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Social Innovation Workshops

Rapporto finale
Milano, 10 gennaio 2013

Davide Zanoni, zanoni@avanzi.org
Carolina Pacchi, pacchi@avanzi.org
Alberto Masetti-Zannini alberto.masetti-zannini@hubmilan.com




Introduzione

Il ciclo di quattro seminari sul tema dell’innovazione sociale, tenuti a Milano tra novembre e
dicembre 2012, ha avuto come obiettivo quello di declinare il concetto nella realtà italiana
contemporanea, a partire da tre dimensioni caratteristiche: la dimensione di impresa
(imprenditorialità), la dimensione reticolare e sovra-locale, la scalabilità. A valle di un primo
workshop di natura introduttiva, nel quale sono stati messi alla prova i principali concetti usati
nella letteratura e nelle pratiche, ciascuno dei seminari si è quindi concentrato su una
dimensione in particolare, attraverso un dialogo a più voci.
Obiettivo del presente documento non è la restituzione del contenuto di ogni singolo
seminario, quanto una sintesi e un rilancio della discussione a partire da alcune dimensioni
costitutive o da alcune questioni aperte.



Innovazione sociale

                                                            1
(definizione) Esistono molte definizioni in letteratura di innovazione sociale che dimostrano
quanto sia complesso tracciare dei confini analitici ad un fenomeno i cui caratteri essenziali si
manifestano nelle pratiche. Tuttavia la molteplicità di definizioni e di usi del termine
“innovazione sociale”, a volte poco appropriati, ci induce ad adottare un approccio definitorio
comune.



1
    Tepsie FP7 Project, “Defining Social innovation” – Part 1. May 2012
                                                                           Progetto patrocinato da:
La definizione che riteniamo più aperta e completa allo stesso tempo, è contenuta nel Libro
bianco sull’innovazione sociale, scritto da Robin Murray, Julie Caulier Grice e Geoff Mulgan:
“Definiamo innovazioni sociali le nuove idee (prodotti, servizi e modelli) che soddisfano dei
bisogni sociali (in modo più efficace delle alternative esistenti) e che allo stesso tempo creano
nuove relazioni e nuove collaborazioni. In altre parole, innovazioni che sono buone per la
                                                                          2
società e che accrescono le possibilità di azione per la società stessa” .

(origini) L’innovazione sociale è altro dall’innovazione tout court che nasce dalla competizione
di mercato e dalla ricerca di un maggiore profitto. All’origine di questi processi di innovazione
esistono pressioni sociali esercitate dall’esistenza di bisogni insoddisfatti (es. servizi sanitari di
prossimità), di risorse sprecate (es. il consumo di suolo), di emergenze ambientali (es. qualità
dell’aria nei centri abitati) o sociali (es. crescenti aree di disagio e marginalità).
La fornitura diretta di prodotti e servizi in grado di soddisfare tali bisogni non è più garantita né
dal mercato né dalle amministrazioni pubbliche. Questo vuoto politico e fallimento di mercato
apre il campo alle risorse e forze del privato sociale, all’imprenditorialità dal basso, alle
comunità di cittadini che si organizzano per soddisfare nuovi e vecchi bisogni, per ottimizzare
l’utilizzo delle risorse (umane e naturali) per garantire un miglioramento sociale (vedi oltre),
per realizzare soluzioni più soddisfacenti i propri valori e le proprie aspirazioni.

(contenuto) L’innovazione sociale non è solo un’idea più o meno radicale, ma una pratica
innovativa, ovvero l’applicazione efficace e sostenibile di una nuova idea di prodotto, servizio,
modello. La capacità di essere efficace si riferisce all’uso ottimale di risorse per il
conseguimento di un risultato sociale (outcome), in pratica la dimostrazione che l’idea
funziona meglio delle soluzioni esistenti e genera valore per la società; la sostenibilità
riguarda una componente essenziale e tipica dell’innovazione sociale che la distingue dalle
pratiche tradizionali di assistenza e promozione sociale, ovvero la capacità di “stare sul
mercato” e di finanziarsi grazie a dei ricavi generati dall’attività stessa o alla capacità di chi la
promuove di dedicarvi impegno e lavoro. Questo elemento rimanda alla dimensione
imprenditoriale dell’innovazione quale possibile (non necessario) esito per l’implementazione
e attuazione di una nuova idea. Non ha nulla a che vedere con la dimensione profit o non
profit di impresa, quanto al senso stesso dell’innovazione che ha come finalità la creazione di
un impatto positivo per la società che sia il più ampio possibile (vedi Scalabilità).

(processo) Le pratiche di innovazione sociale non solo rispondono in modo innovativo ad
alcuni bisogni, ma propongono anche nuove modalità di decisione e di azione. In particolare
propongono di affrontare complessi problemi di natura orizzontale attraverso meccanismi di
intervento di tipo reticolare, adottando l’intera gamma degli strumenti a disposizione;
utilizzano forme di coordinamento e collaborazione piuttosto che forme verticali di controllo.
Richiedono inoltre l’utilizzo di strumenti e processi di supporto al design thinking, inteso come
capacità di formulare e implementare soluzioni. Questo aumenta le capacità di azione della
collettività che si mobilita, crea nuovi ruoli e relazioni tra gli attori coinvolti, coinvolge nella
produzione di risorse e capitale umano sotto utilizzato. Il processo che porta alla produzione
di un certo output (prodotto, servizio, modello di comportamento, etc..) è dunque
fondamentale nel conseguimento di quello che definiamo il risultato sociale. Il potenziale
impatto di una pratica innovativa sul contesto sociale è tanto più elevato quanto più inclusivo
è il processo di coinvolgimento della comunità, secondo modelli in continua evoluzione.
Questa mobilitazione di risorse umane porta ad un attivismo diffuso in grado di moltiplicare
energie e iniziative al servizio del miglioramento sociale.

(attori) Non ci sono attori e settori più idonei di altri nello sviluppare pratiche di innovazione
sociale. Anzi possiamo dire che le esperienze più interessanti e radicali sono il frutto della
collaborazione tra diversi attori appartenenti a mondi diversi. Le pratiche di innovazione
sociale tendono a collocarsi al confine tra non-profit, pubblico, privato, società civile

2
  “We define social innovations as new ideas (products, services and models) that simultaneously meet
social needs (more effectively than alternatives) and create new social relationships or collaborations. In
other words they are innovations that are both good for society and enhance society’s capacity to act.”
Open Book of Social Innovation, Nesta & the Young Foundation
(volontariato, movimenti, azione collettiva, etc..), sono trasversali e frutto di interessanti
contaminazioni di valori e prospettive.
Nascono da nuove forme di collaborazione e di cooperazione tra soggetti di diversa natura
che trovano un allineamento di interessi per il raggiungimento di un obiettivo comune. Dunque
l’innovazione sociale ha una spiccata dimensione collettiva, non appartiene solo
all’immaginazione e alla creatività di un attore singolo, quanto alla capacità collettiva di partire
da un’intuizione e di svilupparla sino a trasformarla in pratica diffusa. Questo aspetto fornisce
un criterio molto utile per valutare se e quanto un’innovazione possa essere considerata
sociale a tutti gli effetti.

(outcome/risultato) Uno degli elementi più importanti e controversi dell’innovazione sociale
riguarda l’impatto che può esercitare in termini sociali. L’attenzione alla valutazione di questo
impatto è così alta che si è innescata una corsa all’elaborazione di metriche e strumenti
                                                                          3
capaci di offrire un’indicazione quantitativa del valore sociale creato . Riteniamo che questo
approccio, in una fase ancora di definizione e studio delle dinamiche e caratteristiche
dell’innovazione sociale, rischi di spostare l’attenzione solo sui risultati misurabili piuttosto che
sulla complessità delle relazioni implicite nelle pratiche. L’innovazione sociale è incorporata
nel tessuto sociale delle comunità in cui si pratica, nel valore qualitativo di queste relazioni,
nella complessità dei modelli spontanei di governance. Questi elementi come abbiamo già
detto sono essenziali per valutare l’impatto sulla collettività.
Per questo, preferiamo non ricondurre l’impatto dell’innovazione solo al valore sociale creato,
ma piuttosto al miglioramento sociale che è in grado di generare.
Cosa intendiamo per miglioramento sociale?
L’innovazione può raggiungere dei risultati di natura sociale strettamente legati alla
produzione dell’output (es. offerta di servizi sanitari di prossimità ), che nel soddisfare dei
bisogni genera un aumento del benessere della collettività – creazione diretta di valore
sociale - ma anche risultati impliciti nel processo, nelle nuove relazioni, nei nuovi assetti di
governance, nel capitale sociale attivato – creazione indiretta di valore sociale.
La creazione indiretta di valore sociale consiste anche nell’aumento delle capacità di azione
della società stessa (empowerment), grazie ad un processo collettivo di apprendimento,
mutuo insegnamento e attivazione. Da qui anche, l’utilità della messa in rete dei soggetti che
fanno innovazione sociale e delle loro pratiche.
Le due dimensione di valore creato contribuiscono a determinare l’outcome dell’innovazione,
ovvero quello che noi definiamo miglioramento sociale.

(politiche) L’innovazione sociale è prevalentemente un fenomeno che parte dal basso
(bottom-up), legato a specifiche condizioni di contesto, e come tale può essere difficile da
indirizzare. Questo è un presupposto necessario che deve essere considerato
nell’elaborazione di politiche e programmi che intendono sostenerne lo sviluppo. Si vuole
dunque sottolineare l’importanza di politiche che abilitano i fattori di contesto, che liberano
energie positive, che favoriscono l’emergere spontaneo di pratiche dal basso, non di politiche
che programmano, indirizzano e ingessano processi spontanei di azione/innovazione
collettiva.



Impresa sociale

L’innovazione sociale non si traduce necessariamente in impresa sociale. Esiste troppa
confusione nell’uso di questi due termini che non indicano la stessa cosa, anche se in alcuni
casi possono coincidere. Il concetto di innovazione sociale è molto più ampio di quello di
impresa e imprenditorialità sociale, in quanto esistono pratiche che non implicano l’esistenza
di imprese sociali e nemmeno di individui con capacità imprenditoriali volte al conseguimento
di uno scopo sociale.

3
  EC, “Strengthening social innovation in Europe. Journey to effective assessment and metrics”, nov
2012
Come abbiamo suggerito in precedenza, elementi essenziali dell’innovazione sociale sono
l’efficacia e la sostenibilità economica della pratica innovativa. A tal fine, l’impresa sociale si
pone come strumento al servizio dell’innovazione sociale, capace di strutturare processi e
relazioni sociali esistenti, di dare una infrastruttura alla dimensione micro.
Così intesa l’impresa sociale deve offrire una risposta plurima all’innovazione sociale, che
rifletta la complessità e la ricchezza delle pratiche, senza appiattirle su modelli consolidati e
ricondurle a logiche tradizionali. Se l’innovazione nasce dalla domanda di nuovi bisogni e
servizi, l’impresa sociale deve offrire nuovi modelli per fare impresa coerenti con la natura
atipica del prodotto e del processo a cui danno forma.
L’impresa sociale, in senso teorico, è dunque definita come:
    •   strumento funzionale al processo di innovazione che si manifesta in forma di offerta
        alla collettività di un nuovo bene, servizio, modello di produzione e consumo.
    •   presidio di beni relazionali e alcuni servizi essenziali per la collettività, unico modello
        di impresa che può garantire l’universalità dei servizi
    •   innovazione sociale dei modelli di gestione, produzione e consumo (crowdsourcing,
        prosumers, co-produzione) che garantiscono un forte allineamento degli interessi tra
        diversi stakeholders dell’impresa

Più sfidante è invece definire cosa sia, per forma giuridica, l'impresa sociale in Italia.
Il riferimento normativo principale è l’Impresa Sociale ex d.lgs.155, che non rappresenta una
categoria di persone giuridiche, ma propone una qualifica aggiuntiva, applicabile a tutte le
organizzazioni che esercitano attività economica per la produzione di beni e servizi di utilità
sociale. Tra queste organizzazioni, le tre forme giuridiche che danno espressione oggi
all’impresa sociale sono:
      • la cooperativa sociale
      • le imprese (srl, spa) profit attive nei settori normati dal d.lgs.155
      • le non profit commerciali attive sul mercato dei servizi sociali.
La ratio del decreto era quella di offrire all’imprenditore sociale una pluralità di forme possibili
per l’esercizio della sua attività, ivi inclusa quella della società commerciale.
Nonostante fondasse su presupposti condivisibili, tuttavia l’esito dell’applicazione del decreto
155 si può considerare a tutti gli effetti fallimentare. Dal Rapporto sull’Impresa Sociale
(Aiccon) emerge che le Imprese Sociali ex lege sono solo 400 a fronte di 13mila imprese
sociali di fatto (di cui 11 mila le cooperative sociali).
Il decreto 155 sembra dunque respingere le diverse organizzazioni che danno espressione
all’imprenditoria sociale in senso lato. Vediamo perché:
- il divieto assoluto alla distribuzione di utili e dunque alla remunerazione del capitale raccolto
è in contraddizione con l’obiettivo di attirare investimenti verso l’impresa sociale. Nessun
investitore è interessato ad allocare le proprie risorse (grandi o piccole che siano) in un
veicolo da cui non trarrà mai alcun ritorno economico. Anche per questo, nessuna società di
capitale (srl e spa) si è trasformata in impresa sociale. Invece, si sono registrate
sperimentazioni interessanti che hanno portato ad ulteriori ibridazioni (srl “low profit”), a
conferma che è diffuso il bisogno di trovare formule alternative a quelle esistenti;
- la mancanza di un regime fiscale di favore (come per le ONLUS e gli enti non commerciali)
non attira le organizzazioni non profit che svolgono attività commerciali e non incentiva le
coop sociali ad ottenere la qualifica di Impresa Sociale.
Appare evidente che per rendere la forma dell’impresa sociale attrattiva per le organizzazioni
attive nel sociale siano necessarie alcune riforme.
Da un lato dunque, un allentamento dei vincoli alla distribuzione degli utili offrirebbe la
possibilità alle società di attrarre capitali privati.
Dall’altro, invece, si dovrebbero prevedere anche per le organizzazioni non profit commerciali
(in caso fossero riconosciute come Imprese Sociali ex d.lgs. 155) la possibilità di raccogliere
capitali e distribuire utili se pur entro certi limiti, come possono fare le coop sociali. Le coop
sociali sono infatti Onlus di diritto e in caso Imprese Sociali riconosciute che possono
distribuire utili ai soci se pur entro limiti stabiliti (art. 2514 del c.c.).
Inoltre, si dovrebbe prevede un regime fiscale di favore come per le ONLUS o la disciplina di
altri strumenti di finanziamento ad hoc per tutte le organizzazione non strutturate come
società.
La riforma dell’Impresa Sociale ex d.lgs. 155 è solo una delle possibili strade da percorrere
per dare un impulso significativo al business sociale.
Alcuni infatti propendono per la creazione di una nuova forma giuridica, una nuova assett
class come direbbero gli investitori sociali, magari ispirata ai modelli inglesi di CIC-community
interest company e di CBS -community benefit society, oppure a quello americano di B-corp
esempio di autodeterminazione di autodefinizione della finalità sociale.
Altri ritengono che l’impresa sociale in Italia non abbia bisogno di una nuova forma giuridica,
ma che rappresenti l’evoluzione culturale di organizzazioni e cooperative che già svolgono
attività per una finalità sociale, se pur con un modello di business ancora non sostenibile o su
scala troppo ridotta, e di imprese commerciali esistente che si vincolano per statuto a stabilire:
    •   una finalità sociale e ambientale che implica una funzione obiettivo rovesciata,
        persegue l’utile sociale anziché l’utile economico; l’economicità è un vincolo alla
        funzione obiettivo
    •   un limite alla distribuzione dell’utile per garantire la continuità dell’attività di impresa
    •   un modello di governance multi-stakeholder col coinvolgimento degli stakeholder
        interni (soci, collaboratori, volontari) ed esterni (utenti finali, committenti, finanziatori o
        donatori)

Il lavoro svolto durante il workshop sull’impresa sociale ha portato ad un punto di
convergenza tra queste diverse posizioni.
Tutti riconoscono l’utilità di un riconoscimento normativo (che preveda l’allentamento dei
vincoli della legge 155 sulla distribuzione degli utili, l’allargamento dei settori di riferimento,
etc..) che, senza prevedere una nuova forma giuridica, definisca con criteri non troppo
selettivi (con riferimento alla Social Business Initiative) una nuova categoria di imprese che
includa:
    •   la pluralità di forme (spesso ibride non codificate innovative nei processi e nella
        governance: srl + associazioni, srl low profit,) in cui trova oggi espressione
        l’innovazione sociale;
    •   le tre forme giuridiche che rappresentano oggi l’impresa sociale: la cooperativa
        sociale, le imprese (srl, spa) profit nei settori l.155, le non profit commerciali attive sul
        mercato dei servizi sociali.

Ricollegandoci ai concetti espressi nella definizione di innovazione sociale, la nuova impresa
sociale così concepita non nasce con uno scopo lucrativo ma in risposta a pressioni sociali
esercitate dall’esistenza di bisogni insoddisfatti, di risorse sprecate o di emergenze sociali e
ambientali (es. il cambiamento climatico).
L’impresa sociale organizza e struttura relazioni sociali esistenti, e rappresenta un presidio di
beni relazionali e di servizi essenziali per la collettività. Inoltre mette in pratica l’innovazione
sociale nei modelli di gestione, produzione e consumo: ricorre infatti a produzioni in
crowdsourcing (co-produzioni) o a finanziamenti in crowdfunding (azionariato diffuso), oppure
realizza l’ideale del prosumer (consumatore e produttore allo stesso tempo), o ancora si
avvale di collaborazioni peer-to-peer.




La scalabilità dell’impresa sociale come diffusione
dell’innovazione sociale

Il tema della scalabilità, ovvero della capacità dell’innovazione sociale di ampliare e diffondere
i propri impatti, può essere declinato secondo differenti strategie.
I temi riguardano la crescita dimensionale, la diffusione, la replica di modelli, lo scambio di
conoscenze, l’azione in una logica di rete. Un primo punto qualificante è costituito dalla
necessità di mantenere l’attenzione nei confronti dei contesti e dell’impatto sociale, dato che
esperienze di piccola dimensione hanno inevitabilmente un impatto limitato, ma capace a
volte di agire in profondità, mentre al crescere della dimensione il rischio è di perdere l’impatto
sociale positivo.

Il salto di scala può avvenire attraverso meccanismi di scambio, emulazione, di allargamento
delle reti o di ampliamento della governance. Esaminiamo ciascuno di questi meccanismi: lo
scambio può riguardare le conoscenze, competenze, esperienze, così come le persone;
l’emulazione riguarda il potere di un’idea di influenzare e attivare altri soggetti nel riprodurla,
replicarla o imitarla; l’allargamento delle reti può essere di due tipi: un allargamento all’interno
di mondi simili (una sorta di crescita all’interno di reti della stessa tipologia di attori), oppure un
allargamento capace di uscire dai mondi di riferimento delle esperienze pionieristiche, per
interessare mondi diversi. L’ampliamento della governance può avere una natura
prevalentemente orizzontale o verticale (quando interessa, ad esempio, altri livelli di governo
sovralocali).
E’ quindi importante comprendere quali forme di infrastrutturazione possono aiutare la
trasferibilità o la scalabilità degli esempi positivi, tenendo ben presente che il livello di
diffusione non deve confliggere con la qualità degli impatti in termini sociali. A questo
proposito si può riflettere a partire da due aspetti rilevanti:
         a. Difficoltà a reperire risorse per un salto di scala. Questo tema, cruciale in alcune
              esperienze pilota, ha a che vedere con la difficoltà di inquadrare le esperienze più
              interessanti di innovazione sociale rispetto alle categorie tradizionali del mercato
              di capitali da una parte o dei canali di finanziamento delle iniziative no-profit
              dall’altra.
         b. Problema di contesto: legami con reti e territori specifici. Questo aspetto si collega
              strettamente con quanto introdotto all’inizio del paragrafo: il legame costitutivo e
              di forte radicamento in alcuni specifici contesti locali, spesso micro, può costituire
              allo stesso tempo un elemento di forza, per la corrispondenza molto forte tra
              iniziative innovative e bisogni locali, ma allo stesso tempo anche un significativo
              elemento di debolezza nel momento in cui l’esperienza debba essere scalata,
              replicata, ecc.
Sembra quindi possibile identificare alcune condizioni determinanti per la scalabilità, che sono
legate all’esistenza di una offerta finanziaria come catalizzatore; all’esistenza del capitale
umano; alla capacità di mantenere il fuoco d’interesse sull’impatto sociale; alla capacità di
attivare e consolidare dinamiche di rete.



Contesto internazionale

Il contesto internazionale è molto diversificato. Da un lato ci sono paesi come la Gran
Bretagna e la Francia, dove l’innovazione sociale sta diventando mainstream, e catalizza
l’attenzione del settore pubblico, del mercato, del terzo settore e dei media. Nel settore della
finanza abbondano i fondi di impact investment che sostengono la crescita del settore.
Dall’altro lato, ci sono paesi come la Romania in cui i temi legati all’innovazione sociale
stanno cominciando adesso ad affermarsi, in un contesto legale peraltro poco idoneo a
sostenere la crescita del settore.
Il caso britannico è quello decisamente più interessante da studiare e potenzialmente
emulare. Tra le tipologie d’innovazione sociale che stanno prendendo piede, si notano ad
esempio:
    •   L’uso del design (progettazione, visualizzazione, etc..) per creare soluzioni innovative
        e radicali ai problemi sociali del paese;
    •   Coproduzione e collaborazione nell’ambito dei servizi pubblici;
    •   L’emergere di tecnologie digitali e collaborative;
    •   Il crescere di investimenti in servizi di prevenzione tramite strumenti finanziari – ad
        esempio i Social Impact Bond;
    •   Il raddoppiarsi di programmi pubblici d’investimento tramite Big Lottery Fund e Big
        Society Capital.
I principali driver dell’innovazione sociale in Gran Bretagna possono essere ricondotti ai
seguenti fattori:
    •    Economici: istanze legate allo sviluppo sostenibile, alla domanda crescente di servizi
         pubblici efficienti in un contesto di riduzione della spesa pubblica;
      • Sociali: nuovi e vecchi bisogni (cura, reinserimento carcerati, disoccupazione, salute);
      • Politici: decentramento e forme di partecipazione, apertura a nuove soluzioni di
         governance;
      • Culturali: comunità, cooperazione, collaborazione, co-produzione, etc.;
      • Tecnologici: nuove strumenti per creare relazioni, interazioni, partecipazione.
L’altro paese europeo che mostra i segni più promettenti per quanto concerne il sostegno
all’innovazione sociale è la Francia. Il settore dell’economia sociale in Francia è da sempre
molto sviluppato, ma negli ultimi anni si è posto l’accento su un approccio più innovativo da
parte di un settore che mostrava segni di stanchezza e declino. La risposta francese nasce in
seno al settore dell’economia sociale e solidale, che occupa il 10% della popolazione
lavorativa, di cui il 70% donne. L’innovazione sociale si sta sviluppando nei settori più
disparati, dai servizi alla persona al cibo, dallo sviluppo locale alla tecnologia informatica. Tra
le altre, è nata un’agenzia nazionale dedicata alla crescita del settore dell’imprenditoria
sociale (AVISE) e la Francia ha pubblicato una strategia nazionale per l’innovazione sociale.
Simili sviluppi stanno avvenendo anche in Germania, dove la banca nazionale KfW ha
lanciato il primo programma d’investimenti pubblico-privati per imprenditori sociali.
È la Commissione Europea, tuttavia, che si è maggiormente concentrata in questi anni
sull’emergente mondo dell’innovazione sociale. Sono nati diversi programmi di monitoraggio e
supporto sia all’innovazione sociale che all’imprenditoria sociale e al social business. Tra i
programmi di supporto esistenti, i più interessanti sono:
    •    La Social Business Initiative (SBI), lanciata dalla Commissione nel novembre 2011
         con l’intendo di creare un ambiente favorevole allo sviluppo del social business in
         Europa. L’iniziativa raggruppa 11 misure prioritarie raccolte in tre macro-temi: favorire
         l’accesso al finanziamento da parte di imprese sociali; dare maggiore visibilità
         all’imprenditoria sociale e migliorare il contesto legale per le imprese sociali.
     • La Social Innovation Europe Initiative (SIE) rappresenta lo sforzo maggiore fatto dalla
         Commissione per rafforzare il settore dell’innovazione sociale in Europa. Il progetto è
         guidato da un consorzio di partner, tra cui Euclid Network e l’Istituto Tecnologico
         Danese, sotto la guida di Social Innovation Exchange. Grazie a un finanziamento da
         parte di DG Enterprise, SIE ha creato un hub – un punto d’incontro per le reti europee
         – dove pensatori innovativi da tutta Europa possono incontrarsi (fisicamente e
         virtualmente) per sollevare questioni, esprimere opinioni e condividere pratiche
         nell’ambito dell’innovazione sociale globale.
In conclusione, un’analisi dettagliata dei fattori che determinano la crescita e lo sviluppo del
settore dell’innovazione sociale e dell’imprenditoria sociale nel contesto europeo sembrano
rilevare quattro aree d’infrastruttura fondamentali:
    1. Capitale finanziario (fondazioni filantropiche, fondi di social venture capital, fondi di
       venture philanthropy, banche specializzate, finanziamenti pubblici a fondo perduto,
       etc.);
    2. Capitale umano (corsi universitari e specialistici, business schools, organizzazioni
       specializzate in imprenditoria sociale giovanile, organizzazioni specializzate in
       recupero generazionale, “attrattori” per imprenditori sociali, etc.);
    3. Capitale intellettuale (consulenti, centri di ricerca accademici, formatori specializzati,
       think-tanks e action-tanks, etc.)
    4. Capitale Socio-Politico (associazioni, reti territoriali, gruppi di advocacy, consulenti
       politici, incubatori, comunità online).

Altri fattori rilevanti sono:

    1. Politiche locali e nazionali (tassazioni, regimi fiscali, politici e legislatori, agenzie di
       sviluppo nazionale e locale, etc.)
    2. Media ( giornalisti, reporters, autori, media outlet, premi e programmi di
       riconoscimento, associazioni specialistiche);
3. Condizioni socio-economiche (trend economici, trend socio-culturali, percezione e
       opinione pubblica);
    4. Campi correlati (ambiti specifici: educazione, salute, ambiente, sviluppo; campi di
       conoscenza affini: responsabilità sociale d’impresa, non-profit management,
       sostenibilità, etc.)

Questi fattori devono essere tenuti in considerazione qualora si intenda dare una spinta
propulsiva al settore dell’innovazione e dell’imprenditoria sociale a Milano e più generalmente
in Italia.



Relatori dei Workshop

Alessandro Caliandro (Università di Milano/Centro Studi di Etnografia Digitale)
Adam Arvidsson (Università di Milano)
Carolina Pacchi (DiAP Politecnico di Milano e Avanzi)
Anna Meroni (Design, Politecnico di Milano)
Alessandro Rimassa (Centro Ricerche IED)

Davide Zanoni (Avanzi. Sostenibilità Per Azioni)
Davide dal Maso (Avanzi. Sostenibilità Per Azioni)
Paolo Venturi (AICCON)
Giuseppe Taffari (R&P Legal)
Flaviano Zandonai (Euricse)
Paolo Campagnano (HUB Rovereto)

Hinnerk Hansen (HUB Network, Vienna, Austria)
Connor Friesen (Social Innovation Europe, London, UK)
Laura Bunt (NESTA, London, UK)
Leon Reiner (Social Impact Lab, Berlin, Germany)
Oana Paun (HUB Bucharest, Romania)
XXX (Comptoir de l’innovation)

Serena Vicari (Università di Milano-Bicocca)
Claudio Bossi, Valeria Inguaggiato (La Cordata)
Alberto Masetti-Zannini (HUB Milano)
Davide Agazzi (Make a Cube3)

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  • 1. Social Innovation Workshops Rapporto finale Milano, 10 gennaio 2013 Davide Zanoni, zanoni@avanzi.org Carolina Pacchi, pacchi@avanzi.org Alberto Masetti-Zannini alberto.masetti-zannini@hubmilan.com Introduzione Il ciclo di quattro seminari sul tema dell’innovazione sociale, tenuti a Milano tra novembre e dicembre 2012, ha avuto come obiettivo quello di declinare il concetto nella realtà italiana contemporanea, a partire da tre dimensioni caratteristiche: la dimensione di impresa (imprenditorialità), la dimensione reticolare e sovra-locale, la scalabilità. A valle di un primo workshop di natura introduttiva, nel quale sono stati messi alla prova i principali concetti usati nella letteratura e nelle pratiche, ciascuno dei seminari si è quindi concentrato su una dimensione in particolare, attraverso un dialogo a più voci. Obiettivo del presente documento non è la restituzione del contenuto di ogni singolo seminario, quanto una sintesi e un rilancio della discussione a partire da alcune dimensioni costitutive o da alcune questioni aperte. Innovazione sociale 1 (definizione) Esistono molte definizioni in letteratura di innovazione sociale che dimostrano quanto sia complesso tracciare dei confini analitici ad un fenomeno i cui caratteri essenziali si manifestano nelle pratiche. Tuttavia la molteplicità di definizioni e di usi del termine “innovazione sociale”, a volte poco appropriati, ci induce ad adottare un approccio definitorio comune. 1 Tepsie FP7 Project, “Defining Social innovation” – Part 1. May 2012 Progetto patrocinato da:
  • 2. La definizione che riteniamo più aperta e completa allo stesso tempo, è contenuta nel Libro bianco sull’innovazione sociale, scritto da Robin Murray, Julie Caulier Grice e Geoff Mulgan: “Definiamo innovazioni sociali le nuove idee (prodotti, servizi e modelli) che soddisfano dei bisogni sociali (in modo più efficace delle alternative esistenti) e che allo stesso tempo creano nuove relazioni e nuove collaborazioni. In altre parole, innovazioni che sono buone per la 2 società e che accrescono le possibilità di azione per la società stessa” . (origini) L’innovazione sociale è altro dall’innovazione tout court che nasce dalla competizione di mercato e dalla ricerca di un maggiore profitto. All’origine di questi processi di innovazione esistono pressioni sociali esercitate dall’esistenza di bisogni insoddisfatti (es. servizi sanitari di prossimità), di risorse sprecate (es. il consumo di suolo), di emergenze ambientali (es. qualità dell’aria nei centri abitati) o sociali (es. crescenti aree di disagio e marginalità). La fornitura diretta di prodotti e servizi in grado di soddisfare tali bisogni non è più garantita né dal mercato né dalle amministrazioni pubbliche. Questo vuoto politico e fallimento di mercato apre il campo alle risorse e forze del privato sociale, all’imprenditorialità dal basso, alle comunità di cittadini che si organizzano per soddisfare nuovi e vecchi bisogni, per ottimizzare l’utilizzo delle risorse (umane e naturali) per garantire un miglioramento sociale (vedi oltre), per realizzare soluzioni più soddisfacenti i propri valori e le proprie aspirazioni. (contenuto) L’innovazione sociale non è solo un’idea più o meno radicale, ma una pratica innovativa, ovvero l’applicazione efficace e sostenibile di una nuova idea di prodotto, servizio, modello. La capacità di essere efficace si riferisce all’uso ottimale di risorse per il conseguimento di un risultato sociale (outcome), in pratica la dimostrazione che l’idea funziona meglio delle soluzioni esistenti e genera valore per la società; la sostenibilità riguarda una componente essenziale e tipica dell’innovazione sociale che la distingue dalle pratiche tradizionali di assistenza e promozione sociale, ovvero la capacità di “stare sul mercato” e di finanziarsi grazie a dei ricavi generati dall’attività stessa o alla capacità di chi la promuove di dedicarvi impegno e lavoro. Questo elemento rimanda alla dimensione imprenditoriale dell’innovazione quale possibile (non necessario) esito per l’implementazione e attuazione di una nuova idea. Non ha nulla a che vedere con la dimensione profit o non profit di impresa, quanto al senso stesso dell’innovazione che ha come finalità la creazione di un impatto positivo per la società che sia il più ampio possibile (vedi Scalabilità). (processo) Le pratiche di innovazione sociale non solo rispondono in modo innovativo ad alcuni bisogni, ma propongono anche nuove modalità di decisione e di azione. In particolare propongono di affrontare complessi problemi di natura orizzontale attraverso meccanismi di intervento di tipo reticolare, adottando l’intera gamma degli strumenti a disposizione; utilizzano forme di coordinamento e collaborazione piuttosto che forme verticali di controllo. Richiedono inoltre l’utilizzo di strumenti e processi di supporto al design thinking, inteso come capacità di formulare e implementare soluzioni. Questo aumenta le capacità di azione della collettività che si mobilita, crea nuovi ruoli e relazioni tra gli attori coinvolti, coinvolge nella produzione di risorse e capitale umano sotto utilizzato. Il processo che porta alla produzione di un certo output (prodotto, servizio, modello di comportamento, etc..) è dunque fondamentale nel conseguimento di quello che definiamo il risultato sociale. Il potenziale impatto di una pratica innovativa sul contesto sociale è tanto più elevato quanto più inclusivo è il processo di coinvolgimento della comunità, secondo modelli in continua evoluzione. Questa mobilitazione di risorse umane porta ad un attivismo diffuso in grado di moltiplicare energie e iniziative al servizio del miglioramento sociale. (attori) Non ci sono attori e settori più idonei di altri nello sviluppare pratiche di innovazione sociale. Anzi possiamo dire che le esperienze più interessanti e radicali sono il frutto della collaborazione tra diversi attori appartenenti a mondi diversi. Le pratiche di innovazione sociale tendono a collocarsi al confine tra non-profit, pubblico, privato, società civile 2 “We define social innovations as new ideas (products, services and models) that simultaneously meet social needs (more effectively than alternatives) and create new social relationships or collaborations. In other words they are innovations that are both good for society and enhance society’s capacity to act.” Open Book of Social Innovation, Nesta & the Young Foundation
  • 3. (volontariato, movimenti, azione collettiva, etc..), sono trasversali e frutto di interessanti contaminazioni di valori e prospettive. Nascono da nuove forme di collaborazione e di cooperazione tra soggetti di diversa natura che trovano un allineamento di interessi per il raggiungimento di un obiettivo comune. Dunque l’innovazione sociale ha una spiccata dimensione collettiva, non appartiene solo all’immaginazione e alla creatività di un attore singolo, quanto alla capacità collettiva di partire da un’intuizione e di svilupparla sino a trasformarla in pratica diffusa. Questo aspetto fornisce un criterio molto utile per valutare se e quanto un’innovazione possa essere considerata sociale a tutti gli effetti. (outcome/risultato) Uno degli elementi più importanti e controversi dell’innovazione sociale riguarda l’impatto che può esercitare in termini sociali. L’attenzione alla valutazione di questo impatto è così alta che si è innescata una corsa all’elaborazione di metriche e strumenti 3 capaci di offrire un’indicazione quantitativa del valore sociale creato . Riteniamo che questo approccio, in una fase ancora di definizione e studio delle dinamiche e caratteristiche dell’innovazione sociale, rischi di spostare l’attenzione solo sui risultati misurabili piuttosto che sulla complessità delle relazioni implicite nelle pratiche. L’innovazione sociale è incorporata nel tessuto sociale delle comunità in cui si pratica, nel valore qualitativo di queste relazioni, nella complessità dei modelli spontanei di governance. Questi elementi come abbiamo già detto sono essenziali per valutare l’impatto sulla collettività. Per questo, preferiamo non ricondurre l’impatto dell’innovazione solo al valore sociale creato, ma piuttosto al miglioramento sociale che è in grado di generare. Cosa intendiamo per miglioramento sociale? L’innovazione può raggiungere dei risultati di natura sociale strettamente legati alla produzione dell’output (es. offerta di servizi sanitari di prossimità ), che nel soddisfare dei bisogni genera un aumento del benessere della collettività – creazione diretta di valore sociale - ma anche risultati impliciti nel processo, nelle nuove relazioni, nei nuovi assetti di governance, nel capitale sociale attivato – creazione indiretta di valore sociale. La creazione indiretta di valore sociale consiste anche nell’aumento delle capacità di azione della società stessa (empowerment), grazie ad un processo collettivo di apprendimento, mutuo insegnamento e attivazione. Da qui anche, l’utilità della messa in rete dei soggetti che fanno innovazione sociale e delle loro pratiche. Le due dimensione di valore creato contribuiscono a determinare l’outcome dell’innovazione, ovvero quello che noi definiamo miglioramento sociale. (politiche) L’innovazione sociale è prevalentemente un fenomeno che parte dal basso (bottom-up), legato a specifiche condizioni di contesto, e come tale può essere difficile da indirizzare. Questo è un presupposto necessario che deve essere considerato nell’elaborazione di politiche e programmi che intendono sostenerne lo sviluppo. Si vuole dunque sottolineare l’importanza di politiche che abilitano i fattori di contesto, che liberano energie positive, che favoriscono l’emergere spontaneo di pratiche dal basso, non di politiche che programmano, indirizzano e ingessano processi spontanei di azione/innovazione collettiva. Impresa sociale L’innovazione sociale non si traduce necessariamente in impresa sociale. Esiste troppa confusione nell’uso di questi due termini che non indicano la stessa cosa, anche se in alcuni casi possono coincidere. Il concetto di innovazione sociale è molto più ampio di quello di impresa e imprenditorialità sociale, in quanto esistono pratiche che non implicano l’esistenza di imprese sociali e nemmeno di individui con capacità imprenditoriali volte al conseguimento di uno scopo sociale. 3 EC, “Strengthening social innovation in Europe. Journey to effective assessment and metrics”, nov 2012
  • 4. Come abbiamo suggerito in precedenza, elementi essenziali dell’innovazione sociale sono l’efficacia e la sostenibilità economica della pratica innovativa. A tal fine, l’impresa sociale si pone come strumento al servizio dell’innovazione sociale, capace di strutturare processi e relazioni sociali esistenti, di dare una infrastruttura alla dimensione micro. Così intesa l’impresa sociale deve offrire una risposta plurima all’innovazione sociale, che rifletta la complessità e la ricchezza delle pratiche, senza appiattirle su modelli consolidati e ricondurle a logiche tradizionali. Se l’innovazione nasce dalla domanda di nuovi bisogni e servizi, l’impresa sociale deve offrire nuovi modelli per fare impresa coerenti con la natura atipica del prodotto e del processo a cui danno forma. L’impresa sociale, in senso teorico, è dunque definita come: • strumento funzionale al processo di innovazione che si manifesta in forma di offerta alla collettività di un nuovo bene, servizio, modello di produzione e consumo. • presidio di beni relazionali e alcuni servizi essenziali per la collettività, unico modello di impresa che può garantire l’universalità dei servizi • innovazione sociale dei modelli di gestione, produzione e consumo (crowdsourcing, prosumers, co-produzione) che garantiscono un forte allineamento degli interessi tra diversi stakeholders dell’impresa Più sfidante è invece definire cosa sia, per forma giuridica, l'impresa sociale in Italia. Il riferimento normativo principale è l’Impresa Sociale ex d.lgs.155, che non rappresenta una categoria di persone giuridiche, ma propone una qualifica aggiuntiva, applicabile a tutte le organizzazioni che esercitano attività economica per la produzione di beni e servizi di utilità sociale. Tra queste organizzazioni, le tre forme giuridiche che danno espressione oggi all’impresa sociale sono: • la cooperativa sociale • le imprese (srl, spa) profit attive nei settori normati dal d.lgs.155 • le non profit commerciali attive sul mercato dei servizi sociali. La ratio del decreto era quella di offrire all’imprenditore sociale una pluralità di forme possibili per l’esercizio della sua attività, ivi inclusa quella della società commerciale. Nonostante fondasse su presupposti condivisibili, tuttavia l’esito dell’applicazione del decreto 155 si può considerare a tutti gli effetti fallimentare. Dal Rapporto sull’Impresa Sociale (Aiccon) emerge che le Imprese Sociali ex lege sono solo 400 a fronte di 13mila imprese sociali di fatto (di cui 11 mila le cooperative sociali). Il decreto 155 sembra dunque respingere le diverse organizzazioni che danno espressione all’imprenditoria sociale in senso lato. Vediamo perché: - il divieto assoluto alla distribuzione di utili e dunque alla remunerazione del capitale raccolto è in contraddizione con l’obiettivo di attirare investimenti verso l’impresa sociale. Nessun investitore è interessato ad allocare le proprie risorse (grandi o piccole che siano) in un veicolo da cui non trarrà mai alcun ritorno economico. Anche per questo, nessuna società di capitale (srl e spa) si è trasformata in impresa sociale. Invece, si sono registrate sperimentazioni interessanti che hanno portato ad ulteriori ibridazioni (srl “low profit”), a conferma che è diffuso il bisogno di trovare formule alternative a quelle esistenti; - la mancanza di un regime fiscale di favore (come per le ONLUS e gli enti non commerciali) non attira le organizzazioni non profit che svolgono attività commerciali e non incentiva le coop sociali ad ottenere la qualifica di Impresa Sociale. Appare evidente che per rendere la forma dell’impresa sociale attrattiva per le organizzazioni attive nel sociale siano necessarie alcune riforme. Da un lato dunque, un allentamento dei vincoli alla distribuzione degli utili offrirebbe la possibilità alle società di attrarre capitali privati. Dall’altro, invece, si dovrebbero prevedere anche per le organizzazioni non profit commerciali (in caso fossero riconosciute come Imprese Sociali ex d.lgs. 155) la possibilità di raccogliere capitali e distribuire utili se pur entro certi limiti, come possono fare le coop sociali. Le coop sociali sono infatti Onlus di diritto e in caso Imprese Sociali riconosciute che possono distribuire utili ai soci se pur entro limiti stabiliti (art. 2514 del c.c.). Inoltre, si dovrebbe prevede un regime fiscale di favore come per le ONLUS o la disciplina di altri strumenti di finanziamento ad hoc per tutte le organizzazione non strutturate come società.
  • 5. La riforma dell’Impresa Sociale ex d.lgs. 155 è solo una delle possibili strade da percorrere per dare un impulso significativo al business sociale. Alcuni infatti propendono per la creazione di una nuova forma giuridica, una nuova assett class come direbbero gli investitori sociali, magari ispirata ai modelli inglesi di CIC-community interest company e di CBS -community benefit society, oppure a quello americano di B-corp esempio di autodeterminazione di autodefinizione della finalità sociale. Altri ritengono che l’impresa sociale in Italia non abbia bisogno di una nuova forma giuridica, ma che rappresenti l’evoluzione culturale di organizzazioni e cooperative che già svolgono attività per una finalità sociale, se pur con un modello di business ancora non sostenibile o su scala troppo ridotta, e di imprese commerciali esistente che si vincolano per statuto a stabilire: • una finalità sociale e ambientale che implica una funzione obiettivo rovesciata, persegue l’utile sociale anziché l’utile economico; l’economicità è un vincolo alla funzione obiettivo • un limite alla distribuzione dell’utile per garantire la continuità dell’attività di impresa • un modello di governance multi-stakeholder col coinvolgimento degli stakeholder interni (soci, collaboratori, volontari) ed esterni (utenti finali, committenti, finanziatori o donatori) Il lavoro svolto durante il workshop sull’impresa sociale ha portato ad un punto di convergenza tra queste diverse posizioni. Tutti riconoscono l’utilità di un riconoscimento normativo (che preveda l’allentamento dei vincoli della legge 155 sulla distribuzione degli utili, l’allargamento dei settori di riferimento, etc..) che, senza prevedere una nuova forma giuridica, definisca con criteri non troppo selettivi (con riferimento alla Social Business Initiative) una nuova categoria di imprese che includa: • la pluralità di forme (spesso ibride non codificate innovative nei processi e nella governance: srl + associazioni, srl low profit,) in cui trova oggi espressione l’innovazione sociale; • le tre forme giuridiche che rappresentano oggi l’impresa sociale: la cooperativa sociale, le imprese (srl, spa) profit nei settori l.155, le non profit commerciali attive sul mercato dei servizi sociali. Ricollegandoci ai concetti espressi nella definizione di innovazione sociale, la nuova impresa sociale così concepita non nasce con uno scopo lucrativo ma in risposta a pressioni sociali esercitate dall’esistenza di bisogni insoddisfatti, di risorse sprecate o di emergenze sociali e ambientali (es. il cambiamento climatico). L’impresa sociale organizza e struttura relazioni sociali esistenti, e rappresenta un presidio di beni relazionali e di servizi essenziali per la collettività. Inoltre mette in pratica l’innovazione sociale nei modelli di gestione, produzione e consumo: ricorre infatti a produzioni in crowdsourcing (co-produzioni) o a finanziamenti in crowdfunding (azionariato diffuso), oppure realizza l’ideale del prosumer (consumatore e produttore allo stesso tempo), o ancora si avvale di collaborazioni peer-to-peer. La scalabilità dell’impresa sociale come diffusione dell’innovazione sociale Il tema della scalabilità, ovvero della capacità dell’innovazione sociale di ampliare e diffondere i propri impatti, può essere declinato secondo differenti strategie. I temi riguardano la crescita dimensionale, la diffusione, la replica di modelli, lo scambio di conoscenze, l’azione in una logica di rete. Un primo punto qualificante è costituito dalla necessità di mantenere l’attenzione nei confronti dei contesti e dell’impatto sociale, dato che
  • 6. esperienze di piccola dimensione hanno inevitabilmente un impatto limitato, ma capace a volte di agire in profondità, mentre al crescere della dimensione il rischio è di perdere l’impatto sociale positivo. Il salto di scala può avvenire attraverso meccanismi di scambio, emulazione, di allargamento delle reti o di ampliamento della governance. Esaminiamo ciascuno di questi meccanismi: lo scambio può riguardare le conoscenze, competenze, esperienze, così come le persone; l’emulazione riguarda il potere di un’idea di influenzare e attivare altri soggetti nel riprodurla, replicarla o imitarla; l’allargamento delle reti può essere di due tipi: un allargamento all’interno di mondi simili (una sorta di crescita all’interno di reti della stessa tipologia di attori), oppure un allargamento capace di uscire dai mondi di riferimento delle esperienze pionieristiche, per interessare mondi diversi. L’ampliamento della governance può avere una natura prevalentemente orizzontale o verticale (quando interessa, ad esempio, altri livelli di governo sovralocali). E’ quindi importante comprendere quali forme di infrastrutturazione possono aiutare la trasferibilità o la scalabilità degli esempi positivi, tenendo ben presente che il livello di diffusione non deve confliggere con la qualità degli impatti in termini sociali. A questo proposito si può riflettere a partire da due aspetti rilevanti: a. Difficoltà a reperire risorse per un salto di scala. Questo tema, cruciale in alcune esperienze pilota, ha a che vedere con la difficoltà di inquadrare le esperienze più interessanti di innovazione sociale rispetto alle categorie tradizionali del mercato di capitali da una parte o dei canali di finanziamento delle iniziative no-profit dall’altra. b. Problema di contesto: legami con reti e territori specifici. Questo aspetto si collega strettamente con quanto introdotto all’inizio del paragrafo: il legame costitutivo e di forte radicamento in alcuni specifici contesti locali, spesso micro, può costituire allo stesso tempo un elemento di forza, per la corrispondenza molto forte tra iniziative innovative e bisogni locali, ma allo stesso tempo anche un significativo elemento di debolezza nel momento in cui l’esperienza debba essere scalata, replicata, ecc. Sembra quindi possibile identificare alcune condizioni determinanti per la scalabilità, che sono legate all’esistenza di una offerta finanziaria come catalizzatore; all’esistenza del capitale umano; alla capacità di mantenere il fuoco d’interesse sull’impatto sociale; alla capacità di attivare e consolidare dinamiche di rete. Contesto internazionale Il contesto internazionale è molto diversificato. Da un lato ci sono paesi come la Gran Bretagna e la Francia, dove l’innovazione sociale sta diventando mainstream, e catalizza l’attenzione del settore pubblico, del mercato, del terzo settore e dei media. Nel settore della finanza abbondano i fondi di impact investment che sostengono la crescita del settore. Dall’altro lato, ci sono paesi come la Romania in cui i temi legati all’innovazione sociale stanno cominciando adesso ad affermarsi, in un contesto legale peraltro poco idoneo a sostenere la crescita del settore. Il caso britannico è quello decisamente più interessante da studiare e potenzialmente emulare. Tra le tipologie d’innovazione sociale che stanno prendendo piede, si notano ad esempio: • L’uso del design (progettazione, visualizzazione, etc..) per creare soluzioni innovative e radicali ai problemi sociali del paese; • Coproduzione e collaborazione nell’ambito dei servizi pubblici; • L’emergere di tecnologie digitali e collaborative; • Il crescere di investimenti in servizi di prevenzione tramite strumenti finanziari – ad esempio i Social Impact Bond; • Il raddoppiarsi di programmi pubblici d’investimento tramite Big Lottery Fund e Big Society Capital.
  • 7. I principali driver dell’innovazione sociale in Gran Bretagna possono essere ricondotti ai seguenti fattori: • Economici: istanze legate allo sviluppo sostenibile, alla domanda crescente di servizi pubblici efficienti in un contesto di riduzione della spesa pubblica; • Sociali: nuovi e vecchi bisogni (cura, reinserimento carcerati, disoccupazione, salute); • Politici: decentramento e forme di partecipazione, apertura a nuove soluzioni di governance; • Culturali: comunità, cooperazione, collaborazione, co-produzione, etc.; • Tecnologici: nuove strumenti per creare relazioni, interazioni, partecipazione. L’altro paese europeo che mostra i segni più promettenti per quanto concerne il sostegno all’innovazione sociale è la Francia. Il settore dell’economia sociale in Francia è da sempre molto sviluppato, ma negli ultimi anni si è posto l’accento su un approccio più innovativo da parte di un settore che mostrava segni di stanchezza e declino. La risposta francese nasce in seno al settore dell’economia sociale e solidale, che occupa il 10% della popolazione lavorativa, di cui il 70% donne. L’innovazione sociale si sta sviluppando nei settori più disparati, dai servizi alla persona al cibo, dallo sviluppo locale alla tecnologia informatica. Tra le altre, è nata un’agenzia nazionale dedicata alla crescita del settore dell’imprenditoria sociale (AVISE) e la Francia ha pubblicato una strategia nazionale per l’innovazione sociale. Simili sviluppi stanno avvenendo anche in Germania, dove la banca nazionale KfW ha lanciato il primo programma d’investimenti pubblico-privati per imprenditori sociali. È la Commissione Europea, tuttavia, che si è maggiormente concentrata in questi anni sull’emergente mondo dell’innovazione sociale. Sono nati diversi programmi di monitoraggio e supporto sia all’innovazione sociale che all’imprenditoria sociale e al social business. Tra i programmi di supporto esistenti, i più interessanti sono: • La Social Business Initiative (SBI), lanciata dalla Commissione nel novembre 2011 con l’intendo di creare un ambiente favorevole allo sviluppo del social business in Europa. L’iniziativa raggruppa 11 misure prioritarie raccolte in tre macro-temi: favorire l’accesso al finanziamento da parte di imprese sociali; dare maggiore visibilità all’imprenditoria sociale e migliorare il contesto legale per le imprese sociali. • La Social Innovation Europe Initiative (SIE) rappresenta lo sforzo maggiore fatto dalla Commissione per rafforzare il settore dell’innovazione sociale in Europa. Il progetto è guidato da un consorzio di partner, tra cui Euclid Network e l’Istituto Tecnologico Danese, sotto la guida di Social Innovation Exchange. Grazie a un finanziamento da parte di DG Enterprise, SIE ha creato un hub – un punto d’incontro per le reti europee – dove pensatori innovativi da tutta Europa possono incontrarsi (fisicamente e virtualmente) per sollevare questioni, esprimere opinioni e condividere pratiche nell’ambito dell’innovazione sociale globale. In conclusione, un’analisi dettagliata dei fattori che determinano la crescita e lo sviluppo del settore dell’innovazione sociale e dell’imprenditoria sociale nel contesto europeo sembrano rilevare quattro aree d’infrastruttura fondamentali: 1. Capitale finanziario (fondazioni filantropiche, fondi di social venture capital, fondi di venture philanthropy, banche specializzate, finanziamenti pubblici a fondo perduto, etc.); 2. Capitale umano (corsi universitari e specialistici, business schools, organizzazioni specializzate in imprenditoria sociale giovanile, organizzazioni specializzate in recupero generazionale, “attrattori” per imprenditori sociali, etc.); 3. Capitale intellettuale (consulenti, centri di ricerca accademici, formatori specializzati, think-tanks e action-tanks, etc.) 4. Capitale Socio-Politico (associazioni, reti territoriali, gruppi di advocacy, consulenti politici, incubatori, comunità online). Altri fattori rilevanti sono: 1. Politiche locali e nazionali (tassazioni, regimi fiscali, politici e legislatori, agenzie di sviluppo nazionale e locale, etc.) 2. Media ( giornalisti, reporters, autori, media outlet, premi e programmi di riconoscimento, associazioni specialistiche);
  • 8. 3. Condizioni socio-economiche (trend economici, trend socio-culturali, percezione e opinione pubblica); 4. Campi correlati (ambiti specifici: educazione, salute, ambiente, sviluppo; campi di conoscenza affini: responsabilità sociale d’impresa, non-profit management, sostenibilità, etc.) Questi fattori devono essere tenuti in considerazione qualora si intenda dare una spinta propulsiva al settore dell’innovazione e dell’imprenditoria sociale a Milano e più generalmente in Italia. Relatori dei Workshop Alessandro Caliandro (Università di Milano/Centro Studi di Etnografia Digitale) Adam Arvidsson (Università di Milano) Carolina Pacchi (DiAP Politecnico di Milano e Avanzi) Anna Meroni (Design, Politecnico di Milano) Alessandro Rimassa (Centro Ricerche IED) Davide Zanoni (Avanzi. Sostenibilità Per Azioni) Davide dal Maso (Avanzi. Sostenibilità Per Azioni) Paolo Venturi (AICCON) Giuseppe Taffari (R&P Legal) Flaviano Zandonai (Euricse) Paolo Campagnano (HUB Rovereto) Hinnerk Hansen (HUB Network, Vienna, Austria) Connor Friesen (Social Innovation Europe, London, UK) Laura Bunt (NESTA, London, UK) Leon Reiner (Social Impact Lab, Berlin, Germany) Oana Paun (HUB Bucharest, Romania) XXX (Comptoir de l’innovation) Serena Vicari (Università di Milano-Bicocca) Claudio Bossi, Valeria Inguaggiato (La Cordata) Alberto Masetti-Zannini (HUB Milano) Davide Agazzi (Make a Cube3)