviluppare quelle che Postman chiama "le virtù infantili della spontaneità, purezza, forza e gioia, tutte cose che sono state viste come caratteristiche da coltivare e celebrare.” Ai minori sono quindi attribuite connotazioni positive, attributi di innocenza, vulnerabilità ma anche bisogno di protezione, cura, nutrimento. Sono percepiti come una forza positive nel mondo, che attraverso un periodo di socializzazione ed educazione diventa cruciale per la sopravvivenza della specie. GC: Quale tipo di relazione esiste tra il concetto dell´innocenza infantile e lo sfruttamento da parte di gruppi terroristici? CP: Il terrorismo nasce dalla condizione stessa dell'esistenza umana. E poiché dobbiamo considerare i terroristi nella loro qualità di essere umano, nonostante quanto disumanamente li possiamo percepire, dobbiamo anche presumere che condividano le nostre costruzioni sociali e la percezione dei bambini come puri, innocenti, bisognosi di protezione. GC: A partire dalla sua esperienza diretta, quali sono le diverse forme di coercizione o influenza associate ai metodi di reclutamento? CP: Il reclutamento del minore da parte di attori terroristici non avviene quindi a dispetto della loro vulnerabilità o età, ma proprio a causa di essa. Un bambino non ha la capacità fisica o cognitiva per difendersi dal reclutamento in un'organizzazione terroristica o attirato ad unirsi ad un'organizzazione terroristica. In particolar modo, il reclutamento forzato continua a rimanere prevalente con i gruppi terroristici che spesso impiegano minacce, comprese minacce a familiari, parenti, anziani, ma anche rapimenti o altre forme di coercizione. Dal 2014, Boko Haram ha impiegato rapimenti di massa in Nigeria e nella regione del Lake Chad. Il famigerato rapimento di 276 studentesse a Chibok nell'aprile 2014 che ha suscitato l'indignazione internazionale e la campagna sui social media “Bring Back Our Girls”, è stato echeggiata dal rapimento di otto ragazze di età compresa tra 8-15 anni da un villaggio in Nigeria Borno State, dal rapimento di trentatré donne e sei bambini dal villaggio di Nguelewa, nella regione di Diffa ed ancora dal rapimento di 110 ragazze da una scuola di Dapchi nel marzo 2018. I nostri dati mostrano anche che tra il 2014 e il 2016, in un periodo di due anni, Boko Haram ha rapito 10.000 ragazzi per operazioni militari e di combattimento. GC: In Somalia, invece? CP: Ci sono stati episodi di reclutamento forzato da parte di Al-Shabaab che sono stati segnalati già nel 2009. Il 30% dei combattenti di Al-Shabaab è stato reclutato con la forza con la maggior parte delle stime che scendono nella fascia bassa, intorno al 13%. Tuttavia, l'uso da parte di Al-Shabaab del reclutamento forzato, della detenzione, dell'intimidazione e del rapimento è cambiato negli ultimi anni, diventando molto più comune dalla fine del 2017 e il 2020, periodo in cui la Somalia ha avuto il più alto numero di bambini soldato a livello globale. GC: Mentre l'ISIS occupava territori in Siria e Iraq, i suoi membri hanno rapito migliaia di bambini da orfanotrofi, scuole e persino dalle case delle loro famiglie... CP: Secondo quanto riferito, i bambini di età inferiore ai 14 anni costituivano oltre un terzo dei 6.800 Yazidi che l'ISIL ha rapito a Sinjar (2014). Altri 800- 900 bambini sono stati rapiti da Mosul per indottrinamento religioso e addestramento militare. GC: Pur riconoscendo, chiaramente da quanto è emerso finora, che nessun processo di reclutamento dei bambini può essere considerato veramente volontario, a causa dello sviluppo delle capacità cognitive del bambino e delle diverse forme di coercizione, esercizio di influenza e persuasione associate ai metodi di reclutamento, possiamo affermare che alcuni contesti e driver -altrimenti definiti "push and pull factors"- come mi ha accennato in altre discussioni, spiegano il coinvolgimento volontario dei bambini con un'organizzazione terroristica? CP: In via preliminare, è importante sottolineare che nessuno dei potenziali drivers – utilizzati in relazione all'estremismo violento – o dei percorsi – utilizzati nel contesto della radicalizzazione individuale alla violenza estremista dovrebbe essere considerato isolatamente perché generalmente una moltitudine di fattori è implicata. Inoltre, anche queste potenziali vie di estremismo violento devono essere contestualizzate, rispetto a questioni non solo locali, ma anche nazionali e internazionali. A partire da questa considerazione ci sono due categorie principali di fattori conducenti. Per “push factors” si intendono le condizioni che favoriscono l'estremismo violento e il contesto strutturale da cui emerge. Compresi la mancanza di opportunità socio-economiche, l'emarginazione e la discriminazione, il malgoverno, le violazioni dei diritti umani e dello Stato di diritto, i conflitti prolungati o irrisolti, e la radicalizzazione nelle carceri. GC: Per "pull factors" invece? CP: Sono intesi come le motivazioni e quei processi individuali, che svolgono un ruolo chiave nel trasformare grievances in atti di violenza estrema ed includono motivazioni individuali; rimostranze collettive e vittimizzazione derivanti dall´oppressione – percepita o attuale - intervento straniero, distorsione e abuso di credenze, ideologie politiche e differenze etniche e culturali; e leadership e reti sociali. In altre parole, push factor si riferisce a quei fattori che sono strutturali della società, mentre i pull factors sono aspetti psicologici che possono rendere un individuo più suscettibile ad intraprendere comportamenti correlati o facenti parte dell´ estremismo violento o maturare il desiderio di aderire a un'organizzazione terroristica. GC: Per quanto riguarda la questione della radicalizzazione, volevo sapere il suo punto di vista... CP: Ci sono due diversi scenari di cui tenere conto. Il primo riguarda il reclutamento di bambini da parte di gruppi terroristici a livello locale, che può avvenire sia volontariamente che forzatamente, e comprende un processo di indottrinamento allo jihadismo salafista, ed il secondo che riguarda il reclutamento attraverso la comunicazione e la tecnologia online. Rispetto al primo, i gruppi terroristici attuano una strategia sistematica per reclutare e radicalizzare i bambini combinando l'indottrinamento ai precetti ideologici con l'addestramento militare e la desensibilizzazione alla violenza. Si potrebbe quindi parlare di un sistema ibrido in cui l'indottrinamento a un'adesione senza compromessi all'ideologia salafi-jihadista, fondata sulla premessa che i non credenti dovrebbero essere perseguitati, si integra con una prolungata esposizione ed anche partecipazione ad atti di violenza. GC: Con quali conseguenze? CP: I bambini arrivano a considerano la violenza non solo come normale ma anche come qualcosa di desiderabile. Soprattutto se si considera la promessa di acquisizione di status attuata da parte del gruppo per la perpetrazione di tali atti. Ciò avviene in concomitanza con processi di socializzazione all'interno del gruppo che portano i bambini a sviluppare un profondo attaccamento ideologico al credo dello jihadismo salafista, garantendone così la propagazione e la sopravvivenza a lungo termine. GC: Rispetto alla radicalizzazione online, invece? CP: I gruppi terroristici diffondono ampiamente la propria propaganda online attraverso giochi, riviste, editoriali, volantini e utilizzano proattivamente le piattaforme di social media come strumento di reclutamento. Il gruppo ha infatti dimostrato una capacità senza precedenti di attrarre flussi di reclute promuovendo le sue presunte conquiste, dipingendo il califfato come uno stato ideale e utopico alternativo all'Occidente e sfruttando la narrativa che il dovere di ogni musulmano è in effetti di sostenerli. In conclusione, credo sia importante qui fare una distinzione tra il reclutamento a livello locale e globale perché che la maggioranza dei minori, a livello locale, che arrivano a coinvolgersi con gruppi terroristici non lo fanno per un attaccamento o una fascinazione per il salafismo-jihadista a priori, che d´altro canto rappresenta un elemento critico alla base della radicalizzazione online, ma questo è ciò con cui restano a conseguenza del loro sfruttamento. Condividi: © 1999-2021 GEDI Gruppo Editoriale S.p.A. - Partita IVA 0090681006 - Pubblicità - Servizio clienti - Chi siamo Tutti i blog Seguici su 0 1 3 26 lug CHI SONO 8 CERCA NEL BLOG Cerca s ARTICOLI RECENTI Roma. Terrorismo e minori. Una intervista alla dottoressa Cecilia Polizzi, CRTG Working Group - Working Group on Children Recruited by Terrorist and Violent Extremist Groups Roma. L’Infragard-FBI e il Terrorismo-Cyber di Prossima Generazione. Roma. Terrorismo, radicalizzazione, psy-ops, sicurezza, intelligence. 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