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2 de Aug de 2019
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  1. ago-set 2019 - 8 euro RIVISTA DI POLITICA/ ECONOMIA/ ESTERI/ AMBIENTE E CULTURA Il futuro dell’Intelligence Spionaggio, interessi nazionali e nuove tecnologie 9771824991003 ISSN1824-9914 90150 ago-set 2019 - 8 euro RIVISTA DI POLITICA/ ECONOMIA/ ESTERI/ AMBIENTE E CULTURA Il futuro dell’Intelligence Spionaggio, interessi nazionali e nuove tecnologie 9771824991003 ISSN1824-9914 90150 ago-set 2019 - 8 euro RIVISTA DI POLITICA/ ECONOMIA/ ESTERI/ AMBIENTE E CULTURA Il futuro dell’Intelligence Spionaggio, interessi nazionali e nuove tecnologie 9771824991003 ISSN1824-9914 90150
  2. IL NOCCIOLO La quiete o la tempesta? Si può governare contro tutto e contro tutti? La risposta è no. È sempre stata no. Le distorsioni della società digitale contemporanea possono determinare uno stato di ebbrezza tale da indurre nel dubbio. La leadership controcorrente, quella capace di intercettare le frustrazioni più profonde, quella che trasforma la rabbia in consenso, riesce a conquistare velocemente like e voti. È vero. Ma poi? La realtà può essere deformata, manipolata, persino negata. Ma poi si impone lasciando crollare le impo- nenti costruzioni fatte di sabbia fina. Il governo di un Paese non fa eccezione, anzi. Dossier come Ilva, Alitalia e Tav potevano avere esiti diversi da quelli che hanno avu- to? Davvero era immaginabile di far saltare il progetto del gasdotto Tap o non pagare gli F-35 contrattualizzati? L’esito era segnato nei fatti, nel buon senso oltre che nel rule of law. Al risultato finale (e inevitabile) si poteva però addivenire con tempi e modi diversi. Quanto ci sono costati i mesi di iperboli verbali, di annunci di stop, di ripensamenti e poi ancora nuovi penultimatum? Difficile fare stime esatte ma, fra ca- pitalizzazioni di Borsa e indice globale di reputazione degli Stati, abbiamo gettato al vento miliardi di euro e tanta, tanta, credibilità. Ha avuto senso? Il Paese è più povero e meno competitivo. E qui non citiamo le mille e imbarazzanti dichiarazioni di chi vuole emettere mini-bond, privatizzare Bankitalia o vendere le nostre riserve auree. Stendiamo un velo pietoso. Non siamo più l’Italia che batte la propria moneta e non siamo ai tempi della Guerra fredda (in cui l’Italia goveva di particolari “attenzioni”). La nostra identità non può prescindere dal nostro posizionamento internazionale. Essere isolati nell’Unione eu- ropea non è una genialità. Passare dalla irrilevanza per “obbedienza” alla ostilità per sterile “disobbedienza” non può dirsi un passo in avanti. Lo stesso gioco delle alle- anze variabili che ha distinto sempre la politica italiana (nel segno di un sostanziale e diffuso “ma anche”) è saltato. Le relazioni pericolose con Russia e Cina, gestite con colpevole superficialità quando non spregiudicatezza, hanno bruciato fiducia e non aumentato le opportunità di crescita economica attraverso l’export. È più facile fare campagna elettorale che governare. Ma se le elezioni non ci sono ma la propaganda prosegue, non è impossibile immaginare che l’esito politico non potrà che essere disastroso. Non augurandocelo, tifiamo per il successo del Paese ed è con questo spirito che preghiamo perché la quiete prevalga sulla tempesta.
  3. 2011–20122010–20112009–20102008–20092007–20082006–20072005–20062004–2005 150! 2 3 n°148-giu2019 RIVISTA DI POLITICA/ ECONOMIA/ ESTERI/ AMBIENTE E CULTURA IL GIOCO DEI TRONI. IL GIOCO DELLA POLITICA IL GIOCO DEI TRONI. IL GIOCO DELLA POLITICA Luigi Bisignani / Natale De Gregorio / Iñigo Errejon Galvàn Antonio Funiciello / Pablo Iglesias Turriòn / Gabriele Natalizia Francesco Nicodemo / Corrado Ocone / Guglielmo Picchi Rivista Mensile giu 2019 - 8 euro n°148 9771824991003 ISSN1824-9914 90148 RecapitoacuradiNexive n°124-apr2017 n°124 Rivista Mensile - Che politica che farà L'italia, la crisi e l’ombra populista 9771824991003 ISSN1824-9914 70124 493_17_M_ENI_PerItalia_OCULUS_170x240.indd 1 14/03/17 09:49 Truth Post-Truth Lie RIVISTA DI POLITICA/ ECONOMIA/ ESTERI/ AMBIENTE E CULTURA RecapitoacuradiNexive 9771824991003 ISSN1824-9914 70122 Verosimile,non vero Aldo Bonomi / Gianluca Comin / Emiliana De Blasio / Antonello Giacomelli Aldo Giannuli / Riccardo Luna / Mario Morcellini Damiano Palano / Antonio Palmieri / Walter Quattrociocchi Gianni Riotta / Angelo Tofalo / Massimiliano Valerii n°122 Rivista Mensile Feb 2017- 8 euro n°122-feb2017 C M Y CM MY CY CMY K 2018–20192017–20182016-20172015–20162014–20152013–20142012–2013 Il progetto editoriale, nato nel 2004 da un’idea di Paolo Messa, compie 15 anni e raggiunge il numero 150! Un traguardo che riviviamo con i nostri lettori riportando in queste pagine le cover dalla numero 1 ad oggi... Grazie a tutti i nostri lettori, e al prossimo traguardo!
  4. IL NOCCIOLO La quiete o la tempesta? 1 STORIA DI COPERTINA 007 in evoluzione Gennaro Vecchione Le fondamenta dell’interesse nazionale 8 Alessandro Pansa Tutelare il mercato, tra sicurezza e segretezza 10 Giampiero Massolo L’età della condivisione 12 Giuseppe Cucchi Alla ricerca continua di un equilibrio 14 Carlo Jean I Servizi in un mondo senza (apparenti) conflitti 16 Marco Minniti Sfere di influenza e centralità del Mediterraneo 20 Franco Frattini Il valore di un dialogo costruttivo 22 Adriano Soi Non solo spie. Al servizio del Paese 24 Mario Caligiuri Perché all’Italia serve un’intelligence community 26 Chiara Brandimarte Agenti in punta di tacco 28 Vincenzo Scotti Ormai le minacce nascono “altrove” 30 Giulio Terzi di Sant’Agata In guardia contro l’autoritarismo digitale 32 Paul Pillar La tentazione della manipolazione. Il caso Usa 35 Jack Caravelli Chi vincerà la guerra dell’informazione? 38 Paper Alina Polyakova L’arte dell’inganno nel nuovo pensiero militare russo 40 Marco Mayer Il codice rosso del mondo duale 44 Antonio Teti Mutazioni della virtual human intelligence 46 Andrea Melegari L’horizon scanning in scenari ibridi 48 Enrico Prati Il potere (del quantum computing) a servizio delle Agenzie 51 Alfredo Mantici Amici e nemici nell’intelligence economica 64 Luigi Fiorentino Misure forti per uno Stato forte 66 Laris Gaiser L’hackeraggio di Pechino e la golden power italiana 68 Marco Lombardi Think terrorist per combattere il terrorismo 70 Lorenzo Vidino Il jihadismo è ancora il nemico 73 Calder Walton Il cyber salverà gli 007 inglesi dal pantano Brexit 76 Mitchell Belfer Nuove vulnerabilità per l’Ue e per Londra 78 RUBRICHE Innovation Circle Paolo Ghezzi 54 Accelera Italia Ennio Picarelli e Stefano Bezzi 56 Genius Loci Oreste Pollicino e Valerio Lubello 59 Mentori Enzo Argante 60 Esponenzialmente Stefano Cuzzilla 63 Themis Antonio Maria Leozappa 80 In Scienza e Coscienza Fausto Massimino e Roberto Arditti 81 Oeconomicus Giuseppe Pennisi 83 Ue! Antonio Villafranca 85 Langolostorto Giovanni Lo Storto 87 Lo Specchio Mario Morcellini 88 Made in Italy Alex Zigliara 91 Palchi e platee Beckmesser 92 Schermaglie Fabio Benincasa 93 Inchiostri Alessandra Micelli 94 Benedette parole Benedetto Ippolito 96 formiche rivista mensile, 8 euro, agosto/settembre 2019 Numero chiuso in redazione il 25 luglio 2019 - Finito di stampare il 29 luglio 2019 IN QUESTO NUMERORivista fondata da Paolo Messa Direttore responsabile Flavia Giacobbe Direttore editoriale Gustavo Piga Art director Fulvio Caldarelli Hanno collaborato Alessandra Micelli Chiara Brandimarte Copertina e illustrazioni Bristol Progetto grafico blueforma Impaginazione Giulio Fermetti – essegistudio Stampato in Italia da Rubbettino Print viale Rubbettino 10 88049 Soveria Mannelli Redazione info@formiche.net Pubblicità comunicazione@formiche.net Editore Base per altezza s.r.l. corso Vittorio Emanuele ii, 18 00186 Roma telefono 06 454 73 850 fax 06 455 41 354 partita iva 05831140966 Consiglio di amministrazione Presidente Gianluca Calvosa Consiglieri Roberto Arditti, Giovanni Lo Storto, Brunetto Tini, Federico Vincenzoni Registrazione presso il Tribunale di Roma, n. 194/2008 n.s. * Formiche lascia agli autori la responsbilità delle opinioni espresse. I manoscritti inviati non si restituiscono. L’editore è a disposizione degli eventuali proprietari dei diritti sulle immagini ripro- dotte, nel caso non si fosse riusciti a reperirli. Abbonamento annuale (11 numeri) Ordinario 39,99 euro Sostenitore 1.000 euro Tutte le informazioni per l’acquisto su www.formiche.net Recapito a cura di Nexive comunicazione@nexive.it INFORMATIVA PRIVACY (ART.13 REGOLAMENTO UE 2016/679). La sottoscrizione di un abbonamento a For- miche (cartaceo/digitale) comporta la comunicazione di dati personali e la contestuale autorizzazione al trat- tamento. Il trattamento avviene nel rispetto delle pro- cedure di sicurezza, protezione e riservatezza dei dati. L’informativa completa sulle finalità, modalità, durata del trattamento e sui diritti esercitabili dall’interessato è disponibile sul sito www.formiche.net/abbonati/ e viene visualizzata in fase di sottoscrizione dell’abbonamento. Titolare del trattamento è la Base per Altezza srl, corso Vittorio Emanuele II, 18 - 00186 - Roma.
  5. S T O R I A D I 007 in evoluzione –––––––––––––––––––––––––––––   FORMICHE 150    agosto/settembre 2019  –––––––––––––––––––––––––––––
  6. 8 9 L’intelligence non può accontentarsi di essere fruibile. È chiamata a contribuire, in quel che le compete, a costruire un Paese che sia, anche in quanto più sicuro, sempre più votato a soddisfare le legittime aspettative di sviluppo e giustizia della sua cittadinanza. Potrà farlo orientandosi con quattro punti cardinali. Legalità: specie nei nuovi orizzonti economici e digitali della minaccia. Efficienza: i Servizi segreti hanno, più di qualsiasi altra istituzione, il dovere di allocare al meglio le loro risorse umane e materiali. Coinvolgimento: la sicurezza è un bene partecipato da tutti. Fiducia: la promozione della cultura della sicurezza e la co- municazione istituzionale servono ad accrescere la consapevolezza sui temi della sicurezza nazionale Si è soliti guardare al futuro dell’intelli- gence alla luce di elaborazioni analitiche di taglio strategico sull’evoluzione della minaccia. È una prospettiva ineludibile, ma insufficiente. Non dobbiamo appaltare né agli attori ostili, né alle forze oggettive che determinano le grandi trasformazioni dell’ambiente interno e internazionale, il compito di delineare i contorni della sicurezza nazionale, un bene costituzio- nale che, in quanto tale, non può esau- rirsi in una pur indispensabile azione di salvaguardia e prevenzione. La tutela dei superiori interessi dello Stato coincide di fatto con la difesa e con la promozione dei diritti dei cittadini, pertanto deve essere espressiva di una visione del mondo e di un’idea di Paese basate su robuste fonda- menta etiche, ancor prima che su valu- tazioni sofisticate su dove stia andando l’u- manità. Tanto vale, a maggior ragione, nel caso italiano. Possiamo fare affidamento su un quadro giuridico rigoroso e flessibi- le al tempo stesso: ha stabilito in termini chiari prerogative e limiti d’utilizzo dello strumento non convenzionale, garantendo la liceità delle attività operative; ha saputo adattarsi al cambiamento, venendo affi- nato da opportuni interventi normativi e regolamentari dettati dai mutamenti del contesto. Ora starà a noi operare al meglio nel tracciato definito dalla legge. L’instabilità geopolitica ci porta a calibra- re il supporto informativo a beneficio del decisore politico, continuando a concen- trare i mezzi e le risorse sui teatri di crisi di maggiore rilievo per la tutela degli interessi nazionali e tenendo conto della necessità di scongiurare il rischio che il terrorismo di matrice jihadista, tutt’altro che sconfitto, trovi nuovi spazi di agibilità. Il travagliato ridisegnarsi degli equilibri economici internazionali e la correlata tendenza all’acuirsi della competizione fra sistemi-Paese ci inducono a potenziare l’in- telligence economico-finanziaria, in primo luogo a difesa dei nostri assetti strategici. La dimensione cibernetica, divenuta, con la quinta rivoluzione ICT, non più sempli- ce precondizione, ma ambiente primario della crescita economica, ci impone di contribuire ad assicurare il funzionamento dell’architettura nazionale, onorando la centralità attribuitaci nella stessa. Sullo sfondo, le grandi sfide dell’agenda globale e del tempo che verrà: dalla demografia ai cambiamenti climatici; dalle correnti migratorie agli impatti occupazionali dei nuovi processi produttivi; dal dialogo tra civiltà alla distribuzione della ricchezza su scala globale. Ma tutto questo non basta. Peculiare nei mezzi che adopera, sensibile nel ricorso alla riservatezza nonché, nei limiti stabiliti dalla legge, al segreto a pro- tezione della sua sfera d’azione, qualificata nelle professionalità impiegate, l’intelligen- ce non può accontentarsi di essere fruibi- le. È chiamata a contribuire, in quel che le compete, a costruire un Paese che sia, anche in quanto più sicuro, sempre più vo- tato a soddisfare le legittime aspettative di sviluppo e giustizia della sua cittadinanza. Potrà farlo orientandosi con quattro punti cardinali. Legalità: specie nei nuovi orizzonti econo- mici e digitali della minaccia, vi è infatti un intreccio molto stretto tra rischi secu- ritari, attività illegali, azione dei soggetti criminali. Efficienza: i Servizi segreti hanno, più di qualsiasi altra istituzione, il dovere di allocare al meglio le loro risorse umane e materiali, adeguando in maniera ottimale risorse a obiettivi. Coinvolgimento: la sicurezza è un bene partecipato da tutti, quindi ciascuno deve metterci del suo, dai più giovani che con- dividono sui social le loro vite alle imprese colpite da attacchi cyber. Fiducia: la promozione della cultura della sicurezza e la comunicazione istituzionale servono ad accrescere la consapevolezza sui temi della sicurezza nazionale, e fanno percepire al cittadino che Dis, Aise e Aisi operano al suo servizio. Quattro punti cardinali, un orizzonte: l’in- telligence presidio della democrazia. STORIA DI COPERTINA Le fondamenta dell’interesse nazionale di Gennaro Vecchione DIRETTORE GENERALE DEL DIS –––––––––––––––––––––––––––––   FORMICHE 150 — agosto/settembre 2019  ––––––––––––––––––––––––––––– IL PUNTO_ Conte e la questione dell’interesse nazionale “Si può essere europeisti anche evidenziando profili di criticità, deficienze comuni, volendo rimanere in Euro- pa e volendo offrire un contributo critico, ma nell’ambito del contributo critico, far valere comunque i propri interessi nazionali”. Il premier Giuseppe Conte ha espresso la propria idea di interesse nazionale intervenendo nell’ambito del Festival di Limes, a Genova.“Forse qualcuno confonde il fatto che pur in una famiglia (edifi- cio) comune non si rinunci a perseguire – come fanno gli altri – i propri interessi. È ingenuo pensare che gli in- teressi italiani combacino con quelli europei, specialmente quando gli altri Paesi non sono dello stesso avviso”.
  7. 10 11 Il mercato ha delle regole scritte e non scritte che alcune volte è difficile conciliare con le esigenze di sicurezza. Basta considerare che quasi sempre il concetto di sicurezza forma un binomio indis- solubile con quello di segretezza. Quindi molte volte garantire la sicurezza vuol dire mantenere la segretezza, cosa che difficilmente si concilia con la libertà di mercato, ad esempio in tema di concorrenza. Questa però a sua volta rappresenta anch’essa un interesse peculiare di un Paese che da un regime di concorrenza trae fonte per il suo sviluppo economico Lo sviluppo delle infotecnologie coinvolge una molteplicità di ambiti della nostra vita privata e sociale e ha un impatto notevole in tutti i settori della vita pubblica sotto molteplici aspetti. Ad esempio quello tecno- logico, che ha rilevanza sia per la competi- tività sia per la sicurezza. Di rilievo è anche l’aspetto economico: sono in gioco le regole di mercato e della concorrenza. I settori dei trasporti, dell’energia e delle manifatture subiranno un’accelerazione fortissima man mano che si diffonderà il 5G. C’è poi il tema della tutela dei diritti fonda- mentali dei cittadini, che forse in maniera riduttiva chiamiamo semplicemente di pri- vacy. L’annuncio che anche grandi operatori digitali entreranno nel mondo della finanza con loro strutture e addirittura con una moneta elettronica nuova fa nascere qualche preoccupazione anche per le competenze proprie dei singoli Stati. Su questi temi sono in corso varie iniziative da parte sia dei Garanti nazionali sia comu- nitari in materia di concorrenza, di comu- nicazioni e di privacy. Sono intervenute la Commissione europea, l’Ocse e il G20. Là dove è necessario, però, che sia il gover- no a porre l’attenzione massima è il settore della sicurezza nazionale, di cui ne ha la piena responsabilità. Il tema non è relativo tanto agli strumenti che vengono utilizzati per la protezione dei vari asset, quanto a quale sia il perimetro entro il quale questo livello di sicurezza vada garantito. Questo tema ha una rilevanza fondamentale per quelle che vengono definite infrastrut- ture critiche di un Paese. Parliamo di quel genere di infrastruttura “che è essenziale per il mantenimento delle funzioni vitali della società, della salute, della sicurezza e del benessere economico e sociale della popolazione e il cui danneggiamento o la cui distruzione avrebbe un impatto significa- tivo” (Dlgs 61/2011). Non vi è dubbio che tra queste vadano annoverate le infrastrut- ture di telecomunicazioni. Ma per queste vi è una singolarità assoluta. La normativa recente in tema di golden power, ponendo l’accento sulla sicurezza nazionale, le ha sot- toposte a una serie di vincoli e controlli tali da garantire al meglio l’interesse pubblico. In effetti i gestori delle Reti vengono consi- derati giustamente sensibili sotto l’aspetto della sicurezza nazionale. Oltre a dover garantire servizi che assicurino la funzione vitale della sicurezza in senso generale, ne devono garantire la impenetrabilità al più alto livello. Specifiche normative in tema di sicurezza, sono andate a disciplinare le cosiddette Telco. Il riferimento non è solo alla normativa sulla golden power, che limita la governance e il sistema delle forniture al mercato nazionale o al massimo europeo. Non solo alla normati- va che ha individuato le cosiddette infrastrut- ture critiche, differenziandole da tutte le altre per la loro rilevanza sotto l’aspetto dell’inte- resse nazionale. Riguarda anche la normativa sulla privacy che prende in considerazione in termini di tutela la qualità delle informazioni che i diversi operatori gestiscono. Nella pratica quotidiana si sta sempre più ampliando il perimetro della sicurezza na- zionale. Tutto ciò merita un’attenzione isti- tuzionale particolare, altrimenti gli operato- ri avranno difficoltà notevoli in un mercato così dinamico se da un lato sono chiamati al rispetto dei vincoli della sicurezza nazionale e dall’altro discriminati nella libera scelta delle esigenze di mercato. Il mercato, dal canto suo, ha delle regole scritte e non scritte che alcune volte è diffici- le conciliare con le esigenze di sicurezza. Ba- sti considerare che quasi sempre il concetto di sicurezza forma un binomio indissolubile con quello di segretezza. Quindi molte volte garantire la sicurezza vuol dire mantenere la segretezza, cosa che difficilmente si concilia con la libertà di mercato, ad esempio in tema di concorrenza. Questa però, a sua volta, rappresenta anch’essa un interesse peculiare di un Paese che da un regime di concorrenza trae fonte per il suo sviluppo economico. Volendo individuare un quadro di riferimento corretto, bisogna prima di tutto rilevare che è il concetto stesso di sicu- rezza nazionale che si è evoluto. A cogliere per primo questa esigenza fu il legislatore del 2007 che estese le competenze dei Ser- vizi d’informazione agli interessi economici e industriali del Paese. Questa strategia ha trovato conferma poi nell’esercizio di poteri speciali da parte del governo per tutelare l’interesse nazionale. Un nuovo perimetro della sicurezza nazio- nale va ridisegnato oggi e le varie normative sino adesso citate ne forniscono un quadro di riferimento adeguato. I vari elementi che si possono trarre dalla legislazione vigente postulano l’esigenza d’individuare anche un’area intermedia di sicurezza pubblica che, con vincoli meno stringenti da quella nazionale, possa essere garantita nel settore dell’infoteconologia, la cui sicurezza è ormai un elemento costitutivo del benessere socio- economico del Paese. Un riordino del quadro normativo in mate- ria di sicurezza potrà diventare esso stesso un acceleratore dello sviluppo economico proprio nei settori più innovativi e dall’alto valore strategico. STORIA DI COPERTINA Tutelare il mercato, tra sicurezza e segretezza di Alessandro Pansa GIÀ DIRETTORE GENERALE DEL DIS, PRESIDENTE DI TIM-SPARKLE –––––––––––––––––––––––––––––   FORMICHE 150 — agosto/settembre 2019  ––––––––––––––––––––––––––––– _“Oggi va ridisegnato un nuovo perimetro della sicurezza nazionale, individuando un’area intermedia di sicurezza pubblica che possa esse- re garantita nel settore dell’infotecnologia, la cui sicurezza è ormai un elemento costitutivo del benessere socioeconomico del Paese”_
  8. 12 13 Nel settore della sicurezza nazionale, condividere è assai diverso da integrare. Condividere e scambiarsi notizie è attività ampiamente in uso tra i diversi Ser- vizi nazionali preposti alla ricerca di informazioni che tutelino la sicurezza nazionale. L’ambito e la portata di questi scambi sono andati, specie negli ultimi anni, estendendosi diffusamente, anche per la necessità di fronteggiare le minacce del terrorismo islamico e sono sicuramente suscettibili di nuovi e più estesi sviluppi. La sfida odierna è proprio quella di inten- sificare e rendere sempre più capillare lo scambio di informazioni, di trarre elementi utili dalla messe dei dati a nostra disposizione, sia che si tratti di fonti aperte, sia che si tratti di fonti confidenziali Il rallentamento della globalizzazione porta al riaffacciarsi del criterio dell’interesse nazionale come parametro di azione prio- ritario degli Stati nazionali: comportarsi seguendo i propri interessi non è una novi- tà, ovviamente, ma più inedito è farlo così apertamente, quasi ostentatamente dopo aver passato decenni a tessere le lodi del multilateralismo e della mondializzazione. Sul piano securitario, è lecito interrogarsi, tuttavia, se il prevalere degli intenti dei singoli Stati possa eventualmente incidere sulla loro collaborazione e avere conse- guenze segnatamente per la tutela della sicurezza del nostro continente. Insomma, in un’epoca di maggiore atten- zione alle dimensioni nazionali rischia- mo davvero di affievolire la dimensione europea della sicurezza e, per ciò stesso, la nostra sicurezza nazionale? La risposta non può che essere negativa. Innanzitutto, perché nel settore della sicurezza naziona- le, della ricerca, dell’elaborazione e dello scambio a tal fine di notizie, dell’intelligen- ce insomma, “condividere” è assai diverso da “integrare”. Condividere e scambiarsi notizie è attività ampiamente in uso tra i diversi Servizi nazionali preposti alla ricer- ca di informazioni che tutelino la sicurezza nazionale. L’ambito e la portata di questi scambi sono andati, specie negli ultimi anni, estendendosi diffusamente, anche per la necessità di fronteggiare le minacce del terrorismo islamico e sono sicuramente suscettibili di nuovi e più estesi sviluppi. La sfida odierna è proprio quella di inten- sificare e rendere sempre più capillare lo scambio di informazioni, di trarre elementi utili dalla messe dei dati a nostra disposi- zione, sia che si tratti di fonti aperte, sia che si tratti di fonti confidenziali. Speciale rilievo acquisisce poi la messa a fattor co- mune delle informazioni raccolte e scam- biate: è questo il passaggio che accresce il valore della condivisione. Fatto a livello europeo o comunque tra Paesi alleati e like-minded aggiunge valore determinante all’intero esercizio. Cosa molto diversa è invece la creazione di entità integrate di intelligence. Quest’ul- tima postula il presupposto – fallace – che esista già una politica europea comune in materia di sicurezza e di promozione dell’interesse europeo: quest’obiettivo sembra ancora fuori portata e gli Stati uniti d’Europa non sono alle viste. Conse- guentemente, l’attività di ricerca di notizie attinenti la sicurezza è tuttora così intrin- secamente connessa alla sfera sovrana dei singoli Stati membri, che ben difficilmente ci possiamo aspettare una sua messa in comune in nome di un interesse europeo sovranazionale, che in questo, come in altri campi, stenta a manifestarsi. L’integrazione dei servizi di intelligence trova, dunque, il proprio limite nella so- vranità nazionale e soprattutto nella fase ancora relativamente arretrata del proces- so d’integrazione europea. Se, quindi, va realisticamente concluso che un’intelligence europea non è imminente, altrettanto pragmaticamente va constatato che la mancata integrazione delle intelli- gence non comporta un impatto negativo sulla tutela della sicurezza. Il problema, in- fatti, ancora una volta, non sta nel ricerca- re insieme gli elementi informativi, ma nel condividere quanto in proprio possesso, conferendogli il massimo valore aggiunto possibile. Le acquisizioni informative su diversi teatri geopolitici sono preziosa merce di scambio e una loro condivisione intelligente può promuovere un maggior grado di compatibilità fra le “linee rosse” dei rispettivi Stati nazionali e una mitiga- zione delle divergenze. D’altra parte, il contrasto alle minacce propriamente asimmetriche è permeato da una logica altamente competitiva, come dimostrato dal settore economico-finanzia- rio, nel quale la tutela degli assetti strategici di ciascuno complica, anziché promuovere, l’armonizzazione dei rispettivi interessi. Insomma, “condivisione” è alla luce dei fatti, e non di idealistiche aspettative, la parola-chiave, la formula che oggi più che mai integra l’essenza della difesa dell’in- teresse nazionale e di quello europeo. E l’intelligence è, in ultima analisi, l’arte di trarre il maggior vantaggio dalle situazioni come esse sono e non come si vorrebbe che fossero. Anche nell’Unione europea, almeno per ora e – stiamone certi – senza vulnerare la nostra sicurezza collettiva. STORIA DI COPERTINA L’età della condivisione di Giampiero Massolo GIÀ DIRETTORE GENERALE DEL DIS, PRESIDENTE DELL’ISPI –––––––––––––––––––––––––––––   FORMICHE 150 — agosto/settembre 2019  ––––––––––––––––––––––––––––– _“Il contrasto alle minacce asimmetriche è permeato da una logica altamente competitiva, come dimostrato dal settore economico-fi- nanziario, nel quale la tutela degli assetti strategici complica l’armo- nizzazione dei rispettivi interessi. Condivisione è, alla luce dei fatti e non di idealistiche aspettative, la parola-chiave”_
  9. 14 15 Con il mutare dei pesi relativi, quella bilancia del potere da cui dipende la sicurezza del mondo è divenuta instabile al punto tale da necessitare di un’opera continua di valutazione e correzione per mantenerla sempre in equilibrio. Le regole non hanno fatto eccezione e sono mutate anch’esse, al punto tale che al giorno d’oggi la classificazione in “amici e nemici” ha perso qualsiasi significato. Non esiste in pari tempo, almeno nella maggior parte dei casi, neanche una distinzione chiara fra stato di guerra e stato di pace Ai tempi di Fleming e di Bond, James Bond, di Graham Greene de Il nostro agente all’Avana, di Le Carré e del suo Smiley (avete notato come tutti i grandi autori di libri di spionaggio siano inglesi?) l’intelligence era arte relativamente facile. Ancor più semplice, poi, doveva apparire in tempi più lontani, quelli di Kipling e di Kim, nonché del Grande gioco che oppo- neva russi e britannici in un’Asia Centrale definita come “il cuore del mondo” dalle teorie geopolitiche dell’epoca. Ora invece lo spionaggio ha del tutto perso quell’impronta di semplicità che lo concen- trava da un lato sulle aspirazioni dei singoli Stati sovrani nel settore della politica estera, dall’altro sui mezzi, soprattutto militari, destinati a divenire gli strumenti di tale po- litica. In un mondo che diviene ogni giorno più variato e difficile, l’intelligence ha infatti dovuto progressivamente adattarsi alla cre- scente complessità dell’ambiente, seguendo costantemente il ritmo del cambiamento e a volte tentando addirittura di precederlo. Si è trattato di un processo rivelatosi tutt’altro che facile, in primo luogo perché non è mai agevole cambiare, e poi perché la velocità del cambiamento non ha fatto altro che au- mentare dalla globalizzazione in poi, senza risparmiare alcuno di quelli che sino a ieri erano considerati i pilastri del settore. Così i soggetti operanti nell’agone inter- nazionale e rilevanti dal punto di vista dell’intelligence si sono moltiplicati e diversificati, portando tra l’altro a occu- pare la scena anche personaggi contro cui la panoplia classica dei mezzi di difesa e offesa si è rivelata del tutto inefficace. Con il mutare dei pesi relativi, quella bilancia del potere da cui dipende la sicurezza del mondo è divenuta instabile al punto tale da necessitare di un’opera continua di valutazione e correzione per mantenerla sempre in equilibrio. Le regole non hanno fatto eccezione e sono mutate al punto tale che al giorno d’oggi la classificazione in “amici e nemici” ha perso qualsiasi signi- ficato. Non esiste neanche una distinzione chiara fra stato di guerra e stato di pace. Ci sono invece soltanto situazioni di ten- sione più o meno forte destinate a espri- mersi in episodi di quella guerra ibrida. Un processo che l’avvento dell’informatica e i suoi costanti progressi ha reso in un certo senso agevole il cyber-spazio. Sempre l’informatica ci ha permesso di disporre di una quantità tale di dati da permetterci, tramite le dovute elaborazioni, di indivi- duare come muoverci per orientare l’opi- nione di masse di utenti nella direzione da noi voluta. È un processo che pur essendo soltanto agli inizi già ci porta a interro- garci su possibili potenziali manipolazioni a fini elettorali o commerciali avvenute in tempi recenti. In un simile quadro generale anche l’interesse nazionale, in sostanza il faro-guida e la ragion d’essere di ogni ser- vizio informativo, finisce col divenire cosa fluida e necessitare di verifiche continue. Reagendo a questo mutato stato di cose, i servizi di intelligence di tutto il mondo hanno tentato di adeguarsi alla nuova situazione, in primo luogo accorciando la filiera decisionale che ora quasi ovunque fa capo più o meno con immediatezza al massimo livello del potere esecutivo. In differenti settori sono state invece segui- te strade diverse. Alcuni hanno moltiplicato i settori di attività creando strutture super specializzate ad hoc che però trovano an- cora una considerevole difficoltà a parlarsi e a coordinarsi tra loro. L’esempio classi- co era quello degli Stati Uniti, che in un recente passato avevano finito col disporre di ben 16 Agenzie specializzate, integrate ovviamente da una diciassettesima desti- nata a coordinarne l’operato. Altri invece hanno puntato a un arricchimento delle competenze specializzate destinato però ad avvenire in un quadro strettamente unita- rio in cui la fusione venga resa più naturale e più facile dalla costante convivenza. È la strada che abbiamo intrapreso anche noi italiani e, almeno sino a ora, i risulta- ti conseguiti sembrano darci ragione. Da un lato infatti fra i grandi Paesi europei noi siamo quello che meno ha sofferto del revival del terrorismo estremista di questi ultimi anni. Vi è un secondo indice che esprime un giudizio pienamente favorevole nei riguardi della nostra intelligence, cioè il fatto che di essa non si parli quasi mai. In un Paese di democrazia matura, quale è l’Italia, l’intelligence finisce col far notizia soprattutto allorché qualcosa va male, men- tre i suoi successi appaiono cosa scontata. È una variante della vecchia regola mediatica secondo cui chi fa notizia è un uomo che morde un cane e non viceversa. Ma, consi- derate le implicazioni, speriamo comunque che anche questo silenzio mediatico possa prolungarsi a scadenza indefinita nel futuro. STORIA DI COPERTINA Alla ricerca continua di un equilibrio di Giuseppe Cucchi GIÀ DIRETTORE GENERALE DEL DIS –––––––––––––––––––––––––––––   FORMICHE 150 — agosto/settembre 2019  ––––––––––––––––––––––––––––– _“Lo spionaggio ha del tutto perso quell’impronta di semplicità che lo concentrava da un lato sulle aspirazioni dei singoli Stati sovrani nel settore della politica estera, dall’altro sui mezzi, soprattutto mi- litari, destinati a divenire gli strumenti di tale politica”_
  10. 16 17 di Carlo Jean* Il conflitto per aumentare la propria influenza e conseguire i propri interessi è divenuto permanen- te e ambiguo. La “guerra in forma” con dichiarazio- ni di guerra è praticamente scomparsa. Incerto è il significato di minaccia e anche quello di vittoria. Le guerre del passato avevano un inizio e una fine. Oggi sono state sostituite dalle permanenti e ambigue guerre dell’informazione. Tale trasforma- zione pone grosse sfide ai Servizi. Lo stesso ciclo dell’intelligence si è mutato, come ha suggerito Gregory Treverton, già capo del National intelli- gence council americano. A una minaccia ibrida va data una risposta ibrida, resa però difficile dal fatto che, a differenza dei conflitti tradizionali, l’attacco è strutturalmente superiore alla difesa. Non esistono linee di fronte La guerra ibrida o di quinta generazio- ne, teorizzata nel 2013 dal capo di Stato maggiore russo, Valery Gerasimov, e spe- rimentata l’anno successivo nel Donbass e in Crimea, è tornata di moda da quando al Summit di Varsavia del 2016 la Nato ha deciso di considerarla un nuovo tipo di guerra. Essa sarebbe capace, utilizzan- do le nuove tecnologie, di raggiungere efficacemente obiettivi politici in passato raggiungibili soprattutto con l’utilizzo reale della potenza militare. In realtà, la guerra che oggi chiamiamo ibrida è un fenomeno vecchio come il mondo. Anche in passato l’opzione militare è stata sempre considera- ta quella meno preferibile rispetto agli altri strumenti di potenza degli attori strategici (propaganda, disinformazione, strategie d’influenza, finanziamento di terroristi, insorti e guerriglieri, attacchi cibernetici, pressioni economiche, utilizzo di proxy e di forze paramilitari – i “piccoli uomini verdi” della Crimea –, azioni indirette e asimme- triche, ecc.). Il soft power è sempre prefe- ribile all’hard power, che è necessario, ma che va possibilmente utilizzato in potenza. I due poteri vanno combinati fra loro, in quello che Robert Nye ha chiamato smart power. La guerra non è stata mai un feno- meno tecnico-militare, ma piuttosto uno politico-sociale. L’obiettivo dell’uso della forza non sono mai stati solo gli eserciti, ma le società, vulnerabili a una serie com- plessa di fattori, materiali e immateriali. Rispetto al passato, in cui dominava l’or- dine militare, oggi l’uso della forza rende sempre meno, costa sempre più ed è più rischioso. Le guerre tradizionali non scop- piano più fra gli Stati più potenti, ma fra quelli più deboli e al loro interno. Giocano, al riguardo, la presenza delle armi nuclea- ri, il cui impiego – diverso dalla semplice dissuasione – produrrebbe effetti distrut- tivi superiori a qualsiasi obiettivo politico razionale, e il declino demografico di tutte le maggiori potenze (eccetto l’India), il quale rende inaccettabili le perdite inevita- bili in conflitti ad alta intensità operativa e tecnologica. Il declino demografico rende gli Stati più avanzati indisponibili a subire perdite. I loro eserciti iper-tecnologici non sono idonei all’occupazione e al control- lo dei territori. Il petrolio si compra, non si conquista. Quelli più deboli e i gruppi sub-statali ricorrono a forme asimmetriche di lotta, rese più efficaci dallo sviluppo e dalla diffusione delle tecnologie. Inoltre, nell’era dell’informazione, di Internet, dei social media e del cyber-spazio le società sono divenute più vulnerabili del passato. Si è così allargata la zona grigia esistente fra la pace completa e la guerra totale, anche perché diventa difficile attribuire la responsabilità di un attacco, in particolare di quello cibernetico. Il conflitto per au- mentare la propria influenza e conseguire i propri interessi è divenuto permanente e ambiguo. La “guerra in forma” con dichia- razioni di guerra è praticamente scom- parsa. Incerto è il significato di minaccia e anche quello di vittoria. Le guerre del passato avevano un inizio e una fine. Oggi sono state sostituite dalle permanenti e ambigue guerre dell’informazione. Tale trasformazione pone grosse sfide ai servizi d’intelligence. Lo stesso ciclo STORIA DI COPERTINA I Servizi in un mondo senza (apparenti) conflitti –––––––––––––––––––––––––––––   FORMICHE 150 — agosto/settembre 2019  ––––––––––––––––––––––––––––– _“Le missioni dell’intelligence non sono più esclusivamente quelle di affrontare i known-unknown, come avveniva nei conflitti tradi- zionali, ma gli unknown-unknown, data la pluralità e imprevedibi- lità del tipo di minaccia che si deve fronteggiare”_
  11. dell’intelligence si è mutato, come ha suggerito Gregory Treverton, già capo del National intelligence council americano. A una minaccia ibrida va data una risposta ibrida, resa però difficile dal fatto che, a differenza dei conflitti tradizionali, l’attac- co è strutturalmente superiore alla difesa. Non esistono linee di fronte. La sorpresa domina. Ogni previsione sui tipi di stru- menti che utilizzerà l’avversario è difficile. L’intelligence deve essere globale o com- prehensive, come ha affermato la Nato all’atto della costituzione delle All-source intelligence cell. Diventa essenziale, più che in passato, la comprensione del contesto storico, culturale e politico interno, inclusa la psicologia dei responsabili politici e strategici. L’ampia disponibilità di fonti aperte va completamente sfruttata. Cen- trale è divenuta la Socmint (social media intelligence), per il controllo delle tendenze dell’opinione pubblica, come ben dimo- strato dalle analisi effettuate per compren- dere le dinamiche delle primavere arabe e dalla necessità di gestire con efficacia le proprie strategie d’influenza e di contrasta- re quelle avversarie. Le missioni dell’intelligence non sono più esclusivamente quelle di affrontare i known-unknown, come avveniva nei conflitti tradizionali, ma gli unknown-un- known, data la pluralità e imprevedibilità del tipo di minaccia che si deve affron- tare. Esse non sono più prevalentemente militari, ma politiche, economiche, psico- logiche, comunicative. Le previsioni sono divenute più difficili e, al tempo stesso, più indispensabili. Richiedono un approccio globale. Specie in campo cibernetico è difficile attribuire la responsabilità di un attacco, effettuato con un trojan horse o con un malware. La dissuasione è divenu- ta impraticabile. Beninteso, la disinformazione o la maski- rovska non sono state inventate da Gera- simov. Sono vecchie come il mondo. Nella guerra dell’informazione, che rappresenta il punto centrale della guerra ibrida, le democrazie liberali dell’occidente si tro- vano svantaggiate, anche a causa di valori come la libertà di stampa, rispetto a quelle illiberali o autoritarie, come la Russia o la Cina. Lo dimostrano le vicende dell’Of- fice of strategic influence, che Donald Rumsfeld fu costretto a sciogliere o le limitazioni poste all’uso della corruzione e delle intercettazioni. Ciò rende complesso l’adeguamento alle nuove minacce dei Ser- vizi d’intelligence e ne diminuisce anche la necessaria autonomia, che dovrebbe invece aumentare nell’era delle guerre ibride. Le minacce virtuali, come quelle cibernetiche e comunicative sono meno percepibili di quelle materiali. Richiedono, inoltre, risposte immediate. Le fake news hanno effetti molto più rapidi di ogni smenti- ta. I decisori politici hanno buon gioco a imporre i loro preconcetti alle analisi dell’intelligence, come sta avvenendo negli Usa con Donald Trump. Di qui l’impor- tanza della diffusione della cultura dell’in- telligence, componente essenziale di quella della sicurezza. STORIA DI COPERTINA _“Rispetto al passato, in cui dominava l’ordine militare, oggi l’uso della forza rende sempre meno, costa sempre più ed è più rischioso. Le guerre tradizionali non scoppiano più fra gli Stati più potenti, ma fra quelli più deboli e al loro interno”_ *Già consigliere militare del presidente della Repubblica, generale degli Alpini in congedo e presidente del Centro geopolitica economica 1818
  12. 20 21 Se in un contesto apolare è venuto a mancare qualsivoglia scudo assimilabile al blocco occidenta- le precedente al Muro di Berlino, l’Italia può e deve tendere al massimo l’arco delle proprie possibilità, per scongiurare il rischio di assorbimento da parte di altre sfere di influenza. Per lavorare in questa direzione, il nostro Paese può far leva su due grandi punti di forza, la sua collocazione geopolitica e la solidità del proprio sistema di intelligence. Se è innegabile la posizione strategica al centro del Mediterraneo, però, non si sono ancora colte in maniera unitaria le potenzialità legate a essa Senza alleati nessuna sfida è sotto control- lo, nemmeno quella delle informazioni. E ciò è tanto più vero in un contesto in- ternazionale apolare, in cui ogni rapporto tra Paesi è contrassegnato da simultanea cooperazione e competizione, tenute in equilibrio proprio dalla necessità di trova- re, in ogni attore, un alleato. Se il discorso vale in ogni ambito della vita politica ed economica di un Paese, esso risulta ancora più cruciale nella sfera dell’intelligence che è, di fatto, il cuore della sicurezza del sistema-Paese. Ma l’Italia, seppur attore particolarmente virtuoso – in Europa e nel mondo – di gestione efficiente del sistema di intelligence, fatica a comprendere sia l’ambivalenza dei rapporti tra Stati, sia la necessaria compattezza d’intenti propria delle strutture sovranazionali di cui fa parte. L’Italia mostra infatti una dramma- tica miopia nell’intendere i rapporti con la Nato e l’Unione europea, dalle quali però – per ragioni tanto storiche quanto attuali – non può affatto prescindere. Quando il caso Snowden sconvolse il mondo intero quale crisi più grave della recente intelli- gence mondiale, l’Amministrazione di allo- ra operò un taglio al budget per la Nsa, la più grande delle 17 agenzie di intelligence statunitensi. In termini monetari, la ridu- zione del budget corrispose a circa otto volte l’ammontare dell’impegno economi- co complessivo di spesa dell’intelligence italiana. Le dimensioni di questo confronto fanno ben comprendere come l’Italia, per quanto virtuosa, non disponga delle risor- se sufficienti per affrontare questa sfida da sola. Se in un contesto apolare è venuto a mancare qualsivoglia scudo assimilabile al blocco occidentale precedente al Muro di Berlino, l’Italia può e deve tendere al mas- simo l’arco delle proprie possibilità, per scongiurare il rischio di assorbimento da parte di altre sfere di influenza. Per lavora- re in questa direzione, il nostro Paese può far leva su due grandi punti di forza, la sua collocazione geopolitica e la solidità del proprio sistema di intelligence. Se è inne- gabile la posizione strategica al centro del Mediterraneo, però, non si sono ancora colte in maniera unitaria le potenzialità legate a essa. Nel Mediterraneo si giocherà la partita della sicurezza futura mondiale, ma pochi in Italia sembrano considerare che è proprio lì che risiedono il know how italiano e le condizioni per sviluppare un rapporto di cooperazione credibile attor- no al nostro Paese. Il secondo elemento di forza è il sistema di intelligence stesso, che forse per consapevolezza, o per casua- lità, sembra essere rimasto al riparo dalle turbolenze politiche degli ultimi decenni. Grazie all’ultima riforma del sistema è stato possibile introdurre una doppia chia- ve – una nelle mani dell’esecutivo e l’altra in quelle del sistema giudiziario – che ha significativamente rafforzato i poteri di controllo del Parlamento garantendo l’e- quilibrio democratico del sistema. Un altro importante passo avanti è stato fatto nel meccanismo di reclutamento, che è stato aperto a figure professionali esterne alla Pubblica amministrazione. L’intelligence nazionale si è arricchita non solo di figure professionali provenienti dall’ambito, ad esempio, universitario – come è già prassi in molti altri Paesi – ma ha fatto sì che anche coloro non direttamente inseriti in fase di reclutamento entrassero a far parte di una rete cooperativa insieme agli stessi Servizi segreti. Naturalmente, il sistema può essere ancora migliorato, ma è impor- tante non incappare nella tentazione del rimescolamento della normativa, poiché le riforme dell’intelligence sono di tipo si- stemico e hanno bisogno di molti anni per mostrare la propria capacità operativa. Un sistema, quello italiano, che si è di- mostrato efficace anche nel monitoraggio della minaccia del terrorismo jihadista. Ma questo rischio non è ancora da considerarsi debellato, poiché rimane alto il pericolo della cosiddetta autoattivazione del terro- rismo. Essa comprende il reclutamento, lo scambio di informazioni e l’addestramento tramite le Reti informatiche, e potrà dirsi sotto controllo solamente quando ci sarà uno scambio continuativo e collaborati- vo di informazioni tra Paesi. Ad oggi, gli strumenti di cooperazione hanno permesso importanti passi avanti – come la distruzio- ne automatica di contenuti – ma l’auspicio è che governi e provider possano giungere a un sistema di condivisione più strutturato nella consapevolezza di un destino comune. Molto potrebbe essere fatto, come si sostie- ne da più parti, per mezzo dell’intelligence integrata europea, ma solo qualora nasces- sero gli Stati uniti d’Europa. Perché fino a quando l’Unione europea si avvarrà di una struttura di Stati sovrani, l’intelligence rimarrà legata a doppio filo alla sicurezza esclusivamente nazionale. Ed essa è, per sua natura, prerogativa dello Stato-nazione. STORIA DI COPERTINA Sfere di influenza e centralità del Mediterraneo di Marco Minniti GIÀ MINISTO DELL’INTERNO E AUTORITÀ DELEGATA PER LA SICUREZZA DELLA REPUBBLICA –––––––––––––––––––––––––––––   FORMICHE 150 — agosto/settembre 2019  ––––––––––––––––––––––––––––– _“L’intelligence integrata europea potrebbe avere senso solo qualo- ra nascessero gli Stati uniti d’Europa. Perché fino a quando l’Unione europea si avvarrà di una struttura di Stati sovrani, l’intelligence rimarrà legata a doppio filo alla sicurezza esclusivamente nazionale. Ed essa è, per sua natura, prerogativa dello Stato-nazione”_
  13. 22 23 Di fronte alla crescente complessità delle minacce e alla frammentazione degli interessi, è sempre più verosimile che l’interesse nazionale venga privato della sua natura e ridotto a una locuzione abusata, spesso fraintesa. È necessario non solo mediare tra gli attori coinvolti, ma anche creare veri e propri forum di scambio di informazioni, in funzione di tutte le priorità nazionali. Che si tratti di istituzioni nazionali o europee, rimane prioritario implemen- tare un dialogo inclusivo e costruttivo sull’interesse nazionale, affinché non risultino esclusi importanti attori o, peggio, dossier critici Interesse nazionale, motore dell’intelligence. Un concetto mutevole in forma e contenuti che ne rende permeabile la definizione dei confini. Ma se è vero che esso è la ragion d’essere dell’attività di intelligence, è altret- tanto vero che quest’ultima deve evolversi almeno allo stesso passo. Ma il lavoro dell’intelligence non è soltanto di servizio – cioè quello di agire in base alle priorità indicate dallo Stato –, bensì anche quello di produrre un risultato su cui il governo possa aggiustare le proprie decisioni. L’attività dei servizi segreti è in grado di plasmare e rimo- dulare le priorità stesse del sistema-Paese, innescando un’interazione reciproca con l’e- secutivo. Un sistema che si è potuto efficien- tare anche grazie alla riforma del 2007, che ha reso possibile ai servizi segreti di curare in modo strutturato tutti i profili di interesse nazionale alla luce dei repentini cambia- menti tecnologici e geopolitici in atto. La facoltà dell’intelligence di portare sul tavolo decisionale temi sempre nuovi è cruciale so- prattutto nella misura in cui le minacce più classiche alla sicurezza nazionale sono sia lungi dall’essere scongiurate, sia hanno mo- dificato natura e obiettivi, in particolare sul versante cibernetico ed economico. Di fron- te al progressivo allargarsi della dimensione cibernetica, l’intelligence ne ha intuito la di- mensione orizzontale, capace di attraversare trasversalmente molteplici criticità e – in certi casi – amplificarle. In secondo luogo, la globalizzazione economica ha trasformato i luoghi di investimento e gli investitori stessi in elementi direttamente attinenti alla liber- tà e alla sicurezza nazionale. Con questa consapevolezza – quando ricoprivo la carica di ministro degli Affari Esteri – a sostegno dell’intelligence economica è stato istituito un comitato strategico sui fondi sovrani; questa decisione fu strumentale alla presa di coscienza che gli investimenti relativi a fondi sovrani costituiscono oggi una delle maggiori criticità per l’attività dei Servizi in materia economica. Ma di fronte alla crescente complessità delle minacce e alla frammentazione degli interessi, è sempre più verosimile che l’in- teresse nazionale venga privato della sua natura e ridotto a una locuzione abusata, spesso fraintesa. È quindi necessario non solo mediare tra gli attori coinvolti, ma anche creare veri e propri forum di dialogo e scambio di informazioni, in funzione di tutte le priorità nazionali. A tale scopo, in Italia sarebbe auspicabile la creazione di un Consiglio di sicurezza nazionale. Ad oggi, il sistema-Paese si avvale solamente del Comitato interministeriale per la si- curezza della Repubblica, che però non ha la facoltà di coinvolgere al suo interno tutti gli attori non pubblici– come azien- de, associazioni, imprenditori, operatori delle telecomunicazioni, vigilanza del settore bancario –, altrettanto importanti per la definizione dell’interesse statale. Un Consiglio di sicurezza nazionale potrebbe invece coinvolgere tutti gli stakeholder in una platea di confronto, evitando che le decisioni prese a livello interministeriale vengano semplicemente diffuse a cascata, senza un confronto diretto. L’Italia ha tutte le carte in regola per gioca- re questa partita. I servizi segreti hanno mo- strato un’ottima capacità di monitoraggio e di visione organica dell’interesse nazionale, anche nei casi in cui i dissidi interni alla po- litica hanno fatto scivolare importanti dos- sier – come quello libico – al di fuori dell’o- rizzonte di priorità. Molto può essere fatto anche a livello europeo. Sebbene sia ancora condivisa da più parti l’idea dell’interesse nazionale come una prerogativa esclusiva- mente statale, può (e deve) esserci un certo grado di avvicinamento su alcuni importan- ti dossier. Ad esempio, i fatti legati all’atten- tato del Bataclan – in cui uno dei terroristi ha circolato per almeno tre Paesi europei senza una segnalazione a una banca dati centrale – rivelano la necessità di dotarsi di un’unica centrale operativa che faciliti la condivisione di dati. L’European union intelligence analysis centre (Intcen) rappre- senta un importante organismo a livello europeo per stabilire un dialogo costruttivo sul tema, ma si è ancora molto lontani dalla condivisione delle informazioni. Che si tratti di istituzioni nazionali o euro- pee, rimane comunque prioritario continua- re a lavorare per implementare un dialogo inclusivo e costruttivo sull’interesse nazio- nale, affinché non risultino esclusi impor- tanti attori o, peggio, dossier critici. STORIA DI COPERTINA Il valore di un dialogo costruttivo di Franco Frattini* –––––––––––––––––––––––––––––   FORMICHE 150 — agosto/settembre 2019  ––––––––––––––––––––––––––––– _“La facoltà dell’intelligence di portare sul tavolo decisionale temi sempre nuovi è cruciale soprattutto nella misura in cui le minacce più classiche alla sicurezza nazionale sono lungi dall’essere scongiu- rate e hanno modificato natura e obiettivi, in particolare sul versan- te cibernetico ed economico”_ *Già ministro degli Affari esteri, già presidente del Copaco, presidente Sioi
  14. 24 25 di Adriano Soi* La particolare versatilità richiesta a chi si occupa di intelligence fa dell’interdisciplinarità una caratteri- stica irrinunciabile dell’intero ciclo delle attività di formazione e aggiornamento professionale, special- mente quelle rivolte ai futuri dirigenti. Osservando questo criterio, si creano anche i presupposti per limitare il ricorso a consulenze esterne che, per quanto spesso rese necessarie dalla molteplicità delle esigenze conoscitive, costituiscono tuttavia uno dei più forti elementi di rischio per la riserva- tezza delle informazioni Prima dell’entrata in vigore della riforma dell’intelligence italiana, non era mai capi- tato che i capi dei Servizi di informazione, una volta lasciato l’incarico, assumessero ruoli di primo piano nelle grandi aziende partecipate dallo Stato operanti in settori strategici come sicurezza, difesa e teleco- municazioni. Con il nuovo ordinamento, invece, si è verificato che i tre i direttori del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza avvicendatisi dal 2007 sino a oggi sono stati poi nominati, sotto governi diversi, presidenti di società di assoluto rilievo per la sicurezza nazionale (De Gen- naro a Leonardo, Massolo a Fincantieri e Pansa a Sparkle). Questo è uno degli effetti meno sottoli- neati, e probabilmente anche meno attesi, dell’attuazione della riforma, ma certa- mente non è secondario: alti funzionari pubblici di diversa provenienza, ma tutti generalisti per formazione, carriera ed esperienza, dopo aver lasciato la guida dell’intelligence hanno continuato la loro opera al servizio del sistema-Paese, con- tribuendo alla sua competitività e alla diffusione della cultura della sicurezza. La tendenza si è rafforzata, da ultimo, con l’uscita anzitempo dai ranghi del Dis di due vicedirettori, uno in direzione della Consob, in qualità di commissario, l’al- tro chiamato pochi giorni fa a dirigere uno degli uffici-vertice di Leonardo. Nel contempo si è registrato anche un ingresso esterno, quello di Roberto Baldoni, docen- te di Informatica nominato vice direttore del Dis per il coordinamento della sicurez- za cibernetica. Tutto ciò testimonia, in sostanza, che la progressiva integrazione del Dis nei mecca- nismi decisionali di governo (dalla prote- zione cibernetica, appena citata, alle pro- cedure per l’esercizio della golden power) arricchisce il profilo professionale dei suoi dirigenti, integrandone i lineamenti intel- ligence con quelli propri dell’alta ammini- strazione. Un processo positivo, certamen- te, ma non privo di problemi, come spesso capita per i momenti di crescita in settori vitali dell’amministrazione statale. In primo luogo, poiché questo personale è impegnato in attività che lo mettono in relazione con rappresentanti di altre am- ministrazioni, occorre ridefinire il regime di riservatezza dell’identità di persone che diventano così facilmente riconoscibili da chi collabora con esse. Si tratta certamente di un numero non particolarmente elevato, ma ciò non risolve il problema. In secondo luogo, se il mercato delle grandi aziende e delle istituzioni pubbliche apre volentieri le proprie porte girevoli a ma- nager dell’intelligence community, questi diventano “contendibili”: certamente la mobilità orizzontale dell’alta dirigenza è sinonimo di qualità ed è perciò sempre una buona notizia in un Paese come l’Italia, che non ha mai avuto il proprio punto di forza nelle élite. Tuttavia, per un settore tradi- zionalmente connotato da separatezza, si tratta di una situazione nuova, che richiede attenzione, in termini di tempestiva pre- parazione e adeguata remunerazione di nuove generazioni di dirigenti, idonee ad assicurare ricambi all’altezza. Oltre all’affi- namento delle tradizionali e severe tecniche del reclutamento di base, occorre trovare strumenti più incisivi per il reclutamento dei dirigenti: un’idea potrebbe essere quella di riservare al Dis la scelta di una quota dei vincitori del corso-concorso della Scuola nazionale dell’amministrazione. Infine, la particolare versatilità richiesta a chi si occupa di intelligence, fa dell’interdi- sciplinarità una caratteristica irrinunciabile dell’intero ciclo delle attività di formazione e aggiornamento professionale, special- mente quelle rivolte ai futuri dirigenti. Osservando questo criterio, si creano anche i presupposti per limitare il ricorso a consulenze esterne che, per quanto spes- so rese necessarie dalla molteplicità delle esigenze conoscitive, costituiscono tuttavia uno dei più forti elementi di rischio per la riservatezza delle informazioni. STORIA DI COPERTINA Non solo spie. Al servizio del Paese *Docente di Intelligence e sicurezza nazionale presso la Scuola di Scienze politiche Cesare Alfieri di Firenze –––––––––––––––––––––––––––––   FORMICHE 150 — agosto/settembre 2019  ––––––––––––––––––––––––––––– _“Oltre all’affinamento delle tradizionali e severe tecniche del re- clutamento di base, occorre trovare strumenti più incisivi per il re- clutamento dei dirigenti: un’idea potrebbe essere quella di riservare al Dis la scelta di una quota dei vincitori del corso-concorso della Scuola nazionale dell’amministrazione”_
  15. 26 27 Visione politica e scelte organizzative possono contribuire a ottimizzare le sinergie in questo delicato e fondamentale settore dello Stato. Per esempio, scegliere programmi informatici che consentano l’integrazione delle banche dati oppure valorizzare l’integrazione degli archivi dei Servizi. In tale scenario, l’intelligence community italiana, la cui costruzione è indispensabile, trova già nella presidenza del Consiglio, con il supporto decisivo del Dis, il coordinamento legale e naturale La complessità sociale e geopolitica ri- chiede per le comunità nazionali punti di riferimento stabili, che superino lo sciame mediatico che nei regimi democratici rende i cicli di potere sempre più brevi e impro- babili nella cornice di elettorati sempre più volatili e con un abbassamento delle capacità cognitive. Da qui, la rinnovata im- portanza del deep state, che prescinde dalle incerte e contestate maggioranze politiche del momento. In tale quadro, insieme alla magistratura e alle Forze di polizia, alla di- plomazia e all’alta burocrazia, l’intelligence è il cuore più profondo dello Stato. Prin- cipalmente per ragioni storiche, nel nostro Paese si è sviluppata una cultura della di- fesa specialistica e non generale. Proviamo a esaminare gli sviluppi di tale dimensione dalla fine della Seconda guerra mondiale, conflitto che sostanzialmente vede l’Italia sconfitta e quindi a sovranità limitata. Du- rante questo periodo, la nostra sicurezza in buona parte era pagata da altri e il nostro apparato della difesa era inevitabilmente collegato con la Nato e in particolare con gli Stati Uniti. In tale contesto, potremmo considerare come asse principale dell’intel- ligence nazionale il Servizio informazioni delle Forze armate, che nasce dalle ceneri del Sim e in una certa continuità con esso. Tale responsabilità era condivisa, a volte con aspri contrasti soprattutto negli anni Cinquanta, con l’Ufficio affari riservati del ministero dell’Interno. Nel decennio successivo il Sifar è coinvolto nelle vicende dei fascicoli e del Piano Solo e quindi viene sciolto per essere sostituito dal Servizio informazioni difesa, che si trova implica- to in pieno nella strategia della tensione. La Guerra fredda è combattuta a base di spie e nel nostro Paese, come dimostrerà il caso Moro, ce ne sono di ogni colorazione. Nell’ambito privato, sviluppano attività di intelligence le grandi aziende, come la Fiat e soprattutto l’Eni, che occupandosi di energia ha una marcata sensibilità politica. La svolta formale avviene con la prima legge sull’intelligence. Nel 1977 viene creato un Servizio per l’Interno, il Sisde, che si aggiunge a quello della Difesa, il Sismi. Inoltre, viene istitui- to un leggero apparato di coordinamento rappresentato dal Cesis. Non si può par- lare di comunità di intelligence, però, per la prima volta in Italia, all’interno dello stesso ambito si crea una cornice comune e trasparente. Alle Forze di polizia vengono accentuati i compiti di intelligence negli anni Settanta per contrastare il terrorismo e negli anni Ottanta per combattere la criminalità organizzata. E sulle necessità, si comincia a delineare in nuce una comunità di intelligence, con tutta la connaturata difficoltà di condivisione delle informa- zioni. Infatti, prendono forma nel 1991 il Consiglio generale per la lotta alla crimi- nalità organizzata e nel 2002 il Comitato analisi strategiche antiterrorismo, fonda- mentali camere di confronto non solo tra le Forze di polizia, ma anche con i rappre- sentanti dei Servizi. Non si può parlare di un vero e proprio sistema integrato di intelligence, però rispetto al passato passi avanti sono stati compiuti. Visione politica e scelte organizzative possono attualmente contribuire a ottimizzare le sinergie in que- sto delicato e fondamentale settore dello Stato. Per esempio, scegliere programmi informatici che consentano l’integrazione delle banche dati (per questo non occorre nessuna legge) oppure valorizzare l’inte- grazione degli archivi dei Servizi (la legge c’è già). È indispensabile il collegamento con i privati: occorre necessariamente col- laborare con le imprese, come sta comin- ciando in parte ad avvenire, soprattutto in due ambiti: la guerra economica e la cyber- security. In tale scenario, la intelligence community italiana, la cui costruzione è indispensabile, trova già nella presidenza del Consiglio, con il supporto decisivo del Dis, il coordinamento legale e naturale. La consapevolezza politica, e ancor più quella culturale, evidenziano che la potenza di un Paese consisterà sempre di più nella condi- visione e nel sapiente uso delle informazio- ni. Bill Gates alla fine degli anni Novanta scriveva: “Ho una certezza semplice, ma incrollabile: il successo di una persona o di un’impresa dipende da come si raccolgono, analizzano e utilizzano le informazioni”. E nel XXI secolo questo vale ancor di più per gli Stati. Appunto per questo una co- munità di intelligence è fondamentale per difendere e perseguire l’interesse nazionale, unica bussola di riferimento nel mundus furiosus provocato dalla globalizzazione e ancor di più dall’intelligenza artificiale. STORIA DI COPERTINA –––––––––––––––––––––––––––––   FORMICHE 150 — agosto/settembre 2019  ––––––––––––––––––––––––––––– _“Oggi per l’intelligence è indispensabile il collegamento con i pri- vati: occorre collaborare con le imprese, come sta cominciando in parte ad avvenire, soprattutto in due ambiti: la guerra economica e la cyber-security”_ di Mario Caligiuri* Perché all’Italia serve un’intelligence community *Direttore del Master in Intelligence presso l’Università della Calabria, presidente della Società italiana di intelligence
  16. Conosciuta in Francia come “Made- moiselle le docteur” e in italia- no come “Signorina dottores- sa”, la Fräulein doktor rimane ancora oggi una della figure più enigmatiche dello spionaggio femminile. Attiva durante il primo conflitto mondiale, non si limitò solamente all’attività individuale di agente segreto, ma mise in piedi una struttu- rata rete tedesca di spionaggio per monitorare i movimenti della flotta navale inglese, avva- lendosi di agenti dei Paesi Bassi (allora neutrali) per ispezionare i porti britannici. La misterio- sa spia ha ispirato numerose riproduzioni artistiche e cine- matografiche, che hanno però faticato ad attenersi alla realtà storica, poiché poco si sa su questa figura senza nome. ►L’IPNOTICA MATA HARI Danzatrice esotica, femme fatale, ma soprattutto abilissima spia. Mata Hari – pseudonimo di Margaretha Geertruida Zelle – rimane la figura più iconica dello spionaggio femminile. Conosciuta come la “donna che è lei stessa danza”, Mata Hari persuase diplomatici e ufficiali militari in tutta Europa, rive- landosi una figura-chiave nello spionaggio della prima Guerra mondiale. Arrestata nel 1917 dalle autorità francesi, fu ac- cusata di aver rivelato dettagli sulle nuove armi degli Alleati e condannata a morte. Stra- ordinaria performer fino alla fine, si rifiutò di essere bendata durante la propria esecuzione, mandando invece un ultimo bacio ai suoi giustizieri. ► NANCY WAKE, EROINA DELLA RESISTENZA Vita avvincente quella di Nancy Wake, figura di spicco della resistenza francese durante la Seconda guerra mondiale. Con il sopran- nome di “topo bianco”, coniato dalla Gestapo per indicare la sua elusività, Wake fu una delle persone più ricercate dell’epoca, con una taglia di 5 milioni di franchi. Percorse 300 miglia in bici per sostituire codici andati distrutti nei checkpoint tedeschi, si gettò con il paracadute nella Francia occupata, procurando armi e informazioni alla resi- stenza locale, contribuì ad alcuni attacchi contro le truppe SS uccidendo a mani nude una sen- tinella tedesca per impedirgli di lanciare l’allarme. Nancy Wake non fu mai catturata, e spirò a Londra all’età di 98 anni. ► ETERNAMENTE IN INCOGNITO, COME LA FRÄULEIN DOKTOR ► ANNA CHAPMAN, LA RUSSA CHE PUNTÒ A SNOWDEN Arrestata nel 2010 a New York perché sospettata di spionag- gio, estradata in Russia perché aderente a un programma segreto non autorizzato, Anna ►BOND GIRL NELLA REALTÀ Tra i più brillanti agenti britannici, la polacca Krystyna Skarbek ha lasciato un’eredità pop. Fu infatti lei la spia che ispirò lo scrittore Ian Fleming, padre di 007. Come nei colpi di scena degni della fiction cinematografica, Krystyna Skarbek (in arte Christine Granville) morì assassinata perché colpevole di non ricambiare l’amore di uno steward conosciuto in viaggio. Di lei rimangono gli omaggi di Fleming, particolarmente evi- denti nei personaggi di Vesper Lynd in Casino royale e Tatiana di Dalla Russia con amore. Hedy Lamarr, tra il grande schermo e l’ingegneria La carriera cinematografica di Hedwig Eva Maria Kiesler – detta Hedy Lamarr –, oltre a renderla protagonista di uno scan- dalo per aver girato la prima scena di nudo integrale della storia del cinema, ha forse messo in ombra la sua eredità più importante. Insieme al compositore Geor- ge Antheil, l’attrice – nonché studentessa di Ingegneria – inventò e brevettò un si- stema di codifica a trasmissione radio per scopi militari e di spionaggio industriale. Una tecnologia che ancora oggi costitui- sce la base delle trasmissioni wireless. Marlene Dietrich, il punto debole di Hitler Desiderata da molti, Adolf Hitler com- preso. Marlene Dietrich non solo non ri- cambiò mai le attenzioni del Führer, ma fu probabilmente proprio il suo convinto antinazismo a muoverne l’impegno politi- co durante il secondo conflitto mondiale, portandola a proporsi come spia per le Agenzie statunitensi. Secondo gli archivi dell’Fbi – in cui non si specifica però se la proposta fu accolta – il compito dell’at- trice sarebbe stato quello di sorvegliare eventuali attività sovversive durante i suoi spettacoli al fronte. Dalle performance al Folies Bergère di Parigi fino al reclutamento dell’esercito francese come “corrispondente d’onore”, Josephine Baker – di origini americane – raccolse informazioni sugli spostamenti delle truppe tedesche, in occasione delle numerose feste a cui prendeva parte. La sua popolarità le valse la libertà di mo- vimento quando la Germania invase la Francia. Divenne un prezioso tramite con l’Inghilterra, riportando le informazioni con inchiostro invisibile sui suoi spartiti. Al suo ritorno negli Stati Uniti, Baker di- venne un’attivista di prima linea per i di- ritti civili; nonostante le minacce ricevute dal Ku Klux Klan, fu l’unica donna a tenere un discorso pubblico nella Marcia su Wa- shington, a fianco di Martin Luther King. Hedi e Marlene, spie e star del cinema Josephine Baker, attivismo oltre lo spionaggio 28 STORIA DI COPERTINA –––––––––––––––––––––––––––––   FORMICHE 150 — agosto/settembre 2019  ––––––––––––––––––––––––––––– 29 ► GERTRUDE BELL, PIONIERA A TUTTO TONDO Chiamata a entrare a far parte dei Servizi segreti britannici per la sua profonda conoscenza del Medio Oriente, Gertrude Bell fu mal sopportata dall’ambien- te militare, fino a quel momen- to esclusivamente maschile. Prima donna laureata in Storia a Oxford e primo ufficiale donna dell’intelligence militare britannica, due record che ba- sterebbero da soli a qualificare la spia come icona della storia britannica. Se non fosse che fu proprio lei a favorire, nel 1921, la costituzione dello Stato iracheno, riuscendo a unire le diverse tribù sotto un unico re, aiutando al tempo stesso gli interessi del Regno Unito. di Chiara Brandimarte Chapman è stata una delle pro- tagoniste femminili dell’intelli- gence dei nostri giorni. Un ex dipendente del Kgb raccontò in un memoriale che Putin avesse ordinato ad Anna – sopranno- minata “la rossa” – di sedurre Edward Snowden per esfiltrare informazioni-chiave statuniten- si. Anche se mai confermata, questa notizia contribuì alla sua già fiorente carriera, che l’ha resa oggi una delle più celebri star degli schermi russi. Agenti in punta di tacco
  17. 30 31 di Vincenzo Scotti* Il nostro Paese deve essere ben informato e ben formato sul mondo esterno per poter capire le azioni che si verificano in altri Paesi e che hanno un impatto diretto sulle nostre vite e sul nostro benessere. Le sfide, nel mondo di oggi, nascono “altrove” rispetto al livello nazionale e territoriale, ma impattano in maniera decisiva all’interno dei nostri Stati nazionali e sulla coesione delle nostre democrazie rappresentative Siamo nel pieno di un cambiamento d’epo- ca che ha reso le sfide degli studi strategici e dell’intelligence sempre più attuali. Non abbiamo una bussola per il cambiamento e i tempi mutano con criticità che siamo chiamati ad affrontare. La conoscenza del contesto storico per la soluzione delle que- stioni contingenti chiarisce l’importanza della comprensione delle forze che devono essere adattate nelle nuove formulazioni politiche e strategiche. La natura globale del nostro sistema economico produttivo e delle comunicazioni, raggiunta oggi, dice che il nostro Paese deve essere ben infor- mato e ben formato sul mondo esterno per poter capire le azioni che si verificano in altri Paesi e che hanno un impatto diretto sulle nostre vite e sul nostro benessere. Le sfide, nel mondo di oggi, nascono “altro- ve” rispetto al livello nazionale, territo- riale, confinato, ma impattano in maniera decisiva all’interno dei nostri Stati nazio- nali e sulla coesione delle nostre democra- zie rappresentative. Le principali sfide alla sicurezza nazionale sono rappresentate da eventi e questioni che creeranno dina- miche che potranno produrre una crisi o un’opportunità negli anni a venire, model- lando non solo il successo dell’apporto dei nostri apparati di intelligence, ma anche il sostanziale equilibrio del sistema-Paese. Le sfide per la sicurezza che affrontiamo oggi, in qualsiasi modo le si voglia definire, ibride, liquide, nebulose, mantengono un carattere distintivo, ovvero la dinamicità della loro stessa struttura. Nell’ultimo ventennio, le minacce sono cambiate; oggi l’intelligence è chiamata necessariamente a ridisegnare i suoi stessi obiettivi poiché le sfide che andrà ad affrontare sono più complesse e interrelate e necessitano di cooperazione. Gli apparati dello Stato, impegnati a proteggere il nostro Paese, ad esempio, hanno bisogno di un piano di collaborazione senza precedenti, ma la vita è piena di esempi di partenariati-chiave che non sono perfettamente reciproci e di prospettive divergenti su chi trae benefi- cio da una data relazione. Necessitano di formazione e di consapevolezza oltre che della maturità di coloro che hanno come compito quello della difesa del nostro Pa- ese. Gli stessi piani di confronto e scontro sono mutati, basti pensare alle nuove zone grigie, al cyber-spionaggio e alla cyber-se- curity, dimensioni sovvertite in ambito normativo e di confini. Una sovranità tra- sformata e annullata che cerca in politiche comuni un nuovo piano di collaborazione. La rivoluzione delle comunicazioni, la pro- gressiva interconnessione e la trasmissione di dati hanno avuto un impatto enorme sui tradizionali approcci alla sicurezza nazionale. Tutto questo diventerà ancora più importante negli anni a venire. Que- sta sarà, come ho detto, una vulnerabilità ma, anche un’opportunità. Pensiamo alle informazioni acquisibili grazie alle nuove tecnologie e a quanta formazione e ricerca è necessaria in questi campi. Sappiamo che esistono vulnerabilità emergenti, incom- benti, come quella legata alla sicurezza dei dati e delle infrastrutture critiche del no- stro Paese, alle quali non è utile la retorica politicizzata quanto invece un adeguamen- to concreto fatto di formazione, coopera- zione e sinergie. La storia ha dimostrato che è più facile giocare in attacco che difendersi, il che produce un motivo di preoccupazione reale laddove si eviden- ziano criticità non solo nella capacità di difesa, ma anche e soprattutto in quella di attacco. Siamo chiamati ad affrontare temi in apparente conflitto, come quelli tra sicurezza e privacy, e spesso siamo impos- sibilitati nell’identificare un compromesso sensato. Ripensare e ricostruire la ragione di Stato e l’interesse nazionale. L’analisi strategica sarà uno dei domini sul quale dovremo impegnarci ancora di più per creare una consapevolezza del sistema, formata e informata: capace di vedere oltre, di anticipare, di estrarre dalla conoscenza tecnologica, scientifica e uma- na ogni utile strumento, la saggezza del conoscere che nasce dall’esperienza, dalla conoscenza, dalla maturità, perché, guar- dando avanti, vediamo che le grandi sfide modelleranno la natura del nostro impe- gno, mettendo in luce le nostre qualità e tutte le nostre debolezze. In conclusione, possiamo dire sit finis libri non finis querendi. STORIA DI COPERTINA Ormai le minacce nascono “altrove” *Già ministro dell’Interno, fondatore e presidente della Link campus University –––––––––––––––––––––––––––––   FORMICHE 150 — agosto/settembre 2019  ––––––––––––––––––––––––––––– _“La rivoluzione delle comunicazioni ha avuto un impatto enor- me sui tradizionali approcci alla sicurezza nazionale. Questa sarà una vulnerabilità, ma anche un’opportunità, in futuro; pensiamo alle informazioni acquisibili grazie alle nuove tecnologie e a quanta formazione e ricerca è necessaria in questi campi”_
  18. 32 33 Negli ultimi cinque anni Russia e Cina hanno fatto crescente ricorso all’unilaterale utilizzo della forza: in Ucraina e in Siria, la Russia; nel Mar della Cina, Pechino. I due Paesi hanno sviluppato impressionanti capacità nelle ICT per attività aggressive di intelligen- ce, per disinformazione, con sottrazioni di immense quantità di dati informatici, di conoscenze scientifiche e industriali di ogni natura e grande valore economico L’affermarsi di forme autoritarie di go- verno attraverso il ricorso massiccio alle tecnologie dell’informazione costituisce la minaccia più grave tra quelle direttamente rivolte alle democrazie liberali dell’occi- dente e ai princìpi fondanti dello Stato di diritto. Certo, può sembrare paradossale che il prodigioso sviluppo della scienza e della libertà nella seconda metà del XX secolo e ancora nei primi anni del XXI sia avvenuto proprio per effetto di tecnologie che ora, in misura crescente, servono a diffondere e consolidare regimi repressivi, attraverso un controllo orwelliano delle popolazioni all’interno e all’esterno dei loro Paesi. Le stesse tecnologie alimentano, nelle mani sbagliate, avventure neo-impe- rialiste, ambizioni di dominio regionale e destabilizzano processi elettorali, ordine pubblico e coesione sociale. Ne sono vittime le democrazie liberali. Paesi dipinti come nemici dagli autocrati che vogliono imporre le loro nuove regole al mondo. Al G20 di Osaka, Putin si è presentato dichiarando che “il liberalismo è obsoleto”. Quindi, secondo il Cremlino, deve essere rimosso per fare spazio ai “va- lori eurasiatici”, autoritari e religiosi della Russia ortodossa. Sempre al G20 l’alleato definito da Putin “amico fraterno”, Xi Jinping, gli ha fatto eco. Ha invocato “un commercio mondiale equo”: il che signi- fica, nell’accezione cinese, un commercio basato su regole senza reciprocità, scritte e imposte dalla Cina. Negli ultimi cinque anni, Russia e Cina hanno fatto crescente ricorso all’unilatera- le utilizzo della forza: in Ucraina e in Siria, la Russia; nel Mar della Cina, Pechino. I due Paesi hanno sviluppato impres- sionanti capacità nelle ICT per attività aggressive di intelligence, per disinforma- zione, con sottrazioni di immense quantità di dati informatici, di conoscenze scienti- fiche e industriali di ogni natura e grande valore economico. Quella che viene defi- nita quinta dimensione della sicurezza – il dominio cyber – è teatro di un confronto di intensità crescente. Si traduce in episodi di cyber war non dichiarati, non ricono- sciuti, raramente attribuibili. Quella cyber è l’unica dimensione della sicurezza e della difesa priva di un affidabile quadro giu- ridico internazionale, nonostante i molti sforzi fatti per crearlo dal G7, dall’Onu e dalla Nato. Si sente, e preoccupa, la totale assenza di misure di fiducia che esistono invece in altri comparti tradizionali per mitigare minaccia e rischio. In questa realtà senza confini e priva di regole si stanno sviluppando tecnologie – il 5G, l’Internet delle cose, l’intelligenza artificiale – che moltiplicheranno di alme- no mille volte, in pochissimi anni, se non mesi, automatismi tra macchine, velocità di raccolta, elaborazione, trasmissione e stoccaggio dei metadati. Le categorie alle quali eravamo abituati nel discutere di intelligence perdono, almeno in parte, il loro significato. Nel senso che l’area della Sigint (signals intelligence), e tutto ciò che vi si collega, è destinata a essere dominan- te. Mentre quella caratterizzata dall’in- tervento dell’uomo, Humint (human intelligence) continuerà a essere di estrema importanza, ma richiederà enormi sforzi di adattamento, in termini di risorse e di specialisti delle nuove tecnologie, special- mente quelle dell’IA. Mentre l’attività di intelligence ha da sem- pre costituito una componente essenziale, ma distinta, nella definizione della strate- gia militare e nell’eseguirla, la pervasività assoluta del cyber trasforma oggi l’attività informativa – attraverso l’acquisizione e l’elaborazione dei dati – in elemento do- minante nella cyber-warfare e nella cyber enabled information warfare. Quest’ultima è divenuta assai preoccu- pante nel corso delle elezioni presidenziali americane del 2016 e di quelle poi svoltesi in diversi Paesi dell’Ue. Alla vigilia delle elezioni europee erano più di due terzi gli elettori che si dicevano allarmati da manipolazioni dell’opinione pubblica, con attacchi contro candidati scomodi a Mosca, sui social media e con informazio- ni completamente false, o storie costruite con tecniche virtuali. Per il secondo anno consecutivo la Relazione sulla politica dell’informazione, presentata lo scorso gennaio al Parlamento dalla nostra intelli- gence, metteva l’accento su tale minaccia. Un’altra, riguardava nella stessa relazione l’elevato rischio di spionaggio militare, industriale, economico da parte della Cina. In particolare nel comparto della difesa e dell’aerospazio, delle telecomunicazioni e relative reti, terrestri e mobili, dell’energia. Le lezioni da trarre sono diverse e riguar- dano un po’ tutti i principali Paesi occi- dentali. La prima è che l’aggressività di Russia e Cina contro le democrazie liberali e lo Stato di diritto quale base dell’ordina- mento internazionale è destinata a durare nel tempo, ma non deve intimorirci. La posta in gioco è troppo alta per rinunciare, e le risorse materiali, intellettuali ed etiche di cui disponiamo non devono in alcun modo essere sottovalutate. L’autoritarismo digitale durerà, ma il mondo online offre anche straordinarie opportunità di crescita per le libertà. I governi occidentali devono assicurare un ecosistema diversificato e ben regolato nelle tecnologie dell’infor- mazione, devono limitare le situazioni di monopolio nei media tradizionali e non, mantenendo un’informazione pubblica finanziata dallo Stato, il controllo dei finanziamenti, la correttezza della propa- ganda politica e la lotta alla disinforma- zione. Analogo impegno deve riguardare la collaborazione internazionale e l’aiuto allo sviluppo, promuovendo il rispetto dei diritti individuali e la sovranità degli Stati. Last but not least, i Paesi occidentali devono essere preparati a competere, ed eccellere, nello sviluppo delle tecnologie dell’informazione per proteggere le proprie società e istituzioni dalle autocrazie digitali che le minacciano. STORIA DI COPERTINA In guardia contro l’autoritarismo digitale di Giulio Terzi di Sant’Agata GIÀ MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, AMBASCIATORE, PRESIDENTE DI CYBAZE –––––––––––––––––––––––––––––   FORMICHE 150 — agosto/settembre 2019  ––––––––––––––––––––––––––––– _“Senza confini e prive di regole si stanno sviluppando tecnologie che moltiplicheranno di almeno mille volte, in pochissimi anni, se non mesi, automatismi tra macchine, velocità di raccolta, elabora- zione, trasmissione e stoccaggio dei meta-dati”_
  19. 35 di Paul Pillar* Il rilascio selettivo di dettagli di intelligence, cherry-picking, per cercare di giustificare pubbli- camente una decisione politica già presa – è una delle forme più comuni di politicizzazione dell’intel- ligence. L’amministrazione Bush negli Usa ha usato il cherry-picking nel promuovere la guerra in Iraq nel 2003. Questa manipolazione dell’intelligence ha comportato lo sforzo dell’Amministrazione per descrivere il regime iracheno come alleato di al-Qa- eda. In diretta contraddizione con i giudizi delle agenzie di intelligence statunitensi, i policy-maker hanno reso pubblici rapporti frammentari – alcuni dei quali si sono rivelati falsi – per suggerire tale relazione anche se non esisteva un’alleanza di que- sto tipo, mentre un’interpretazione obiettiva di tutte le prove disponibili avrebbe portato alla conclusio- ne che tale alleanza non sussistesse Il cherry-picking – ovvero il rilascio selet- tivo di informazioni riservate per cercare di giustificare pubblicamente una decisione politica già presa – è una delle forme più comuni di politicizzazione dell’intelligence. Come per altri tipi di politicizzazione, è un modo di fuorviare l’opinione pubblica e la stampa sulla reale situazione all’esterno del Paese. La maggior parte delle situazio- ni monitorate dalle Agenzie d’intelligence sono ambigue, poiché singoli documenti possono suggerire interpretazioni diverse della realtà. In questo contesto, alcuni politici tendono a rendere pubbliche solo quelle relazioni che supportano la propria interpretazione ideale. Anche in casi in cui la maggior parte delle prove indica un’in- terpretazione diversa, il pubblico non ha modo di venirne a conoscenza se esse non vengono divulgate. Il cherry-picking è po- polare soprattutto perché non richiede di STORIA DI COPERTINA La tentazione della manipolazione. Il caso Usa
  20. 36 mentire. Le informazioni rilasciate posso- no essere veritiere, e poiché il policy maker può controllare rilascio di informazioni, esse possono essere molto più visibili di informazioni maggiormente comprovate. Gli analisti dell’intelligence – con accesso a tutti i rapporti disponibili – potrebbero riconoscere la forzatura, ma poiché non godono di un rapporto diretto con il pub- blico non hanno gli strumenti per agire di conseguenza. Negli Stati Uniti, l’Amministrazione di George W. Bush ha usato il cherry-picking per promuovere la guerra in Iraq nel 2003. Questa manipolazione dell’intelligence ha fatto leva su una narrazione molto struttu- rata per descrivere il regime iracheno come alleato del gruppo terroristico al-Qaeda. In diretta contraddizione con i giudizi delle agenzie di intelligence statunitensi, i policy maker hanno reso pubblici rapporti fram- mentari – alcuni dei quali si sono rivelati falsi – per suggerire tale informazione, laddove un’interpretazione obiettiva di tutte le prove disponibili avrebbe portato a conclusioni diametralmente opposte. Ora l’Amministrazione Trump sta se- guendo una strategia simile con l’Iran. Il segretario di Stato Mike Pompeo ha ripetutamente promosso l’idea che esista una connessione tra Iran e al-Qaeda, po- nendo l’accento sull’informazione-chiave che alcuni membri di al-Qaeda risiedessero in Iran senza essere processati. Anche se l’informazione è vera, non è stato però specificato che altre prove indicano che gli stessi membri erano detenuti come merce di scambio per ottenere il rilascio di funzionari iraniani. Ampie prove – inclu- si documenti sequestrati nel raid che ha ucciso Osama bin Laden – indicano che il regime iraniano e al-Qaeda sono avversari, ma l’Amministrazione Trump si astiene dal fare dichiarazioni pubbliche in merito. L’Amministrazione ha una ragione speci- fica per acuire le frizioni puntando sulla relazione iraniana con al-Qaeda. La strate- gia è quella di utilizzare la stessa risoluzio- ne che autorizzò l’uso della forza contro al-Qaeda – e chiunque lo sostenesse – contro l’Iran. Chi circonda Trump sta usando questo stratagemma per aggirare l’opinione pubblica e quella del Congresso, che non sosterrebbero una tale misura. Poiché la politica estera di Trump è stata complessivamente la più estrema e destabi- lizzante nei confronti dell’Iran, questo è il soggetto su cui la manipolazione dell’intel- ligence – incluso il cherry-picking – rischia di avere gli effetti più dannosi. Ma la manipolazione si estende oltre la presunta relazione con al-Qaeda. Ad esempio, l’Am- ministrazione ha dato risalto a qualsiasi prova che le munizioni fornite dall’Iran potessero essere coinvolte in attacchi all’A- rabia Saudita da parte dei ribelli Houthi nello Yemen; ma tace accuratamente sulla guerra aerea saudita molto più ampia e devastante contro lo Yemen, rispetto alle quali gli attacchi degli Houthi sono solo un tentativo di risposta. Traduzione di Chiara Brandimarte ––––––––––––––––––––––––––––– FORMICHE 150 — agosto/settembre 2019 ––––––––––––––––––––––––––––– *Non-resident senior fellow del Center for security studies presso la Georgetown University _“Poiché la politica estera di Trump è stata complessivamente la più estrema e destabilizzante nei confronti dell’Iran, questo è il soggetto su cui la manipolazione dell’intelligence – incluso il cherry-picking – potrebbe avere gli effetti più dannosi. Rischia quindi di rendere tale guer- ra più probabile, oltre a contribuire ad altre distorsioni su Teheran”_ Where ItalianBusinessRegister.it you can build relations with Italian companies
  21. 38 39 In un contesto in cui i Paesi che più aggressivamente effettuano attacchi informatici – in particolare Russia, Cina, Corea del Nord e Iran – si rifiutano di applicare un seppur minimo controllo delle attività digitali, risulta complicato promuovere un approccio consen- suale. Tali nazioni hanno messo in atto attacchi in- formatici contro interessi occidentali e mediorientali, e in maniera pressoché indisturbata. Gli esperti russi danno il nome di guerra dell’informazione all’uso del dominio cibernetico contro i propri avversari, il cui unico scopo è sostenere la politica estera e gli obiettivi di sicurezza nazionale del governo russo. Allo stesso modo migliaia di hacker governativi cinesi eseguono azioni informatiche per conto del governo Negli ultimi anni si è assistito a numero- si episodi che hanno chiamato esperti e istituzioni a ripensare le potenzialità anche negative del cyber-mondo. Interferenza con i processi politici democratici – come i tentativi russi di influenzare le elezioni presidenziali americane del 2016 –, furto e altre forme di compromissione di dati personali, aziendali e governativi, l’uso di Internet per reclutare jihadisti e sostenere operativamente programmi terroristici, cyber-bullismo e abusi di social media: Facebook e altre realtà si stanno rivelan- do molto diversi da un semplice forum digitale totalmente benigno, mostrando un limitato impegno per proteggere i dati e i diritti degli utenti alla libertà di parola. La lista dei rischi è scoraggiante – ove non allarmante – e i costi sono enormi in termini finanziari, politici e sociali. Questo è solo l’inizio, non la fine della storia. Sia- mo entrati nell’era dell’Internet of things (IoT) in cui automobili e altri oggetti di uso quotidiano sono connessi a Internet. In termini più semplici, qualunque cosa sia connessa a Internet è vulnerabile a varie forme di hacking. Ogni produttore di au- tomobili è consapevole dei rischi connessi alla possibilità che un hacker acquisisca il controllo dell’automobile, ma allo stesso tempo è riluttante a dichiararlo pubbli- camente. Non è fantascienza; diversi test hanno dimostrato la fattibilità di prendere il controllo a distanza dei sistemi di frenata e sterzo di un’automobile. Allo stesso tem- po e da una prospettiva ancora più ampia, il dibattito tra Stati Uniti e Cina – le due maggiori economie del mondo – riguarda il dubbio che la Cina di Huawei possa essere un partner poco affidabile mentre il mondo si muove verso la tecnologia 5G. L’esito di quella battaglia determinerà chi controlla il futuro di Internet e i dati che lo attraver- sano. Data la portata e il ritmo di queste sfide, siamo pronti a rispondervi in modo mirato ed efficace? I risultati sembrano, a prima vista, scoraggianti. In aggiunta alla complessità di preservare – e, idealmente, migliorare – la sicurezza informatica, le co- munità e le organizzazioni locali, nazionali e internazionali sono scarsamente prepara- te a comprendere e rispondere alle sfide in- formatiche in corso. Basti pensare che non esistono di fatto vincoli globali o codici di condotta per governare le attività infor- matiche. D’altronde, in un contesto in cui i Paesi che più aggressivamente effettuano attacchi informatici – in particolare Russia, Cina, Corea del Nord e Iran – si rifiutano di applicare un seppur minimo controllo delle attività digitali, risulta complicato promuovere un approccio consensuale. Tali nazioni hanno messo in atto attacchi informatici contro interessi occidentali e mediorientali, e in maniera pressoché indi- sturbata. Gli esperti russi danno il nome di guerra dell’informazione all’uso del domi- nio cibernetico contro i propri avversari, il cui unico scopo è sostenere la politica este- ra e gli obiettivi di sicurezza nazionale del governo russo. Allo stesso modo migliaia di hacker cinesi eseguono azioni informatiche per conto del governo. Coloro che effettuano attacchi informatici seduti in una base dell’esercito russo o in un condominio a Teheran sanno infatti di essere protetti dal governo ospitante e non temono procedimenti giudiziari. Di fronte a minacce differenziate e conti- nuative, è opportuno chiedersi se esistano contromisure efficaci contro l’hacking po- litico, il furto di proprietà intellettuale o gli abusi dei social media. Non siamo impo- tenti nel mitigare le minacce informatiche, ma dobbiamo essere costanti nell’imple- mentare le soluzioni disponibili. Un buon inizio è stato l’adozione, nel maggio 2018, del Regolamento generale sulla protezione dei dati dell’Unione europea (Gdpr), che mira a ritenere responsabili coloro che non riescono a proteggere i dati loro affidati, come grandi società e studi legali. Per chi auspica una maggiore sicurezza informatica potrebbe significare il ripen- samento dell’uso dei social media. Per le aziende può significare utilizzare le tecno- logie di sicurezza informatica più avanzate e migliorare la formazione dei dipendenti sulle best practice di igiene cyber. E i go- verni, così come le imprese, devono adot- tare piani di gestione del rischio in grado di rispondere agli attacchi informatici. Lo scorso marzo, il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha dichiarato che “le macchine con il potere della discrezionalità per poter compromet- tere la vita umana senza il coinvolgimento umano sono politicamente inaccettabili, moralmente riprovevoli e dovrebbero essere proibite dal diritto internazionale”. Ad oggi, nella comunità internazionale è mancata la volontà per dare sostegno a questo appello. STORIA DI COPERTINA Chi vincerà la guerra dell’informazione? IL LIBRO / Con Internet, nessuno è al sicuro! Esempi, casi pratici e consigli per sopravvivere – e anzi cavalcare – il cyber-spazio, sempre più parte integrante della nostra quotidianità. Troviamo questo (e molto altro) nel volume I segreti del cyber-mondo. Nel labirinto digitale nessuno è al sicuro, firmato da Jack Caravelli e Jordan Foresi (De Agostini, pp. 287, euro 16), che non dimenticano di ricordarci quanto la nostra esistenza sia cambiata con l’avvento di Internet. Un libro, insomma, per chi crede che l’universo cyber sia lontano anni luce dalle nostre vite. E farlo ricredere. di Jack Caravelli GIÀ ANALISTA PRESSO LA CIA, DIRETTORE DEL TRILATERAL GROUP –––––––––––––––––––––––––––––   FORMICHE 150 — agosto/settembre 2019  –––––––––––––––––––––––––––––
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