Intervista ad Alessandro Balossini Volpe, docente di Marketing e Brand Management di ISTUD Business School a cura di Davide Anali, Alberto Crespi, Aniello D'Angelo e Angelo Montonati, Master in Marketing Management ISTUD
Intervista ad Alessandro Balossini Volpe, docente di Marketing e Brand Management di ISTUD Business School a cura di Davide Anali, Alberto Crespi, Aniello D'Angelo e Angelo Montonati, Master in Marketing Management ISTUD
1.
Business School
Intervista a Alessandro Balossini Volpe
Business Consultant Professor of Marketing and
Brand Management
LAVORARE IN AZIENDA DI PRODOTTO: MADE IN ITALY
Grande appassionato di arte e di musica, Alessandro Balossini Volpe vanta una
grande esperienza nel management di brand internazionali del mondo dello sport,
del lusso e del design. Attualmente collabora come professore e consulente con
varie aziende ed istituti, tra cui l’ISTUD Business School.
In occasione del secondo project work, ISTUD –
Business School ha assegnato a noi “masterini”
il compito di intervistare un manager del mondo
Marketing legato al Made in Italy. Il tema da
sviluppare è incentrato sul percorso lavorativo
dell’intervistato. La nostra scelta è stata facile: chi
meglio del nostro professore di Marketing? Il
prof. Alessandro Balossini Volpe incarna in pieno
l’esperienza lavorativa e rappresenta un’eccellenza
del tema che tratteremo insieme a lui.
Un percorso ricco di cambiamenti, un uomo che
dopo aver ricoperto le cariche più importanti
del mondo aziendale nel marketing decide di
diventare “self-employed”. Adesso trasmette le sue
conoscenze, la sua passione e la sua continua
voglia di apprendere ai suoi studenti.
Decidiamo di incontrarci a Milano da Eataly. La
location scelta rappresenta una sorta di tempio del
Made in Italy. Prendiamo posto ad un tavolo di un
bar: il professore da un lato noi dall’altro.
Partiamo dalla sua
esperienza passata: studia
Giurisprudenza alla Cattolica
di Milano ma decide di non
intraprendere un percorso naturale
legato a questi studi. Decide, invece, di
partecipare al Master Pubblitalia’80 in
Marketing. Come mai?
Come mai proprio Marketing? Nel mio caso,
francamente, avventatamente. Avevo capito che
non mi piaceva il mondo delle professioni forensi,
di cui avevo una visione molto superficiale, ed ero
già stato assunto alla Banca Commerciale Italiana.
Dopodiché ho visto una campagna pubblicitaria
di questo master, ho partecipato alle selezioni e
mi hanno preso con borsa di studio. Non sapevo
bene che cosa avrei fatto. Nel dubbio, ho parlato
col recruiter di Banca Commerciale che mi ha detto
“Ma ha dei dubbi? Non ci pensi neanche un istante
e vada a farlo”.
Ales
sandroBalossini
2.
E’ stata una scelta vincente vista la sua carriera?
Non so se vincente o no. Sicuramente, da un
punto di vista della passione sì perché poi mi sono
innamorato di questo lavoro. Il Master mi è servito
moltissimo.
Partecipa quindi al Master. Sapeva già cosa
voleva fare nel marketing?
In realtà, se prima avevo le idee molto confuse,
il Master mi è anche servito a chiarirle molto. Mi
ricordo che mi volevano per fare uno stage in
Saatchi & Saatchi per diventare un Account e in Corn
Processing Company (CPC). Io ero testardo e volevo
fare il Product Manager e c’è stata l’opportunità in
Mattel che ho colto.
Lavora per Mattel, grande multinazionale di
giochi, e poi si trasferisce in una realtà italiana.
Qual è stata la differenza dal punto di vista
lavorativo?
Sbaglierò, ma è abbastanza difficile fare delle
generalizzazioni. Una volta uno dei più bravi
manager con cui ho lavorato ha detto che la
grande differenza tra le aziende italiane e le aziende
americane è che loro mediamente sono più bravi di
noi a diffondere una cultura organizzativo-aziendale
comune e quindi per questo motivo riescono ad
essere più grandi. Questa probabilmente è una
generalizzazione corretta. Però il caso di Mattel era
un po’ particolare, almeno all’epoca. Mattel Italia
era la filiale commerciale che non partecipava,
per esempio, sulla fase di sviluppo prodotto, non
aveva possibilità di trasferire gli input di mercato
o esigenze di mercato italiane in America. Loro
avevano un prodotto globalizzato, standardizzato. A
me piaceva più provare a unire l’aspetto strategico
e l’aspetto operativo. Lavorare in un’azienda italiana
voleva dire essere al centro. Chiaramente si trattava
di un’azienda più piccola ma eri al centro del
processo. Quindi c’era una visibilità superiore e più
leve da gestire. Questo a me piaceva di più.
Quindi dal punto di vista lavorativo all’interno
dell’azienda ha avuto un buon riscontro, ad
esempio, a lavorare con i colleghi.
Io ne conservo un ottimo ricordo. E stata comunque
una scuola in un’azienda molto organizzata, con
metodiche solide. Era un’azienda dove erano chiari
i rapporti fra vendita e marketing e trade marketing.
C’erano alti investimenti in comunicazione. Tanti
aspetti di quell’esperienza, che seppur breve, mi
porto dietro con piacere.
Successivamente entra nel mondo del Made
in Italy passando in Sergio Tacchini.
Essere in un Headquarter secondo me, come dicevo
prima, per sviluppare esperienze professionali da
giovane è stato un vantaggio. Lo consiglierei. Al di
là di questo ci sono poi delle differenze culturali
molto forti. Era un’azienda imprenditoriale dove c’era
un fondatore presente in azienda come Presidente
e il figlio che cominciava a muovere i suoi passi
all’interno dell’azienda. Era un’azienda piuttosto
solida e in quegli anni andava crescendo perché
l’imprenditore credeva molto nella possibilità di
rilancio del marchio e della sua crescita. Sono stati
anni molto formativi. Sergio Tacchini è un uomo
eccezionale che amava come imprenditore anche
il contraddittorio. Lui non amava assolutamente gli
yes man. Lui è una persona di stile e ama le persone
di stile, è stato il migliore imprenditore con cui abbia
mai lavorato. Nel contesto italiano, e particolarmente
nel contesto delle aziende imprenditoriali, bisogna
avere oltre che competenze manageriali, la capacità
di entrare in sintonia proprio dal punto di vista
valoriale con l’imprenditore.
Il suo ruolo all’interno di Sergio Tacchini e le
mansioni tipo che doveva ricoprire?
Io ho cominciato come Assistente al Direttore
Vendite. Quindi inizialmente mi sono occupato di
analisi di mercato, trade marketing e così via. Dopo di
che sono diventato Brand Manager. Ho cominciato
ad occuparmi di marketing di prodotto, poi ad un
certo punto ho avuto anche la responsabilità di
tutto l’ufficio prodotto e ho finito come Direttore
Marketing.
Raggiunta la carica di Direttore Marketing
ha voluto cambiare qualche cosa che non le
piaceva quando non era ancora Direttore?
Non direi. Facevo parte di quel contesto da 6
anni, quindi non è che “adesso arrivo io e cambio
tutto”. E’ un atteggiamento che eviterei: è sempre
meglio entrare in punta di piedi. Poi dipende dalle
situazioni, alcune volte è giusto entrare anche di
mannaia ma nella maggior parte dei casi è meglio
avere l’umiltà di guardarsi intorno prima di entrare
e dire “Io sono bravo, voi avete sbagliato tutto”.
Come mai ha deciso di cambiare e passare ad
un’altra azienda come Fila?
LavoravoinSergioTacchinida8anniecominciavano
ad esser tanti. Poi si è trattata di un’opportunità da
cogliere. Sono entrato in contatto con Fila, terzo
player al mondo con un fatturato di 1 miliardo di
3.
Euro. L’idea mi piaceva e mi sono avventato, è stata
una scelta romantica.
Il ruolo in Fila di preciso quale era?
Mi hanno assunto per fare il Direttore Marketing
Italia. L’italia rappresentava una filiale commerciale
da 150 miliardi di vecchie Lire, aveva uno staff
fantastico, lavoravo a Milano. Dopo 2 mesi sono
andato a Biella per ricoprire il ruolo di Category
Manager. Mi occupavo di tutte le linee di prodotto
abbigliamento sportswear e della linea Ducati,
perché Fila aveva accordi di partnership e licensing
con Ferrari e Ducati.
Alivellodirapportoconsuperiorieconpersone
che gestiva c’erano differenze sostanziali tra
quelle che erano in Sergio Tacchini?
Anche se era un’azienda più grande e più strutturata
io ho trovato molte più somiglianze che differenze
in termini proprio di cultura aziendale. Grande
amore per il prodotto e per la qualità, grande senso
di appartenenza all’azienda. Anche se sono stato
poco continuo ad avere tanti legami con i colleghi
di allora.
Ha lavorato poi per Ferragamo. Quali sono
state le emozioni principali di un uomo di
marketing che lavora in un brand importante
del Made in Italy?
Ciò che sto per rispondere è molto personale. Non
sono quel genere di persona che adora un settore
piuttosto che un altro. Il settore sportivo mi piaceva
molto perché mi piaceva il mondo dello sport. In
Ferragamo però è stato molto bello lavorare con
certe persone perché nella Direzione Commerciale
Europa si è creata una squadra molto bella sia
con i colleghi dirigenti, i quali sono diventati amici
carissimi, e sia poi con i collaboratori con i quali
tuttora ho delle relazioni.
Il suo ruolo all’interno di Ferragamo?
Ero Direttore Marketing Europa. Al di là di questa
definizione, che sembra superlativa, mi occupavo
di marketing operativo all’interno della Direzione
Commerciale: media planning, organizzazione di
eventi, CRM. Tutte le attività a supporto delle vendite.
Un’esperienza che le ha insegnato qualcosa
all’interno di Ferragamo che ricorda?
L’insegnamento più forte è stato conoscere le
dinamiche del lusso, quindi un settore molto diverso
da quello sportivo precedente con motivazione
all’acquisto molto differenti. Devo dire che passare
da un settore ad un altro molto diverso è una bella
esperienza perché per somiglianze e differenze
impari tanto.
Dopo Salvatore Ferragamo passa ad Artemide,
azienda leader nel design dell’illuminazione.
Come ricorda l’azienda?
Prodotto fantastico. Interessante a livello di prodotto,
di leadership, di energia, di mercato. Azienda
internazionale, bella squadra, ottimi colleghi. Due
anni professionalmente molto belli.
A dei ragazzi come noi lei consiglia di scegliere
qualcosa perché piace o guardare com’è fatta
l’azienda, capirne le dinamiche a discapito del
prodotto?
Sono due cose entrambe importanti. Se avete
una grande passione questo vi aiuta e conta
anche per l’employer perché rappresenta un
valore, secondo me. Però al tempo stesso è
fondamentale che voi troviate diciamo un fit, io la
chiamo consonanza valoriale, col contesto in cui
entrate. Se siete una persona molto competitiva,
molto aggressiva e allora è bene che siate in un
contesto dove questo fa premio. La differenza
rispetto a quando ho lavorato in azienda è che
all’epoca facevi molta fatica ad informarti perché le
aziende erano molto opache. Adesso con internet
si viene a sapere molto di più. Il mio consiglio è:
cercate di trovare un luogo dove come persona
vi trovate a vostro agio perché non tutti siamo
fatti per tutti i contesti. Infatti la vera cosa che gli
headhunter devono fare non è tanto leggere i
cv, quello lo sa fare chiunque, ma capire quello
che sul cv non c’è. Capire se quella persona può
funzionare in quel particolare contesto aziendale.
Questo vale anche per voi: prima di entrare in
un’azienda, dovete cercare di capire se vi trovate
in sintonia con la sua particolare cultura, i suoi
valori, il suo stile manageriale.
Master in Marketing Management 2014-2015
II Project Work
Intervista a cura di Davide Anali, Alberto Crespi, Aniello D’Angelo e Angelo Montonati
-> www.istud.it Business School
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