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Fenomenologia
 dell’ignoranza digitale
zombie, esorcismi e altre amenità

        Federico Badaloni
1
Essere,
  non
 “farci”
2
Lasciarsi
cambiare
3
Testimoniare,
     non
rappresentare
4
Scambiare
  fiducia
Etica della comunicazione reticolare
• Hai il diritto di usare le informazioni delle persone,
ma hai la responsabilità di proteggere la loro
privacy

• Acquisisci il diritto di parlare, ascoltando

• Dimostri il valore di quel che fai, capendo il valore
delle persone con cui dialoghi e interagisci


                                        Charlie Beckett
GRAZIE!
     Twitter: @fedebadaloni

       Blog: www.snodi.it

Mail: federico.badaloni@gmail.com

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Fenomenologia dell'ignoranza digitale

Notas del editor

  1. Gli ignoranti digitali sono zombie
  2. Veramente, dico. Non è una battuta. Pensateci: lo scandalo sociale dello zombie è che dovrebbe essere assente, appartenere ad un regno dei morti, un ecosistema diverso da quello dei vivi. E invece è presente. E fa danni.
  3. Posso citare un’ampia fenomenologia tratta dalla mia esperienza diretta: Quelli che quando vai a mostrargli la beta di un sito ti dicono: “me lo stampi?”. Oh, yeah. Quelli che quando fai il brief ti dicono: “mi raccomando, fammelo dinamico” e stanno pensando a pupazzetti animati. Oh, yeah Quelli che “voglio solo una rinfrescatina alla grafica”. Oh, yeah Quelli che quando gli dici che fai l’architetto dell’informazione rispondono: “allora se ho problemi con la posta elettronica chiamo te?”. Oh, yeah. Quelli che quando gli mostri un wireframe ti dicono: “grafica minimalista, eh?”. Oh, yeah Quelli che quando parli di Agile pensano ad un corso di stretching. Oh, Yeah Quelli che quando proponi di fare test con gli utenti ti rispondono: “basta il buon senso”. Oh, yeah. Quelli che quando dicono “basta il buon senso” intendono: “basto io”. Oh, yeah. Quelli che quando gli mostri una proposta grafica realizzata in Photoshop ci cliccano su. Oh, yeah Quelli che dopo averci cliccato su si girano e ti dicono: “ma non funziona!”. Oh, yeah Quelli che dopo aver approvato un prototipo statico in html ti dicono: “ok, allora domani lo mettiamo online”. Oh, yeah Quelli che quando ti siedi con loro a parlare del concept ti dicono: “ci vorrebbe un’idea”. Oh, yeah Quelli che quando manca un giorno al lancio ti dicono: “ho avuto un’idea”. Oh, yeah. Quelli che “apriamo ai commenti, così facciamo un po’ di pagine”. Oh, yeah Quelli che “non penserai davvero che io perda tempo a leggermi i commenti degli utenti”. Oh, yeah. Quelli che: “il popolo della rete”. E ho detto tutto. Oh, yeah. Quelli che “non pretenderai mica che mi rimetta a studiare”. Oh, yeah Quelli che: “vuoi mettere il profumo della carta”. Oh, yeah. Quelli che a quarant’anni sei ancora un “ragazzo del web”. Oh, yeah. Oh, yeah? So che potreste aggiungere molte voci a questa lista anche voi. Ma il motivo per cui sono qui non è questa lista. E’ capire cosa c’è sotto. Perché non è come al cinema: al cinema poi gli zombie perdono. Invece nel film che vediamo tutti i giorni gli zombie restano lì.
  4. E nel frattempo noi dobbiamo lavorare ed evitare che facciano danni irreparabili
  5. Allora ho pensato che forse sbagliamo il punto di vista. Invece di considerarli mezzi-morti da respingere nell’al-di-là, potremmo pensare agli zombie come mezzi-vivi, da portare pienamente nell’al-di-qua. La battaglia da fare quindi non è escluderli dal nostro mondo e seppellirli nella loro tomba di certezze analogiche
  6. ma svegliarli, offrendo loro la chance di una seconda vita digitale.
  7. State pensando che non è compito nostro? Sbagliate. Perché sarà pure uno sporco lavoro, ma non c’è nessun altro in grado di farlo. Se vogliamo avere mezzi a disposizione, essere valorizzati, dobbiamo smettere di pensare di farlo "nonostante" gli zombie. Dobbiamo farlo con loro, dopo averli aiutati a tornare in vita. Possiamo farcela solo se capiamo cos’è che li rende zombie. E come dicevamo, è l’ignoranza della cultura digitale. Con il tempo ho capito che questa cultura passa per quattro snodi fondamentali:
  8. PRIMO Internet è un luogo, non un mezzo Perché internet è come una piazza. Ci sono luoghi di incontro, mercati, scuole... Questo significa che internet è un posto che non si "fa": si vive.
  9. SECONDO Internet è un luogo pervasivo, come ci dicono Rosati e Resmini. La realtà fisica è “porosa” e viene permeata dalla realtà digitale Se fino a poco tempo fa potevamo ancora distinguere un'ecosistema digitale, oggi questo non ha più senso. C’è un unico ecosistema. C’è un unico luogo dell’esistenza.
  10. Ed è fisico e digitale assieme. Questo significa che il ruolo primario dell’architettura dell’informazione è fare in modo che la comunicazione possa determinarsi in contesti diversi, su piattaforme diverse, in tempi diversi per persone diverse
  11. TERZO Internet è un luogo in cui i limiti spazio-temporali non possono essere usati come nel mondo fisico. Un giornale trasforma il limite fisico della pagina in un postulato narrativo: “quel che non c’è nella pagina, non è importante”. Inoltre un giornale, un libro, un film sono pensati linearmente: cioè quel che viene dopo ha senso rispetto a quel che viene prima Gli zombie tentano di replicare questi postulati nell’ecosistema digitale. Ma nel digitale lo spazio e il tempo hanno caratteristiche diverse: perché si può raccontare qualcosa in una forma non lineare e perché si può ripercorrere l’evoluzione temporale di un contenuto in avanti e indietro.
  12. QUARTO Internet non è una rete di documenti: è una rete di persone E anche quando un sito è il frutto di una collettività di persone, ci aspettiamo che esso ne sia una sorta di rappresentazione totemica. Una personificazione della collettività. Perché ci aspettiamo che interagisca con noi come se fosse una persona. Dando una risposta rapida e individuale alle nostre mail, Valorizzando i nostri commenti o i nostri contributi Rispondendo ad un nostro bisogno E tutto questo per la natura stessa della comunicazione reticolare, In cui ogni sito, in quanto nodo della rete, è sostanzialmente una entità dialogante. Sono quattro punti. Sembrano pochi. Ma bastano a ridefinire completamente il contesto della comunicazione. Soprattutto dal punto di vista etico.
  13. Perché la struttura della comunicazione reticolare pone l’accento su alcuni aspetti della comunicazione e non su altri. Su alcune scelte e non su altre. Sottolineando solo alcune delle nostre caratteristiche antropologiche e non altre. Ora però viene la parte difficile: :-) Chi glielo dice agli zombie? Ovviamente noi. Allora io credo che il nostro paletto di frassino vada piantato su 4 punti. Ve li dico a mo' di manifesto:
  14. Essere, non “farci” Su internet le bugie si smascherano in un tweet. La finzione, Il “dare un’idea di essere” senza essere veramente, diventano terribili boomerang comunicativi.
  15. "Lasciarsi cambiare" Perché una rete di persone è una infrastruttura di dialogo. “ Ogni utilizzo del tuo sito è una conversazione cominciata da un utente”, scrive infatti Redish Chi non è disposto a dialogare non è disposto a mettere in discussione se stesso e quindi a cambiare. E, attenzione, un'altra caratteristica intrinseca nella comunicazione reticolare è che la rete stessa tende a marginalizzare i propri nodi “non dialoganti” . Ma quante aziende, quante persone conosciamo che pensano di “andare su internet” a patto che nulla di loro stessi o della loro organizzazione cambi? [“Every use of your website is a conversation started by a site visitor”. http://uxmag.com/articles/content-as-conversation ]
  16. “ Testimoniare”, non “rappresentare” Internet è come uno specchio in cui le immagini permangono. Una scia permanente che testimonia l’evoluzione dei nostri cambiamenti, delle nostre conquiste e dei nostri errori. Ogni singolo contenuto che rappresenta le azioni o i pensieri di un individuo o di una società è un punto lungo l’asse del tempo permanente di internet. Chiunque può connettere i punti per trovare percorsi di senso, correlazioni ma anche incongruenze. Fa paura? Dipende da quel che siamo e da quel che facciamo.
  17. "Scambiare fiducia" Nel mondo analogico le aziende sono abituate a contendersi la nostra attenzione: vuoi sapere chi è l’assassino? Prima mangia un biscotto del Mulino Bianco. Non può essere diversamente in un mondo fisico in cui la comunicazione avviene in un contesto lineare. Comprare l’attenzione vuol dire prendere un frammento più grande possibile del tempo o dello spazio di una persona. Perché nel mondo analogico le informazioni sono un insieme finito e c'è un solo percorso possibile per ottenerle. Ma nell’ecosistema digitale, dove spazio e tempo sono infiniti e chiunque voglia comunicare può prendersi lo spazio e il tempo che desidera, non ha più senso contendersi l’attenzione. Perché posso sapere chi è l’assassino facendo mille percorsi diversi. Allora sguscerò come un anguilla :-) e non riusciranno a farmi mangiare il biscotto del Mulino!! Il lato negativo tuttavia è che se ognuno può pubblicare, copiare, moltiplicare l’informazione senza dover necessariamente possedere una rotativa o un canale televisivo, nell'ecosistema si crea una sovrabbondanza di informazioni. L’antidoto a questa sovrabbondanza è proprio la fiducia. La fiducia nelle fonti. Abbattere l’eccesso di informazione significa scegliere le fonti in base alla fiducia che queste si meritano. Pensate a Twitter, per esempio, che per certi versi è un Google umano basato proprio sulla fiducia che delego a quelli che scelgo di seguire. Il passaggio più difficile per gli Zombie è dunque abbandonare la domanda: "come posso fare per attirare la tua attenzione?" in favore della domanda: “ come posso fare per meritare la tua fiducia?”.
  18. La risposta, secondo Charlie Beckett passa per tre punti: Hai il diritto di usare le informazioni delle persone, ma hai la responsabilità di proteggere la loro privacy Acquisisci il diritto di parlare, ascoltando Dimostri il valore di quel che fai, capendo il valore delle persone con cui dialoghi e interagisci Ecco. Quello che voglio dire è che a forza di frequentare i luoghi della comunicazione digitale, mutiamo il nostro DNA culturale. Gli zombie sono coloro che si avventurano nei luoghi digitali senza aver mutato il DNA culturale. Vi domanderete perché non muta il loro DNA. :-) Ve lo dico io:
  19. Perché hanno paura. E hanno ragione. Hanno costruito certezze, fama e business sulla loro competenza nel gestire limiti, meccanismi e linearità tipiche del mondo fisico. Ma nel mondo digitale tutta la tecnica che hanno acquisito vale poco. Attenzione però: ho detto “la tecnica”. Il resto, cioè avere un messaggio, un’idea, una meta, una visione, una storia da raccontare, una lista di priorità, sono cose che valgono sempre. Ma gli zombie non lo sanno: hanno confuso il controllo della tecnica con l’essenza stessa di ciò che avevano da dire e da fare. Spieghiamoglielo, capiamoli e rassicuriamoli. Ecco da dove deve cominciare il nostro lavoro di Architetti dell’Informazione.
  20. Andiamo a cercare le loro idee, le loro mete, le loro visioni, frugando sotto la sovrastruttura di tutta la technè analogica in cui sono diventati maestri. Quando le avremo trovate, maneggiamole con cura, come si addice alle cose preziose e care. Solo così gli zombie avranno fiducia in noi. E comincerà la loro mutazione.
  21. Grazie