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“D. Dorotea Acquaviva ex Adriae ducibus, Cupersani Comitessa
portam hanc extrui, ingressum ampliari, atrium operiri ac columnis
ornari curavit.
Cal. Septembris A.D. MDCCX.”
Sul fregio del portale del castello di Conversano sono scolpite nella
pietra queste parole che ricordano come la contessa Dorotea, dopo la
morte del marito a Nisida, ancora giovanissima, abbia continuato a
governare per quasi 20 anni amministrando bene il feudo, rinnovando il
patrimonio edilizio e fondando nuove chiese.
Infatti il castello di Conversano subì negli anni di Dorotea una radicale
trasformazione: costruzione del nuovo ingresso e suo ampliamento,
ristrutturazione dell’atrio con le belle colonne ancora ben visibili .
Il governo della duchessa cercò di smussare alcuni aspetti radicali della
politica del marito, e per ingra-
ziarsi le autorità ecclesiastiche,
fece togliere il baldacchino ba-
ronale ottenendo così la riaper-
tura della cattedrale di Conver-
sano ai fedeli.
Il nuovo corso voluto da Doro-
tea portò benefici ristabilendo
relazioni positive con il potere
centrale di Napoli: la duchessa
ottenne dal vicerè il disseque-
stro dei beni della casa e degli
ori di famiglia e la proroga del
pagamento di vecchie pendenze
fiscali del conte deceduto.
La politica illuminata della con-
tessa creò una rete di ottimi rap-
porti all’interno dei territori feu-
dali: donna Dorotea confermò
per la città di Noci immunità e
Conversano: Pinacoteca del castello, la porta dei 100 occhi.
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privilegi, mentre a Castellana fece edificare il convento di S. Maria della
Vetrana. Consolidò gli ottimi rapporti con la famiglia Carafa di Noja.
Infatti il 3 novembre del 1695, in occasione della cerimonia di
insediamento della nuova badessa di S. Benedetto, Isabella della
famiglia Acquaviva, donna Dorotea invitò il duca Carlo Carafa di Noja
con i suoi familiari, e tra questi era presente don Ridolfo Carafa, che
godeva di una fama di grande ribaldo.
Adesso è opportuno parlare di questo nobile nojano per capire gli
sviluppi dei fatti.
Don Ridolfo, parente
del duca nojano, dopo la
scomparsa del conte Giulio
Acquaviva, non ebbe in
provincia di Bari avversari
per continuare traffici illeciti
ed angherie nei confronti
delle popolazioni. Divenne
in breve tempo, con la
complicità di un manipolo
di masnadieri, il vero arbitro
della città di Bari e potente
in provincia, controllando
le esportazioni di olio e
grano. Alcune relazioni
del tempo descrivono don
Ridolfo come una “spina e
perturbatore della pubblica
pace di cui sbarazzarsi il
più presto possibile”. Per
questo il responsabile del
vicerè in provincia di Bari,
per controllare la situazione
e portare pace, inviò uno
Conversano: Pinacoteca del castello, la porta dei 100 occhi,
particolari dello spioncino e della maniglia.
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squadrone di armati nella città di Noja,
mantenuto a spese del duca Carlo
Carafa.
Dopo questo breve riferimento, cosa
succede a Conversano nel monastero di
S. Benedetto, mentre si sta insediando
la nuova badessa donna Isabella
Tommasa dei conti Acquaviva?
“È successo in questi giorni un
gravissimo eccesso nella città di
Conversano. Il sig. don Ridolfo Carafa, della casa di Noja, ha rapito dal
monastero di San Benedetto di Conversano, con il suo consenso, donna
Dorotea Acquaviva, monaca professa, sorella carnale del conte Giulio…
Questa fuga è stata fatta attraverso un’apertura nel muro del convento,
corrispondente nella bottega di un falegname, corrotto dal Carafa con
promesse e regali.”
Così un giornalista napoletano dell’epoca, Domenico Confuorto,
descrive lo scandaloso rapimento della professa Dorotea, al secolo Vita
Modesta, avvenuto negli ultimi giorni di maggio del 1697.
Molti malignarono sulle vere intenzioni del “rapimento” affermando che
il Carafa in questo modo agiva per vendicare l’onta di Norimberga. Ma
va detto che il “gravissimo eccesso” cadeva dopo 25 anni dall’assalto al
palazzo ducale di Noja.
Allora la verità forse è un’altra: si trattò di una vera fuga d’amore a
conclusione di un rapporto iniziato molto tempo prima nelle rituali
frequentazioni tra le due famiglie. Le fonti del tempo dicono che
relazione non era vista bene dagli Acquaviva sia per la cattiva fama di
don Ridolfo sia per l’età della nobildonna conversanese, più giovane di
vent’anni. E per le forti pressioni familiari la nobile Dorotea fu costretta
ad abbandonare la via del cuore e obbligata ad entrare nel convento delle
monache cistercensi di S. Benedetto, a Conversano.
Nel convento, il cosiddetto “monstrum Apuliae” governato dalle potenti
badesse mitrate fin dal 1266, trovavano anche collocazione ragazze
Conversano: la serratura della porta.
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di famiglie nobili e benestanti di Terra di Bari non sempre votate alla
clausura per personale convinzione, bensì costrette a quella scelta per
salvaguardare l’integrità del patrimonio familiare a favore dei figli
maschi, per evitare matrimoni compromettenti, per nascondere relazioni
inconfessabili. Le novizie che manifestavano il loro disappunto per
la vita conventuale venivano isolate e chiuse nella cella di rigore,
controllate e spiate attraverso la misteriosa porta dei cento occhi: occhi
senza volto che scrutavano l’ombra dell’anima.
La porta, rinvenuta nel monastero e restaurata nel 2014, è conservata
oggi nella Pinacoteca del castello di Conversano: è così chiamata perché
su una facciata è raffigurata una giovane donna seminuda, la mano
destra impugna un lungo coltello insanguinato mentre il braccio sinistro
sostiene un panno macchiato di sangue. La ragazza è completamente
ricoperta da occhi aperti, tutti uguali, e si pensa possa simboleggiare
la novizia che per liberarsi dai peccati uccide la belva della lussuria e
della libidine. Alla base della porta, nel cartiglio, si legge in latino “Qui
potest capere capiat”, chi può comprendere, comprenda. Due serrature
con chiavi diverse garantivano il totale isolamento. Sul lato destro della
porta, in alto, è praticato un foro per spiare l’interno della cella che si
trova al primo piano del convento, detta “stanza dei cento occhi”.
Proprio questi ultimi particolari non lasciano spazio all’immaginazione
e all’interpretazione
simbolica: si intuiscono il
clima di severo controllo
presente nel convento e
le punizioni inflitte alle
novizie ribelli. Si ha il
presagio di comportamenti
violentemente crudeli nei
confronti di chi non accettava
le regole.
Dopo questa divagazione
storica e ritornando allaConversano: Pinacoteca del castello, la porta dei 100 occhi.
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vicenda narrata, si deve riferire di una leggenda popolare che racconta
della cella delle punizioni in cui la monaca Dorotea veniva segregata,
scrutata e controllata attraverso lo spioncino della porta dei cento occhi
per impedire ogni tentativo di comunicazione con il suo amato Ridolfo.
Suor Dorotea Acquaviva tuttavia non aveva rinunciato alla sua
aspirazione di libertà e al suo profondo sentimento e, nonostante il rigido
controllo della badessa Isabella Tommasa, trovò il modo per mantenere
la tresca con il nobile nojano tanto da organizzare un meticoloso piano di
fuga che si concretizzò in una notte di maggio.
Il giornalista napoletano Confuorto così raccontò i particolari
dell’avventurosa fuga dal convento “si dice per certo la fuga dal
monastero essere stata di notte in un calesse, avendo la monaca
indossato l’abito di maschio e, essendo la mattina presto giunti a
Polignano, si imbarcarono. Prima di imbarcarsi, avendo chiamato
il parroco di quella città, si sposarono clandestinamente a San Vito
con le parole vis et volo, dicendo la monaca di non essere mai stata
professa perché costretta con il coltello alla gola dai fratelli a entrare
nel convento…. Dopo la cerimonia privata, ove siano andati non si sa
di certo, volendo alcuni che siano andati tra i protestanti in Germania.
Altri dicono che essendosi imbarcati a San Vito, si sono diretti a Ragusa,
in Dalmazia. Altri affermano che sono nascosti in Italia, sperando di
ottenere la dispensa dal Papa per potersi sposare. La monaca, da molto
tempo prima, aveva fatto istanza a Roma per l’annullamento della
professione, asserendo che l’aveva fatto a forza…”
Conversano: la porta dei 100 occhi, frase pronunciata da Gesù Cristo nel Vangelo di Matteo.
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Il peccaminoso comportamento della professa Dorotea non fu
assolutamente condiviso dalla sua famiglia, né da meno furono i Carafa
di Noja che, temendo nuove guerre con i vicini di Conversano, fecero
un manifesto nel regno promettendo di pagare diecimila scudi per
avere la testa del sacrilego congiunto Rodolfo. Il vicerè a Napoli ebbe
a preoccuparsi molto, memore dei duelli e delle tensioni tra le due
famiglie.
Per ovviare a questo nuovo caso dagli imprevedibili sviluppi, a
Conversano la contessa Dorotea, cognata della ex monaca, pregò
il vescovo Brancaccio di partire per Roma per supplicare il papa
Innocenzo XII a voler concedere la dispensa matrimoniale.
Finalmente, dopo tante preghiere, nel mese di luglio del 1698 la Chiesa
invalidò la professione monacale di Dorotea, confermando il matrimonio
con il nobile nojano don Ridolfo.
I due novelli sposi, non avendo più da temere dai poteri costituiti, si
trasferirono a Roma. Nel regno di Napoli il vicerè tirò un sospiro di
sollievo e le due famiglie, a Noja e Conversano, rinfoderarono spade e
pugnali.