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“Il procedimento sommario per la tutela dei crediti
di giustizia ”
Corso a metodologia mista – cod. P13072 – della Scuola superiore della
magistratura tenutosi dal 04 al 06 dicembre 2013
E d o a r d o D i C a p u a 1
Sommario:
1. Cenni sul procedimento sommario di cognizione “obbligatorio”, disciplinato
dagli articoli 3 e 14-30 D.Lgs. n. 150/2011
2. Le disposizioni comuni alle controversie disciplinate dal rito sommario di
cognizione, ex art. 3 D.Lgs. n. 150/2011
3. Generalità sulla disciplina delle controversie in materia di liquidazione dei
compensi degli avvocati
4. La competenza nelle controversie in materia di liquidazione dei compensi
degli avvocati
5. La composizione collegiale del Tribunale nelle controversie in materia di
liquidazione dei compensi degli avvocati
6. L’ambito oggettivo delle controversie in materia di liquidazione dei compensi
degli avvocati
7. Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo proposto ai sensi dell’art.645
c.p.c. contro il decreto ingiuntivo riguardante compensi o spese spettanti ad
avvocati per prestazioni giudiziali
1 Relazione di Edoardo Di Capua, giudice del tribunale di Torino.
Le opinioni espresse non impegnano la Scuola superiore della magistratura. La Scuola è peraltro, quale
organizzatrice dell’iniziativa formativa e per intesa con il relatore che ne assevera l’originalità, titolare di
ogni diritto sul testo. La riproduzione non autorizzata sarà perseguita nelle forme di legge.
2
8. Generalità sulla disciplina delle controversie in tema di spese di giustizia
9. A) L’opposizione al decreto di liquidazione dei compensi del custode,
dell’ausiliario del magistrato e delle imprese private cui è affidato l’incarico di
demolizione e riduzione in pristino
10. B) L’opposizione al decreto di pagamento dell’onorario e delle spese
spettanti al difensore, all’ausiliario del magistrato, al consulente tecnico di
parte e all’investigatore privato, in caso di ammissione al patrocinio a spese
dello Stato
11. C) L’opposizione al provvedimento di liquidazione dell’onorario e delle
spese spettanti al difensore della persona ammessa al programma di protezione
dei collaboratori di giustizia, al difensore d’ufficio, al difensore d’ufficio di
persona irreperibile e al difensore d’ufficio del minore
12. D) L’opposizione al provvedimento con cui il Giudice nega l’ammissione al
patrocinio a spese dello Stato
13. E) L’impugnazione del provvedimento di revoca dell’ammissione al
patrocinio a spese dello Stato
14. Gli aspetti procedurali della disciplina delle controversie in tema di spese di
giustizia
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1. Cenni sul procedimento sommario di cognizione “obbligatorio”, disciplinato
dagli articoli 3 e 14-30 D.Lgs. n. 150/2011
L’art. 54, 1° e 2° comma, Legge 18 giugno 2009 n. 69 ha conferito al Governo
la delega ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge,
uno o più decreti legislativi in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti
civili di cognizione che rientrano nell’ambito della giurisdizione ordinaria e che sono
regolati dalla legislazione speciale, realizzando il conseguente necessario
coordinamento con le altre disposizioni vigenti.
L’art. 54, 4° comma, Legge 18.6.2009 n. 69, ha così determinato i principi e
criteri direttivi ai quali, nell’esercizio della predetta delega, il Governo doveva
attenersi:
A) restano fermi i criteri di competenza, nonché i criteri di composizione
dell’organo giudicante, previsti dalla legislazione vigente;
B) i procedimenti civili di natura contenziosa autonomamente regolati dalla
legislazione speciale sono ricondotti ad uno dei seguenti modelli processuali previsti dal
codice di procedura civile:
1) i procedimenti in cui sono prevalenti caratteri di concentrazione processuale,
ovvero di officiosità dell’istruzione, sono ricondotti al rito disciplinato dal libro II, titolo
IV, capo I, del codice di procedura civile, ovvero al rito del lavoro;
2) i procedimenti, anche se in camera di consiglio, in cui sono prevalenti
caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa, sono
ricondotti al procedimento sommario di cognizione di cui al libro IV, titolo I, capo III
bis, del codice di procedura civile, come introdotto dall’art. 51 della presente legge,
restando tuttavia esclusa per tali procedimenti la possibilità di conversione nel rito
ordinario;
3) tutti gli altri procedimenti sono ricondotti al rito di cui al libro II, titoli I e III,
ovvero titolo II, del codice di procedura civile, vale a dire al rito ordinario;
C) la riconduzione ad uno dei riti di cui ai numeri 1), 2) e 3) della lett. b) non
comporta l’abrogazione delle disposizioni previste dalla legislazione speciale che
attribuiscono al giudice poteri officiosi, ovvero di quelle finalizzate a produrre effetti
che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile;
D) Restano in ogni caso ferme le disposizioni processuali:
in tema di procedure concorsuali;
in tema di famiglia e minori;
di cui al regio decreto 14 dicembre 1933, n. 1669 (legge assegno);
di cui al regio decreto 21 dicembre 1933, n. 1736 (legge cambiaria);
di cui alla legge 20 maggio 1970, n. 300 ( Statuto dei lavoratori);
4
di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprietà
industriale);
di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del consumo).
In sostanza, l’attività del Legislatore Delegato era stata vincolata alla
riconduzione forzata di ciascuno dei procedimenti civili di natura contenziosa
autonomamente regolati dalla legislazione speciale (fatte salve le predette eccezioni) ad
uno dei tre modelli previsti dal codice di rito.
Il Legislatore Delegato si è peraltro apertamente professato fedele alla regola del
“Legislatore consapevole”, manifestando l’intendimento (lodevole) di conformarsi alle
chiavi giurisprudenziali di lettura interpretativa delle norme nonché quello (doveroso) di
rispettare le pronunce della Consulta e le abrogazioni implicite.
Ne consegue una struttura normativa divisa in cinque capi:
il primo è dedicato alle disposizioni di carattere generale;
il secondo al rito del lavoro;
il terzo al rito sommario
il quarto al rito ordinario;
il quinto alle abrogazioni e alle modificazioni delle leggi speciali, nonché alla disciplina
transitoria.
Con il D.Lgs. 1.9.2011 n. 150, approvato definitivamente dal Consiglio dei
Ministri l’1.9.2011, la delega legislativa è stata esercitata.
L’art. 1 D.Lgs. n. 150/2011 (“Definizioni”) prevede testualmente quanto segue:
“1. Ai fini del presente decreto si intende per:
a) Rito ordinario di cognizione: il procedimento regolato dalle norme del titolo I
e del titolo III del libro secondo del codice di procedura civile;
b) Rito del lavoro: il procedimento regolato dalle norme della sezione II del
capo I del titolo IV del libro secondo del codice di procedura civile;
c) Rito sommario di cognizione: il procedimento regolato dalle norme del capo
III bis del titolo I del libro quarto del codice di procedura civile.”
Peraltro, come si è osservato in dottrina (SCARPA) l’obbiettivo di
semplificazione dei riti civili che doveva animare l’intento riformatore sembra, almeno
in parte, vanificato.
In primo luogo, infatti, ciò è stata la conseguenza dei limiti imposti dalla delega
di cui all’art. 54 Legge n. 69/2009, per cui non sono stati modificati i criteri di
competenza previgente né la composizione dell’organo giudicante, così come non sono
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state abrogate singole disposizioni previste dalla legislazione speciale attributive di
poteri officiosi (SCARPA).
Inoltre, la tecnica legislativa adottata dal legislatore delegato non appare del
tutto coerente con il fine di semplificazione effettiva dei riti civili, non essendosi
esaurita nell’individuare categorie di controversie alle quali applicare l’uno o l’altro dei
modelli di giudizio speciale di riferimento individuati dalla legge delega, avendo inciso
sulla disciplina stessa dei singoli modelli, modificandola in parte per dettare
disposizioni comuni alle singole controversie cui essa deve applicarsi. In pratica, la
prescelta attuazione governativa della delega sulla semplificazione dei procedimenti
civili, nel tentativo di operare una reductio ad unitatem, ha finito per favorire
l’insorgere di altrettanti sottoriti lavoro e sottoriti sommari (SCARPA).
Così, nel capo I del D.lgs. 1.9.2011 n. 150, dedicato alle Disposizioni generali,
gli artt. 2 e 3, introducono le disposizioni comuni, rispettivamente, alle controversie che,
ai sensi del successivo capo II, sono regolate dal rito del lavoro, e, ai sensi del
successivo capo III, sono sottoposte al rito sommario di cognizione, ma contengono
delle significative differenze rispetto al procedimento di cui agli artt. 409 ss. c.p.c. ed a
quello di cui agli artt. da 702 bis a 702 quater c.p.c.
Inoltre, nel disciplinare ciascuna singola specie di controversia alla quale deve
applicarsi il rito di destinazione, ciascuno degli artt. da 6 a 13 (per quanto riguarda le liti
regolate dal rito del lavoro) e artt. da 14 a 30 (per quanto riguarda le cause regolate
secondo il procedimento sommario di cognizione) del decreto delegato si apre
disponendo che a quella specifica categoria di lite si applica il modello di rito (lavoro,
sommario o ordinario) prescelto dal legislatore, “ove non diversamente stabilito dalle
disposizioni del presente articolo.”
In particolare, per quanto riguarda il procedimento sommario di cognizione,
l’effetto della sovrapposizione normativa tra l’art. 51, 1° comma, Legge 18.6.2009, n.
69, e gli artt. 3 e 14-30 del D.lgs. 1.9.2011, n. 150, può essere schematizzato come
segue:
Il procedimento sommario di cognizione disciplinato dagli articoli 3 e 14-30 del
D.lgs. n. 150/2011 può qualificarsi come “obbligatorio”: nelle materie elencate, il
procedimento sommario di cognizione non è facoltativo, ma obbligatorio, poiché
costituisce il rito speciale che deve essere utilizzato dall’attore che introduca una delle
controversie per le quali esso è prescritto, e l’eventuale erronea scelta di un diverso rito
comporta, ai sensi dell’art. 4 del decreto delegato, il mutamento, anche d’ufficio, in
quello sommario, salvo che non venga rilevata d’ufficio, né eccepita, entro la prima
udienza.
6
Il legislatore delegato, sul presupposto della prevalenza di caratteri di
semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa, ha individuato le seguenti
categorie di controversie regolate dal rito sommario di cognizione:
1) controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato
(art. 14);
2) opposizione a decreto di pagamento di spese di giustizia (art. 15);
3) controversie in materia di mancato riconoscimento del diritto di soggiorno
sul territorio nazionale in favore dei cittadini degli altri Stati membri dell’Unione
europea o dei loro familiari (art. 16);
4) controversie in materia di allontanamento dei cittadini degli altri Stati
membri dell’Unione europea o dei loro familiari (art. 17);
5) controversie in materia di espulsione dei cittadini di Stati che non sono
membri dell’Unione europea (art. 18);
6) controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale (art.
19);
7) opposizione al diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del
permesso di soggiorno per motivi familiari, nonché agli altri provvedimenti dell’autorità
amministrativa in materia di diritto all’unità familiare (art. 20);
8) opposizione alla convalida del trattamento sanitario obbligatorio (art. 21);
9) azioni popolari e controversie in materia di eleggibilità, decadenza ed
incompatibilità nelle elezioni comunali, provinciali e regionali (art. 22);
10) azioni in materia di eleggibilità e incompatibilità nelle elezioni per il
Parlamento europeo (art. 23);
11) impugnazione delle decisioni della Commissione elettorale circondariale in
tema di elettorato attivo (art. 24);
12) controversie in materia di riparazione a seguito di illecita diffusione del
contenuto di intercettazioni telefoniche (art. 25);
13) impugnazione dei provvedimenti disciplinari a carico dei notai (art. 26);
14) impugnazione delle deliberazioni del Consiglio nazionale dell’Ordine dei
giornalisti (art. 27);
15) controversie in materia di discriminazioni fondate su motivi razziali, etnici,
nazionali, religiosi; fondate su handicap, orientamento sessuale, età; nei confronti di
disabili; per l’accesso al lavoro ed a beni e servizi (art. 28);
16) controversie in materia di opposizione alla stima nelle espropriazioni per
pubblica utilità (art. 29);
17) controversie in materia di attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri di
giurisdizione volontaria e contestazione del riconoscimento (art. 30).
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La disciplina del procedimento può variare per ogni singola materia, poiché è
data dalla combinazione tra le disposizioni comuni di cui all’art. 3 D.Lgs. n. 150/2011
con quelle prescritte per ogni singola specie di controversia regolata nella stessa fonte.
La competenza può spettare al Giudice di pace (come, ad esempio, nelle
controversie ex art. 18), al Tribunale in composizione collegiale (come, ad esempio,
nelle controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato ex art.
14), al Presidente del Tribunale o della Corte d’Appello (come, ad esempio, nelle
controversie in materia di spese di giustizia ex art. 15), alla Corte d’Appello quale
giudice di unico grado (come, ad esempio, nelle controversie ex art. 23).
Non è prevista la possibilità, in caso di complessità delle difese delle parti, il
passaggio al rito ordinario di cognizione: ai sensi dell’art. 3, 1° comma D.Lgs. n.
150/2011, infatti, “1. Nelle controversie disciplinate dal Capo III, non si applicano i
commi secondo e terzo dell’articolo 702-ter del codice di procedura civile.”
L’ordinanza che decide la causa non è sempre appellabile (non lo è, ad
esempio, nelle “controversie in materia di liquidazione degli onorari e diritti di
avvocato” ex art. 14 D.Lgs n. 150/2011).
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2. Le disposizioni comuni alle controversie disciplinate dal rito sommario di
cognizione, ex art. 3 D.Lgs. n. 150/2011
L’art. 3 D.Lgs. n. 150/2011 detta le disposizioni comuni alle controversie
disciplinate dal rito sommario di cognizione, prevedendo, al 1° comma, che ad esse non
si applicano i commi 2° e 3° dell’art. 702 ter c.p.c..
Per il legislatore delegato, l’esclusione della possibilità che anche nel giudizio
sommario di cognizione obbligatorio, come in quello facoltativo, il giudice, valutata la
complessità della singola controversia concretamente proposta con il ricorso ex art. 702
bis c.p.c., possa disporne il passaggio al rito ordinario di cognizione, costituiva un
esplicito limite imposto dalla delega legislativa con l’art. 54, 3° comma, lett. b), n. 2),
Legge n. 69/2009, che delineava i contorni dell’instaurando modello processuale del
procedimento semplificato, e delle controversie da ricondurre ad esso, con il richiamo a
quello di cui agli artt. da 702 bis a 702 quater c.p.c., “restando tuttavia esclusa per tali
procedimenti la possibilità di conversione nel rito ordinario.”
Pertanto, quel controllo di concreta compatibilità della singola lite con le forme
semplificate del rito, che nel procedimento sommario di cognizione facoltativo di cui
agli artt. 702 bis ss. è rimesso alla valutazione discrezionale del giudice, è sostituito, nel
procedimento sommario obbligatorio disciplinato dall’art. 3, D.Lgs. n. 150/2011, da una
verifica, astratta ed irrevocabile, compiuta a monte dal legislatore sulla base delle
caratteristiche riscontrate in alcune specie di controversie che hanno ad oggetto
determinate specifiche materie.
Il legislatore delegato ha adattato il modello procedimentale del giudizio
sommario di cognizione codicistico, prevedendo espressamente, all’art. 3, 2° comma,
prima parte, D.Lgs. n. 150/2011, che nelle controversie alle quali viene esteso il rito
semplificato, quando la causa è giudicata in primo grado in composizione collegiale, sia
il Presidente del collegio ad emettere il decreto di cui all’art. 702 bis, 3° comma,
c.p.c., che fissa l’udienza di comparizione delle parti, designando nello stesso atto il
giudice relatore.
L’art. 3, 2° comma, seconda parte, D.Lgs. n. 150/2011, attribuisce al
Presidente del collegio il potere di delegare l’assunzione dei mezzi istruttori (e,
dunque, non la loro ammissione) ad uno dei componenti del collegio, che nella maggior
parte dei casi coinciderà proprio con il giudice relatore. La norma ricalca quanto
previsto dall’art. 702 quater c.p.c. nell’appello avverso l’ordinanza pronunciata all’esito
del procedimento sommario di cognizione ed a quanto attualmente prevede l’art. 350, 1°
comma, c.p.c. (modificato dalla Legge n. 183/2011) nell’appello avverso la sentenza
pronunciata all’esito del giudizio ordinario di cognizione.
9
La norma consente dunque soltanto al Presidente di delegare l’assunzione dei
mezzi di prova ad un componente del Collegio, ciò che pare incongruo, dovendo
semmai essere il Collegio ad adottare la decisione; è ben vero che il provvedimento è
ordinatorio, ma non sembra logico che un Presidente in minoranza possa decidere per la
delega o addirittura riservare a se stesso gli incombenti istruttori, tenuto conto che il
Giudice è il Collegio (SCOTTI).
Restano invece riservate alla competenza del Collegio la trattazione, le decisioni
sull’ammissibilità e rilevanza delle deduzioni istruttorie, le decisioni delle questioni
preliminari e, ovviamente, la decisione definitiva della controversia.
Infine, l’art. 3, 3° comma, D.Lgs. n. 150/2011, per le controversie – tra quelle
cui il legislatore delegato estende il rito sommario – nelle quali il giudice competente è
la Corte d’Appello in primo grado, stabilisce che, fermo quanto previsto dai commi 1 e
2, il procedimento è regolato dagli articoli 702 bis e 702 ter del codice di procedura
civile, il che sembra escludere l’applicabilità – oltre che dell’art. 702 ter, 2° e 3°
comma, c.p.c., come stabilisce espressamente il richiamato art. 3, 1° comma, D.Lgs. n.
150/2011- anche dell’art. 702 quater c.p.c., che non viene a sua volta richiamato
dall’art. 3, 3° comma, D.Lgs. n. 150/2011, e quindi ribadire l’inappellabilità del
provvedimento che conclude i relativi procedimenti.
Non sono previste deroghe apportate in via generale alle regole dettate
nell’art.702 bis in tema di:
proposizione della domanda;
contenuto del ricorso;
formazione del fascicolo;
designazione del giudice;
convocazione delle parti all’udienza di comparizione;
termini di notificazione e costituzione;
contenuto della comparsa di risposta;
decadenze e preclusioni;
chiamata di terzo.
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3. Generalità sulla disciplina delle controversie in materia di liquidazione dei
compensi degli avvocati
L’art. 28 della previgente Legge 13 giugno 1942 n. 794 in materia di “Onorari
di avvocato e di procuratore per prestazioni giudiziali in materia civile” disponeva
quanto segue:
“Per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del
proprio cliente l’avvocato [o il procuratore] (1), dopo la decisione della causa o
l’estinzione della procura, deve, se non intende seguire la procedura di cui all’art. 633 e
seguenti del codice di procedura civile, proporre ricorso al capo dell’ufficio giudiziario
adito per il processo.” (2)
(1) L’albo dei procuratori legali è stato soppresso dall’art. 1, l. 24 febbraio 1997,
n. 27. La medesima legge ha, tra l’altro, stabilito che in tutte le disposizioni legislative
vigenti al termine “procuratore legale” va sostituito quello di “avvocato.”
(2) L’articolo era stato abrogato, a decorrere dal 16.12.2009, dall’art. 2, comma
1, D.L. n. 200/2008 e, successivamente, l’efficacia della legge era stata ripristinata
dall’art. 1 Legge n. 9/2009 in sede di conversione.
Il successivo art. 29 Legge n. 794/1942 disciplinava il “procedimento di
liquidazione”, stabilendo quanto segue:
“Il Presidente del Tribunale o della Corte di appello ordina, con decreto in
calce al ricorso, la comparizione degli interessati davanti al collegio in camera di
consiglio, nei termini ridotti a norma dell’art. 645, ultima parte, del codice di
procedura civile.
Il decreto è notificato a cura della parte istante.
Non è obbligatorio il ministero di difensore.
Il collegio, sentite le parti, procura di conciliarle. Il processo verbale di
conciliazione costituisce titolo esecutivo.
Si applica per le spese l’art. 92, ultimo comma, del codice di procedura civile.
Se una delle parti non comparisce o se la conciliazione non riesce, il collegio
provvede alla liquidazione con ordinanza non impugnabile la quale costituisce titolo
esecutivo anche per le spese del procedimento.
Le disposizioni di cui ai commi precedenti si osservano, in quanto applicabili,
davanti al giudice di pace [e al pretore] (1) quando essi sono rispettivamente
competenti a norma dell’art. 28” (2).
(1) Il D.lgs. n. 51/1998 ha soppresso l’ufficio del Pretore e, fuori dai casi
espressamente previsti dal citato decreto, le relative competenze sono da intendersi
trasferite al Tribunale ordinario.
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(2) L’articolo era stato abrogato, a decorrere dal 16.12.2009, dall’art. 2, comma
1, D.L. n. 200/2008 e, successivamente, l’efficacia della legge era stata ripristinata
dall’art. 1 Legge n. 9/2009 in sede di conversione.
Infine, l’art. 30 Legge n. 794/1942 prevedeva quanto segue:
“L’opposizione proposta a norma dell’art. 645 del codice di procedura civile
contro il decreto ingiuntivo riguardante onorari, diritti e spese spettanti ad avvocati e
procuratori per prestazioni giudiziali è decisa dal tribunale e dalla corte di appello in
camera di consiglio oppure dal giudice di pace [o dal pretore], con ordinanza non
impugnabile la quale costituisce titolo esecutivo anche per le spese.
Il procedimento è regolato dall’articolo precedente.” (2).
(2) L’articolo era stato abrogato, a decorrere dal 16.12.2009, dall’art. 2, comma
1, D.L. n. 200/2008 e, successivamente, l’efficacia della legge era stata ripristinata
dall’art. 1 Legge n. 9/2009 in sede di conversione.
Come si dirà meglio infra, secondo la giurisprudenza della Cassazione, la
normativa si riferiva soltanto ai procedimenti civili e non anche a quelli penali ed
amministrativi.
Secondo la tesi prevalente, l’avvocato che voleva recuperare giudizialmente un
credito professionale per prestazioni giudiziali poteva optare per tre strade:
1) il procedimento speciale di cui agli artt. 28 e segg. Legge n. 794/1942
(limitatamente ai crediti relativi a procedimenti civili);
2) il procedimento monitorio per decreto ingiuntivo;
3) il giudizio ordinario di cognizione.
Secondo la tesi prevalente, il giudizio ordinario di cognizione era ammissibile
visto che (come si dirà meglio in seguito), il presupposto dell’esperibilità del
procedimento speciale era pur sempre la natura non contestata del credito e l’esigenza
soltanto di una sua determinazione quantitativa (ossia di una sua “liquidazione”), per cui
non si poteva negare all’avvocato che riteneva il proprio credito contestato o
contestabile oppure che semplicemente temeva una sua contestazione, la possibilità di
agire con lo strumento della cognizione ordinaria prevista obbligatoriamente proprio per
quel tipo di situazioni processuali.
L’art. 34 D.Lgs. n. 150/2011 ha abrogato i citati artt. 29 e 30 Legge n.
794/1942 ed ha così modificato l’art. 28 :
“Per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del
proprio cliente l’avvocato, dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura se
non intende seguire la procedura di cui all’art. 633 e seguenti del codice di procedura
civile, procede ai sensi dell’articolo 14 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n.
150.”
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L’art. 14 D.Lgs. n. 150/2011 disciplina dunque attualmente le “controversie in
materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato”, prevedendo
testualmente quanto segue:
“1. Le controversie previste dall’articolo 28 della legge 13 giugno 1942, n. 794,
e l’opposizione proposta a norma dell’articolo 645 del codice di procedura civile
contro il decreto ingiuntivo riguardante onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati per
prestazioni giudiziali sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non
diversamente disposto dal presente articolo.
2. È competente l’ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale
l’avvocato ha prestato la propria opera. Il tribunale decide in composizione collegiale.
3. Nel giudizio di merito le parti possono stare in giudizio personalmente.
4. L’ordinanza che definisce il giudizio non è appellabile.”
La Relazione spiega l’intervento normativo come segue:
“L’articolo 14 detta la disciplina delle controversie riguardanti gli onorari,
diritti o spese spettanti ad avvocati per prestazioni giudiziali, previste dall’articolo 28
della legge 13 giugno 1942 n. 794, nonché l’opposizione proposta a norma dell’art. 645
del codice di procedura civile contro il decreto ingiuntivo avente ad oggetto il
pagamento dei medesimi crediti.
Le controversie in questione sono state ricondotte al rito sommario di
cognizione, in virtù dei caratteri di semplificazione della trattazione e dell’istruzione
della causa evidenziati dal rinvio, ad opera della normativa previgente, alla disciplina
dei procedimenti in camera di consiglio e del resto corrispondenti al limitato oggetto
del processo.
In ossequio alla delega (art. 54, comma 2, lettera a) della l. n. 69 del 2009) si è
mantenuta ferma la competenza funzionale dell’ufficio giudiziario di merito adito per il
processo nel quale l’avvocato ha prestato la propria opera, nonché la composizione
collegiale dell’organo giudicante…
Nel rispetto dell’ulteriore principio di delega (art. 54, cit., lettera c) ultimo
periodo) che prevede il mantenimento delle disposizioni «finalizzate a produrre effetti
che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile», si
è avuto cura di specificare che le parti possono stare in giudizio personalmente.
Questo, com’è chiaro, potrà accadere nel giudizio di merito, e quindi non nella fase di
eventuale impugnativa di legittimità, per cassazione.
Non si è invece riportata la disposizione sul tentativo giudiziale di conciliazione,
in quanto assorbita dalla norma generale contenuta nell’art 185 c.p.c.
Sempre al fine di mantenere l’effetto processuale speciale attualmente in essere,
si stabilisce che l’ordinanza che definisce il giudizio non è appellabile.”
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Dunque, analogamente a quanto già previsto nei citati artt. 28 e 29 Legge n.
794/1942, l’art. 14 D. Lgs. n. 150/2011 contempla:
- la competenza dell’ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale
l’avvocato ha prestato la sua opera;
- la composizione collegiale del Tribunale;
- la possibilità delle parti di stare in giudizio personalmente;
- la non appellabilità dell’ordinanza decisoria.
Ne restano fuori le controversie in materia di onorari di Avvocati:
- per prestazioni extragiudiziali in materia civile;
- per prestazioni giudiziali in materia penale;
- per prestazioni giudiziali in materia amministrativa.
A seguito dell’entrata in vigore del D. Lgs. n. 150/2011 è sorto il dubbio se:
a) la nuova disciplina debba ritenersi inderogabile oppure
b) persista ancora la possibilità di opzione per il procedimento ordinario di
cognizione.
Secondo una parte della dottrina (SCOTTI), poiché il Legislatore delegato si è
riferito solo a due delle tipologie di controversie astrattamente proponibili (non
considerando l’opzione del procedimento ordinario), sembra preferibile la tesi che
l’avvocato possa continuare a scegliere la proposizione della controversia per il
recupero degli onorari giudiziali con le ordinarie modalità della citazione tradizionale;
tra l’altro, tale soluzione sembra ragionevole allorché l’avvocato ritenga che le difese
del cliente non si limiteranno all’entità del corrispettivo ma involgeranno il vero e
proprio an debeatur (che, secondo una tesi infra citata, potrebbe comportare una
declaratoria di inammissibilità).
Persiste comunque sicuramente la strada alternativa del procedimento
monitorio, sicché l’avvocato può proporre ricorso per decreto ingiuntivo ex art.633
c.p.c., come si evince:
- dall’art. 28 Legge n. 794/1942 (come modificato dall’art. 34 D.Lgs. n.
150/2011), ai sensi del quale: “Per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti
nei confronti del proprio cliente l’avvocato, dopo la decisione della causa o l’estinzione
della procura, se non intende seguire la procedura di cui all’art. 633 e seguenti del
codice di procedura civile, procede ai sensi dell’articolo 14 del decreto legislativo 1°
settembre 2011, n. 150”;
- dall’art. 14, 1° comma, D.Lgs. n. 150/2011, ai sensi del quale: “1. Le
controversie previste dall’articolo 28 della legge 13 giugno 1942, n. 794, e
l’opposizione proposta a norma dell’articolo 645 del codice di procedura civile contro
il decreto ingiuntivo riguardante onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati per
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prestazioni giudiziali sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non
diversamente disposto dal presente articolo.”
Con riguardo alla possibilità delle parti di stare in giudizio personalmente nel
giudizio di merito, si deve richiamare la Cassazione formatasi con riferimento alla
normativa previgente di cui alla Legge n. 794/1942, secondo cui la disposizione dell’art.
29, 3° comma, Legge n. 794/1942 (ai sensi della quale nelle cause aventi ad oggetto il
pagamento del corrispettivo di prestazioni giudiziali civili a favore dell’avvocato da
parte del proprio cliente, non è obbligatorio il ministero di difensore), riguardava tutte le
attività successive all’introduzione del giudizio, mentre in relazione all’atto introduttivo
del giudizio medesimo doveva ritenersi operante la disciplina ordinaria del patrocinio di
cui all’art. 82 c.p.c.
In sintesi, secondo la normativa preesistente, così come interpretata dalla
Suprema Corte, la possibilità di stare in giudizio in proprio non permetteva anche la
redazione degli atti introduttivi, ossia:
1) il ricorso ex art. 28 Legge n. 794/1942 (che comunque rientrava nelle facoltà del
legale, ai sensi dell’art. 86 c.p.c.);
2) la memoria costitutiva nel procedimento ex art. 29 Legge n. 794/1942;
3) l’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo ex artt. 645 c.p.c. e 30 legge
794/1942.
Pertanto la facoltà di stare in giudizio personalmente era stata riduttivamente
limitata alla possibilità di interloquire nell’ambito del procedimento camerale introdotto
dall’avvocato o nato per effetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo.
Sul punto, in giurisprudenza possono richiamarsi le seguenti pronunce:
Cass. civile, sez. II, 4 novembre 2010, n. 22463: “La disposizione dell’art. 29, terzo
comma, della legge n. 794 del 1942, secondo cui nelle cause aventi ad oggetto il
pagamento del corrispettivo di prestazioni giudiziali civili a favore dell’avvocato da
parte del proprio cliente, non è obbligatorio il ministero di difensore, riguarda tutte
le attività successive all’introduzione del giudizio, mentre solamente in relazione
all’atto introduttivo del giudizio medesimo deve ritenersi operante la disciplina
ordinaria del patrocinio di cui all’art. 82 cod. proc. civ.”
Cass. civile, sez. II, 26 gennaio 2000, n. 850: “La disposizione dell’art. 29, comma
3, l. 13 giugno 1942 n. 794, secondo cui nelle cause aventi ad oggetto il pagamento
del corrispettivo di prestazioni giudiziali civili a favore dell’avvocato da parte del
proprio cliente, non è obbligatorio il ministero di difensore, riguarda
esclusivamente le attività successive all’introduzione del giudizio e non l’atto
introduttivo del giudizio medesimo, in relazione al quale deve, invece, ritenersi
operante la disciplina ordinaria del patrocinio di cui all’art. 82 c.p.c. Pertanto, è
invalida, se sottoscritta personalmente dalla parte non ritualmente patrocinata, la
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citazione in opposizione alla pretesa del difensore introduttiva di una causa di
valore eccedente lire un milione.”
Ad avviso di chi scrive tali conclusioni dovrebbero trovare applicazione anche
nel vigore della nuova disciplina di cui al D.Lgs. n. 150/2011, tenuto conto che:
- il previgente art. 29, 3° comma, Legge n. 794/1942 disponeva: “Non è obbligatorio il
ministero di difensore.”
- l’attuale art. 14, 3° comma, D.Lgs. n. 150/2011, dispone: “Nel giudizio di merito le
parti possono stare in giudizio personalmente”;
- al di là della diversa espressione utilizzata dal legislatore, sembra evidente che nulla
sia cambiato sul punto.
Pertanto, anche alla luce della nuova normativa di cui al D.Lgs. n. 150/2011, la
possibilità di stare in giudizio in proprio non dovrebbe consentire la redazione degli atti
introduttivi, ossia:
1) il ricorso introduttivo ex art. 702 bis c.p.c. (che comunque rientra nelle facoltà del
legale, ai sensi dell’art. 86 c.p.c.);
2) la comparsa di costituzione e risposta nel procedimento ex art. 702 bis c.p.c.;
3) l’opposizione a decreto ingiuntivo ex artt. 14 D.Lgs. n. 150/2011 e 645 c.p.c.
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4. La competenza nelle controversie in materia di liquidazione dei compensi degli
avvocati
Come si è detto, analogamente a quanto già previsto dalla Legge n. 794/1942,
l’art. 14, 2° comma, D.Lgs. n. 150/2011, contempla la competenza dell’ufficio
giudiziario di merito adito per il processo nel quale l’avvocato ha prestato la sua
opera.
Come espressamente previsto dall’art. 14, 2° comma, D.Lgs. n. 150/2011,
competente può essere, innanzitutto, il Tribunale, nel qual caso la composizione è
collegiale.
Giova ricordare che l’art. 54 Legge delega n. 69/2009 aveva imposto al
Governo che restassero “fermi i criteri di competenza, nonché i criteri di composizione
dell’organo giudicante, previsti dalla legislazione vigente” .
Peraltro, la competenza può spettare anche alla Corte d’Appello in unico
grado.
Invero, nel caso in cui l’avvocato abbia prestato la propria attività difensiva in
più gradi dello stesso giudizio (ad esempio, davanti al Tribunale ed alla Corte
d’Appello), la domanda dev’essere rivolta al giudice di merito del grado superiore che
ha definito il giudizio, il quale é competente anche alla liquidazione per il grado
precedente (GIULIANI).
La possibilità che la competenza possa spettare alla Corte d’Appello in unico
grado si evince anche dall’art. 3, 3° comma. D.Lgs. n. 150/2011 (che contempla la
competenza della Corte d’Appello in primo grado) e dall’art. 14, 4° comma, D.Lgs. n.
150/2011 (che prevede la non appellabilità dell’ordinanza che definisce il giudizio).
Del resto, sotto il vigore della previgente normativa di cui alla Legge n.
794/1942, la Cassazione aveva avuto modo di affermare che “in tema di liquidazione
del compenso per l’attività defensionale dell’avvocato, poiché l’art. 28 della legge 13
giugno 1942 n. 794 prevede che lo speciale procedimento sia attivato ‘dopo la
decisione della causa o l’estinzione della procura’, è inammissibile la domanda di
liquidazione relativa al giudizio di primo grado, allorché penda il giudizio d’appello e
la procura non sia estinta, dovendosi intendere per ‘decisione della causa’ il
provvedimento conclusivo che definisce l’intero procedimento” (cfr. in tal senso: Cass.
Civile 21 dicembre 2007, Sez. II, n. 27137, in Giust. civ. Mass. 2007, 12).
a) Secondo parte della dottrina (BULGARELLI) non sarebbe ipotizzabile una
competenza funzionale anche del Giudice di pace, in quanto l’art. 14, 2° comma,
D.Lgs. n. 150/2011 prevede la composizione collegiale dell’organo giudicante.
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b) Secondo altra parte della dottrina (SCOTTI), invece, la competenza
funzionale del Giudice di pace sarebbe invece ammissibile, in quanto l’art. 14, 2°
comma, D.Lgs. n. 150/2011 prevede la competenza collegiale del solo Tribunale (“Il
tribunale decide in composizione collegiale”).
Si deve peraltro considerare che la competenza del Giudice di pace potrebbe
risultare innovativa rispetto alla previgente disciplina, con il rischio di una violazione
della Legge delega che, come si è detto, ha prescritto il rispetto dei criteri previgenti di
competenza.
Nel caso in cui l’avvocato ricorra alla procedura monitoria per il recupero di
compensi professionali spettanti per le prestazioni professionali erogate in un giudizio
civile, si pone il problema se ciò possa avvenire nel rispetto dei criteri tradizionali
di competenza.
La risposta dovrebbe essere positiva, dal momento che nessuna norma ha inciso
sulle regole di competenza nella richiesta del decreto ingiuntivo (SCOTTI).
1) Potrebbe dunque trovare applicazione, innanzitutto, l’art. 637, 1° comma,
c.p.c., ai sensi del quale “per l’ingiunzione è competente il giudice di pace o, in
composizione monocratica, il tribunale che sarebbe competente per la domanda
proposta in via ordinaria.”
In tal caso, ove l’avvocato proponga il ricorso per decreto ingiuntivo al Giudice del
luogo di residenza o della sede della parte intimata, un tale Foro potrebbe essere più
favorevole per il cliente, laddove le prestazioni professionali siano state svolte in altro
Foro.
2) In secondo luogo, potrebbe trovare applicazione l’art. 637, 2° comma, c.p.c.,
ai sensi del quale: “Per i crediti previsti nel numero 2 dell’art. 633 (ossia se il credito
riguarda onorari per prestazioni giudiziali o stragiudiziali o rimborso di spese fatti, tra
gli altri, da avvocati) è competente anche l’ufficio giudiziario che ha deciso la causa
alla quale il credito si riferisce.”
Si tratta di una prima ipotesi di “competenza territoriale speciale” (la quale va
qualificata come un’ipotesi di foro facoltativo concorrente con i fori di cui al 1° comma)
e che coincide con il Foro previsto dall’art. 14, 2° comma, D. Lgs. n. 150/2011.
3) In terzo luogo, potrebbe trovare applicazione anche l’art. 637, 3° comma,
c.p.c., ai sensi del quale: “Gli avvocati o i notai possono altresì proporre domanda
d’ingiunzione contro i propri clienti al giudice competente per valore del luogo ove ha
sede il consiglio dell’ordine al cui albo sono iscritti o il consiglio notarile dal quale
dipendono.”
Si tratta di una seconda ipotesi di “competenza territoriale speciale” (la quale va
qualificata come un’ipotesi di foro facoltativo concorrente con i fori di cui al 1°
comma).
18
Con riguardo a tale ipotesi, giova ricordare che, secondo la Cassazione: “In tema di
procedimento di ingiunzione, l’art. 637, comma 3, c.p.c., nell’individuare un foro
facoltativo e concorrente con quello di cui ai commi 1 e 2 del medesimo articolo,
attribuisce all’avvocato la facoltà processuale, ai fini del recupero in via monitoria dei
suoi crediti per prestazioni professionali, di agire dinanzi al giudice del luogo in cui ha
sede il consiglio dell’ordine al cui albo egli è iscritto, e il consiglio dell’ordine, in
relazione al quale si determina il giudice competente, va identificato in quello al quale
il legale è iscritto attualmente, cioè con riferimento al momento della proposizione del
ricorso, a nulla rilevando che, al tempo della richiesta in via stragiudiziale di
pagamento della parcella, il medesimo avesse la sede principale dei suoi affari e
interessi in altro luogo e fosse iscritto ad altro Consiglio dell’ordine” (cfr. in tal senso:
Cass. civile, sez. II, 20 luglio 2010, n. 17050 in Guida al diritto 2010, 41, 62).
Sempre con riguardo a tale ipotesi, giova anche ricordare che la Corte Costituzionale ha
ritenuto non fondata “in riferimento all’art. 3 cost., la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 637, comma 3, c.p.c., nella parte in cui, stabilendo che gli
avvocati possono altresì proporre domanda di ingiunzione nei confronti dei propri
clienti al giudice competente per valore del luogo in cui ha sede il consiglio dell’ordine
degli avvocati al cui albo sono iscritti al momento della proposizione della domanda di
ingiunzione, attribuisce esclusivamente agli avvocati la possibilità di scegliere un foro
facoltativo in alternativa a quelli di cui agli art. 18, 19 e 20 c.p.c.; la ratio della
censurata disposizione - consistente nella finalità di agevolare l’avvocato per
consentirgli di concentrare le cause, nei confronti dei clienti, nel luogo in cui ha
stabilito l’organizzazione della propria attività professionale - esclude che sia violato il
principio di ragionevolezza, così come deve escludersi la denunciata violazione del
principio di uguaglianza, sia perché il riferimento agli altri cittadini non è pertinente,
perché la previsione normativa concerne i rapporti professionali tra gli avvocati ed i
clienti, sia perché per le altre categorie professionali, che non possono avvalersi della
stessa norma, vale il rilievo che ogni professione presenta caratteri peculiari idonei a
giustificarne una disciplina giuridica differenziata, mentre nel rapporto tra l’avvocato e
il cliente la facoltà processuale attribuita al primo, ai fini del recupero dei suoi crediti
per prestazioni professionali, costituisce il frutto di una scelta non irragionevole del
legislatore -sentt. n. 137 del 1975, 341 del 2006, 237 del 2007, 221 del 2008; ordd. n.
318 del 2008, 134 del 2009-” (cfr. in tal senso: Corte costituzionale, 18 febbraio 2010,
n. 50 in Giur. cost. 2010, 1, 602).
In dottrina (SCOTTI) si è osservato che, poiché queste competenze sono tuttora
operative, qualora l’avvocato ricorrente si avvalga della competenza di cui all’art. 637,
1° comma o 3° comma, c.p.c., potrebbe venirne fuori una sorta di monstrum in cui il
decreto ingiuntivo verrebbe emesso da un Ufficio e l’opposizione si svolgerebbe dinanzi
ad un altro, visto che il 2° comma dell’art. 14 D.Lgs. n. 150/2011 individua come
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competente l’ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l’avvocato ha
prestato la propria opera (tale diversificazione non ci sarebbe ovviamente nel caso in cui
l’avvocato ricorrente si avvalga della competenza alternativa di cui all’art. 637, 2°
comma, c.p.c.). Quindi, secondo tale dottrina, le alternative sarebbero le seguenti:
a) Si potrebbe sostenere che esista un’implicita deroga alla competenza anche
per la richiesta del decreto ingiuntivo, che andrebbe rivolta al Giudice di merito dinanzi
al quale si è svolto il procedimento in cui sono state prestate le attività professionali (e
quindi anche alla Corte di Appello, con tutti i problemi che ciò comporta), a prescindere
dal contenuto delle linee di difesa e dalla reazione processuale dell’intimato, che
l’avvocato ricorrente non può conoscere (in particolare, l’avvocato ricorrente non
potrebbe sapere se il giudizio di opposizione avrà ad oggetto la mera liquidazione
quantitativa del corrispettivo oppure una contestazione ad ampio spettro estesa anche
all’an debeatur).
b) In alternativa, si dovrebbe ritenere che non esista alcuna regola derogatoria e,
conseguentemente, che per la determinazione della competenza del Giudice del
procedimento monitorio valgano i criteri ordinari.
Peraltro, in tale seconda ipotesi non sembra concepibile che, in deroga al meccanismo di
opposizione al decreto ingiuntivo, l’opposizione debba essere proposta dinanzi ad un
Ufficio diverso da quello che ha emesso il decreto.
Com’è noto, infatti, la competenza del Giudice dell’opposizione è completamente
distinta da quella del Giudice del procedimento monitorio in senso stretto; ai sensi
dell’art. 645 c.p.c., infatti, “L’opposizione si propone davanti all’ufficio giudiziario al
quale appartiene il giudice che ha emesso il decreto …” e, secondo la Cassazione
prevalente, quella del Giudice dell’opposizione è una competenza funzionale ed
inderogabile (cfr. in tal senso, tra le tante: Cass. civile, Sezioni Unite, 08 marzo 1996, n.
1835; Cass. civile, Sezioni Unite, 08 ottobre 1992, n. 10985; Cass. civile, Sezioni
Unite, 08 ottobre 1992, n. 10984).
Pertanto, la strada preferibile sembra essere quella di interpretare
riduttivamente l’art. 14, 2° comma, D.Lgs. n. 150/2011, escludendo che esso si
riferisca anche al procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo.
A sostegno di tale soluzione ermeneutica deve aggiungersi che, diversamente
opinando, la norma implicherebbe una deroga ai previgenti criteri di competenza, in
contrasto con il contenuto della Legge delega n. 69/2009.
In forza del previgente art. 30 Legge n. 794/1942 anche l’opposizione a
decreto ingiuntivo doveva svolgersi con il rito camerale collegiale, allorché
l’avvocato avesse scelto lo strumento monitorio per il recupero di compensi
professionali spettanti per le prestazioni professionali erogate in un giudizio civile.
Peraltro, il giudizio di opposizione poteva investire anche un Ufficio non strutturato per
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operare collegialmente come, ad esempio, il Giudice di pace. Sul punto, può
richiamarsi Cass. civile, sez. II, 3 luglio 1998, n. 6492 in Giust. civ. Mass. 1998, 1453:
“La competenza ad emettere ingiunzione per onorari di avvocati, attribuita anche al
capo dell’ufficio giudiziario che ha deciso la causa a cui si riferisce tale credito, è
concorrente con quella del giudice competente per la proposizione della domanda in
via ordinaria, mentre l’adozione del rito camerale - anche da parte del giudice
monocratico non togato, come è argomentabile sia dall’art. 737 c.p.c., sia dall’art. 30 l.
13 giugno 1942 n. 794 - anziché di quello ordinario - necessario se l’opponente
contesta il conferimento dell’incarico al professionista - non determina nullità del
procedimento, se non è denunciata e provata la violazione del diritto di difesa.”
Attualmente, sotto il vigore del D. Lgs. n. 150/2011, come si è detto, secondo
parte della dottrina (BULGARELLI) non sarebbe ipotizzabile una competenza
funzionale anche del Giudice di pace, in quanto l’art. 14, 2° comma, D.Lgs. n.
150/2011 prevede la composizione collegiale dell’organo giudicante. Ad avviso di chi
scrive, quale logica conseguenza di tale tesi, l’opposizione al decreto ingiuntivo emesso
dal Giudice di Pace su richiesta dell’avvocato nei confronti del proprio cliente dovrebbe
dunque proporsi avanti all’ufficio del Giudice di Pace, secondo la procedura ordinaria.
Secondo altra parte della dottrina (SCOTTI), invece, la competenza funzionale
del Giudice di pace sarebbe invece ammissibile, in quanto l’art. 14, 2° comma. D.Lgs.
n. 150/2011 prevede la competenza collegiale del solo Tribunale (“Il tribunale decide in
composizione collegiale”), pur dovendosi considerare che la competenza del Giudice di
pace potrebbe risultare innovativa rispetto alla previgente disciplina, con il rischio di
una violazione della Legge delega che, come si è detto, ha prescritto il rispetto dei
criteri previgenti di competenza. Ad avviso di chi scrive, quale logica conseguenza di
tale tesi, l’opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Giudice di Pace su richiesta
dell’avvocato nei confronti del proprio cliente dovrebbe quindi ugualmente proporsi
avanti all’ufficio del Giudice di Pace, ma secondo il rito sommario di cognizione ex art.
14, D.Lgs. n. 150/2011.
Un ulteriore problema nasce dall’interferenza fra il Foro di cui all’art. 14 D.
Lgs. n. 150/2011 (tanto per il procedimento sommario, quanto per il procedimento
monitorio) con quello previsto dall’art. 33, 2° comma, lettera u), D. Lgs. n. 206/2005
(Codice del consumo), ove il cliente dell’avvocato sia un consumatore.
Se si considera, da una parte, l’origine comunitaria, inderogabile e poziore di
tale regola e, dall’altra parte, la dichiarata volontà del legislatore delegato di non
modificare nulla in tema di competenza, nelle controversie in oggetto deve ritenersi
operante il principio secondo cui, qualora il cliente rivesta la qualità di “consumatore” ai
sensi del D. Lgs. 206/2005 (Codice del consumo), il foro speciale esclusivo della sua
21
residenza o del suo domicilio ex art. 33, comma 2, lett. u), D. Lgs. citato prevale sulla
regola della competenza prevista dall’art.14 D. Lgs. n. 150/2011 (GIULIANI).
Una conferma in tal senso può trarsi dall’orientamento della Cassazione nel
vigore della precedente disciplina, secondo cui “in tema di competenza per territorio,
ove un avvocato abbia agito, con il procedimento di ingiunzione, al fine di ottenere dal
proprio cliente il pagamento di competenze professionali avvalendosi del foro speciale
di cui all’art. 637, comma 3, c.p.c., il rapporto tra quest’ultimo ed il foro speciale della
residenza o del domicilio del consumatore previsto dall’art. 33, comma 2, lett. u, D.lgs.
6 settembre 2005 n. 206 va risolto nel senso della prevalenza del foro del consumatore,
sia perché esso è esclusivo sia perché, trattandosi di due previsioni ‘speciali’, la norma
successiva ha una portata limitatrice di quella precedente” (cfr. in tal senso: Cass.
Civile, sez. III, 9.6.2011, n. 12685, in Giust. civ. Mass. 2011, 6, 877).
Pertanto, lo speciale procedimento contemplato dall’art. 14 D. Lgs. n. 150/2011,
con la regola della competenza incardinata presso il Giudice dell’Ufficio dinanzi al
quale sono state svolte le prestazioni professionali, potrà essere esperito dall’avvocato
soltanto nei casi in cui il foro del consumatore coincida con il foro speciale di cui
all’art.14, 2° comma, D. Lgs. n. 150/2011 oppure nei confronti di clienti che non siano
privati consumatori.
Al di fuori di queste ipotesi, il Giudice del foro davanti al quale l’avvocato ha
prestato la propria opera, adito con il procedimento di cui all’art. 14 D. Lgs. 150/2011,
dovrà rilevare la propria incompetenza per territorio.
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5. La composizione collegiale del Tribunale nelle controversie in materia di
liquidazione dei compensi degli avvocati
Come si è detto, analogamente a quanto già previsto dalla Legge n. 794/1942,
l’art. 14, 2° comma, D.Lgs. n. 150/2011 prevede la composizione collegiale del
Tribunale.
Appare evidente la discontinuità rispetto al modello di procedimento sommario
di cognizione delineato dal codice di procedura civile che, com’è noto, è applicabile
esclusivamente alle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica ex
art. 702 bis, 1° comma, c.p.c.
Sul punto, giova ribadire ancora una volta che l’art. 54 Legge delega n. 69/2009
aveva imposto al Governo che restassero “fermi i criteri di competenza, nonché i criteri
di composizione dell’organo giudicante, previsti dalla legislazione vigente” .
Peraltro, nel vigore della vecchia disciplina sussisteva un contrasto
giurisprudenziale sulla questione della composizione collegiale o monocratica del
Tribunale:
a) Secondo una parte della Cassazione, in tema di opposizione a decreto
ingiuntivo di liquidazione di competenze professionali richieste dall’avvocato per
prestazioni giudiziali in materia civile, la procedura camerale prevista dall’art. 30 Legge
n. 794/1942 non rientrava tra quelle che l’art. 50 bis c.p.c. riserva al Tribunale in
composizione collegiale, con la conseguenza che tale procedimento doveva essere
trattato dal Tribunale in composizione monocratica:
Cass. civile, sez. II, 22 marzo 2005, n. 10271 in Foro padano 2006, 2, 230: “La
procedura camerale prevista dall’art. 30 della l. n. 794 del 13 giugno 1942 non
rientra tra quelle che, ai sensi dell’art. 50 bis c.p.c. devono essere trattate dal
tribunale in composizione collegiale. Ne consegue che tale procedimento va trattato
dal tribunale in composizione monocratica. Gli art. 50 bis e 50 ter c.p.c. non hanno
però modificato gli art. 28 e 29 della Legge 13 giugno 1942 n. 794 i quali
prevedono la competenza funzionale del capo dell’ufficio giudiziario sicché la
competenza funzionale ed inderogabile spetta ora al Presidente del tribunale.”
Cass. civile, sez. II, 29 gennaio 2003, n. 1312 in Giust. civ. Mass. 2003, 215: “In
tema di opposizione a decreto ingiuntivo di liquidazione di competenze
professionali richieste da avvocato per prestazioni giudiziali in materia civile, la
procedura camerale prevista dall’art. 30 l. 13 giugno 1942 n. 794 non rientra tra
quelle che, ai sensi dell’art. 50 bis c.p.c., introdotto con il d.lg. 19 febbraio 1998 n.
51, devono essere trattate dal tribunale in composizione collegiale. Ne consegue che
tale procedimento va trattato dal tribunale in composizione monocratica.”
23
Cass. civile, sez. II, 25 settembre 2002, n. 13927 in Giust. civ. Mass. 2002, 1717:
“La procedura camerale prevista dagli art. 28 e 29 legge n. 794 del 1942 per la
liquidazione degli onorari e diritti di avvocato introdotta avanti al pretore in epoca
anteriore alla data (del 2 giugno 1999) di efficacia del d.lg. n. 51 del 1998 (giusta
successiva legge n. 188 del 1998) e non oggetto di effettiva trattazione del merito o
precisazione delle conclusioni, correttamente è giudicata dal tribunale in
composizione monocratica, in quanto l’art. 244, comma 2, del citato d.lg. n. 51 del
1998 dispone che le funzioni del pretore non espressamente attribuite ad altra
autorità sono devolute al tribunale in composizione monocratica ‘anche se relative
a procedimenti disciplinati dagli art. 737 e seguenti del c.p.c.’, ossia a procedimenti
in Camera di consiglio, pur se incidenti su diritti soggettivi, così esprimendo una
chiara eccezione alla riserva di collegialità prevista dall’art. 50 bis, comma 2,
c.p.c. (introdotto dall’art. 56 del medesimo d.lg. n. 51 del 1988), che prevede debba
il tribunale in composizione collegiale giudicare nei procedimenti in Camera di
consiglio disciplinati dagli art. 737 ss. ‘salvo che sia altrimenti disposto’. ”
b) Secondo altra parte della Cassazione, invece, il procedimento per la
liquidazione di onorari di avvocato ai sensi degli art. 28, 29 e 30 Legge n. 794/1942,
svolgentesi in camera di consiglio, doveva essere trattato dal Tribunale in composizione
collegiale, prevedendo l’art. 50 bis, 2° comma, c.p.c., per i procedimenti in camera di
consiglio disciplinati dagli art. 737 ss. c.p.c., una riserva di collegialità, dalla quale
restano esclusi soltanto quelli, tra i procedimenti camerali, per i quali sia altrimenti
disposto, e tra questi i procedimenti in camera di consiglio già di competenza del
Pretore, e ora attribuiti al Tribunale, secondo quanto dispone l’art. 244 del D.lgs. n.
51/1998; la Cassazione aveva anche chiarito che, in forza dell’art. 50 quater c.p.c.,
l’inosservanza della regola sulla composizione collegiale del Tribunale era causa di
nullità del provvedimento adottato, soggetta al principio generale della conversione in
motivo di impugnazione, ai sensi dell’art. 161 c.p.c. (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez.
II, 11 marzo 2004, n. 4967 in Giust. civ. Mass. 2004, 3 ed in Giur. it. 2004, 2271).
La Cassazione civile, Sezioni Unite, 20 luglio 2012, n. 12609 ha confermato
quest’ultimo orientamento, affermando che “le controversie in tema di liquidazione dei
compensi dovuti agli avvocati per l’opera prestata nei giudizi davanti al tribunale, ai
sensi degli art. 28, 29 e 30 Legge 13 giugno 1942 n. 794, rientrano fra quelle da
trattare in composizione collegiale, in base alla riserva prevista per i procedimenti in
camera di consiglio dall’art. 50 bis, comma 2, c.p.c., come peraltro confermato
dall’art. 14, comma 2, D.lgs. 1 settembre 2011 n. 150, per i procedimenti instaurati
successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso” (cfr. in tal senso: Cass.
civile, Sezioni Unite, 20 luglio 2012, n. 12609 in Giust. civ. Mass. 2012, 7-8, 938).
24
Giova ricordare che l’art. 28 Legge n. 794/1942 era stato abrogato, a decorrere
dal 16.12.2009, dall’art. 2, comma 1, D.L. 22.12.2008 n. 200, e successivamente
ripristinato dall’art. 1 Legge 18 febbraio 2009 n. 9, in sede di conversione.
La suddetta questione ha ovviamente perso rilevanza con riguardo alle
controversie di cui al novellato art. 28, Legge 13 giugno 1942 n. 794 ed all’opposizione
proposta a norma dell’art. 645 c.p.c. contro il decreto ingiuntivo riguardante onorari,
diritti o spese spettanti ad avvocati per prestazioni giudiziali, instaurate successivamente
all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150/2011, atteso che, come si è detto, l’art. 14, 2°
comma, contempla espressamente la composizione collegiale del Tribunale.
Peraltro, un Giudice di merito ha ritenuto che “non è manifestamente
infondata, per contrasto con l’art. 76 Cost., la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 3, comma 1, del d.lg. n. 150 del 2011, nella parte in cui prevede che anche alle
controversie di cui all’art. 14 del medesimo decreto non si applichi il comma secondo
dell’art. 702 ter c.p.c, e quella dell’art. 14, comma 2, del d.lg. n. 150 del 2011 nella
parte in cui prevede che il tribunale decida in composizione collegiale anziché
monocratica” (cfr. in tal senso: Tribunale Verona, 03 maggio 2013 in Redazione
Giuffrè 2013 ed in www.ilcaso.it - Sez. Giurisprudenza, 9151) (allegata sub 1 alla
presente relazione).
In motivazione, il Tribunale di Verona ha affermato, tra l’altro, quanto segue:
“Il Tribunale è chiamato a decidere in composizione collegiale sul ricorso di cui in
epigrafe, in conformità al disposto dell’art. 14, comma 2, del D.lgs. 150/2011.
Il legislatore delegato con tale norma ha mantenuto, per le controversie in materia di
liquidazione degli onorari, ivi compresa quella di opposizione al decreto ingiuntivo
ottenuto dall’avvocato, la collegialità derivante dall’art. 29 della L.794/1942 (il
contrasto giurisprudenziale sul punto è stato definitivamente risolto dalla pronuncia
della Cassazione a Sezioni Unite 20 luglio 2012 n. 12609), poiché ha ritenuto che il
criterio direttivo (art. 54, comma 4, lett. a) L.n.69/2009) che aveva stabilito che
restassero fermi “i criteri di composizione dell’organo giudicante previsti dalla
legislazione vigente” imponesse di adeguarsi al criterio fissato dalla norma speciale
sopra citata (sul punto si fa rinvio allo specifico passaggio che si legge a pag. 29 della
relazione governativa al D. lgs. 150/2011).
Il collegio ritiene però che diverso fosse il senso della suddetta indicazione della legge
delega e che, in particolare, il legislatore delegante non avesse inteso mantenere i
criteri di composizione dell’organo giudicante previsti dalle norme speciali abrogate
dal D. lgs. 150/2011 (gli artt, 29 e 30 della L.794/1942 sono stati abrogati dall’art. 34,
comma 16 del D.lgs.150/2011) ma quelli generali di cui all’art. 50 ter c.p.c., introdotto
dal D.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, che, nel riparto delle competenze, tra giudice
25
monocratico e giudice collegiale, ha stabilito che: “fuori dei casi previsti dall’articolo
50-bis, il tribunale giudica in composizione monocratica.”
A favore di questa interpretazione depone innanzitutto un argomento di ordine letterale,
ossia la considerazione che la legislazione presa a riferimento dalla direttiva sopra
citata non è qualificata come speciale, a differenza di quella menzionata ai successivi
commi b e c.
Sotto il profilo sistematico poi la lettura del criterio fissato dall’art. 54, comma 4 lett.
a) della legge 69/2009 qui proposta risulta del tutto coerente con un altro, e più
generale, criterio direttivo della legge delega, quello fissato dal comma 2 dell’art. 54
che richiedeva che la riforma realizzasse “il necessario coordinamento con le altre
disposizioni vigenti”.
Tale richiamo infatti non può che essere inteso come affermazione dell’esigenza di un
raccordo tra il decreto semplificazione e l’ordinamento previgente nel quale, a partire
dal D. lgs. 51/1998, il giudizio monocratico ha costituito la regola.
Si noti che, proprio sulla base di quest’ultimo rilievo, la Corte Costituzionale in passato
ha giudicato pienamente coerenti con il sistema alcuni interventi normativi, compiuti
attraverso lo strumento del decreto legislativo, che hanno reso monocratici giudizi che
prima erano stati collegiali, pur in assenza di una specifica indicazione in tal senso
nella corrispondente legge delega.
Ci si riferisce, in particolare, alla sentenza n.53 del 28 gennaio 2005 che ha sancito la
piena legittimità costituzionale dell’art. 170 del D. lgs. 30 maggio 2002 n.115 (Testo
unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia) che ha previsto, per
l’opposizione avverso il decreto di liquidazione dei compensi degli ausiliari del giudice,
che, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, il processo continuasse ad
essere quello speciale per gli onorari di avvocato, quindi di natura camerale, (già era
così infatti in virtù dell’art. 11, comma 6, della legge 8 luglio 1980 n.319) ma che
l’ufficio procedesse in composizione monocratica e non più in composizione collegiale.
In particolare la Corte, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità
costituzionale della norma sopra citata, in riferimento all’art. 76 Cost., ha osservato
che: “…non è necessario che sia espressamente enunciato nella delega il principio già
presente nell’ordinamento, essendo sufficiente il criterio del riordino di una materia
delimitata. Entro questi limiti il testo unico poteva innovare per raggiungere la
coerenza logica e sistematica e, come nel caso di specie, prevedere la composizione
monocratica anziché quella collegiale, applicando al processo in questione il principio
generale affermato con la riforma del 1998 al fine di rendere la disciplina più coerente
nel suo complesso e in sintonia con l’evolversi dell’ordinamento.”
Con altra pronuncia (sentenza 10 febbraio 2006 n. 52) la Corte ha anche escluso che
l’art. 170 del D. lgs. 30 maggio 2002 n.113 sia in contrasto con il parametro
costituzionale dell’art.3 Cost. nella parte in cui riconosce al giudice in composizione
26
monocratica la competenza a conoscere dell’opposizione, anche nell’ipotesi in cui il
provvedimento sia stato pronunciato da giudice in composizione collegiale, e come sia
invece “ragionevole il sistema di attribuzione del reclamo al giudice monocratico in
rapporto ad esigenze di buona amministrazione, rapidità, economie delle risorse.”
Sulla base di analoghe considerazioni la Corte (sentenza n.52 del 2005) ha parimenti
escluso l’illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 76 Cost. dell’art. 99,
comma 3, del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113, nella parte in cui dispone che
nel processo di opposizione avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza di
ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ovvero di revoca dell’ammissione già
accordata, l’ufficio giudiziario procede in composizione monocratica anziché
collegiale.
A fronte di un simile quadro di riferimento il perseguimento da parte del legislatore
delegato dei fini di semplificazione della riforma non poteva prescindere
dall’osservanza di quei principii, già evincibili dall’ordinamento nel suo complesso e
comunque richiamati in maniera onnicomprensiva dalla legge delega, che consentono
di raggiungere appieno il succitato obiettivo, anche sotto il profilo del contenimento
delle risorse da impiegare nell’amministrazione della giustizia.
Sempre sotto il profilo sistematico non va trascurato che la stessa legge n. 69/2009 ha
inteso ribadire, sia pure implicitamente, il principio generale della monocraticità del
giudizio di primo grado, sommario o di cognizione ordinaria, nel momento in cui con
l’art. 54, comma 5, ha abrogato il rito societario collegiale previsto dall’art. 1, comma
2, del D. lgs. 5/2003.
Per effetto di tale modifica sono state infatti sottratte al rito collegiale le controversie di
cui all’art. 1, lett. d) del D.lgs. 5/2003 (rapporti in materia di intermediazione
mobiliare da chiunque gestita, servizi e contratti di investimento, ivi compresi servizi
accessori, fondi di investimento ed altri) che, non rientrando in nessuna delle ipotesi di
cui all’art. 50 bis c.p.c., sono ora riservate, in virtù della regola dell’art. 50 ter c.p.c.,
alla decisione del giudice monocratico.
Ma anche il legislatore delegato ha dimostrato, invero contraddittoriamente, di
ispirarsi al predetto principio generale nel momento in cui ha attribuito al giudice
monocratico le controversie in materia di riconoscimento della protezione
internazionale (art. 19 D. lgs. 150/2011), sebbene esse, vertendo su uno status,
richiedano l’intervento obbligatorio del P.M, e in tal modo ha derogato al criterio
fissato dall’art. 50 bis n. 1 c.p.c. per tale tipologia di giudizi.
Ad avviso del collegio poi il disposto dell’art. 14, comma 2, del D.lgs. 150/2011, al pari
di quello dell’art. 3, comma 1, dello stesso testo, che comporta che al procedimento ex
art. 14 non si applichi il comma secondo dell’art. 702 ter c.p.c., oltre a porsi in
contrasto con il sistema normativo preesistente e con la stessa legge delega, conducono
27
ad un risultato incompatibile con la dichiarata finalità di semplificazione della riforma,
sotto un ulteriore profilo.
Tali norme infatti ammettono, all’interno della categoria dei procedimenti ricondotti al
procedimento sommario di cognizione, un modello processuale che costituisce un
unicum, in quanto rappresenta la sola ipotesi di procedimento sommario collegiale di
competenza del tribunale nel quale non è previsto l’intervento del Pubblico Ministero.
Per le ragioni sin qui esposte il collegio dubita, con riferimento al parametro dell’art.
76 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, del D.lgs.
150/2011, nella parte in cui esclude anche per la controversie di cui all’art. 14
l’applicazione del comma secondo dell’art. 702 ter c.p.c nonchè dell’art. 14, comma 2,
del D. lgs. 150/2011, nella parte in cui prevede che il tribunale decida in composizione
collegiale, perchè formulati in difetto o in eccesso di delega.
E’ poi evidente la rilevanza della questione poiché questo Tribunale è chiamato a
pronunciarsi sul ricorso di cui in epigrafe in una composizione diversa da quella che
poteva desumersi dalle indicazioni del legislatore delegante e dell’intero sistema.”
Naturalmente, l’attuale composizione collegiale dell’organo giudicante (nel caso
di competenza del Tribunale e, ovviamente, della Corte d’Appello), ha richiesto
l’adozione degli opportuni adattamenti delle norme in materia di trattazione e di
istruzione del procedimento, proprie del procedimento sommario c.d. “facoltativo”
previsto dagli artt. 702 bis e segg. c.p.c., espressamente limitato alle “cause in cui il
tribunale giudica in composizione monocratica.”
In particolare, deve richiamarsi l’art. 3, 2° comma, D.Lgs. n. 150/2011, ai sensi
del quale “Quando la causa è giudicata in primo grado in composizione collegiale, con
il decreto di cui all’articolo 702-bis, terzo comma, del codice di procedura civile il
presidente del collegio designa il giudice relatore. Il presidente può delegare
l’assunzione dei mezzi istruttori ad uno dei componenti del collegio.”
28
6. L’ambito oggettivo delle controversie in materia di liquidazione dei compensi
degli avvocati
Per affrontare la problematica (di non facile soluzione) relativa all’ambito
oggettivo delle controversie in materia di liquidazione dei compensi degli avvocati, è
opportuno richiamare gli orientamenti giurisprudenziali formatisi in relazione alla
previgente Legge 13 giugno 1942 n. 794 in materia di “Onorari di avvocato e di
procuratore per prestazioni giudiziali in materia civile.”
Come si è accennato in precedenza, secondo la tesi prevalente, l’avvocato che
voleva recuperare giudizialmente un credito professionale per prestazioni giudiziali
poteva optare per tre strade:
1) il procedimento speciale di cui agli artt. 28 e segg. Legge n. 794/1942
(limitatamente ai crediti relativi a procedimenti civili);
2) il procedimento monitorio per decreto ingiuntivo;
3) il giudizio ordinario di cognizione.
Secondo la tesi prevalente, il giudizio ordinario di cognizione era ammissibile
visto che (come si dirà meglio in seguito), il presupposto dell’esperibilità del
procedimento speciale era pur sempre la natura non contestata del credito e l’esigenza
soltanto di una sua determinazione quantitativa (ossia di una sua “liquidazione”), per cui
non si poteva negare all’avvocato che riteneva il proprio credito contestato o
contestabile oppure che semplicemente temeva una sua contestazione, la possibilità di
agire con lo strumento della cognizione ordinaria prevista obbligatoriamente proprio per
quel tipo di situazioni processuali.
Peraltro, secondo la Cassazione, lo speciale procedimento camerale di
liquidazione di onorari e diritti dell’avvocato previsto dagli art. 28 e segg. Legge 13
giugno 1942 n. 794 si riferiva soltanto ai compensi in materia giudiziale civile e non
anche in materia penale (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. II, 23 gennaio 2012, n. 876
in Guida al diritto 2012, 20, 59; Cass. civile, sez. II, 14 ottobre 2004, n. 20293 in Giust.
civ. Mass. 2004, 10).
In particolare, si richiama testualmente la seguente massima della Cassazione:
Cass. civile, sez. II, 14 ottobre 2004, n. 20293 in Giust. civ. Mass. 2004, 10:
“L’avvocato che abbia prestato la propria opera professionale in favore di persona
costituitasi parte civile in un processo penale non può ottenere il pagamento dei relativi
onorari valendosi del procedimento previsto dagli art. 29 e 30 l. 13 giugno 1942 n. 794,
applicabile per gli onorari e gli altri compensi spettanti agli avvocati per le prestazioni
professionali esplicate nell’ambito di un processo civile o di altri procedimenti a questo
equiparati dalla stessa legge n. 794 (procedimenti davanti a giudici speciali o davanti
agli arbitri). Pertanto il provvedimento decisorio dell’opposizione ad un decreto
29
ingiuntivo riguardante onorari e spese spettanti ad un avvocato per la difesa di una
parte civile in un processo penale ha a tutti gli effetti natura di sentenza emessa in un
ordinario giudizio di cognizione e quindi detto provvedimento è impugnabile solo
mediante appello e non già mediante ricorso per cassazione.”
Come pure chiarito dalla Suprema Corte, la normativa non trovava
applicazione nel caso di prestazioni rese dall’avvocato nei procedimenti
amministrativi (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. II, 14 ottobre 2004, n. 20293 in
Giust. civ. Mass. 2004, 10; Cass. civile, sez. II, 29 luglio 2004, n. 14394 in Giust. civ.
Mass. 2004, 7-8).
In particolare, si richiama testualmente la seguente massima della Cassazione:
Cass. civile, sez. II, 29 luglio 2004, n. 14394 in Giust. civ. Mass. 2004, 7-8: “La
speciale procedura camerale prevista dalla l. 13 giugno 1942 n. 794 per la liquidazione
delle competenze di avvocato e procuratore si riferisce esclusivamente ai compensi in
materia giudiziale civile, e non può, pertanto, trovare applicazione nel caso di
prestazioni rese dal legale dinanzi al giudice amministrativo, caso nel quale la
liquidazione deve seguire le forme ordinarie previste dal codice di procedura civile,
sicché il provvedimento conclusivo del procedimento, anche se adottato in forma di
ordinanza, costituisce a tutti gli effetti una sentenza che, come tale, è soggetta ai mezzi
ordinari di impugnazione (ossia, propriamente, all’appello).”
Sempre secondo la Cassazione, la procedura camerale prevista dagli art. 29 e 30
Legge n. 794/1942 per la liquidazione degli onorari e diritti di avvocato e procuratore
era dettata solo per le prestazioni giudiziali civili e non anche per le prestazioni
stragiudiziali (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. II, 23 gennaio 2012, n. 876 in Guida al
diritto 2012, 20, 59; Cass. civile, sez. II, 13 giugno 2007, n. 13847 in Giust. civ. Mass.
2007, 6).
Peraltro, sempre in tema di esercizio della professione forense, doveva
considerarsi prestazione giudiziale, ai fini della liquidazione delle competenze in base
alla legge professionale n. 79471942, anche l’assistenza e l’attività svolta dal difensore,
stragiudizialmente, per transigere una controversia, trattandosi di attività complementare
e dipendente da quella per cui gli è stato conferito il mandato (cfr. in tal senso: Cass.
civile, sez. II, 04 dicembre 2009, n. 25675 in Giust. civ. Mass. 2009, 12, 1670; Cass.
civile, sez. II, 13 giugno 2007, n. 13847 in Giust. civ. Mass. 2007, 6).
In particolare, si richiamano testualmente le seguenti massime della Cassazione sopra
citata:
Cass. civile, sez. II, 04 dicembre 2009, n. 25675 in Giust. civ. Mass. 2009, 12, 1670:
“In tema di esercizio della professione forense, è da considerare prestazione
giudiziale, ai fini della liquidazione delle competenze in base alla legge
professionale 13 giugno 1942 n. 794 e della relativa tariffa in materia giudiziale,
30
anche l’assistenza e l’attività svolta dal difensore, stragiudizialmente, per
transigere una controversia, trattandosi di attività complementare e dipendente da
quella per cui gli è stato conferito il mandato.”
Cass. civile, sez. II, 13 giugno 2007, n. 13847 in Giust. civ. Mass. 2007, 6: “La
procedura camerale prevista dagli art. 29 e 30 l. 13 giugno 1942 n. 794 per la
liquidazione degli onorari e diritti di avvocato e procuratore è dettata solo per le
prestazioni giudiziali civili, salvo essere ammessa anche per le prestazioni
stragiudiziali, allorché esse siano in funzione strumentale o complementare
all’attività propriamente processuale. Ne consegue che ove la corte d’appello abbia
dichiarato inammissibile il gravame avverso l’ordinanza di liquidazione emessa dal
tribunale a seguito di opposizione dei debitori, il professionista non può dolersi di
tale decisione limitandosi a dedurre la prestazione di duplice attività professionale,
ma ha l’onere di specificare, nel ricorso per cassazione, le ragioni che ostano a
siffatta strumentalità o complementarità. (Nella specie la S.C., nel rigettare il
ricorso, ha confermato che avverso il provvedimento reso dal tribunale,
qualificabile come ordinanza ancorché reso in forma di sentenza, avrebbe dovuto
esser proposto il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 cost.).”
Inoltre, secondo l’orientamento della Cassazione, lo speciale procedimento
camerale di liquidazione di onorari e diritti dell’avvocato previsto dagli art. 28 e segg.
Legge 13 giugno 1942 n. 794 era limitato alla determinazione del quantum dovuto al
professionista e non si estendeva anche all’an della pretesa, ossia ai suoi ai
presupposti:
Cass. civile, sez. II, 07 agosto 2002, n. 11882 in Giur. it. 2003, 2271: “In tema di
onorari e diritti dell’avvocato, non è applicabile lo speciale procedimento di
liquidazione dei compensi previsto dagli art. 28 e ss., l. 13 giugno 1942 n. 794,
qualora la controversia non involga solo il ‘quantum’ del compenso ma anche l’
‘an’ della pretesa: nella specie il provvedimento finale risulta impugnabile con
l’appello).”
Cass. civile, sez. II, 27 marzo 2001, n. 4419 in Giust. civ. Mass. 2001, 596: “La
speciale procedura di liquidazione dei compensi per le prestazioni giudiziali degli
avvocati in materia civile, regolata dagli art. 28 e ss. l. 13 giugno 1942 n. 794, non
è applicabile, quando il diritto al compenso dell’avvocato sia contestato nell’an.”
Precisamente, lo speciale procedimento previsto dagli art. 29 e 30 Legge n. 794
del 1942 (che doveva essere adottato anche nel caso in cui il patrono si fosse avvalso
dell’ingiunzione di cui all’art. 633 c.p.c.), trovava applicazione soltanto se la
controversia aveva ad oggetto il “quantum” del compensi dovuti al professionista, ossia
la determinazione della misura del compenso (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. II, 23
gennaio 2012, n. 876 in Guida al diritto 2012, 20, 59; Cass. civile, sez. II, 15 marzo
31
2010, n. 6225 in Giust. civ. Mass. 2010, 3, 370; Cass. civile, sez. II, 29 marzo 2005, n.
6578 in Giust. civ. Mass. 2005, 3; Cass. civile, sez. II, 21 aprile 2004, n. 7652 in Giust.
civ. Mass. 2004, 4 ) e non anche qualora:
il giudizio si estenda ad altri oggetti di accertamento e decisione, quali i presupposti
stessi del diritto al compenso, i limiti del mandato, l’effettiva esecuzione della
prestazione, la sussistenza di cause estintive o limitative della pretesa rinvenienti da
altri rapporti o le pretese avanzate dal cliente nei confronti del professionista (cfr.
sul punto: Cass. civile, sez. II, 23 gennaio 2012, n. 876 in Guida al diritto 2012, 20,
59; Cass. civile, sez. II, 4 giugno 2010, n. 13640 in Giust. civ. Mass. 2010, 6, 869;
Cass. civile, sez. II, 15 marzo 2010, n. 6225; Cass. civile, sez. II, 21 aprile 2004, n.
7652; Cass. civile, sez. II, 18 marzo 1999, n. 2471);
“vi sia contestazione sulla esistenza del rapporto di clientela, sull’avvenuta
transazione della lite o sulla natura giudiziale dei compensi, ovvero quando con
riconvenzionale sia dal cliente introdotto un nuovo e diverso petitum” (cfr. in tal
senso: Cass. civile, sez. III, 14 ottobre 2010, n. 21261 in Diritto & Giustizia 2010;
Cass. civile, sez. II, 09 settembre 2008, n. 23344 in Giust. civ. Mass. 2008, 9 1340;
in senso conforme cfr. anche Cass. civile, sez. II, 23 gennaio 2012, n. 876 in Guida
al diritto 2012, 20, 59; Cass. civile, sez. II, 21 maggio 2003, n. 7957 in Giust. civ.
Mass. 2003, 5);
“la parte ingiunta contesti la sussistenza del debito, eccependone l’avvenuto
pagamento” (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. II, 04 gennaio 2006, n. 29; Cass.
civile, sez. II, 31 agosto 2005, n. 17565);
la parte ingiunta contesti “l’eccessività delle pretese” (cfr. in tal senso: Cass. civile,
sez. II, 04 gennaio 2006, n. 29);
“venga contestata la fondatezza della pretesa del legale al compenso o l’effettiva
esecuzione delle prestazioni” (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. II, 17 maggio 2002,
n. 7259);
“l’opponente abbia introdotto, ampliando il thema decidendum, domande o
eccezioni riconvenzionali oppure abbia contestato i presupposti stessi del diritto del
patrono al compenso o l’effettiva esecuzione delle prestazioni” (cfr. in tal senso:
Cass. civile, sez. II, 11 ottobre 2001, n. 12409; Cass. civile, sez. II, 22 marzo 2001,
n. 4133);
“la controversia sia estesa al dedotto inadempimento del professionista alle
obbligazioni nascenti a suo carico dal rapporto professionale” (cfr. in tal senso:
Cass. civile, sez. II, 23 gennaio 2012, n. 876 in Guida al diritto 2012, 20, 59; Cass.
civile, sez. II, 08 agosto 2000, n. 10426) e/o “siano state avanzate
riconvenzionalmente dall’opponente pretese risarcitorie per asserita condotta
negligente od imperita del professionista” (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. II, 27
gennaio 1998, n. 786);
32
“siano contestati gli stessi presupposti del diritto del patrono, ovvero l’esistenza del
rapporto professionale o di clientela o le competenze reclamate riguardino, oltre
che prestazioni giudiziali in materia civile, prestazioni stragiudiziali in detta
materia, o in materia penale, o in giudizi amministrativi” (cfr. Cass. civile, sez. II,
23 gennaio 2012, n. 876 in Guida al diritto 2012, 20, 59; in senso conforme cfr.
anche Cass. civile, sez. II, 08 agosto 2000, n. 10426);
più in generale, “nel giudizio si facciano valere anche altre ragioni di merito o di
rito, di qualsiasi specie, sostanziali o processuali” (cfr. in tal senso: Cass. civile,
sez. II, 16 marzo 2007, n. 6166; Cass. civile, sez. II, 29 marzo 2005, n. 6578),
come, ad esempio, il “difetto di legittimazione passiva” (cfr. in tal senso: Cass.
civile, sez. II, 29 marzo 2005, n. 6578) o “il diritto al compenso dell’avvocato sia
contestato nell’an” (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. II, 27 marzo 2001, n. 4419);
“venga dedotta l’esistenza di più rapporti professionali con il difensore ed il
pagamento integrale di tutte le prestazioni professionali mediante versamenti
effettuati” in quanto “il thema decidendum necessariamente si amplia ed esorbita
dalla natura e dall’oggetto del procedimento speciale, postulando la verifica delle
diverse attività espletate e dei compensi complessivamente dovuti” (cfr. in tal senso:
Cass. civile, sez. III, 14 ottobre 2010, n. 21261 in Diritto & Giustizia 2010; Cass.
civile, sez. II, 09 settembre 2008, n. 23344 in Giust. civ. Mass. 2008, 9 1340).
Nelle predette ipotesi, secondo la Cassazione, “trattandosi di indagine
incompatibile con la trattazione nelle forme del rito speciale, vengono meno le ragioni
che giustificano la deroga al principio generale del doppio grado di giudizio ed il
procedimento deve svolgersi secondo il rito ordinario” (cfr. in tal senso: Cass. civile,
sez. III, 14 ottobre 2010, n. 21261 in Diritto & Giustizia 2010; Cass. civile, sez. II, 09
settembre 2008, n. 23344 in Giust. civ. Mass. 2008, 9 1340: nella specie era stato
ritenuto inammissibile il procedimento speciale perché il convenuto cliente, eccependo
il pagamento, aveva fatto riferimento alla somma da lui complessivamente versata in
relazione a numerosi rapporti intrattenuti negli anni addietro con il legale).
In altre parole, in tali casi, il procedimento ordinario attraeva nella sua sfera, per
ragioni di connessione, anche la materia propria del procedimento speciale e tutto il
giudizio si concludeva in primo grado con un provvedimento impugnabile solo con
l’appello (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. II, 23 gennaio 2012, n. 876 in Guida al
diritto 2012, 20, 59).
Ciò chiarito, nel caso di controversia instaurata ai sensi degli artt. 28 e segg.
Legge n. 794/1942 non limitata (sin dall’origine oppure a seguito delle difese del
cliente) alla determinazione della misura dei compensi, la giurisprudenza di legittimità
non era peraltro univoca sul provvedimento che doveva essere pronunciato dal
Giudice erroneamente adito e, dunque, sulla sorte del procedimento:
33
a) Invero, secondo una parte della Cassazione, quando il diritto al compenso
dell’avvocato era contestato nell’an, non essendo applicabile la speciale procedura di
liquidazione dei compensi per le prestazioni giudiziali degli avvocati in materia civile,
regolata dagli art. 28 e ss. l. 13 giugno 1942 n. 794, il Giudice adito doveva ordinare, se
il contraddittorio era regolarmente instaurato, la trasformazione del rito, ossia la
prosecuzione del procedimento con l’ordinario rito di cognizione:
Cass. civile, sez. II, 24 febbraio 2004, n. 3637: “Lo speciale procedimento
abbreviato di cui agli art. 28 e 29 legge n. 794 del 1942, esperibile dall’avvocato
per ottenere la liquidazione delle spese, dei diritti e degli onorari giudiziali nei
confronti del proprio cliente, è utilizzabile anche nei confronti della controparte (ai
sensi dell’art. 68, r.d.l. n. 1578 del 1933) qualora ricorra l’ipotesi, non contestata,
della definizione del giudizio mediante transazione. In mancanza di uno dei
presupposti (nel caso di specie, contestazione del dedotto accordo transattivo) non
può dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, ma il procedimento prosegue
trasformandosi in un ordinario giudizio di cognizione.”
Cass. civile, sez. II, 30 agosto 2001, n. 11346 in Giust. civ. Mass. 2001, 1630: “Lo
speciale procedimento abbreviato di cui agli art. 28 e 29 legge n. 794 del 1942 e 68
del r.d.l. n. 1578 del 1933 può essere proposto dall’avvocato soltanto per ottenere
la liquidazione delle spese, dei diritti e degli onorari giudiziali nei confronti del
proprio cliente sempre che sussista uno dei presupposti previsti da dette norme, in
quanto non vengano contestati il rapporto di clientela o il credito vantato. Peraltro,
nel caso in cui la mancanza del presupposto emerga in occasione della
comparizione delle parti in camera di consiglio, il giudice adito deve limitarsi a
dichiarare l’inammissibilità del ricorso e, nell’ipotesi di regolare instaurazione del
contraddittorio, deve ordinare che il procedimento prosegua secondo l’ordinario
rito di cognizione avanti all’autorità giudiziaria competente.”
Cass. civile, sez. II, 27 marzo 2001, n. 4419 in Giust. civ. Mass. 2001, 596:
“Quando il diritto al compenso dell’avvocato sia contestato nell’an, la speciale
procedura di liquidazione dei compensi per le prestazioni giudiziali degli avvocati
in materia civile, regolata dagli art. 28 e ss. l. 13 giugno 1942 n. 794, non è
applicabile e, pertanto, in tale ipotesi, il giudice adito deve dichiarare
l’inammissibilità del ricorso proposto ed ordinare, se il contraddittorio è
regolarmente costituito, che il procedimento prosegua con l’ordinario rito di
cognizione (e l’ordinanza pronunziata in tal senso non è impugnabile con ricorso
per cassazione ai sensi dell’art 111 cost., perché, non avendo contenuto decisorio,
non acquista autorità di giudicato e non preclude la possibilità di proporre la
domanda di liquidazione degli onorari in via ordinaria).”
Cass. civile, sez. I, 27 febbraio 1995, n. 2229 in Giust. civ. Mass. 1995, 455: “Lo
speciale procedimento abbreviato di cui agli art. 28 e 29 legge n. 794 del 1942 e 68
34
del r.d.l. n. 1578 del 1933 impiegabile dall’avvocato e dal procuratore legale
soltanto per ottenere la liquidazione delle spese, dei diritti e degli onorari giudiziali
nei confronti del proprio cliente e, se la controversia si sia conclusa con una
transazione, anche della controparte, con la conseguenza che esso non può essere
iniziato o proseguito ove faccia difetto uno dei presupposti previsti da dette norme
(in quanto manchino, o vengano contestati, il rapporto di clientela, la natura
giudiziale delle competenze pretese o l’avvenuta transazione della lite). Peraltro,
nel caso in cui la mancanza del presupposto emerga in occasione della
comparizione delle parti in camera di consiglio, il competente Capo dell’ufficio
giudiziario adito non può dichiarare l’inammissibilità del ricorso, per la sola
accertata inapplicabilità del procedimento speciale, ma, stante la regolare
instaurazione del contraddittorio, deve ordinare che il procedimento prosegua
secondo l’ordinario rito di cognizione.”
b) Peraltro, la Cassazione più recente riteneva che, anche quando l’inesistenza
dei presupposti per l’applicazione del procedimento speciale ex art. 28 e 29 della Legge
n. 794 del 1942 fosse emersa all’udienza di comparizione delle parti dopo la regolare
costituzione del contraddittorio e, dunque, in presenza di contestazioni sull’an il
Giudice del procedimento speciale si doveva limitare ad una mera pronuncia di
inammissibilità, senza disporre il mutamento del rito al fine di consentire la
prosecuzione del giudizio nelle forme ordinarie davanti al giudice competente; secondo
tale orientamento, infatti, il mutamento del rito, ossia il passaggio a quello ordinario,
non si poteva configurare perché il procedimento originario aveva natura sommaria con
un oggetto diverso e una disciplina semplificata rispetto alla puntuale regolamentazione
del secondo:
Cass. civile, sez. II, 5 agosto 2011, n. 17053: “L’ordinanza con la quale il tribunale
— adito, ai sensi degli art. 28 e 29 l. 13 giugno 1942 n. 794, per la liquidazione dei
compensi professionali di un avvocato — abbia dichiarato l’inapplicabilità di tale
procedura a causa della contestazione del credito non è impugnabile con ricorso
straordinario per cassazione, non avendo contenuto decisorio né potendo
acquistare autorità di cosa giudicata; né può disporsi il mutamento del rito in un
ordinario giudizio di cognizione, con conseguente conservazione degli atti già
compiuti, presupponendo il mutamento del rito l’esistenza di due procedimenti a
cognizione piena, mentre lo speciale procedimento per la liquidazione degli onorari
è sommario e ha un oggetto diverso rispetto a quello per il quale si procede con
cognizione ordinaria.”
Cass. civile, sez. II, 09 settembre 2008, n. 23344 in Giust. civ. Mass. 2008, 9 1340
ed in Diritto & Giustizia 2008: “In tema di liquidazione di diritti ed onorari di
avvocato anche quando l’inesistenza dei presupposti per l’applicazione del
procedimento speciale ex art. 28 e 29 della Legge n. 794 del 1942 emerga
35
all’udienza di comparizione delle parti dopo la regolare costituzione del
contraddittorio, deve essere dichiarata esclusivamente l’inammissibilità del ricorso
senza disporre il mutamento del rito al fine di consentire la prosecuzione del
giudizio nelle forme ordinarie davanti al giudice competente; il mutamento del rito,
cioè il passaggio a quello ordinario, non si può configurare perché il procedimento
originario ha natura sommaria con un oggetto diverso e una disciplina semplificata
rispetto alla puntuale regolamentazione del secondo.”
Un altro problema concerneva la natura di Sentenza o Ordinanza del
provvedimento conclusivo del procedimento e, dunque, il regime dell’impugnazione,
nel caso di erronea trattazione e decisione della causa (GIULIANI):
con il rito ordinario, nel caso di controversia limitata alla determinazione della
misura dei compensi oppure
con il rito camerale speciale artt. 28 e segg. Legge n. 794/1942, nel caso di
controversia non limitata (sin dall’origine oppure a seguito delle difese del cliente)
alla determinazione della misura dei compensi.
Secondo la tesi della prevalente giurisprudenza della Cassazione, in tali casi
operava la prevalenza della natura sostanziale del provvedimento sulla sua forma:
1) Pertanto, qualora il Giudice adito, a conclusione di un procedimento
instaurato ai sensi degli artt. 28 ss. Legge n. 794/1942, non si fosse limitato a decidere
sulla controversia tra avvocato e cliente circa la determinazione della misura dei
compensi, ma si fosse pronunciato anche sui presupposti del diritto al compenso,
relativi all’esistenza e alla persistenza del rapporto obbligatorio, l’intero giudizio
doveva concludersi in primo grado con un provvedimento che, quand’anche adottato in
forma di Ordinanza, aveva valore di Sentenza e, dunque, poteva essere impugnato con il
solo mezzo dell’appello:
Cass. civile, sez. II, 03 febbraio 2012, n. 1666 in Giust. civ. Mass. 2012, 2, 127: “In
tema di compensi per le prestazioni giudiziali degli avvocati in materia civile, il
provvedimento con cui il giudice adito, a conclusione di un processo iniziato ai
sensi degli art. 28 ss. l. 13 giugno 1942 n. 794, non si limiti a decidere sulla
controversia tra l’avvocato ed il cliente circa la determinazione della misura degli
onorari, ma pronunci anche sui presupposti del diritto al compenso, relativi
all’esistenza e alla persistenza del rapporto obbligatorio, pur se qualificato come
ordinanza, riveste natura sostanziale di sentenza con la conseguenza che esso può
essere impugnato con il solo mezzo dell’appello e non invece con il ricorso
straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., trattandosi di questioni di
merito, la cui cognizione non può essere sottratta al doppio grado di giurisdizione.”
Cass. civile, sez. II, 23 gennaio 2012, n. 876 in Guida al diritto 2012, 20, 59: “In
tema di liquidazione degli onorari di avvocato nei confronti del cliente, il giudizio
36
d’opposizione deve svolgersi in ogni caso ex art. 29 e 30 l. 794/1942, con la
conseguenza che al provvedimento conclusivo va attribuita natura sostanziale di
ordinanza, sottratta all’appello e impugnabile solo con ricorso per cassazione ex
art. 111 cost. Queste regole non possono trovare applicazione quando la
controversia non verta unicamente sulla misura del compenso dovuto all’avvocato e
procuratore per prestazioni giudiziali in materia civile, in quanto siano contestati
gli stessi presupposti del diritto del patrono, ovvero l’esistenza del rapporto
professionale o di clientela o le competenze reclamate riguardino, oltre che
prestazioni giudiziali in materia civile, prestazioni stragiudiziali in detta materia, o
in materia penale, o in giudizi amministrativi oppure la controversia sia estesa al
dedotto inadempimento del professionista alle obbligazioni nascenti a suo carico
dal rapporto professionale. In tali casi, il procedimento ordinario attrae nella sua
sfera, per ragioni di connessione, anche la materia propria del procedimento
speciale e tutto il giudizio si conclude in primo grado con un provvedimento
impugnabile solo con l’appello.”
Cass. civile, sez. II, 4 giugno 2010, n. 13640 in Giust. civ. Mass. 2010, 6, 869: “In
tema di liquidazione degli onorari e diritti di avvocati, non è ammissibile il ricorso
alla speciale procedura di cui agli art. 28 e 29 l. 13 giugno 1942 n. 794 qualora la
controversia non abbia ad oggetto soltanto la semplice determinazione della misura
del compenso, ma si estenda altresì ad altri oggetti d’accertamento e di decisione,
quali i presupposti stessi del diritto al compenso, i limiti del mandato, la sussistenza
di cause estintive o limitative della pretesa; in tal caso, il procedimento ordinario
attrae nella sua sfera, per ragioni di connessione, anche la materia propria del
procedimento speciale e l’intero giudizio non può non concludersi in primo grado
se non con un provvedimento che, quand’anche adottato in forma d’ordinanza, ha
valore di sentenza e può essere impugnato con il solo mezzo dell’appello.”
Cass. civile, sez. II, 10 agosto 2007, n. 17622 in Giust. civ. Mass. 2007, 9: “La
speciale procedura di liquidazione dei compensi per le prestazioni giudiziali degli
avvocati in materia civile, regolata dagli art. 28 ss. della l. n. 794 del 1942, non è
applicabile quando la controversia riguardi non soltanto la semplice
determinazione della misura del compenso spettante al professionista, bensì anche
altri oggetti di accertamento e decisione, quali i presupposti stessi del diritto al
compenso, i limiti del mandato, l’effettiva esecuzione delle prestazioni e la
sussistenza di cause estintive o limitative della pretesa azionata. (Nella specie la
S.C. - riconoscendo natura sostanziale di sentenza al provvedimento del tribunale
che aveva deciso col rito camerale l’opposizione a decreto ingiuntivo su crediti
professionali di avvocato, ancorché la decisione fosse formalmente un’ordinanza -
ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per cassazione contro tale pronuncia,
37
essendo la medesima impugnabile soltanto con l’appello, proprio in quanto avente
natura decisoria non soltanto della semplice misura del compenso).”
2) Analogamente, nel caso inverso, qualora il Giudice adito, a conclusione di un
procedimento ordinario di cognizione (frequente nel caso di opposizione a decreto
ingiuntivo trattata e decisa col rito ordinario, nonostante l’opposizione avesse ad
oggetto solo la determinazione della misura del compenso liquidata con il decreto)
avente ad oggetto una controversia tra avvocato e cliente limitata alla determinazione
della misura dei compensi, l’intero giudizio doveva concludersi in primo grado con un
provvedimento che, quand’anche adottato in forma di Sentenza, aveva valore di
Ordinanza, in quanto tale sottratta all’appello ed impugnabile solo con il ricorso per
cassazione ex art. 111 Cost.:
Cass. civile, sez. II, 15 marzo 2010, n. 6225 in Giust. civ. Mass. 2010, 3, 370; Cass.
civile, sez. II, 07 agosto 2002, n. 11882 in Giust. civ. Mass. 2002, 1498: “In tema di
onorari e di diritti di avvocato, ancorché il difensore si sia avvalso dell’ordinario
procedimento per ingiunzione ex art. 633 ss. c.p.c., l’opposizione avverso il
provvedimento di liquidazione deve svolgersi secondo lo speciale procedimento
previsto dagli art. 29 e 30 l. 13 giugno 1942 n. 794, dovendosi riconoscere alla
decisione conclusiva, anche se adottata nella forma della ‘sentenza’, natura
sostanziale di ‘ordinanza”, sottratta all’appello ed impugnabile solo con il ricorso
per cassazione ex art. 111 cost.”
Cass. civile, sez. II, 31 agosto 2005, n. 17565 in Giust. civ. Mass. 2005, 6: “Nel
caso in cui, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di onorari
di avvocato, la parte ingiunta contesti la sussistenza del debito, eccependone
l’avvenuto pagamento, l’oggetto del giudizio esula da quello proprio del
procedimento disciplinato dagli art. 29 ss. legge n. 794 del 1992, che è limitato alla
determinazione della misura del compenso spettante al professionista, con l’effetto
che la relativa decisione ha natura sostanziale di sentenza di primo grado e può
essere impugnata soltanto con l’appello, e non con il ricorso in cassazione, che è
conseguentemente inammissibile.”
Cass. civile, sez. II, 29 marzo 2005, n. 6578 in Giust. civ. Mass. 2005, 3: “Le
decisioni sulle opposizioni a decreto ingiuntivo in materia di onorari professionali
dovuti agli avvocati hanno valore di ordinanza, e come tali sono impugnabili solo a
mezzo di ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 cost., solo nelle ipotesi in
cui sia controverso soltanto il quantum del compensi dovuti al professionista,
mentre hanno valore di sentenza, e come tali sono appellabili, qualora
nell’opposizione si facciano valere anche altre ragioni di merito (quali, come nella
specie, il difetto di legittimazione passiva).”
Cass. civile, sez. II, 07 agosto 2002, n. 11882 in Giust. civ. Mass. 2002, 1498: “In
tema di onorari e di diritti di avvocato, ancorché il difensore si sia avvalso
38
dell’ordinario procedimento per ingiunzione ex art. 633 ss. c.p.c., l’opposizione
avverso il provvedimento di liquidazione deve svolgersi secondo lo speciale
procedimento previsto dagli art. 29 e 30 l. 13 giugno 1942 n. 794, dovendosi
riconoscere alla decisione conclusiva, anche se adottata nella forma della sentenza,
natura sostanziale di ordinanza, sottratta all’appello ed impugnabile solo con il
ricorso per cassazione ex art. 111 cost. Tale principio non può, tuttavia, trovare
applicazione quando la controversia non involga unicamente la misura del
compenso dovuto all’avvocato per prestazioni giudiziali in materia civile, ma siano
contestati i presupposti stessi del diritto del patrono al compenso, potendo, in tal
caso, la sentenza pronunciata all’esito del giudizio di opposizione essere impugnata
soltanto con l’appello. Nondimeno, qualora, come nella specie, l’ordinanza -
sentenza in discorso sia stata pronunciata dal giudice di pace secondo equità - tale
dovendosi sempre considerare, a norma dell’art. 113 c.c., la decisione delle cause il
cui valore è inferiore a due milioni di lire, ancorché dell’equità il giudice di pace
(come nella specie) non abbia fatto menzione - essa è impugnabile solo con ricorso
per cassazione.”
3) Peraltro, la Cassazione civile, Sezioni Unite, 11 gennaio 2011, n. 390 (seguita
da Cass. civile, sez. II, 19 maggio 2011, n. 11024) ha temperato il predetto criterio
della prevalenza della sostanza sulla forma del provvedimento, facendo applicazione del
principio dell’apparenza, affermando che, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo
per onorari e altre spettanze dovuti dal cliente al proprio difensore per prestazioni
giudiziali civili, al fine di individuare il regime impugnatorio del provvedimento
(Sentenza oppure Ordinanza ex art. 30 Legge n. 794/1942) che ha deciso la
controversia, assume rilevanza la forma adottata dal giudice, ove la stessa sia frutto di
una consapevole scelta, che può essere anche implicita e desumibile dalle modalità con
le quali si è in concreto svolto il relativo procedimento:
Cass. civile, Sezioni Unite, 11 gennaio 2011, n. 390 in Giust. civ. Mass. 2011, 1, 33,
in Giust. civ. 2011, 3, 623, in Il civilista 2011, 3, 21 ed in Diritto & Giustizia 2011:
“In tema di opposizione a decreto ingiuntivo per onorari e altre spettanze dovuti dal
cliente al proprio difensore per prestazioni giudiziali civili, al fine di individuare il
regime impugnatorio del provvedimento - sentenza oppure ordinanza ex art. 30 l. 13
giugno 1942 n. 794 - che ha deciso la controversia, assume rilevanza la forma
adottata dal giudice, ove la stessa sia frutto di una consapevole scelta, che può
essere anche implicita e desumibile dalle modalità con le quali si è in concreto
svolto il relativo procedimento (Nella specie, le S.U. hanno cassato la sentenza
della Corte territoriale che aveva dichiarato inammissibile il gravame avverso la
sentenza emessa dal giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo, per somme
relative a prestazioni giudiziali civili, reputando che si trattasse, nella sostanza, di
ordinanza inappellabile ai sensi dell’art. 30 l. n. 794 del 1942, nonostante detta
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Il procedimento sommario per la tutela dei crediti giustizia

  • 1. 1 “Il procedimento sommario per la tutela dei crediti di giustizia ” Corso a metodologia mista – cod. P13072 – della Scuola superiore della magistratura tenutosi dal 04 al 06 dicembre 2013 E d o a r d o D i C a p u a 1 Sommario: 1. Cenni sul procedimento sommario di cognizione “obbligatorio”, disciplinato dagli articoli 3 e 14-30 D.Lgs. n. 150/2011 2. Le disposizioni comuni alle controversie disciplinate dal rito sommario di cognizione, ex art. 3 D.Lgs. n. 150/2011 3. Generalità sulla disciplina delle controversie in materia di liquidazione dei compensi degli avvocati 4. La competenza nelle controversie in materia di liquidazione dei compensi degli avvocati 5. La composizione collegiale del Tribunale nelle controversie in materia di liquidazione dei compensi degli avvocati 6. L’ambito oggettivo delle controversie in materia di liquidazione dei compensi degli avvocati 7. Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo proposto ai sensi dell’art.645 c.p.c. contro il decreto ingiuntivo riguardante compensi o spese spettanti ad avvocati per prestazioni giudiziali 1 Relazione di Edoardo Di Capua, giudice del tribunale di Torino. Le opinioni espresse non impegnano la Scuola superiore della magistratura. La Scuola è peraltro, quale organizzatrice dell’iniziativa formativa e per intesa con il relatore che ne assevera l’originalità, titolare di ogni diritto sul testo. La riproduzione non autorizzata sarà perseguita nelle forme di legge.
  • 2. 2 8. Generalità sulla disciplina delle controversie in tema di spese di giustizia 9. A) L’opposizione al decreto di liquidazione dei compensi del custode, dell’ausiliario del magistrato e delle imprese private cui è affidato l’incarico di demolizione e riduzione in pristino 10. B) L’opposizione al decreto di pagamento dell’onorario e delle spese spettanti al difensore, all’ausiliario del magistrato, al consulente tecnico di parte e all’investigatore privato, in caso di ammissione al patrocinio a spese dello Stato 11. C) L’opposizione al provvedimento di liquidazione dell’onorario e delle spese spettanti al difensore della persona ammessa al programma di protezione dei collaboratori di giustizia, al difensore d’ufficio, al difensore d’ufficio di persona irreperibile e al difensore d’ufficio del minore 12. D) L’opposizione al provvedimento con cui il Giudice nega l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato 13. E) L’impugnazione del provvedimento di revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato 14. Gli aspetti procedurali della disciplina delle controversie in tema di spese di giustizia
  • 3. 3 1. Cenni sul procedimento sommario di cognizione “obbligatorio”, disciplinato dagli articoli 3 e 14-30 D.Lgs. n. 150/2011 L’art. 54, 1° e 2° comma, Legge 18 giugno 2009 n. 69 ha conferito al Governo la delega ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione che rientrano nell’ambito della giurisdizione ordinaria e che sono regolati dalla legislazione speciale, realizzando il conseguente necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti. L’art. 54, 4° comma, Legge 18.6.2009 n. 69, ha così determinato i principi e criteri direttivi ai quali, nell’esercizio della predetta delega, il Governo doveva attenersi: A) restano fermi i criteri di competenza, nonché i criteri di composizione dell’organo giudicante, previsti dalla legislazione vigente; B) i procedimenti civili di natura contenziosa autonomamente regolati dalla legislazione speciale sono ricondotti ad uno dei seguenti modelli processuali previsti dal codice di procedura civile: 1) i procedimenti in cui sono prevalenti caratteri di concentrazione processuale, ovvero di officiosità dell’istruzione, sono ricondotti al rito disciplinato dal libro II, titolo IV, capo I, del codice di procedura civile, ovvero al rito del lavoro; 2) i procedimenti, anche se in camera di consiglio, in cui sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa, sono ricondotti al procedimento sommario di cognizione di cui al libro IV, titolo I, capo III bis, del codice di procedura civile, come introdotto dall’art. 51 della presente legge, restando tuttavia esclusa per tali procedimenti la possibilità di conversione nel rito ordinario; 3) tutti gli altri procedimenti sono ricondotti al rito di cui al libro II, titoli I e III, ovvero titolo II, del codice di procedura civile, vale a dire al rito ordinario; C) la riconduzione ad uno dei riti di cui ai numeri 1), 2) e 3) della lett. b) non comporta l’abrogazione delle disposizioni previste dalla legislazione speciale che attribuiscono al giudice poteri officiosi, ovvero di quelle finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile; D) Restano in ogni caso ferme le disposizioni processuali: in tema di procedure concorsuali; in tema di famiglia e minori; di cui al regio decreto 14 dicembre 1933, n. 1669 (legge assegno); di cui al regio decreto 21 dicembre 1933, n. 1736 (legge cambiaria); di cui alla legge 20 maggio 1970, n. 300 ( Statuto dei lavoratori);
  • 4. 4 di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprietà industriale); di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del consumo). In sostanza, l’attività del Legislatore Delegato era stata vincolata alla riconduzione forzata di ciascuno dei procedimenti civili di natura contenziosa autonomamente regolati dalla legislazione speciale (fatte salve le predette eccezioni) ad uno dei tre modelli previsti dal codice di rito. Il Legislatore Delegato si è peraltro apertamente professato fedele alla regola del “Legislatore consapevole”, manifestando l’intendimento (lodevole) di conformarsi alle chiavi giurisprudenziali di lettura interpretativa delle norme nonché quello (doveroso) di rispettare le pronunce della Consulta e le abrogazioni implicite. Ne consegue una struttura normativa divisa in cinque capi: il primo è dedicato alle disposizioni di carattere generale; il secondo al rito del lavoro; il terzo al rito sommario il quarto al rito ordinario; il quinto alle abrogazioni e alle modificazioni delle leggi speciali, nonché alla disciplina transitoria. Con il D.Lgs. 1.9.2011 n. 150, approvato definitivamente dal Consiglio dei Ministri l’1.9.2011, la delega legislativa è stata esercitata. L’art. 1 D.Lgs. n. 150/2011 (“Definizioni”) prevede testualmente quanto segue: “1. Ai fini del presente decreto si intende per: a) Rito ordinario di cognizione: il procedimento regolato dalle norme del titolo I e del titolo III del libro secondo del codice di procedura civile; b) Rito del lavoro: il procedimento regolato dalle norme della sezione II del capo I del titolo IV del libro secondo del codice di procedura civile; c) Rito sommario di cognizione: il procedimento regolato dalle norme del capo III bis del titolo I del libro quarto del codice di procedura civile.” Peraltro, come si è osservato in dottrina (SCARPA) l’obbiettivo di semplificazione dei riti civili che doveva animare l’intento riformatore sembra, almeno in parte, vanificato. In primo luogo, infatti, ciò è stata la conseguenza dei limiti imposti dalla delega di cui all’art. 54 Legge n. 69/2009, per cui non sono stati modificati i criteri di competenza previgente né la composizione dell’organo giudicante, così come non sono
  • 5. 5 state abrogate singole disposizioni previste dalla legislazione speciale attributive di poteri officiosi (SCARPA). Inoltre, la tecnica legislativa adottata dal legislatore delegato non appare del tutto coerente con il fine di semplificazione effettiva dei riti civili, non essendosi esaurita nell’individuare categorie di controversie alle quali applicare l’uno o l’altro dei modelli di giudizio speciale di riferimento individuati dalla legge delega, avendo inciso sulla disciplina stessa dei singoli modelli, modificandola in parte per dettare disposizioni comuni alle singole controversie cui essa deve applicarsi. In pratica, la prescelta attuazione governativa della delega sulla semplificazione dei procedimenti civili, nel tentativo di operare una reductio ad unitatem, ha finito per favorire l’insorgere di altrettanti sottoriti lavoro e sottoriti sommari (SCARPA). Così, nel capo I del D.lgs. 1.9.2011 n. 150, dedicato alle Disposizioni generali, gli artt. 2 e 3, introducono le disposizioni comuni, rispettivamente, alle controversie che, ai sensi del successivo capo II, sono regolate dal rito del lavoro, e, ai sensi del successivo capo III, sono sottoposte al rito sommario di cognizione, ma contengono delle significative differenze rispetto al procedimento di cui agli artt. 409 ss. c.p.c. ed a quello di cui agli artt. da 702 bis a 702 quater c.p.c. Inoltre, nel disciplinare ciascuna singola specie di controversia alla quale deve applicarsi il rito di destinazione, ciascuno degli artt. da 6 a 13 (per quanto riguarda le liti regolate dal rito del lavoro) e artt. da 14 a 30 (per quanto riguarda le cause regolate secondo il procedimento sommario di cognizione) del decreto delegato si apre disponendo che a quella specifica categoria di lite si applica il modello di rito (lavoro, sommario o ordinario) prescelto dal legislatore, “ove non diversamente stabilito dalle disposizioni del presente articolo.” In particolare, per quanto riguarda il procedimento sommario di cognizione, l’effetto della sovrapposizione normativa tra l’art. 51, 1° comma, Legge 18.6.2009, n. 69, e gli artt. 3 e 14-30 del D.lgs. 1.9.2011, n. 150, può essere schematizzato come segue: Il procedimento sommario di cognizione disciplinato dagli articoli 3 e 14-30 del D.lgs. n. 150/2011 può qualificarsi come “obbligatorio”: nelle materie elencate, il procedimento sommario di cognizione non è facoltativo, ma obbligatorio, poiché costituisce il rito speciale che deve essere utilizzato dall’attore che introduca una delle controversie per le quali esso è prescritto, e l’eventuale erronea scelta di un diverso rito comporta, ai sensi dell’art. 4 del decreto delegato, il mutamento, anche d’ufficio, in quello sommario, salvo che non venga rilevata d’ufficio, né eccepita, entro la prima udienza.
  • 6. 6 Il legislatore delegato, sul presupposto della prevalenza di caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa, ha individuato le seguenti categorie di controversie regolate dal rito sommario di cognizione: 1) controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato (art. 14); 2) opposizione a decreto di pagamento di spese di giustizia (art. 15); 3) controversie in materia di mancato riconoscimento del diritto di soggiorno sul territorio nazionale in favore dei cittadini degli altri Stati membri dell’Unione europea o dei loro familiari (art. 16); 4) controversie in materia di allontanamento dei cittadini degli altri Stati membri dell’Unione europea o dei loro familiari (art. 17); 5) controversie in materia di espulsione dei cittadini di Stati che non sono membri dell’Unione europea (art. 18); 6) controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale (art. 19); 7) opposizione al diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, nonché agli altri provvedimenti dell’autorità amministrativa in materia di diritto all’unità familiare (art. 20); 8) opposizione alla convalida del trattamento sanitario obbligatorio (art. 21); 9) azioni popolari e controversie in materia di eleggibilità, decadenza ed incompatibilità nelle elezioni comunali, provinciali e regionali (art. 22); 10) azioni in materia di eleggibilità e incompatibilità nelle elezioni per il Parlamento europeo (art. 23); 11) impugnazione delle decisioni della Commissione elettorale circondariale in tema di elettorato attivo (art. 24); 12) controversie in materia di riparazione a seguito di illecita diffusione del contenuto di intercettazioni telefoniche (art. 25); 13) impugnazione dei provvedimenti disciplinari a carico dei notai (art. 26); 14) impugnazione delle deliberazioni del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti (art. 27); 15) controversie in materia di discriminazioni fondate su motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi; fondate su handicap, orientamento sessuale, età; nei confronti di disabili; per l’accesso al lavoro ed a beni e servizi (art. 28); 16) controversie in materia di opposizione alla stima nelle espropriazioni per pubblica utilità (art. 29); 17) controversie in materia di attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria e contestazione del riconoscimento (art. 30).
  • 7. 7 La disciplina del procedimento può variare per ogni singola materia, poiché è data dalla combinazione tra le disposizioni comuni di cui all’art. 3 D.Lgs. n. 150/2011 con quelle prescritte per ogni singola specie di controversia regolata nella stessa fonte. La competenza può spettare al Giudice di pace (come, ad esempio, nelle controversie ex art. 18), al Tribunale in composizione collegiale (come, ad esempio, nelle controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato ex art. 14), al Presidente del Tribunale o della Corte d’Appello (come, ad esempio, nelle controversie in materia di spese di giustizia ex art. 15), alla Corte d’Appello quale giudice di unico grado (come, ad esempio, nelle controversie ex art. 23). Non è prevista la possibilità, in caso di complessità delle difese delle parti, il passaggio al rito ordinario di cognizione: ai sensi dell’art. 3, 1° comma D.Lgs. n. 150/2011, infatti, “1. Nelle controversie disciplinate dal Capo III, non si applicano i commi secondo e terzo dell’articolo 702-ter del codice di procedura civile.” L’ordinanza che decide la causa non è sempre appellabile (non lo è, ad esempio, nelle “controversie in materia di liquidazione degli onorari e diritti di avvocato” ex art. 14 D.Lgs n. 150/2011).
  • 8. 8 2. Le disposizioni comuni alle controversie disciplinate dal rito sommario di cognizione, ex art. 3 D.Lgs. n. 150/2011 L’art. 3 D.Lgs. n. 150/2011 detta le disposizioni comuni alle controversie disciplinate dal rito sommario di cognizione, prevedendo, al 1° comma, che ad esse non si applicano i commi 2° e 3° dell’art. 702 ter c.p.c.. Per il legislatore delegato, l’esclusione della possibilità che anche nel giudizio sommario di cognizione obbligatorio, come in quello facoltativo, il giudice, valutata la complessità della singola controversia concretamente proposta con il ricorso ex art. 702 bis c.p.c., possa disporne il passaggio al rito ordinario di cognizione, costituiva un esplicito limite imposto dalla delega legislativa con l’art. 54, 3° comma, lett. b), n. 2), Legge n. 69/2009, che delineava i contorni dell’instaurando modello processuale del procedimento semplificato, e delle controversie da ricondurre ad esso, con il richiamo a quello di cui agli artt. da 702 bis a 702 quater c.p.c., “restando tuttavia esclusa per tali procedimenti la possibilità di conversione nel rito ordinario.” Pertanto, quel controllo di concreta compatibilità della singola lite con le forme semplificate del rito, che nel procedimento sommario di cognizione facoltativo di cui agli artt. 702 bis ss. è rimesso alla valutazione discrezionale del giudice, è sostituito, nel procedimento sommario obbligatorio disciplinato dall’art. 3, D.Lgs. n. 150/2011, da una verifica, astratta ed irrevocabile, compiuta a monte dal legislatore sulla base delle caratteristiche riscontrate in alcune specie di controversie che hanno ad oggetto determinate specifiche materie. Il legislatore delegato ha adattato il modello procedimentale del giudizio sommario di cognizione codicistico, prevedendo espressamente, all’art. 3, 2° comma, prima parte, D.Lgs. n. 150/2011, che nelle controversie alle quali viene esteso il rito semplificato, quando la causa è giudicata in primo grado in composizione collegiale, sia il Presidente del collegio ad emettere il decreto di cui all’art. 702 bis, 3° comma, c.p.c., che fissa l’udienza di comparizione delle parti, designando nello stesso atto il giudice relatore. L’art. 3, 2° comma, seconda parte, D.Lgs. n. 150/2011, attribuisce al Presidente del collegio il potere di delegare l’assunzione dei mezzi istruttori (e, dunque, non la loro ammissione) ad uno dei componenti del collegio, che nella maggior parte dei casi coinciderà proprio con il giudice relatore. La norma ricalca quanto previsto dall’art. 702 quater c.p.c. nell’appello avverso l’ordinanza pronunciata all’esito del procedimento sommario di cognizione ed a quanto attualmente prevede l’art. 350, 1° comma, c.p.c. (modificato dalla Legge n. 183/2011) nell’appello avverso la sentenza pronunciata all’esito del giudizio ordinario di cognizione.
  • 9. 9 La norma consente dunque soltanto al Presidente di delegare l’assunzione dei mezzi di prova ad un componente del Collegio, ciò che pare incongruo, dovendo semmai essere il Collegio ad adottare la decisione; è ben vero che il provvedimento è ordinatorio, ma non sembra logico che un Presidente in minoranza possa decidere per la delega o addirittura riservare a se stesso gli incombenti istruttori, tenuto conto che il Giudice è il Collegio (SCOTTI). Restano invece riservate alla competenza del Collegio la trattazione, le decisioni sull’ammissibilità e rilevanza delle deduzioni istruttorie, le decisioni delle questioni preliminari e, ovviamente, la decisione definitiva della controversia. Infine, l’art. 3, 3° comma, D.Lgs. n. 150/2011, per le controversie – tra quelle cui il legislatore delegato estende il rito sommario – nelle quali il giudice competente è la Corte d’Appello in primo grado, stabilisce che, fermo quanto previsto dai commi 1 e 2, il procedimento è regolato dagli articoli 702 bis e 702 ter del codice di procedura civile, il che sembra escludere l’applicabilità – oltre che dell’art. 702 ter, 2° e 3° comma, c.p.c., come stabilisce espressamente il richiamato art. 3, 1° comma, D.Lgs. n. 150/2011- anche dell’art. 702 quater c.p.c., che non viene a sua volta richiamato dall’art. 3, 3° comma, D.Lgs. n. 150/2011, e quindi ribadire l’inappellabilità del provvedimento che conclude i relativi procedimenti. Non sono previste deroghe apportate in via generale alle regole dettate nell’art.702 bis in tema di: proposizione della domanda; contenuto del ricorso; formazione del fascicolo; designazione del giudice; convocazione delle parti all’udienza di comparizione; termini di notificazione e costituzione; contenuto della comparsa di risposta; decadenze e preclusioni; chiamata di terzo.
  • 10. 10 3. Generalità sulla disciplina delle controversie in materia di liquidazione dei compensi degli avvocati L’art. 28 della previgente Legge 13 giugno 1942 n. 794 in materia di “Onorari di avvocato e di procuratore per prestazioni giudiziali in materia civile” disponeva quanto segue: “Per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente l’avvocato [o il procuratore] (1), dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura, deve, se non intende seguire la procedura di cui all’art. 633 e seguenti del codice di procedura civile, proporre ricorso al capo dell’ufficio giudiziario adito per il processo.” (2) (1) L’albo dei procuratori legali è stato soppresso dall’art. 1, l. 24 febbraio 1997, n. 27. La medesima legge ha, tra l’altro, stabilito che in tutte le disposizioni legislative vigenti al termine “procuratore legale” va sostituito quello di “avvocato.” (2) L’articolo era stato abrogato, a decorrere dal 16.12.2009, dall’art. 2, comma 1, D.L. n. 200/2008 e, successivamente, l’efficacia della legge era stata ripristinata dall’art. 1 Legge n. 9/2009 in sede di conversione. Il successivo art. 29 Legge n. 794/1942 disciplinava il “procedimento di liquidazione”, stabilendo quanto segue: “Il Presidente del Tribunale o della Corte di appello ordina, con decreto in calce al ricorso, la comparizione degli interessati davanti al collegio in camera di consiglio, nei termini ridotti a norma dell’art. 645, ultima parte, del codice di procedura civile. Il decreto è notificato a cura della parte istante. Non è obbligatorio il ministero di difensore. Il collegio, sentite le parti, procura di conciliarle. Il processo verbale di conciliazione costituisce titolo esecutivo. Si applica per le spese l’art. 92, ultimo comma, del codice di procedura civile. Se una delle parti non comparisce o se la conciliazione non riesce, il collegio provvede alla liquidazione con ordinanza non impugnabile la quale costituisce titolo esecutivo anche per le spese del procedimento. Le disposizioni di cui ai commi precedenti si osservano, in quanto applicabili, davanti al giudice di pace [e al pretore] (1) quando essi sono rispettivamente competenti a norma dell’art. 28” (2). (1) Il D.lgs. n. 51/1998 ha soppresso l’ufficio del Pretore e, fuori dai casi espressamente previsti dal citato decreto, le relative competenze sono da intendersi trasferite al Tribunale ordinario.
  • 11. 11 (2) L’articolo era stato abrogato, a decorrere dal 16.12.2009, dall’art. 2, comma 1, D.L. n. 200/2008 e, successivamente, l’efficacia della legge era stata ripristinata dall’art. 1 Legge n. 9/2009 in sede di conversione. Infine, l’art. 30 Legge n. 794/1942 prevedeva quanto segue: “L’opposizione proposta a norma dell’art. 645 del codice di procedura civile contro il decreto ingiuntivo riguardante onorari, diritti e spese spettanti ad avvocati e procuratori per prestazioni giudiziali è decisa dal tribunale e dalla corte di appello in camera di consiglio oppure dal giudice di pace [o dal pretore], con ordinanza non impugnabile la quale costituisce titolo esecutivo anche per le spese. Il procedimento è regolato dall’articolo precedente.” (2). (2) L’articolo era stato abrogato, a decorrere dal 16.12.2009, dall’art. 2, comma 1, D.L. n. 200/2008 e, successivamente, l’efficacia della legge era stata ripristinata dall’art. 1 Legge n. 9/2009 in sede di conversione. Come si dirà meglio infra, secondo la giurisprudenza della Cassazione, la normativa si riferiva soltanto ai procedimenti civili e non anche a quelli penali ed amministrativi. Secondo la tesi prevalente, l’avvocato che voleva recuperare giudizialmente un credito professionale per prestazioni giudiziali poteva optare per tre strade: 1) il procedimento speciale di cui agli artt. 28 e segg. Legge n. 794/1942 (limitatamente ai crediti relativi a procedimenti civili); 2) il procedimento monitorio per decreto ingiuntivo; 3) il giudizio ordinario di cognizione. Secondo la tesi prevalente, il giudizio ordinario di cognizione era ammissibile visto che (come si dirà meglio in seguito), il presupposto dell’esperibilità del procedimento speciale era pur sempre la natura non contestata del credito e l’esigenza soltanto di una sua determinazione quantitativa (ossia di una sua “liquidazione”), per cui non si poteva negare all’avvocato che riteneva il proprio credito contestato o contestabile oppure che semplicemente temeva una sua contestazione, la possibilità di agire con lo strumento della cognizione ordinaria prevista obbligatoriamente proprio per quel tipo di situazioni processuali. L’art. 34 D.Lgs. n. 150/2011 ha abrogato i citati artt. 29 e 30 Legge n. 794/1942 ed ha così modificato l’art. 28 : “Per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente l’avvocato, dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura se non intende seguire la procedura di cui all’art. 633 e seguenti del codice di procedura civile, procede ai sensi dell’articolo 14 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150.”
  • 12. 12 L’art. 14 D.Lgs. n. 150/2011 disciplina dunque attualmente le “controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato”, prevedendo testualmente quanto segue: “1. Le controversie previste dall’articolo 28 della legge 13 giugno 1942, n. 794, e l’opposizione proposta a norma dell’articolo 645 del codice di procedura civile contro il decreto ingiuntivo riguardante onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati per prestazioni giudiziali sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo. 2. È competente l’ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l’avvocato ha prestato la propria opera. Il tribunale decide in composizione collegiale. 3. Nel giudizio di merito le parti possono stare in giudizio personalmente. 4. L’ordinanza che definisce il giudizio non è appellabile.” La Relazione spiega l’intervento normativo come segue: “L’articolo 14 detta la disciplina delle controversie riguardanti gli onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati per prestazioni giudiziali, previste dall’articolo 28 della legge 13 giugno 1942 n. 794, nonché l’opposizione proposta a norma dell’art. 645 del codice di procedura civile contro il decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento dei medesimi crediti. Le controversie in questione sono state ricondotte al rito sommario di cognizione, in virtù dei caratteri di semplificazione della trattazione e dell’istruzione della causa evidenziati dal rinvio, ad opera della normativa previgente, alla disciplina dei procedimenti in camera di consiglio e del resto corrispondenti al limitato oggetto del processo. In ossequio alla delega (art. 54, comma 2, lettera a) della l. n. 69 del 2009) si è mantenuta ferma la competenza funzionale dell’ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l’avvocato ha prestato la propria opera, nonché la composizione collegiale dell’organo giudicante… Nel rispetto dell’ulteriore principio di delega (art. 54, cit., lettera c) ultimo periodo) che prevede il mantenimento delle disposizioni «finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile», si è avuto cura di specificare che le parti possono stare in giudizio personalmente. Questo, com’è chiaro, potrà accadere nel giudizio di merito, e quindi non nella fase di eventuale impugnativa di legittimità, per cassazione. Non si è invece riportata la disposizione sul tentativo giudiziale di conciliazione, in quanto assorbita dalla norma generale contenuta nell’art 185 c.p.c. Sempre al fine di mantenere l’effetto processuale speciale attualmente in essere, si stabilisce che l’ordinanza che definisce il giudizio non è appellabile.”
  • 13. 13 Dunque, analogamente a quanto già previsto nei citati artt. 28 e 29 Legge n. 794/1942, l’art. 14 D. Lgs. n. 150/2011 contempla: - la competenza dell’ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l’avvocato ha prestato la sua opera; - la composizione collegiale del Tribunale; - la possibilità delle parti di stare in giudizio personalmente; - la non appellabilità dell’ordinanza decisoria. Ne restano fuori le controversie in materia di onorari di Avvocati: - per prestazioni extragiudiziali in materia civile; - per prestazioni giudiziali in materia penale; - per prestazioni giudiziali in materia amministrativa. A seguito dell’entrata in vigore del D. Lgs. n. 150/2011 è sorto il dubbio se: a) la nuova disciplina debba ritenersi inderogabile oppure b) persista ancora la possibilità di opzione per il procedimento ordinario di cognizione. Secondo una parte della dottrina (SCOTTI), poiché il Legislatore delegato si è riferito solo a due delle tipologie di controversie astrattamente proponibili (non considerando l’opzione del procedimento ordinario), sembra preferibile la tesi che l’avvocato possa continuare a scegliere la proposizione della controversia per il recupero degli onorari giudiziali con le ordinarie modalità della citazione tradizionale; tra l’altro, tale soluzione sembra ragionevole allorché l’avvocato ritenga che le difese del cliente non si limiteranno all’entità del corrispettivo ma involgeranno il vero e proprio an debeatur (che, secondo una tesi infra citata, potrebbe comportare una declaratoria di inammissibilità). Persiste comunque sicuramente la strada alternativa del procedimento monitorio, sicché l’avvocato può proporre ricorso per decreto ingiuntivo ex art.633 c.p.c., come si evince: - dall’art. 28 Legge n. 794/1942 (come modificato dall’art. 34 D.Lgs. n. 150/2011), ai sensi del quale: “Per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente l’avvocato, dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura, se non intende seguire la procedura di cui all’art. 633 e seguenti del codice di procedura civile, procede ai sensi dell’articolo 14 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150”; - dall’art. 14, 1° comma, D.Lgs. n. 150/2011, ai sensi del quale: “1. Le controversie previste dall’articolo 28 della legge 13 giugno 1942, n. 794, e l’opposizione proposta a norma dell’articolo 645 del codice di procedura civile contro il decreto ingiuntivo riguardante onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati per
  • 14. 14 prestazioni giudiziali sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo.” Con riguardo alla possibilità delle parti di stare in giudizio personalmente nel giudizio di merito, si deve richiamare la Cassazione formatasi con riferimento alla normativa previgente di cui alla Legge n. 794/1942, secondo cui la disposizione dell’art. 29, 3° comma, Legge n. 794/1942 (ai sensi della quale nelle cause aventi ad oggetto il pagamento del corrispettivo di prestazioni giudiziali civili a favore dell’avvocato da parte del proprio cliente, non è obbligatorio il ministero di difensore), riguardava tutte le attività successive all’introduzione del giudizio, mentre in relazione all’atto introduttivo del giudizio medesimo doveva ritenersi operante la disciplina ordinaria del patrocinio di cui all’art. 82 c.p.c. In sintesi, secondo la normativa preesistente, così come interpretata dalla Suprema Corte, la possibilità di stare in giudizio in proprio non permetteva anche la redazione degli atti introduttivi, ossia: 1) il ricorso ex art. 28 Legge n. 794/1942 (che comunque rientrava nelle facoltà del legale, ai sensi dell’art. 86 c.p.c.); 2) la memoria costitutiva nel procedimento ex art. 29 Legge n. 794/1942; 3) l’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo ex artt. 645 c.p.c. e 30 legge 794/1942. Pertanto la facoltà di stare in giudizio personalmente era stata riduttivamente limitata alla possibilità di interloquire nell’ambito del procedimento camerale introdotto dall’avvocato o nato per effetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo. Sul punto, in giurisprudenza possono richiamarsi le seguenti pronunce: Cass. civile, sez. II, 4 novembre 2010, n. 22463: “La disposizione dell’art. 29, terzo comma, della legge n. 794 del 1942, secondo cui nelle cause aventi ad oggetto il pagamento del corrispettivo di prestazioni giudiziali civili a favore dell’avvocato da parte del proprio cliente, non è obbligatorio il ministero di difensore, riguarda tutte le attività successive all’introduzione del giudizio, mentre solamente in relazione all’atto introduttivo del giudizio medesimo deve ritenersi operante la disciplina ordinaria del patrocinio di cui all’art. 82 cod. proc. civ.” Cass. civile, sez. II, 26 gennaio 2000, n. 850: “La disposizione dell’art. 29, comma 3, l. 13 giugno 1942 n. 794, secondo cui nelle cause aventi ad oggetto il pagamento del corrispettivo di prestazioni giudiziali civili a favore dell’avvocato da parte del proprio cliente, non è obbligatorio il ministero di difensore, riguarda esclusivamente le attività successive all’introduzione del giudizio e non l’atto introduttivo del giudizio medesimo, in relazione al quale deve, invece, ritenersi operante la disciplina ordinaria del patrocinio di cui all’art. 82 c.p.c. Pertanto, è invalida, se sottoscritta personalmente dalla parte non ritualmente patrocinata, la
  • 15. 15 citazione in opposizione alla pretesa del difensore introduttiva di una causa di valore eccedente lire un milione.” Ad avviso di chi scrive tali conclusioni dovrebbero trovare applicazione anche nel vigore della nuova disciplina di cui al D.Lgs. n. 150/2011, tenuto conto che: - il previgente art. 29, 3° comma, Legge n. 794/1942 disponeva: “Non è obbligatorio il ministero di difensore.” - l’attuale art. 14, 3° comma, D.Lgs. n. 150/2011, dispone: “Nel giudizio di merito le parti possono stare in giudizio personalmente”; - al di là della diversa espressione utilizzata dal legislatore, sembra evidente che nulla sia cambiato sul punto. Pertanto, anche alla luce della nuova normativa di cui al D.Lgs. n. 150/2011, la possibilità di stare in giudizio in proprio non dovrebbe consentire la redazione degli atti introduttivi, ossia: 1) il ricorso introduttivo ex art. 702 bis c.p.c. (che comunque rientra nelle facoltà del legale, ai sensi dell’art. 86 c.p.c.); 2) la comparsa di costituzione e risposta nel procedimento ex art. 702 bis c.p.c.; 3) l’opposizione a decreto ingiuntivo ex artt. 14 D.Lgs. n. 150/2011 e 645 c.p.c.
  • 16. 16 4. La competenza nelle controversie in materia di liquidazione dei compensi degli avvocati Come si è detto, analogamente a quanto già previsto dalla Legge n. 794/1942, l’art. 14, 2° comma, D.Lgs. n. 150/2011, contempla la competenza dell’ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l’avvocato ha prestato la sua opera. Come espressamente previsto dall’art. 14, 2° comma, D.Lgs. n. 150/2011, competente può essere, innanzitutto, il Tribunale, nel qual caso la composizione è collegiale. Giova ricordare che l’art. 54 Legge delega n. 69/2009 aveva imposto al Governo che restassero “fermi i criteri di competenza, nonché i criteri di composizione dell’organo giudicante, previsti dalla legislazione vigente” . Peraltro, la competenza può spettare anche alla Corte d’Appello in unico grado. Invero, nel caso in cui l’avvocato abbia prestato la propria attività difensiva in più gradi dello stesso giudizio (ad esempio, davanti al Tribunale ed alla Corte d’Appello), la domanda dev’essere rivolta al giudice di merito del grado superiore che ha definito il giudizio, il quale é competente anche alla liquidazione per il grado precedente (GIULIANI). La possibilità che la competenza possa spettare alla Corte d’Appello in unico grado si evince anche dall’art. 3, 3° comma. D.Lgs. n. 150/2011 (che contempla la competenza della Corte d’Appello in primo grado) e dall’art. 14, 4° comma, D.Lgs. n. 150/2011 (che prevede la non appellabilità dell’ordinanza che definisce il giudizio). Del resto, sotto il vigore della previgente normativa di cui alla Legge n. 794/1942, la Cassazione aveva avuto modo di affermare che “in tema di liquidazione del compenso per l’attività defensionale dell’avvocato, poiché l’art. 28 della legge 13 giugno 1942 n. 794 prevede che lo speciale procedimento sia attivato ‘dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura’, è inammissibile la domanda di liquidazione relativa al giudizio di primo grado, allorché penda il giudizio d’appello e la procura non sia estinta, dovendosi intendere per ‘decisione della causa’ il provvedimento conclusivo che definisce l’intero procedimento” (cfr. in tal senso: Cass. Civile 21 dicembre 2007, Sez. II, n. 27137, in Giust. civ. Mass. 2007, 12). a) Secondo parte della dottrina (BULGARELLI) non sarebbe ipotizzabile una competenza funzionale anche del Giudice di pace, in quanto l’art. 14, 2° comma, D.Lgs. n. 150/2011 prevede la composizione collegiale dell’organo giudicante.
  • 17. 17 b) Secondo altra parte della dottrina (SCOTTI), invece, la competenza funzionale del Giudice di pace sarebbe invece ammissibile, in quanto l’art. 14, 2° comma, D.Lgs. n. 150/2011 prevede la competenza collegiale del solo Tribunale (“Il tribunale decide in composizione collegiale”). Si deve peraltro considerare che la competenza del Giudice di pace potrebbe risultare innovativa rispetto alla previgente disciplina, con il rischio di una violazione della Legge delega che, come si è detto, ha prescritto il rispetto dei criteri previgenti di competenza. Nel caso in cui l’avvocato ricorra alla procedura monitoria per il recupero di compensi professionali spettanti per le prestazioni professionali erogate in un giudizio civile, si pone il problema se ciò possa avvenire nel rispetto dei criteri tradizionali di competenza. La risposta dovrebbe essere positiva, dal momento che nessuna norma ha inciso sulle regole di competenza nella richiesta del decreto ingiuntivo (SCOTTI). 1) Potrebbe dunque trovare applicazione, innanzitutto, l’art. 637, 1° comma, c.p.c., ai sensi del quale “per l’ingiunzione è competente il giudice di pace o, in composizione monocratica, il tribunale che sarebbe competente per la domanda proposta in via ordinaria.” In tal caso, ove l’avvocato proponga il ricorso per decreto ingiuntivo al Giudice del luogo di residenza o della sede della parte intimata, un tale Foro potrebbe essere più favorevole per il cliente, laddove le prestazioni professionali siano state svolte in altro Foro. 2) In secondo luogo, potrebbe trovare applicazione l’art. 637, 2° comma, c.p.c., ai sensi del quale: “Per i crediti previsti nel numero 2 dell’art. 633 (ossia se il credito riguarda onorari per prestazioni giudiziali o stragiudiziali o rimborso di spese fatti, tra gli altri, da avvocati) è competente anche l’ufficio giudiziario che ha deciso la causa alla quale il credito si riferisce.” Si tratta di una prima ipotesi di “competenza territoriale speciale” (la quale va qualificata come un’ipotesi di foro facoltativo concorrente con i fori di cui al 1° comma) e che coincide con il Foro previsto dall’art. 14, 2° comma, D. Lgs. n. 150/2011. 3) In terzo luogo, potrebbe trovare applicazione anche l’art. 637, 3° comma, c.p.c., ai sensi del quale: “Gli avvocati o i notai possono altresì proporre domanda d’ingiunzione contro i propri clienti al giudice competente per valore del luogo ove ha sede il consiglio dell’ordine al cui albo sono iscritti o il consiglio notarile dal quale dipendono.” Si tratta di una seconda ipotesi di “competenza territoriale speciale” (la quale va qualificata come un’ipotesi di foro facoltativo concorrente con i fori di cui al 1° comma).
  • 18. 18 Con riguardo a tale ipotesi, giova ricordare che, secondo la Cassazione: “In tema di procedimento di ingiunzione, l’art. 637, comma 3, c.p.c., nell’individuare un foro facoltativo e concorrente con quello di cui ai commi 1 e 2 del medesimo articolo, attribuisce all’avvocato la facoltà processuale, ai fini del recupero in via monitoria dei suoi crediti per prestazioni professionali, di agire dinanzi al giudice del luogo in cui ha sede il consiglio dell’ordine al cui albo egli è iscritto, e il consiglio dell’ordine, in relazione al quale si determina il giudice competente, va identificato in quello al quale il legale è iscritto attualmente, cioè con riferimento al momento della proposizione del ricorso, a nulla rilevando che, al tempo della richiesta in via stragiudiziale di pagamento della parcella, il medesimo avesse la sede principale dei suoi affari e interessi in altro luogo e fosse iscritto ad altro Consiglio dell’ordine” (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. II, 20 luglio 2010, n. 17050 in Guida al diritto 2010, 41, 62). Sempre con riguardo a tale ipotesi, giova anche ricordare che la Corte Costituzionale ha ritenuto non fondata “in riferimento all’art. 3 cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 637, comma 3, c.p.c., nella parte in cui, stabilendo che gli avvocati possono altresì proporre domanda di ingiunzione nei confronti dei propri clienti al giudice competente per valore del luogo in cui ha sede il consiglio dell’ordine degli avvocati al cui albo sono iscritti al momento della proposizione della domanda di ingiunzione, attribuisce esclusivamente agli avvocati la possibilità di scegliere un foro facoltativo in alternativa a quelli di cui agli art. 18, 19 e 20 c.p.c.; la ratio della censurata disposizione - consistente nella finalità di agevolare l’avvocato per consentirgli di concentrare le cause, nei confronti dei clienti, nel luogo in cui ha stabilito l’organizzazione della propria attività professionale - esclude che sia violato il principio di ragionevolezza, così come deve escludersi la denunciata violazione del principio di uguaglianza, sia perché il riferimento agli altri cittadini non è pertinente, perché la previsione normativa concerne i rapporti professionali tra gli avvocati ed i clienti, sia perché per le altre categorie professionali, che non possono avvalersi della stessa norma, vale il rilievo che ogni professione presenta caratteri peculiari idonei a giustificarne una disciplina giuridica differenziata, mentre nel rapporto tra l’avvocato e il cliente la facoltà processuale attribuita al primo, ai fini del recupero dei suoi crediti per prestazioni professionali, costituisce il frutto di una scelta non irragionevole del legislatore -sentt. n. 137 del 1975, 341 del 2006, 237 del 2007, 221 del 2008; ordd. n. 318 del 2008, 134 del 2009-” (cfr. in tal senso: Corte costituzionale, 18 febbraio 2010, n. 50 in Giur. cost. 2010, 1, 602). In dottrina (SCOTTI) si è osservato che, poiché queste competenze sono tuttora operative, qualora l’avvocato ricorrente si avvalga della competenza di cui all’art. 637, 1° comma o 3° comma, c.p.c., potrebbe venirne fuori una sorta di monstrum in cui il decreto ingiuntivo verrebbe emesso da un Ufficio e l’opposizione si svolgerebbe dinanzi ad un altro, visto che il 2° comma dell’art. 14 D.Lgs. n. 150/2011 individua come
  • 19. 19 competente l’ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l’avvocato ha prestato la propria opera (tale diversificazione non ci sarebbe ovviamente nel caso in cui l’avvocato ricorrente si avvalga della competenza alternativa di cui all’art. 637, 2° comma, c.p.c.). Quindi, secondo tale dottrina, le alternative sarebbero le seguenti: a) Si potrebbe sostenere che esista un’implicita deroga alla competenza anche per la richiesta del decreto ingiuntivo, che andrebbe rivolta al Giudice di merito dinanzi al quale si è svolto il procedimento in cui sono state prestate le attività professionali (e quindi anche alla Corte di Appello, con tutti i problemi che ciò comporta), a prescindere dal contenuto delle linee di difesa e dalla reazione processuale dell’intimato, che l’avvocato ricorrente non può conoscere (in particolare, l’avvocato ricorrente non potrebbe sapere se il giudizio di opposizione avrà ad oggetto la mera liquidazione quantitativa del corrispettivo oppure una contestazione ad ampio spettro estesa anche all’an debeatur). b) In alternativa, si dovrebbe ritenere che non esista alcuna regola derogatoria e, conseguentemente, che per la determinazione della competenza del Giudice del procedimento monitorio valgano i criteri ordinari. Peraltro, in tale seconda ipotesi non sembra concepibile che, in deroga al meccanismo di opposizione al decreto ingiuntivo, l’opposizione debba essere proposta dinanzi ad un Ufficio diverso da quello che ha emesso il decreto. Com’è noto, infatti, la competenza del Giudice dell’opposizione è completamente distinta da quella del Giudice del procedimento monitorio in senso stretto; ai sensi dell’art. 645 c.p.c., infatti, “L’opposizione si propone davanti all’ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso il decreto …” e, secondo la Cassazione prevalente, quella del Giudice dell’opposizione è una competenza funzionale ed inderogabile (cfr. in tal senso, tra le tante: Cass. civile, Sezioni Unite, 08 marzo 1996, n. 1835; Cass. civile, Sezioni Unite, 08 ottobre 1992, n. 10985; Cass. civile, Sezioni Unite, 08 ottobre 1992, n. 10984). Pertanto, la strada preferibile sembra essere quella di interpretare riduttivamente l’art. 14, 2° comma, D.Lgs. n. 150/2011, escludendo che esso si riferisca anche al procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo. A sostegno di tale soluzione ermeneutica deve aggiungersi che, diversamente opinando, la norma implicherebbe una deroga ai previgenti criteri di competenza, in contrasto con il contenuto della Legge delega n. 69/2009. In forza del previgente art. 30 Legge n. 794/1942 anche l’opposizione a decreto ingiuntivo doveva svolgersi con il rito camerale collegiale, allorché l’avvocato avesse scelto lo strumento monitorio per il recupero di compensi professionali spettanti per le prestazioni professionali erogate in un giudizio civile. Peraltro, il giudizio di opposizione poteva investire anche un Ufficio non strutturato per
  • 20. 20 operare collegialmente come, ad esempio, il Giudice di pace. Sul punto, può richiamarsi Cass. civile, sez. II, 3 luglio 1998, n. 6492 in Giust. civ. Mass. 1998, 1453: “La competenza ad emettere ingiunzione per onorari di avvocati, attribuita anche al capo dell’ufficio giudiziario che ha deciso la causa a cui si riferisce tale credito, è concorrente con quella del giudice competente per la proposizione della domanda in via ordinaria, mentre l’adozione del rito camerale - anche da parte del giudice monocratico non togato, come è argomentabile sia dall’art. 737 c.p.c., sia dall’art. 30 l. 13 giugno 1942 n. 794 - anziché di quello ordinario - necessario se l’opponente contesta il conferimento dell’incarico al professionista - non determina nullità del procedimento, se non è denunciata e provata la violazione del diritto di difesa.” Attualmente, sotto il vigore del D. Lgs. n. 150/2011, come si è detto, secondo parte della dottrina (BULGARELLI) non sarebbe ipotizzabile una competenza funzionale anche del Giudice di pace, in quanto l’art. 14, 2° comma, D.Lgs. n. 150/2011 prevede la composizione collegiale dell’organo giudicante. Ad avviso di chi scrive, quale logica conseguenza di tale tesi, l’opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Giudice di Pace su richiesta dell’avvocato nei confronti del proprio cliente dovrebbe dunque proporsi avanti all’ufficio del Giudice di Pace, secondo la procedura ordinaria. Secondo altra parte della dottrina (SCOTTI), invece, la competenza funzionale del Giudice di pace sarebbe invece ammissibile, in quanto l’art. 14, 2° comma. D.Lgs. n. 150/2011 prevede la competenza collegiale del solo Tribunale (“Il tribunale decide in composizione collegiale”), pur dovendosi considerare che la competenza del Giudice di pace potrebbe risultare innovativa rispetto alla previgente disciplina, con il rischio di una violazione della Legge delega che, come si è detto, ha prescritto il rispetto dei criteri previgenti di competenza. Ad avviso di chi scrive, quale logica conseguenza di tale tesi, l’opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Giudice di Pace su richiesta dell’avvocato nei confronti del proprio cliente dovrebbe quindi ugualmente proporsi avanti all’ufficio del Giudice di Pace, ma secondo il rito sommario di cognizione ex art. 14, D.Lgs. n. 150/2011. Un ulteriore problema nasce dall’interferenza fra il Foro di cui all’art. 14 D. Lgs. n. 150/2011 (tanto per il procedimento sommario, quanto per il procedimento monitorio) con quello previsto dall’art. 33, 2° comma, lettera u), D. Lgs. n. 206/2005 (Codice del consumo), ove il cliente dell’avvocato sia un consumatore. Se si considera, da una parte, l’origine comunitaria, inderogabile e poziore di tale regola e, dall’altra parte, la dichiarata volontà del legislatore delegato di non modificare nulla in tema di competenza, nelle controversie in oggetto deve ritenersi operante il principio secondo cui, qualora il cliente rivesta la qualità di “consumatore” ai sensi del D. Lgs. 206/2005 (Codice del consumo), il foro speciale esclusivo della sua
  • 21. 21 residenza o del suo domicilio ex art. 33, comma 2, lett. u), D. Lgs. citato prevale sulla regola della competenza prevista dall’art.14 D. Lgs. n. 150/2011 (GIULIANI). Una conferma in tal senso può trarsi dall’orientamento della Cassazione nel vigore della precedente disciplina, secondo cui “in tema di competenza per territorio, ove un avvocato abbia agito, con il procedimento di ingiunzione, al fine di ottenere dal proprio cliente il pagamento di competenze professionali avvalendosi del foro speciale di cui all’art. 637, comma 3, c.p.c., il rapporto tra quest’ultimo ed il foro speciale della residenza o del domicilio del consumatore previsto dall’art. 33, comma 2, lett. u, D.lgs. 6 settembre 2005 n. 206 va risolto nel senso della prevalenza del foro del consumatore, sia perché esso è esclusivo sia perché, trattandosi di due previsioni ‘speciali’, la norma successiva ha una portata limitatrice di quella precedente” (cfr. in tal senso: Cass. Civile, sez. III, 9.6.2011, n. 12685, in Giust. civ. Mass. 2011, 6, 877). Pertanto, lo speciale procedimento contemplato dall’art. 14 D. Lgs. n. 150/2011, con la regola della competenza incardinata presso il Giudice dell’Ufficio dinanzi al quale sono state svolte le prestazioni professionali, potrà essere esperito dall’avvocato soltanto nei casi in cui il foro del consumatore coincida con il foro speciale di cui all’art.14, 2° comma, D. Lgs. n. 150/2011 oppure nei confronti di clienti che non siano privati consumatori. Al di fuori di queste ipotesi, il Giudice del foro davanti al quale l’avvocato ha prestato la propria opera, adito con il procedimento di cui all’art. 14 D. Lgs. 150/2011, dovrà rilevare la propria incompetenza per territorio.
  • 22. 22 5. La composizione collegiale del Tribunale nelle controversie in materia di liquidazione dei compensi degli avvocati Come si è detto, analogamente a quanto già previsto dalla Legge n. 794/1942, l’art. 14, 2° comma, D.Lgs. n. 150/2011 prevede la composizione collegiale del Tribunale. Appare evidente la discontinuità rispetto al modello di procedimento sommario di cognizione delineato dal codice di procedura civile che, com’è noto, è applicabile esclusivamente alle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica ex art. 702 bis, 1° comma, c.p.c. Sul punto, giova ribadire ancora una volta che l’art. 54 Legge delega n. 69/2009 aveva imposto al Governo che restassero “fermi i criteri di competenza, nonché i criteri di composizione dell’organo giudicante, previsti dalla legislazione vigente” . Peraltro, nel vigore della vecchia disciplina sussisteva un contrasto giurisprudenziale sulla questione della composizione collegiale o monocratica del Tribunale: a) Secondo una parte della Cassazione, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo di liquidazione di competenze professionali richieste dall’avvocato per prestazioni giudiziali in materia civile, la procedura camerale prevista dall’art. 30 Legge n. 794/1942 non rientrava tra quelle che l’art. 50 bis c.p.c. riserva al Tribunale in composizione collegiale, con la conseguenza che tale procedimento doveva essere trattato dal Tribunale in composizione monocratica: Cass. civile, sez. II, 22 marzo 2005, n. 10271 in Foro padano 2006, 2, 230: “La procedura camerale prevista dall’art. 30 della l. n. 794 del 13 giugno 1942 non rientra tra quelle che, ai sensi dell’art. 50 bis c.p.c. devono essere trattate dal tribunale in composizione collegiale. Ne consegue che tale procedimento va trattato dal tribunale in composizione monocratica. Gli art. 50 bis e 50 ter c.p.c. non hanno però modificato gli art. 28 e 29 della Legge 13 giugno 1942 n. 794 i quali prevedono la competenza funzionale del capo dell’ufficio giudiziario sicché la competenza funzionale ed inderogabile spetta ora al Presidente del tribunale.” Cass. civile, sez. II, 29 gennaio 2003, n. 1312 in Giust. civ. Mass. 2003, 215: “In tema di opposizione a decreto ingiuntivo di liquidazione di competenze professionali richieste da avvocato per prestazioni giudiziali in materia civile, la procedura camerale prevista dall’art. 30 l. 13 giugno 1942 n. 794 non rientra tra quelle che, ai sensi dell’art. 50 bis c.p.c., introdotto con il d.lg. 19 febbraio 1998 n. 51, devono essere trattate dal tribunale in composizione collegiale. Ne consegue che tale procedimento va trattato dal tribunale in composizione monocratica.”
  • 23. 23 Cass. civile, sez. II, 25 settembre 2002, n. 13927 in Giust. civ. Mass. 2002, 1717: “La procedura camerale prevista dagli art. 28 e 29 legge n. 794 del 1942 per la liquidazione degli onorari e diritti di avvocato introdotta avanti al pretore in epoca anteriore alla data (del 2 giugno 1999) di efficacia del d.lg. n. 51 del 1998 (giusta successiva legge n. 188 del 1998) e non oggetto di effettiva trattazione del merito o precisazione delle conclusioni, correttamente è giudicata dal tribunale in composizione monocratica, in quanto l’art. 244, comma 2, del citato d.lg. n. 51 del 1998 dispone che le funzioni del pretore non espressamente attribuite ad altra autorità sono devolute al tribunale in composizione monocratica ‘anche se relative a procedimenti disciplinati dagli art. 737 e seguenti del c.p.c.’, ossia a procedimenti in Camera di consiglio, pur se incidenti su diritti soggettivi, così esprimendo una chiara eccezione alla riserva di collegialità prevista dall’art. 50 bis, comma 2, c.p.c. (introdotto dall’art. 56 del medesimo d.lg. n. 51 del 1988), che prevede debba il tribunale in composizione collegiale giudicare nei procedimenti in Camera di consiglio disciplinati dagli art. 737 ss. ‘salvo che sia altrimenti disposto’. ” b) Secondo altra parte della Cassazione, invece, il procedimento per la liquidazione di onorari di avvocato ai sensi degli art. 28, 29 e 30 Legge n. 794/1942, svolgentesi in camera di consiglio, doveva essere trattato dal Tribunale in composizione collegiale, prevedendo l’art. 50 bis, 2° comma, c.p.c., per i procedimenti in camera di consiglio disciplinati dagli art. 737 ss. c.p.c., una riserva di collegialità, dalla quale restano esclusi soltanto quelli, tra i procedimenti camerali, per i quali sia altrimenti disposto, e tra questi i procedimenti in camera di consiglio già di competenza del Pretore, e ora attribuiti al Tribunale, secondo quanto dispone l’art. 244 del D.lgs. n. 51/1998; la Cassazione aveva anche chiarito che, in forza dell’art. 50 quater c.p.c., l’inosservanza della regola sulla composizione collegiale del Tribunale era causa di nullità del provvedimento adottato, soggetta al principio generale della conversione in motivo di impugnazione, ai sensi dell’art. 161 c.p.c. (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. II, 11 marzo 2004, n. 4967 in Giust. civ. Mass. 2004, 3 ed in Giur. it. 2004, 2271). La Cassazione civile, Sezioni Unite, 20 luglio 2012, n. 12609 ha confermato quest’ultimo orientamento, affermando che “le controversie in tema di liquidazione dei compensi dovuti agli avvocati per l’opera prestata nei giudizi davanti al tribunale, ai sensi degli art. 28, 29 e 30 Legge 13 giugno 1942 n. 794, rientrano fra quelle da trattare in composizione collegiale, in base alla riserva prevista per i procedimenti in camera di consiglio dall’art. 50 bis, comma 2, c.p.c., come peraltro confermato dall’art. 14, comma 2, D.lgs. 1 settembre 2011 n. 150, per i procedimenti instaurati successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso” (cfr. in tal senso: Cass. civile, Sezioni Unite, 20 luglio 2012, n. 12609 in Giust. civ. Mass. 2012, 7-8, 938).
  • 24. 24 Giova ricordare che l’art. 28 Legge n. 794/1942 era stato abrogato, a decorrere dal 16.12.2009, dall’art. 2, comma 1, D.L. 22.12.2008 n. 200, e successivamente ripristinato dall’art. 1 Legge 18 febbraio 2009 n. 9, in sede di conversione. La suddetta questione ha ovviamente perso rilevanza con riguardo alle controversie di cui al novellato art. 28, Legge 13 giugno 1942 n. 794 ed all’opposizione proposta a norma dell’art. 645 c.p.c. contro il decreto ingiuntivo riguardante onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati per prestazioni giudiziali, instaurate successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150/2011, atteso che, come si è detto, l’art. 14, 2° comma, contempla espressamente la composizione collegiale del Tribunale. Peraltro, un Giudice di merito ha ritenuto che “non è manifestamente infondata, per contrasto con l’art. 76 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, del d.lg. n. 150 del 2011, nella parte in cui prevede che anche alle controversie di cui all’art. 14 del medesimo decreto non si applichi il comma secondo dell’art. 702 ter c.p.c, e quella dell’art. 14, comma 2, del d.lg. n. 150 del 2011 nella parte in cui prevede che il tribunale decida in composizione collegiale anziché monocratica” (cfr. in tal senso: Tribunale Verona, 03 maggio 2013 in Redazione Giuffrè 2013 ed in www.ilcaso.it - Sez. Giurisprudenza, 9151) (allegata sub 1 alla presente relazione). In motivazione, il Tribunale di Verona ha affermato, tra l’altro, quanto segue: “Il Tribunale è chiamato a decidere in composizione collegiale sul ricorso di cui in epigrafe, in conformità al disposto dell’art. 14, comma 2, del D.lgs. 150/2011. Il legislatore delegato con tale norma ha mantenuto, per le controversie in materia di liquidazione degli onorari, ivi compresa quella di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dall’avvocato, la collegialità derivante dall’art. 29 della L.794/1942 (il contrasto giurisprudenziale sul punto è stato definitivamente risolto dalla pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite 20 luglio 2012 n. 12609), poiché ha ritenuto che il criterio direttivo (art. 54, comma 4, lett. a) L.n.69/2009) che aveva stabilito che restassero fermi “i criteri di composizione dell’organo giudicante previsti dalla legislazione vigente” imponesse di adeguarsi al criterio fissato dalla norma speciale sopra citata (sul punto si fa rinvio allo specifico passaggio che si legge a pag. 29 della relazione governativa al D. lgs. 150/2011). Il collegio ritiene però che diverso fosse il senso della suddetta indicazione della legge delega e che, in particolare, il legislatore delegante non avesse inteso mantenere i criteri di composizione dell’organo giudicante previsti dalle norme speciali abrogate dal D. lgs. 150/2011 (gli artt, 29 e 30 della L.794/1942 sono stati abrogati dall’art. 34, comma 16 del D.lgs.150/2011) ma quelli generali di cui all’art. 50 ter c.p.c., introdotto dal D.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, che, nel riparto delle competenze, tra giudice
  • 25. 25 monocratico e giudice collegiale, ha stabilito che: “fuori dei casi previsti dall’articolo 50-bis, il tribunale giudica in composizione monocratica.” A favore di questa interpretazione depone innanzitutto un argomento di ordine letterale, ossia la considerazione che la legislazione presa a riferimento dalla direttiva sopra citata non è qualificata come speciale, a differenza di quella menzionata ai successivi commi b e c. Sotto il profilo sistematico poi la lettura del criterio fissato dall’art. 54, comma 4 lett. a) della legge 69/2009 qui proposta risulta del tutto coerente con un altro, e più generale, criterio direttivo della legge delega, quello fissato dal comma 2 dell’art. 54 che richiedeva che la riforma realizzasse “il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti”. Tale richiamo infatti non può che essere inteso come affermazione dell’esigenza di un raccordo tra il decreto semplificazione e l’ordinamento previgente nel quale, a partire dal D. lgs. 51/1998, il giudizio monocratico ha costituito la regola. Si noti che, proprio sulla base di quest’ultimo rilievo, la Corte Costituzionale in passato ha giudicato pienamente coerenti con il sistema alcuni interventi normativi, compiuti attraverso lo strumento del decreto legislativo, che hanno reso monocratici giudizi che prima erano stati collegiali, pur in assenza di una specifica indicazione in tal senso nella corrispondente legge delega. Ci si riferisce, in particolare, alla sentenza n.53 del 28 gennaio 2005 che ha sancito la piena legittimità costituzionale dell’art. 170 del D. lgs. 30 maggio 2002 n.115 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia) che ha previsto, per l’opposizione avverso il decreto di liquidazione dei compensi degli ausiliari del giudice, che, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, il processo continuasse ad essere quello speciale per gli onorari di avvocato, quindi di natura camerale, (già era così infatti in virtù dell’art. 11, comma 6, della legge 8 luglio 1980 n.319) ma che l’ufficio procedesse in composizione monocratica e non più in composizione collegiale. In particolare la Corte, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale della norma sopra citata, in riferimento all’art. 76 Cost., ha osservato che: “…non è necessario che sia espressamente enunciato nella delega il principio già presente nell’ordinamento, essendo sufficiente il criterio del riordino di una materia delimitata. Entro questi limiti il testo unico poteva innovare per raggiungere la coerenza logica e sistematica e, come nel caso di specie, prevedere la composizione monocratica anziché quella collegiale, applicando al processo in questione il principio generale affermato con la riforma del 1998 al fine di rendere la disciplina più coerente nel suo complesso e in sintonia con l’evolversi dell’ordinamento.” Con altra pronuncia (sentenza 10 febbraio 2006 n. 52) la Corte ha anche escluso che l’art. 170 del D. lgs. 30 maggio 2002 n.113 sia in contrasto con il parametro costituzionale dell’art.3 Cost. nella parte in cui riconosce al giudice in composizione
  • 26. 26 monocratica la competenza a conoscere dell’opposizione, anche nell’ipotesi in cui il provvedimento sia stato pronunciato da giudice in composizione collegiale, e come sia invece “ragionevole il sistema di attribuzione del reclamo al giudice monocratico in rapporto ad esigenze di buona amministrazione, rapidità, economie delle risorse.” Sulla base di analoghe considerazioni la Corte (sentenza n.52 del 2005) ha parimenti escluso l’illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 76 Cost. dell’art. 99, comma 3, del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113, nella parte in cui dispone che nel processo di opposizione avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ovvero di revoca dell’ammissione già accordata, l’ufficio giudiziario procede in composizione monocratica anziché collegiale. A fronte di un simile quadro di riferimento il perseguimento da parte del legislatore delegato dei fini di semplificazione della riforma non poteva prescindere dall’osservanza di quei principii, già evincibili dall’ordinamento nel suo complesso e comunque richiamati in maniera onnicomprensiva dalla legge delega, che consentono di raggiungere appieno il succitato obiettivo, anche sotto il profilo del contenimento delle risorse da impiegare nell’amministrazione della giustizia. Sempre sotto il profilo sistematico non va trascurato che la stessa legge n. 69/2009 ha inteso ribadire, sia pure implicitamente, il principio generale della monocraticità del giudizio di primo grado, sommario o di cognizione ordinaria, nel momento in cui con l’art. 54, comma 5, ha abrogato il rito societario collegiale previsto dall’art. 1, comma 2, del D. lgs. 5/2003. Per effetto di tale modifica sono state infatti sottratte al rito collegiale le controversie di cui all’art. 1, lett. d) del D.lgs. 5/2003 (rapporti in materia di intermediazione mobiliare da chiunque gestita, servizi e contratti di investimento, ivi compresi servizi accessori, fondi di investimento ed altri) che, non rientrando in nessuna delle ipotesi di cui all’art. 50 bis c.p.c., sono ora riservate, in virtù della regola dell’art. 50 ter c.p.c., alla decisione del giudice monocratico. Ma anche il legislatore delegato ha dimostrato, invero contraddittoriamente, di ispirarsi al predetto principio generale nel momento in cui ha attribuito al giudice monocratico le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale (art. 19 D. lgs. 150/2011), sebbene esse, vertendo su uno status, richiedano l’intervento obbligatorio del P.M, e in tal modo ha derogato al criterio fissato dall’art. 50 bis n. 1 c.p.c. per tale tipologia di giudizi. Ad avviso del collegio poi il disposto dell’art. 14, comma 2, del D.lgs. 150/2011, al pari di quello dell’art. 3, comma 1, dello stesso testo, che comporta che al procedimento ex art. 14 non si applichi il comma secondo dell’art. 702 ter c.p.c., oltre a porsi in contrasto con il sistema normativo preesistente e con la stessa legge delega, conducono
  • 27. 27 ad un risultato incompatibile con la dichiarata finalità di semplificazione della riforma, sotto un ulteriore profilo. Tali norme infatti ammettono, all’interno della categoria dei procedimenti ricondotti al procedimento sommario di cognizione, un modello processuale che costituisce un unicum, in quanto rappresenta la sola ipotesi di procedimento sommario collegiale di competenza del tribunale nel quale non è previsto l’intervento del Pubblico Ministero. Per le ragioni sin qui esposte il collegio dubita, con riferimento al parametro dell’art. 76 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, del D.lgs. 150/2011, nella parte in cui esclude anche per la controversie di cui all’art. 14 l’applicazione del comma secondo dell’art. 702 ter c.p.c nonchè dell’art. 14, comma 2, del D. lgs. 150/2011, nella parte in cui prevede che il tribunale decida in composizione collegiale, perchè formulati in difetto o in eccesso di delega. E’ poi evidente la rilevanza della questione poiché questo Tribunale è chiamato a pronunciarsi sul ricorso di cui in epigrafe in una composizione diversa da quella che poteva desumersi dalle indicazioni del legislatore delegante e dell’intero sistema.” Naturalmente, l’attuale composizione collegiale dell’organo giudicante (nel caso di competenza del Tribunale e, ovviamente, della Corte d’Appello), ha richiesto l’adozione degli opportuni adattamenti delle norme in materia di trattazione e di istruzione del procedimento, proprie del procedimento sommario c.d. “facoltativo” previsto dagli artt. 702 bis e segg. c.p.c., espressamente limitato alle “cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica.” In particolare, deve richiamarsi l’art. 3, 2° comma, D.Lgs. n. 150/2011, ai sensi del quale “Quando la causa è giudicata in primo grado in composizione collegiale, con il decreto di cui all’articolo 702-bis, terzo comma, del codice di procedura civile il presidente del collegio designa il giudice relatore. Il presidente può delegare l’assunzione dei mezzi istruttori ad uno dei componenti del collegio.”
  • 28. 28 6. L’ambito oggettivo delle controversie in materia di liquidazione dei compensi degli avvocati Per affrontare la problematica (di non facile soluzione) relativa all’ambito oggettivo delle controversie in materia di liquidazione dei compensi degli avvocati, è opportuno richiamare gli orientamenti giurisprudenziali formatisi in relazione alla previgente Legge 13 giugno 1942 n. 794 in materia di “Onorari di avvocato e di procuratore per prestazioni giudiziali in materia civile.” Come si è accennato in precedenza, secondo la tesi prevalente, l’avvocato che voleva recuperare giudizialmente un credito professionale per prestazioni giudiziali poteva optare per tre strade: 1) il procedimento speciale di cui agli artt. 28 e segg. Legge n. 794/1942 (limitatamente ai crediti relativi a procedimenti civili); 2) il procedimento monitorio per decreto ingiuntivo; 3) il giudizio ordinario di cognizione. Secondo la tesi prevalente, il giudizio ordinario di cognizione era ammissibile visto che (come si dirà meglio in seguito), il presupposto dell’esperibilità del procedimento speciale era pur sempre la natura non contestata del credito e l’esigenza soltanto di una sua determinazione quantitativa (ossia di una sua “liquidazione”), per cui non si poteva negare all’avvocato che riteneva il proprio credito contestato o contestabile oppure che semplicemente temeva una sua contestazione, la possibilità di agire con lo strumento della cognizione ordinaria prevista obbligatoriamente proprio per quel tipo di situazioni processuali. Peraltro, secondo la Cassazione, lo speciale procedimento camerale di liquidazione di onorari e diritti dell’avvocato previsto dagli art. 28 e segg. Legge 13 giugno 1942 n. 794 si riferiva soltanto ai compensi in materia giudiziale civile e non anche in materia penale (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. II, 23 gennaio 2012, n. 876 in Guida al diritto 2012, 20, 59; Cass. civile, sez. II, 14 ottobre 2004, n. 20293 in Giust. civ. Mass. 2004, 10). In particolare, si richiama testualmente la seguente massima della Cassazione: Cass. civile, sez. II, 14 ottobre 2004, n. 20293 in Giust. civ. Mass. 2004, 10: “L’avvocato che abbia prestato la propria opera professionale in favore di persona costituitasi parte civile in un processo penale non può ottenere il pagamento dei relativi onorari valendosi del procedimento previsto dagli art. 29 e 30 l. 13 giugno 1942 n. 794, applicabile per gli onorari e gli altri compensi spettanti agli avvocati per le prestazioni professionali esplicate nell’ambito di un processo civile o di altri procedimenti a questo equiparati dalla stessa legge n. 794 (procedimenti davanti a giudici speciali o davanti agli arbitri). Pertanto il provvedimento decisorio dell’opposizione ad un decreto
  • 29. 29 ingiuntivo riguardante onorari e spese spettanti ad un avvocato per la difesa di una parte civile in un processo penale ha a tutti gli effetti natura di sentenza emessa in un ordinario giudizio di cognizione e quindi detto provvedimento è impugnabile solo mediante appello e non già mediante ricorso per cassazione.” Come pure chiarito dalla Suprema Corte, la normativa non trovava applicazione nel caso di prestazioni rese dall’avvocato nei procedimenti amministrativi (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. II, 14 ottobre 2004, n. 20293 in Giust. civ. Mass. 2004, 10; Cass. civile, sez. II, 29 luglio 2004, n. 14394 in Giust. civ. Mass. 2004, 7-8). In particolare, si richiama testualmente la seguente massima della Cassazione: Cass. civile, sez. II, 29 luglio 2004, n. 14394 in Giust. civ. Mass. 2004, 7-8: “La speciale procedura camerale prevista dalla l. 13 giugno 1942 n. 794 per la liquidazione delle competenze di avvocato e procuratore si riferisce esclusivamente ai compensi in materia giudiziale civile, e non può, pertanto, trovare applicazione nel caso di prestazioni rese dal legale dinanzi al giudice amministrativo, caso nel quale la liquidazione deve seguire le forme ordinarie previste dal codice di procedura civile, sicché il provvedimento conclusivo del procedimento, anche se adottato in forma di ordinanza, costituisce a tutti gli effetti una sentenza che, come tale, è soggetta ai mezzi ordinari di impugnazione (ossia, propriamente, all’appello).” Sempre secondo la Cassazione, la procedura camerale prevista dagli art. 29 e 30 Legge n. 794/1942 per la liquidazione degli onorari e diritti di avvocato e procuratore era dettata solo per le prestazioni giudiziali civili e non anche per le prestazioni stragiudiziali (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. II, 23 gennaio 2012, n. 876 in Guida al diritto 2012, 20, 59; Cass. civile, sez. II, 13 giugno 2007, n. 13847 in Giust. civ. Mass. 2007, 6). Peraltro, sempre in tema di esercizio della professione forense, doveva considerarsi prestazione giudiziale, ai fini della liquidazione delle competenze in base alla legge professionale n. 79471942, anche l’assistenza e l’attività svolta dal difensore, stragiudizialmente, per transigere una controversia, trattandosi di attività complementare e dipendente da quella per cui gli è stato conferito il mandato (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. II, 04 dicembre 2009, n. 25675 in Giust. civ. Mass. 2009, 12, 1670; Cass. civile, sez. II, 13 giugno 2007, n. 13847 in Giust. civ. Mass. 2007, 6). In particolare, si richiamano testualmente le seguenti massime della Cassazione sopra citata: Cass. civile, sez. II, 04 dicembre 2009, n. 25675 in Giust. civ. Mass. 2009, 12, 1670: “In tema di esercizio della professione forense, è da considerare prestazione giudiziale, ai fini della liquidazione delle competenze in base alla legge professionale 13 giugno 1942 n. 794 e della relativa tariffa in materia giudiziale,
  • 30. 30 anche l’assistenza e l’attività svolta dal difensore, stragiudizialmente, per transigere una controversia, trattandosi di attività complementare e dipendente da quella per cui gli è stato conferito il mandato.” Cass. civile, sez. II, 13 giugno 2007, n. 13847 in Giust. civ. Mass. 2007, 6: “La procedura camerale prevista dagli art. 29 e 30 l. 13 giugno 1942 n. 794 per la liquidazione degli onorari e diritti di avvocato e procuratore è dettata solo per le prestazioni giudiziali civili, salvo essere ammessa anche per le prestazioni stragiudiziali, allorché esse siano in funzione strumentale o complementare all’attività propriamente processuale. Ne consegue che ove la corte d’appello abbia dichiarato inammissibile il gravame avverso l’ordinanza di liquidazione emessa dal tribunale a seguito di opposizione dei debitori, il professionista non può dolersi di tale decisione limitandosi a dedurre la prestazione di duplice attività professionale, ma ha l’onere di specificare, nel ricorso per cassazione, le ragioni che ostano a siffatta strumentalità o complementarità. (Nella specie la S.C., nel rigettare il ricorso, ha confermato che avverso il provvedimento reso dal tribunale, qualificabile come ordinanza ancorché reso in forma di sentenza, avrebbe dovuto esser proposto il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 cost.).” Inoltre, secondo l’orientamento della Cassazione, lo speciale procedimento camerale di liquidazione di onorari e diritti dell’avvocato previsto dagli art. 28 e segg. Legge 13 giugno 1942 n. 794 era limitato alla determinazione del quantum dovuto al professionista e non si estendeva anche all’an della pretesa, ossia ai suoi ai presupposti: Cass. civile, sez. II, 07 agosto 2002, n. 11882 in Giur. it. 2003, 2271: “In tema di onorari e diritti dell’avvocato, non è applicabile lo speciale procedimento di liquidazione dei compensi previsto dagli art. 28 e ss., l. 13 giugno 1942 n. 794, qualora la controversia non involga solo il ‘quantum’ del compenso ma anche l’ ‘an’ della pretesa: nella specie il provvedimento finale risulta impugnabile con l’appello).” Cass. civile, sez. II, 27 marzo 2001, n. 4419 in Giust. civ. Mass. 2001, 596: “La speciale procedura di liquidazione dei compensi per le prestazioni giudiziali degli avvocati in materia civile, regolata dagli art. 28 e ss. l. 13 giugno 1942 n. 794, non è applicabile, quando il diritto al compenso dell’avvocato sia contestato nell’an.” Precisamente, lo speciale procedimento previsto dagli art. 29 e 30 Legge n. 794 del 1942 (che doveva essere adottato anche nel caso in cui il patrono si fosse avvalso dell’ingiunzione di cui all’art. 633 c.p.c.), trovava applicazione soltanto se la controversia aveva ad oggetto il “quantum” del compensi dovuti al professionista, ossia la determinazione della misura del compenso (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. II, 23 gennaio 2012, n. 876 in Guida al diritto 2012, 20, 59; Cass. civile, sez. II, 15 marzo
  • 31. 31 2010, n. 6225 in Giust. civ. Mass. 2010, 3, 370; Cass. civile, sez. II, 29 marzo 2005, n. 6578 in Giust. civ. Mass. 2005, 3; Cass. civile, sez. II, 21 aprile 2004, n. 7652 in Giust. civ. Mass. 2004, 4 ) e non anche qualora: il giudizio si estenda ad altri oggetti di accertamento e decisione, quali i presupposti stessi del diritto al compenso, i limiti del mandato, l’effettiva esecuzione della prestazione, la sussistenza di cause estintive o limitative della pretesa rinvenienti da altri rapporti o le pretese avanzate dal cliente nei confronti del professionista (cfr. sul punto: Cass. civile, sez. II, 23 gennaio 2012, n. 876 in Guida al diritto 2012, 20, 59; Cass. civile, sez. II, 4 giugno 2010, n. 13640 in Giust. civ. Mass. 2010, 6, 869; Cass. civile, sez. II, 15 marzo 2010, n. 6225; Cass. civile, sez. II, 21 aprile 2004, n. 7652; Cass. civile, sez. II, 18 marzo 1999, n. 2471); “vi sia contestazione sulla esistenza del rapporto di clientela, sull’avvenuta transazione della lite o sulla natura giudiziale dei compensi, ovvero quando con riconvenzionale sia dal cliente introdotto un nuovo e diverso petitum” (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. III, 14 ottobre 2010, n. 21261 in Diritto & Giustizia 2010; Cass. civile, sez. II, 09 settembre 2008, n. 23344 in Giust. civ. Mass. 2008, 9 1340; in senso conforme cfr. anche Cass. civile, sez. II, 23 gennaio 2012, n. 876 in Guida al diritto 2012, 20, 59; Cass. civile, sez. II, 21 maggio 2003, n. 7957 in Giust. civ. Mass. 2003, 5); “la parte ingiunta contesti la sussistenza del debito, eccependone l’avvenuto pagamento” (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. II, 04 gennaio 2006, n. 29; Cass. civile, sez. II, 31 agosto 2005, n. 17565); la parte ingiunta contesti “l’eccessività delle pretese” (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. II, 04 gennaio 2006, n. 29); “venga contestata la fondatezza della pretesa del legale al compenso o l’effettiva esecuzione delle prestazioni” (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. II, 17 maggio 2002, n. 7259); “l’opponente abbia introdotto, ampliando il thema decidendum, domande o eccezioni riconvenzionali oppure abbia contestato i presupposti stessi del diritto del patrono al compenso o l’effettiva esecuzione delle prestazioni” (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. II, 11 ottobre 2001, n. 12409; Cass. civile, sez. II, 22 marzo 2001, n. 4133); “la controversia sia estesa al dedotto inadempimento del professionista alle obbligazioni nascenti a suo carico dal rapporto professionale” (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. II, 23 gennaio 2012, n. 876 in Guida al diritto 2012, 20, 59; Cass. civile, sez. II, 08 agosto 2000, n. 10426) e/o “siano state avanzate riconvenzionalmente dall’opponente pretese risarcitorie per asserita condotta negligente od imperita del professionista” (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. II, 27 gennaio 1998, n. 786);
  • 32. 32 “siano contestati gli stessi presupposti del diritto del patrono, ovvero l’esistenza del rapporto professionale o di clientela o le competenze reclamate riguardino, oltre che prestazioni giudiziali in materia civile, prestazioni stragiudiziali in detta materia, o in materia penale, o in giudizi amministrativi” (cfr. Cass. civile, sez. II, 23 gennaio 2012, n. 876 in Guida al diritto 2012, 20, 59; in senso conforme cfr. anche Cass. civile, sez. II, 08 agosto 2000, n. 10426); più in generale, “nel giudizio si facciano valere anche altre ragioni di merito o di rito, di qualsiasi specie, sostanziali o processuali” (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. II, 16 marzo 2007, n. 6166; Cass. civile, sez. II, 29 marzo 2005, n. 6578), come, ad esempio, il “difetto di legittimazione passiva” (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. II, 29 marzo 2005, n. 6578) o “il diritto al compenso dell’avvocato sia contestato nell’an” (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. II, 27 marzo 2001, n. 4419); “venga dedotta l’esistenza di più rapporti professionali con il difensore ed il pagamento integrale di tutte le prestazioni professionali mediante versamenti effettuati” in quanto “il thema decidendum necessariamente si amplia ed esorbita dalla natura e dall’oggetto del procedimento speciale, postulando la verifica delle diverse attività espletate e dei compensi complessivamente dovuti” (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. III, 14 ottobre 2010, n. 21261 in Diritto & Giustizia 2010; Cass. civile, sez. II, 09 settembre 2008, n. 23344 in Giust. civ. Mass. 2008, 9 1340). Nelle predette ipotesi, secondo la Cassazione, “trattandosi di indagine incompatibile con la trattazione nelle forme del rito speciale, vengono meno le ragioni che giustificano la deroga al principio generale del doppio grado di giudizio ed il procedimento deve svolgersi secondo il rito ordinario” (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. III, 14 ottobre 2010, n. 21261 in Diritto & Giustizia 2010; Cass. civile, sez. II, 09 settembre 2008, n. 23344 in Giust. civ. Mass. 2008, 9 1340: nella specie era stato ritenuto inammissibile il procedimento speciale perché il convenuto cliente, eccependo il pagamento, aveva fatto riferimento alla somma da lui complessivamente versata in relazione a numerosi rapporti intrattenuti negli anni addietro con il legale). In altre parole, in tali casi, il procedimento ordinario attraeva nella sua sfera, per ragioni di connessione, anche la materia propria del procedimento speciale e tutto il giudizio si concludeva in primo grado con un provvedimento impugnabile solo con l’appello (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. II, 23 gennaio 2012, n. 876 in Guida al diritto 2012, 20, 59). Ciò chiarito, nel caso di controversia instaurata ai sensi degli artt. 28 e segg. Legge n. 794/1942 non limitata (sin dall’origine oppure a seguito delle difese del cliente) alla determinazione della misura dei compensi, la giurisprudenza di legittimità non era peraltro univoca sul provvedimento che doveva essere pronunciato dal Giudice erroneamente adito e, dunque, sulla sorte del procedimento:
  • 33. 33 a) Invero, secondo una parte della Cassazione, quando il diritto al compenso dell’avvocato era contestato nell’an, non essendo applicabile la speciale procedura di liquidazione dei compensi per le prestazioni giudiziali degli avvocati in materia civile, regolata dagli art. 28 e ss. l. 13 giugno 1942 n. 794, il Giudice adito doveva ordinare, se il contraddittorio era regolarmente instaurato, la trasformazione del rito, ossia la prosecuzione del procedimento con l’ordinario rito di cognizione: Cass. civile, sez. II, 24 febbraio 2004, n. 3637: “Lo speciale procedimento abbreviato di cui agli art. 28 e 29 legge n. 794 del 1942, esperibile dall’avvocato per ottenere la liquidazione delle spese, dei diritti e degli onorari giudiziali nei confronti del proprio cliente, è utilizzabile anche nei confronti della controparte (ai sensi dell’art. 68, r.d.l. n. 1578 del 1933) qualora ricorra l’ipotesi, non contestata, della definizione del giudizio mediante transazione. In mancanza di uno dei presupposti (nel caso di specie, contestazione del dedotto accordo transattivo) non può dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, ma il procedimento prosegue trasformandosi in un ordinario giudizio di cognizione.” Cass. civile, sez. II, 30 agosto 2001, n. 11346 in Giust. civ. Mass. 2001, 1630: “Lo speciale procedimento abbreviato di cui agli art. 28 e 29 legge n. 794 del 1942 e 68 del r.d.l. n. 1578 del 1933 può essere proposto dall’avvocato soltanto per ottenere la liquidazione delle spese, dei diritti e degli onorari giudiziali nei confronti del proprio cliente sempre che sussista uno dei presupposti previsti da dette norme, in quanto non vengano contestati il rapporto di clientela o il credito vantato. Peraltro, nel caso in cui la mancanza del presupposto emerga in occasione della comparizione delle parti in camera di consiglio, il giudice adito deve limitarsi a dichiarare l’inammissibilità del ricorso e, nell’ipotesi di regolare instaurazione del contraddittorio, deve ordinare che il procedimento prosegua secondo l’ordinario rito di cognizione avanti all’autorità giudiziaria competente.” Cass. civile, sez. II, 27 marzo 2001, n. 4419 in Giust. civ. Mass. 2001, 596: “Quando il diritto al compenso dell’avvocato sia contestato nell’an, la speciale procedura di liquidazione dei compensi per le prestazioni giudiziali degli avvocati in materia civile, regolata dagli art. 28 e ss. l. 13 giugno 1942 n. 794, non è applicabile e, pertanto, in tale ipotesi, il giudice adito deve dichiarare l’inammissibilità del ricorso proposto ed ordinare, se il contraddittorio è regolarmente costituito, che il procedimento prosegua con l’ordinario rito di cognizione (e l’ordinanza pronunziata in tal senso non è impugnabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art 111 cost., perché, non avendo contenuto decisorio, non acquista autorità di giudicato e non preclude la possibilità di proporre la domanda di liquidazione degli onorari in via ordinaria).” Cass. civile, sez. I, 27 febbraio 1995, n. 2229 in Giust. civ. Mass. 1995, 455: “Lo speciale procedimento abbreviato di cui agli art. 28 e 29 legge n. 794 del 1942 e 68
  • 34. 34 del r.d.l. n. 1578 del 1933 impiegabile dall’avvocato e dal procuratore legale soltanto per ottenere la liquidazione delle spese, dei diritti e degli onorari giudiziali nei confronti del proprio cliente e, se la controversia si sia conclusa con una transazione, anche della controparte, con la conseguenza che esso non può essere iniziato o proseguito ove faccia difetto uno dei presupposti previsti da dette norme (in quanto manchino, o vengano contestati, il rapporto di clientela, la natura giudiziale delle competenze pretese o l’avvenuta transazione della lite). Peraltro, nel caso in cui la mancanza del presupposto emerga in occasione della comparizione delle parti in camera di consiglio, il competente Capo dell’ufficio giudiziario adito non può dichiarare l’inammissibilità del ricorso, per la sola accertata inapplicabilità del procedimento speciale, ma, stante la regolare instaurazione del contraddittorio, deve ordinare che il procedimento prosegua secondo l’ordinario rito di cognizione.” b) Peraltro, la Cassazione più recente riteneva che, anche quando l’inesistenza dei presupposti per l’applicazione del procedimento speciale ex art. 28 e 29 della Legge n. 794 del 1942 fosse emersa all’udienza di comparizione delle parti dopo la regolare costituzione del contraddittorio e, dunque, in presenza di contestazioni sull’an il Giudice del procedimento speciale si doveva limitare ad una mera pronuncia di inammissibilità, senza disporre il mutamento del rito al fine di consentire la prosecuzione del giudizio nelle forme ordinarie davanti al giudice competente; secondo tale orientamento, infatti, il mutamento del rito, ossia il passaggio a quello ordinario, non si poteva configurare perché il procedimento originario aveva natura sommaria con un oggetto diverso e una disciplina semplificata rispetto alla puntuale regolamentazione del secondo: Cass. civile, sez. II, 5 agosto 2011, n. 17053: “L’ordinanza con la quale il tribunale — adito, ai sensi degli art. 28 e 29 l. 13 giugno 1942 n. 794, per la liquidazione dei compensi professionali di un avvocato — abbia dichiarato l’inapplicabilità di tale procedura a causa della contestazione del credito non è impugnabile con ricorso straordinario per cassazione, non avendo contenuto decisorio né potendo acquistare autorità di cosa giudicata; né può disporsi il mutamento del rito in un ordinario giudizio di cognizione, con conseguente conservazione degli atti già compiuti, presupponendo il mutamento del rito l’esistenza di due procedimenti a cognizione piena, mentre lo speciale procedimento per la liquidazione degli onorari è sommario e ha un oggetto diverso rispetto a quello per il quale si procede con cognizione ordinaria.” Cass. civile, sez. II, 09 settembre 2008, n. 23344 in Giust. civ. Mass. 2008, 9 1340 ed in Diritto & Giustizia 2008: “In tema di liquidazione di diritti ed onorari di avvocato anche quando l’inesistenza dei presupposti per l’applicazione del procedimento speciale ex art. 28 e 29 della Legge n. 794 del 1942 emerga
  • 35. 35 all’udienza di comparizione delle parti dopo la regolare costituzione del contraddittorio, deve essere dichiarata esclusivamente l’inammissibilità del ricorso senza disporre il mutamento del rito al fine di consentire la prosecuzione del giudizio nelle forme ordinarie davanti al giudice competente; il mutamento del rito, cioè il passaggio a quello ordinario, non si può configurare perché il procedimento originario ha natura sommaria con un oggetto diverso e una disciplina semplificata rispetto alla puntuale regolamentazione del secondo.” Un altro problema concerneva la natura di Sentenza o Ordinanza del provvedimento conclusivo del procedimento e, dunque, il regime dell’impugnazione, nel caso di erronea trattazione e decisione della causa (GIULIANI): con il rito ordinario, nel caso di controversia limitata alla determinazione della misura dei compensi oppure con il rito camerale speciale artt. 28 e segg. Legge n. 794/1942, nel caso di controversia non limitata (sin dall’origine oppure a seguito delle difese del cliente) alla determinazione della misura dei compensi. Secondo la tesi della prevalente giurisprudenza della Cassazione, in tali casi operava la prevalenza della natura sostanziale del provvedimento sulla sua forma: 1) Pertanto, qualora il Giudice adito, a conclusione di un procedimento instaurato ai sensi degli artt. 28 ss. Legge n. 794/1942, non si fosse limitato a decidere sulla controversia tra avvocato e cliente circa la determinazione della misura dei compensi, ma si fosse pronunciato anche sui presupposti del diritto al compenso, relativi all’esistenza e alla persistenza del rapporto obbligatorio, l’intero giudizio doveva concludersi in primo grado con un provvedimento che, quand’anche adottato in forma di Ordinanza, aveva valore di Sentenza e, dunque, poteva essere impugnato con il solo mezzo dell’appello: Cass. civile, sez. II, 03 febbraio 2012, n. 1666 in Giust. civ. Mass. 2012, 2, 127: “In tema di compensi per le prestazioni giudiziali degli avvocati in materia civile, il provvedimento con cui il giudice adito, a conclusione di un processo iniziato ai sensi degli art. 28 ss. l. 13 giugno 1942 n. 794, non si limiti a decidere sulla controversia tra l’avvocato ed il cliente circa la determinazione della misura degli onorari, ma pronunci anche sui presupposti del diritto al compenso, relativi all’esistenza e alla persistenza del rapporto obbligatorio, pur se qualificato come ordinanza, riveste natura sostanziale di sentenza con la conseguenza che esso può essere impugnato con il solo mezzo dell’appello e non invece con il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., trattandosi di questioni di merito, la cui cognizione non può essere sottratta al doppio grado di giurisdizione.” Cass. civile, sez. II, 23 gennaio 2012, n. 876 in Guida al diritto 2012, 20, 59: “In tema di liquidazione degli onorari di avvocato nei confronti del cliente, il giudizio
  • 36. 36 d’opposizione deve svolgersi in ogni caso ex art. 29 e 30 l. 794/1942, con la conseguenza che al provvedimento conclusivo va attribuita natura sostanziale di ordinanza, sottratta all’appello e impugnabile solo con ricorso per cassazione ex art. 111 cost. Queste regole non possono trovare applicazione quando la controversia non verta unicamente sulla misura del compenso dovuto all’avvocato e procuratore per prestazioni giudiziali in materia civile, in quanto siano contestati gli stessi presupposti del diritto del patrono, ovvero l’esistenza del rapporto professionale o di clientela o le competenze reclamate riguardino, oltre che prestazioni giudiziali in materia civile, prestazioni stragiudiziali in detta materia, o in materia penale, o in giudizi amministrativi oppure la controversia sia estesa al dedotto inadempimento del professionista alle obbligazioni nascenti a suo carico dal rapporto professionale. In tali casi, il procedimento ordinario attrae nella sua sfera, per ragioni di connessione, anche la materia propria del procedimento speciale e tutto il giudizio si conclude in primo grado con un provvedimento impugnabile solo con l’appello.” Cass. civile, sez. II, 4 giugno 2010, n. 13640 in Giust. civ. Mass. 2010, 6, 869: “In tema di liquidazione degli onorari e diritti di avvocati, non è ammissibile il ricorso alla speciale procedura di cui agli art. 28 e 29 l. 13 giugno 1942 n. 794 qualora la controversia non abbia ad oggetto soltanto la semplice determinazione della misura del compenso, ma si estenda altresì ad altri oggetti d’accertamento e di decisione, quali i presupposti stessi del diritto al compenso, i limiti del mandato, la sussistenza di cause estintive o limitative della pretesa; in tal caso, il procedimento ordinario attrae nella sua sfera, per ragioni di connessione, anche la materia propria del procedimento speciale e l’intero giudizio non può non concludersi in primo grado se non con un provvedimento che, quand’anche adottato in forma d’ordinanza, ha valore di sentenza e può essere impugnato con il solo mezzo dell’appello.” Cass. civile, sez. II, 10 agosto 2007, n. 17622 in Giust. civ. Mass. 2007, 9: “La speciale procedura di liquidazione dei compensi per le prestazioni giudiziali degli avvocati in materia civile, regolata dagli art. 28 ss. della l. n. 794 del 1942, non è applicabile quando la controversia riguardi non soltanto la semplice determinazione della misura del compenso spettante al professionista, bensì anche altri oggetti di accertamento e decisione, quali i presupposti stessi del diritto al compenso, i limiti del mandato, l’effettiva esecuzione delle prestazioni e la sussistenza di cause estintive o limitative della pretesa azionata. (Nella specie la S.C. - riconoscendo natura sostanziale di sentenza al provvedimento del tribunale che aveva deciso col rito camerale l’opposizione a decreto ingiuntivo su crediti professionali di avvocato, ancorché la decisione fosse formalmente un’ordinanza - ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per cassazione contro tale pronuncia,
  • 37. 37 essendo la medesima impugnabile soltanto con l’appello, proprio in quanto avente natura decisoria non soltanto della semplice misura del compenso).” 2) Analogamente, nel caso inverso, qualora il Giudice adito, a conclusione di un procedimento ordinario di cognizione (frequente nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo trattata e decisa col rito ordinario, nonostante l’opposizione avesse ad oggetto solo la determinazione della misura del compenso liquidata con il decreto) avente ad oggetto una controversia tra avvocato e cliente limitata alla determinazione della misura dei compensi, l’intero giudizio doveva concludersi in primo grado con un provvedimento che, quand’anche adottato in forma di Sentenza, aveva valore di Ordinanza, in quanto tale sottratta all’appello ed impugnabile solo con il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.: Cass. civile, sez. II, 15 marzo 2010, n. 6225 in Giust. civ. Mass. 2010, 3, 370; Cass. civile, sez. II, 07 agosto 2002, n. 11882 in Giust. civ. Mass. 2002, 1498: “In tema di onorari e di diritti di avvocato, ancorché il difensore si sia avvalso dell’ordinario procedimento per ingiunzione ex art. 633 ss. c.p.c., l’opposizione avverso il provvedimento di liquidazione deve svolgersi secondo lo speciale procedimento previsto dagli art. 29 e 30 l. 13 giugno 1942 n. 794, dovendosi riconoscere alla decisione conclusiva, anche se adottata nella forma della ‘sentenza’, natura sostanziale di ‘ordinanza”, sottratta all’appello ed impugnabile solo con il ricorso per cassazione ex art. 111 cost.” Cass. civile, sez. II, 31 agosto 2005, n. 17565 in Giust. civ. Mass. 2005, 6: “Nel caso in cui, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di onorari di avvocato, la parte ingiunta contesti la sussistenza del debito, eccependone l’avvenuto pagamento, l’oggetto del giudizio esula da quello proprio del procedimento disciplinato dagli art. 29 ss. legge n. 794 del 1992, che è limitato alla determinazione della misura del compenso spettante al professionista, con l’effetto che la relativa decisione ha natura sostanziale di sentenza di primo grado e può essere impugnata soltanto con l’appello, e non con il ricorso in cassazione, che è conseguentemente inammissibile.” Cass. civile, sez. II, 29 marzo 2005, n. 6578 in Giust. civ. Mass. 2005, 3: “Le decisioni sulle opposizioni a decreto ingiuntivo in materia di onorari professionali dovuti agli avvocati hanno valore di ordinanza, e come tali sono impugnabili solo a mezzo di ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 cost., solo nelle ipotesi in cui sia controverso soltanto il quantum del compensi dovuti al professionista, mentre hanno valore di sentenza, e come tali sono appellabili, qualora nell’opposizione si facciano valere anche altre ragioni di merito (quali, come nella specie, il difetto di legittimazione passiva).” Cass. civile, sez. II, 07 agosto 2002, n. 11882 in Giust. civ. Mass. 2002, 1498: “In tema di onorari e di diritti di avvocato, ancorché il difensore si sia avvalso
  • 38. 38 dell’ordinario procedimento per ingiunzione ex art. 633 ss. c.p.c., l’opposizione avverso il provvedimento di liquidazione deve svolgersi secondo lo speciale procedimento previsto dagli art. 29 e 30 l. 13 giugno 1942 n. 794, dovendosi riconoscere alla decisione conclusiva, anche se adottata nella forma della sentenza, natura sostanziale di ordinanza, sottratta all’appello ed impugnabile solo con il ricorso per cassazione ex art. 111 cost. Tale principio non può, tuttavia, trovare applicazione quando la controversia non involga unicamente la misura del compenso dovuto all’avvocato per prestazioni giudiziali in materia civile, ma siano contestati i presupposti stessi del diritto del patrono al compenso, potendo, in tal caso, la sentenza pronunciata all’esito del giudizio di opposizione essere impugnata soltanto con l’appello. Nondimeno, qualora, come nella specie, l’ordinanza - sentenza in discorso sia stata pronunciata dal giudice di pace secondo equità - tale dovendosi sempre considerare, a norma dell’art. 113 c.c., la decisione delle cause il cui valore è inferiore a due milioni di lire, ancorché dell’equità il giudice di pace (come nella specie) non abbia fatto menzione - essa è impugnabile solo con ricorso per cassazione.” 3) Peraltro, la Cassazione civile, Sezioni Unite, 11 gennaio 2011, n. 390 (seguita da Cass. civile, sez. II, 19 maggio 2011, n. 11024) ha temperato il predetto criterio della prevalenza della sostanza sulla forma del provvedimento, facendo applicazione del principio dell’apparenza, affermando che, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo per onorari e altre spettanze dovuti dal cliente al proprio difensore per prestazioni giudiziali civili, al fine di individuare il regime impugnatorio del provvedimento (Sentenza oppure Ordinanza ex art. 30 Legge n. 794/1942) che ha deciso la controversia, assume rilevanza la forma adottata dal giudice, ove la stessa sia frutto di una consapevole scelta, che può essere anche implicita e desumibile dalle modalità con le quali si è in concreto svolto il relativo procedimento: Cass. civile, Sezioni Unite, 11 gennaio 2011, n. 390 in Giust. civ. Mass. 2011, 1, 33, in Giust. civ. 2011, 3, 623, in Il civilista 2011, 3, 21 ed in Diritto & Giustizia 2011: “In tema di opposizione a decreto ingiuntivo per onorari e altre spettanze dovuti dal cliente al proprio difensore per prestazioni giudiziali civili, al fine di individuare il regime impugnatorio del provvedimento - sentenza oppure ordinanza ex art. 30 l. 13 giugno 1942 n. 794 - che ha deciso la controversia, assume rilevanza la forma adottata dal giudice, ove la stessa sia frutto di una consapevole scelta, che può essere anche implicita e desumibile dalle modalità con le quali si è in concreto svolto il relativo procedimento (Nella specie, le S.U. hanno cassato la sentenza della Corte territoriale che aveva dichiarato inammissibile il gravame avverso la sentenza emessa dal giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo, per somme relative a prestazioni giudiziali civili, reputando che si trattasse, nella sostanza, di ordinanza inappellabile ai sensi dell’art. 30 l. n. 794 del 1942, nonostante detta