Facciamo un salto indietro al 1996. Internet era sconosciuto ai più e frequentato da geeks.
13 anni dopo la situazione è ben diversa…
Gli anni che stiamo vivendo sono gli anni della rivoluzione di Google. David Vise, autore del libro The Google Story , ha parlato di Google come della più grande invenzione da quando Gutenberg ha introdotto la stampa. Google è il vero e proprio l’oracolo del XXI secolo, capace di dare risposte precise e veloci a centinaia di milioni di utenti ogni giorno. La missione di Google è infatti organizzare le informazioni a livello mondiale e renderle universalmente accessibili e fruibili.
Una missione che Google riesce a perseguire grazie ad una tecnologia che non ha eguali e che lo rende il miglior motore di ricerca in circolazione. Per avere un’idea sullo strapotere di Google, è sufficiente confrontare le market share dei motori di ricerca a luglio 2009.
Tutti sanno che Google è un motore di ricerca. Pochi (addetti ai lavori e tecnofili a parte) realizzano che Google oggi non è più solo un motore di ricerca, ma un brand attorno al quale gravitano tutta una serie di servizi e applicazioni. E il bello è che tutto questo…
Assolutamente gratuito per gli utenti. La domanda nasce spontanea: perché Google non fa pagare nulla per poter usufruire di tutti questi servizi?
La ragione è l’essenza stessa della Googlenomics. Termine comiato da Steven Levy su Wired per definire l’economia che ruota attorno al fenomeno Google. Il network di Google raggiunge oltre l’80% degli utenti Internet a livello mondiale. Considerando che il modello di business di Google è basato quasi interamente sulla pubblicità, è chiaro che più aumenta il consumo di Internet nel suo insieme e più denaro finisce col riversarsi nelle tasche della società di Mountain View.
E con l’acquisizione di DoubleClick, Google può essere oggi considerata la più grande concessionaria pubblicitaria al mondo, battendo addirittura un mostro sacro come Time Warner.
La popolarità di Google ha di fatto reso il web search-centrico. Ma quanto vale la search? Due ulteriori elementi per inquadrare il contesto. Valore display: 4 miliardi ovvero il 30% dello spending online. Regno Unito: Internet ha battuto la TV (search: 59,8% dello spending online).
Da notare che: - L’advertising online ha attirato complessivamente 850 milioni di investimenti nel 2009. - Il display è ancora il settore dominante, con il 38% della spesa online complessiva, ma dal 2008 registra una crescita di appena l’1%.
I motori di ricerca muovono dunque un business imponente, che ormai fa parte integrante del media mix di molte aziende. Ma com’è fatto un motore di ricerca e che ruolo ha nella nostra vita di tutti i giorni? Ecco la ha home page di Google. Pulita ed essenziale, ha l’unico scopo di spingere gli utenti alla ricerca. Ogni mese i motori di ricerca ricevono oltre 100 miliardi di richieste (2/3 delle quali arrivano a Google). Circa il 75% degli utenti che visitano un sito per la prima volta proviene dai motori.
Dopo aver effettuato una ricerca, l’utente visualizza una pagina di risultati: la search engine results page o SERP. I risultati organici sono sulla sinistra. I link sponsorizzati si trovano a destra e, quando disponibili, in alto sopra i risultati organici. Gli annunci pubblicitari vengono attivati quando l’utente effettua una ricerca, ma gli inserzionisti pagano soltanto quando i loro annunci ricevono clicks. Ciò che rende la pubblicità sui motori di ricerca speciale è proprio questa capacità di intercettare i bisogni e i desideri degli utenti nel momento giusto, cioè esattamente quando questi stanno cercando offerte e informazioni specifiche.
A questo punto proviamo a dare una definizione di Search Engine Marketing. In Italia soprattutto si tende ad indentificare forzatamente il search engine marketing con il keyword advertising, relegando il SEO ad attività quasi secondaria nel marketing dei motori di ricerca. D’altronde i numeri parlano chiaro: l’88% degli investimenti in search engine marketing finiscono nel keyword advertising…
… dato abbastanza eclatante dal momento che, secondo uno studio di eye tracking condotto da Enquiro nel 2005, oltre il 75% degli utenti preferisce cliccare sui risultati organici o comunque predilige le posizioni elevate della SERP. Come mai dunque questa predilezione per il keyword advertising?
Quali sono le piattaforme di keyword advertising? Le più importanti sono 3: Google AdWords, Yahoo! Search e Bing. Dopo l’accordo fra Yahoo! e Microsoft, nel 2009, le ultime due confluiranno in un’unica piattaforma.
Il keyword advertising può essere search based o content based. Partiamo col primo. Gli annunci compaiono insieme ai risultati organici e gli inserzionisti pagano soltanto quando gli utenti cliccano sulle loro ads. I benefici di questa forma di pubblicità sono ovvi. Innanzitutto consente di targetizzare utenti che stanno cercando determinate informazioni o servizi e sono dunque più propensi a trasformarsi in clienti. Di conseguenza si ha un miglior ritorno sull'investimento pubblicitario. Dulcis in fundo, se cliccando su un annuncio pubblicitario, gli utenti trovano ciò che stanno cercando, è molto probabile che in futuro continueranno a cliccare sui link sponsorizzati.
Vediamo ora il keyword advertising content based. Gli annunci possono comparire, in modo contestuale, sui siti appartenenti alla Rete di Contenuti. L'algoritmo del motore di ricerca analizza i contenuti della pagina e serve pubblicità in linea con questi ultimi. La Rete Display di Google è il network contestuale più diffuso. Costituito da tutti i siti che implementano AdSense sulle loro pagine, insieme al network di ricerca raggiunge circa l'80% degli utenti internet.
L'annuncio è tipicamente composto da 4 righe. La prima riga costituisce il titolo dell'annuncio ed ha un limite di 25 caratteri. E' in genere la parte dell'annuncio che più di ogni altra deve suscitare attenzione. Le successive due righe, ciascuna di 35 caratteri, costituiscono il corpo dell'annuncio. Qui si trova la descrizione del prodotto o servizio e una call to action per invitare gli utenti a cliccare sull’annuncio. Nell'ultima riga viene specificato l’URL visibile, ovvero l’indirizzo a cui vengono rimandati gli utenti quando cliccano sull’annuncio.
Anche qui la domanda nasce spontanea. Un’asta al rialzo non è più redditizia? A prima vista forse, ma Google ha capito che, per essere realmente redditizia, un’asta deve conciliare gli interessi di tre attori in gioco: 1) Utenti 2) Inserzionisti 3) Motore di ricerca Gli utenti vogliono trovare informazioni in linea con le ricerche effettuate per ottenere risposte ai propri bisogni/desideri. Gli inserzionisti vogliono mostrare annunci pertinenti per ottenere traffico sui propri siti. I motori di ricerca vogliono garantire la migliore esperienza possibile tanto agli utenti quanto agli inserzionisti.
Sul triangolo degli interessi si fonda dunque il quality score. Quest’ultimo è influenzato da 3 fattori: CTR, Rilevanza e LPQ. Il CTR è di gran lunga il fattore più importante del quality score. A Google preme servire annunci di qualità affinché gli utenti vivano una buona esperienza e siano incoraggiati a cliccare sui link sponsorizzati con continuità. Per rilevanza si intende la pertinenza della parola chiave rispetto al testo dell'annuncio e alla query di ricerca immessa dall’utente. Infine la qualità della pagina di destinazione (landing page quality o LPQ). Un link sponsorizzato è utile solo se la pagina di destinazione mantiene la promessa e aiuta gli utenti a trovare ciò che stanno cercando.
Chiariti gli elementi fondanti del kw advertising (sistema ad asta e quality score), cerchiamo di definire quali obiettivi e relative metriche possiamo adottare per la nostra campagna di kw advertising.
Il keyword advertising è lo strumento di direct response per antonomasia. Ogni vendita effettuata online nasce da un’interazione. Producendo interazioni e dunque conversazioni, il keyword advertising ha la capacità di generare risposte immediate da parte degli utenti. E ovviamente misurabili. Vediamo un piccolo esempio. Impostiamo un investimento iniziale di €1.000 Impostiamo un CPC max di €1. A questo punto siamo sicuri di ricevere almeno 1.000 clicks. I nostri strumenti di analisi ci dicono che il 5% di questi clicks si converte in vendite. Quindi generiamo 50 vendite. Se il ticket medio ammonta a €100, vuol dire che l’investimento iniziale ho paorodtto €5.000 in vendite. Non ci resta che reinvestire i profitti aumentando il budget pubblicitario.
Abbiamo accennato alla brand awareness come possibile obiettivo di una campagna di search marketing. Questo sembra cozzare con la visione tradizionale del search marketing come strumento di direct response. Io stesso, quando ho iniziato ad occuparmi di search, la pensavo così… Eppure teniamo conto che: Il 48% della popolazione italiana ha accesso a Internet Per il 93% degli internauti i motori sono lo strumento migliore per trovare info su prodotti/servizi La search è diventata un mezzo di comunicazione di massa. Vista in questa ottica, l’idea di usare i motori di ricerca per fare brand awareness acquisisce un’altra prospettiva.
Lo State of Search Engine Marketing 2008 conferma che l’obiettivo principale delle grandi aziende che ricorrono al keyword advertising è proprio la brand awareness. Per le piccole e medie imprese, invece, le vendite rappresentano la priorità numero uno.
Eppure nonostante le intenzioni, le aziende mostrano di non essere in grado di misurare l’impatto delle campagne di search sulla brand awareness. Fra tutte le metriche elencate nel sondaggio, infatti, il brand impact si classifica al penultimo posto, prima del CPM.
La difficolta di misurare la brand awareness è esasperata dal fatto che oggi sempre più utenti vanno su internet e sempre più tempo spendono online, attivamente “intrappolati” nella rete dei social network, dei motori di ricerca, dei siti di informazione e di intrattenimento. Ciò è tanto più vero nel caso del search engine marketing: l’utente raggiunto da un messaggio che reputa interessante su un media tradizionale come la TV tende spesso a volerne sapere di più e si rivolge ai motori di ricerca. Allo stesso modo molte persone si servono dei motori di ricerca per trovare le informazioni di cui hanno bisogno e, dopo aver rafforzato le loro convinzioni attraverso la pubblicità tradizionale, effettuano l’acquisto presso un punto vendita. In questo contesto cosa misurano le aziende. E soprattutto come possono misurare meglio?
Partiamo con la prima domanda. Che cosa misurano le aziende? Il problema di usare l’ultimo click come parametro di attribuzione è che in questo modo si conferisce un peso spropositato ai motori di ricerca, che di fatto godono anche del traino degli altri media tradizionali e online.
Per questo è importante definire sistemi di attribution modeling che aiutino a valutare l’efficacia dei singoli canali e dei prodotti all’interno dei vari canali. Si tratta di un compito che può presentare molte insidie. Insidie che possono essere superate tenendo conto di alcuni aspetti: - Risorse tecniche. La disponibilità o la mancanza di risorse è fondamentale per capire quali canali tracciare. - Piano di attribuzione. Una volta decisi i canali, occorre separare non solo i canali ma anche I prodotti (es, un utente clicca su un annuncio per il prodotto A e converte sul prodotto B). Tracciamento. Occorre impostare un tracciamento e una metrica diversi per ogni canale (es. per il display serve un sistema che tracci le conversioni basate sulle pagine viste, ecc.). Durata dei cookie. Da impostare in base al ciclo di vita dei vari prodotti. Pulizia dei dati. Eliminare i dati superflui, impostando i giusti filtri (es. se il 97% degli utenti torna sul sito fra 1 e 12 volte, è inutile tenere i dati relativi agli utenti che tendono a tornare 13 volte o più). Dati di CRM. Unire i dati di conversione e di CRM può dimostrarsi particolarmente efficace, in quanto può consentire di determinare quali percorsi di acquisto hanno portato il cliente più desiderabile. Peso dei dati. Si può partire dando ai vari canali il medesimo peso, per poi aggiustare i pesi a seconda dei dati di conversione. Reportistica. Ci sono un'infinità di rapporti utili per fare le dovute analisi: per canale (e per ogni canale, i motori, i siti, le keywords, ecc.), per data, per utente (CRM), ecc.
Insomma, occorre adottare un approccio olistico. Internet oggi sta rubando tempo alla televisione. Sempre più persone, esposte al bombardamento pubblicitario offline, cercano conferme sul web e, in particolare, sui motori di ricerca. La chiave è capire che l’annuncio che appare su Google, Yahoo o Bing non rappresenta affatto il messaggio completo, ma costituisce una parte dell’esperienza di ricerca, anche nel caso in cui l’annuncio stesso non venisse cliccato. Soltanto se consideriamo il search engine marketing come parte integrante, se non decisiva, del ciclo di acquisto, possiamo dargli la dignità che merita all’interno del marketing mix.