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Istituto Comprensivo San Vito Romano
Classe IA a.s. 2017-8
“È l’ora blu delle fiabe
e nell’aria è tutto un bisbiglio e un sussurro"
Classe IA a.s. 2017-8
Prof.ssa Cristina Galizia

Quelli che seguono sono i testi prodotti liberamente dai ragazzi a seguito delle attività
svolte in occasione della Giornata della memoria.
In particolare, i ragazzi hanno approfondito la storia del campo di Terezin, il campo
dei bambini, e del campo di Auschwitz.
Musa di questo lavoro, in particolare, è stata Ilse
Herlinger Weber, l’infermiera che si fece internare
volontariamente a Terezin, per dare assistenza ai
piccoli sventurati, che assistette con la delicatezza
di una madre: ogni sera, prima di dormire,
raccontava loro delle storie, preservando, per
quanto possibile, l’innocenza e la fantasia dei
bambini. L’ora blu delle fiabe, la chiamarono.
Il libro è nella biblioteca di classe e gira tra gli
alunni, che lo stanno leggendo.
Qui di seguito la poesia di Ilse, letta ed analizzata
in classe.
Buona lettura.
La prof.

Il blu del crepuscolo nella stanza dei piccoli malati
Si stinge a ovest il bagliore del giorno,
nell’infermeria scivola la luce del crepuscolo,
lieve sfiora i letti dei piccoli malati
e posa su guance che la febbre arrossa.
È l’ora blu delle fiabe
e nell’aria è tutto un bisbiglio e un sussurro.
“ Oggi in sogno” dice un bimbo, il capo fasciato,
“ ero nel paese della cuccagna.
Me ne stavo seduto sotto un albero
e potevo mangiare e mangiare all’infinito.”
“ Che cosa hai mangiato? “ vuole sapere una bambina,
occhi grandi su un cuscino colorato,
“ Allora, dolci, salsicce e di tutto,
beh, tutto quel che si mangia nel paese della cuccagna.”
“ Ah, dolci “ borbotta quello con l’ittero,
già da giorni a digiuno.
“ Quanto vorrei del purè di patate.”
“ Ed io”, una vocina squillante,
“ Vorrei un uovo”
Un’ eco a più voci risuona per la stanza:
“Un uovo, tutti noi ne vorremmo uno!
È da dieci mesi che non ne mangiamo nessuno
e non ce ne ricordiamo più il sapore.”
Rauca si leva una voce:
“ A casa avevamo un melo,
se solo potessi averne un frutto.”
Da un angolo della stanza, dal letto
del piccolo Heinz malato di tbc,
bianche le guance e trasparenti come la neve,
arriva la sua voce:
“Se solo potessi avere
ciò che a casa lasciavo nel piatto.

Non mi piaceva la minestra, la carne e neppure il purè,
ogni pasto era un urlo.
Ora mamma è malata e papà è morto
e io vorrei tanto del pane raffermo.”
“ Una volta mio zio”, si vanta la piccola Eva e ride
“ mi ha portato un maialino di marzapane.”
Peter trasognato guarda lontano:
“Quanto mi piaceva la cioccolata!”
“ Macché cioccolata e marzapane!”,
lo riprende risoluto il vicino stizzito
“Ah, poter mangiare una volta lenticchie, piselli gialli e
fagioli in giuste, grandi porzioni !”
“ Sì”, interrompe la piccola Ilse con fervore,
“e poi ancora tanta verdura,
spinaci e cavoli, rape e carote
me li mangerei volentieri anche crudi…”
Ascolto inosservata i loro discorsi e mi fa male il cuore,
c’è del caffè nero per cenare.
Giro l’interruttore, chiare risplendono le luci
a illuminare scarni visi di bimbi,
segnati dalla fame e dagli stenti,
dalla dura matita della mancanza di alimenti.
A voi, vittime innocenti di una violenza cieca,
giunga presto difesa
e vi liberi da questa palude di putrefazione
per portarvi salvezza e guarigione.
Ah, possiate essere di nuovo bambini,
con il diritto all’amore e alla luce del sole,
alla felicità serena d’una infanzia piena,
alle guance tonde e allo sguardo di bagliore.
E che possiate mangiare di nuovo a sazietà,
voi, poveri bambini di Theresienstadt.
Ilse Weber

CARO DIARIO
Caro diario, io nel campo vivo malissimo, perché ci sono i tedeschi alle calcagna. I
tedeschi si sentono superiori agli ebrei e ne uccidono tanti. Ma che colpa abbiamo noi
ebrei? Perché ci trattano così male? Mi mancano terribilmente i miei genitori e i miei
nonni. Mi manca soprattutto papà, perché mi abbracciava sempre e mi dava tanti
baci. Mi mancano i miei compagni, perché erano molto simpatici. In questo campo, ci
sono molti topi puzzolenti che portano pulci ho molta paura che mi mordono e che
mi facciano ammalare. Ho il terrore che i miei genitori siano uccisi dai tedeschi e che
io rimanga dentro a questa camera buia. Fuori dalla baracca, si sentono le urla
incomprensibili dei tedeschi
delinquenti che vogliono
uccidere tutti gli ebrei. Ho
molta fame, perché non mi
danno niente da mangiare
vorrei tanto mangiare un bel
piatto di pasta col sugo come
quella che mangiavo a casa la
domenica con la famiglia. Non
ho un letto, sono costretto a
dormire per terra su un
pavimento lurido. Non ho
vestiti per cambiarmi né posso farmi una doccia. Qui non ho un nome né un cognome
ma sono solo un numero come tutti gli altri. Che amarezza! Uscirò mai da qui o finirò
nei forni.?
Andrea
Cara Famiglia.....
Oggi 24 Aprile 1944 sono qui, a scrivervi questa lettera per dirvi che sono ancora viva, che
vi voglio un mondo di bene e che spero di rivedervi presto. Mi hanno trasferito da
Auschwitz a Terezin. Ho tanta paura, perché sono sola, non posso contare su nessuno. Qui,
ogni giorno muoiono delle persone e ho paura che uccidano anche me. Ho capito che questo
non è un gioco come ci dicono i Tedeschi e questo mi fa ancora più paura. Di te mamma, di
te papà, di te Marta mi manca tutto, le giornate al mare, quelle a Roma, i compleanni,
Natale, Pasqua, Capodanno, insomma tutto. Io con tutte le mie forze sto sperando di
rivedervi e di rivivere quei
momenti, ma non ho la
certezza che questo accadrà.
Mi manca anche quella
serenità e quella pace che c'è a
casa nostra. Mi manca
tantissimo riempire di baci il
vostro viso. Mi manca fare i
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verità, mi manca anche il
minestrone, strano... molto
strano anche questo. Qui fa
molto freddo e vorrei tanto il
mio plaid di pile rosa. Mi manca un pò tutto della mia vita di prima. Sto molto male, penso
di avere la febbre e molte altre cose, ho perfino i pidocchi e mi danno un fastidio che voi
neanche immaginate. Mi manca molto il mio cuscino, qui uso la ciotola del cibo. Mi fa
molto male anche il braccio, perché mi hanno marchiato a fuoco. Ogni volta che vedo le
guardie tremo, perché ho paura che mi prendano per poi ammazzarmi. Qui possiamo fare
dei disegni, i bambini più piccoli disegnano delle farfalle colorate, ma io... io disegno tutto
nero, perché io ormai vedo tutto nero. Mamma, se te lo stai chiedendo no, non sono
migliorata nel disegno. Anche se migliorassi, però, non potrei mai superare te. Vorrei
rivedere i nonni, anche di loro mi manca tutto. In piena notte mi ritorna in mente la ninna
nanna che mi cantavi tu, mamma, poi mi vien da piangere, ma non mi faccio sentire, perchè
ho paura dei Tedeschi. Mi mancano i "Pigiama party" che la sera facevo con Marta. Qui si
sente un odore di carne umana bruciata da far paura, per terra c' è solo cenere, cenere e
ancora cenere. I Tedeschi hanno anche le pistole che io tra l' altro avevo visto sempre e solo
nei film. Mi mancano le nostre serate insieme, le nostre risate e molte altre cose. Il mio viso
è molto, forse troppo tempo che non riceve un bacio. Mi mancano molto anche quei
momenti in cui il sabato mattina, tu mamma mi facevi la spremuta di arancia per colazione.
Mi manca anche Tommy, il nostro cagnolino, di lui mi manca soprattutto "Immergere" le
mie mani nel suo morbido pelo. Durante il giorno ho molto tempo per pensare e molto
spesso penso a quanto sono stata stupida a non vivere bene anche i momenti più brutti. I
piedi mi fanno malissimo, perché le scarpe che ci danno sono troppo piccole. In questi
ultimi giorni sono triste e preoccupata, perché mi sento molto più debole e ho paura che stia
arrivando la "Mia ora". Io lo so che mi dicevate sempre di pensare positivo ma in questi
giorni non posso proprio farlo, penso alla morte anche quando sento i passi dei Tedeschi.
Molte volte ho pensato di buttarmi dentro il filo spinato che si trova intorno a campo di
sterminio, perché tanto vivere così è inutile, ma non ho mai trovato il coraggio. Nonostante
tutto questo, il mio pensiero fisso siete voi, le persone che mi hanno sempre capito,
sostenuto e amato.
Vi Amo Immensamente!
La Vostra Serena!
Serena
CARI MAMMA E PAPÀ…..
Buongiorno mi mancate tanto!
Ma non vi preoccupate però io nei devo dire che mi hanno portato dentro i campi di
concentramento. È non è
molto divertente stare qui
dentro perché non ti fanno
mangiare spesso e ci trattano
malissimo.
Infatti ho molta fame e ho
un vestito che mi sta
larghissimo.
Io ho molta paura perché ci
buttano dentro a delle
baracche e stiamo tutti stretti
e attaccati . Io provo molta
tristezza anche a vedere altri
bambini soffrire .
Poi attacchiamo molte malattie stiamo molto male e non ci possiamo curare con niente.
Vedere i bambini piangere, urlare non riesco più a vivere qui dentro . Non ho mai sentito
urlare, piangere così, si vede che anche loro soffrono. E poi abbiamo dei pantaloni e
magliette di cotone e se sentiamo freddo non ci danno niente . E si sente anche puzza di
carne e cenere bruciata. Mi rende molto triste e paura.
Ma quando capita che ci possono da mangiare devi avere una ciotola che ci mettono il
brodo. E se ti perdi la ciotola ti uccidono . Infatti io la uso come cuscino. Dopo un'po' che
arriviamo ci fanno togliere i vestiti leggere che portiamo e ci mandano dentro le camere a
gas. Io ho molta paura perché non voglio morire. Sento molto freddo non riesco più a
vivere qui.
Ogni volta giro da per tutto per riscaldarmi. E spero che voi mi pensate sempre perché mi
mancate molto. Ma sapete che non tornerò a casa. Spero che vi arrivi questa leggere e sapete
che io vi terrò sempre dentro il mio cuore. Mi mancate !
Sofia
Siamo qui già da tanto tempo,
nessuno riesce a vivere, questo è l’intento
tra poco anch’io morirò
mamma e papà, vi saluterò.
Scrivo questa poesia con il rimpianto di non vedervi più
ma sarà bello un giorno ritrovarsi lassù
non so neanche se questa lettera vi arriverà
ma la scrivo sol per voi, con tutto il cuore, mamma e papà.
Ci fanno tanto male, fanno male anche alla mia mente
vorrei essere lì, per abbracciarvi premurosamente.
Ogni giorno ho lo stesso pensiero
riusciremo mai a tornare a casa?
Allora, sognavo altri mondi
ora non sono più un bambino.
Ho conosciuto la paura
e troppo presto sono diventato grande.
Mi picchiano, mi torturano, mi fanno male
non è come una volta che voi in ogni
situazione mi aiutavate
qui la vita è difficile
riuscire a sopravvivere sarà impossibile.
Soffrirò molto, ma non lo dirò ad anima viva
non voglio svelare nulla al primo che arriva.
E’ tremendo il mio dolore, niente può fare più soffrire
quando perdi ciò che ti è più caro al mondo e nulla lo potrà mai restituire.
Qualcosa che ami in maniera infinita
che ti è più caro della tua vita
quel che mi si agita dentro, nessuno potrà leggermelo in volto
ma a volte un dolore così forte che spacca il mio corpo.
Le lacrime scorrono come un fiume senza fine
allora chiudo gli occhi, cerco di nascondere, di smetterla, infine.
Adriano
20 Dicembre 1941
Caro Diario,
sono un bambino ebreo e alcune volte vorrei proprio prendere un fucile e farla finita.
Tu probabilmente, non potrai capire mai quello che provo adesso io. Vorrei
vendicarmi di Hitler e di tutti quelli che gli danno ragione.
Caro Diario, l’aria che mi circonda è scura come l’inchiostro nero della penna con cui
è scritta questa lettera che ho trovato oggi nel campo…
Ciao sono un bambino ebreo imprigionato ad Auschwitz. Ogni giorno muore
qualcuno...Spero che non arriverà mai il il mio turno, ma penso che prima e poi ci
uccideranno tutti. Qui ci torturano...Prima ci dicono che ci porteranno a fare una
bella doccia, poi, in realtà, ci uccidono col gas. Loro vogliono che moriamo,
lentamente, che soffriamo.
Emanuel
Sai, dentro le camere a gas nessuno sopravvive. Caro diario, spero di poterti scrivere
domani…
Danilo
Cara mamma, non so quando ti vedrò, ma volevo dirti che mi manchi tanto, mi mancano
quelle lasagne che tu fai spesso e quelle patatine fritte che a volte facevi bruciare.
Qui a Terezin ci cucinano i topi che trovano morti nelle stanze. Oltre ai topi, ci danno una
“minestra” con le bucce di patate e non è per niente buono, ma mi devo arrangiare, perché
non ci danno altro e non voglio morire di fame.
La mattina, ci dobbiamo svegliare presto e iniziare a lavorare. E’ molto faticoso, ma non
posso farci niente. Io non so neanche il mio nome, perché qui ci chiamano per numero ed io
sono 1383. Vorrei ricordarmi come mi chiamo,
ma...non posso.
Per ben 5 volte non mi hanno messa nelle camere a
gas. Ma molti miei amici sono morti e mi mancano
tanto. I tedeschi sono molto cattivi, mi picchiano,
mi buttano per terra e mi hanno tagliato addirittura i
capelli. Io per vergogna metto un cappellino, ma
non cambia niente, non mi piaccio lo stesso. Come
vestito, indossiamo un pigiama molto sottile e
sentiamo molto freddo. Il pigiama è a righe e
quando lo metti sembra che non hai niente addosso. Spesso i pigiami contengono le pulci, ci
grattiamo così tanto che a volte la pelle si rompe e sanguiniamo.
Per dormire ci mettiamo dentro delle baracche e per non sentire freddo ci mettiamo in
cinque. sai, sono magrissima… Come cuscino, usiamo le ciotole per mangiare: in questo
modo, non le perdiamo, perché se le perdessimo, non potremmo più mangiare. Una volta mi
è successo di non trovarla più e un anziano, molto gentile, mi ha dato la sua ciotola e pochi
giorni dopo è morto. MI ricorderò per sempre il gesto di quella persona. Qui mamma, ho
molta paura, mi mancano i tuoi abbracci, i baci che mi davi prima di dormire….
Qui il tempo è sempre molto brutto, il sole non si vede, per colpa della cenere e del fumo
che esce dalle ciminiere. L’erba ormai cresce grigia e mette molta inquietudine. Il fumo mi
entra nel naso e a volte mi fa venire la nausea...Oltre all’odore del fumo, si sente l’odore
della carne bruciata che arriva dai forni crematori.
Molte persone sono malate: hanno la polmonite, la tubercolosi...Ogni giorno si sentono le
urla terrificanti delle persone che muoiono e che vengono picchiate. Sui nostri volti sono
dipinti dolore e disperazione. I bambini di cinque anni mi guardano, con occhi pieni di
paura e di innocenza e tra me e me penso che sono diventati troppo grandi in fretta.
Ora devo andare. Devo fare ore di appello.
Baci e abbracci da 1383.
(Nicol)
Io e il mio idolo
15 giugno 1943
Caro Giuseppe,
non so se questa lettera ti arriverà
sono qui in mezzo a scheletri viventi che non fanno altro che morire. Giuseppe Meazza, tu
sei il mio idolo e anche se so che non ti rivedrò mai più, ti volevo ringraziare di tutto quello
che hai fatto per me, per tutte le volte che mi hai fatto sorridere con i tuoi meravigliosi goal.
Oggi è il mio compleanno e lo festeggerò qui...vuoi sapere come? Scavando fosse per i
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prova.
Sai, ieri ho avuto molta paura mentre facevamo l’appello:
c’era un bambino che per la paura si era seduto per terra
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Lo sai, il destino mi ha fatto un regalo. IL numero con cui
sono stata marchiata è 10 11 10, come il numero della tua
maglia e 11 come la mia età. Lo sai, ieri ho fatto un
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svegliato le urla di altre persone che i kapò stavano
torturando ed io ero angosciata solo al pensiero di cosa gli
stessero facendo.
Qui ad Auschwitz fa sempre freddo e mi mancano molto
la mia mamma e il mio papà che mi abbracciavano e mi
cacciavano sempre. Chissà dove saranno adesso e chissà se mi staranno pensando.
Prima vedevo sempre il sole nel cielo, adesso qui vedo solo le nuvole, nubi grigie, scure,
profonde come le lacrime della gente invasa dalla disperazione...Pensa, usano le ceneri delle
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Loro ci dicono che staremo qui per poco e che prima o poi questo inferno finirà, ma visto
come ci trattano, non credo proprio.
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Ciao Idolo, grazie di esistere.
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Qui gira una malattia
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non beviamo;
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Poi in baracche a dormire
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——-
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La guerra è finita
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e la mattina un lungo appello a sopportare.
Mio padre non vedrò mai più
perché lui se ne è andato lassù.
Io sul braccio un timbro ho
che mai laverò
per far pentire
tutti quelli che ci facevan morire.
Daniele R.
Era il 13 gennaio del 1944: eravamo lì, su quel
dannato treno. Ci dissero che sarebbe andato tutto
bene, ma non fu così.
Scendemmo dal treno. Per terra c’era il fango, fango
e ancora fango. Intorno a noi solo devastazione e
odore di morte. Ci portarono dentro delle baracche
luride, buie, senza un letto, vuote.
Passò un anno: era il 13 gennaio del 1945 e mi chiedevo se sarei mai tornato a casa. Decisi
di scrivere una lettera ai miei cari.
Cara mamma, caro papà, cari nonni,
dove siete? Io sono qui, da solo, insieme ad altre migliaia di persone, ma solo.
Ritornerò mai da voi?
Qui è tutto sporco, tutto...brutto, sì, brutto: gente che muore, soldati che urlano e pratic che
non sono verdi, ma grigi. Comunque lotterò fino alla fine e se tornerò….
Vi voglio bene!
Daniele
Avevo fame, tanta fame, una fame tremenda. Stavo male e poi, poi avevo quelle scarpe
larghe, che più larghe non si poteva e che non riuscivano a tenermi i piedi caldi. Ho visto di
tutto: camere a gas, fosse comuni, baracche in cui vivevo con persone malate. Poi ricordo
che dormivamo sopra le nostre piccole e sporche ciotole, nelle quali mangiavamo anche
….”mangiavamo”, per modo di dire, perché ci davano una brodaglia fatta con le bucce di
patate, tutte nere e marce.
Loro, i tedeschi, armati di AK 47, ci trattavano come degli oggetti, dei numeri: io, per
esempio, ero il 19-42. La mattina, all’appello, ci chiamavano uno per uno, proprio con quei
numeri e, se qualcuno mancava, uccidevano il numero precedente e successivo. Mi vengono
i brividi a parlarne. Una volta, mancava il 19-40 ed hanno ucciso il 19-39 e il 19-41. “C’è
mancato pochissimo” dissi tra me e me.
Mi ricordo che ci rasavano i capelli a zero, ma adesso per fortuna mi sono ricresciuti. Ma
soprattutto ricordo quando, il 27 gennaio, sono arrivati i Russi. Ci hanno caricato sui loro
camion e portati via, via da lì, da quel posto orribile, pieno di morte.
Finalmente io e i miei compagni di sventura siamo tornati a casa e ho riabbracciato i miei
genitori, i miei nonni, tutti.
Daniele Q.
Cara famiglia…
Auschwitz, 29 gennaio 1941
Oggi, 29 gennaio 1941, il giorno del mio dodicesimo compleanno lo passo così, triste, con
le lacrime agli occhi, a pensare come sarebbe stata la
mia vita se non fossi salita su quel maledetto treno.
Scrivo questa lettera per dirvi che mi mancate tanto,
che non posso vivere senza di voi.
A volte mi chiedo come state, cosa fate, se mi pensate
e sono sicura di sì.
Qui la vita è impossibile, la mattina devo superare più
di tre ore di appello e poi si va a lavorare, ma non
lavori normali, lavori pesanti e se poco poco ci
azzardiamo a rifiutare, vis, subito nelle camere a gas.
La notte, il momento più brutto, incubi, rumori,
freddo.
E’ impossibile vivere qui…
Ho freddo. Non ce la faccio più, ho lo stesso pigiama da settimane, è sporco, lurido.
E’ a righe bianche e celesti.
Non ho amici, non ho nessuno con cui confidarmi, con cui sfogarmi, con cui parlare, mi
sento sola.
Ho voglia di vivere la mia vita!
Ho voglia di abbracciarvi, ma tanto sarà inutile sperare di uscire di qui, morirò, morirò tra le
braccia di persone sconosciute.
Non ho più un’identità, sono solo un numero, numeri, nullità inanimate, li hanno incisi sulla
nostra pelle, in modo tale da non cancellarli più.
Penso sempre, ma anche quando non penso dentro di me si forma tristezza, quel sentimento
brutto che non dovrebbe esistere perché nessuno può vietarci di essere felici.
Chissà quando tornerò a casa…Ogni sera…Mentre nel cielo scompaiono le stelle penso a
voi, voi che non mi avete mai fatto mancare niente, voi che mi avete sostenuto, voi la mia
famiglia.
Virginia
Siamo appena arrivati tutti qui
subito a lavorare per di lì
Non rivedrò voi, i miei genitori
e morirò senza i miei familiari.
Questa lettera spero vi arriverà
grazie per esistere, mamma e papà.
Vi penso sempre, in questa topaia
indosso ho solo una piccola maglia
mi mangerei tutto il cibo nel piatto
anzi, pure un gatto!
Tra poco, si sa,
che io andrò nell’aldilà
papà e mamma, vi ricordo
che io qui non demordo
ma ricordo
di quanto non vi ascoltavo
ma comunque vi amavo.
Addio mamma e papà…
Spero di vedervi, ma non so quando accadrà.
Nicolas
Sono un bambino ebreo,
non sono uno scarabeo
da mamma è papà mi hanno staccato
e i fratelli mi hanno lasciato
i topi morti ho mangiato
nelle camere a gas mi hanno portato
la morte mi ha aspettato
ma un amico mi ha salvato.
I capelli a tutti hanno rasato
c’è stato anche chi si è suicidato.
Le scarpe grandi mi hanno dato
un dolce non ho più mangiato
vestiti rotti mi hanno regalato
una ciotola è dove ho mangiato
con il cuore frantumato.
Mamma e papà, voglio stare di nuovo con voi.
Riccardo
28 Novembre 1944
Caro diario
Sono qui ad Auschwitz e questo diario lo sto scrivendo...col sangue. Un giorno uscirò
da qui, te lo prometto, anche se so, in cuor mio, che questo non accadrà mai. Ho una
bruttissima polmonite, ho fame: qui posso mangiare solo i topi, oppure quello che
passa ogni giorno. Sono tutto sporco e non ho niente da mettere come vestito. Ogni
giorno muore una persona che non aveva fatto niente e io non ce la faccio più a
vedere queste cose. Ogni tanto vedo venire una persona, una famiglia nuova, poi però
non la vedo più. Qualche volta sento dire: “Andiamo a afre una bella doccia”. Molti
vanno, ma io so che li ci ammazzano, perché invece di uscire acqua, esce gas...Io sto
male, mi curo come posso con l’erba, ho qualche fasciatura, ma per fortuna non mi fa
male. Voglio credere che sopravviverò. Voglio credere che io e te, diario, ci
salveremo.
Lorenzo
19 febbraio 1943, Auschwitz
Caro diario,
Oggi sono due mesi che non vedo i miei genitori e sono ancora bloccato qui, nel maledetto
campo do concentramento di Auschwitz. Ho moltissima paura della morte ... ho fame e per
mangiare qualcosa di buono, ad esempio un uovo sodo oppure un minestrone di lenticchie
che prima odiavo e ora darei anche un dito per mangiarmelo … Ho molto freddo, perché mi
hanno dato un pigiama di cotone che prima mi andava alla perfezione e ora mi va
larghissimo: non mangio più da due settimane sono ormai diventato uno stecchino . Mi
fanno molto male le braccia, a causa dei mattoni che ci fanno trasportare dalla fabbrica fino
al deposito per circa 2 km .Vorrei tanto mangiare un purè di patate oppure un uovo e per
mangiare queste cose darei anche un dito , invece di mangiare quel disgustoso brodo di
bucce di patate che è anche freddo e sporco . Nella notte, spesso sento delle donne urlare
alcuni detenuti dicono che vengono portate nelle camere a gas, altri invece dicono che
vengono uccise e le loro ceneri si depositano sul prato, dandogli uno strato colore grigiastro
Si sente uno strano e puzzolente odore di carne bruciata che mi fa venire da … beh, ora non
ci voglio pensare, adesso mi vorrei concentrare di più sui miei genitori, che che ogni mattina
mi davano la forza di alzarmi … loro che mi aiutavano e mi rialzavano quando non riuscivo
a superare un ostacolo … loro che mi coccolavano la sera prima di andarmi a dormire…
Loro, che ora non ho.
Mi mancano molto i miei fratelli e amici, nonni, zii, cugini, insomma, tutti mi mancano .
Alcune volte penso che mi vorrei suicidare invece di morire qui in questo orribile posto
freddo e sporco. Ogni tanto penso che la mia ora è quasi arrivata perché avverto delle
sensazioni di come se stessi per svenire. Ogni mattina prego il Signore che protegga i miei
parenti, amici, insomma tutti. Ora devo andare, ci vediamo alla prossima, perché ora devo
andare all’appello .
IL DETENUTO 1498, DI CUI SI SA SOLO IL NUMERO.
Manuel
La copertina e il disegno finale sono opera dei ragazzi.

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Giornata memoria 2018: i testi dei ragazzi

  • 1. Istituto Comprensivo San Vito Romano Classe IA a.s. 2017-8 “È l’ora blu delle fiabe e nell’aria è tutto un bisbiglio e un sussurro" Classe IA a.s. 2017-8 Prof.ssa Cristina Galizia

  • 2. Quelli che seguono sono i testi prodotti liberamente dai ragazzi a seguito delle attività svolte in occasione della Giornata della memoria. In particolare, i ragazzi hanno approfondito la storia del campo di Terezin, il campo dei bambini, e del campo di Auschwitz. Musa di questo lavoro, in particolare, è stata Ilse Herlinger Weber, l’infermiera che si fece internare volontariamente a Terezin, per dare assistenza ai piccoli sventurati, che assistette con la delicatezza di una madre: ogni sera, prima di dormire, raccontava loro delle storie, preservando, per quanto possibile, l’innocenza e la fantasia dei bambini. L’ora blu delle fiabe, la chiamarono. Il libro è nella biblioteca di classe e gira tra gli alunni, che lo stanno leggendo. Qui di seguito la poesia di Ilse, letta ed analizzata in classe. Buona lettura. La prof.

  • 3. Il blu del crepuscolo nella stanza dei piccoli malati Si stinge a ovest il bagliore del giorno, nell’infermeria scivola la luce del crepuscolo, lieve sfiora i letti dei piccoli malati e posa su guance che la febbre arrossa. È l’ora blu delle fiabe e nell’aria è tutto un bisbiglio e un sussurro. “ Oggi in sogno” dice un bimbo, il capo fasciato, “ ero nel paese della cuccagna. Me ne stavo seduto sotto un albero e potevo mangiare e mangiare all’infinito.” “ Che cosa hai mangiato? “ vuole sapere una bambina, occhi grandi su un cuscino colorato, “ Allora, dolci, salsicce e di tutto, beh, tutto quel che si mangia nel paese della cuccagna.” “ Ah, dolci “ borbotta quello con l’ittero, già da giorni a digiuno. “ Quanto vorrei del purè di patate.” “ Ed io”, una vocina squillante, “ Vorrei un uovo” Un’ eco a più voci risuona per la stanza: “Un uovo, tutti noi ne vorremmo uno! È da dieci mesi che non ne mangiamo nessuno e non ce ne ricordiamo più il sapore.” Rauca si leva una voce: “ A casa avevamo un melo, se solo potessi averne un frutto.” Da un angolo della stanza, dal letto del piccolo Heinz malato di tbc, bianche le guance e trasparenti come la neve, arriva la sua voce: “Se solo potessi avere ciò che a casa lasciavo nel piatto.
 Non mi piaceva la minestra, la carne e neppure il purè, ogni pasto era un urlo. Ora mamma è malata e papà è morto e io vorrei tanto del pane raffermo.” “ Una volta mio zio”, si vanta la piccola Eva e ride “ mi ha portato un maialino di marzapane.” Peter trasognato guarda lontano:
  • 4. “Quanto mi piaceva la cioccolata!” “ Macché cioccolata e marzapane!”, lo riprende risoluto il vicino stizzito “Ah, poter mangiare una volta lenticchie, piselli gialli e fagioli in giuste, grandi porzioni !” “ Sì”, interrompe la piccola Ilse con fervore, “e poi ancora tanta verdura, spinaci e cavoli, rape e carote me li mangerei volentieri anche crudi…” Ascolto inosservata i loro discorsi e mi fa male il cuore, c’è del caffè nero per cenare. Giro l’interruttore, chiare risplendono le luci a illuminare scarni visi di bimbi, segnati dalla fame e dagli stenti, dalla dura matita della mancanza di alimenti. A voi, vittime innocenti di una violenza cieca, giunga presto difesa e vi liberi da questa palude di putrefazione per portarvi salvezza e guarigione. Ah, possiate essere di nuovo bambini, con il diritto all’amore e alla luce del sole, alla felicità serena d’una infanzia piena, alle guance tonde e allo sguardo di bagliore. E che possiate mangiare di nuovo a sazietà, voi, poveri bambini di Theresienstadt. Ilse Weber

  • 5. CARO DIARIO Caro diario, io nel campo vivo malissimo, perché ci sono i tedeschi alle calcagna. I tedeschi si sentono superiori agli ebrei e ne uccidono tanti. Ma che colpa abbiamo noi ebrei? Perché ci trattano così male? Mi mancano terribilmente i miei genitori e i miei nonni. Mi manca soprattutto papà, perché mi abbracciava sempre e mi dava tanti baci. Mi mancano i miei compagni, perché erano molto simpatici. In questo campo, ci sono molti topi puzzolenti che portano pulci ho molta paura che mi mordono e che mi facciano ammalare. Ho il terrore che i miei genitori siano uccisi dai tedeschi e che io rimanga dentro a questa camera buia. Fuori dalla baracca, si sentono le urla incomprensibili dei tedeschi delinquenti che vogliono uccidere tutti gli ebrei. Ho molta fame, perché non mi danno niente da mangiare vorrei tanto mangiare un bel piatto di pasta col sugo come quella che mangiavo a casa la domenica con la famiglia. Non ho un letto, sono costretto a dormire per terra su un pavimento lurido. Non ho vestiti per cambiarmi né posso farmi una doccia. Qui non ho un nome né un cognome ma sono solo un numero come tutti gli altri. Che amarezza! Uscirò mai da qui o finirò nei forni.? Andrea
  • 6. Cara Famiglia..... Oggi 24 Aprile 1944 sono qui, a scrivervi questa lettera per dirvi che sono ancora viva, che vi voglio un mondo di bene e che spero di rivedervi presto. Mi hanno trasferito da Auschwitz a Terezin. Ho tanta paura, perché sono sola, non posso contare su nessuno. Qui, ogni giorno muoiono delle persone e ho paura che uccidano anche me. Ho capito che questo non è un gioco come ci dicono i Tedeschi e questo mi fa ancora più paura. Di te mamma, di te papà, di te Marta mi manca tutto, le giornate al mare, quelle a Roma, i compleanni, Natale, Pasqua, Capodanno, insomma tutto. Io con tutte le mie forze sto sperando di rivedervi e di rivivere quei momenti, ma non ho la certezza che questo accadrà. Mi manca anche quella serenità e quella pace che c'è a casa nostra. Mi manca tantissimo riempire di baci il vostro viso. Mi manca fare i compiti, lo so è strano, ma è la verità, mi manca anche il minestrone, strano... molto strano anche questo. Qui fa molto freddo e vorrei tanto il mio plaid di pile rosa. Mi manca un pò tutto della mia vita di prima. Sto molto male, penso di avere la febbre e molte altre cose, ho perfino i pidocchi e mi danno un fastidio che voi neanche immaginate. Mi manca molto il mio cuscino, qui uso la ciotola del cibo. Mi fa molto male anche il braccio, perché mi hanno marchiato a fuoco. Ogni volta che vedo le guardie tremo, perché ho paura che mi prendano per poi ammazzarmi. Qui possiamo fare dei disegni, i bambini più piccoli disegnano delle farfalle colorate, ma io... io disegno tutto nero, perché io ormai vedo tutto nero. Mamma, se te lo stai chiedendo no, non sono migliorata nel disegno. Anche se migliorassi, però, non potrei mai superare te. Vorrei rivedere i nonni, anche di loro mi manca tutto. In piena notte mi ritorna in mente la ninna nanna che mi cantavi tu, mamma, poi mi vien da piangere, ma non mi faccio sentire, perchè ho paura dei Tedeschi. Mi mancano i "Pigiama party" che la sera facevo con Marta. Qui si sente un odore di carne umana bruciata da far paura, per terra c' è solo cenere, cenere e ancora cenere. I Tedeschi hanno anche le pistole che io tra l' altro avevo visto sempre e solo
  • 7. nei film. Mi mancano le nostre serate insieme, le nostre risate e molte altre cose. Il mio viso è molto, forse troppo tempo che non riceve un bacio. Mi mancano molto anche quei momenti in cui il sabato mattina, tu mamma mi facevi la spremuta di arancia per colazione. Mi manca anche Tommy, il nostro cagnolino, di lui mi manca soprattutto "Immergere" le mie mani nel suo morbido pelo. Durante il giorno ho molto tempo per pensare e molto spesso penso a quanto sono stata stupida a non vivere bene anche i momenti più brutti. I piedi mi fanno malissimo, perché le scarpe che ci danno sono troppo piccole. In questi ultimi giorni sono triste e preoccupata, perché mi sento molto più debole e ho paura che stia arrivando la "Mia ora". Io lo so che mi dicevate sempre di pensare positivo ma in questi giorni non posso proprio farlo, penso alla morte anche quando sento i passi dei Tedeschi. Molte volte ho pensato di buttarmi dentro il filo spinato che si trova intorno a campo di sterminio, perché tanto vivere così è inutile, ma non ho mai trovato il coraggio. Nonostante tutto questo, il mio pensiero fisso siete voi, le persone che mi hanno sempre capito, sostenuto e amato. Vi Amo Immensamente! La Vostra Serena! Serena
  • 8. CARI MAMMA E PAPÀ….. Buongiorno mi mancate tanto! Ma non vi preoccupate però io nei devo dire che mi hanno portato dentro i campi di concentramento. È non è molto divertente stare qui dentro perché non ti fanno mangiare spesso e ci trattano malissimo. Infatti ho molta fame e ho un vestito che mi sta larghissimo. Io ho molta paura perché ci buttano dentro a delle baracche e stiamo tutti stretti e attaccati . Io provo molta tristezza anche a vedere altri bambini soffrire . Poi attacchiamo molte malattie stiamo molto male e non ci possiamo curare con niente. Vedere i bambini piangere, urlare non riesco più a vivere qui dentro . Non ho mai sentito urlare, piangere così, si vede che anche loro soffrono. E poi abbiamo dei pantaloni e magliette di cotone e se sentiamo freddo non ci danno niente . E si sente anche puzza di carne e cenere bruciata. Mi rende molto triste e paura. Ma quando capita che ci possono da mangiare devi avere una ciotola che ci mettono il brodo. E se ti perdi la ciotola ti uccidono . Infatti io la uso come cuscino. Dopo un'po' che arriviamo ci fanno togliere i vestiti leggere che portiamo e ci mandano dentro le camere a gas. Io ho molta paura perché non voglio morire. Sento molto freddo non riesco più a vivere qui. Ogni volta giro da per tutto per riscaldarmi. E spero che voi mi pensate sempre perché mi mancate molto. Ma sapete che non tornerò a casa. Spero che vi arrivi questa leggere e sapete che io vi terrò sempre dentro il mio cuore. Mi mancate ! Sofia
  • 9. Siamo qui già da tanto tempo, nessuno riesce a vivere, questo è l’intento tra poco anch’io morirò mamma e papà, vi saluterò. Scrivo questa poesia con il rimpianto di non vedervi più ma sarà bello un giorno ritrovarsi lassù non so neanche se questa lettera vi arriverà ma la scrivo sol per voi, con tutto il cuore, mamma e papà. Ci fanno tanto male, fanno male anche alla mia mente vorrei essere lì, per abbracciarvi premurosamente. Ogni giorno ho lo stesso pensiero riusciremo mai a tornare a casa? Allora, sognavo altri mondi ora non sono più un bambino. Ho conosciuto la paura e troppo presto sono diventato grande. Mi picchiano, mi torturano, mi fanno male non è come una volta che voi in ogni situazione mi aiutavate qui la vita è difficile riuscire a sopravvivere sarà impossibile. Soffrirò molto, ma non lo dirò ad anima viva non voglio svelare nulla al primo che arriva. E’ tremendo il mio dolore, niente può fare più soffrire quando perdi ciò che ti è più caro al mondo e nulla lo potrà mai restituire. Qualcosa che ami in maniera infinita che ti è più caro della tua vita quel che mi si agita dentro, nessuno potrà leggermelo in volto ma a volte un dolore così forte che spacca il mio corpo. Le lacrime scorrono come un fiume senza fine allora chiudo gli occhi, cerco di nascondere, di smetterla, infine. Adriano
  • 10. 20 Dicembre 1941 Caro Diario, sono un bambino ebreo e alcune volte vorrei proprio prendere un fucile e farla finita. Tu probabilmente, non potrai capire mai quello che provo adesso io. Vorrei vendicarmi di Hitler e di tutti quelli che gli danno ragione. Caro Diario, l’aria che mi circonda è scura come l’inchiostro nero della penna con cui è scritta questa lettera che ho trovato oggi nel campo… Ciao sono un bambino ebreo imprigionato ad Auschwitz. Ogni giorno muore qualcuno...Spero che non arriverà mai il il mio turno, ma penso che prima e poi ci uccideranno tutti. Qui ci torturano...Prima ci dicono che ci porteranno a fare una bella doccia, poi, in realtà, ci uccidono col gas. Loro vogliono che moriamo, lentamente, che soffriamo. Emanuel Sai, dentro le camere a gas nessuno sopravvive. Caro diario, spero di poterti scrivere domani… Danilo
  • 11. Cara mamma, non so quando ti vedrò, ma volevo dirti che mi manchi tanto, mi mancano quelle lasagne che tu fai spesso e quelle patatine fritte che a volte facevi bruciare. Qui a Terezin ci cucinano i topi che trovano morti nelle stanze. Oltre ai topi, ci danno una “minestra” con le bucce di patate e non è per niente buono, ma mi devo arrangiare, perché non ci danno altro e non voglio morire di fame. La mattina, ci dobbiamo svegliare presto e iniziare a lavorare. E’ molto faticoso, ma non posso farci niente. Io non so neanche il mio nome, perché qui ci chiamano per numero ed io sono 1383. Vorrei ricordarmi come mi chiamo, ma...non posso. Per ben 5 volte non mi hanno messa nelle camere a gas. Ma molti miei amici sono morti e mi mancano tanto. I tedeschi sono molto cattivi, mi picchiano, mi buttano per terra e mi hanno tagliato addirittura i capelli. Io per vergogna metto un cappellino, ma non cambia niente, non mi piaccio lo stesso. Come vestito, indossiamo un pigiama molto sottile e sentiamo molto freddo. Il pigiama è a righe e quando lo metti sembra che non hai niente addosso. Spesso i pigiami contengono le pulci, ci grattiamo così tanto che a volte la pelle si rompe e sanguiniamo. Per dormire ci mettiamo dentro delle baracche e per non sentire freddo ci mettiamo in cinque. sai, sono magrissima… Come cuscino, usiamo le ciotole per mangiare: in questo modo, non le perdiamo, perché se le perdessimo, non potremmo più mangiare. Una volta mi è successo di non trovarla più e un anziano, molto gentile, mi ha dato la sua ciotola e pochi giorni dopo è morto. MI ricorderò per sempre il gesto di quella persona. Qui mamma, ho molta paura, mi mancano i tuoi abbracci, i baci che mi davi prima di dormire…. Qui il tempo è sempre molto brutto, il sole non si vede, per colpa della cenere e del fumo che esce dalle ciminiere. L’erba ormai cresce grigia e mette molta inquietudine. Il fumo mi entra nel naso e a volte mi fa venire la nausea...Oltre all’odore del fumo, si sente l’odore della carne bruciata che arriva dai forni crematori. Molte persone sono malate: hanno la polmonite, la tubercolosi...Ogni giorno si sentono le urla terrificanti delle persone che muoiono e che vengono picchiate. Sui nostri volti sono dipinti dolore e disperazione. I bambini di cinque anni mi guardano, con occhi pieni di paura e di innocenza e tra me e me penso che sono diventati troppo grandi in fretta. Ora devo andare. Devo fare ore di appello. Baci e abbracci da 1383. (Nicol)
  • 12. Io e il mio idolo 15 giugno 1943 Caro Giuseppe, non so se questa lettera ti arriverà sono qui in mezzo a scheletri viventi che non fanno altro che morire. Giuseppe Meazza, tu sei il mio idolo e anche se so che non ti rivedrò mai più, ti volevo ringraziare di tutto quello che hai fatto per me, per tutte le volte che mi hai fatto sorridere con i tuoi meravigliosi goal. Oggi è il mio compleanno e lo festeggerò qui...vuoi sapere come? Scavando fosse per i defunti, facendo lavori forzati. La vita mi ha messo a dura prova. Sai, ieri ho avuto molta paura mentre facevamo l’appello: c’era un bambino che per la paura si era seduto per terra ed è stato ucciso...O Dio non sai che paura! Lo sai, il destino mi ha fatto un regalo. IL numero con cui sono stata marchiata è 10 11 10, come il numero della tua maglia e 11 come la mia età. Lo sai, ieri ho fatto un sogno: noi eravamo insieme….Solo che mi hanno svegliato le urla di altre persone che i kapò stavano torturando ed io ero angosciata solo al pensiero di cosa gli stessero facendo. Qui ad Auschwitz fa sempre freddo e mi mancano molto la mia mamma e il mio papà che mi abbracciavano e mi cacciavano sempre. Chissà dove saranno adesso e chissà se mi staranno pensando. Prima vedevo sempre il sole nel cielo, adesso qui vedo solo le nuvole, nubi grigie, scure, profonde come le lacrime della gente invasa dalla disperazione...Pensa, usano le ceneri delle persone come concime… Loro ci dicono che staremo qui per poco e che prima o poi questo inferno finirà, ma visto come ci trattano, non credo proprio. Sognavo una vita di sogni da realizzare ed uno eri tu… Ciao Idolo, grazie di esistere. Con affetto, Elisa.
  • 13. NEI CAMPI DI CONCENTRAMENTO Noi ebrei in campi siamo Dove tutto il giorno lavoriamo. Qui gira una malattia Che poco a poco ci porta via, freddo sentiamo; non mangiamo; non beviamo; e aria malsana respiriamo. Poi in baracche a dormire solo per rattristire. La terra non c’è tutta cenere è. Dalla mamma ci ha separato e su un braccio un numero tatuato. Speranze di uscire non ne ho Quindi qui morirò ——- I Russi sono arrivati e ci hanno liberati La guerra è finita ora possiamo goderci la vita La mia famiglia posso riabbracciare dopo tempo a lavorare. Ogni giorno vedo qualcuno morire perché i nazisti ci voglion punire. Acqua nera la sera a mangiare e la mattina un lungo appello a sopportare. Mio padre non vedrò mai più perché lui se ne è andato lassù. Io sul braccio un timbro ho che mai laverò per far pentire tutti quelli che ci facevan morire. Daniele R.
  • 14. Era il 13 gennaio del 1944: eravamo lì, su quel dannato treno. Ci dissero che sarebbe andato tutto bene, ma non fu così. Scendemmo dal treno. Per terra c’era il fango, fango e ancora fango. Intorno a noi solo devastazione e odore di morte. Ci portarono dentro delle baracche luride, buie, senza un letto, vuote. Passò un anno: era il 13 gennaio del 1945 e mi chiedevo se sarei mai tornato a casa. Decisi di scrivere una lettera ai miei cari. Cara mamma, caro papà, cari nonni, dove siete? Io sono qui, da solo, insieme ad altre migliaia di persone, ma solo. Ritornerò mai da voi? Qui è tutto sporco, tutto...brutto, sì, brutto: gente che muore, soldati che urlano e pratic che non sono verdi, ma grigi. Comunque lotterò fino alla fine e se tornerò…. Vi voglio bene! Daniele Avevo fame, tanta fame, una fame tremenda. Stavo male e poi, poi avevo quelle scarpe larghe, che più larghe non si poteva e che non riuscivano a tenermi i piedi caldi. Ho visto di tutto: camere a gas, fosse comuni, baracche in cui vivevo con persone malate. Poi ricordo che dormivamo sopra le nostre piccole e sporche ciotole, nelle quali mangiavamo anche ….”mangiavamo”, per modo di dire, perché ci davano una brodaglia fatta con le bucce di patate, tutte nere e marce. Loro, i tedeschi, armati di AK 47, ci trattavano come degli oggetti, dei numeri: io, per esempio, ero il 19-42. La mattina, all’appello, ci chiamavano uno per uno, proprio con quei numeri e, se qualcuno mancava, uccidevano il numero precedente e successivo. Mi vengono i brividi a parlarne. Una volta, mancava il 19-40 ed hanno ucciso il 19-39 e il 19-41. “C’è mancato pochissimo” dissi tra me e me. Mi ricordo che ci rasavano i capelli a zero, ma adesso per fortuna mi sono ricresciuti. Ma soprattutto ricordo quando, il 27 gennaio, sono arrivati i Russi. Ci hanno caricato sui loro camion e portati via, via da lì, da quel posto orribile, pieno di morte. Finalmente io e i miei compagni di sventura siamo tornati a casa e ho riabbracciato i miei genitori, i miei nonni, tutti. Daniele Q.
  • 15. Cara famiglia… Auschwitz, 29 gennaio 1941 Oggi, 29 gennaio 1941, il giorno del mio dodicesimo compleanno lo passo così, triste, con le lacrime agli occhi, a pensare come sarebbe stata la mia vita se non fossi salita su quel maledetto treno. Scrivo questa lettera per dirvi che mi mancate tanto, che non posso vivere senza di voi. A volte mi chiedo come state, cosa fate, se mi pensate e sono sicura di sì. Qui la vita è impossibile, la mattina devo superare più di tre ore di appello e poi si va a lavorare, ma non lavori normali, lavori pesanti e se poco poco ci azzardiamo a rifiutare, vis, subito nelle camere a gas. La notte, il momento più brutto, incubi, rumori, freddo. E’ impossibile vivere qui… Ho freddo. Non ce la faccio più, ho lo stesso pigiama da settimane, è sporco, lurido. E’ a righe bianche e celesti. Non ho amici, non ho nessuno con cui confidarmi, con cui sfogarmi, con cui parlare, mi sento sola. Ho voglia di vivere la mia vita! Ho voglia di abbracciarvi, ma tanto sarà inutile sperare di uscire di qui, morirò, morirò tra le braccia di persone sconosciute. Non ho più un’identità, sono solo un numero, numeri, nullità inanimate, li hanno incisi sulla nostra pelle, in modo tale da non cancellarli più. Penso sempre, ma anche quando non penso dentro di me si forma tristezza, quel sentimento brutto che non dovrebbe esistere perché nessuno può vietarci di essere felici. Chissà quando tornerò a casa…Ogni sera…Mentre nel cielo scompaiono le stelle penso a voi, voi che non mi avete mai fatto mancare niente, voi che mi avete sostenuto, voi la mia famiglia. Virginia
  • 16. Siamo appena arrivati tutti qui subito a lavorare per di lì Non rivedrò voi, i miei genitori e morirò senza i miei familiari. Questa lettera spero vi arriverà grazie per esistere, mamma e papà. Vi penso sempre, in questa topaia indosso ho solo una piccola maglia mi mangerei tutto il cibo nel piatto anzi, pure un gatto! Tra poco, si sa, che io andrò nell’aldilà papà e mamma, vi ricordo che io qui non demordo ma ricordo di quanto non vi ascoltavo ma comunque vi amavo. Addio mamma e papà… Spero di vedervi, ma non so quando accadrà. Nicolas
  • 17. Sono un bambino ebreo, non sono uno scarabeo da mamma è papà mi hanno staccato e i fratelli mi hanno lasciato i topi morti ho mangiato nelle camere a gas mi hanno portato la morte mi ha aspettato ma un amico mi ha salvato. I capelli a tutti hanno rasato c’è stato anche chi si è suicidato. Le scarpe grandi mi hanno dato un dolce non ho più mangiato vestiti rotti mi hanno regalato una ciotola è dove ho mangiato con il cuore frantumato. Mamma e papà, voglio stare di nuovo con voi. Riccardo
  • 18. 28 Novembre 1944 Caro diario Sono qui ad Auschwitz e questo diario lo sto scrivendo...col sangue. Un giorno uscirò da qui, te lo prometto, anche se so, in cuor mio, che questo non accadrà mai. Ho una bruttissima polmonite, ho fame: qui posso mangiare solo i topi, oppure quello che passa ogni giorno. Sono tutto sporco e non ho niente da mettere come vestito. Ogni giorno muore una persona che non aveva fatto niente e io non ce la faccio più a vedere queste cose. Ogni tanto vedo venire una persona, una famiglia nuova, poi però non la vedo più. Qualche volta sento dire: “Andiamo a afre una bella doccia”. Molti vanno, ma io so che li ci ammazzano, perché invece di uscire acqua, esce gas...Io sto male, mi curo come posso con l’erba, ho qualche fasciatura, ma per fortuna non mi fa male. Voglio credere che sopravviverò. Voglio credere che io e te, diario, ci salveremo. Lorenzo
  • 19. 19 febbraio 1943, Auschwitz Caro diario, Oggi sono due mesi che non vedo i miei genitori e sono ancora bloccato qui, nel maledetto campo do concentramento di Auschwitz. Ho moltissima paura della morte ... ho fame e per mangiare qualcosa di buono, ad esempio un uovo sodo oppure un minestrone di lenticchie che prima odiavo e ora darei anche un dito per mangiarmelo … Ho molto freddo, perché mi hanno dato un pigiama di cotone che prima mi andava alla perfezione e ora mi va larghissimo: non mangio più da due settimane sono ormai diventato uno stecchino . Mi fanno molto male le braccia, a causa dei mattoni che ci fanno trasportare dalla fabbrica fino al deposito per circa 2 km .Vorrei tanto mangiare un purè di patate oppure un uovo e per mangiare queste cose darei anche un dito , invece di mangiare quel disgustoso brodo di bucce di patate che è anche freddo e sporco . Nella notte, spesso sento delle donne urlare alcuni detenuti dicono che vengono portate nelle camere a gas, altri invece dicono che vengono uccise e le loro ceneri si depositano sul prato, dandogli uno strato colore grigiastro Si sente uno strano e puzzolente odore di carne bruciata che mi fa venire da … beh, ora non ci voglio pensare, adesso mi vorrei concentrare di più sui miei genitori, che che ogni mattina mi davano la forza di alzarmi … loro che mi aiutavano e mi rialzavano quando non riuscivo a superare un ostacolo … loro che mi coccolavano la sera prima di andarmi a dormire… Loro, che ora non ho. Mi mancano molto i miei fratelli e amici, nonni, zii, cugini, insomma, tutti mi mancano . Alcune volte penso che mi vorrei suicidare invece di morire qui in questo orribile posto freddo e sporco. Ogni tanto penso che la mia ora è quasi arrivata perché avverto delle sensazioni di come se stessi per svenire. Ogni mattina prego il Signore che protegga i miei parenti, amici, insomma tutti. Ora devo andare, ci vediamo alla prossima, perché ora devo andare all’appello . IL DETENUTO 1498, DI CUI SI SA SOLO IL NUMERO. Manuel
  • 20. La copertina e il disegno finale sono opera dei ragazzi.