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Italo Calvino
“lo scoiattolo della
penna”
“Io sono ancora di quelli che credono, con Croce,
che di un autore contano solo le opere. (quando
contano, naturalmente). Perciò dati biografici non ne
do, o li do falsi, o comunque cerco sempre di
cambiarli da una volta all’altra. Mi chieda pure quel
che vuol sapere, e glielo dirò. Ma non le dirò mai la
verità, di questo può star sicura.”
(Lettera a Germana Pescio Bottino, 9 giugno
1964)
Nasce a Santiago de Las Vegas (C
nel 1923.
La marmorea scritta all'entrata
della Stazione Sperimentale per la Floricoltura
di San Remo
“Sono cresciuto in una cittadina che
era piuttosto diversa dal resto
dell’Italia, ai tempi in cui ero bambino:
San Remo, a quel tempo ancora
popolata di vecchi inglesi, gran duchi
russi, gente eccentrica e cosmopolita.
La mia famiglia era piuttosto insolita
sia per San Remo sia per l’Italia
d’allora (…) scienziati, adoratori della
natura, liberi pensatori (…). Mio
padre, di famiglia Mazziniana,
repubblicana, anticlericale
massonica, era stato in gioventù
anarchico e poi socialista riformista.
(…); mia madre, di famiglia laica, era
cresciuta nella religione del dovere
civile e della scienza, socialista
“A poco a poco, attraverso le
lettere e le discussioni estive
con Eugenio venivo a seguire il
risveglio dell’antifascismo
clandestino e ad avere un
orientamento nei libri da
leggere: leggi Huizinga, leggi
Montale, leggi Vittorini, leggi
Pisacane: le novità letterarie di
quegli anni segnavano le
tappe d’una nostra disordinata
educazione etico-letteraria.”
L’amicizia con Eugenio Scalfari
1943 entra nella Resistenza
1946 collaborazione con la casa editrice
Einaudi
1947 laurea in Lettere
L’incontro con
Pavese e Vittorini
“Casa Einaudi ha un posto molto
grande nella mia biografia, è stata la
mia università. Ho cominciato a
lavorarci quando ero un ragazzo
senza arte né parte e trovarmi in un
ambiente interdisciplinare, aperto alla
cultura mondiale ha avuto una
importanza decisiva nella mia
formazione. ”
Scrive Pavese nella Prefazione alla prima edizione:
“stimolato da una materia spessa e opaca, caotica e
tragica, passionale e totale, -la guerra civile, la vita
partigiana, da lui vissuta alle soglie dell’adolescenza
– Italo Calvino ha risolto il problema di trasfigurarla e
farne racconto colandola in una forma fiabesca ed
avventurosa, di quell’avventuroso che si dà come
esperienza fantastica di tutti i ragazzi. Il suo
protagonista, il bimbo Pin, passa attraverso le
miserie, gli eroismi, gli orrori di quella vita, col
perenne distacco, il perenne sarcasmo del vero
ragazzo, dell’innocente che non sa di esserlo e
chi glielo facesse notare risponderebbe con
un’insolenza o un gestaccio (…). Ma c’è nei suoi
racconti angosciosi, divertiti e cattivi, una pena,
“È triste essere come lui, un bambino nel mondo dei
grandi, sempre un bambino, trattato dai grandi come
qualcosa di divertente e di noioso; e non poter usare
quelle loro cose misteriose ed eccitanti, armi e donne,
non poter mai far parte dei loro giochi. Ma Pin un giorno
diventerà grande, e potrà essere cattivo con tutti,
vendicarsi di tutti quelli che non sono stati buoni con lui:
Pin vorrebbe essere grande già adesso, o meglio, non
grande, ma ammirato o temuto pur restando com'è,
essere bambino e insieme capo dei grandi, per qualche
impresa meravigliosa. Ecco, Pin ora andrà via, lontano
da questi posti ventosi e sconosciuti, nel suo regno, il
fossato, nel suo posto magico dove fanno il nido i ragni.”
Chi è Pin?
Puer senex
Vive come un selvaggio con una sorella che fa la
prostituta. E’ un bambino, ma non vuole esserlo
e fa le cose che non desidera fare ma che fanno
i grandi: beve e fuma. Pin non ama le donne che
identifica come le rane lisce e nude. Pin ha il
suo luogo magico: il sentiero dei nidi di ragno.
Ma chi sono i partigiani di Calvino?
“ (…) per questo facciamo i partigiani: per tornare a
fare lo stagnino, e che ci sia il vino e le uova a buon
prezzo, e che non ci arrestino più e non ci sia più
l’allarme. E poi anche vogliamo il comunismo. Il
Comunismo è che non ci siano più delle case dove
si sbattano la porta in faccia, da essere costretti a
entrarci nei pollai, la notte. Il comunismo è che se
entri in una casa e mangiano della minestra, ti diano
della minestra, anche se sei stagnino, e se
mangiano il panettone a Natale, ti diano il panettone.
Ecco cos’è il comunismo”.
“Questo romanzo è il primo che ho scritto;
quasi posso dire la prima cosa che ho
scritto…che impressione mi fa a riprenderlo in
mano adesso? Più che come un’opera mia lo
leggo come un libro nato anonimamente dal
clima generale di un’epoca, da una tensione
morale, da un gusto letterario che era quello
in cui la nostra generazione si riconosceva
dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.”
Prefazione
Il filone neorealista
Il sentiero dei nidi di ragno (1947)
Ubbidisce alla “necessità” di raccontare le
drammatiche vicende della guerra
Racconta la Resistenza, ma in modo non
celebrativo
Crea un clima fiabesco
Assume un punto di vista infantile (Pin)
L’esplosione letteraria di quegli anni
in Italia fu, prima che un fatto d’arte,
un fatto fisiologico, esistenziale,
collettivo. (…) l’essere usciti da
un’esperienza come la guerra che
non risparmiava nessuno, stabiliva
una immediatezza di comunicazione
tra lo scrittore e il suo pubblico: si
era faccia a faccia, alla pari, carichi
di storie da raccontare (…) e mai fu
tanto chiaro che le storie che si
raccontavano erano materiale
grezzo: la carica esplosiva di libertà
che animava il giovane scrittore non
era tanto nella volontà di
documentare o informare, quanto in
Esprimere che cosa? Noi stessi, il
sapore aspro della vita che
avevamo appreso allora, tante cose
che si credeva di sapere o di
essere, e forse veramente in quel
momento sapevamo ed eravamo.
Personaggi, paesaggi, parolacce,
lirismi, armi ed amplessi non erano
che colori della tavolozza, note del
pentagramma, sapevamo fin troppo
bene che quel che contava era la
musica e non il libretto (…).
Il Neorealismo per noi che cominciammo da lì,
fu quello; e delle sue qualità e difetti questo
libro costituisce un catalogo rappresentativo.
Noi (scrittori) volevamo trasformare in opera
letteraria quel mondo che era per noi il
mondo.
Il neorealismo non fu una scuola. Fu un
insieme di voci, in gran parte periferiche,
una molteplice scoperta delle diverse Italie
fino allora più inedite per la letteratura. E la
Resistenza rappresentò la fusione tra
Il Sentiero dei nidi di ragno è nato da
questo senso di nullatenenza assoluta, per
metà patita fino allo strazio, per metà
supposta e ostentata. Se un valore oggi
riconosco a questo libro è l’immagine di una
forza vitale ancora oscura in cui si saldano
l’indigenza del troppo giovane e l’indigenza
degli esclusi e dei reietti.”
(…) questo romanzo è il primo che ho scritto,
quasi la prima cosa che ho scritto. Cosa
posso dire oggi? Dirò questo: il primo libro
sarebbe meglio non averlo mai scritto.
Finché il libro non è scritto, si possiede
quella libertà di cominciare che si può usare
una sola volta nella vita, il primo libro ti
definisce mentre tu in realtà sei ancora
lontano dall’essere definito”.
(…) la memoria, o meglio l’esperienza, che è la
memoria più la ferita che ti ha lasciato, più il
cambiamento che ha portato in te e che ti ha
fatto diverso, l’esperienza primo nutrimento
anche dell’opera letteraria, ricchezza vera dello
scrittore (ma non solo di lui), ecco che appena ha
dato forma ad un’opera letteraria si insecchisce,
si distrugge. “Lo scrittore si ritrova ad essere il
più povero degli uomini”.
Così mi guardo indietro, a quella stagione che mi si presentò
gremita di immagini e di significati: la guerra partigiana, i mesi
che hanno contato per anni e da cui per tutta la vita si
dovrebbe poter continuare a tirar fuori volti e ammonimenti e
paesaggi e pensieri ed episodi e parole e commozioni: e tutto
è lontano e nebbioso e le pagine scritte sono lì nella loro
sfacciata sicurezza che so essere un bene ingannevole, le
pagine scritte già in polemica con una memoria che era
ancora un fatto presente, massiccio, che pareva stabile, dato
una volta per tutte, l’esperienza, e, non mi servono, avrei
bisogno di tutto il resto, proprio di quello che lì non c’è. Un
libro scritto non mi consolerà mai di ciò che ho distrutto
scrivendolo: quell’esperienza che custodita per gli anni della
vita mi sarebbe forse servita a scrivere l’ultimo libro, e non mi
è bastata che a scrivere il primo”.
(Giugno 1964)
Commissario Kim: “arrivare a non avere più
paura, questa è la meta ultima dell’uomo”
“Io invece cammino per un bosco di larici e ogni mio
passo è storia; io penso: ti amo, Adriana, e questo è
storia, ha grandi conseguenze; io agirò domani in
battaglia come un uomo che ha pensato stanotte: ti
amo Adriana. Forse non farò cose importanti, ma la
storia è fatta di piccoli gesti anonimi, forse domani
morirò, magari prima di quel tedesco, ma tutte le
cose che farò prima di morire e la mia morte
saranno pezzetti di storia e tutti i pensieri che sto
facendo adesso influiscono sulla mia storia di
domani, sulla storia di domani del genere umano”.
Ancora le parole del commissario Kim:
“alla fine ci sarà invece chi continuerà col suo
furore anonimo, ritornato individualista, e perciò
sterile: cadrà nella delinquenza, dimenticherà
che la storia gli ha camminato al fianco. Gli ex
fascisti diranno: i partigiani! Ve lo dicevo io ! E
non avranno capito niente, né prima, né dopo.
Questo, nient’altro che questo, è la storia”.
Conclusioni del romanzo
“(…) E continuano a camminare, l’omone e il bambino, nella
notte, in mezzo alle lucciole, tenendosi per mano”.
ULTIMO VIENE IL CORVO (1949)
“è un mazzo di racconti che in parte parvero
spontanei e selvatici, dei fiori di campo, e in
parte un po’ sforzati o comunque coltivati,
dei fiori di serra”
Resistenza
Filone picaresco
Motivo autobiografico
“quando ho cominciato a scrivere Il
visconte dimezzato, volevo soprattutto
scrivere una storia divertente per
divertire me stesso e possibilmente per
divertire gli altri: avevo questa immagine
di un uomo tagliato in due ed ho pensato
che questo tema dell’uomo tagliato in
due, dell’uomo dimezzato fosse un tema
significativo, avesse un significato
contemporaneo: tutti ci sentiamo in
qualche modo incompleti, tutti
realizziamo una parte di noi stessi e non
l’altra”
(intervista di Calvino con gli studenti di Pesaro
Medardo è l’uomo
contemporaneo, mutilato,
incompleto, nemico a se stesso.
“a me che l’uomo sia un impasto di bene
e di male importava in fondo ben poco; è
una cosa vecchia e scontata, si sa. A me
importava il problema dell’uomo
contemporaneo, (dell’intellettuale ad
essere più precisi), cioè incompleto,
alienato”.
“O Pamela, questo è il bene dell’essere dimezzato:
il capire d’ogni persona e cosa al mondo la pena
che ognuno e ognuno ha per la proprio
incompletezza. Io ero intero e non capivo, e mi
muovevo sordo e incomunicabile tra i dolori e le
ferite seminati dovunque, là dove meno da intero
uno osa credere. Non io solo, Pamela, sono un
essere spaccato e divelto, ma tu pure e tutti. Ecco,
ora io ho una fraternità che prima, da intero, non
conoscevo: quella con tutte le mutilazioni e le
mancanze del mondo. Se verrai con me, Pamela,
imparerai a soffrire dei mali di ciascuno e a curare i
tuoi curando i loro”
FINALE DEL ROMANZO
“così mio zio Medardo ritornò
uomo intero, né cattivo, né buono,
un miscuglio di cattiveria e bontà,
cioè apparentemente non
dissimile da quello ch’era prima di
esser dimezzato. Ma aveva
l’esperienza dell’una e dell’altra
metà rifuse insieme, perciò
doveva essere ben saggio. Ebbe
vita felice, molti figli e un giusto
governo. Anche la nostra vita
mutò in meglio. Forse s’aspettava
un’epoca di felicità meravigliosa;
ma è chiaro che non basta un
visconte completo perché diventi
Caratteristiche del
romanzo
Rapidità
Leggerezza
Visibilità
Esattezza
“Fu il 15 di giugno del 1767 che Cosimo Piovasco di
Rondò, mio fratello, sedette per l’ultima volta in mezzo a
noi. Ricordo come fosse oggi. Eravamo nella sala da
pranzo della nostra villa d’Ombrosa, le finestre
inquadravano i folti rami del grande elce del parco. Era
mezzogiorno, e la nostra famiglia per vecchia tradizione
sedeva a tavola a quell’ora, nonostante fosse già invalsa
tra i nobili la moda, venuta dalla poco mattiniera corte di
Francia, d’andare a desinare a metà del pomeriggio.
Tirava vento dal mare, ricordo e si muovevano le foglie,
Cosimo disse: -Ho detto che non voglio e non voglio!- e
respinse il piatto di lumache. Mai s’era vista
disubbidienza più grave.”
“Cari compagni devo comunicarvi la mia
decisione ponderata e dolorosa di dimettermi
dal partito….credo che nel momento presente
quel particolare tipo di partecipazione alla vita
democratica che può dare uno scrittore e un
uomo d’opinione non direttamente impegnato
nell’attività politica sia più efficace fuori dal
partito che dentro”.
7 agosto 1957
Pathos della distanza
“chi vuole guardare bene la terra deve tenersi
alla distanza necessaria”.
Cosimo “non è un misantropo ma un uomo
continuamente dedito al bene del suo prossimo,
inserito nel movimento dei suoi tempi, che vuole
partecipare ad ogni aspetto della vita attiva”.
Cosimo-intellettuale: rifiuto della realtà com’è,
impulso al cambiamento, tensione utopica verso
una repubblica universale di liberi ed uguali che
cancelli oppressione e oscurantismo.
Cosimo-Calvino
Fisionomia dell’intellettuale che si pone ad una
certa distanza dalla vita comune.
Cosimo-Calvino sa che “per essere con gli altri
veramente, la sola via era d’essere separato
dagli altri, d’imporre testardamente a sé e agli
altri quella sua incomoda singolarità e solitudine
in tutte le ore e in tutti i momenti della sua vita,
così come è vocazione del poeta,
dell’esploratore, del rivoluzionario”.
Finale
PESSIMISMO E MESSAGGIO POSITIVO
“Ogni tanto scrivendo m’interrompo e vado alla
finestra. Il cielo è vuoto, e a noi vecchi d’Ombrosa
abituati a vivere sotto quelle verdi cupole, fa male agli
occhi guardarlo. Si direbbe che gli alberi non hanno
retto, dopo che mio fratello se ne è andato, o che gli
uomini sono stati presi dalla furia della scure.(…)
Ombrosa non c’è più. Guardando il cielo sgombro, mi
domando se davvero è esistita. Quel frastaglio di
rami e foglie, biforcazioni, lobi (…), e il cielo solo a
sprazzi irregolari e ritagli forse c’era solo perché ci
passasse mio fratello col suo leggero passo, era un
ricamo
fatto sul nulla che assomiglia a questo filo
d’inchiostro, come l’ho lasciato correre per pagine e
pagine, zeppo di cancellature, di rimandi, di sgorbi
nervosi, di macchie, di lacune, che a momenti si
sgrana in grossi acini chiari, a momenti si infittisce in
segni minuscoli come semi puntiformi, ora si ritorce
su se stesso, ora si biforca, ora collega grumi di frasi
con contorni di foglie o di nuvole, e poi s’intoppa, e
poi ripiglia a attorcigliarsi, e corre e corre e si
sdipana e avvolge un ultimo grappolo insensato di
parole idee sogni ed è finito”.
Invito all’impegno per la democrazia, la
giustizia, la libertà.
Due anni prima, Calvino aveva scritto:
“pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della
volontà”. (Gramsci) trovare “la spina dorsale che
ci sostenga, una lezione di forza e non di
rassegnazione”.
ROMANZO CAVALLERESCO
LA STORIA RACCONTATA DA UNA SUORA
“ Io che racconto questa storia sono suor Teodora,
religiosa dell’ordine di san colombano. Scrivo in
convento, desumendo da vecchie carte, da
chiacchiere sentite in parlatoio e da qualche rara
testimonianza di gente che c’era. Noi monache,
occasioni per conversare con i soldati, se ne ha
poche: quel che non so cerco d’ immaginarlo,
dunque, se no come farei? E non tutto della storia
mi è chiaro. Dovete compatire: si è ragazze di
campagna, ancorché nobili, vissute sempre ritirate,
in sperduti castelli, e poi in conventi, fuor che
funzioni religiose, novene, lavori di campi,
fustigazioni d servi, incesti, incendi, impiccagioni,
invasioni d’eserciti saccheggi, stupri, pestilenze noi
non si è visto niente. Cosa può sapere del mondo
AGILULFO-GURDULU’
DUALITA’ CALVINIANA
I NOSTRI ANTENATI
1960
Le loro vite e le loro avventure testimoniano il
persistere di una ostinata ricerche sulle forme e
le difficoltà di confrontarsi con il mondo.
“Vorrei che potessero essere guardate come un
albero genealogico degli antenati dell’uomo
contemporaneo, in cui ogni volta cela qualche
tratto delle persone che ci sono intorno, di voi, di
me stesso”
MEDARDO
COSIMO
DIMIDIAMENTO
DISTACCO
ASSENZA
AGILULFO
LEGGEREZZA
“nei momenti in cui il regno dell’umano mi
sembra condannato alla pesantezza, penso che
dovrei volare come Perseo in un altro spazio.
Non sto parlando di fughe nel sogno o
nell’irrazionale. Voglio dire che devo cambiare il
mio approccio, devo guardare il mondo con
un’altra ottica, un’altra logica, altri metodi di
conoscenza e di verifica. Le immagini di
leggerezza che io cerco non devono lasciarsi
dissolvere come sogni dalla realtà del presente e
del futuro”.
CHI SIAMO VERAMENTE
MEDARDO?
COSIMO?
AGILULFO?
Incontro letterario
Calvino
Realizzato da:
Prof.ssa Pamela
Marchesotti
In collaborazione con gli alunni:
Matteo Schiavoni
&
Claudia Marzocchella
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Prof.ssa Pamela
Marchesotti
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Calvino 1

  • 2. “Io sono ancora di quelli che credono, con Croce, che di un autore contano solo le opere. (quando contano, naturalmente). Perciò dati biografici non ne do, o li do falsi, o comunque cerco sempre di cambiarli da una volta all’altra. Mi chieda pure quel che vuol sapere, e glielo dirò. Ma non le dirò mai la verità, di questo può star sicura.” (Lettera a Germana Pescio Bottino, 9 giugno 1964)
  • 3. Nasce a Santiago de Las Vegas (C nel 1923.
  • 4. La marmorea scritta all'entrata della Stazione Sperimentale per la Floricoltura di San Remo “Sono cresciuto in una cittadina che era piuttosto diversa dal resto dell’Italia, ai tempi in cui ero bambino: San Remo, a quel tempo ancora popolata di vecchi inglesi, gran duchi russi, gente eccentrica e cosmopolita. La mia famiglia era piuttosto insolita sia per San Remo sia per l’Italia d’allora (…) scienziati, adoratori della natura, liberi pensatori (…). Mio padre, di famiglia Mazziniana, repubblicana, anticlericale massonica, era stato in gioventù anarchico e poi socialista riformista. (…); mia madre, di famiglia laica, era cresciuta nella religione del dovere civile e della scienza, socialista
  • 5. “A poco a poco, attraverso le lettere e le discussioni estive con Eugenio venivo a seguire il risveglio dell’antifascismo clandestino e ad avere un orientamento nei libri da leggere: leggi Huizinga, leggi Montale, leggi Vittorini, leggi Pisacane: le novità letterarie di quegli anni segnavano le tappe d’una nostra disordinata educazione etico-letteraria.” L’amicizia con Eugenio Scalfari
  • 6. 1943 entra nella Resistenza 1946 collaborazione con la casa editrice Einaudi 1947 laurea in Lettere
  • 8. “Casa Einaudi ha un posto molto grande nella mia biografia, è stata la mia università. Ho cominciato a lavorarci quando ero un ragazzo senza arte né parte e trovarmi in un ambiente interdisciplinare, aperto alla cultura mondiale ha avuto una importanza decisiva nella mia formazione. ”
  • 9.
  • 10. Scrive Pavese nella Prefazione alla prima edizione: “stimolato da una materia spessa e opaca, caotica e tragica, passionale e totale, -la guerra civile, la vita partigiana, da lui vissuta alle soglie dell’adolescenza – Italo Calvino ha risolto il problema di trasfigurarla e farne racconto colandola in una forma fiabesca ed avventurosa, di quell’avventuroso che si dà come esperienza fantastica di tutti i ragazzi. Il suo protagonista, il bimbo Pin, passa attraverso le miserie, gli eroismi, gli orrori di quella vita, col perenne distacco, il perenne sarcasmo del vero ragazzo, dell’innocente che non sa di esserlo e chi glielo facesse notare risponderebbe con un’insolenza o un gestaccio (…). Ma c’è nei suoi racconti angosciosi, divertiti e cattivi, una pena,
  • 11. “È triste essere come lui, un bambino nel mondo dei grandi, sempre un bambino, trattato dai grandi come qualcosa di divertente e di noioso; e non poter usare quelle loro cose misteriose ed eccitanti, armi e donne, non poter mai far parte dei loro giochi. Ma Pin un giorno diventerà grande, e potrà essere cattivo con tutti, vendicarsi di tutti quelli che non sono stati buoni con lui: Pin vorrebbe essere grande già adesso, o meglio, non grande, ma ammirato o temuto pur restando com'è, essere bambino e insieme capo dei grandi, per qualche impresa meravigliosa. Ecco, Pin ora andrà via, lontano da questi posti ventosi e sconosciuti, nel suo regno, il fossato, nel suo posto magico dove fanno il nido i ragni.”
  • 12. Chi è Pin? Puer senex Vive come un selvaggio con una sorella che fa la prostituta. E’ un bambino, ma non vuole esserlo e fa le cose che non desidera fare ma che fanno i grandi: beve e fuma. Pin non ama le donne che identifica come le rane lisce e nude. Pin ha il suo luogo magico: il sentiero dei nidi di ragno.
  • 13. Ma chi sono i partigiani di Calvino? “ (…) per questo facciamo i partigiani: per tornare a fare lo stagnino, e che ci sia il vino e le uova a buon prezzo, e che non ci arrestino più e non ci sia più l’allarme. E poi anche vogliamo il comunismo. Il Comunismo è che non ci siano più delle case dove si sbattano la porta in faccia, da essere costretti a entrarci nei pollai, la notte. Il comunismo è che se entri in una casa e mangiano della minestra, ti diano della minestra, anche se sei stagnino, e se mangiano il panettone a Natale, ti diano il panettone. Ecco cos’è il comunismo”.
  • 14. “Questo romanzo è il primo che ho scritto; quasi posso dire la prima cosa che ho scritto…che impressione mi fa a riprenderlo in mano adesso? Più che come un’opera mia lo leggo come un libro nato anonimamente dal clima generale di un’epoca, da una tensione morale, da un gusto letterario che era quello in cui la nostra generazione si riconosceva dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.” Prefazione
  • 15. Il filone neorealista Il sentiero dei nidi di ragno (1947) Ubbidisce alla “necessità” di raccontare le drammatiche vicende della guerra Racconta la Resistenza, ma in modo non celebrativo Crea un clima fiabesco Assume un punto di vista infantile (Pin)
  • 16. L’esplosione letteraria di quegli anni in Italia fu, prima che un fatto d’arte, un fatto fisiologico, esistenziale, collettivo. (…) l’essere usciti da un’esperienza come la guerra che non risparmiava nessuno, stabiliva una immediatezza di comunicazione tra lo scrittore e il suo pubblico: si era faccia a faccia, alla pari, carichi di storie da raccontare (…) e mai fu tanto chiaro che le storie che si raccontavano erano materiale grezzo: la carica esplosiva di libertà che animava il giovane scrittore non era tanto nella volontà di documentare o informare, quanto in
  • 17. Esprimere che cosa? Noi stessi, il sapore aspro della vita che avevamo appreso allora, tante cose che si credeva di sapere o di essere, e forse veramente in quel momento sapevamo ed eravamo. Personaggi, paesaggi, parolacce, lirismi, armi ed amplessi non erano che colori della tavolozza, note del pentagramma, sapevamo fin troppo bene che quel che contava era la musica e non il libretto (…).
  • 18. Il Neorealismo per noi che cominciammo da lì, fu quello; e delle sue qualità e difetti questo libro costituisce un catalogo rappresentativo. Noi (scrittori) volevamo trasformare in opera letteraria quel mondo che era per noi il mondo. Il neorealismo non fu una scuola. Fu un insieme di voci, in gran parte periferiche, una molteplice scoperta delle diverse Italie fino allora più inedite per la letteratura. E la Resistenza rappresentò la fusione tra
  • 19. Il Sentiero dei nidi di ragno è nato da questo senso di nullatenenza assoluta, per metà patita fino allo strazio, per metà supposta e ostentata. Se un valore oggi riconosco a questo libro è l’immagine di una forza vitale ancora oscura in cui si saldano l’indigenza del troppo giovane e l’indigenza degli esclusi e dei reietti.” (…) questo romanzo è il primo che ho scritto, quasi la prima cosa che ho scritto. Cosa posso dire oggi? Dirò questo: il primo libro sarebbe meglio non averlo mai scritto. Finché il libro non è scritto, si possiede quella libertà di cominciare che si può usare una sola volta nella vita, il primo libro ti definisce mentre tu in realtà sei ancora lontano dall’essere definito”.
  • 20. (…) la memoria, o meglio l’esperienza, che è la memoria più la ferita che ti ha lasciato, più il cambiamento che ha portato in te e che ti ha fatto diverso, l’esperienza primo nutrimento anche dell’opera letteraria, ricchezza vera dello scrittore (ma non solo di lui), ecco che appena ha dato forma ad un’opera letteraria si insecchisce, si distrugge. “Lo scrittore si ritrova ad essere il più povero degli uomini”.
  • 21. Così mi guardo indietro, a quella stagione che mi si presentò gremita di immagini e di significati: la guerra partigiana, i mesi che hanno contato per anni e da cui per tutta la vita si dovrebbe poter continuare a tirar fuori volti e ammonimenti e paesaggi e pensieri ed episodi e parole e commozioni: e tutto è lontano e nebbioso e le pagine scritte sono lì nella loro sfacciata sicurezza che so essere un bene ingannevole, le pagine scritte già in polemica con una memoria che era ancora un fatto presente, massiccio, che pareva stabile, dato una volta per tutte, l’esperienza, e, non mi servono, avrei bisogno di tutto il resto, proprio di quello che lì non c’è. Un libro scritto non mi consolerà mai di ciò che ho distrutto scrivendolo: quell’esperienza che custodita per gli anni della vita mi sarebbe forse servita a scrivere l’ultimo libro, e non mi è bastata che a scrivere il primo”. (Giugno 1964)
  • 22. Commissario Kim: “arrivare a non avere più paura, questa è la meta ultima dell’uomo” “Io invece cammino per un bosco di larici e ogni mio passo è storia; io penso: ti amo, Adriana, e questo è storia, ha grandi conseguenze; io agirò domani in battaglia come un uomo che ha pensato stanotte: ti amo Adriana. Forse non farò cose importanti, ma la storia è fatta di piccoli gesti anonimi, forse domani morirò, magari prima di quel tedesco, ma tutte le cose che farò prima di morire e la mia morte saranno pezzetti di storia e tutti i pensieri che sto facendo adesso influiscono sulla mia storia di domani, sulla storia di domani del genere umano”.
  • 23. Ancora le parole del commissario Kim: “alla fine ci sarà invece chi continuerà col suo furore anonimo, ritornato individualista, e perciò sterile: cadrà nella delinquenza, dimenticherà che la storia gli ha camminato al fianco. Gli ex fascisti diranno: i partigiani! Ve lo dicevo io ! E non avranno capito niente, né prima, né dopo. Questo, nient’altro che questo, è la storia”.
  • 24. Conclusioni del romanzo “(…) E continuano a camminare, l’omone e il bambino, nella notte, in mezzo alle lucciole, tenendosi per mano”.
  • 25.
  • 26. ULTIMO VIENE IL CORVO (1949) “è un mazzo di racconti che in parte parvero spontanei e selvatici, dei fiori di campo, e in parte un po’ sforzati o comunque coltivati, dei fiori di serra” Resistenza Filone picaresco Motivo autobiografico
  • 27.
  • 28. “quando ho cominciato a scrivere Il visconte dimezzato, volevo soprattutto scrivere una storia divertente per divertire me stesso e possibilmente per divertire gli altri: avevo questa immagine di un uomo tagliato in due ed ho pensato che questo tema dell’uomo tagliato in due, dell’uomo dimezzato fosse un tema significativo, avesse un significato contemporaneo: tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti, tutti realizziamo una parte di noi stessi e non l’altra” (intervista di Calvino con gli studenti di Pesaro
  • 29. Medardo è l’uomo contemporaneo, mutilato, incompleto, nemico a se stesso. “a me che l’uomo sia un impasto di bene e di male importava in fondo ben poco; è una cosa vecchia e scontata, si sa. A me importava il problema dell’uomo contemporaneo, (dell’intellettuale ad essere più precisi), cioè incompleto, alienato”.
  • 30. “O Pamela, questo è il bene dell’essere dimezzato: il capire d’ogni persona e cosa al mondo la pena che ognuno e ognuno ha per la proprio incompletezza. Io ero intero e non capivo, e mi muovevo sordo e incomunicabile tra i dolori e le ferite seminati dovunque, là dove meno da intero uno osa credere. Non io solo, Pamela, sono un essere spaccato e divelto, ma tu pure e tutti. Ecco, ora io ho una fraternità che prima, da intero, non conoscevo: quella con tutte le mutilazioni e le mancanze del mondo. Se verrai con me, Pamela, imparerai a soffrire dei mali di ciascuno e a curare i tuoi curando i loro”
  • 31. FINALE DEL ROMANZO “così mio zio Medardo ritornò uomo intero, né cattivo, né buono, un miscuglio di cattiveria e bontà, cioè apparentemente non dissimile da quello ch’era prima di esser dimezzato. Ma aveva l’esperienza dell’una e dell’altra metà rifuse insieme, perciò doveva essere ben saggio. Ebbe vita felice, molti figli e un giusto governo. Anche la nostra vita mutò in meglio. Forse s’aspettava un’epoca di felicità meravigliosa; ma è chiaro che non basta un visconte completo perché diventi
  • 32.
  • 34. “Fu il 15 di giugno del 1767 che Cosimo Piovasco di Rondò, mio fratello, sedette per l’ultima volta in mezzo a noi. Ricordo come fosse oggi. Eravamo nella sala da pranzo della nostra villa d’Ombrosa, le finestre inquadravano i folti rami del grande elce del parco. Era mezzogiorno, e la nostra famiglia per vecchia tradizione sedeva a tavola a quell’ora, nonostante fosse già invalsa tra i nobili la moda, venuta dalla poco mattiniera corte di Francia, d’andare a desinare a metà del pomeriggio. Tirava vento dal mare, ricordo e si muovevano le foglie, Cosimo disse: -Ho detto che non voglio e non voglio!- e respinse il piatto di lumache. Mai s’era vista disubbidienza più grave.”
  • 35.
  • 36. “Cari compagni devo comunicarvi la mia decisione ponderata e dolorosa di dimettermi dal partito….credo che nel momento presente quel particolare tipo di partecipazione alla vita democratica che può dare uno scrittore e un uomo d’opinione non direttamente impegnato nell’attività politica sia più efficace fuori dal partito che dentro”. 7 agosto 1957
  • 37. Pathos della distanza “chi vuole guardare bene la terra deve tenersi alla distanza necessaria”. Cosimo “non è un misantropo ma un uomo continuamente dedito al bene del suo prossimo, inserito nel movimento dei suoi tempi, che vuole partecipare ad ogni aspetto della vita attiva”. Cosimo-intellettuale: rifiuto della realtà com’è, impulso al cambiamento, tensione utopica verso una repubblica universale di liberi ed uguali che cancelli oppressione e oscurantismo.
  • 38. Cosimo-Calvino Fisionomia dell’intellettuale che si pone ad una certa distanza dalla vita comune. Cosimo-Calvino sa che “per essere con gli altri veramente, la sola via era d’essere separato dagli altri, d’imporre testardamente a sé e agli altri quella sua incomoda singolarità e solitudine in tutte le ore e in tutti i momenti della sua vita, così come è vocazione del poeta, dell’esploratore, del rivoluzionario”.
  • 39. Finale PESSIMISMO E MESSAGGIO POSITIVO “Ogni tanto scrivendo m’interrompo e vado alla finestra. Il cielo è vuoto, e a noi vecchi d’Ombrosa abituati a vivere sotto quelle verdi cupole, fa male agli occhi guardarlo. Si direbbe che gli alberi non hanno retto, dopo che mio fratello se ne è andato, o che gli uomini sono stati presi dalla furia della scure.(…) Ombrosa non c’è più. Guardando il cielo sgombro, mi domando se davvero è esistita. Quel frastaglio di rami e foglie, biforcazioni, lobi (…), e il cielo solo a sprazzi irregolari e ritagli forse c’era solo perché ci passasse mio fratello col suo leggero passo, era un ricamo
  • 40. fatto sul nulla che assomiglia a questo filo d’inchiostro, come l’ho lasciato correre per pagine e pagine, zeppo di cancellature, di rimandi, di sgorbi nervosi, di macchie, di lacune, che a momenti si sgrana in grossi acini chiari, a momenti si infittisce in segni minuscoli come semi puntiformi, ora si ritorce su se stesso, ora si biforca, ora collega grumi di frasi con contorni di foglie o di nuvole, e poi s’intoppa, e poi ripiglia a attorcigliarsi, e corre e corre e si sdipana e avvolge un ultimo grappolo insensato di parole idee sogni ed è finito”.
  • 41. Invito all’impegno per la democrazia, la giustizia, la libertà. Due anni prima, Calvino aveva scritto: “pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà”. (Gramsci) trovare “la spina dorsale che ci sostenga, una lezione di forza e non di rassegnazione”.
  • 42.
  • 43.
  • 44. ROMANZO CAVALLERESCO LA STORIA RACCONTATA DA UNA SUORA “ Io che racconto questa storia sono suor Teodora, religiosa dell’ordine di san colombano. Scrivo in convento, desumendo da vecchie carte, da chiacchiere sentite in parlatoio e da qualche rara testimonianza di gente che c’era. Noi monache, occasioni per conversare con i soldati, se ne ha poche: quel che non so cerco d’ immaginarlo, dunque, se no come farei? E non tutto della storia mi è chiaro. Dovete compatire: si è ragazze di campagna, ancorché nobili, vissute sempre ritirate, in sperduti castelli, e poi in conventi, fuor che funzioni religiose, novene, lavori di campi, fustigazioni d servi, incesti, incendi, impiccagioni, invasioni d’eserciti saccheggi, stupri, pestilenze noi non si è visto niente. Cosa può sapere del mondo
  • 46. I NOSTRI ANTENATI 1960 Le loro vite e le loro avventure testimoniano il persistere di una ostinata ricerche sulle forme e le difficoltà di confrontarsi con il mondo. “Vorrei che potessero essere guardate come un albero genealogico degli antenati dell’uomo contemporaneo, in cui ogni volta cela qualche tratto delle persone che ci sono intorno, di voi, di me stesso”
  • 48. LEGGEREZZA “nei momenti in cui il regno dell’umano mi sembra condannato alla pesantezza, penso che dovrei volare come Perseo in un altro spazio. Non sto parlando di fughe nel sogno o nell’irrazionale. Voglio dire che devo cambiare il mio approccio, devo guardare il mondo con un’altra ottica, un’altra logica, altri metodi di conoscenza e di verifica. Le immagini di leggerezza che io cerco non devono lasciarsi dissolvere come sogni dalla realtà del presente e del futuro”.
  • 50. Incontro letterario Calvino Realizzato da: Prof.ssa Pamela Marchesotti In collaborazione con gli alunni: Matteo Schiavoni & Claudia Marzocchella
  • 51. PROGETTO Calvino Realizzato da: Prof.ssa Pamela Marchesotti In collaborazione con gli alunni: Schiavoni Matteo & Marzocchella Claudia

Editor's Notes

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