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UNI EN ISO 14001:2004
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Progettazione ed erogazione di servizi di ricerca, analisi, pianificazione e consulenza nel campo dell’ambiente e del territorio
Proposte green per l’economia e il lavoro
in Liguria
OLTRE LE APEA: MODELLI
PRODUTTIVI E
INFRASTRUTTURE PER LA
GREEN ECONOMY
Mario Zambrini
22 aprile 2015
Pagina 2 / 10 Aprile 2014
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«Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito o è un pazzo o è
un economista»
Kenneth Boulding, anni '60
«… è ecologicamente impossibile che tutti i 5,4 miliardi di persone attualmente viventi possano
consumare risorse naturali e capacità assimilativa ambientale ad un tasso pari a quello nordamericano o
europeo. E' ancor meno possibile pensare di estendere tale livello di consumo alle generazioni future. Lo
sviluppo come è attualmente concepito, sul modello statunitense, è possibile solo per una minoranza della
popolazione mondiale e per poche generazioni: vale a dire che non è né giusto né sostenibile. L'obiettivo
di uno sviluppo sostenibile consiste nell'indirizzare il mondo, attraverso cambiamenti nell'allocazione, nella
distribuzione e nella scala, verso uno stato in cui lo "sviluppo", qualunque cosa esso verrà concretamente
a significare, sarà per tutti e per tutte le generazioni.E' certo che tale stato non è raggiungibile attraverso
un adeguamento ancorchè più raffinato a quel medesimo modello di crescita responsabile di aver
generato questa impasse».
Herman H. Daly, Oltre la crescita. L’economia della sviluppo sostenibile, Edizioni di Comunità, 1996.
«UNEP defines a green economy as one that results in "improved human well-being and social equity,
while significantly reducing environmental risks and ecological scarcities (UNEP 2010). In its simplest
expression, a green economy is low-carbon, resource efficient, and socially inclusive. In a green economy,
growth in income and employment are driven by public and private investments that reduce carbon
emissions and pollution, enhance energy and resource efficiency, and prevent the loss of biodiversity and
ecosystem service»
United Nations Environment Programme (UNEP), Towards a Green Economy. Pathways to Sustainable
Development and Poverty Eradication (2011)
Premessa
Nell'indiscutibile successo mediatico che ha accompagnato negli ultimi anni la crescente
attenzione al tema della Green Economy non è difficile riconoscere un rischio di sovraesposizione,
e di conseguente banalizzazione e sterilizzazione di un’idea ben altrimenti significativa. Se tutto
diventa Green, niente é più Green (come dire “bisogna che tutto cambi perché tutto resti come
prima”). Non stupisce dunque che fra gli entusiasti dell'ultima ora della Green Economy vi siano
anche i settori legati ai sistemi di produzione più tradizionali, e che anche le rappresentanze
istituzionali della “brown” economy si spendano in dichiarazioni ed iniziative di supporto alla
“nuova” economia. É - questo - un segnale chiaro del rapido declinare dell'idea di Green
Economy verso il ruolo di principio “buono per tutte le stagioni”.
“Tra il dire e il fare”: un esempio
La transizione ad un modello energetico alternativo basato su produzione diffusa e fonti rinnovabili
costituisce uno dei capisaldi di una credibile economia verde; eppure, proprio su questa vicenda si
sono coalizzate e concentrate diverse forze di conservazione e resistenza al cambiamento,
riuscendo a rallentare, se non fermare del tutto, un processo che, anche se migliorabile, ha
manifestato un livello di efficacia non comune. Solo pochi anni fa il nostro paese era ad un passo
dall'avviare un programma nucleare che, ad oggi e per molti anni ancora, avrebbe comportato
costi imprevedibili senza produrre un solo chilowattora. Negli ultimi sei anni, la produzione di
energia elettrica da fonti rinnovabili “nuove” (eolico, solare e biomassa) è viceversa cresciuta a
ritmi impressionanti, equivalenti a circa una nuova centrale nucleare da 1000 MW ogni anno
installati. Nel 2013, infatti, le fonti eolica, solare fotovoltaica e da biomasse hanno prodotto energia
elettrica equivalente a quella che sarebbe stata prodotta da sei centrali da 1000 MW ciascuna,
Pagina 4 / 10 Aprile 2014
ovviamente funzionanti a tempo pieno (8760 ore/anno). E’ ben vero che la politica degli incentivi è
stata eccessiva e non sempre adeguatamente e tempestivamente modulata, ma i risultati sono
fuori discussione. Eppure, tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi anni hanno adottato
provvedimenti - anche non convenzionali - che si sono tradotti in un brusco rallentamento delle
tendenze virtuose, anche se motivati dalle comprensibili esigenze di rimodulazione degli interventi
incentivanti. Insomma, la "old brown" economy cerca di mantenere le sue prerogative; ma lo fa
dandosi una immagine green.
Come definire la Green Economy
La Green Economy non è - non può essere - solamente un settore di attività economica, ma non è
nemmeno ancora un modello di sviluppo alternativo (cosa che invece dovrebbe diventare per
acquisire efficienza ed incisività). Da qui necessità di una definizione non banalizzante (e non
eccessivamente inclusiva) e della individuazione di criteri misurabili e verificabili. In termini
generali, la Green Economy:
1. massimizza l’efficienza in tutte le sue declinazioni: efficienza nella trasformazione delle
materie prime, efficienza nell’uso di energia, efficienza nell’uso del suolo, efficienza
nell’impiego di prodotti e servizi. Efficienza nell’allocazione di risorse scarse (si tratti di
risorse fisiche, ambientali, economiche, sociali, finanziarie).
2. sposta l’attenzione dal possesso di beni all’accesso a servizi. Questo significa da un lato
rimodulale la produzione di massa di beni di consumo, e dall’altro invertire l’attuale
tendenza alla sempre più rapida obsolescenza dei prodotti di consumo (che sta
raggiungendo livelli paradossali) sostituendo parte della produzione di beni da un lato con
la produzione di servizi di manutenzione e riparazione, e dall’altro con forme accesso a
beni condivisi.
3. investe in tutela del territorio, in infrastrutturazione diffusa (in luogo dell’infrastrutturazione
concentrata in poche grandi opere), in manutenzione ed efficienza nell’impiego del capitale
fisso sociale esistente prima che in realizzazione di nuove infrastrutture. In una parola,
l’economia verde investe in software, più che in hardware.
4. investe in risorse umane, nella ricerca scientifica e nella innovazione tecnologica; ma
investe anche in cultura, istruzione, formazione. L’economia verde produce idee, oltre che
beni. L’economia verde prefigura un percorso di sviluppo inclusivo, dove i diritti
fondamentali sono garantiti a tutti, e dove tutti, in misura e modi da definire, possano
godere dei benefici delle innovazioni e delle scoperte scientifiche.
5. mette in campo strategie e scelte quanto più possibile reversibili: reversibilità negli usi del
suolo, reversibilità nei modelli di sfruttamento delle risorse (e dunque progressivo
spostamento su risorse rinnovabili), reversibilità nelle politiche territoriali, ecc. Reversibilità
delle scelte significa anche adattamento, un’altra parola chiave del futuro prossimo venturo:
adattamento al cambiamento climatico, innanzitutto, ma anche adattamento alle mutate
condizioni geopolitiche e socioeconomiche globali.
Il tutto, ovviamente, in presenza di talune precondizioni che, in particolare nella situazione italiana
(ma non solo il quella) assumono un ruolo fondamentale: si tratta di questioni di legalità, di
certezza del diritto, di adeguatezza dell'apparato burocratico. Ma anche questioni di trasparenza
del mercato e di garanzia della concorrenza, di modalità di accesso alle professioni, e di
innovazione nella produzione di beni e servizi. Occorre agire con decisione sul fronte della
promozione delle nuove imprenditorialità. Formazione scolastica, universitaria, specializzazione
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professionale. E occorre garantire che la pubblica amministrazione sia messa nelle condizioni di
svolgere efficacemente il ruolo che le è proprio: investire in competenza e responsabilizzazione,
contro la minaccia del crescente ricorso a forme di autotutela della burocrazia e di elusione della
responsabilità decisionale (con il crescente ricorso alla autocertificazione in luogo di valutazioni di
merito).
L’esperienza delle APEA in Italia
Sotto il profilo normativo, il tema della riconversione ecologica della produzione in Italia è per ora
limitato alla definizione di Aree produttive ecologicamente attrezzate (APEA) sono state introdotte
nell’ordinamento italiano dall’art. 26 del D.Lgs 112/1998 che le definisce come aree industriali
“dotate delle infrastrutture e dei sistemi necessari a garantire la tutela della salute, della sicurezza
e dell’ambiente”. “Le regioni e le province autonome individuano le aree [...] scegliendole
prioritariamente tra le aree, zone o nuclei già esistenti, anche se totalmente o parzialmente
dismessi. Al procedimento d’individuazione partecipano gli enti locali interessati”
Approccio minimalista, dunque, che si limita a postulare la necessità di tutelare salute, sicurezza e
ambiente nelle aree produttive (e volevo anche vedere, verrebbe da dire).
Secondo un'indagine elaborata da Ervet nell'ambito delle attività della rete Cartesio, all'anno 2012
(quattordici anni dopo la pubblicazione del decreto) otto regioni avevano legiferato in materia di
APEA: Abruzzo, Calabria, Emilia Romagna, Liguria, Marche, Piemonte, Puglia e Toscana. In sei di
queste regioni, alla medesima data erano censite complessivamente 83 iniziative, ovvero ambiti
produttivi impegnati in un percorso di qualificazione ambientale e di miglioramento gestionale. Più
in particolare, le iniziative censite erano 30 in Emilia Romagna, 21 in FVG, 15 in Liguria, 7 nelle
marche, 1 in Piemonte e 9 in Toscana.
Per un approfondimento sul tema, si rimanda al rapporto che Ambiente Italia ha prodotto nel 2013
per conto di Sogesid / Ministero dell'Ambiente, nell'ambito del Programma Operativo Nazionale
"Governance e Azioni di Sistema"), e nell'ambito del quale sono stati elaborati tre studi di fattibilità
per la realizzazione di APEA in altrettante regioni del mezzogiorno1
.
Inoltre, la Rete Cartesio (una rete coordinata dalle Regioni Emilia Romagna, Lazio, Liguria,
Lombardia, Sardegna e Toscana per sviluppare approcci sostenibili alla gestione del territorio) ha
condotto, nel 2009 e nel 2012, l'indagine ECODISTRETTI2
(), coordinata e realizzata da Ambiente
Italia, che passa in rassegna i distretti produttivi italiani che presentano buone pratiche ambientali,
politiche o progetti di eco-innovazione. Nel 2009 l'indagine ha riguardato 54 distretti,
rappresentativi di 14 Regioni e 18 comparti di produzione. Nel 2012 l'indagine è stata estesa a 100
distretti, diventando quindi, per la prima volta, una rassegna completa delle politiche ambientali di
quasi tutti i sistemi produttivi locali nazionali. I distretti analizzati nel 2012 si trovano in 16 regioni,
con la presenza di circa 120.000 imprese; per tutti gli ambiti il rapporto restituisce alcuni indicatori
(infrastrutture e servizi, tecnologie ambientali, certificazioni ambientali, marchi ecologici di
prodotto, controlli ambientali, progetti di eco-innovazione)
1
http://www.pongasminambiente.it/prodotti-e-materiali-home/finish/140-studi-di-settore/896-aree-produttive-ecologicamente-
attrezzate-nelle-regioni-obiettivo-convergenza-esperienze-di-studi-di-fattibilita-nell-ambito-del-progetto-pon-gas
2
http://www.retecartesio.it/d/u/progetti/ecodistretti/statica.asp
Pagina 6 / 10 Aprile 2014
Nonostante il fatto che le APEA - a quasi venti anni dal decreto che ne prevedeva l'istituzione -
siano ancora una chimera, ed abbiano trovato pratica applicazione in un numero relativamente
limitato di casi, tale nozione costituisce - o dovrebbe costituire - un punto di partenza, ormai
nemmeno troppo avanzato, nella costruzione di un modello economico realmente green. Questo
perchè, lo abbiamo detto in premessa, la green economy non è, o non dovrebbe essere, la
"brown" economy con il depuratore. E' dunque opportuno proseguire sulla strada delle APEA
(anche se negli ultimi anni la realizzazione di nuove aree produttive è stato un evento piuttosto
raro, assai più frequente essendo la dismissione di aree esistenti), ma è necessario e, a questo
punto prioritario, focalizzare l'attenzione dei decisori pubblici e degli operatori economici sulla
progettazione di filiere produttive integrate e sviluppate funzionalmente ad obiettivi di efficienza e
tutela ambientale. Anche in questo caso non si tratta di idee particolarmente nuove; nondimeno,
nel nostro paese molti concetti altrove praticati da tempo sembrano ancora confinati nel novero
degli argomenti "da convegno", mentre dovrebbero costituire l'ossatura di qualsiasi "green act"
degno di questo nome.
Oltre le APEA: quali modelli per una produzione innovativa e green
L'ecologia industriale nasce alla fine degli anni '80 (con la pubblicazione su Scientific American
dell'articolo di R.A. Frosch e N.E. Gallopoulos "Strategies for Manufacturing") postulando la
necessità di passare da un modello produttivo "tradizionale" nel quale il singolo processo
manifatturiero che utilizza materie prime e genera prodotti e rifiuti si trasformi in un modello più
integrato: un ecosistema industriale, per l'appunto. In questo sistema, il consumo di materie prime
è ottimizzato, la produzione di rifiuti minimizzata, e gli effluenti di un processo servano da materie
prime per altri processi produttivi.
Complementare al concetto di ecologia industriale è dunque quello di simbiosi industriale, dove
imprese presenti in un determinato ambito territoriale collaborano fra di loro al fine di massimizzare
le sinergie fra i rispettivi cicli produttivi, attraverso lo scambio di materia, energia, acqua e/o
sottoprodotti. Letta in questa chiave, anche un'Area Produttiva Ecologicamente Attrezzata
potrebbe diventare l'embrione di un organismo più complesso, dove oltre a condividere servizi
generali le imprese integrano e adattano le rispettive attività con l'obiettivo di minimizzare gli
impatti sull'ambiente esterno e massimizzare l'efficienza produttiva.
Uno fra i primi e più citati esempi di sistema produttivo sviluppato secondo i principi dell'ecologia
industriale è quello di Kalundborg in Danimarca3
.
Più recentemente la Commissione Europea ha presentato la propria comunicazione "Verso
un'economia circolare: programma per un'Europa a zero rifiuti"4
, con la quale si propone di creare
un quadro strategico favorevole alla transizione verso un'economia più circolare, ovvero più
efficiente, che consenta fra l'altro di aumentare la percentuale di rifiuti urbani riutilizzati e riciclati
portandola almeno a 70% entro il 2030; aumentare la percentuale di rifiuti di imballaggio riciclati
portandola a 80% entro il 2030, con obiettivi intermedi di 60% entro il 2020 e 70% entro il 2025,
3
http://www.symbiosis.dk/en
4
http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52014DC0398R%2801%29&from=EN
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con obiettivi per determinati materiali; vietare il collocamento in discarica dei rifiuti riciclabili di
plastica, metallo, vetro, carta e cartone e dei rifiuti biodegradabili entro il 2025, e chiedere agli Stati
membri di impegnarsi per abolire quasi completamente il collocamento in discarica entro il 2030.
Secondo la comunicazione, nella logica di economia circolare, i prodotti sono progettati in modo da
prevederne fin dall'inizio la destinazione una volta che diventano rifiuti e l'innovazione è al centro di
tutta la catena di valore, invece di cercare le soluzioni praticabili alla fine del ciclo di vita. Ciò può
realizzarsi in vari modi, ad esempio
• riducendo la quantità di materie necessarie a fornire un determinato servizio
(alleggerimento),
• allungando la vita utile dei prodotti (durabilità),
• riducendo il consumo di energia e di materie nelle fasi di produzione e di uso (efficienza),
• riducendo l'uso di materie pericolose o difficili da riciclare nei prodotti e nei processi di
produzione (sostituzione),
• creando mercati delle materie prime secondarie (materie riciclate) (mediante norme, appalti
pubblici ecc.),
• concependo prodotti facili da mantenere in buono stato, da riparare, ammodernare,
rifabbricare o riciclare (progettazione ecocompatibile),
• sviluppando i servizi per i consumatori necessari a tal fine (servizi di manutenzione,
riparazione ecc.),
• stimolando i consumatori con misure d'incentivo e di sostegno a favore delle riduzione dei
rifiuti e della loro corretta separazione,
• incentivando sistemi di raccolta differenziata che contengano al minimo i costi di riciclaggio
e riutilizzo,
• favorendo il raggruppamento di attività per evitare che i sottoprodotti diventino rifiuti
(simbiosi industriale) e
• incoraggiando i consumatori ad orientarsi verso servizi di noleggio, prestito o condivisione
invece dell'acquisto, per ampliare e migliorare la scelta dei prodotti salvaguardando nel
contempo i loro interessi (sul piano dei costi, della protezione, dell'informazione, delle
condizioni contrattuali, degli aspetti assicurativi ecc.).
Un'ulteriore declinazione dei principi alla base dell'economia circolare viene dal concetto di
ecoefficienza, così definita fin dal 1991 dal World Business Council for Sustainable
Development: eco-efficiency is achieved by the delivery of competitively priced goods and services
that satisfy human needs and bring quality of life, while progressively reducing ecological impacts
and resource intensity throughout the life-cycle to a level at least in line with the Earth’s estimated
carrying capacity (offerta a prezzi competitivi di beni e servizi che soddisfino i bisogni umani e
assicurino la qualità della vita, riducendo nello stesso tempo gli impatti ecologici e l’intensità di
risorse lungo tutto il ciclo di vita ad un livello almeno in linea con la capacità di carico/assorbimento
Pagina 8 / 10 Aprile 2014
stimata della terra5
. Anche in questo caso gli elementi caratterizzanti fanno riferimento ai
fondamentali di un modello della produzione sostenibile, e comprendono:
 La riduzione dell'intensità delle materie utilizzate
 La riduzione dell'intensità dell'energia utilizzata
 La riduzione della dispersione di sostanze tossiche
 La maggiore riciclabilità dei materiali
 La massimizzazione dell'uso di risorse rinnovabili
 L'incremento della durata del prodotto
 L'aumentare dell'intensità di servizi nella produzione sia di beni che di servizi.
La sfida della green Economy consiste nel coniugare lo sviluppo economico con la tutela e la
gestione sostenibile delle risorse ambientali e territoriali. Il governo del territorio gioca in questa
sfida un ruolo essenziale: il territorio é una fra le più critiche risorse “limitate e non rinnovabili” che
occorre da gestire con criteri di sostenibilità. È innanzitutto sul territorio che si misura la capacità di
disegnare un insediamento compatibile ed adeguato alle primarie esigenze di qualità della vita.
Governare il territorio significa governare i processi di trasformazione e di insediamento del
territorio naturale e di quello antropizzato; significa ricercare i più elevati livelli di sostenibilità
(ambientale, economica e sociale) conseguibili, ponderando usi plurimi e fra loro non sempre
compatibili.
Governare il territorio secondo criteri di sostenibilità significa dunque porsi l’obiettivo della massima
efficienza nell'impiego delle risorse (ed in particolare di quelle limitate e/o non rinnovabili) e
prestare la massima attenzione alla capacità di carico dell'ambiente, assumendo la qualità
ambientale quale principio guida, declinandolo nelle scelte operative in termini di riduzione della
pressione antropica sull'ambiente (consumi ed emissioni) e miglioramento dello stato delle risorse.
Un approccio quantitativo caratterizzazione ambientale di prodotti e servizi è quello sviluppato con
la LCA (Life Cycle Assessment), strumento di accounting energetico-ambientale che consente di
esprimere in unitá fisiche (ad es. energia, o massa di inquinanti emessi, o ancora consumo di
risorse) l'impatto di un determinato prodotto o servizio lungo tutto il suo ciclo di vita rendendolo con
ciò immediatamente comparabile, ad esempio, con prodotti o servizi analoghi. In questo senso, la
LCA costituisce lo strumento quantitativo di elezione per la progettazione di sistemi produttivi
ecoefficienti (ecodesign), ovvero per lo sviluppo di ambiti produttivi coerenti con i principi
dell'ecologia e della simbiosi industriale. E' attraverso l'analisi del ciclo di vita dei sistemi produttivi
che si possono evidenziare i margini di miglioramento ambientale ottenibili con interventi di
ottimizzazione (pensiamo ai trasporti, ai sistemi di depurazione) o efficientamento (pensiamo
all’utilizzo dei cascami di energia termica o alla produzione centralizzata di EE) su specifici unità di
processo del ciclo di vita del sistema prodotto/servizio diffuso nel territorio.
Da questo punto di vista sono utilizzabili diversi indicatori d’impatto sia ai fini di analisi ambientale
delle filiera produttiva che comunicativi.
5
Il tema della Ecoefficienza è ripreso e disciplinato dalla norma internazionale ISO 14045:2002 Environmental management - Eco-
efficiency assessment of product systems - Principles, requirements and guidelines, che ne definisce e codifica i criteri e approcci
valutativi in accordo con le metodologie LCC / LCA.
www.ambienteitalia.it PAGINA 9 / 10
Si tratta degli indicatori d’impatto proposti dalla metodologia PEF – Product Environmental
Footprint, oggetto di una recente raccomandazione della Commissione Europea che ne sta
valutando la funzionalità quale approccio unificato europeo all'analisi del ciclo di vita di prodotti e
organizzazioni6
.
I principali parametri di valutazione che concorrono a definire l'impronta ambientale comprendono:
• impronta di carbonio - carbon footprint (i.e.: global warming potential espresso come CO2
equivalente)
• impronta d’acqua - water footprint (espressa come consumi diretti ed indiretti di risorse
idriche nell’ambito dell’intero ciclo di vita)
• efficienza delle risorse - resource efficiency (espressa come utilizzo di risorse con e senza
contenuto energetico)
6
http://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/normativa/raccomandazione_commissione_2013_179_UE.pdf
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AMBIENTE ITALIA IN SINTESI
Ambiente Italia opera nel campo della ricerca, consulenza e progettazione per la sostenibilità e della green
economy. In oltre 20 anni di attività di analisi, pianificazione e progettazione ambientale, formazione e
comunicazione, Ambiente Italia ha portato a termine più di 1.100 progetti su incarico di Imprese, Amministrazioni
locali, Istituzioni dell'Unione Europea, Ministeri e Agenzie, Enti di ricerca e Università. I servizi e le soluzioni offerti
da Ambiente Italia comprendono: Piani d’azione per l’energia sostenibile e la riduzione delle emissioni; Diagnosi
energetiche e azioni per efficienza e rinnovabili; Piani strategici e azioni partecipate e per la sostenibilità; Piani e
azioni per la gestione sostenibile e la riduzione dei rifiuti; Piani per la gestione e tutela delle risorse naturali e
idriche; Valutazione d’Impatto Ambientale e Strategica; Sistemi di Gestione Ambientale e politiche di prodotto;
Progettazione di impianti da fonti rinnovabili. Dal 2010, inoltre, Ambiente Italia Progetti (società di ingegneria
costituita da Ambiente Italia insieme ad altri soggetti attivi nel campo della progettazione e dell’ingegneria)
propone servizi di sviluppo e progettazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, di
ecoquartieri, di edifici sostenibili e a emissione zero.
Ambiente Italia è accreditata come ESCO riconosciuta dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas. Ambiente Italia è
certificata UNI EN ISO 9001:2008 (sistema di gestione per la qualità) e UNI EN ISO 14001:2004 (sistema di
gestione ambientale) per attività di progettazione ed erogazione di servizi di ricerca, analisi, pianificazione e
consulenza nel campo dell’ambiente e del territorio, ed è registrata EMAS.
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  • 1. Sistema di gestione per la qualità certificato da DNV UNI EN ISO 9001:2008 CERT-12313-2003-AQ-MIL-SINCERT Sistema di gestione ambientale certificato da DNV UNI EN ISO 14001:2004 CERT-98617-2011-AE-ITA-ACCREDIA Progettazione ed erogazione di servizi di ricerca, analisi, pianificazione e consulenza nel campo dell’ambiente e del territorio Proposte green per l’economia e il lavoro in Liguria OLTRE LE APEA: MODELLI PRODUTTIVI E INFRASTRUTTURE PER LA GREEN ECONOMY Mario Zambrini 22 aprile 2015
  • 2. Pagina 2 / 10 Aprile 2014 AMBIENTE ITALIA S.R.L. Via Carlo Poerio 39 - 20129 Milano tel +39.02.27744.1 / fax +39.02.27744.222 www.ambienteitalia.it Posta elettronica certificata: ambienteitaliasrl@pec.ambienteitalia.it
  • 3. www.ambienteitalia.it PAGINA 3 / 10 «Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito o è un pazzo o è un economista» Kenneth Boulding, anni '60 «… è ecologicamente impossibile che tutti i 5,4 miliardi di persone attualmente viventi possano consumare risorse naturali e capacità assimilativa ambientale ad un tasso pari a quello nordamericano o europeo. E' ancor meno possibile pensare di estendere tale livello di consumo alle generazioni future. Lo sviluppo come è attualmente concepito, sul modello statunitense, è possibile solo per una minoranza della popolazione mondiale e per poche generazioni: vale a dire che non è né giusto né sostenibile. L'obiettivo di uno sviluppo sostenibile consiste nell'indirizzare il mondo, attraverso cambiamenti nell'allocazione, nella distribuzione e nella scala, verso uno stato in cui lo "sviluppo", qualunque cosa esso verrà concretamente a significare, sarà per tutti e per tutte le generazioni.E' certo che tale stato non è raggiungibile attraverso un adeguamento ancorchè più raffinato a quel medesimo modello di crescita responsabile di aver generato questa impasse». Herman H. Daly, Oltre la crescita. L’economia della sviluppo sostenibile, Edizioni di Comunità, 1996. «UNEP defines a green economy as one that results in "improved human well-being and social equity, while significantly reducing environmental risks and ecological scarcities (UNEP 2010). In its simplest expression, a green economy is low-carbon, resource efficient, and socially inclusive. In a green economy, growth in income and employment are driven by public and private investments that reduce carbon emissions and pollution, enhance energy and resource efficiency, and prevent the loss of biodiversity and ecosystem service» United Nations Environment Programme (UNEP), Towards a Green Economy. Pathways to Sustainable Development and Poverty Eradication (2011) Premessa Nell'indiscutibile successo mediatico che ha accompagnato negli ultimi anni la crescente attenzione al tema della Green Economy non è difficile riconoscere un rischio di sovraesposizione, e di conseguente banalizzazione e sterilizzazione di un’idea ben altrimenti significativa. Se tutto diventa Green, niente é più Green (come dire “bisogna che tutto cambi perché tutto resti come prima”). Non stupisce dunque che fra gli entusiasti dell'ultima ora della Green Economy vi siano anche i settori legati ai sistemi di produzione più tradizionali, e che anche le rappresentanze istituzionali della “brown” economy si spendano in dichiarazioni ed iniziative di supporto alla “nuova” economia. É - questo - un segnale chiaro del rapido declinare dell'idea di Green Economy verso il ruolo di principio “buono per tutte le stagioni”. “Tra il dire e il fare”: un esempio La transizione ad un modello energetico alternativo basato su produzione diffusa e fonti rinnovabili costituisce uno dei capisaldi di una credibile economia verde; eppure, proprio su questa vicenda si sono coalizzate e concentrate diverse forze di conservazione e resistenza al cambiamento, riuscendo a rallentare, se non fermare del tutto, un processo che, anche se migliorabile, ha manifestato un livello di efficacia non comune. Solo pochi anni fa il nostro paese era ad un passo dall'avviare un programma nucleare che, ad oggi e per molti anni ancora, avrebbe comportato costi imprevedibili senza produrre un solo chilowattora. Negli ultimi sei anni, la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili “nuove” (eolico, solare e biomassa) è viceversa cresciuta a ritmi impressionanti, equivalenti a circa una nuova centrale nucleare da 1000 MW ogni anno installati. Nel 2013, infatti, le fonti eolica, solare fotovoltaica e da biomasse hanno prodotto energia elettrica equivalente a quella che sarebbe stata prodotta da sei centrali da 1000 MW ciascuna,
  • 4. Pagina 4 / 10 Aprile 2014 ovviamente funzionanti a tempo pieno (8760 ore/anno). E’ ben vero che la politica degli incentivi è stata eccessiva e non sempre adeguatamente e tempestivamente modulata, ma i risultati sono fuori discussione. Eppure, tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi anni hanno adottato provvedimenti - anche non convenzionali - che si sono tradotti in un brusco rallentamento delle tendenze virtuose, anche se motivati dalle comprensibili esigenze di rimodulazione degli interventi incentivanti. Insomma, la "old brown" economy cerca di mantenere le sue prerogative; ma lo fa dandosi una immagine green. Come definire la Green Economy La Green Economy non è - non può essere - solamente un settore di attività economica, ma non è nemmeno ancora un modello di sviluppo alternativo (cosa che invece dovrebbe diventare per acquisire efficienza ed incisività). Da qui necessità di una definizione non banalizzante (e non eccessivamente inclusiva) e della individuazione di criteri misurabili e verificabili. In termini generali, la Green Economy: 1. massimizza l’efficienza in tutte le sue declinazioni: efficienza nella trasformazione delle materie prime, efficienza nell’uso di energia, efficienza nell’uso del suolo, efficienza nell’impiego di prodotti e servizi. Efficienza nell’allocazione di risorse scarse (si tratti di risorse fisiche, ambientali, economiche, sociali, finanziarie). 2. sposta l’attenzione dal possesso di beni all’accesso a servizi. Questo significa da un lato rimodulale la produzione di massa di beni di consumo, e dall’altro invertire l’attuale tendenza alla sempre più rapida obsolescenza dei prodotti di consumo (che sta raggiungendo livelli paradossali) sostituendo parte della produzione di beni da un lato con la produzione di servizi di manutenzione e riparazione, e dall’altro con forme accesso a beni condivisi. 3. investe in tutela del territorio, in infrastrutturazione diffusa (in luogo dell’infrastrutturazione concentrata in poche grandi opere), in manutenzione ed efficienza nell’impiego del capitale fisso sociale esistente prima che in realizzazione di nuove infrastrutture. In una parola, l’economia verde investe in software, più che in hardware. 4. investe in risorse umane, nella ricerca scientifica e nella innovazione tecnologica; ma investe anche in cultura, istruzione, formazione. L’economia verde produce idee, oltre che beni. L’economia verde prefigura un percorso di sviluppo inclusivo, dove i diritti fondamentali sono garantiti a tutti, e dove tutti, in misura e modi da definire, possano godere dei benefici delle innovazioni e delle scoperte scientifiche. 5. mette in campo strategie e scelte quanto più possibile reversibili: reversibilità negli usi del suolo, reversibilità nei modelli di sfruttamento delle risorse (e dunque progressivo spostamento su risorse rinnovabili), reversibilità nelle politiche territoriali, ecc. Reversibilità delle scelte significa anche adattamento, un’altra parola chiave del futuro prossimo venturo: adattamento al cambiamento climatico, innanzitutto, ma anche adattamento alle mutate condizioni geopolitiche e socioeconomiche globali. Il tutto, ovviamente, in presenza di talune precondizioni che, in particolare nella situazione italiana (ma non solo il quella) assumono un ruolo fondamentale: si tratta di questioni di legalità, di certezza del diritto, di adeguatezza dell'apparato burocratico. Ma anche questioni di trasparenza del mercato e di garanzia della concorrenza, di modalità di accesso alle professioni, e di innovazione nella produzione di beni e servizi. Occorre agire con decisione sul fronte della promozione delle nuove imprenditorialità. Formazione scolastica, universitaria, specializzazione
  • 5. www.ambienteitalia.it PAGINA 5 / 10 professionale. E occorre garantire che la pubblica amministrazione sia messa nelle condizioni di svolgere efficacemente il ruolo che le è proprio: investire in competenza e responsabilizzazione, contro la minaccia del crescente ricorso a forme di autotutela della burocrazia e di elusione della responsabilità decisionale (con il crescente ricorso alla autocertificazione in luogo di valutazioni di merito). L’esperienza delle APEA in Italia Sotto il profilo normativo, il tema della riconversione ecologica della produzione in Italia è per ora limitato alla definizione di Aree produttive ecologicamente attrezzate (APEA) sono state introdotte nell’ordinamento italiano dall’art. 26 del D.Lgs 112/1998 che le definisce come aree industriali “dotate delle infrastrutture e dei sistemi necessari a garantire la tutela della salute, della sicurezza e dell’ambiente”. “Le regioni e le province autonome individuano le aree [...] scegliendole prioritariamente tra le aree, zone o nuclei già esistenti, anche se totalmente o parzialmente dismessi. Al procedimento d’individuazione partecipano gli enti locali interessati” Approccio minimalista, dunque, che si limita a postulare la necessità di tutelare salute, sicurezza e ambiente nelle aree produttive (e volevo anche vedere, verrebbe da dire). Secondo un'indagine elaborata da Ervet nell'ambito delle attività della rete Cartesio, all'anno 2012 (quattordici anni dopo la pubblicazione del decreto) otto regioni avevano legiferato in materia di APEA: Abruzzo, Calabria, Emilia Romagna, Liguria, Marche, Piemonte, Puglia e Toscana. In sei di queste regioni, alla medesima data erano censite complessivamente 83 iniziative, ovvero ambiti produttivi impegnati in un percorso di qualificazione ambientale e di miglioramento gestionale. Più in particolare, le iniziative censite erano 30 in Emilia Romagna, 21 in FVG, 15 in Liguria, 7 nelle marche, 1 in Piemonte e 9 in Toscana. Per un approfondimento sul tema, si rimanda al rapporto che Ambiente Italia ha prodotto nel 2013 per conto di Sogesid / Ministero dell'Ambiente, nell'ambito del Programma Operativo Nazionale "Governance e Azioni di Sistema"), e nell'ambito del quale sono stati elaborati tre studi di fattibilità per la realizzazione di APEA in altrettante regioni del mezzogiorno1 . Inoltre, la Rete Cartesio (una rete coordinata dalle Regioni Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Sardegna e Toscana per sviluppare approcci sostenibili alla gestione del territorio) ha condotto, nel 2009 e nel 2012, l'indagine ECODISTRETTI2 (), coordinata e realizzata da Ambiente Italia, che passa in rassegna i distretti produttivi italiani che presentano buone pratiche ambientali, politiche o progetti di eco-innovazione. Nel 2009 l'indagine ha riguardato 54 distretti, rappresentativi di 14 Regioni e 18 comparti di produzione. Nel 2012 l'indagine è stata estesa a 100 distretti, diventando quindi, per la prima volta, una rassegna completa delle politiche ambientali di quasi tutti i sistemi produttivi locali nazionali. I distretti analizzati nel 2012 si trovano in 16 regioni, con la presenza di circa 120.000 imprese; per tutti gli ambiti il rapporto restituisce alcuni indicatori (infrastrutture e servizi, tecnologie ambientali, certificazioni ambientali, marchi ecologici di prodotto, controlli ambientali, progetti di eco-innovazione) 1 http://www.pongasminambiente.it/prodotti-e-materiali-home/finish/140-studi-di-settore/896-aree-produttive-ecologicamente- attrezzate-nelle-regioni-obiettivo-convergenza-esperienze-di-studi-di-fattibilita-nell-ambito-del-progetto-pon-gas 2 http://www.retecartesio.it/d/u/progetti/ecodistretti/statica.asp
  • 6. Pagina 6 / 10 Aprile 2014 Nonostante il fatto che le APEA - a quasi venti anni dal decreto che ne prevedeva l'istituzione - siano ancora una chimera, ed abbiano trovato pratica applicazione in un numero relativamente limitato di casi, tale nozione costituisce - o dovrebbe costituire - un punto di partenza, ormai nemmeno troppo avanzato, nella costruzione di un modello economico realmente green. Questo perchè, lo abbiamo detto in premessa, la green economy non è, o non dovrebbe essere, la "brown" economy con il depuratore. E' dunque opportuno proseguire sulla strada delle APEA (anche se negli ultimi anni la realizzazione di nuove aree produttive è stato un evento piuttosto raro, assai più frequente essendo la dismissione di aree esistenti), ma è necessario e, a questo punto prioritario, focalizzare l'attenzione dei decisori pubblici e degli operatori economici sulla progettazione di filiere produttive integrate e sviluppate funzionalmente ad obiettivi di efficienza e tutela ambientale. Anche in questo caso non si tratta di idee particolarmente nuove; nondimeno, nel nostro paese molti concetti altrove praticati da tempo sembrano ancora confinati nel novero degli argomenti "da convegno", mentre dovrebbero costituire l'ossatura di qualsiasi "green act" degno di questo nome. Oltre le APEA: quali modelli per una produzione innovativa e green L'ecologia industriale nasce alla fine degli anni '80 (con la pubblicazione su Scientific American dell'articolo di R.A. Frosch e N.E. Gallopoulos "Strategies for Manufacturing") postulando la necessità di passare da un modello produttivo "tradizionale" nel quale il singolo processo manifatturiero che utilizza materie prime e genera prodotti e rifiuti si trasformi in un modello più integrato: un ecosistema industriale, per l'appunto. In questo sistema, il consumo di materie prime è ottimizzato, la produzione di rifiuti minimizzata, e gli effluenti di un processo servano da materie prime per altri processi produttivi. Complementare al concetto di ecologia industriale è dunque quello di simbiosi industriale, dove imprese presenti in un determinato ambito territoriale collaborano fra di loro al fine di massimizzare le sinergie fra i rispettivi cicli produttivi, attraverso lo scambio di materia, energia, acqua e/o sottoprodotti. Letta in questa chiave, anche un'Area Produttiva Ecologicamente Attrezzata potrebbe diventare l'embrione di un organismo più complesso, dove oltre a condividere servizi generali le imprese integrano e adattano le rispettive attività con l'obiettivo di minimizzare gli impatti sull'ambiente esterno e massimizzare l'efficienza produttiva. Uno fra i primi e più citati esempi di sistema produttivo sviluppato secondo i principi dell'ecologia industriale è quello di Kalundborg in Danimarca3 . Più recentemente la Commissione Europea ha presentato la propria comunicazione "Verso un'economia circolare: programma per un'Europa a zero rifiuti"4 , con la quale si propone di creare un quadro strategico favorevole alla transizione verso un'economia più circolare, ovvero più efficiente, che consenta fra l'altro di aumentare la percentuale di rifiuti urbani riutilizzati e riciclati portandola almeno a 70% entro il 2030; aumentare la percentuale di rifiuti di imballaggio riciclati portandola a 80% entro il 2030, con obiettivi intermedi di 60% entro il 2020 e 70% entro il 2025, 3 http://www.symbiosis.dk/en 4 http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52014DC0398R%2801%29&from=EN
  • 7. www.ambienteitalia.it PAGINA 7 / 10 con obiettivi per determinati materiali; vietare il collocamento in discarica dei rifiuti riciclabili di plastica, metallo, vetro, carta e cartone e dei rifiuti biodegradabili entro il 2025, e chiedere agli Stati membri di impegnarsi per abolire quasi completamente il collocamento in discarica entro il 2030. Secondo la comunicazione, nella logica di economia circolare, i prodotti sono progettati in modo da prevederne fin dall'inizio la destinazione una volta che diventano rifiuti e l'innovazione è al centro di tutta la catena di valore, invece di cercare le soluzioni praticabili alla fine del ciclo di vita. Ciò può realizzarsi in vari modi, ad esempio • riducendo la quantità di materie necessarie a fornire un determinato servizio (alleggerimento), • allungando la vita utile dei prodotti (durabilità), • riducendo il consumo di energia e di materie nelle fasi di produzione e di uso (efficienza), • riducendo l'uso di materie pericolose o difficili da riciclare nei prodotti e nei processi di produzione (sostituzione), • creando mercati delle materie prime secondarie (materie riciclate) (mediante norme, appalti pubblici ecc.), • concependo prodotti facili da mantenere in buono stato, da riparare, ammodernare, rifabbricare o riciclare (progettazione ecocompatibile), • sviluppando i servizi per i consumatori necessari a tal fine (servizi di manutenzione, riparazione ecc.), • stimolando i consumatori con misure d'incentivo e di sostegno a favore delle riduzione dei rifiuti e della loro corretta separazione, • incentivando sistemi di raccolta differenziata che contengano al minimo i costi di riciclaggio e riutilizzo, • favorendo il raggruppamento di attività per evitare che i sottoprodotti diventino rifiuti (simbiosi industriale) e • incoraggiando i consumatori ad orientarsi verso servizi di noleggio, prestito o condivisione invece dell'acquisto, per ampliare e migliorare la scelta dei prodotti salvaguardando nel contempo i loro interessi (sul piano dei costi, della protezione, dell'informazione, delle condizioni contrattuali, degli aspetti assicurativi ecc.). Un'ulteriore declinazione dei principi alla base dell'economia circolare viene dal concetto di ecoefficienza, così definita fin dal 1991 dal World Business Council for Sustainable Development: eco-efficiency is achieved by the delivery of competitively priced goods and services that satisfy human needs and bring quality of life, while progressively reducing ecological impacts and resource intensity throughout the life-cycle to a level at least in line with the Earth’s estimated carrying capacity (offerta a prezzi competitivi di beni e servizi che soddisfino i bisogni umani e assicurino la qualità della vita, riducendo nello stesso tempo gli impatti ecologici e l’intensità di risorse lungo tutto il ciclo di vita ad un livello almeno in linea con la capacità di carico/assorbimento
  • 8. Pagina 8 / 10 Aprile 2014 stimata della terra5 . Anche in questo caso gli elementi caratterizzanti fanno riferimento ai fondamentali di un modello della produzione sostenibile, e comprendono:  La riduzione dell'intensità delle materie utilizzate  La riduzione dell'intensità dell'energia utilizzata  La riduzione della dispersione di sostanze tossiche  La maggiore riciclabilità dei materiali  La massimizzazione dell'uso di risorse rinnovabili  L'incremento della durata del prodotto  L'aumentare dell'intensità di servizi nella produzione sia di beni che di servizi. La sfida della green Economy consiste nel coniugare lo sviluppo economico con la tutela e la gestione sostenibile delle risorse ambientali e territoriali. Il governo del territorio gioca in questa sfida un ruolo essenziale: il territorio é una fra le più critiche risorse “limitate e non rinnovabili” che occorre da gestire con criteri di sostenibilità. È innanzitutto sul territorio che si misura la capacità di disegnare un insediamento compatibile ed adeguato alle primarie esigenze di qualità della vita. Governare il territorio significa governare i processi di trasformazione e di insediamento del territorio naturale e di quello antropizzato; significa ricercare i più elevati livelli di sostenibilità (ambientale, economica e sociale) conseguibili, ponderando usi plurimi e fra loro non sempre compatibili. Governare il territorio secondo criteri di sostenibilità significa dunque porsi l’obiettivo della massima efficienza nell'impiego delle risorse (ed in particolare di quelle limitate e/o non rinnovabili) e prestare la massima attenzione alla capacità di carico dell'ambiente, assumendo la qualità ambientale quale principio guida, declinandolo nelle scelte operative in termini di riduzione della pressione antropica sull'ambiente (consumi ed emissioni) e miglioramento dello stato delle risorse. Un approccio quantitativo caratterizzazione ambientale di prodotti e servizi è quello sviluppato con la LCA (Life Cycle Assessment), strumento di accounting energetico-ambientale che consente di esprimere in unitá fisiche (ad es. energia, o massa di inquinanti emessi, o ancora consumo di risorse) l'impatto di un determinato prodotto o servizio lungo tutto il suo ciclo di vita rendendolo con ciò immediatamente comparabile, ad esempio, con prodotti o servizi analoghi. In questo senso, la LCA costituisce lo strumento quantitativo di elezione per la progettazione di sistemi produttivi ecoefficienti (ecodesign), ovvero per lo sviluppo di ambiti produttivi coerenti con i principi dell'ecologia e della simbiosi industriale. E' attraverso l'analisi del ciclo di vita dei sistemi produttivi che si possono evidenziare i margini di miglioramento ambientale ottenibili con interventi di ottimizzazione (pensiamo ai trasporti, ai sistemi di depurazione) o efficientamento (pensiamo all’utilizzo dei cascami di energia termica o alla produzione centralizzata di EE) su specifici unità di processo del ciclo di vita del sistema prodotto/servizio diffuso nel territorio. Da questo punto di vista sono utilizzabili diversi indicatori d’impatto sia ai fini di analisi ambientale delle filiera produttiva che comunicativi. 5 Il tema della Ecoefficienza è ripreso e disciplinato dalla norma internazionale ISO 14045:2002 Environmental management - Eco- efficiency assessment of product systems - Principles, requirements and guidelines, che ne definisce e codifica i criteri e approcci valutativi in accordo con le metodologie LCC / LCA.
  • 9. www.ambienteitalia.it PAGINA 9 / 10 Si tratta degli indicatori d’impatto proposti dalla metodologia PEF – Product Environmental Footprint, oggetto di una recente raccomandazione della Commissione Europea che ne sta valutando la funzionalità quale approccio unificato europeo all'analisi del ciclo di vita di prodotti e organizzazioni6 . I principali parametri di valutazione che concorrono a definire l'impronta ambientale comprendono: • impronta di carbonio - carbon footprint (i.e.: global warming potential espresso come CO2 equivalente) • impronta d’acqua - water footprint (espressa come consumi diretti ed indiretti di risorse idriche nell’ambito dell’intero ciclo di vita) • efficienza delle risorse - resource efficiency (espressa come utilizzo di risorse con e senza contenuto energetico) 6 http://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/normativa/raccomandazione_commissione_2013_179_UE.pdf
  • 10. Pagina 10 / 10 Aprile 2014 AMBIENTE ITALIA IN SINTESI Ambiente Italia opera nel campo della ricerca, consulenza e progettazione per la sostenibilità e della green economy. In oltre 20 anni di attività di analisi, pianificazione e progettazione ambientale, formazione e comunicazione, Ambiente Italia ha portato a termine più di 1.100 progetti su incarico di Imprese, Amministrazioni locali, Istituzioni dell'Unione Europea, Ministeri e Agenzie, Enti di ricerca e Università. I servizi e le soluzioni offerti da Ambiente Italia comprendono: Piani d’azione per l’energia sostenibile e la riduzione delle emissioni; Diagnosi energetiche e azioni per efficienza e rinnovabili; Piani strategici e azioni partecipate e per la sostenibilità; Piani e azioni per la gestione sostenibile e la riduzione dei rifiuti; Piani per la gestione e tutela delle risorse naturali e idriche; Valutazione d’Impatto Ambientale e Strategica; Sistemi di Gestione Ambientale e politiche di prodotto; Progettazione di impianti da fonti rinnovabili. Dal 2010, inoltre, Ambiente Italia Progetti (società di ingegneria costituita da Ambiente Italia insieme ad altri soggetti attivi nel campo della progettazione e dell’ingegneria) propone servizi di sviluppo e progettazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, di ecoquartieri, di edifici sostenibili e a emissione zero. Ambiente Italia è accreditata come ESCO riconosciuta dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas. Ambiente Italia è certificata UNI EN ISO 9001:2008 (sistema di gestione per la qualità) e UNI EN ISO 14001:2004 (sistema di gestione ambientale) per attività di progettazione ed erogazione di servizi di ricerca, analisi, pianificazione e consulenza nel campo dell’ambiente e del territorio, ed è registrata EMAS. PERSONE E FATTURATO Italia € 1.814.701 Europa € 872.511 € 2.687.212 team 39 2011 Italia € 2.170.694 Europa € 516.891 € 2.687.585 team 38 2012 Italia € 2.117.752 Europa € 207.640 Italia Europa € 2.325.392 team 38 2013